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I parchi scientifici, tra utopia e conti che non tornano
di Alessandra Sgarbossa
Innovazione e ricerca, i mantra dell’impresa 2.0, non sempre bastano a garantire il successo economico. Almeno a
guardare le storie di alcune realtà partecipate da enti pubblici, nate come poli di eccellenza con la lodevole
motivazione di sostenere con laboratori e incubatori d’impresa l’innovazione nel tessuto produttivo locale, ma
incapaci o in difficoltà a sostenere i propri bilanci. Non tutto va male, certo, a Nordest. Se alcuni enti sono in crisi,
altri continuano a fare utili ma spesso i pareggi di bilancio sono dovuti più ai finanziamenti pubblici, ossia della
collettività, che alle globali leggi del mercato, impietose con le imprese private. Posto che la ricerca di alto livello
ha ovviamente costi elevati difficilmente recuperabili in tempi rapidi, la domanda sorge spontanea in questo
periodo di vacche magre. Per quanto tempo ancora il pubblico potrà continuare a metterci una pezza per evitare
default annunciati e talvolta sottovalutati? Nella galassia dei cosiddetti Citt, i Centri di innovazione e trasferimento
tecnologico sia partecipati da Regioni, Province, enti camerali o universitari, sia privati (Uil Veneto e Università Ca’
Foscari alcuni anni fa ne avevano contati una novantina nel solo Veneto), a essere più in affanno sono in genere i
Pst, i Parchi scientifici tecnologici, poco meno di una decina nelle Venezie.
Uno dei casi più emblematici è il Parco Star di Verona, operativo dal 2001. Non sembra proprio riuscito a fare
quello che si prefiggeva, ovvero sviluppare ricerca e innovazione e fare da «anello di collegamento tra imprese,
mondo della ricerca e fonti di finanziamento», come si legge nel sito Internet, dove i progetti più recenti descritti
si sono conclusi a fine 2012. Fino a dieci anni fa Veneto Innovazione Spa, partecipata della Regione Veneto,
Comune e Provincia di Verona, i tre soci di maggioranza, detenevano ciascuno azioni per il 20,10% per un valore
complessivo di 588.000 euro. Purtroppo risultati operativi e bilanci d’esercizio dal 2004 in poi hanno sempre
seguito un trend sconfortante: la performance “migliore” dell’ente è stata nel 2009, quando la perdita si è fermata
a 320.946 euro. E in dieci anni ci sono state riduzioni di capitale sociale per perdite e fughe di soci, passati da 38 a
una manciata. Nel 2011 la Provincia di Verona cede le sue quote al Business Incubator Park Area 5.1 per un totale
complessivo di 39.812 euro. In un prospetto delle proprie partecipazioni azionarie la Provincia scrive che «dopo
10 anni ha dovuto prendere atto del sostanziale disinteresse del mondo imprenditoriale nei confronti delle
proposte e dei piani di sviluppo e ricerca della società; in tale arco temporale le attività aziendali hanno cumulato
circa 3,4 milioni di euro di perdite, di cui oltre 566.000 euro assorbiti dalla Provincia». Nel 2010 aveva comunicato
allo Star il suo esercizio di recesso anche il Comune, che possedeva allora 12.250 azioni del valore di 31,48 euro
ciascuna. Il bilancio 2011 approvato nel luglio seguente si chiude con una perdita di esercizio di 244.362 euro, che
sommata alle perdite “a nuovo” e a quelle del primo trimestre 2012 arriva a quasi 522.000 euro. A marzo
l’assemblea straordinaria aveva deliberato l’ennesima riduzione del capitale sociale attribuendo alle azioni un
valore di appena 2,47 euro. Risultato: la liquidazione per il Comune si attesta a 30.257 euro, una perdita secca di
oltre 355mila euro rispetto al 2010. Pochi mesi dopo analoga sorte tocca anche al Comune di San Giovanni
Lupatoto che vende le sue azioni per 1.633 euro.
Il Vega Park di Marghera, fiore all’occhiello nei settori ICT, green economy, nanotecnologie e come incubatore di
imprese innovative, nato nel 1993 per riconvertire l’area industriale di Porto Marghera, con capitale sociale 12,5
milioni di euro e 33 soci, tra cui enti locali, le università veneziane, banche, di risultati operativi ne ha invece
collezionati e parecchi. Ma nonostante ciò – e nonostante contributi regionali e privati per alcuni progetti di
ricerca - ha chiuso il bilancio 2012 con una perdita di esercizio di 5.673.110 euro. E nel giro di un anno, si è finiti al
concordato preventivo a cui la società consortile a responsabilità limitata è stata ammessa ad aprile 2014. Ai
creditori è stato offerto il pagamento del 100% dei debiti della società mediante un piano di dismissioni di cespiti
aziendali da realizzare nell'arco dei prossimi quattro anni. Tommaso Santini, Ad di Vega Scarl insediatosi da poco
meno di un anno, non ha dubbi su quale sia stato il tallone d’Achille. «Una struttura dei costi insostenibile, in
particolare costi di gestione molto elevati, che stiamo riportando a valori consoni – racconta -. Abbiamo
inquadrato un percorso di risanamento con i piedi per terra eliminando attività in perdita, tra le quali
l’innovazione, che rimarrà solo all’interno dell’incubatore, uno dei due certificati in regione». Insomma, nessun
problema per le neoaziende innovative, anche se suona paradossale che i centri deputati all’innovazione
rinuncino, seppur in parte, a essa. E l’Ad risponde ai nostri dubbi iniziali. «I Pst a partecipazione pubblica sono
modelli economici che non “quagliano”, in particolare a causa degli investimenti necessari alla ricerca. Un’azienda
privata solida può reinvestire i costi di ricerca in altra innovazione, il Pst invece non ha introiti e non può
mantenerla. L’auspicio è che gli investitori privati investano sempre più nelle start up, in questo senso si legge un
timido aumento. Vengo dal Forum Ambrosetti: la Francia ha puntato su 2-3 cluster strategici per l’innovazione. Un
esempio che potrebbe essere la via d’uscita in un periodo di vacche magre».
Piano strategico per certi versi analogo, ma meno consistente, anche per il Parco Galileo di Padova che ha avuto
nel 2011 un momento di défaillance: la passività di 71mila euro l’anno seguente è stata trasformata in utile –
appena 10.058 euro ma pur sempre col segno più – grazie a una cura a base di razionalizzazione dei costi di
gestione e dismissione del patrimonio obbligazionario, una delle cause di qualche mal di pancia l’anno prima
insieme alla contrazione della domanda di servizi da parte delle imprese che, con la crisi, tirano i remi in barca.
Veneto Nanotech Scpa, una realtà sui generis rispetto ai Pst ma sempre con soci e contributi pubblici, che dal
2003 coordina le attività del distretto hi-tech per le nanotecnologie applicate ai materiali, ha chiuso l'esercizio
2012 con una perdita di 627.925 euro, cui si deve aggiungere anche la perdita dei primi quattro mesi 2013, altri
138.839 euro, vista l’approvazione del bilancio in deroga. «Un miglioramento rispetto al risultato negativo
conseguito nell'esercizio precedente, pari a meno 1.572.287 euro», è stata la visione positiva dell’assessore
veneto al Bilancio Roberto Ciambetti, trasmessa riferendo all’assemblea dei soci lo scorso anno. La società è stata
infatti ricapitalizzata nel 2012 come previsto dal piano industriale per il rilancio del distretto, che ha portato a un
aumento di capitale sottoscritto per complessivi 1.577.389 euro. Ovvero i soci, tra cui la Regione che detiene ora
quasi il 77% delle partecipazioni, si sono accollati di fatto la perdita. Nonostante l’importante deficit del 2011, nel
2012 l’azienda ha assunto per l’84% in più e nel 2013, come previsto dall’accordo di ricapitalizzazione, ha assorbito
il personale del Civen, il Coordinamento interuniversitario veneto nanotecnologie, che deve a Veneto Nanotech
quasi 1 milione e 148mila euro. Va detto però che “c’è vita su Marte”: il valore della produzione pari a 4.724.571
euro (più 23% sul 2011); i ricavi da vendite e prestazioni pari 1.580.330 euro (più 14%), quasi interamente da
contratti di ricerca, commesse e licensing; i 18 progetti finanziati con fondi europei dal 2008 a oggi che hanno
fruttato 3 milioni e 800 mila euro e i 19 progetti in valutazione. Ad affossarlo i costi di gestione per i laboratori di
proprietà il cui allestimento è costato 40 milioni di euro: 400mila euro l’anno di elettricità, 300mila euro di
manutenzione dei macchinari ad altissima tecnologia. E un contributo regionale rimasto di appena 150mila euro
l’anno. «La questione è: una realtà che fa innovazione anche se in perdita è strategica o no? – si chiede il direttore
generale della struttura, Nicola Trevisan, consapevole dei bilanci tutt’altro che performanti – All’estero laboratori
come il nostro si reggono con il 35% di finanziamento pubblico, la Fondazione Bruno Kessler in Trentino con il
50%: quasi 5 milioni di euro dalla Provincia autonoma a parità di volume di attività con noi. Chiaro che chiudiamo
in perdita, il contrario è utopia». Nel senso che i rossi di bilancio sono un male necessario per poter fare ricerca?
«Sì, i soldi pubblici spesi oggi portano ricadute domani nel tessuto produttivo difficilmente misurabili in bilancio».
Un esempio, ci sono voluti sette anni per brevettare una macchina tessile che ora frutterà royalties per vent’anni a
Veneto Nanotech, commesse alle aziende che la installano e posti di lavoro. Ma intanto i soci levano le ancore per
il rischio di «non continuità aziendale» e il probabile “rosso” anche nel consuntivo 2013 (Confindustria Veneto e
Camera di commercio di Venezia sono usciti dal Cda ad aprile, nel tempo i quattro Atenei veneti hanno
assottigliato le loro azioni dal 20% a meno 1%), mentre si vocifera dell’ingresso di un socio di maggioranza
privato.
Altra storia per i centri di ricerca delle confinanti regioni a statuto speciale, figlie di un Dio maggiore. Anche nel
bilancio 2012 del Cosbi, Centre for computational & systems biology, di Microsoft Research e Università di Trento
si legge un disavanzo di 235.838 euro ma «il disavanzo – spiegano serafici al Cosbi - è stato dovuto a un pesante
taglio dei finanziamenti da parte della Provincia di Trento, quasi 2 milioni di euro per il periodo 2012-2014,
comunicatoci in corso d’anno, rispetto al quale non si è potuto quindi attuare azioni correttive. Il bilancio del 2013
riporta invece un risultato di esercizio di 103.246,80 euro». Al netto del “pesante taglio”, la Provincia lo finanzia
ancora per 6 milioni di euro l’anno, che si aggiungono ai 13 milioni di commesse ottenute da finanziatori esterni,
certamente attratti dall’eccellenza trentina - l’impact factor, l’indice per misurare l’attività scientifica, del Cosbi è di
4,3, il 165% più alto della media mondiale – e forse anche dall’entità dei finanziamenti pubblici.
Trentino Sviluppo Spa, fusasi con Trentino marketing Spa nel 2012 e socio unico la Provincia autonoma, poteva
vantare, fresca di fusione, un utile di esercizio di 215.388 euro, quasi raddoppiato rispetto al 2011, mentre il
documento contabile licenziato a fine maggio dal nuovo Cda a tre membri evidenzia per l’esercizio 2013 un utile
di 359.675 euro al netto degli accantonamenti, tra cui 1,2 milioni di euro per finanziare i lavori del Polo
Meccatronica. La società ha dato infatti via libera alla fusione delle tre società controllate e partecipate al 100%,
Progetto Manifattura, Arca Casa Legno e Distretto del Porfido e delle Pietre Trentine, per dare vita ad un’unica
nuova area integrata in cui confluiranno le competenze maturate dalle filiere strategiche del green, meccatronica,
edilizia in legno e settore lapideo. Quel che si dice economie di scala.
Pareggio di bilancio mancato per un soffio (una perdita ante imposte di 2.344 euro) per Friuli Innovazione, che
gestisce il Parco scientifico e tecnologico Luigi Danieli di Udine, da settembre scorso nei nuovi edifici che ospitano
l’incubatore certificato “Techno seed” con 24 start up, un laboratorio di metallurgia e un pre-incubatore. Maggiori
costi di ammortamento dei nuovi edifici e minore finanziamento regionale per il funzionamento dell’ente di
ricerca friulano sono stati galeotti per il rosso in bilancio che, grazie al piano industriale triennale 2012-2014
dovrebbe tornare in equilibrio nel prossimo esercizio.
E persino col bicchiere a metà tra gestione finanziaria ed economica del consorzio Area Science Park di Trieste
(l’ente adotta un doppio sistema contabile), l’impressione è di un’invidiabile solidità se rapportata alla situazione
media degli enti pubblici e di ricerca italiani. Area chiude il 2012 con un risultato finanziario corrente di oltre 1,2
milioni di euro (meno 60% sul 2011) che garantisce ampi margini di sicurezza operativa nonostante un risultato di
competenza negativo per 1,6 milioni di euro (meno 189% sul 2011) dovuto a maggiori investimenti del 155% per
limitare l’impatto della crisi sul proprio ambiente operativo. L’avanzo di amministrazione rimane ampiamente
positivo, più 2,7 milioni di euro. Ma «Fare di più con meno, sarà imperativo per il futuro – assicurano dall’ente -
per evitare il perdurare di dinamiche, soprattutto economiche, non sostenibili nel medio e lungo termine».
Il presidente di Confindustria nazionale Servizi Innovativi e Tecnologici, l’imprenditore padovano Gianni Potti, ha
una sua chiave di lettura. «Parchi e incubatori a partecipazione pubblica sono troppi e non sono a mercato, per
questo assistiamo alla loro moria. Di contro nascono e si consolidano altri spazi di incubazione e di co-working
privati, come M31 o H-Farm, segno che l’innovazione è liquida, non sclerotizzata ma ha bisogno di essere
accompagnata con mentoring e gestione del credito, con nuovi modi d’interazione tra università e impresa. In
questo i Pst hanno fallito e la politica è intervenuta solo a bilanci ormai in rosso».
Da: http://mappe.veneziepost.it/publisher/home_mappe/section/

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7 giugno, di Veneziepost.it – “Mappe” - I parchi scientifici, tra utopia e conti che non tornano

  • 1. I parchi scientifici, tra utopia e conti che non tornano di Alessandra Sgarbossa Innovazione e ricerca, i mantra dell’impresa 2.0, non sempre bastano a garantire il successo economico. Almeno a guardare le storie di alcune realtà partecipate da enti pubblici, nate come poli di eccellenza con la lodevole motivazione di sostenere con laboratori e incubatori d’impresa l’innovazione nel tessuto produttivo locale, ma incapaci o in difficoltà a sostenere i propri bilanci. Non tutto va male, certo, a Nordest. Se alcuni enti sono in crisi, altri continuano a fare utili ma spesso i pareggi di bilancio sono dovuti più ai finanziamenti pubblici, ossia della collettività, che alle globali leggi del mercato, impietose con le imprese private. Posto che la ricerca di alto livello ha ovviamente costi elevati difficilmente recuperabili in tempi rapidi, la domanda sorge spontanea in questo periodo di vacche magre. Per quanto tempo ancora il pubblico potrà continuare a metterci una pezza per evitare default annunciati e talvolta sottovalutati? Nella galassia dei cosiddetti Citt, i Centri di innovazione e trasferimento tecnologico sia partecipati da Regioni, Province, enti camerali o universitari, sia privati (Uil Veneto e Università Ca’ Foscari alcuni anni fa ne avevano contati una novantina nel solo Veneto), a essere più in affanno sono in genere i Pst, i Parchi scientifici tecnologici, poco meno di una decina nelle Venezie. Uno dei casi più emblematici è il Parco Star di Verona, operativo dal 2001. Non sembra proprio riuscito a fare quello che si prefiggeva, ovvero sviluppare ricerca e innovazione e fare da «anello di collegamento tra imprese, mondo della ricerca e fonti di finanziamento», come si legge nel sito Internet, dove i progetti più recenti descritti si sono conclusi a fine 2012. Fino a dieci anni fa Veneto Innovazione Spa, partecipata della Regione Veneto, Comune e Provincia di Verona, i tre soci di maggioranza, detenevano ciascuno azioni per il 20,10% per un valore complessivo di 588.000 euro. Purtroppo risultati operativi e bilanci d’esercizio dal 2004 in poi hanno sempre seguito un trend sconfortante: la performance “migliore” dell’ente è stata nel 2009, quando la perdita si è fermata a 320.946 euro. E in dieci anni ci sono state riduzioni di capitale sociale per perdite e fughe di soci, passati da 38 a una manciata. Nel 2011 la Provincia di Verona cede le sue quote al Business Incubator Park Area 5.1 per un totale complessivo di 39.812 euro. In un prospetto delle proprie partecipazioni azionarie la Provincia scrive che «dopo 10 anni ha dovuto prendere atto del sostanziale disinteresse del mondo imprenditoriale nei confronti delle proposte e dei piani di sviluppo e ricerca della società; in tale arco temporale le attività aziendali hanno cumulato circa 3,4 milioni di euro di perdite, di cui oltre 566.000 euro assorbiti dalla Provincia». Nel 2010 aveva comunicato allo Star il suo esercizio di recesso anche il Comune, che possedeva allora 12.250 azioni del valore di 31,48 euro ciascuna. Il bilancio 2011 approvato nel luglio seguente si chiude con una perdita di esercizio di 244.362 euro, che sommata alle perdite “a nuovo” e a quelle del primo trimestre 2012 arriva a quasi 522.000 euro. A marzo l’assemblea straordinaria aveva deliberato l’ennesima riduzione del capitale sociale attribuendo alle azioni un valore di appena 2,47 euro. Risultato: la liquidazione per il Comune si attesta a 30.257 euro, una perdita secca di oltre 355mila euro rispetto al 2010. Pochi mesi dopo analoga sorte tocca anche al Comune di San Giovanni Lupatoto che vende le sue azioni per 1.633 euro.
  • 2. Il Vega Park di Marghera, fiore all’occhiello nei settori ICT, green economy, nanotecnologie e come incubatore di imprese innovative, nato nel 1993 per riconvertire l’area industriale di Porto Marghera, con capitale sociale 12,5 milioni di euro e 33 soci, tra cui enti locali, le università veneziane, banche, di risultati operativi ne ha invece collezionati e parecchi. Ma nonostante ciò – e nonostante contributi regionali e privati per alcuni progetti di ricerca - ha chiuso il bilancio 2012 con una perdita di esercizio di 5.673.110 euro. E nel giro di un anno, si è finiti al concordato preventivo a cui la società consortile a responsabilità limitata è stata ammessa ad aprile 2014. Ai creditori è stato offerto il pagamento del 100% dei debiti della società mediante un piano di dismissioni di cespiti aziendali da realizzare nell'arco dei prossimi quattro anni. Tommaso Santini, Ad di Vega Scarl insediatosi da poco meno di un anno, non ha dubbi su quale sia stato il tallone d’Achille. «Una struttura dei costi insostenibile, in particolare costi di gestione molto elevati, che stiamo riportando a valori consoni – racconta -. Abbiamo inquadrato un percorso di risanamento con i piedi per terra eliminando attività in perdita, tra le quali l’innovazione, che rimarrà solo all’interno dell’incubatore, uno dei due certificati in regione». Insomma, nessun problema per le neoaziende innovative, anche se suona paradossale che i centri deputati all’innovazione rinuncino, seppur in parte, a essa. E l’Ad risponde ai nostri dubbi iniziali. «I Pst a partecipazione pubblica sono modelli economici che non “quagliano”, in particolare a causa degli investimenti necessari alla ricerca. Un’azienda privata solida può reinvestire i costi di ricerca in altra innovazione, il Pst invece non ha introiti e non può mantenerla. L’auspicio è che gli investitori privati investano sempre più nelle start up, in questo senso si legge un timido aumento. Vengo dal Forum Ambrosetti: la Francia ha puntato su 2-3 cluster strategici per l’innovazione. Un esempio che potrebbe essere la via d’uscita in un periodo di vacche magre». Piano strategico per certi versi analogo, ma meno consistente, anche per il Parco Galileo di Padova che ha avuto nel 2011 un momento di défaillance: la passività di 71mila euro l’anno seguente è stata trasformata in utile – appena 10.058 euro ma pur sempre col segno più – grazie a una cura a base di razionalizzazione dei costi di gestione e dismissione del patrimonio obbligazionario, una delle cause di qualche mal di pancia l’anno prima insieme alla contrazione della domanda di servizi da parte delle imprese che, con la crisi, tirano i remi in barca. Veneto Nanotech Scpa, una realtà sui generis rispetto ai Pst ma sempre con soci e contributi pubblici, che dal 2003 coordina le attività del distretto hi-tech per le nanotecnologie applicate ai materiali, ha chiuso l'esercizio 2012 con una perdita di 627.925 euro, cui si deve aggiungere anche la perdita dei primi quattro mesi 2013, altri 138.839 euro, vista l’approvazione del bilancio in deroga. «Un miglioramento rispetto al risultato negativo conseguito nell'esercizio precedente, pari a meno 1.572.287 euro», è stata la visione positiva dell’assessore veneto al Bilancio Roberto Ciambetti, trasmessa riferendo all’assemblea dei soci lo scorso anno. La società è stata infatti ricapitalizzata nel 2012 come previsto dal piano industriale per il rilancio del distretto, che ha portato a un aumento di capitale sottoscritto per complessivi 1.577.389 euro. Ovvero i soci, tra cui la Regione che detiene ora quasi il 77% delle partecipazioni, si sono accollati di fatto la perdita. Nonostante l’importante deficit del 2011, nel 2012 l’azienda ha assunto per l’84% in più e nel 2013, come previsto dall’accordo di ricapitalizzazione, ha assorbito il personale del Civen, il Coordinamento interuniversitario veneto nanotecnologie, che deve a Veneto Nanotech quasi 1 milione e 148mila euro. Va detto però che “c’è vita su Marte”: il valore della produzione pari a 4.724.571 euro (più 23% sul 2011); i ricavi da vendite e prestazioni pari 1.580.330 euro (più 14%), quasi interamente da contratti di ricerca, commesse e licensing; i 18 progetti finanziati con fondi europei dal 2008 a oggi che hanno fruttato 3 milioni e 800 mila euro e i 19 progetti in valutazione. Ad affossarlo i costi di gestione per i laboratori di proprietà il cui allestimento è costato 40 milioni di euro: 400mila euro l’anno di elettricità, 300mila euro di manutenzione dei macchinari ad altissima tecnologia. E un contributo regionale rimasto di appena 150mila euro l’anno. «La questione è: una realtà che fa innovazione anche se in perdita è strategica o no? – si chiede il direttore generale della struttura, Nicola Trevisan, consapevole dei bilanci tutt’altro che performanti – All’estero laboratori come il nostro si reggono con il 35% di finanziamento pubblico, la Fondazione Bruno Kessler in Trentino con il 50%: quasi 5 milioni di euro dalla Provincia autonoma a parità di volume di attività con noi. Chiaro che chiudiamo in perdita, il contrario è utopia». Nel senso che i rossi di bilancio sono un male necessario per poter fare ricerca? «Sì, i soldi pubblici spesi oggi portano ricadute domani nel tessuto produttivo difficilmente misurabili in bilancio». Un esempio, ci sono voluti sette anni per brevettare una macchina tessile che ora frutterà royalties per vent’anni a Veneto Nanotech, commesse alle aziende che la installano e posti di lavoro. Ma intanto i soci levano le ancore per
  • 3. il rischio di «non continuità aziendale» e il probabile “rosso” anche nel consuntivo 2013 (Confindustria Veneto e Camera di commercio di Venezia sono usciti dal Cda ad aprile, nel tempo i quattro Atenei veneti hanno assottigliato le loro azioni dal 20% a meno 1%), mentre si vocifera dell’ingresso di un socio di maggioranza privato. Altra storia per i centri di ricerca delle confinanti regioni a statuto speciale, figlie di un Dio maggiore. Anche nel bilancio 2012 del Cosbi, Centre for computational & systems biology, di Microsoft Research e Università di Trento si legge un disavanzo di 235.838 euro ma «il disavanzo – spiegano serafici al Cosbi - è stato dovuto a un pesante taglio dei finanziamenti da parte della Provincia di Trento, quasi 2 milioni di euro per il periodo 2012-2014, comunicatoci in corso d’anno, rispetto al quale non si è potuto quindi attuare azioni correttive. Il bilancio del 2013 riporta invece un risultato di esercizio di 103.246,80 euro». Al netto del “pesante taglio”, la Provincia lo finanzia ancora per 6 milioni di euro l’anno, che si aggiungono ai 13 milioni di commesse ottenute da finanziatori esterni, certamente attratti dall’eccellenza trentina - l’impact factor, l’indice per misurare l’attività scientifica, del Cosbi è di 4,3, il 165% più alto della media mondiale – e forse anche dall’entità dei finanziamenti pubblici. Trentino Sviluppo Spa, fusasi con Trentino marketing Spa nel 2012 e socio unico la Provincia autonoma, poteva vantare, fresca di fusione, un utile di esercizio di 215.388 euro, quasi raddoppiato rispetto al 2011, mentre il documento contabile licenziato a fine maggio dal nuovo Cda a tre membri evidenzia per l’esercizio 2013 un utile di 359.675 euro al netto degli accantonamenti, tra cui 1,2 milioni di euro per finanziare i lavori del Polo Meccatronica. La società ha dato infatti via libera alla fusione delle tre società controllate e partecipate al 100%, Progetto Manifattura, Arca Casa Legno e Distretto del Porfido e delle Pietre Trentine, per dare vita ad un’unica nuova area integrata in cui confluiranno le competenze maturate dalle filiere strategiche del green, meccatronica, edilizia in legno e settore lapideo. Quel che si dice economie di scala. Pareggio di bilancio mancato per un soffio (una perdita ante imposte di 2.344 euro) per Friuli Innovazione, che gestisce il Parco scientifico e tecnologico Luigi Danieli di Udine, da settembre scorso nei nuovi edifici che ospitano l’incubatore certificato “Techno seed” con 24 start up, un laboratorio di metallurgia e un pre-incubatore. Maggiori costi di ammortamento dei nuovi edifici e minore finanziamento regionale per il funzionamento dell’ente di ricerca friulano sono stati galeotti per il rosso in bilancio che, grazie al piano industriale triennale 2012-2014 dovrebbe tornare in equilibrio nel prossimo esercizio. E persino col bicchiere a metà tra gestione finanziaria ed economica del consorzio Area Science Park di Trieste (l’ente adotta un doppio sistema contabile), l’impressione è di un’invidiabile solidità se rapportata alla situazione media degli enti pubblici e di ricerca italiani. Area chiude il 2012 con un risultato finanziario corrente di oltre 1,2 milioni di euro (meno 60% sul 2011) che garantisce ampi margini di sicurezza operativa nonostante un risultato di competenza negativo per 1,6 milioni di euro (meno 189% sul 2011) dovuto a maggiori investimenti del 155% per limitare l’impatto della crisi sul proprio ambiente operativo. L’avanzo di amministrazione rimane ampiamente positivo, più 2,7 milioni di euro. Ma «Fare di più con meno, sarà imperativo per il futuro – assicurano dall’ente - per evitare il perdurare di dinamiche, soprattutto economiche, non sostenibili nel medio e lungo termine». Il presidente di Confindustria nazionale Servizi Innovativi e Tecnologici, l’imprenditore padovano Gianni Potti, ha una sua chiave di lettura. «Parchi e incubatori a partecipazione pubblica sono troppi e non sono a mercato, per questo assistiamo alla loro moria. Di contro nascono e si consolidano altri spazi di incubazione e di co-working privati, come M31 o H-Farm, segno che l’innovazione è liquida, non sclerotizzata ma ha bisogno di essere accompagnata con mentoring e gestione del credito, con nuovi modi d’interazione tra università e impresa. In questo i Pst hanno fallito e la politica è intervenuta solo a bilanci ormai in rosso». Da: http://mappe.veneziepost.it/publisher/home_mappe/section/