Durate il corso di Formazione ECM dal titolo "Le violenze collettive nelle comunità contemporanee. Il Dialogo come metodo terapeutico" di Piazza Armerina Convegno Angela Volpe ci ha parlato di pratiche non violente nelle comunità terapeutiche.
Formazione di qualità gruppale - Forum nazionale visiting - Milano 2016 - com...
La Comunità Terapeutica Democratica come pratica non violenta.
1. La Comunità Terapeutica
Democratica come pratica non
violenta
Angela Volpe, psicologa,
psicoterapeuta gruppoanalista,
supervisore di CT
Convegno ‘Le violenze collettive nelle
comunità contemporanee. Il Dialogo come
metodo terapeutico’
Piazza Armerina
5-6 dicembre 2016
2. Violenze collettive
F. Sironi: ‘La psicologia geopolitica clinica (…) ha l’obiettivo di
osservare, descrivere, analizzare, teorizzare e trattare l’effetto
‘normale’, ‘psicopatologico’ o ‘sociopatologico’ dell’articolazione fra
la storia collettiva e storia individuale su ciascuno di noi e su
un’intera società.
3. Violenze collettive
‘Le violenze della storia collettiva hanno un forte impatto sulla
psicologia dei singoli individui’.
‘Per capire la psicopatologia di un soggetto non basta analizzare gli
avvenimenti individuali della sua vita. Bisogna capire come abbia
attraversato la storia collettiva e in che maniera essa lo abbia segnato,
perché questo consente di precisare il senso da attribuire ai sintomi’
(F. Sironi, 2010).
4. Individuo e società: Foulkes
Per il Foulkes “radicale” la mente viene considerata un “fenomeno
interpersonale” (successivamente definito ‘transpersonale’)
“Non penso che la mente sia fondamentalmente interna alla persona in quanto
individuo [...]. La mente definita di solito intrapsichica è propria del gruppo,
e i processi che avvengono sono dovuti alle interazioni dinamiche in questa
matrice comunicativa” (Foulkes 1974)
Quello che è dentro è fuori, il “sociale” non è esterno bensì anche molto
interno e penetra l’essenza più intima della personalità individuale.
La struttura della psiche diventa così specifica e dipendente dalla collocazione
all’interno del contesto socioeconomico, culturale e politico.
La salute mentale dell’individuo dipende dalla sua comunità.
5. Foulkes e la gruppoanalisi
“L’individuo non è soltanto dipendente dalle condizioni materiali, per esempio
economiche, climatiche, del suo mondo circostante e della comunità, del
gruppo in cui vive, le cui richieste sono trasmesse a lui attraverso i genitori
o da figure genitoriali, ma è letteralmente permeato da esse.
Egli è parte di una rete sociale, un piccolo punto nodale, per così dire, in
questa rete e può solo artificialmente essere considerato isolatamente, come
un pesce fuor d’acqua” (Foulkes 1948)
6. Individuo e società: Foulkes
La salute viene definita da Foulkes come il libero fluire della comunicazione
nella rete, nella comunità
Ne consegue che “la malattia mentale esprime in sostanza una difficoltà di
integrazione nella comunità, un disturbo nella comunicazione […].
Diventare consci, verbalizzare e comunicare, sono parti integranti del processo
terapeutico. È estremamente probabile che descrivano lo stesso processo”
(Foulkes Antony 1957)
7. Salute mentale: definizione
Nel Libro Verde, redatto nel gennaio 2005, la Commissione Europea estende l’approccio
bio-psico-sociale della salute mentale, elaborandone una rivoluzionaria visione comunitaria
e provando a darne una definizione articolata sia sul livello individuale che sul livello
sociale.
La condizione psichica delle persone è determinata da una molteplicità di fattori : biologici
(per es. genetici, legati al genere), individuali (per es. esperienze personali), familiari e sociali
(per es. assistenza sociale), economici e ambientali (per es. posizione sociale e condizioni di
vita).
(Libro Verde sulla salute mentale della Commissione Eu, Helsinki 2005)
8. Patologia mentale e disagio psico-socio-economico
“Innumerevoli ricerche hanno mostrato che il problema mentale è
biopsicosociale, che le variabili macro e microeconomiche pesano sulle
politiche di salute mentale e che le culture locali sono variabili importanti
di un progetto di salute rispettoso dei diritti umani” (Barone, Bellia,
2000a).
Povertà e violenza producono infatti sia problemi psichiatrici che problemi
sociali
9. Patologia mentale e disagio psico-socio-economico
Numerose condizioni di disagio psicologico e sociale sono generate da
situazioni di vita difficili (come la povertà, l’emigrazione forzata, la violenza,
l’abbandono nell’infanzia e nell’adolescenza) e/o dall’emarginazione sociale
(dovuta a malattia, handicap, status sociale, condizioni politiche) che può
colpire singoli individui, famiglie o gruppi più ampi fino ad intere comunità
(Barone, Bellia, Bruschetta, 2010a). Condizioni psico-sociali, queste, da
sempre considerate “associate” alla patologia mentale dalle classificazioni
nosografiche riconosciute dalla comunità scientifica internazionale (sistema
DSM e sistema ICD).
10. Violenza e psiche
‘Le violenze psichiche o psicologiche sono potenti marcatori
psichici. (…) Sono sempre a sé stanti, non sono amalgamati con altri
tipi di ricordi. Alcuni di essi costituiranno il terreno di coltura di
futuri passaggi all’atto della vendetta. Altri, o gli stessi, saranno alla
base di un profondo impegno di non violenza’ (F. Sironi, 2010).
11. Violenza e psicopatologia
Molte forme di violenza (nella guerra, nei traumi intenzionali, nel
terrorismo, nella mafia, nella violenza di genere, nell’abuso, ecc.)
agiscono attaccando il legame tra l’individuo e la collettività o i
legami collettivi, la coesione, l’appartenenza.
Anche alcune trasformazioni della società postmoderna, le
rivoluzioni tecnologiche, la globalizzazione, le migrazioni, generano
nuovi comportamenti umani, nuove paure, nuove psicopatologie,
queste ultime spesso collegate allo smagliamento delle reti
relazionali e comunitarie e allo sfaldamento dei legami collettivi e
sociali .
12. Curare i legami e promuovere i diritti
La cura della persona con sofferenza psichica è strettamente
connessa alla creazione di dispositivi terapeutici che si occupino
della cura dei legami e del benessere relazionale.
La cura della persona con sofferenza psichica è anche strettamente
connessa alla promozione dei diritti (casa, lavoro, relazioni),
13. Psicoterapia di comunità
«Se accettiamo l’ipotesi costruzionistica della fondazione della psiche
sulle dinamiche socio-politiche che animano i contesti antropologici di
appartenenza degli individui, allora la Psicoterapia di Comunità (ma forse
anche ogni altra psicoterapia) ha come mandato sociale la costruzione di
comunità che siano terapeutiche: non istituzioni allocative, né tanto
meno semplicemente residenziali, bensì comunità locali e contesti di vita,
dove siano possibili quei transiti e quelle trasformazioni evolutive
fondamentali per la salute mentale di ogni individuo che ne faccia parte».
(Dal ‘Manifesto per una psicoterapia di comunità a sostegno della partecipazione sociale: la psicoterapia individuale e quella di gruppo
rispondono ancora ai bisogni di cura della società?’ Simone Bruschetta, Vincenzo Bellia, Raffaele Barone in Plexus, Rivista del
Laboratorio di Gruppoanalisi)
14. Psicoterapia di comunità
Tutto ciò che migliora la salute mentale di una comunità locale, se realizzato in
un contesto relazionale, attuato attraverso un servizio professionale, orientato da
una teoria dei processi mentali e regolato da una contrattazione esplicita, è da
intendersi come Psicoterapia di comunità (Barone, Bellia, Bruschetta,
2010).
15. Comunità terapeutica e Psicoterapia di comunità
La comunità terapeutica può in quest’ottica configurarsi come un punto
nodale, un dispositivo terapeutico della rete comunitaria nel quale la
persona con sofferenza psichica possa transitare e ricostruire/riparare
trame relazionali ed affettive, co-costruirne di nuove, sperimentare un buon
attaccamento, una partecipazione attiva e l’esercizio dei diritti di
cittadinanza in un contesto che sia fondato sui principi della Democrazia,
della Solidarietà e del valore della Diversità (Haigh, 2013; Barone &
Bruschetta, 2014)
16. La comunità terapeutica
Il termine Comunità terapeutica (CT) si fa risalire a Tom Main (1946) che la
descrive come “un tentativo di utilizzare l’ospedale[…] come una comunità
il cui scopo immediato è la partecipazione alla vita quotidiana di tutti i suoi
appartenenti, mentre l’obiettivo finale è la reintegrazione dell’individuo nella
vita sociale”
L’esperimento di Northfield, è il primo tentativo, ed il primo esempio, di
realizzazione della prevenzione della cronicità e del cambiamento del ruolo
passivo del malato psichiatrico, attraverso l’introduzione della dimensione
del sociale nell’intervento riabilitativo.
17. La comunità terapeutica
Wilfred Bion per primo (Primo Esperimento di Northfield) e subito dopo
Harold Bridger, ma anche D. Clark, T. Main e S.H. Foulkes (Secondo
Esperimento di Northfield), e al contempo Maxwell Jones in altro ospedale
(Mill Hill) contribuirono allo sviluppo di idee, provenienti dal retaggio
culturale di quel momento storico molto particolare. L’esperienza del PET; le
esperienze di Rickman e Bion sui gruppi e sulla riabilitazione attraverso i
gruppi; il retaggio culturale umanistico dei quaccheri ancora presente in varie
attività; tutto questo creò il terreno culturale adatto per l’applicazione, in
ospedale, di un approccio umanistico, globale e gruppale, che spingeva sempre
più verso l’empowerment, ovvero la responsabilizzazione di tutto l’ospedale e
dei suoi utenti, coalizzati contro il nemico “malattia mentale”.
18. L’approccio di comunità
David Clark, fu responsabile della trasformazione negli anni ’60 del manicomio di
Cambridge, Fulbourne Hospital, in decine di comunità alloggio e terapeutiche. A lui
dobbiamo la definizione esecutiva di “approccio di Comunità Terapeutica” come un
insieme di sei norme operative:
libertà di comunicazione all’interno dell’organizzazione
analisi di tutti gli eventi nella comunità
offerta di opportunità per tutti di apprendere dall’esperienza
appiattimento della piramide gerarchica dell’autorità
costante esame dei ruoli che staff e residenti svolgono sia nei riguardi dell’istituzione
sia nei rapporti reciproci
il community meeting, l’incontro assembleare quotidiano della comunità
19. La comunità terapeutica
La CT, in quanto dispositivo di cura, può essere pensato come un
grande set(ting), ossia come ‘un campo esperenziale nel quale la
relazione che si va strutturando e intrecciando, all’interno di
particolari coordinate formali, istituisce un campo mentale
specifico, una matrice in continua evoluzione’ (Giannone, Lo Verso,
1997)
Essa svolge nel suo insieme una funzione mentalizzante e socializzante ,
il cui significato terapeutico più saliente risiede nella interazione
comunitaria tra tutte le persone e le componenti in gioco (Barone,
Bellia, Bruschetta, 2010).
20. La comunità terapeutica
Tale campo mentale contransferale si articola lungo 4 dimensioni spazio-
temporali:
- Il qui ed ora
- Il qui e allora
- Il lì e ora
- Il lì e allora
(Hopper, 1994; 1996)
A queste se ne aggiunge una quinta
- Il lì e altrove (Barone, Bellia, Bruschetta, 2010)
Costante esercizio di pensiero sulla complessità di tale campo mentale
terapeutico
21. La comunità terapeutica
La funzione di autosservazione e quella ‘autoriflessiva’ (Hinshelwood, 1987)
del gruppo permette di immettere ciascun membro della comunità nella
dimensione partecipativa.
Tuttavia ciò da solo non è sufficiente a sostenere un processo di guarigione
dalla grave patologia mentale.
I processi terapeutici realmente efficaci della CT si raggiungono solo
attraverso la compresenza di programmi di terapia gruppale comunitaria e di
inclusione socio-lavorativa.
22. La comunità terapeutica
Obiettivi degli interventi clinico-sociali:
- Promuovere un senso di appartenenza ad uno o più gruppi, da parte degli utenti, degli
operatori e dei familiari sviluppando legami e reti di sostegno emotivo-affettivo,
economico-materiale e formativo-informativo
- Incoraggiare l’evoluzione dei gruppi curanti, dei gruppi familiari, dei gruppi di referenza
istituzionale, in gruppi di lavoro multiculturali
- Promuovere l’autonomia e l’auto-sostegno del paziente, sviluppando relazioni di
interdipendenza caratterizzate da coinvolgimento, partecipazione, reciprocità, all’interno
e all’esterno della comunità
- Progettare le dimissioni dei pazienti dalle comunità terapeutiche, programmando il loro
svincolo dai contesti residenziali e la presa in carico locale-comunitaria (Barone, Bellia
Bruschetta, 2010)
23. Rischi delle comunità terapeutiche
Quando le attività terapeutiche di una comunità non sono autenticamente
orientate a questi obiettivi, si possono tramutare in fattori anti-terapeutici:
- La mancante o vaga definizione dei percorsi di uscita
- La trans-istituzionalizzazione dei pazienti
- L’abuso farmacologico
- L’infantilizzazione dei pazienti
- La mancanza di un progetto terapeutico co-costruito
- La delega totale sulla presa in carico del paziente
- L’autoreferenzialità degli operatori psico-sociali e amministrativi
- La grande numerosità dei pazienti
24. DEFINIZIONE DI COMUNITA’ TERAPEUTICA DEMOCRATICA
Service Standards for Therapeutic Communities
8th Edition - 2014
Una Comunità Terapeutica è:
un Ambiente di Vita e di Lavoro Pianificato in senso Terapeutico, che
utilizza il valore terapeutico dei processi sociali e gruppali.
Esso promuove una convivenza gruppale (9) egualitaria (7) e
democratica (1) in un ambiente mutevole (8), permissivo (2), ma sicuro
(3).
I problemi emotivi ed interpersonali sono affrontati discutendone
apertamente (4) ed i membri possono così costruire relazioni di fiducia
(6).
I feedback reciproci aiutano i membri a condividere i propri problemi
ed a sviluppare la consapevolezza delle proprie azioni interpersonali (5).
25. PRINCIPI DELLA COMUNITA’ TERAPEUTICA-CofC 2014
1. Democrazia, Partecipazione: Permette alle parti sane della personalità di emergere
ed essere usate (ad es. autogestione e altruismo)
2. Permissivismo, Tolleranza: Permette che i comportamenti difficili si verifichino.
Incoraggia l'espressione, rivelazione di sé e l'assunzione di responsabilità individuale e
collettiva
3. Sicurezza, Confini: Il contenimento psicologico può essere sperimentato e
interiorizzato
4. Comunicazione, Apertura alla Discussione Autentica: Facilita l'espressione della
sofferenza e la comprensione delle sue cause
5. Facilitazione del Confronto con la Realtà: Le conseguenze delle azioni sono chiare
per gli individui e il gruppo
26. PRINCIPI DELLA COMUNUTA’ TERAPEUTICA-CofC 2014
6. Fiducia, Informalità: Permette la fiducia di svilupparsi e incoraggia la giocosità
terapeutica
7. Uguaglianza, Assenza di Gerachia: Dimostra che tutti i membri sono valutati in
modo uguale
8. Ambiente variabile: Permette l'interazione in diverse situazioni e il reciproco esame
delle varie sfaccettature della personalità
9. Comunitarismo, Vita di Gruppo: Aiuta i clienti membri ad esplorare tutte le loro
interazioni e fornire opportunità per la sperimentazione di nuovi comportamenti in
situazioni reali
27. Haigh, R. (1999). La Quintessenza di un ambiente
terapeutico:
In P. Campling & R. Haigh (Eds), Therapeutic communities: Past, present and future
(pp.246-257). London: Jessica Kingsley.
1. Attaccamento: (sentimento di appartenenza)
2. Contenimento: (ambiente sicuro)
3. Comunicazione: (apertura alla diversità)
4. Coinvolgimento: (partecipazione e cittadinanza)
5. Agency: (empowerment e recovery)