2. febbraio 23, 2011
Eugenio Montale è stato uno dei massimi poeti del
Novecento. Nella sua lunghissima carriera di poeta ha
saputo dare un'originale interpretazione alle inquietudini
dell'uomo contemporaneo, ispirandosi ai maestri del
Simbolismo e del Decadentismo, rendendo estremamente
attuali le loro innovazioni; allo stesso tempo, la sua
influenza sui poeti italiani successivi è stata notevolissima.
Nato a Genova nel 1896, dove compì gli studi classici,
Montale trascorse infanzia e giovinezza tra il capoluogo
ligure e il paese di Monterosso, nelle Cinque Terre. Nel
1927 si trasferì a Firenze, prima collaboratore dell’editore
Bemporad e in seguito direttore del Gabinetto Scientifico
Letterario Vieusseux, posto da cui fu allontanato nel '38
per antifascismo. Mentre la sua fama di poeta cresceva, si
dedicò anche a traduzioni di poesie e testi teatrali,
soprattutto inglesi. Dopo la guerra si iscrisse al Partito
d'Azione e iniziò un'intensa collaborazione con varie
testate giornalistiche, tra cui il Corriere della Sera, per
conto del quale compì molti viaggi e si occupò di critica
musicale. Nella seconda metà del secolo Montale
raggiunse una fama internazionale, attestata anche dalle
numerose traduzioni di sue poesie in svariate lingue; nel
1967 fu nominato senatore a vita e nel 1975 gli fu
conferito il Nobel per la letteratura. Morì a Milano il 12
settembre 1981.
3. febbraio 23, 2011
La sua prima raccolta, Ossi di Seppia, fu pubblicata nel
1925 e raccoglie versi che Montale compose a partire
dal 1916 (i primi in assoluto furono quelli di Meriggiare
pallido e assorto ). Tema centrale delle poesie che
compongono questa raccolta dal titolo allusivo (gli ossi
di seppia come gusci vuoti, morti, che il mare riporta a
riva) è il male di vivere, la coscienza della sconfitta
dell'uomo irrimediabilmente prigioniero di un mondo di
cui gli sfuggono le premesse e le conseguenze.
E' l'angoscia, dunque, che spinge Montale a scrivere.
L'angoscia e la coscienza dell'inutilità di ogni battaglia;
tuttavia questa consapevolezza non gli fa assumere un
atteggiamento rassegnato. La certezza della sconfitta
non presuppone l'abbandono della speranza: se non è
possibile trovare una risposta all'inutilità del vivere, è
necessario conservare almeno l'aspirazione a che questo
possa un giorno avvenire.
4. febbraio 23, 2011
Un nuovo conflitto mondiale era alle porte quando nel 1939
Montale pubblicò la sua seconda raccolta poetica:
Le Occasioni . L’artista si estrania dal contatto con la realtà
sociale, rifugiandosi nella letteratura che diventa un baluardo
contro la rozzezza e la grossolanità delle ideologie imperanti,
ma anche contro il dilagare della civiltà di massa.
Protagoniste della poesia montaliana sono ora le figure
femminili: a loro il poeta affida gli unici segnali di salvezza
possibile. L’uomo, nella propria solitudine, cerca una precaria
consolazione nel ricordo dei momenti dolci e sereni vissuti con
le donne. Ma la memoria è fragile, il tempo oscura la mente.
E’ proprio questo il tema di “Non recidere, forbice, quel volto”,
il testo più famoso della sezione dei Mottetti: con questo
termine, tratto dal linguaggio musicale, Montale indica una
forma di poesia breve, caratterizzata da un’alta concentrazione
espressiva e da una raffinata elaborazione formale.
5. febbraio 23, 2011
Non recidere, forbice, quel volto, Non tagliare, forbice, il ricordo di quel volto,
solo nella memoria che si sfolla, sopravvissuto nella memoria che si va svuotando della gente
non far del grande suo viso in che ha conosciuto,
ascolto fa’ che il suo grande viso proteso in ascolto non venga
inghiottito dalla nebbia che sempre sfuma e cancella il
la mia nebbia di sempre. ricordo.
Un freddo cala...Duro il colpo Il freddo e implacabile colpo dell’accetta recide la cima della
svetta. pianta.
E l'acacia ferita da sé scrolla E l'acacia ferita lascia cadere
il guscio di cicala le spoglie della cicala
nella prima belletta di Novembre. nella fanghiglia di Novembre.
Il poeta chiede alla forbice di non rovinare il ricordo che sta emergendo a fatica nella memoria; non lo taglino, come fa
invece l’accetta quando recide la vetta dell’acacia: dai rami si stacca allora il guscio vuoto della cicala, simbolo del
passaggio dall’estate ai primi freddi autunnali.
7. febbraio 23, 2011
La bufera
Durante gli anni della seconda guerra mondiale Montale
compone i versi raccolti ne La bufera e altro, che secondo il
critico Franco Fortini sono tra i più difficili (in virtù di un
recupero di Mallarmé e dei simbolisti francesi). L'eco del
conflitto, qui, arriva a malapena; sembra che gli orrori e le
morti non possano incidere ulteriormente su un pessimismo
esistenziale già portato alle sue estreme conseguenze. Ciò
non ha mancato di deludere quanti si attendevano dal poeta
un impegno civile decisamente più vistoso, dato che durante
la dittatura la sua poesia era stata considerata da molti una
via di scampo ai toni trionfalistici del regime fascista. Il
pessimismo di Montale è ora venato da una sottile ironia,
probabilmente legata alla sua età. Con il distacco di un
vecchio, infatti, il poeta cede il passo ai toni sarcastici con
cui fustiga la società moderna, imbevuta di falsi miti e
chiacchiere inutili.
8. febbraio 23, 2011
La funzione della poesia
Cosa può offrire all'uomo, allora, la poesia? Qualche storta
sillaba e secca come un ramo, dice Montale. Non certo risposte,
né certezze. Tutt'al più la coscienza di ciò che non siamo e di ciò
che non vogliamo. La poesia ha valore in quanto documento del
male di vivere: essa è una forma di conoscenza, ha il compito di
indagare questa terribile condizione dell’uomo, assumendo il
valore di una insostituibile "testimonianza".
Da queste premesse scaturiscono le scelte e le intuizioni tecniche
del poeta; il quale, rifuggendo da uno stile alto e aulico, mira a
trovare una rappresentazione simbolica al dato oggettivo;
Montale vuole riuscire a evocare un'emozione attraverso la
precisa descrizione di fatti e oggetti del mondo reale (come, ad
esempio, nei famosi versi di Meriggiare pallido e assorto : E
andando nel sole che abbaglia / sentire con triste meraviglia /
com'è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una
muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia).
9. febbraio 23, 2011
Meriggiare pallido e assorto
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
(Eugenio Montale, Ossi di seppia)
10. febbraio 23, 2011
La poetica
Montale ha accompagnato la sua opera di poeta
con una intensa meditazione critica sui suoi
strumenti espressivi.
L’argomento della sua poesia è la condizione
dell’uomo in sé considerata; non questo o
quell’avvenimento storico; ciò non significa
estraniarsi da quanto avviene nel mondo,
significa solo coscienza, e volontà, di non
scambiare l’essenziale con il transitorio.
Montale occupa, nella cultura del Novecento, un
posto preminente come testimone profondo della
crisi del nostro tempo e come interprete
originalissimo, per la sua sensibilità e le sue
soluzioni stilistiche, della condizione spirituale
dell’uomo moderno.
11. febbraio 23, 2011
La poetica delle cose
In Ungaretti la parola si propone di esprimere
sensazioni indefinite e indeterminate,
accostando fra loro realtà antitetiche
mediante l’uso dell’analogia.
La parola di Montale, al contrario, non
allude, ma indica con precisione oggetti
definiti e concreti, stabilendo fra questi una
trama di relazioni complesse.
Alla "poetica della parola" di Ungaretti si
oppone così la "poetica delle cose" di
Montale. La scelta del poeta ligure cade poi
sulle "piccole cose", sugli elementi di una
realtà povera e comune che l’uomo può in
ogni momento trovare intorno a sé,
soprattutto nella natura. Ma Montale non
guarda a questa natura con gli occhi ingenui
e innocenti del "fanciullino" pascoliano; gli
oggetti, le immagini e le voci della natura
diventano per lui emblemi in cui è trascritto,
in forme oscure e cifrate, il destino
dell’uomo, nelle sue rare gioie e speranze,
ma soprattutto nell’infelicità di una
condizione esistenziale che non può offrire
certezze né illusioni.
12. febbraio 23, 2011
Il correlativo oggettivo
Montale non parla per astrazione, ma parte sempre da un dato
reale, da oggetti, che, in una precisa occasione, gli si offrono
come segnali per interpretare la realtà.
Anche i sentimenti e i concetti più astratti trovano la loro
definizione ed espressione (il loro corrispettivo, risultando così
"correlati") in "oggetti" ben definiti e concreti. Un esempio molto
chiaro è offerto dalla poesia " Spesso il male di vivere ho
incontrato", in cui questa terribile condizione esistenziale è
presentata non in forma concettuale, ma come un incontro diretto,
realmente accaduto lungo il percorso della vita, identificandosi in
alcune presenze concrete ("il rivo strozzato", "l’incartocciarsi
della foglia", "il cavallo stramazzato"), in cui viene tangibilmente
rappresentato.
13. febbraio 23, 2011
Spesso il male di vivere ho incontrato
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
(Eugenio Montale, Ossi di seppia)
14. febbraio 23, 2011
Non chiederci la parola
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
(Eugenio Montale, Ossi di seppia)
15. febbraio 23, 2011
Addii, fischi nel buio, cenni, tosse
e sportelli abbassati. È l'ora. Forse
gli automi hanno ragione. Come appaiono
dai corridoi, murati!
....................
- Presti anche tu alla fioca
litania del tuo rapido quest'orrida
e fedele cadenza di carioca? -
Addii, fischi nel buio, cenni, tosse
e finestrini abbassati. È l'ora (della partenza). Forse
gli automi hanno ragione. Come appaiono
dai corridoi (del treno), sepolti (vivi)!
....................
- Anche tu attribuisci al debole suono lamentoso del tuo treno
questo terribile
e insistente ritmo di (danza) carioca? -
16. febbraio 23, 2011
La donna angelo
Il tema dell’opposizione della donna all’inferno della
città e a una storia sempre più degradata è sviluppato
sino alle estreme conseguenze nelle Occasioni e si
concentra nel mito di Clizia, la protagonista della lirica
precedente. Nel 1933 era comparsa nella vita di
Montale Irma Brandeis , una giovane studiosa
americana: la donna prende il nome mitologico di
Clizia ed è associata al simbolo del girasole. Clizia ha
gli attributi contrastati del fuoco e del gelo e incarna i
valori umanistici della cultura minacciati dalla barbarie
fascista. Clizia diventa la nuova Beatrice e assume
connotati soprannaturali: è la donna-angelo che
scende dalle “alte nebulose” a visitare il poeta nella
poesia successiva, “ Ti libero la fronte dai ghiaccioli ”,
dove la fronte rinvia alla decisione e al coraggio e le ali
alla natura sovraumana del valore che la donna
rappresenta.
17. febbraio 23, 2011
Ti libero la fronte dai ghiaccioli Ti libero la fronte dai ghiaccioli della condensa
che raccogliesti traversando l’alte
nebulose; hai le penne lacerate che si formò quando attraversasti
dai cicloni, ti desti a soprassalti. le nuvole alte; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti risvegli con affanno.
Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l’ombra nera, s’ostina in cielo un sole
freddoloso; e l’altre ombre che scantonano E’ mezzogiorno: nel riquadro della finestra il nespolo allunga
nel vicolo non sanno che sei qui.
la sua ombra nera, si ostina in cielo un sole
freddoloso; e le altre figure umane che passano veloci
nel vicolo non sanno che sei qui.
In questi versi composti nel 1940 Montale immagina che Clizia (che si trova negli Stati Uniti) torni da lui, volando
attraverso lo spazio, come un angelo. Ma è una donna fragile, Clizia, e bisognosa di tenerezza: la sua esistenza
misteriosa è ignorata dalle persone la cui ombra si intravede dalla casa del poeta; e lui custodisce gelosamente il
segreto di quell’improvvisa apparizione.
Ti libero la fronte dai ghiaccioli.m4a
18. febbraio 23, 2011
La casa dei doganieri
Tu non ricordi la casa dei doganieri
Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: (che stava) su un rilievo a picco sulla costa di scogli:
desolata t'attende dalla sera ti aspetta abbandonata dalla sera
in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri in cui vi entrò la ricchezza dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto. e vi si fermò con inquieta vivacità.
Il vento Libeccio colpisce da anni le sue vecchie mura
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più felice:
e il suono del tuo riso non è più lieto: la bussola si muove senza senso da una parte e dall’altra
la bussola va impazzita all'avventura e la somma dei dadi non è più corretta.
e il calcolo dei dadi più non torna. Tu non ricordi; una diversa dimensione temporale distrae la tua memoria;
Tu non ricordi; altro tempo frastorna si riaggomitola un filo.
la tua memoria; un filo s'addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà. Ne tengo ancora un capo; ma la casa si allontana
Ne tengo un capo; ma tu resti sola e la banderuola affumicata in cima al tetto gira senza interruzione.
né qui respiri nell'oscurità. Ne tengo un capo; ma tu resti sola e non respiri qui (con me) nel buio.
Oh l’orizzonte che si allontana, sul quale raramente si accende la luce di una petroliera!
Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende E’ qui il passaggio? (L’onda che si rompe riappare ancora sul precipizio che scende...)
rara la luce della petroliera! Tu non ricordi la casa di questa mia sera. Ed io non so chi (di noi due) va e chi resta
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende...)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
La casa dei doganieri (lettura di Franco Graziosi).m4a
19. febbraio 23, 2011
L’ispiratrice di questa poesia, scritta nel 1930, è Annetta (o Arletta), una ragazza che Montale frequentò in gioventù, al
tempo dei soggiorni estivi a Monterosso. Molto tempo è passato da allora, e Annetta è scomparsa dalla vita del poeta:
Montale si ricorda della casa dei doganieri , di Annetta, e le invia una desolata cartolina d’amore con questi versi che
riprendono il tema della memoria e della fuga del tempo. La casa alta sulla scogliera, circondata dall'aspro paesaggio
ligure, con quella banderuola che gira ininterrottamente, testimonia la difficoltà di comunicare, di amare, d'instaurare un
rapporto che resista al tempo. E l'interrogativo del poeta, teso in questa disperata ricerca, è sempre il medesimo: il
varco (la salvezza) è qui?