È possibile scaricare dall'home page del sito OMCeOMI il nuovo numero del bollettino, nel quale si parla tra l'altro dei 40 anni dalla legge Basaglia, di vaccini e di cannabis light. Inoltre nelle pagine centrali il corso FAD dal titolo "Gli esami diagnostici essenziali di laboratori"
1. PROFESSIONE
Vaccini: Guida
alle controindicazioni
pag. 18
Sanità
Cannabis light: libera
vendita e tutela della salute
pag. 25
L’intervista
Elio Franzini: da filosofo
a rettore
pag. 37
InFormaMI
3. 2018 anno LXXI
Bollettino dell’OMCeOMI
360°
pag. 5
i 40anni
deLla legge
basaglia
2. I telefoni dell’Ordine
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 16 comma 7 D.P.R. 185/2008, sei tenuto a comunicarci il tuo indirizzo di
Posta Elettronica Certificata (PEC). Se non lo hai già fatto, segnalalo inviandolo a: segreteria@pec.omceomi.it
Grazie.
Direzione
Dott. Marco CAVALLO
tel. 02.86471.1
Segreteria del Presidente
Giusy PECORARO
tel. 02.86471410
Segreteria consigliere medicina generale
Cinzia PARLANTI
tel. 02.86471400
Segreteria del vice presidente
Silvana BALLAN
tel. 02.86471423
Segreteria del consigliere segretario
Laura CAZZOLI
tel. 02.86471413
Segreteria commissioni
Maria FLORIS
tel. 02.86471417
Area giuridica amministrativa
Avv. Mariateresa GARBARINI
tel. 02.86471414
Segreterie organi collegiali
Ufficio deontologia
procedimenti disciplinari
Dott.ssa Daniela MORANDO
tel. 02.86471405
Ufficio iscrizioni,
cancellazioni, certificati
Alessandra GUALTIERI
tel. 02.86471402
Cinzia PARLANTI
tel. 02.86471400
Maria FLORIS
tel. 02.86471417
Marina ZAFFARONI
tel. 02.86471448
Front office
Cinzia PARLANTI (Stampa)
tel. 02.86471400
Maria FLORIS
tel. 02.86471417
Amministrazione e contabilità
Rag. Antonio FERRARI
tel. 02.86471407
Contabilità - visti d’equità
Gabriella BANFI
tel. 02.86471409
Rossana RAVASIO
tel. 02.86471419
Sofia CAPPELLARO
tel. 02.86471411
Ufficio Stampa - sito istituzionale
Dott.ssa Mariantonia FARINA
tel. 02.86471449
Aggiornamento ECM
Sarah BALLARÈ
tel. 02.86471401
Mariantonia FARINA
tel. 02.86471449
Segreteria commissione odontoiatri
Silvana BALLAN
tel. 02.86471423
Pubblicità sanitaria e psicoterapeuti
Lorena COLOMBO
tel. 02.86471420
CED
Lucrezia CANTONI
tel. 02.86471424
Loris GASLINI
tel. 02.86471412
Centralino
Fabio SORA
tel. 02.864711
ENPAM - Pratiche pensioni
Stefania PARROTTA
tel. 02.86471404
Katia COSTA
tel. 02.86471404
Ricevimento telefonico:
lunedì e mercoledì h 14:00-16:00
martedì e giovedì h 10:00-12:00
Ricevimento in sede
(su appuntamento)
lunedì e mercoledì h 10:00-12:00
martedì e giovedì h 14:00-16:00
Per prenotare il proprio
appuntamento, chiamare il numero
di telefono:
02.86471404
Una segreteria telefonica è sempre
attiva per lasciare eventuali
messaggi; il referente d’ufficio
provvederà a rispondere appena
possibile.
Sportello ENPAM,
modalità di ricevimento
www.omceomi.it
Collegati con l’Ordine
3. 3 Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde
I 40 ANNI DELLA LEGGE BASAGLIA
5 La psichiatria tra risorse scarse e nuove sfide
9 L’assistenza psichiatrica in cifre: Lombardia vs Italia
10 Follia e manicomi nella storia
13 Verso gli Stati Generali della medicina italiana
15 Violenza sugli operatori sanitari, il corso di formazione della FNOMCeO
16 Diabete e parodontite: una sfida comune
18 Uso dei vaccini: una Guida per valutare controindicazioni e precauzioni
19 Ricerca clinica: come orientarsi tra prove e studi
21 Antidepressivi e aumento di peso
22 AAA Società tra Professionisti cercasi
25 Cannabis leggera ma non troppo
27 Pari efficacia a minor prezzo coi biosimilari
30 Elenco nazionale dei dirigenti delle Asl al debutto
32 Telemedicina e cure palliative, a Garbagnate il primo progetto italiano
34 Il diabete non è più quello di una volta
36 Un dolce dialogo del terzo millennio
37 Da filosofo a rettore
40 1968 e dintorni
43 Un secolo di Spagnola
46 Da vedere e ascoltare
47 Da leggere
48 Eventi. OMCeOMI si dà al basket
SmartFAD
I Gli esami diagnostici essenziali di laboratorio
II Pallido e spaesato
IV Debole e preoccupata
VI Stanco e avvilito
sommario
editoriale
360°
professione
Sanità
diritto
l’intervista
clinicommedia ieri e oggi
storia e storie
4. 2 InFormaMI
Registrazione al Tribunale di Milano
n° 366 del 14 agosto 1948
Iscritta al Registro degli operatori
di comunicazione (ROC) al n. 20573
(delibera AGCOM n. 666/08/CONS del
26 novembre 2008).
Direttore Responsabile
Roberto Carlo Rossi
Comitato di Redazione
Andrea Senna, Luigi Di Caprio,
Ugo Giovanni Tamborini, Luciana
Bovone, Geltrude Consalvo,
Costanzo Gala, Ugo Garbarini,
Dalila Greco, Maria Grazia Manfredi,
Danilo Mazzacane, Claudio
Procopio, Sandro Siervo, Martino
Trapani
Redazione e realizzazione
Zadig Srl
via Ampère 59, 20131 Milano
tel. 02 7526131 - fax 02 76113040
segreteria@zadig.it
www.zadig.it
Direttore: Pietro Dri
Redazione: Nicoletta Scarpa, Maria
Rosa Valetto (coordinamento)
Grafica: Luisa Goglio
Autori degli articoli di questo numero:
Martina Alberani, Claudia Arcari,
Sergio Cima, Raffaella Daghini,
Cristina Da Rold, Valeria Esposito,
Ugo Garbarini, Cristina Gaviraghi,
Angelica Giambelluca, Roberto
Lanzi, Andrea Laurenzi, Margherita
Martini, Antonino Michienzi,
Simonetta Pagliani, Francesca
Perticone, Andrea Porta, Patrizia
Salvaterra, Nicoletta Scarpa, Maria
Rosa Valetto
Segreteria
Mariantonia Farina
Via Lanzone 31, 20123 Milano
tel. 02 86471449
stampa@omceomi.it
Stampa
Cartostampa Chiandetti Srl,
Stamperia a Reana del Rojale, Italia
Trimestrale
Spedizione a cura di Nexive SpA
Via Fantoli 6/3, 20138 Milano
Dati generali relativi all’Ordine
Consiglio Direttivo
Presidente
Roberto Carlo Rossi
Vice Presidente
Andrea Senna
Segretario
Ugo Giovanni Tamborini
Tesoriere
Luigi Di Caprio
Presidente Onorario
Ugo Garbarini
Consiglieri
Andrea Senna, Luigi Di Caprio,
Ugo Giovanni Tamborini, Sara
Andreani, Luciana Bovone, Giovanni
Campolongo, Giovanni Canto,
Giuseppe Antonio Deleo, Costanzo
Gala, Maria Grazia Manfredi, Jason
Franco Ronald Motta Jones, Claudio
Giovanni Pagliani, Massimo Parise,
Giordano Pietro Pochintesta, Stefano
Rusconi, Sandro Siervo, Martino
Trapani, Maria Teresa Zocchi
Commissione Albo odontoiatri
Presidente
Andrea Senna
Componenti
Jason Franco Ronald Motta Jones,
Claudio Giovanni Pagliani,
Claudio Procopio, Sandro Siervo
Collegio Revisori dei conti
Presidente
Danilo Renato Mazzacane
Revisori
Geltrude Consalvo,
Mariapaola Seveso
Revisore Supplente
Donatella Gambera
PROFESSIONE
Vaccini: guida
alle controindicazioni
pag. 18
SANITÀ
Cannabis light: libera
vendita e tutela della salute
pag. 25
L’INTERVISTA
Elio Franzini: da filosofo
a rettore
pag. 37
INFORMAMI
3. 2018 ANNO LXXI
Bollettino dell’OMCeOMI
360°
pag. 5
I 40ANNI
DELLA LEGGE
BASAGLIA
Nota per gli autori
Gli articoli e la relativa iconografia impegnano esclusivamente la responsabilità degli autori.
I materiali inviati non verranno restituiti.
Il Comitato di Redazione si riserva il diritto di apportare modifiche a titoli, testi e immagini
degli articoli pubblicati. I testi dovranno pervenire in redazione in formato word, le illustrazioni
su supporto elettronico dovranno essere separate dal testo in formato TIFF, EPS o JPG, con
risoluzione non inferiore a 300 dpi.
5. 33. 2018
Editoriale
Ho appena assistito in prima persona alla bella e partecipata riunione di tutte le professioni
sanitarie svoltasi a Roma, molto ben organizzata dalla FNOMCeO, a tratti, perfino entusiasmante,
in cui lo slogan principale era, in sostanza, “Italia non ci abbandonare”. Come noto, tutto è nato
in conseguenza ai rumors sulle trattative più o meno riservate relative al così detto “regionalismo
differenziato” e abbiamo appreso dalla stampa ciò che Lombardia, Emilia Romagna e Veneto hanno in
animo di fare in campo sanitario. Una sorta di quasi totale svincolo dal Sistema Sanitario Nazionale.
D’altra parte, c’è poco da meravigliarsi. Sono anni che sentiamo parlare della voglia di autonomia di
alcune Regioni. Oltretutto, in un recente referendum, i cittadini lombardi si sono espressi in maniera
decisa per l’autonomia. Tutti questi eventi, però, hanno avuto su di me uno strano effetto ed ora, ahimé,
mi sento un po’ come il famoso personaggio di Robert Louis Stevenson.
Come ricorderete, il distinto e rispettato Doctor Henry Jekyll, medico e scienziato della
nebbiosa Londra vittoriana, convinto che in ogni uomo alberghi anche una parte oscura (Sigmund era
solo sei anni più giovane di Robert Louis!), elabora una pozione per liberarla e la prova su sé stesso
dando vita al terribile e ributtante Mister Hyde. Nel mio caso, il razionale e compìto Doctor Jekyll
concorda con il fatto che non sia possibile pensare ad un’Italia che assiste i pazienti a 21 velocità.
Roberto Carlo Rossi
Lo strano caso del dottor Jekyll
e del signor Hyde
6. 4 InFormaMI
Editoriale
È di certo affascinante pensare che chi produce di più debba avere di più, tuttavia, non può essere
accettabile che una stessa persona abbia spettanze di vita differenti a seconda di dove vive, nell’ambito
di uno stesso Paese. Una Nazione che, oltre tutto, nella Carta Costituzionale proclama l’universalismo
del Servizio Sanitario Nazionale al punto di assicurare la salute a tutti, rimugina tra sé e sé Jekyll.
D’altra parte, basta leggere alcuni passaggi dei documenti divulgati dalla stampa, per scoprire (con
sgomento) che la Lombardia vorrebbe, tra le altre cose, arrivare alla autonoma “definizione dell’utilizzo
delle risorse finanziarie da impiegare per il personale, per l’acquisito di beni e servizi, di farmaci,
dispositivi medici, nonché per l’acquisto di prestazioni da erogatori di diritto privato, a fronte della
garanzia dell’equilibrio economico-finanziario complessivo del sistema sociosanitario; … definizione di
modalità erogative dei farmaci e dei dispositivi e di indirizzi di appropriatezza terapeutica e prescrittiva”
e molto altro ancora. Queste parole non vorranno mica dire – si chiede Jekyll, che in Lombardia si
farà strada un sistema privato di welfare? Che vi saranno ulteriori tagli agli stipendi e al personale
medico negli ospedali? Che, con la scusa dell’inappropriatezza, si faranno anche tagli all’assistenza
farmaceutica? E così, al buon Doctor Jekyll viene da sostenere con entusiasmo la campagna contro il
regionalismo differenziato.
Ma ecco che, all’improvviso, spunta il mostro. Il signor Hyde appare e con un ghigno sardonico
mi ricorda che oggi i medici lombardi, sia del territorio che dell’ospedale, sono tra i meno pagati della
nazione. Non solo: nei reparti lombardi non si assume più. Si preferiscono meno impegnativi contratti
libero-professionali. Le Aziende pagano di meno (non si fanno carico neppure della previdenza, che
ognuno si deve poi pagare) e se tra qualche mese si decide di risparmiare di più, via! Il posto lo si
libera senza tante storie. Per tacere poi del potere di acquisto: la vita in una grande città come Milano
o come Brescia o in alcune località turistiche sui laghi lombardi ha un costo iperbolico. E naturalmente
le regole si rispettano, com’è giusto: quindi impossibilità a fare la libera-professione per i medici del
Sistema Sanitario Nazionale, fatta rispettare a suon di periodiche ispezioni degli organi di Polizia
Giudiziaria. “Dov’erano gli altri quando i medici della nostra Regione erano (e sono) sommersi da
questi problemi?” “Perché nessuno ha detto nulla in merito al fatto che, ad esempio, un medico di
famiglia lombardo ha una remunerazione media anche di un terzo in meno di alcune altre Regioni?”.
“E adesso vogliono arrestare il regionalismo differenziato e chiedono l’unità del Paese nella difesa del
Servizio Sanitario Nazionale!”. Maledetto Mister Hyde, non vincerà! Senz’altro prevarrà la razionalità,
l’inappuntabile pacatezza e l’intelligenza del Doctor Jekyll… Almeno spero!
Videomessaggio OMCeOMI n. 9, novembre 2018
Il videomessaggio del Presidente è disponibile a questo link.
Chi non abbia ancora preso visione o voglia riguardare i precedenti videomessaggi può collegarsi alla playlist
7. 53. 2018
Spendiamo troppo poco per far fronte
al bisogno di assistenza psichiatrica della
popolazione. Nonostante ciò, riusciamo
a rispondere alle nuove sfide
360°
La psichiatria tra risorse
scarse e nuove sfide
antonino michienzi
Era il 13 maggio 1978, quattro giorni dopo il
ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani
a Roma. Il Presidente della Repubblica Giovanni Leone
firmava quella che sarebbe diventata la legge 180/78, la
legge Basaglia.
Undici articoli approvati in fretta e furia, in meno di 20
giorni dal suo arrivo in aula, senza quasi discussione.
La legge resterà in vigore pochi mesi, fin quando nel
dicembre dello stesso anno verrà riassorbita in quella che
sarà la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale,
ma resta l’atto di svolta per la psichiatria italiana e la vita
di migliaia di malati.
Quest’anno ricorre il quarantennale di quella legge
ed è l’occasione per vedere quanta strada abbia fatto
l’assistenza psichiatrica, in che stato di salute sia e che
cosa rimanga ancora da fare.
“In 40 anni sono stati curati quasi 30 milioni di italiani
senza utilizzare strutture coercitive ex manicomiali”, dice
i 40anni
deLla legge
basaglia
8. 6 InFormaMI
40 anni deLla legge basaglia360°
Riparto Fondo sanitario
nazionale
Spesa per assistenza
psichiatrica
%
PA Trento 948.081.680 65.545.000 6,9%
PA Bolzano 900.647.539 55.956.000 6,2%
Emilia Romagna 8.028.834.802 393.621.000 4,9%
Umbria 1.635.899.441 67.820.000 4,1%
Lombardia 17.782.903.729 719.521.000 4,0%
Sicilia 8.904.853.100 343.965.000 3,9%
Friuli Venezia Giulia 2.240.253.730 79.940.000 3,6%
Lazio 10.412.623.204 371.076.000 3,6%
Italia 108.472.082.678 3.824.693.000 3,5%
Puglia 7.200.524.095 242.783.000 3,4%
Toscana 6.832.328.584 230.358.000 3,4%
Liguria 3.044.793.047 97.990.000 3,2%
Abruzzo 2.396.743.998 75.840.000 3,2%
Piemonte 8.042.518.413 252.572.000 3,1%
Calabria 3.487.925.833 104.199.000 3,0%
Veneto 8.772.746.159 258.820.000 3,0%
Sardegna 2.966.438.750 84.356.000 2,8%
Molise 572.515.029 16.250.000 2,8%
Valle d’Aosta 229.965.871 6.133.000 2,7%
Campania 10.199.870.935 265.444.000 2,6%
Marche 2.824.286.068 71.348.000 2,5%
Basilicata 1.047.328.671 22.156.000 2,1%
La spesa per l’assistenza psichiatrica
Chi spende di più per l’assistenza
psichiatrica
Fonte: Nostra elaborazione
su dati Ministero della Salute
Rapporto Salute Mentale 2016
45%
12%
6%
37%
Assistenza ambulatoriale e domiciliare Euro 1.725.712.000
Assistenza semiresidenziale Euro 472.217.000
Assistenza residenziale Euro 1.407.865.000
Assistenza ospedaliera Euro 218.89.000
I dati del Sistema
Informativo per il
monitoraggio e tutela della
Salute Mentale (SISM)
sulla spesa per l’assistenza
psichiatrica in Italia per
setting assistenziale
(anno 2016).
Fonte: Rapporto Salute
Mentale 2016
9. 73. 2018
Claudio Mencacci, direttore
del Dipartimento di
neuroscienze dellOspedale
Fatebenefratelli-Sacco di
Milano.
Basterebbe questo solo
numero a decretare il successo di un modello che,
seppur non perfetto, è studiato e imitato nel mondo,
fatto di 163 dipartimenti di salute mentale, 1.460 servizi
territoriali, 2.282 strutture residenziali, 898 strutture
semiresidenziali, 285 servizi psichiatrici di diagnosi e
cura ospedalieri e che ha anticipato di almeno quattro
lustri l’idea dell’integrazione ospedale-territorio.
Un successo, che tuttavia nasconde una criticità
divenuta ormai strutturale: la cronica carenza di risorse
economiche e umane.
“Le risorse investite dal nostro Paese nell’assistenza
psichiatrica sono sempre state molto modeste: circa il
3,5% del fondo sanitario, intorno a 4 miliardi l’anno.
Una percentuale molto bassa se si confronta con quella
di altri Paesi come Francia, Germania e Regno Unito
che riservano all’assistenza psichiatrica il 10-15% della
spesa sanitaria”.
Questa carenza di risorse non può non avere
conseguenze. La prima e più evidente è la ricaduta sul
personale. Anche se la psichiatria più di altri settori
ha retto l’urto del contingentamento del personale
dell’ultimo decennio scontiamo una grave carenza di
professionisti, psichiatri soprattutto.
Qualche numero: secondo i dati del Rapporto Salute
Mentale, nel 2016 il costo complessivo per l’assistenza
psichiatrica territoriale ammonta a 3.605.794.000 euro
suddiviso in assistenza ambulatoriale e domiciliare,
assistenza semiresidenziale, residenziale e ospedaliera
(vedi grafico e tabella a pag. 6) e la dotazione
complessiva del personale all’interno delle unità
operative psichiatriche pubbliche era pari a 31.586
unità. Di queste, circa 6.000 sono medici (psichiatri,
soprattutto), poco più di 2.000 sono psicologi, 14.000
infermieri. Completano il quadro 3.000 OTA/OSS,
quasi 2.000 educatori professionali e tecnici della
riabilitazione psichiatrica e 1.500 assistenti sociali.
Si tratta di numeri tutt’altro che rassicuranti: se la
media nazionale raggiunge infatti lo standard di un
operatore ogni 1.500 abitanti, in 14 regioni su 21 si
sconta un deficit di operatori che va dal 25 al 75% in
meno rispetto allo standard previsto.
A complicare le cose vi è poi la scarsa offerta di posti
letto dedicati alla psichiatria: sono meno di 10 per
100.000 abitanti. Solo la Turchia fa peggio di noi in
Europa (vedi tabella a pag. 8 e 9). Ciò è gran parte
frutto dell’approccio “basagliano” e territoriale della
nostra psichiatria; tuttavia, la riduzione oltre una certa
soglia dei posti letto ospedalieri mette a rischio la
capacità del sistema di rispondere alle acuzie.
“Se il settore va avanti lo fa grazie all’impegno e alla
passione degli operatori”, dice ancora Mencacci. “Ma
ciò non può impedire che in alcuni casi vengano prese
in carico solamente le situazioni più gravi”.
Un panorama che cambia
Mentre l’assistenza psichiatrica annaspa, le malattie
mentali prosperano. Si diffondono sempre di
più, cambiano di forma, obbligano a rivedere gli
assetti clinici. Nel 2016 sono stati in carico ai servizi
psichiatrici circa 800.000 malati. Inoltre, tra le prime
dieci malattie che causano disabilità ben quattro
(depressione, disturbo bipolare, schizofrenia e abuso
d’alcol) sono psichiatriche.
Velocemente sta anche cambiando il profilo del
paziente psichiatrico. Dai tempi dell’approvazione
della legge Basaglia “c’è stata una patoplastica della
malattia psichiatrica”, commenta Costanzo Gala,
direttore del Dipartimento Salute Mentale Asst
Ss Paolo e Carlo – Presidio dell’Ospedale San Paolo.
“I pazienti su cui interveniva la 180 erano popolazioni
stanziali, spesso affette da quella che gli autori
dell’epoca definivano dementia precox a indicare una
perdita della capacità cognitiva derivante dal disuso
dell’apparato mentale. Questo stato di cronicità
che non trae alcun vantaggio dalla permanenza in
ospedale costituisce la premessa alla chiusura dei
manicomi”.
Da allora la disponibilità di nuove terapie, i modelli di
presa in carico, i fattori patogenetici in gioco hanno
profondamente mutato lo scenario epidemiologico.
Ed è un cambiamento di cui è impossibile non tenere
conto. Oggi il 25% dei pazienti è affetto da disturbi
schizofrenici, oltre il 30% da disturbi dell’umore,
circa il 15% da forme d’ansia.
“Oltre alla crescita dei casi di depressione,
aumentati di quasi il 20% in dieci anni,
riscontriamo un aumento dei disturbi di
personalità e crescono i disturbi legati
Costanzo Gala, direttore del Dipartimento
Salute Mentale Asst Ss Paolo e Carlo – Presidio
dell’Ospedale San Paolo.
Claudio Mencacci, direttore del
Dipartimento di neuroscienze
dell’Ospedale Fatebenefratelli-Sacco
di Milano.
10. 8 InFormaMI
360° 40 anni deLla legge basaglia
all’aumento della disponibilità di nuove sostanze
stupefacenti, per esempio i cannabinoidi sintetici.
Infine poi c’è tutto il capitolo delle nuove dipendenze
(da internet al gioco d’azzardo) e quello legato
ai disturbi del comportamento alimentare”, dice
Mencacci.
P come precoce
Se però c’è una tendenza che ha caratterizzato la
psichiatria degli ultimi anni è la presa d’atto di
un dato: che il 70% delle patologie psichiatriche
esordisce tra i 14 e i 24 anni.
“Ci siamo trovati di fronte a un aumento del numero
di ricoveri di minori”, afferma Mencacci. “La ragione
è da ricercare, probabilmente, nel fatto che i nostri
giovani sono sempre più esposti a fenomeni in grado
di slatentizzare i disturbi psichici: l’uso di droghe, la
carenza di sonno, l’assetto delle nostre città”.
Quale che sia l’origine, nell’ultimo decennio la
psichiatria italiana si è attrezzata per affrontare
questo nuovo fenomeno spostandosi dalla cura della
cronicità che era stato l’oggetto principale dei decenni
precedenti all’attenzione agli esordi della patologia e
ai trattamenti precoci.
Su questo fronte la Lombardia è stata tra le Regioni
apripista: “Negli ultimi anni sono stati finanziati
programmi innovativi finalizzati a intercettare i
disturbi psichici in età giovanile”, afferma Gala. Anche
intervenendo direttamente negli ambienti di vita dei
ragazzi. “Così, paradossalmente, proprio quando
la legge 180 sembrava aver dato tutto quello che
era possibile, riemerge l’importanza del suo assetto
organizzativo focalizzato sull’azione nel territorio”.
Il tutto adottando un modello a rete che coinvolga
altri attori; una strategia che ha dato ottimi risultati
negli ultimi anni nel riconoscimento precoce e nella
prevenzione delle complicanze della depressione post
partum.
La questione anziani
Intanto, i fenomeni demografici che stanno spostando
sempre in avanti le lancette dell’aspettativa di vita
hanno ripercussioni dirette in campo psichiatrico.
Così cresce il numero di anziani alle prese con il
disagio mentale.
“Il tema della patologia psichiatrica negli anziani è
sempre più importante. Le ragioni sono molteplici: il
primo è di ordine sociale e culturale. Il cambiamento
Albania 26 Andorra 14
Armenia 49 Austria 62
Azerbaigian 37 Bielorussia 67
Belgio 174 Bosnia ed Erzegovina 40
Bulgaria 67 Croazia 98
Cipro 22 Repubblica Ceca 96
Danimarca 54 Estonia 55
Finlandia 61 Francia 90
Georgia 34 Germania 128
Grecia 71 Ungheria 89
Islanda 44 Irlanda 35
Israele 44 Italia 10
Kazakistan 50 Kirghizistan 29
Lettonia 126 Lituania 108
Lussemburgo 82 Malta 136
Macedonia 54 Principato di Monaco 152
Montenegro 49 Paesi Bassi 139
Norvegia 116 Polonia 64
Portogallo 63 Moldavia 56
Romania 74 Federazione Russa 101
Serbia 75 Slovacchia 82
Slovenia 66 Spagna 36
Svezia 45 Svizzera 91
Tagikistan 18 Turchia 5
Turkmenistan 54 Ucraina 80
Regno Unito 46 Uzbekistan 25
Regione Europea dell’Oms 68
Posti letto psichiatrici
per 100.000 abitanti
Fonte: WHO Regional Office for Europe. “Psychiatric hospital
beds per 100 000”. European Health for All.
Visitato: 18 ottobre 2018
che sta investendo la nostra epoca è così tumultuoso
da privare le persone di ogni punto di riferimento
e gli anziani sono quelli che fanno più fatica ad
adattarsi”, dice Gala. “Le innovazioni tecnologiche che
si susseguono a ritmi vorticosi, i cambiamenti nella
11. 93. 2018
L’assistenza psichiatrica in cifre:
Lombardia vs Italia
cristina gaviraghi
Lo scorso maggio è stato pubblicato dal Ministero della Salute il Rapporto
sulla Salute Mentale 2016, basato sulle informazioni raccolte dal SISM
(Sistema Informativo per la Salute Mentale).
Nel 2016 gli utenti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici sono stati
sul territorio nazionale 807.000, con un tasso di circa 160 per 10.000
abitanti. Oltre la metà degli utenti sono state donne, principalmente con
disturbi affettivi, nevrotici e depressivi. Per i pazienti maschi, invece,
i disturbi più diffusi sono stati quelli schizofrenici, di personalità e
legati all’abuso di sostanze. La fascia di età più coinvolta è stata quella
compresa tra i 45 e i 54 anni, mentre i minori di 25 anni si sono rivolti
meno ai servizi psichiatrici.
Una situazione simile a quella lombarda, che ha visto nel 2016 circa
143.000 utenti psichiatrici assistiti (171 per 10.000 abitanti), con in
evidenza un tasso di prevalenza per 10.000 abitanti di 48,1 per la
depressione, circa 10 punti in più rispetto al valore di riferimento
nazionale. Un’assistenza erogata in Lombardia da 154 strutture per servizi
territoriali, 289 servizi residenziali e 155 semiresidenziali, queste ultime di
quasi il 20% superiori alla media nazionale. La Lombardia dispone inoltre
di 800 posti letto in degenza ordinaria. Nel 2016 sono state effettuate circa
20.000 dimissioni da strutture psichiatriche ospedaliere, un 10% in più
rispetto alla media italiana, dopo una degenza media di 13 giorni.
Il ricorso al TSO è stato inferiore rispetto al valore nazionale (-37,5%): 829
nel 2016, con un tasso di 10 per 100.000 abitanti. Una variazione analoga
rispetto alla media italiana, ma di tipo incrementale, si è registrata
invece per gli accessi in Pronto Soccorso con diagnosi psichiatrica che
in Lombardia nel 2016 sono stati quasi 130.000, di cui circa 8.000 per
schizofrenia e altri disturbi funzionali, 5.000 per depressione, e 51.000
per sindromi nevrotiche e somatoformi. I pazienti psichiatrici lombardi
usufruiscono anche di cure farmacologiche
per una spesa lorda di oltre 81
milioni di euro per antidepressivi,
litio e antipsicotici. Proprio
per i consumi in quest’ultima
categoria di farmaci, la
Lombardia si ritrova al secondo
posto nella classifica nazionale.
Nel 2016 gli utenti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici sono stati sul
territorio nazionale 807.000, circa 160 per 10.000 abitanti. Oltre la metà sono
state donne, principalmente con disturbi affettivi, nevrotici e depressivi.
struttura urbana, i nuovi modelli familiari che si
diffondono. Non è strano che in un simile scenario,
l’anziano si senta estromesso dalla struttura
socioculturale”.
L’altra ragione ha a che vedere soprattutto con
l’allungamento dell’aspettativa di vita che fa sì che
si intreccino problemi che di solito sono separati,
producendo un mix inedito. “Per esempio, come
avviene nei malati più giovani, anche negli anziani
non è raro che compaiano disturbi psichici come
conseguenza della convivenza con altre patologie:
tuttavia la fragilità di questa popolazione rende
la loro gestione più delicata. Gli stessi problemi
psicocompartamentali negli anziani si intrecciano
con fattori organici, per esempio il fisiologico
declino cognitivo.Ciò rende ancor più difficile la
loro gestione. Specie per le famiglie”, continua lo
specialista.
Siamo attrezzati a rispondere a questi nuovi
scenari? Pur tra mille difficoltà legate alla carenza
di risorse, la risposta ai bisogni medici di questo
nuovo esercito di malati non è un problema:
“Tuttavia” dice ancora Gala “se oggi siamo attrezzati
a rispondere agli aspetti medici, di più si dovrebbe
fare sull’aspetto sociale, anche per prevenire il
più grave problema psichiatrico dell’anziano: il
suicidio”.
E così torniamo alla 180, con il malato considerato
come persona nei suoi aspetti sociali e relazionali.
Per il futuro, le sfide non mancano: “Vorrei una
psichiatria sempre più dedicata alla prevenzione,
al riconoscimento precoce”, dice Mencacci. “E alla
messa in atto tempestiva di trattamenti
adeguati, visto che oggi siamo in grado di
mettere in campo una risposta scientifica
e tecnologica in grado di migliorare la
qualità di vita del malato e restituirlo alla
società, anche in termini di contributo
professionale e lavorativo”.
L’esperto conclude: “Penso poi a una
psichiatria che riconosca le differenze
di genere, uomini e donne totalmente diverse
hanno modalità di presentazione diversa. E a una
psichiatria che si occupi di cura e guarigione e non
di custodia e controllo sociale. Non siamo i custodi
della normalità: siamo una branca medica che si
deve occupare delle persone per curarle, anche
laddove non sia possibile guarirle”.
12. 10 InFormaMI
360° 40 anni deLla legge basaglia
Follia e manicomi
nella storia
Espressione della divinità, possesso del maligno,
emblema della pericolosità per la società e
per il potere. Come le diverse epoche hanno
interpretato la malattia mentale
cristina gaviraghi
Gli ultimi manicomi
in Italia hanno chiuso
definitivamente i battenti a fine
anni ’90, come ultimo atto di un
processo iniziato vent’anni prima
con l’approvazione della legge
180. Un provvedimento che ha
cambiato il modo di considerare e
gestire la malattia mentale, frutto
di un’evoluzione lenta e a volte
contraddittoria, che ha percorso
la storia della follia nel corso dei
secoli.
Gli insani, gli alienati, i matti non
sono sempre stati rinchiusi e
isolati dalla società. Nell’antichità
i folli avevano nell’immaginario
collettivo qualcosa di divino, di
soprannaturale e la loro diversità
veniva “curata” attraverso riti
mistico-religiosi operati da
sacerdoti.
Sarà con Ippocrate, tra il IV e
V secolo a.C., che il disturbo
mentale troverà una collocazione
in ambito medico: il cervello viene
ritenuto alla base dell’intelligenza
e, nel caso sia squilibrato,
causa della malattia mentale.
Un’interpretazione organica che
verrà rafforzata secoli dopo da
Galeno (II sec. d.C.) con studi sul
sistema nervoso centrale e con
l’elaborazione di una prima teoria
sul rapporto tra cervello e mente.
Allora il folle non destava ostilità
e veniva accettato come malato.
L’interesse per la follia restò
vivo anche nell’antica Roma,
ma, col trascorrere dei secoli,
venne contaminato da visioni
e interpretazioni religiose che
con l’arrivo del Medioevo
presero il sopravvento. Il folle
per il Medioevo divenne un
indemoniato, aggredito da una
forza malvagia che, insinuandosi
nei suoi umori, ne contagiava il
corpo. La gestione della malattia
Francisco Goya, Il giardino dei pazzi (1794).
13. 113. 2018
mentale passò così dai medici alla
Chiesa, all’interno dei monasteri, a
opera di esorcisti e inquisitori.
Dopo il XV secolo, però, la follia
cominciò a perdere il suo carattere
religioso e iniziò a insinuarsi
l’idea della pericolosità: il malato
di mente era una minaccia per la
società e andava, perciò, rimosso
da essa. Nacquero le prime case
di internamento, emblema delle
quali fu l’Hopital General di Parigi
del 1656, dove venivano rinchiusi,
non certo per essere curati, non
solo i matti, ma tutti i reietti della
società: poveri, vagabondi, storpi,
nullafacenti e anche criminali.
Tali case di internamento si
diffusero in tutta Europa,
diventando luoghi di pura
reclusione che spogliavano gli
individui della loro dignità fino alla
fine dei loro giorni.
Sarà solo sulla scia degli ideali
illuministi che qualcosa inizierà a
cambiare. Nel XVIII secolo riprese
piede la spiegazione della follia
in termini di malattia mentale. In
Francia, Philippe Pinel cominciò
a distinguere i malati di mente da
poveri e vagabondi, intuendo la
necessità di luoghi specifici e di
nuovi approcci deputati alla loro
cura, dando via alla nascita dei
primi manicomi, la cui costruzione
in Italia fu richiesta per lo più
da ordini ecclesiastici. Pinel
liberò letteralmente dalle catene
i pazienti rinchiusi nelle case di
internamento, convinto che la
malattia mentale fosse uno stato
di alterazione di un equilibrio
esistente nelle passioni umane, da
curare moderando e riorientando
gli eccessi e la disarmonia. Un
approccio sposato in Italia da
Vincenzo Chiarugi, direttore del
manicomio fiorentino di Bonifazio
aperto nel 1788.
Il passaggio tra ’800 e ’900
segnò l’arrivo di un cambiamento:
si avvertì di più la necessità di
comprendere i sintomi della
malattia mentale piuttosto che
reprimerli e la psicoanalisi
mosse i suoi primi passi. Freud
approfondì in Francia, insieme al
neuropatologo Charcot, che si era
concentrato sulla cura dell’isteria
tramite l’ipnosi, le tematiche
riguardanti l’inconscio, che
porteranno poi all’elaborazione di
un primo modello psicoterapeutico
per le malattie mentali.
Nacque la psichiatria come scienza
autonoma che restò però, anche per
l’influsso del positivismo, ancorata
a una spiegazione organica della
malattia mentale: un cervello malato
era alla base di un comportamento
deviato.
Fu in questo clima che in Italia si
sviluppò il dibattito, anche politico,
sulla gestione delle malattie mentali.
Si arrivò all’approvazione, da parte
del governo Giolitti, della legge
36 del 1904, che diede omogeneità
nazionale alle precedenti normative
territoriali sulla regolamentazione
dei manicomi. Un provvedimento
più di ordine pubblico che di
tipo sanitario, che disponeva il
ricovero coatto negli ospedali
psichiatrici, in seguito a certificato
medico e ordinanza del questore.
Il manicomio era, da un punto
di vista giuridico e scientifico, il
luogo esclusivo per il trattamento
dei disturbi mentali, ma restava
fondamentalmente un luogo di
contenzione.
Negli anni successivi il numero
dei pazienti ospitati nei manicomi
continuò a crescere tra terapie
quali l’elettroshock, lo shock
insulinico e le lobotomie frontali.
All’Ospedale psichiatrico di
Mombello, alle porte di Milano,
ormai sovraffollato, si decise di
affiancare una succursale che fu
ultimata nel 1924 e data in gestione a
privati. Quindici anni dopo divenne
un manicomio pubblico e, in seguito
all’ampliamento del 1945, venne
intitolato a Paolo Pini, il neurologo
milanese pioniere nella cura dei
malati psichiatrici e non in situazioni
di svantaggio sociale. Sarà questo il
manicomio più importante di Milano
che nel tempo arriverà a accogliere
oltre 1.000 pazienti, organizzerà
anche una sezione per adolescenti,
ingrandirà la biblioteca, si doterà
di sala cinematografica, laboratori
creativi e compagnia filodrammatica,
fino a ospitare nel 1959 la prima
clinica universitaria di psichiatria
milanese. Chiuse nel 1999, dopo
aver vissuto la storia degli ospedali
psichiatrici italiani nel XX secolo.
Una storia che vide l’avvento, tra gli
anni 50 e 60 dei primi psicofarmaci,
che sostituirono le terapie di shock,
André Brouillet, Il professor Jean-Martin Charcot insegna alla Salpêtrière, 1887.
14. 12 InFormaMI
360° 40 anni deLla legge basaglia
e che assistette al progredire della
ricerca psichiatrica in cui si faceva
largo la necessità di valutare
il contesto sociale, biologico e
personale del paziente.
Nella seconda metà del secolo la
legge Giolitti appariva sempre
più anacronistica: i manicomi
erano rimasti immobili, mentre
la società era cambiata. L’avvento
degli psicofarmaci, migliorando
il controllo dei pazienti, permise
la sperimentazione di soluzioni
alternative a quelle in uso fino ad
allora per gestire la malattia mentale.
Si stava recuperando l’idea di
curabilità del disturbo mentale
e superando la sua visione
esclusivamente medico-organicista.
In tutta Europa presero piede
movimenti che si contrapponevano
alla psichiatria di stampo
istituzionale e che misero in crisi il
modello asilare in vigore. Complice
una nuova sensibilità verso i diritti
dei pazienti, si rese necessaria una
riforma della normativa per gli
ospedali psichiatrici istituzionali,
strutture ormai troppo costose e
inefficienti.
Un primo cambiamento avvenne
con la legge 431 del 1968 che istituì
servizi di assistenza territoriale,
ridefinì l’organizzazione dei
manicomi e regolamentò il ricovero
volontario. Il provvedimento abolì
inoltre l’obbligo di iscrizione al
casellario giudiziario dei pazienti
ricoverati in vigore dal 1930.
Fu, però, la legge Basaglia
del 1978 la vera riforma: decretò
la fine dei ricoveri negli ospedali
psichiatrici, istituti che diventarono
strutture a esaurimento fino a
essere definitivamente chiusi
nel 1999. Questi furono sostituiti
da un’assistenza della malattia
mentale gestita in presidi
extraospedalieri territoriali o,
se necessario, presso i servizi
psichiatrici di diagnosi e cura
presenti negli ospedali generali.
Ma la legge Basaglia rappresentò
anche una rivoluzione politica
e culturale nella gestione della
malattia mentale, basando i suoi
principi sul diritto alla cura e alla
salute del paziente psichiatrico
e non più sulla sua postulata
pericolosità. Gli 11 articoli della
legge affermarono il diritto
costituzionale alla volontarietà della
cura anche per il malato mentale,
che da allora può subire un
trattamento obbligatorio solo in casi
particolari determinati dall’urgenza
e dal fallimento di altri tentativi
terapeutici. Il malato mentale,
considerato con i suoi aspetti sociali
e relazionali, diventò così oggetto
di interventi di prevenzione, cura e
riabilitazione.
Un’idea di cura che Basaglia
sperimentò di persona, prima come
direttore del manicomio di Gorizia e
successivamente di quello di Trieste,
strutture dove riportò i pazienti
a essere persone, togliendoli
dall’isolamento e dall’anonimato,
aprendo gli spazi e ridando loro
identità, libertà e dignità.
A 40 anni dalla sua approvazione,
la legge 180 non si è rivelata
priva di lacune, specialmente nel
delineare con precisione il futuro
dell’assistenza psichiatrica in
un territorio intriso di disparità
regionali. Resta comunque un
provvedimento che ha visto l’Italia
un pioniere a livello mondiale nella
gestione della malattia mentale.
1977: l’anno di Basaglia
Lo si ricorda per la legge 180 del 1978, ma fu un anno prima che Franco Basaglia dimostrò in modo tangibile il frutto del suo
lavoro e delle sue idee. Nel 1977 fu annunciata la definitiva chiusura dell’ospedale psichiatrico di Trieste di cui Basaglia era
direttore. Un’esperienza che venne raccontata in una sua intervista sul numero 152 di Tempo Medico. Nell’articolo lo psichiatra
veneto raccontò come si arrivò a quel passo decisivo, dall’esperienza goriziana all’influenza ricevuta dalla “comunità terapeutica”
sperimentata in Inghilterra. Il desiderio di ridare dignità al malato, la cui patologia è “uno stato di disadattamento da curare
sullo stesso terreno sociale”, le cui ragioni vanno “cercate ed estirpate per condurre a poco a poco il malato alla realtà, inserirlo
in un ambiente il più possibile normale”. Un processo non privo di difficoltà e osteggiatori: dagli psichiatri vecchio stampo, agli
amministratori fino all’opinione pubblica, ma che rappresentava per Basaglia “il solo approccio valido, l’unico modo per rispondere
al giuramento di Ippocrate”.
15. 133. 2018
“È il tempo di attivarci, di essere concreti e di avviare un
confronto con tutta la professione, coinvolgendo l’intera
società civile”. Con queste parole lo scorso 24 marzo
il presidente FNOMCeO Filippo Anelli ha dato il “la” a
quello che sarà, il prossimo anno, una vera chiamata alle
armi per tutti i medici e odontoiatri d’Italia
PROFESSIONE andrea porta
Verso gli Stati Generali
della medicina italiana
A conclusione della sua prima relazione
da presidente Anelli ha proposto di indire per il
2019 un grande evento politico: gli Stati Generali
della medicina italiana. “Siamo pronti a sfidare
il cambiamento”, ha detto. L’idea è un anno zero
della professione, un momento grazie al quale la
professione ripensi a se stessa per decidere che
cosa fare del proprio futuro. Non è un caso che tutto
ciò arrivi in questo 2018 ormai alle spalle, anno nel
quale il Servizio Sanitario Nazionale ha compiuto
quarant’anni non senza qualche problema strutturale
che gli impedisce di garantire completa equità delle
cure: “Come medico non posso accettare che dodici
milioni di italiani abbiano rinunciato a una terapia
o a un esame diagnostico perché non potevano
permetterselo”, aveva detto.
Ruolo sociale del medico
A distanza di nove mesi da quel primo proclama,
Anelli è tornato sul tema in occasione della conferenza
di presentazione degli Stati Generali tenutasi a Roma
lo scorso 20 dicembre. Contattato da InFormaMi,
Anelli precisa che non saranno un evento, ma un
percorso. “Vogliamo avviare un dibattito su questioni
ben precise già partendo dal confronto con gli ordini
locali”. Un tema tra tutti ha a oggi grande rilievo, nelle
intenzioni di Anelli: quello del ruolo sociale e culturale
del medico. “Viviamo in un periodo storico che vede
una crisi della medicina a livello culturale, proprio
nel contesto di un profondo rinnovamento della
scienza medica stessa” spiega. Il problema si inscrive
in seno alla più ampia crisi delle professioni liberali:
“Sempre più spesso il medico da professionista è
relegato a esecutore parte di un sistema più ampio,
fatto di regole precise dentro le quali ha poco spazio
decisionale”. Il tema caldo per Anelli è chiaramente
quello dell’appropriatezza: “Questa è diventata una
tale priorità da aver fatto saltare il rapporto individuale
con il paziente, bastato per sua natura sulla fiducia”.
L’idea è quella di lavorare per recuperare la valenza
sociale della professione medica, recuperandone
l’autorevolezza: “Oggi siamo troppo spesso di fronte a
medici dello Stato invece che a medici dei cittadini”.
Più autonomia e meno burocrazia
Questa immagine di medico relegato a burocrate
ritorna nella presentazione che Anelli ha tenuto in
occasione del Consiglio Nazionale del 6 luglio in cui
ha illustrato, in modo ancora più esaustivo, i temi caldi
che costituiranno l’ossatura degli Stati Generali. Del
resto anche Roberto Rossi, presidente OMCeO Milano,
sembra sulla stessa lunghezza d’onda commentando
le ipotesi sostenute da Anelli: “Il medico non è più
opinion leader, nella nostra società”. Il senso è chiaro:
se si priva il medico dell’autonomia, se si riduce
la sua attività a medicina amministrata, si priva il
sistema della libertà democratica e si trasformano
Auguste Couder: Versailles, 5 maggio 1789, apertura degli Stati Generali
wikipedia
16. 14 InFormaMI
PROFESSIONE
inoltre i servizi e i diritti a semplici atti burocratici
finalizzati a rispondere agli interessi dello Stato e non
ai bisogni dei cittadini. “Il primo a poter cambiare
è il medico stesso”, ha detto Rossi. “Se non è lui il
primo a essere convinto del suo ruolo, nulla cambia”.
Senza autonomia, si esclude inoltre l’originalità e
l’innovazione tipiche delle libere professioni: “In un
sistema come quello attuale, i cambiamenti sono visti
come deviazioni rischiose e non come opportunità.
Questo però è il primo passo verso la morte della
professione stessa e della
qualità delle cure”. Che,
detto in parole semplici,
è come dire: se il medico
deve attenersi a linee guida
stabilite dall’alto, allora il
suo ruolo viene totalmente
svuotato.
Cento tesi da cui partire
Le tematiche sollevate
da Rossi proseguono la
valutazione del testo di
Ivan Cavicchi, docente
all’Università Tor Vergata
di Roma ed esperto di
politiche sanitarie, dal titolo Gli Stati Generali della
professione medica: 100 tesi per discutere il medico
del futuro. Il documento, presentato ufficialmente
durante la conferenza stampa di dicembre, non
vuole rappresentare la posizione di FNOMCeO ma
resta pur sempre un punto di partenza verso una
riflessione sulla questione medica. Dopo averlo
analizzato per verificarne la rispondenza alle linee
di indirizzo della Federazione, Rossi ha avuto modo
di definirlo “complesso e non facilmente digeribile,
ma pur sempre utile ad avviare un dibattito che
si concretizzerà in un convegno che intendiamo
organizzare come OMCeO Milano”.
Il ruolo della ricerca e quello del medico
C’è poi il tema della medicina basata sulle prove:
questa rappresenta la realtà, oggi, e certamente
un’opportunità. Ma è anche in questo contesto mutato
che il medico deve rivedere il proprio ruolo. In questo
senso gli Stati Generali saranno anche occasione per
ribadire l’importanza del rapporto medico paziente nel
contesto del progresso scientifico: “La ricerca fornisce
dati fondamentali”, precisa Anelli, “ma resta il medico,
con la sua cultura ed esperienza, a doverli interpretare
e adattare, quasi cucendoli sul singolo paziente”.
Altrimenti ci troveremmo costretti ad ammettere che
un algoritmo potrebbe un giorno essere più efficiente
di un professionista in carne e ossa. Insomma, la
rivoluzione che Anelli si aspetta
passa attraverso una medicina
nuovamente umanistica, benché
alla luce delle evidenze fornite
da una ricerca necessariamente
inarrestabile.
Fake news e ruolo
del medico
La rivoluzione che gli Stati
Generali prospettano è motivata
però anche dalle evidenti
trasformazioni culturali in
termini di accessibilità, da parte
dei pazienti, all’informazione
clinica. In questo, il tema del
digitale ha un peso notevole. Del resto secondo
il Censis, che ha pubblicato lo scorso anno un
comunicato in cui sono riportati i principali risultati di
una ricerca condotta in collaborazione con Assosalute,
un quarto degli italiani di fronte a piccoli disturbi di
salute si rivolge alla rete per cercare soluzioni. Più
di metà di loro, circa 8,8 milioni di persone, è stata
però vittima di fake news. “Se il paziente dispone
di molti strumenti per informarsi non sempre
attendibili, d’altro canto il medico oggi non sembra
avere altrettanti mezzi per gestire il paziente stesso”,
prosegue Rossi. Manca ancora una capacità diffusa di
interagire efficacemente con le ansie di un paziente che
si autodocumenta in modo inadeguato: i nuovi medici
dovranno essere dunque preparati anche sotto questo
profilo.
Le resistenze interne
Se il tema delle aggressioni ai medici ha fatto e fa
parlare ancora (purtroppo) molto, esiste un’altra
forma di sopraffazione verso i camici bianchi molto
meno evidente ma costante: “Notiamo” commenta
“Il primo a poter cambiare è il medico stesso. Se non è lui
il primo a essere convinto del suo ruolo, nulla cambia.”
17. 153. 2018
ancora Rossi “un accanimento culturale verso il
medico ogniqualvolta qualcosa non funziona, ma
la sensazione è che i medici non se ne accorgano”.
Clinici quindi come capri espiatori di un sistema
più complesso, anche agli occhi della politica.
Ovviamente gli obiettivi non sono semplici da
raggiungere, e non saranno gli Stati Generali a
cambiare le cose se non ci sarà un ripensamento da
parte dei medici stessi che parta dal superamento di
alcune resistenze interne: “Quella al cambiamento,
prima di tutte”, dice Rossi. “Occorre che ci
prepariamo a un cambiamento epocale: molti
colleghi lo hanno già interiorizzato, altri, specie ai
vertici delle amministrazioni, ancora faticano”.
Al di là di singole realtà più virtuose di altre, un
ripensamento del ruolo del medico deve avvenire
lungo tutto lo Stivale partendo dalle realtà provinciali.
In fondo è quanto Anelli ha avuto modo di ricordare
a luglio in occasione dell’incontro a Bari con Antonio
Decaro, sindaco della città e presidente di ANCI
(Associazione Nazionale Comuni Italiani): “I Comuni
sono le istituzioni più prossime ai cittadini, le più
idonee a interpretarne necessità ed esigenze”, ha
detto il Presidente. “I medici e tutti i professionisti
della sanità sono il terminale del Servizio Sanitario
Nazionale: da qui il ruolo politico e sociale di collanti
della democrazia”.
Una Magna Carta per la professione?
Punto di arrivo degli Stati Generali dovrà essere la
stesura di quello che Anelli definisce un “documento
storico”, una Magna Carta della professione medica
scritta dai medici insieme a tutta la società civile. In
questo testo dovranno confluire riflessioni e obiettivi
che riguarderanno i temi dell’autonomia della
professione, quello del ruolo del medico in una società
che cambia e naturalmente quello della deontologia.
“Questo documento”, dice, “dovrà proiettare il medico
verso il futuro. Vuole pertanto essere un punto
di partenza più che un obiettivo, che tenga conto
della necessità di rivalutare il ruolo medico pur nel
contesto delle criticità economiche e delle necessità
di sostenibilità del sistema”. Un complesso equilibrio,
quello che la classe medica del prossimo futuro
dovrà saper gestire, tra i diritti del cittadino a cure di
qualità e la necessità di far quadrare i conti. Del resto,
come ha affermato lo stesso presidente a marzo, “se
vogliamo salvare il medico ippocratico dobbiamo
avere il coraggio intellettuale di distinguere quello che
va da quello che non va”.
Violenza sugli operatori sanitari,
il corso di formazione della FNOMCeO
Sono quasi 10.000 i medici e gli odontoiatri che a partire dal 15 ottobre hanno iniziato sul portale
FADINMED il corso di formazione a distanza (FAD) “Violenza degli operatori sanitari”. Il tema è già stato
ampiamente trattato su InFormaMi pubblicato a dicembre 2017 e rientra tra le priorità individuate dalla
Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO) per riposizionare la
professione, rafforzando il rapporto fiduciario e ripristinando la comunicazione medico-paziente.
Il corso, coordinato dal Gruppo di Lavoro della FNOMCeO per la sicurezza degli operatori sanitari,
si propone di sensibilizzare medici e odontoiatri sul fenomeno, sottolineando l’importanza di non sottovalutare mai alcun
comportamento violento, sia esso verbale, fisico o psicologico e di denunciare sempre qualsiasi evento. Importanti enti
internazionali, compresa l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sono concordi nel raccomandare un approccio ispirato alla
cultura della tolleranza zero. Infatti è ormai assodato che la violenza non fisica prelude a quella fisica senza soluzione di continuità
e che accettare le manifestazioni meno clamorose, ritenendole non pericolose o addirittura accettandole come parte del rischio
professionale, pone le basi per il verificarsi di fatti gravi e tragici.
Purtroppo, nonostante le pagine di cronaca siano dense di episodi di violenza a danno degli operatori sanitari, la mancata denuncia
resta tuttora la tendenza prevalente e l’entità della sottonotifica (si stima in circa 7 casi su 10) impedisce di mettere a fuoco con
precisione le dinamiche. Da qui la necessità di un approccio globale, integrato e partecipativo al fenomeno, che ne consideri gli
aspetti sociali, economici, organizzativi e culturali, in modo da affrontarlo dalle radici.
Il corso FAD è disponibile gratuitamente per un anno a tutti gli iscritti FNOMCeO ed eroga 8 crediti ECM.
PROFESSIONE
Antibiotico-resistenza,
una piccola grande guerra
pag. 17
SaNItà
Doping: contro etica e salute
pag. 24
L’INtERvISta
Luigi Naldini: il futuro della
terapia genica
pag. 33
InFormaMIBollettino dell’OMCeOMI
4. 2017 annO LXX
360°
pag. 5
Quando chi cura diventa
un nemico
18. 16 InFormaMI
Diabete e parodontite:
una sfida comune
PROFESSIONE martina alberani
La correlazione tra salute orale e sistemica è molto più stretta di quanto si creda,
basti pensare che chi soffre di parodontite ha un rischio più alto di sviluppare
diabete e, al progredire della malattia dentale, si osserva un peggioramento
anche sul piano metabolico
La relazione tra diabete di
tipo 2 e parodontite è un caso
esemplare: non una, ma due
malattie croniche non trasmissibili
tra loro strettamente legate.
Insomma una doppia sfida per i
professionisti sanitari che ormai
sanno bene come il fronte della
cronicità e il contrasto a uno stile di
vita non salutare (giocato su fattori
di rischio come tabacco, alcol,
alimentazione e sedentarietà) siano
i principali temi di salute pubblica
dei paesi industrializzati.
Tra le numerose patologie che
si accompagnano al diabete, la
parodontite è particolarmente
interessante, visto lo stretto
rapporto di reciprocità1
e la
rilevanza epidemiologica (vedi box).
Questa “relazione pericolosa” è
stata analizzata in un documento
congiunto dell’European
Federation of Periodontology
e dell’International Diabetes
Federation, che ha coinvolto 15
esperti provenienti da Europa,
Stati Uniti e Asia e ha raccolto le
prove disponibili in letteratura
su patogenesi, epidemiologia e
impatto della terapia parodontale
sul controllo metabolico.2
16 InFormaMI
che Cosa sappiamo oggi
di questa relazione?
I risultati emersi indicano che la
presenza di parodontite, specie
se grave, si associa a un rischio
elevato di sviluppare prediabete,
insulino-resistenza e anche diabete
di tipo 2.
D’altra parte alcuni studi di coorte
mostrano che i pazienti diabetici
con parodontite hanno livelli
significativamente più elevati di
emoglobina glicata rispetto a quelli
senza problemi parodontali.
La relazione tra le due patologie
si ripercuote anche sulle
complicanze del diabete, la
letteratura riporta un’associazione
tra peggiori condizioni
parodontali e l’insorgenza di
retinopatia diabetica, piede
diabetico e complicanze renali e
cardiovascolari.
In generale, la mortalità
complessiva è significativamente
elevata in pazienti affetti da diabete
di tipo 2 e parodontite.
19. 173. 2018
Per quanto riguarda la patogenesi,
in entrambe le condizioni si assiste
a una modificazione di diversi
mediatori e indici della risposta
immunitaria e dell’infiammazione
come interleuchina 1 β,
tumor necrosis factor (TNF) α,
interleuchina 6, rapporto tra
RANKL (Receptor Activator of
Nuclear Factor Kappa-Β Ligand)
e osteoprotegerina, espressione
dei recettori Toll simili (Toll-like
receptor).
Altri dati mostrano che a un
efficace controllo del diabete
corrisponde una riduzione dello
stress ossidativo e dei livelli
di citochine circolanti e un
miglioramento del profilo lipidico.
Tuttavia non ci sono studi che
correlino tali cambiamenti con
la risoluzione del quadro clinico
parodontale, mentre è dimostrato
che una terapia di successo per la
parodontite riduce il livello della
proteina C reattiva e del TNF α nel
paziente diabetico.
che Cosa si può fare?
Il destino del diabete e quello della
parodontite sono inesorabilmente
legati ed è importante una presa in
carico globale dallo screening, alla
diagnosi, fino al trattamento.
Prima arriva la diagnosi, prima
si può iniziare il trattamento e
migliori sono le possibilità di
prevenire complicanze e costi
sanitari correlati.
Il trattamento parodontale (scaling
and root planing) è sicuro, efficace,
ed è associato a una riduzione dei
livelli di emoglobina glicata nei
pazienti con diabete di tipo 2, con
percentuali che oscillano tra lo
0,24% e lo 0,48% dopo 3-4 mesi.
Tuttavia non è stato dimostrato
che l’effetto si mantenga sul lungo
periodo e non è stata ancora
stabilita la soglia di miglioramento
del quadro parodontale cui
corrisponde il calo dell’emoglobina
glicata.
La terapia antibiotica, quando
aggiunta al trattamento
parodontale, non sembra
apportare benefici aggiuntivi al
controllo glicemico.
È invece provato il ruolo dello
screening per il diabete in un
contesto di cure odontoiatriche: la
collaborazione multidisciplinare
e multiprofessionale si afferma
sempre di più come chiave per
elevare la qualità dell’assistenza. Il
National Institute for Health and
Care Excellence (NICE) suggerisce
che tutti i professionisti sanitari,
e tra questi gli odontoiatri, siano
coinvolti in prima linea nello
screening del diabete3
.
È fondamentale che gli operatori
prestino attenzione all’anamnesi
e ai sintomi di allarme relativi
all’una e all’altra patologia, avendo
cura di indirizzare il paziente dallo
specialista più adeguato in base
alle caratteristiche individuali di
malattia.
Deve essere coinvolto anche il
paziente, con una comunicazione
improntata a fargli comprendere
la relazione tra le due condizioni
e soprattutto le possibili
conseguenze di uno scarso
controllo di entrambe.
A conferma e a sostegno di
questa tesi, il 17 novembre 2018 in
occasione della Giornata mondiale
del diabete, si è svolto a Milano il
workshop “Diabete: una patologia
condivisa”, voluto da OMCeO
Milano, società scientifiche e
associazioni di pazienti e dedicato
a delineare le strategie per il
trattamento del diabete in un’ottica
I numeri
Secondo le stime aggiornate al 2017
dell’International Diabetes Federation, a
livello mondiale hanno il diabete 425 milioni di
persone tra i 20 e i 79 anni (circa l’8,8% della
popolazione globale). In assenza di interventi,
questo numero è destinato a crescere fino a
629 milioni nel 2045. I cittadini europei con
diabete di tipo 2 sono al momento 58 milioni, il
6,8% della popolazione del vecchio continente
e saranno 67 milioni nel 2045. Il diabete di
tipo 2 è la forma più comune e si stima che
rappresenti circa il 90% dei casi di malattia nei
Paesi industrializzati. Inoltre, 212,4 milioni di
persone hanno il diabete senza saperlo.4
Per quanto riguarda la parodontite, il 45-
50% degli adulti ne soffre (seppure nella
forma più lieve) e questa percentuale sale
sopra il 60% nelle persone con più di 65
anni.5,6
La parodontite grave colpisce nel
mondo l’11,2% della popolazione adulta7
ed
è causa di edentulia, compromissione dello
stato di nutrizione, riduzione della qualità
della vita, dello stato di salute percepita e
dell’autostima.8,9
di gestione multidisciplinare e
partecipata. Ampio spazio è stato
dedicato al rapporto tra diabete e
parodontite e alla necessità di fare
fronte comune per combattere le
due patologie.
Bibliografia
1
Taylor GW. Annals of Periodontology 2001 6, 99-112
2
Sanz M et al. Diabetes Res Clin Pract 2017;137:231-41
3
National Institute for Health and Care Excellence (NICE). 2012
4
International Diabetes Federation. 2017
5
Eke PI, et al. Journal of Periodontology 2016;87,1174-85
6
White DA, et al. British Dental Journal 2012;213:567-72
7
Kassebaum NJ, et al. Journal of Dental Research
2014;93:1045-53
8
Al-Harthi LS, et al. Australian Dental Journal 2013;58,274-7
9
Buset SL, et al. Journal of Clinical Periodontology
2016;43:333-44
20. 18 InFormaMI
PROFESSIONE margherita martini
“I vaccini utilizzati
nei programmi nazionali di
immunizzazione sono tra i prodotti
farmaceutici più controllati e
sicuri. Tuttavia, come per ogni
farmaco, possono esserci delle
controindicazioni, che devono
essere identificate prima di
procedere con la vaccinazione,
per evitare reazioni avverse gravi.
Oppure si può essere in presenza di
precauzioni che possono aumentare
il rischio di reazioni avverse gravi o
portare a una risposta immunitaria
inadeguata, o di avvertenze, quando
la vaccinazione può interferire con
gli effetti di alcuni farmaci.
In certi casi, quando si è in
presenza di una precauzione, è
necessario valutare il beneficio/
rischio individuale della
vaccinazione” spiega Antonietta
Filia, medico igienista e ricercatore
dell’Istituto Superiore di Sanità, e
uno degli autori della Guida alle
controindicazioni alle vaccinazioni,
giunta a febbraio 2018 alla quinta
edizione, completamente aggiornata
rispetto a quella del 2009. “È però
anche vero che esistono molte
false controindicazioni, ovvero
sintomi o condizioni che non
precludono la vaccinazione e che
comportano opportunità ‘perse’ per
la somministrazione dei vaccini”
continua Filia.
Il documento, redatto dai massimi
esperti con il supporto di diverse
società scientifiche e approvato dal
La Guida alle controindicazioni alle
vaccinazioni è un prezioso documento
tecnico di supporto alla corretta
somministrazione dei vaccini
Gruppo tecnico consultivo nazionale
sulle vaccinazioni e dal Consiglio
Superiore di Sanità, esamina tutti i
vaccini disponibili in Italia.
“La specificità dell’intervento
vaccinale rende necessario facilitare
il più possibile l’attività del personale
sanitario che lavora in questo
ambito. Per questo la Guida offre
raccomandazioni sull’uso dei vaccini
anche in circostanze nelle quali, per il
singolo operatore, è difficile reperire
dati di sicurezza ed efficacia che
possano supportarlo nel processo
decisionale. Inoltre, può riportare
indicazioni che vanno oltre quelle
previste nella scheda tecnica dei
singoli vaccini, poiché la sicurezza
e l’efficacia del vaccino continuano
a essere monitorate anche dopo
l’immissione in commercio” racconta
Antonietta Filia.
Il personale sanitario deve verificare
la presenza di controindicazioni e/o
precauzioni in ogni persona prima di
somministrare qualsiasi vaccino. “Per
far questo, non è necessario eseguire
una visita medica prima della
vaccinazione (salvo che la persona
non appaia ammalata o riferisca una
malattia in corso) né sono richiesti
esami di laboratorio o accertamenti
diagnostici. Il triage prevaccinale
può essere effettuato semplicemente
rivolgendo alla persona che si deve
vaccinare (o ai genitori, nel caso in
cui a vaccinarsi sia un bambino) una
serie di precise e semplici domande
contenute in una scheda anamnestica
standardizzata. La Guida riporta due
schede di triage, una per i bambini
fino ai 18 mesi di età e l’altra per i
bimbi di età superiore a 18 mesi, per
gli adolescenti e per gli adulti”
spiega Filia.
In ambito vaccinale
si definisce:
controindicazione una
condizione nel ricevente che aumenta il
rischio di gravi reazioni avverse.
precauzione una condizione
nel ricevente che può aumentare il
rischio di gravi reazioni avverse o che
può compromettere la capacità del
vaccino di indurre un’adeguata risposta
immunitaria.
avvertenza una condizione nel
ricevente per la quale le vaccinazioni
eseguite, pur restando efficaci e sicure,
possono interferire con gli effetti di
alcuni farmaci di cui è previsto un
successivo o contemporaneo utilizzo.
evento avverso qualsiasi
manifestazione indesiderata che può
presentarsi durante un trattamento
con un prodotto farmaceutico o dopo la
somministrazione di un vaccino ma che
non ha necessariamente una relazione
causale con questi.
reazione avversa qualsiasi
manifestazione indesiderata e dannosa
che si verifica in caso di corretta
somministrazione di sostanze usate per
la profilassi, la diagnosi o la terapia,
o per la modificazione di funzioni
fisiologiche. […] diversamente da un
evento avverso, è caratterizzata dalla
dimostrazione di una relazione causale
tra il farmaco o vaccino e l’evento
sulla base di criteri oggettivi stabiliti
dalle autorità di farmacovigilanza che
includono anche i dati della letteratura
scientifica e il giudizio del medico
segnalatore.
LaGuidaperl’usosicurodeivaccini
La Guida alle controindicazioni
alle vaccinazioni si conferma
un documento necessario e
fondamentale per aiutare gli
operatori sanitari ad acquisire
conoscenze e competenze pratiche
utili nel lavoro quotidiano.
Fonte: “Guida alle
controindicazioni
alle vaccinazioni”
(ed. febbraio 2018)
21. 193. 2018
Ricerca clinica:
come orientarsi tra prove
e studi
PROFESSIONE Raffaella Daghini
Affidarsi esclusivamente all’autorevolezza della
fonte per valutare la qualità di uno studio clinico e
l’affidabilità dei suoi risultati non è sufficiente.
Un caso recente mostra come anche le riviste
scientifiche più autorevoli possono sbagliare
In tempi di evidence based medicine, la qualità
delle prove scientifiche riportate in letteratura è un
elemento tanto cruciale quanto difficile da valutare. È
cruciale perché aiuta il medico a orientare le proprie
scelte terapeutiche e assistenziali verso le pratiche
che si sono rivelate più efficaci in studi e ricerche di
alta qualità. D’altra parte, è difficile da valutare perché
gli studi pubblicati sono estremamente numerosi,
gli elementi da prendere in esame per definire
la qualità dei risultati sono tanti e non sempre di
immediata comprensione e il tempo a disposizione
dei professionisti per questo tipo di analisi è spesso
limitato.
L’autorevolezza della rivista su cui un articolo viene
pubblicato è spesso un primo criterio di valutazione
che viene spontaneo utilizzare: si è naturalmente
portati, infatti, a considerare gli articoli pubblicati
su New England Journal of Medicine, Lancet, Jama,
British Medical Journal o Nature “affidabili” in
partenza. Tuttavia, poiché errare è umano, anche il
processo – pur rigoroso – che porta alla pubblicazione
degli studi sulle riviste scientifiche più autorevoli può
a volte incepparsi o essere influenzato.
Un caso recente e significativo riguarda un importante
articolo sui benefici della dieta mediterranea
pubblicato nel 2013 sul New England Journal of
Medicine,1
che nello scorso mese di giugno è stato
ritrattato e ripubblicato a seguito di una nuova analisi
dei dati.
Lo studio, condotto in 11 centri spagnoli, ha coinvolto
quasi 7.500 persone con alto rischio cardiovascolare, che
sono state assegnate casualmente a tre tipologie di dieta:
una dieta mediterranea rinforzata con olio extravergine di
oliva, una dieta mediterranea con supplemento di frutta
secca mista e una dieta a basso apporto di grassi (gruppo
di controllo).
Le conclusioni dello studio originale indicavano che la
dieta mediterranea poteva ridurre il rischio di eventi
cardiovascolari maggiori di circa il 30% nella popolazione
ad alto rischio rispetto ai controlli. Un risultato ripreso
anche dalla stampa laica con grande clamore e
considerato un riferimento per gli studi sull’efficacia della
dieta mediterranea.
Randomizzazione ma non troppo
Qual è stata, dunque, la ragione della ritrattazione?
Come spesso accade nel mondo scientifico, un altro
gruppo di ricerca ha sottoposto i dati presentati ad
analisi, evidenziando incongruenze nella procedura
di randomizzazione dei partecipanti. Questo ha spinto
i ricercatori spagnoli a rivedere il proprio lavoro: è
emerso che in alcuni casi i membri di una famiglia erano
22. 20 InFormaMI
PROFESSIONE
stati assegnati allo stesso gruppo e quindi avevano
seguito la medesima dieta. L’assegnazione, in questi
casi, era stata tutt’altro che casuale, come era invece
previsto dal protocollo dello studio, e questo può
influire sui risultati: infatti, i membri della stessa
famiglia condividono geni e influenze ambientali,
che rappresentano fattori di confondimento rispetto
alla valutazione degli effetti della dieta sugli esiti
considerati. Inoltre, in uno dei centri di ricerca, i
partecipanti di un intero villaggio erano stati tutti
assegnati allo stesso gruppo di studio, creando
dunque un cluster.
I ricercatori spagnoli hanno rielaborato i dati
escludendo i “casi dubbi” (circa 1.600), confermando
comunque le conclusioni dello studio originale
riguardo all’efficacia della dieta mediterranea rispetto a
quella di controllo, anche se le hanno espresse con una
forma meno assertiva.
L’importanza del senso critico
Questa vicenda è solo un esempio, ma stimola una
riflessione su come si possano valutare la qualità degli
studi clinici e l’affidabilità dei loro risultati.
I possibili problemi sono molteplici: si va dagli errori
metodologici, come quello alla base della ritrattazione
dello studio del New England Journal of Medicine, alle
vere e proprie frodi, che si basano principalmente su
alterazione di immagini e falsificazioni di dati.
Secondo Enrico Bucci, biologo molecolare e
“cacciatore di frodi”, che si dedica da anni ai temi
dell’integrità della ricerca scientifica, una percentuale
che va dal 4 al 17% dei lavori scientifici presenterebbe
qualche forma di manipolazione, indipendentemente
dall’impact factor delle riviste che li pubblicano.
Esisterebbe, invece, una correlazione tra il numero
di articoli manipolati e i gruppi di ricerca che hanno
ritrattato almeno un lavoro.
Se le frodi non sono facilmente individuabili
nemmeno dai revisori delle riviste più prestigiose,
la validità metodologica di uno studio può essere
valutata, almeno in parte, attraverso alcuni accorgimenti
e una buona dose di senso critico: se alcuni aspetti
richiedono conoscenze specifiche per individuare punti
deboli (per esempio il disegno dello studio o la tecnica di
analisi statistica impiegata), per altri è possibile rilevare
indizi di debolezza metodologica che dovrebbero fare
scattare un campanello d’allarme.
Uno studio di bassa qualità, per esempio, spesso
dichiara come esiti aspetti poco significativi dal punto
di vista clinico (endpoint surrogati), oppure riunisce
esiti diversi (endpoint multipli) che non consentono di
distinguere l’effetto del trattamento in esame su quelli
davvero importanti; infine, talvolta gli esiti vengono
cambiati durante lo studio e vengono presentati quelli
per i quali il dato di efficacia risulta più solido.
Un altro aspetto da valutare criticamente è la modalità
con cui vengono presentati i risultati: se sono espressi
solo in termini di rischio relativo, occorre dubitare; il
rischio assoluto e il numero di casi da trattare sono dati
più adeguati in termini di comunicazione dei risultati per
sostenere l’efficacia del trattamento.
In uno studio metodologicamente valido, poi, gli autori
dovrebbero dichiarare a priori le analisi che condurranno
sui diversi sottogruppi e le motivazioni di queste
analisi. Se sono decise a posteriori, invece, la validità
dei risultati ottenuti è bassa, perché probabilmente
sono state realizzate con l’obiettivo di individuare una
sottopopolazione in cui l’intervento è risultato per caso
efficace ed enfatizzare quel risultato a discapito di quelli
negativi. Non va inoltre sottovalutato il peso del bias di
pubblicazione, che porta a privilegiare la divulgazione
sulle riviste scientifiche degli studi che danno risultati
positivi rispetto a quelli che falliscono, fornendo quindi
una percezione distorta della reale efficacia degli
interventi studiati.
È fondamentale, infine, leggere sempre al termine di
un articolo scientifico le dichiarazioni di conflitto di
interesse degli autori e le loro affiliazioni, considerando
anche i possibili legami tra gli autori e la rivista su cui
hanno pubblicato il lavoro.
Da ultimo, ma non certo per importanza, un articolo
valido deve riportare fatti e dati consistenti, cioè
confermati da altre fonti indipendenti: tanto più sono
numerose le fonti indipendenti che riportano fatti
coerenti, tanto più lo studio è rilevante.
Bibliografia
1
Estruch R et al. N Engl J Med 2018;378:e34
Un aspetto da valutare criticamente è la modalità con cui
vengono presentati i risultati: se sono espressi solo in termini
di rischio relativo, occorre dubitare; il rischio assoluto e il
numero di casi da trattare sono dati più adeguati in termini
di comunicazione dei risultati per sostenere l’efficacia del
trattamento studiato
23. 213. 2018
simonetta pagliani
Chi assume antidepressivi
è a rischio di sovrappeso o di
obesità: lo sostiene un recente
studio1
coordinato dagli
epidemiologi del King’s College
di Londra, che ha esaminato il
database della UK Clinical Practice
Research Datalink (oltre 2 milioni
di assistiti) e ha selezionato
oltre 130.000 uomini e oltre
150.000 donne con almeno tre
determinazioni dell’indice di massa
corporea. Dall’analisi si è visto che
nel primo anno di arruolamento
ha ricevuto la prescrizione di un
antidepressivo il 18% degli assistiti,
il 13% degli uomini e il 22,4% delle
donne, soprattutto nella fascia di
età tra i 30 e i 59 anni. Nel corso del
decennio di osservazione il rischio
di un aumento del peso corporeo
≥5% è risultato significativamente
maggiore nel sottogruppo esposto
agli antidepressivi (rischio relativo
1,21). Il rischio era più marcato
nel primo anno ed era presente, e
simile, sia per i soggetti normopeso
(rischio relativo 1,29), sia per i
soggetti già in sovrappeso (rischio
relativo 1,29).
Rimane poco chiaro se sia
la depressione a sostenere
l’incremento ponderale o se
sia il depresso che curandosi
ingrassa. L’anergia per mancanza
di motivazioni limita il consumo di
calorie e la deflessione dell’umore
è accompagnata da disturbi
dell’appetito che sono causati
dalla disfunzione di specifici
neurotrasmettitori (noradrenalina,
serotonina, dopamina) sulla quale
agisce la terapia farmacologica.
Si ipotizza che la relazione sia
reciproca: da una parte l’obesità
aumenta il rischio di depressione
dall’altra la depressione può
favorire lo sviluppo di obesità.2
Quando si parla di antidepressivi,
però, si fa riferimento a più
classi di farmaci con meccanismi
d’azione ed effetti collaterali
tra loro diversi. L’influenza sul
peso corporeo sembra essere
relativo al diverso grado di
affinità degli antidepressivi
non solo per i recettori della
serotonina, ma anche per i
recettori H1 dell’istamina; la
stessa affinità recettoriale sembra
associata anche all’instaurarsi
di iperglicemia e di sindrome
metabolica. In particolare
sembrano associati a un maggiore
aumento di peso mirtazapina e
nortriptilina rispetto a bupropione,
trazodone e fluoxetina.
Bibliografia
1
Gafoor R, et al. BMJ 2018;361:k1951
2
Luppino FS, et al. Arch Gen Psychiatry
2010; 67: 220-29.
Una proposta per contenere
l’effetto sfavorevole sul peso è
quella di utilizzare farmaci come
per esempio la metformina e la
betaistina, un analogo dell’istamina,
debole H1 agonista, anche se
off label per questa indicazione.
Giancarlo Stoccoro, psichiatra che
ha operato per molti anni nelle
strutture ospedaliere e nei centri
psicosociali (CPS) di Melegnano,
Paullo e San Donato Milanese si
dice contrario e ritiene che non sia
necessario l’uso di farmaci ulteriori
in quanto “l’eventuale sovrappeso
da antidepressivi è di solito
contenuto e facilmente contrastabile
con una vita più attiva”. Inoltre
prosegue l’esperto “se è vero che
tutti i serotoninergici, fluoxetina
compresa, dopo un’iniziale
riduzione dell’appetito, spesso
legata alla transitoria nausea,
possono poi indurne l’aumento
(per i dolci, in particolare), nella
pratica clinica solo mirtazapina e
amisulpride hanno comportato, in
alcuni casi, la necessità di essere
sostituiti”.
Antidepressivi
e aumento di peso
Le persone depresse tendono ad
accumulare chili. Colpa della malattia
o della terapia? Secondo uno studio
recente i farmaci antidepressivi
potrebbero giocare un ruolo
24. 22 InFormaMI
diritto
A vedere l’esigua lista delle Società tra
Professionisti (StP) iscritte all’Ordine dei medici
chirurghi e odontoiatri di Milano (22 in tutta la
provincia) viene da chiedersi se i medici siano a
conoscenza di questo strumento che dal 2013 offre a
tutti i professionisti che operano in ambito medico di
lavorare sotto forma di società: l’StP è in effetti l’unica
modalità di esercizio della professione medica in ambito
societario oggi ammissibile, a parte l’associazione
di medici (lo studio associato). A ribadirlo è stato
anche il Ministero dello Sviluppo Economico ma a
gettare qualche ombra su questa apparente certezza
è intervenuto il Decreto Lorenzin sulla Concorrenza
(Legge n. 124 del 2017) che per quanto riguarda
l’ambito odontoiatrico permette l’attività anche a
“società”, non meglio definite (di capitali pure o StP?).
Secondo l’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di
Milano le società menzionate all’articolo 153 del Decreto
sono soltanto le StP, perché prevedono la maggioranza
di soci professionisti e consentono il controllo
deontologico da parte dell’Ordine dove è iscritta l’StP.
Ma il Decreto, secondo altre scuole di pensiero, sembra
invece aver aperto la possibilità di operare in campo
odontoiatrico anche a società pure di capitali, prestando
quindi il fianco a diverse interpretazioni.
Che cosa sono le StP?
Sono state introdotte dalla Legge n. 183 del 2011 e
regolamentate con il Decreto ministeriale n. 34 del 2013.
Dal 2013 al 2017, anno di entrata in vigore del Decreto
Lorenzin, sono state però pochissime le singole posizioni
che si sono “trasformate” in StP, mentre rispetto agli
studi tradizionali hanno continuato a crescere le società
non StP, soprattutto in ambito odontoiatrico.
Secondo le ultime ricerche fatte al Registro Imprese di
Infocamere, a oggi nella provincia di Milano esistono
angelica giambelluca
AAA
Società tra Professionisti
cercasi L’StP, benché sia l’unica forma di società ammissibile (e legale)
tra professionisti in ambito medico, non decolla
25. 233. 2018
• l’oggetto della società è esclusivamente l’esercizio
di attività professionali (anche multidisciplinari)
regolamentate nel sistema ordinistico;
• l’obbligo di stipulare una polizza assicurativa per la
copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile
per i danni causati ai clienti dai singoli soci professionisti;
• l’iscrizione all’albo professionale competente.
Il controllo deontologico
Grazie all’iscrizione all’Ordine competente, le StP possono
essere sottoposte a un controllo deontologico da parte
degli Ordini. Mentre, se non sono registrate in questo
modo, il controllo può avvenire solo sanzionando il
direttore sanitario, cosa difficile da fare se è iscritto a un
Ordine diverso da quello in cui opera territorialmente
la struttura. Ecco perché l’Ordine dei medici chirurghi
e odontoiatri di Milano, proprio all’indomani
Province Società ATECO
86.23
Studi
odontoiatrici
Società ATECO
86.22
Studi medici
specialisticI
Totale
imprese
StP
odontoiatria
StP
altre
specialità
Totale
StP
% StP
sul totale
delle imprese
Aosta 8 3 11 1 0 1 9%
Ancona 45 43 88 0 1 1 1%
Bari 48 39 87 6 3 9 10%
Bologna 126 168 294 0 0 0 0%
Cagliari 84 54 138 0 1 1 1%
Campobasso 12 19 31 0 0 0 0%
Catanzaro 19 28 47 0 0 0 0%
Firenze 32 81 113 1 2 3 3%
Genova 45 44 89 13 4 17 19%
L’Aquila 14 16 30 2 4 6 20%
Milano 771 392 1163 9 13 22 2%
Napoli 192 221 413 4 7 11 3%
Palermo 121 127 248 3 5 8 3%
Perugia 52 31 83 0 0 0 0%
Potenza 25 24 49 0 1 1 2%
Roma 415 503 918 8 27 35 4%
Torino 307 227 534 9 3 12 2%
Trento 28 26 54 4 1 5 9%
Trieste 10 6 16 0 0 0 0%
Venezia 110 101 211 0 0 0 0%
771 società, sia di capitali sia di persone, registrate con
il codice ATECO (ATtività ECOnomiche) 86.23 (attività
degli studi odontoiatrici) e 392 società registrate con
il codice ATECO 86.22 (servizi degli studi medici
specialistici). Di tutte queste, andando a vedere quelle
che sono iscritte anche sul sito della FNOMCeO, come
StP sono registrate solo 9 StP di odontoiatria e solo 13
StP di altre specialità (vedi tabella). Un po’ poche, vista
la circolare del Ministero dello Sviluppo Economico,
considerato che la legge che le istituisce è del 2013
e il fatto che l’apparente esimente concessa agli
odontoiatri dal Decreto Lorenzin è solo dello scorso
anno. Ecco le principali caratteristiche di questa forma
associativa:
• la presenza di almeno due terzi dei soci-professionisti
nella gestione societaria. Ammessi anche soci non
professionisti, ma devono essere in minoranza;
Le StP in Italia I dati provengono dal Servizio Telemaco-Registro Imprese InfoCamera – ricerca
effettuata in base al codice ATECO (colonne in azzurro) e dal sito della FNOMCeO
(colonne in grigio). Ultima consultazione: ottobre 2018 per entrambe le fonti.
26. 24 InFormaMI
diritto
dell’approvazione del Decreto Lorenzin, ha ribadito
con la delibera n. 216 del 2017 come le uniche società
legittimate a svolgere attività odontoiatrica siano le
StP, specificando che le società che non rientrano in
questa fattispecie non possono esercitare questo tipo
di attività. “Per noi questo è un punto fondamentale”,
ribadisce Andrea Senna, vice presidente dell’Ordine
dei medici chirurghi e odontoiatri di Milano e
presidente della Commissione albo odontoiatri
(CAO) provinciale. “Le società di cui parla l’art.
153 del Decreto Lorenzin per noi sono solo le StP.
Anche le catene dentali che operano come Società
a responsabilità limitata (Srl) per noi sarebbero
obbligate a diventare StP, ma purtroppo le leggi sono
interpretabili e per molti colleghi non è chiaro questo
obbligo”.
L’obbligo sussiste davvero per tutti?
Sono davvero tutti obbligati a diventare StP o per le
strutture/cliniche di una certa dimensione l’obbligo
decade? A intervenire sul tema era stato per l’appunto
il Ministero dello Sviluppo Economico che con una
nota del 23 dicembre 2016 ha ribadito come la StP sia
l’unico contesto in cui è possibile l’esercizio di attività
professionali regolamentate nel sistema ordinistico.
Nello stesso parere, il Ministero non ha però escluso
che sia consentita, nell’ambito dell’attività sanitaria, la
costituzione di società, purché servano per offrire un
prodotto diverso e più complesso rispetto all’opera
dei singoli professionisti. Quindi si può costituire una
società non StP che opera in ambito medico, se:
• offre servizi complementari all’attività medica; in
questo caso tra questa società e il professionista c’è
un contratto e le due attività rimangono distinte;
oppure
• il suo aspetto organizzativo e capitalistico risulta
del tutto prevalente rispetto allo svolgimento (pur
presente) di attività professionali “protette”. È il
tipico caso delle grandi cliniche o dei grandi centri
polispecialistici con investimenti di capitali ingenti e
con molti dipendenti-collaboratori, dove sono offerti
sia servizi medici sia di degenza, laboratorio analisi,
eccetera.
Perché allora non si sono registrate
molte più StP?
La risposta non è facile. Messi da parte i dubbi fiscali
sul reddito chiariti dall’Agenzia delle Entrate (il reddito
delle StP è da considerare reddito di impresa), come
spiega Alessandro Terzuolo, commercialista, i motivi
per cui la StP non è decollata sono diversi. “Innanzitutto,
l’esclusività dell’attività professionale rende impossibile
nella stessa società esercitare, per esempio, anche
attività immobiliare o investimenti finanziari, senza
contare che non si può aprire più di una StP.
Ci sono poi gli aspetti contributivi: le StP, benché
costituite in forma di società di capitali applicano una
sorta di ‘trasparenza’ contributiva. Per i soci dell’Ente
Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Medici e
degli Odontoiatri (ENPAM) si deve conteggiare nel
proprio reddito ai fini contributivi anche la quota
di utili della StP non distribuiti. Secondo l’Enpam
questa “trasparenza” contributiva dovrebbe applicarsi
anche alle società non StP, ma per le StP la trasparenza
contributiva è un automatismo. Tuttavia, la possibilità
di avere fino a un terzo di soci non medici-odontoiatri
e la tassazione con aliquota al 24% tipica delle Srl sono
vantaggi da considerare in modo attento”.
A sentire i (pochi) professionisti che hanno scelto questa
forma associativa, i veri vantaggi sono soprattutto
operativi e gestionali. Silvia Malaguti, che lavora in una
delle prime StP che si sono costituite, le considera come
le uniche forme di società possibili per chi vuole offrire
una medicina integrata: “Abbiamo optato per le StP per
poter operare anche con figure professionali differenti.
Da noi lavorano infatti anche neurologi, osteopati,
fisioterapisti e psicologi. Inoltre – aggiunge – il nostro
commercialista inizialmente aveva dovuto studiare per
bene tutti gli aspetti per supportarci, perché non c’era,
e non c’è neanche oggi, un’informazione esaustiva sui
reali vantaggi che comporta aprire una StP”.
Opinione condivisa da Matteo Tretti Clementoni,
direttore di una StP che si occupa di chirurgia plastica
ed estetica: “Sono passato a una StP per due motivi:
il primo fiscale, perché come partita IVA individuale
pagavo fino al 60% di tasse, passando all’StP la
tassazione invece è più sostenibile. Il secondo motivo
è poter lavorare con altri professionisti. Devo dire che
mi trovo molto bene. Ne ho parlato con altri colleghi
ma purtroppo quasi nessuno è a conoscenza di questa
forma di società. E credo sia questo il motivo per cui
non è così diffusa”.
A sentire i (pochi) professionisti che hanno scelto questa
forma associativa, i veri vantaggi sono soprattutto
operativi e gestionali
27. I3 . 2018
Gli esami diagnostici essenziali
di laboratorio
Come iscriversi
aL corso
Partecipare al corso FAD
è semplice. Una volta letto
questo dossier, tutti gli iscritti
all’OMCeO Milano, medici e
odontoiatri, possono rispondere
al questionario online e acquisire
i crediti ECM. Ecco come fare:
1. se non si è già registrati,
registrarsi sulla piattaforma
www.saepe.it scegliendo un ID e
PIN per l’accesso
2. entro 48 ore ricollegarsi alla
piattaforma e inserire ID e PIN
3. cliccare al piede della pagina
sul banner SmartFAD
4. cliccare il titolo del corso
5. cliccare sul questionario e
rispondere alle domande ECM;
si ricorda che le domande sono
randomizzate, quindi variano nei
tentativi successivi (non c’è un
limite massimo)
6. rispondere al questionario di
customer satisfaction
7. scaricare l’attestazione dei
crediti cliccando in alto a destra
su “Crediti” e quindi sulla
stampantina vicino al titolo del
corso
Per qualunque dubbio o difficoltà
scrivere a:
gestione@saepe.it
3.2018
“Una diagnosi accurata è il primo passo per un trattamento efficace. Nessuno dovrebbe
ammalarsi o morire per la mancanza di servizi diagnostici o perché non è disponibile
l’esame appropriato”. Queste le parole con cui Tedros Adhanom Ghebr, direttore generale
dell’OMS ha presentato a maggio 2018 la prima edizione della lista degli esami diagnostici
essenziali in vitro (World Health Organization model list of essential in vitro diagnostics).
Autore: Maria Rosa Valetto
Revisore: Maria Grazia Manfredi
Consigliere OMCeO MI
Medico di Medicina Generale
ATS Città Metropolitana di Milano
Destinatari: medici e odontoiatri
Durata prevista: 2 ore (compresa la
lettura di questo dossier)
Durata: dall’1 novembre 2018 al
31 ottobre 2019
Evento ECM n. 242199; Provider Zadig (n. 103)
28. II InFormaMIII SmartFad
“Mi pare che non ci siamo mai visti” con un sorriso Luisa, medico di medici-
na generale accoglie nel suo ambulatorio un uomo esile apparentemente sulla
settantina. Lo accompagna una donna più giovane che la dottoressa riconosce
come sua assistita.
“No, dottoressa, mio padre è rimasto solo e si è trasferito con noi da qualche mese.
Abbiamo subito scelto lei come medico” risponde la figlia porgendo la tessera sanitaria.
“Grazie per la fiducia e, dunque, piacere di conoscerla, signor Livio” esclama Luisa leggendo il
nome sul documento.
“Buongiorno” il laconico saluto ma ancor più il tono della voce e lo sguardo lasciano trasparire un
misto di diffidenza e di disagio.
“Che mi dice?”
È la figlia a prendere la parola: “Sono preoccupata. Trovo mio padre affaticato e molto pallido,
persino grigio direi. Non è mai stato robusto, ma credo che abbia perso anche un paio di chili”.
“Ma per forza, Teresa. Portato via dall’aria buona e dal sole del mio paese, sono finito qui. Quando
apro la finestra vedo grattacieli e respiro smog. Pure l’appetito mi è passato” protesta Livio.
“Scusate un secondo.... Stefano, ora ti spiego…” Luisa si rivolge al tirocinante che frequenta il
suo studio da un paio di settimane. “È un nuovo paziente. Ecco, vedi, risulta già iscritto tra i miei
assistiti. Dobbiamo però raccogliere tutte le informazioni”.
“Che mi dice, signor Livio?” il medico ripete la domanda sperando che Teresa eviti di intromettersi
ancora.
“Che le dico? A parte una nefrite da giovanotto, mai visto un medico in vita mia, mai preso medi-
cine”. Luisa e Stefano sorridono.
“Sì, però, papà, adesso è necessario. Sei arrivato in salute ai tuoi 77 anni, ma i prossimi bisogna
difenderli”.
“Complimenti signor Livio, quando è entrato in ambulatorio le avevo fatto un bello sconto sull’età”
dichiara la dottoressa.
Stefano effettua l’anamnesi. Ci vuole un attimo perché la storia clinica di Livio è praticamente
silente. Solo un ricovero negli anni Sessanta per una probabile glomerulonefrite, forse preceduta
da una malattia reumatica.
Teresa propone: “Non si può fare un bel check up?”.
Stefano, ancora inesperto nella relazione medico-paziente, non nasconde un’espressione sconcer-
tata che tuttavia non frena l’insistenza: “Intendevo qualche prelievo, quelli essenziali, giusto per
tranquillità…”.
Pallido e spaesato
la storia
parte I
commento
A maggio 2018 l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha
pubblicato per la prima volta un documento sugli esami di labo-
ratorio essenziali (Essential Diagnostics List), sviluppato da una
commissione di 19 esperti dell’OMS e destinato a integrazioni e
aggiornamenti annuali.
Secondo la definizione dell’OMS, sono esami diagnostici essenziali
quelli che rispondono alle priorità di salute della popolazione in
base a criteri come la prevalenza di malattia e la rilevanza per la
salute pubblica, le prove di efficacia e di accuratezza e la costo-
efficacia. Più in dettaglio, gli esami diagnostici essenziali in vitro
sono quelli per la valutazione di laboratorio di campioni biologici
con lo scopo unico o principale di acquisire informazioni per la
diagnosi e il monitoraggio di malattie o per i test di compatibilità.
La lista comprende 113 esami:
58 esami generali di laboratorio di routine, indicati per la diagnosi
di un ampio spettro di malattie, infettive e croniche, classificate per
disciplina (chimica clinica, sierologia, ematologia, microbiologia,
micologia) e per tipo di esame (per esempio bilirubina, emocromo
completo)
55 esami indicati per la diagnosi e il follow up di alcune malattie
individuate come prioritarie dall’OMS (infezione da HIV,TBC, mala-
ria, epatite B e C, infezione da papillomavirus, sifilide), classificate
per malattia e per analita.
Per ogni esame vengono fornite diverse informazioni: l’obiettivo
dell’indagine, la metodica, il campione biologico, il livello assi-
stenziale raccomandato per l’erogazione della prestazione. Viene
inoltre indicata l’eventuale disponibilità di linee guida o raccoman-
dazioni dell’OMS.
WHO model list of essential in vitro diagnostics. 2018.
Essential diagnostics: a lever for health systems reform? Lancet
2018;391:2080.
29. III3 . 2018
Mentre il tirocinante effettua l’esame obiettivo, la dottoressa cerca di contenere
le richieste di Teresa: “Signora, capisco la sua preoccupazione, ma le assicuro che
fare un check up non è molto utile”.
“Davvero?”
“Davvero. Quella di fare esami per inquadrare la situazione del paziente è un po’ una moda che
non migliora le possibilità di individuare possibili malattie e di curarle. Anzi ormai sappiamo che
possono essere sufficienti pochi esami scelti con precisione basandosi sui sintomi e sull’esito della
visita medica”.
“Qualche decina di esami di laboratorio e si copre tutta la diagnostica delle principali malattie”
pensa il tirocinante riavvolgendo il bracciale dello sfigmomanometro. Poi si rivolge alla collega:
“Quasi nulla da segnalare. Solo un marcato pallore delle mucose e una lieve tachicardia, 110 pul-
sazioni, ritmico”.
Il paziente ha seguito con attenzione, ma sempre in silenzio, i gesti e le parole della figlia e dei due
medici. Luisa fa nuovamente un tentativo per renderlo protagonista: “Signor Livio, vorrei sentire
anche la sua voce!”.
“E cosa le devo dire, dottoressa? Che se non fossi qui, ma a casa mia, a quest’ora sarei a pescare
o a raccogliere funghi?”
“Giusto, le stesse cose che ama fare mio padre che ha più o meno la sua età. Comunque, non ab-
biamo trovato nulla di preoccupante. Ci potrebbe essere solo un po’ di anemia”.
“Quindi qualche esame bisogna farlo?” domanda Teresa.
“Sì, qualcuno sì, ma mirato”.
la storia
parte II
La lista OMS indica gli esami diagnostici essenziali per i diversi li-
velli organizzativi di un sistema sanitario. Individua un primo livello
organizzativo, le cure primarie, senza dotazione di laboratori o con
minima dotazione, e un secondo livello, le strutture con laboratori
diagnostici, ulteriormente suddivisi in laboratori ospedalieri o di-
strettuali, laboratori provinciali, regionali o specialistici, laboratori
di riferimento nazionali. Considerando per esempio la diagnosi di
anemia, come indagine per il primo livello è previsto il dosaggio
dell’emoglobina (su sangue intero venoso o capillare, su plasma o
su siero), come indagini per il secondo livello l’ematocrito (su san-
gue intero venoso o capillare) e l’emocromo completo con metodica
automatizzata (su sangue intero venoso). L’emocromo completo
con conteggio manuale (su sangue intero venoso o capillare) viene
indicato in seconda battuta dopo la determinazione con metodica
automatizzata.
WHO model list of essential in vitro diagnostics. 2018.
“A rigore basterebbe l’emoglobina” dice Stefano alla collega.
“Stai pensando alle indicazioni OMS e da questo punto di vista hai ‘rigorosamente’
ragione. Ma considera il contesto, intendo la disponibilità di servizi diagnostici.
Siccome stiamo per inviare il paziente a un laboratorio distrettuale, mi sento ragio-
nevolmente sicura di rispettare criteri di appropriatezza richiedendo anche ematocri-
to ed emocromo. Non siamo in un paese in via di sviluppo” dice sorridendo la dottoressa.
“Se è per questo, allora indagherei anche la funzione renale. Un’insufficienza cronica ci sta con l’età,
la storia e, tutto sommato, l’obiettività negativa” suggerisce il tirocinante.
“Sono d’accordo. C’è anche un altro fatto. Se ci limitiamo al minimo indispensabile, rischiamo di
inviare più volte a fare un prelievo questo signore che rimpiange torrenti di montagna abbondanti di
trote e boschi dove fanno capolino i porcini”.
la storia
parte III
Gli esami diagnostici essenziali di laboratorio
Considerando la diagnostica per la funzionalità renale, come inda-
gine per il primo livello è prevista il dosaggio dell’albumina sulle
urine (stick urinario), come indagini per il secondo livello il dosag-
gio di albumina (su siero o plasma o nelle urine), azotemia (urea,
su siero o plasma), creatininemia (su siero con stima della velocità
di filtrazione glomerulare o nelle urine). In alternativa è possibile
effettuare una serie di esami metabolici (pannello metabolico di
base, su sangue intero venoso o siero o plasma) che comprende
glicemia, sodiemia, carbossiemia, azotemia, rapporto urea/creati-
nina, eventualmente calcemia o una serie più numerosa (pannello
metabolico completo) che comprende, oltre ai precedenti, magne-
siemia, proteine totali e frazionate, bilirubinemia (diretta o totale),
fosfatasi alcalina, transaminasi. In aggiunta è indicato l’esame
delle urine completo(con metodica automatizzata).
WHO model list of essential in vitro diagnostics. 2018.
commento
commento
30. IV InFormaMIIV SmartFad
la storia
conclusione
“Eh, il giorno che organizzano un corso avanzato di buon senso è… lontano. Scherzi a parte, la no-
vità interessante che sta emergendo è questa: da decenni ormai si afferma la necessità di un utilizzo
appropriato dei farmaci, ma solo recentemente si inizia a capire che è altrettanto importante l’appro-
priatezza nel richiedere esami, a partire dai più comuni esami del sangue”.
la storia
parte IV
“Orientiamoci verso le indagini per anemia, insufficienza renale e pannello metabo-
lico di base più esame urine”. Stefano al computer inizia a compilare la ricetta rossa.
“Adesso vi spiego quello che ci siamo detti” dice Luisa rivolgendosi a Livio e alla figlia.
“Il collega sta facendo la richiesta per alcuni esami che possono stabilire se davvero c’è una
situazione di anemia e indagare le cause più probabili”.
“Sono proprio necessari?” chiede l’anziano paziente, mentre Teresa annuisce vigorosamente e sta
per intervenire di nuovo, preceduta dalla dottoressa.
“Sì, direi proprio di sì”.
“Dove dobbiamo fare il prelievo?” chiede Teresa.
“Al laboratorio dell’ASL”.
“Ci faranno aspettare molto?”.
“No, signora, per fortuna per gli esami del sangue e delle urine non ci sono liste d’attesa. Solo biso-
gna andare presto la mattina per evitare di attendere diverse ore…”.
“Questo non è un problema per mio padre, abituato a svegliarsi al canto del gallo”. Livio, assai meno
nervoso rispetto all’inizio della visita, sorride alle parole della figlia e aggiunge “E ad andare a letto
con le galline”.
Quando padre e figlia sono usciti dallo studio, i due medici hanno uno scambio di opinioni.
“Non è banale conciliare le indicazioni teoriche con le esigenze reali dell’assistenza” dichiara Stefano.
“Basta il buon senso”.
“Già ma come si fa a… impararlo?”.
La lista degli esami diagnostici essenziali si pone come un riferi-
mento per i decisori degli Stati membri (dai ministeri ai direttori
dei laboratori diagnostici), in grado di migliorare l’appropriatez-
za. Si raccomanda che le indicazioni vengano introdotte nella
pratica tenendo conto delle specificità locali (caratteristiche de-
mografiche, peso delle malattie, priorità sanitarie, disponibilità
di trattamenti, esperienza del personale, eccetera).
La lista degli esami diagnostici essenziali si aggiunge e integra
la lista dei farmaci essenziali (Essential Medicines List) in uso da
ormai 40 anni e giunta alla sua 20a edizione per i farmaci degli
adulti e alla 6a per i farmaci pediatrici.
Una diagnosi tempestiva e accurata è fondamentale per raggiun-
gere un’assistenza di qualità centrata sul paziente. Oltre a questo
beneficio individuale garantisce benefici per la salute pubblica,
per esempio, la rapida individuazione di focolai di malattia infet-
tiva o la riduzione dell’uso inappropriato di antibiotici.
WHO model list of essential in vitro diagnostics. 2018.
Essential diagnostics: a lever for health systems reform? Lancet
2018;391:2080.
WHO. The selection and use of essential medicines. Report of the
WHO Expert Committee, 2017.
commento