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Reddito Incondizionato
Reddito
Incondizionato
Apologia di una proposta rivoluzionaria.
25 luglio 2019
Mirco Mariucci
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Quarta di copertina
Quarta di copertina
All’interno di quest’opera l’autore analizza la
fattibilità economica e le implicazioni sociali di
una misura rivoluzionaria: l’istituzione di un
reddito di esistenza universale incondizionato.
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Reddito Incondizionato
Indice dell’Opera
Quarta di copertina........................................2
Indice dell’Opera............................................3
Reddito di esistenza incondizionato..............4
Come finanziare il reddito di esistenza?........6
Metodo n.1: tagliare il welfare........................7
Metodo n.2: redistribuire la ricchezza..........11
Metodo n.3: redditi da signoraggio..............16
Metodo n.4: utilizzare i profitti....................23
Metodo n.5: condividere la ricchezza..........28
Metodo n.6: eliminare le attività nocive......29
Metodo n.7: soluzioni innovative e/o miste 33
La questione del disincentivo al lavoro.......35
Approccio teorico.........................................53
Approccio empirico.......................................71
Qual è il giusto importo da erogare?...........90
Punti di forza................................................95
Profitto e controllo sociale..........................101
Reddito incondizionato ed ecologia...........106
Per approfondire.........................................110
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Reddito di esistenza incondizionato
Reddito di esistenza incondizionato
All’interno di questo saggio analizzeremo la fat-
tibilità economica e le implicazioni sociali di
una proposta semplice ma rivoluzionaria, vale a
dire l’istituzione di un reddito incondizionato.
Nella sua versione più generale, tale misura
prevede l’elargizione, ad intervalli di tempo re-
golari, di una certa somma di denaro donata a
tutti gli esseri umani presenti sulla Terra, senza
chiedere nulla in cambio.
Ad esempio, in una ipotetica società dove fosse
in vigore un reddito incondizionato, ogni indivi-
duo riceverebbe 500 euro al mese, fin dalla na-
scita, solo ed esclusivamente per il fatto di esi-
stere. Per questo motivo il reddito incondizio-
nato viene anche chiamato reddito di esistenza.
Da un punto di vista pratico questa misura può
essere implementata in molti modi differenti,
modulando l’entità del beneficio economico, op-
pure scegliendo di erogare una parte del sussi-
dio in termini di beni e servizi.
Tutto ciò è senz’altro legittimo, a condizione che
non venga meno una qualità essenziale, quella
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Reddito Incondizionato
che caratterizza il reddito di esistenza: l’assenza
di condizioni.
Infatti, se così non fosse, si ricadrebbe nella ca-
sistica del reddito condizionato.
Se il reddito incondizionato non viene erogato a
tutta la popolazione mondiale, ma soltanto ad
un suo sottoinsieme, allora esso, a rigor di ter-
mini, non può più definirsi “universale”.
Ciò accade quando il reddito incondizionato è
assegnato soltanto ai cittadini di una certa na-
zione; in tal caso, si può propriamente parlare
di reddito di cittadinanza.
Ulteriori varianti delle implementazioni del red-
dito incondizionato sono quelle che prevedono
di dare ai minorenni un reddito inferiore rispet-
to a quello dei maggiorenni o, addirittura, di
erogare il suddetto beneficio economico soltan-
to agli individui che abbiano compiuto la mag-
giore età.
Per fissare le idee, effettueremo le nostre rifles-
sioni analizzando un caso concreto, quello del-
l'Italia, immaginando di voler istituire un reddi-
to incondizionato che assicurasse un importo
mensile di 500 euro a tutti gli individui maggio-
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Reddito di esistenza incondizionato
renni in possesso della cittadinanza: stiamo
parlando di una platea composta all'incirca da
50 milioni di persone.
Come finanziare il reddito di esisten-
za?
Cominciamo la nostra analisi occupandoci degli
aspetti economici, perché, di solito, la prima
critica che viene mossa contro l’istituzione di un
reddito incondizionato è proprio la sua insoste-
nibilità economica.
Del resto, per dare anche solo 500 euro al mese
a 50 milioni di persone si dovrebbero trovare
500 euro x 12 mesi x 50 milioni di persone =
300 miliardi di euro all’anno! E la cifra salireb-
be a 468 miliardi, se il beneficio economico fos-
se di 780 euro al mese.
Si consideri che il bilancio dello Stato italiano è
prossimo agli 850 miliardi, perciò c'è chi si af-
fretta a concludere che il reddito d'esistenza sia
economicamente impossibile da implementare.
Fortunatamente, questa impossibilità è soltanto
presunta: esistono almeno 6 modi per finanzia-
re il reddito di esistenza e alcuni di essi potreb-
bero essere attuati all’interno dell’odierno para-
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Reddito Incondizionato
digma economico addirittura a costo zero per le
casse dello Stato, salvaguardando tutti i servizi
pubblici preesistenti.
Metodo n.1: tagliare il welfare
Ancor prima d’illustrare questa proposta, pre-
metto che ho deciso di citarla soltanto per com-
pletezza e per allertare i lettori avvisandoli che
una sua eventuale applicazione sarebbe a dir
poco disastrosa per le classi sociali più povere.
Spieghiamo subito il perché.
Andando a guardare le voci di bilancio ci si ac-
corge che, nel suo complesso, le politiche di
welfare pesino, grosso modo, 450 miliardi di
euro all’anno: una cifra assai più alta di quella
che servirebbe per istituire un reddito incondi-
zionato pari a 500 euro al mese.
Pertanto i sostenitori di questa soluzione diran-
no: «Volete un reddito incondizionato? Benissi-
mo, affinché esso sia sostenibile bisognerà ri-
sparmiare sul welfare, privatizzando alcuni
servizi pubblici... del resto, se invece di garan-
tire l’accesso gratuito a dei servizi, lo Stato
erogasse ai cittadini un reddito di pari importo
rispetto alla spesa che utilizzava per il loro
funzionamento, tutti quanti potrebbero co-
7/110
Metodo n.1: tagliare il welfare
munque usufruire delle prestazioni di cui
avrebbero bisogno pagandole all’occorrenza» e
invece no: è questa la trappola in cui non dovete
cadere!
Un servizio pubblico gratuito assicura un acces-
so universale; un servizio privato assicura l’ac-
cesso soltanto a chi è in grado di pagare le pre-
stazioni.
Si pensi, ad esempio, alla sanità: è soltanto ri-
partendo il costo complessivo dei servizi erogati
sulla collettività che tutti quanti possono avere
la certezza di potersi curare in caso di necessità;
far pagare ai singoli cittadini le prestazioni di
cui forse avranno bisogno significherebbe esclu-
dere in partenza i soggetti più poveri.
Dire che per garantire un reddito incondiziona-
to di 500 euro al mese a tutti i maggiorenni si
deve essere disposti a pagare lo scotto di una
completa privatizzazione della sanità, significa
dire che soltanto i ricchi potranno curarsi.
500 euro al mese sarebbero a malapena suffi-
cienti per alimentarsi e coprire le spese della
propria abitazione e, di certo, con ciò che rimar-
rebbe di essi, non si riuscirebbe a pagare nean-
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Reddito Incondizionato
che un semplice consulto medico, figuriamoci
un’operazione!
Di fatto, non cambierebbe nulla, se non in peg-
gio, se l’importo del reddito fosse più elevato,
arrivando ai fatidici 780 euro al mese, un obiet-
tivo che, conti alla mano, potrebbe essere rag-
giunto eliminando completamente ogni voce di
spesa per le politiche sociali.
In tal caso, infatti, i cittadini più poveri non solo
non riuscirebbero a pagare le prestazioni occa-
sionali, come quelle mediche, ma non riuscireb-
bero neanche ad accedere a dei servizi basilari
come l’istruzione!
Nonostante le eclatanti problematiche a cui si
andrebbe incontro finanziando il reddito incon-
dizionato così come appena specificato, questa
proposta viene comunque portata avanti da cer-
ti politici corrotti dall’ideologia neoliberale.
Il loro vero scopo, infatti, non è quello di offrire
il miglior servizio a tutti i cittadini, aiutando in
particolar modo i poveri, ma di privatizzare i
servizi pubblici, così che qualche attore econo-
mico possa utilizzarli ancor meglio per realizza-
re profitto a danno della collettività.
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Metodo n.1: tagliare il welfare
In tal caso, la proposta di finanziare il reddito
incondizionato tagliando il welfare farebbe pro-
prio al caso loro e l’istituzione di un sussidio per
aiutare i poveri verrebbe utilizzato come un
espediente per raggiungere i loro veri obiettivi.
Per quanto fin qui sostenuto il mio monito è il
seguente: state alla larga da tutte quelle forze
politiche che proporranno di istituire il reddito
incondizionato andando a recuperare i fondi ta-
gliando lo Stato sociale.
Nonostante la propaganda e la retorica con cui
questa razza di vipere cercherà di convincervi
del contrario, un reddito incondizionato così fi-
nanziato non sarebbe affatto sufficiente per vi-
vere in modo dignitoso.
E la sua istituzione, invece di aiutare i più debo-
li, finirebbe per condannare alla miseria un’am-
pia fetta di popolazione, non per colpa del red-
dito incondizionato in sé, ma di una sua scelle-
rata implementazione.
Vi sono delle alternative decisamente migliori
per ottenere il medesimo obiettivo, senza dan-
neggiare in alcun modo le cassi più deboli; uno
di essi è riportato qui di seguito.
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Reddito Incondizionato
Metodo n.2: redistribuire la ricchezza
Basta suddividere il PIL dell’Italia per il numero
dei destinatari del beneficio economico che stia-
mo proponendo di attuare per rendersi imme-
diatamente conto che ciò che impedisce di isti-
tuire un reddito incondizionato non è di certo la
mancanza di ricchezza ma una sua iniqua ripar-
tizione.
Nel 2018, infatti, il PIL dell’Italia era prossimo
ai 1.700 miliardi di euro che, diviso per 50 mi-
lioni d’individui, fa 34.000 euro a testa all’anno,
corrispondenti a poco più di 2.830 euro al
mese.
Ma noi per finanziare la nostra misura abbiamo
bisogno soltanto di 6.000 euro per ogni indivi-
duo, nel caso volessimo istituire un reddito pari
a 500 euro al mese, o al più di 9.360 euro, nel
caso in cui il beneficio economico fosse di 780
euro al mese, e non di 34.000 euro!
Pertanto è del tutto evidente che una semplice
manovra redistributiva sarebbe più che suffi-
ciente per finanziare un reddito incondizionato
in modo perfettamente sostenibile. Il punto
quindi è come redistribuire la ricchezza.
11/110
Metodo n.2: redistribuire la ricchezza
Ve lo spiego subito: ci sono tre metodi per cal-
colare il PIL e uno di essi, quello del reddito, ci
dice che il PIL corrisponde alla sommatoria dei
salari e dei redditi da capitale.
Questa identità ci suggerisce di procedere al se-
guente modo: si tassano tutti i profitti, le rendi-
te e gli stipendi, al netto del pagamento delle
imposte, fissando una percentuale uguale per
tutti. Così facendo si sarà recuperata una certa
quota di PIL.
L’importo ricavato attraverso questa operazione
va fatto confluire in un fondo comune che verrà
utilizzato in modo opportuno per finanziare il
reddito di esistenza.
La cifra ricavata potrà essere suddivisa per il
numero degli aventi diritto, ottenendo così l’im-
porto del beneficio economico individuale che
verrà accreditato mensilmente a tutti gli aventi
diritto.
Immaginiamo che una tassazione del 25% sia
sufficiente per recuperare una porzione del PIL
tale da riuscire a finanziare un reddito incondi-
zionato di 500 euro al mese per 50 milioni di
italiani. Che cosa accadrebbe all’atto pratico?
12/110
Reddito Incondizionato
Analizziamo gli scenari caso per caso. Chi non
ha alcun reddito non paga nulla, ma percepisce
500 euro al mese. In tal caso, il beneficio è mas-
simo.
Chi guadagna 500 euro netti al mese paga il
25% di imposte (125 euro), ma riceve 500 euro;
così facendo il suo reddito sale da 500 euro net-
ti al mese a 500 – 125 + 500 = 875 euro al
mese. In tal caso il beneficio è di 375 euro.
Chi guadagna 1.000 euro netti al mese paga il
25% di imposte (250 euro), ma riceve 500 euro;
così facendo il suo reddito sale da 1.000 euro
netti al mese a 1.000 – 250 + 500 = 1.250 euro
al mese. In tal caso il beneficio è di 250 euro.
Chi guadagna 1.500 euro netti al mese paga il
25% di imposte (375 euro), ma riceve 500 euro;
così facendo il suo reddito sale da 1.500 euro
netti al mese a 1.500 – 375 + 500 = 1.625 euro
al mese. In tal caso il beneficio è di 125 euro.
Chi guadagna 2.000 euro netti al mese paga il
25% di imposte (500 euro), ma riceve 500 euro;
così facendo il suo reddito resta invariato per-
ché 2.000 – 500 + 500 = 2.000 euro al mese.
In tal caso non si ha nessun beneficio: abbiamo
individuato il punto di equilibrio! Ciò significa
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Metodo n.2: redistribuire la ricchezza
che tutti i percettori di redditi netti superiori ai
2.000 euro al mese finanziano la manovra.
Ad esempio, chi guadagna 3.000 euro netti al
mese paga il 25% di imposte (750 euro), ma ri-
ceve 500 euro; così facendo il suo reddito dimi-
nuisce da 3.000 euro netti al mese a 3.000 –
750 + 500 = 2.750 euro al mese. In tal caso egli
finanzia la misura con un contributo di 250
euro al mese.
Chi guadagna 5.000 euro netti al mese, paga il
25% di imposte (1.250 euro), ma riceve 500
euro; così facendo il suo reddito diminuisce da
5.000 euro netti al mese a 5.000 – 1.250 + 500
= 4.250 euro al mese. In tal caso egli finanzia la
misura con un contributo di 750 euro al mese...
e così via.
Così facendo si è stabilito un meccanismo auto-
matico di redistribuzione della ricchezza che
opera secondo la seguente filosofia: più si è po-
veri, meno si contribuisce e più si riceve; più si è
ricchi, più si contribuisce e meno si riceve.
Vi è poi un valore critico di soglia, che nel no-
stro esempio corrisponde ad un reddito pari a
2.000 euro netti al mese, superato il quale si di-
venta contributori netti.
14/110
Reddito Incondizionato
I valori precedentemente esposti a titolo di
esempio variano in funzione della percentuale
di tassazione stabilita per finanziare la misura,
della platea degli aventi diritto al beneficio eco-
nomico e del PIL realizzato in un dato anno,
ma, con le dovute valutazioni del caso, possono
essere calcolati a priori con un’accuratezza suf-
ficientemente elevata.
Osserviamo che se la tassazione per finanziare il
reddito rimane fissa, e la platea dei beneficiari
resta costante, l’entità del sussidio economico
erogato varia con la variazione del PIL.
In altri termini, se il PIL aumenta, si accresce
anche il reddito incondizionato, se il PIL dimi-
nuisce, anche l’importo del reddito si riduce.
Se lo si ritiene opportuno, entro certi limiti,
l’importo del reddito incondizionato può essere
reso indipendente dalle variazioni del PIL mo-
dificando il livello di tassazione, a patto che i
complessivi livelli di ricchezza si mantengano
sufficientemente elevati per finanziare la misu-
ra.
Concludiamo facendo notare al lettore che,
adottando questa metodologia di finanziamen-
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Metodo n.2: redistribuire la ricchezza
to, per istituire il reddito incondizionato non ci
sarebbe alcuna necessità di effettuare dei tagli
al welfare, e si potrebbe così evitare di privatiz-
zare ciò che invece dovrebbe rimanere pubblico.
A mio avviso quella appena illustrata rappre-
senta la migliore strategia da proporre e adotta-
re se si volesse prendere in seria considerazione
l'idea di introdurre un reddito incondizionato
nell'attuale fase storica, agendo all'interno del-
l'odierno paradigma economico, senza rimetter-
lo in discussione.
Motiverò questa scelta più avanti, effettuando
una sorta di simulazione teorica al fine di preve-
dere gli effetti di una simile misura. Al momen-
to, invece, vorrei sottolineare che vi sono degli
ulteriori metodi per finanziare il reddito incon-
dizionato, non meno importanti rispetto a quel-
lo appena discusso, che mi accingo ad illustrare.
Metodo n.3: redditi da signoraggio
Nel senso più ampio del termine, possiamo de-
finire “reddito da signoraggio” l’insieme dei red-
diti derivanti dalla creazione e dall’emissione di
denaro, il quale, lo ricordiamo, viene creato dal
nulla a costo zero per essere dato in prestito
gravato da interessi, dando luogo alla più gran-
16/110
Reddito Incondizionato
diosa truffa che sia mai stata compiuta ai danni
dell’umanità.
Chi si appropria dei redditi da signoraggio? I
detentori della proprietà del denaro, ovviamen-
te, che, nell’odierna società, possono essere
identificati con l’élite che trae profitto grazie
agli inganni ed ai ricatti messi in atto per mezzo
del sistema bancario.
Per effettuare una stima di massima, focalizzia-
mo l’attenzione soltanto sul denaro che potreb-
be essere recuperato andando ad intercettare
tutti gli interessi pagati su tutti i debiti del mon-
do, sia pubblici che privati, pur essendo consa-
pevoli che così facendo non si andrebbe a calco-
lare l’intero ammontare dei redditi da signorag-
gio.
Il mondo è metafisicamente sommerso da un
oceano di debiti immaginari, che, tra debiti
pubblici e debiti privati, ha raggiunto la cifra
monstre di 250.000 miliardi di dollari.
Immaginiamo che questi debiti siano gravati da
un interesse del 3,5% annuo e siano equamente
ripartiti su tutta la popolazione. Se così fosse
ognuno dei 7,6 miliardi di cittadini dovrebbe
pagare in interessi alle banche circa 250.000
17/110
Metodo n.3: redditi da signoraggio
miliardi x 0,035 / 7,6 miliardi / 12 mesi = 96
dollari al mese.
Qualcuno penserà che in fondo sia poca cosa,
ma in realtà non è così che stanno le cose. Per
comprenderlo basta considerare che la maggior
parte degli abitanti della Terra vive in condizio-
ni di estrema povertà e, di fatto, non sarebbe in
grado di sostenere neanche un sol dollaro di
quell’onere.
Vi ricordo che attualmente 3,4 miliardi di per-
sone sopravvivono con meno di 5,5 dollari al
giorno, pari a 165 dollari al mese; in particolare,
800 milioni di essi non raggiungo neanche la
soglia dei 1,9 dollari al giorno.
Effettuando il medesimo calcolo, contestualiz-
zandolo alla situazione dell’Italia, ci si rende su-
bito conto che la cifra da rendere mensilmente
al sistema bancario non sia affatto modesta!
In Italia, infatti, la somma del debito pubblico e
di quello privato ammonta al 350% del PIL:
stiamo parlando di circa 5.950 miliardi di euro.
Supponiamo che il tasso d’interesse annuo sia
del 3,5%. Scopriamo così che una platea di 50
milioni di italiani deve rendere al sistema ban-
18/110
Reddito Incondizionato
cario circa 5.950 miliardi x 0,035 / 50 milioni /
12 mesi = 347 euro al mese a testa in interessi!
A questo punto potrebbe venirci in mente un’i-
dea fantastica per trasformare i redditi da si-
gnoraggio in un reddito d’esistenza: perché non
attribuire la proprietà del denaro agli esseri
umani, al fine di utilizzare tutti gli introiti deri-
vanti dal pagamento degli interessi sui debiti
per creare un fondo comune da impiegare per
finanziare il reddito incondizionato?
La proposta è interessante perché potrebbe es-
sere attuata all’interno dell’odierno paradigma
economico, trasformando un’azione parassita-
ria perpetrata a danno dell’umanità, in un me-
todo per aiutare i soggetti più bisognosi, sfrut-
tando esattamente il medesimo sistema con cui
attualmente una élite di criminali domina sul
mondo intero.
All’atto pratico, bisognerebbe impadronirsi di
tutto il sistema bancario per renderlo pubblico e
metterlo al servizio dell’umanità, liquidando
con un bel calcio nel sedere tutti quei parassiti
che utilizzano le banche per ottenere un profit-
to. A quel punto rimarrebbero soltanto i tecnici
e gli impiegati il cui ruolo sarebbe indispensabi-
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Metodo n.3: redditi da signoraggio
le per far funzionare un nuovo sistema bancario
pubblico.
I costi di gestione dell’apparato, come ad esem-
pio gli stipendi e le spese per il mantenimento
delle strutture e delle apparecchiature, potreb-
bero tranquillamente essere creati dal nulla,
senza indebitare nessuno. Così facendo, ciascu-
no dei 50 milioni di aventi diritto potrebbe rice-
vere 347 euro al mese.
Qualcuno potrebbe replicare sostenendo che
l’importo sia troppo modesto. In effetti, all’ini-
zio di questo capitolo, avevamo promesso di fi-
nanziare un reddito incondizionato con una ci-
fra pari a 500 euro al mese.
Non c’è problema, per aumentare ancor più il
beneficio economico nulla vieta di attuare una
ulteriore metodologia per recuperare altri fondi,
ad esempio, redistribuendo un po’ di ricchezza
oppure andando ad eliminare alcune spese inu-
tili e dannose come quelle militari (discuteremo
questa opzione più avanti).
Personalmente trovo questa metodologia molto
originale, perché sfrutta il medesimo sistema
utilizzato dai banchieri per arricchirsi e domi-
20/110
Reddito Incondizionato
nare il mondo, impiegandolo per una finalità
positiva, togliendogli il “giocattolo” dalle mani.
Si consideri che soltanto ripristinando la sovra-
nità monetaria, e incominciando a finanziare lo
Stato con moneta emessa senza debito, si po-
trebbero risparmiare fior di miliardi, perché
non si dovrebbe più pagare alcun interesse sul
debito pubblico: stiamo parlando di una cifra
prossima agli 80 miliardi di euro all’anno, che
corrispondono ad un reddito incondizionato di
circa 130 euro al mese a testa.
Ciò nonostante, non prenderei in seria conside-
razione l’attuazione di questa strategia per una
serie di motivazioni, la più importante delle
quali è la seguente: mi piacerebbe eliminare il
meccanismo del debito dalla faccia della Terra
(assieme al denaro!) perché lo ritengo un inutile
e dannoso strumento di dominio tremendamen-
te brutale ed efficace. Non a caso esso viene im-
piegato da tempo immemore per ridurre in
schiavitù l’umanità.
Basta un po’ di riflessione per accorgersi che la
pretesa di rendere indietro una somma di dena-
ro, addirittura gravata da interessi, non ha al-
cun senso: il denaro, infatti, in quanto pura fin-
zione metafisica, frutto di una creatio ex nihilo
21/110
Metodo n.3: redditi da signoraggio
completamente immaginifica, in realtà, non ap-
partiene a nessuno. Pertanto, si può solo fingere
che vi sia un proprietario del denaro.
Quindi si potrebbe benissimo concepire e realiz-
zare una società dove il denaro viene creato ed
emesso, non solo senza che vi sia alcun interes-
se, ma senza neanche pretenderne la restituzio-
ne, eliminando completamente il concetto di
debito.
Come? Facendo finta che il proprietario del de-
naro non voglia imporre il pagamento d’interes-
si e non sia neanche minimamente interessato a
riaverlo indietro!
Capisco che queste posizioni siano assai lontane
dal sentire comune, a causa di anni e anni di
metodico indottrinamento sul funzionamento
del denaro, ma in verità non c’è nulla che obbli-
ghi l’umanità ad accettare le attuali convenzioni
poste a fondamento delle dinamiche di utilizzo
del denaro, perché esse sono del tutto arbitra-
rie.
E allora tanto vale modificarle in modo tale che
nessuno possa più essere ridotto in schiavitù
con la truffa del debito, e da ciò possa trarne
giovamento l’intera umanità.
22/110
Reddito Incondizionato
Metodo n.4: utilizzare i profitti
Una delle motivazioni per cui nell’attuale perio-
do storico si sta parlando sempre più del reddi-
to incondizionato è legata al massiccio processo
di automazione delle attività lavorative reso
possibile dai robot e dall’intelligenza artificiale.
Siccome, a differenza di quanto avveniva in pas-
sato, le automazioni stanno rimpiazzando i la-
voratori in tutti i settori, dal primario al terzia-
rio, e al momento non c’è un quarto settore da
utilizzare per ricollocare i cosiddetti disoccupati
tecnologici, alcuni stanno incominciando a pen-
sare che forse l’unico modo per sostenere i con-
sumi consista nell’introdurre un reddito incon-
dizionato.
Così facendo l’automazione del lavoro non in-
durrebbe criticità, perché sia gli occupati che i
disoccupati avrebbero comunque un reddito per
vivere, e quindi il processo di sostituzione dei
lavoratori umani con degli strumenti tecnologici
potrebbe procedere a passo spedito.
Ora, però, bisogna cercare di rispondere alla se-
guente domanda: come mai i capitalisti scelgo-
no di automatizzare il lavoro? Non di certo per
spirito caritatevole: essi lo fanno per il denaro.
23/110
Metodo n.4: utilizzare i profitti
In particolare, la sostituzione dei lavoratori
umani con le automazioni avviene a condizione
che il saggio di profitto ottenuto con questa
nuova strategia industriale subisca un qualche
incremento.
Inutile dire che, in generale, a parità di costi, le
automazioni consentano di produrre quantitati-
vi maggiori, con una più alta qualità, rispetto a
quanto non si riesca a fare sfruttando gli esseri
umani.
Se ciò non fosse possibile, i capitalisti sarebbero
ben felici di continuare a sfruttare schiavi uma-
ni, così come hanno fatto finora, senza farsi tan-
ti scrupoli.
Questo significa due cose: la prima, che auto-
matizzando il lavoro i beni ed i servizi prodotti
sarebbero disponibili esattamente come lo era-
no prima, se non addirittura in quantità e quali-
tà maggiori; la seconda, che ciò che i capitalisti
riescono a risparmiare licenziando i lavoratori
umani, ovvero la spesa per i loro stipendi, una
volta ripagato l’investimento per automatizzare
il lavoro, finisce dritto dritto nello loro tasche,
trasformandosi in profitto.
24/110
Reddito Incondizionato
Siccome in generale è del tutto ragionevole as-
sumere che, tenuto conto di tutti gli aspetti, il
tasso di sostituzione uomo-macchina sia svan-
taggioso per gli esseri umani, ovvero che per
ogni robot-software impiegato vengano distrutti
un maggior numero di posti di lavoro rispetto a
quanti se ne creino, la conseguenza di questo
processo di automazione del lavoro sarà la con-
centrazione della ricchezza nelle mani di pochi
individui: quelli che detengono la proprietà dei
mezzi di produzione.
Senza prendere delle contromisure, questo pro-
cesso andrà avanti fin quando non si verifiche-
ranno delle criticità. A lungo andare, infatti, è
evidente che un simile sistema non riuscirà a
mantenersi in essere, perché i produttori per
vendere hanno pur sempre bisogno di una mas-
sa di consumatori, e se la ricchezza non verrà
redistribuita attraverso i salari, o con altri meto-
di, prima o poi, il meccanismo s’incepperà.
Attualmente siamo ancora nella fase in cui le
aziende, automatizzando il lavoro, incrementa-
no i loro profitti, lasciando però senza reddito
una piccola parte di dipendenti, quelli non più
utili per raggiungere gli obiettivi di produzione;
essi, una volta licenziati, può darsi che non riu-
sciranno a ritrovare un’occupazione.
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Metodo n.4: utilizzare i profitti
In futuro le cose peggioreranno, perché i disoc-
cupati tecnologici aumenteranno, il lavoro scar-
seggerà sempre più e la ricchezza continuerà a
concentrarsi. Come si può risolvere la situazio-
ne?
È del tutto evidente che se invece di alimentare i
profitti dei capitalisti gli incrementi di efficienza
venissero impiegati per finanziare un reddito da
erogare ai nuovi disoccupati, quest’ultimi non
avrebbero più alcun problema, perché potreb-
bero continuare a vivere in tutta tranquillità,
anche senza lavorare.
Si comprende quindi che il problema dei lavora-
tori non è dovuto ai robot che gli “rubano il la-
voro”, lasciandoli senza salario, ma è causato
dall’avidità dei capitalisti che, per incrementare
egoisticamente i loro profitti, finiscono per con-
centrare sempre più la ricchezza a danno dei di-
soccupati, una ricchezza che, se venisse redistri-
buita, sarebbe di per sé sufficiente a risolvere
ogni problema economico legato all’avvento
delle automazioni.
Si consideri che, in Italia, la quota profitti sul
PIL nel 2017 era prossima al 40%: stiamo par-
lando di circa 680 miliardi di euro.
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Reddito Incondizionato
Questo significa che, se si utilizzassero i profitti
per finanziare un reddito incondizionato eroga-
to ad una platea di 50 milioni d’individui, cia-
scuno degli aventi diritto potrebbe ricevere una
somma di denaro pari a 680 miliardi / 50 milio-
ni / 12 mesi = 1133, 33 euro al mese!
Ma noi non abbiamo bisogno di 680 miliardi
per finanziare il reddito di esistenza che ci era-
vamo prefissati di realizzare, ma di soli 300 mi-
liardi, nel caso in cui l’importo fosse di 500 euro
al mese, o al più di 468 miliardi, se si volesse
garantire un beneficio economico di 780 euro al
mese.
Si scopre così che per finanziare il reddito in-
condizionato sarebbe sufficiente recuperare il
44,1% dei profitti, nel primo scenario, oppure il
68,8%, nel secondo.
Come caso limite, si potrebbe pensare di impie-
gare tutti i profitti realizzati dalle aziende per fi-
nanziare un reddito incondizionato. Per farlo,
bisognerebbe attribuire la proprietà dei mezzi di
produzione a tutti gli esseri umani, trasforman-
do le aziende private in pubbliche.
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Metodo n.4: utilizzare i profitti
Questo significa che non ci sarebbe più una di-
stinzione tra quota salari e quota profitti, per-
ché esisterebbe soltanto denaro da redistribuire
in modo equo alla collettività.
Com’è facile intuire, a quel punto, rimpiazzare i
lavoratori con delle macchine non causerebbe
alcuna criticità, dato che ogni individuo sano di
mente sarebbe ben lieto di ricevere un reddito
decoroso pur lavorando di meno. E tutto ciò,
grazie agli incrementi di efficienza dovuti all’in-
troduzione di nuova tecnologia, potrebbe avve-
nire in modo pressoché automatico!
Se così fosse, l’automazione del lavoro cessereb-
be di rappresentare una sorta di minaccia socia-
le e si trasformerebbe in una strepitosa oppor-
tunità di liberazione dell’umanità da una dete-
stabile schiavitù nei confronti del lavoro.
Metodo n.5: condividere la ricchezza
Questo metodo è il più semplice, il più efficace,
il più bello ed il più elegante, ma anche quello
che troverà maggiore resistenza a causa dell’avi-
dità, dell’invidia, dell’egoismo e della stupidità
della maggior parte degli esseri umani.
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Reddito Incondizionato
In realtà, lo abbiamo già illustrato, seppur in
modo velato, nelle precedenti sezioni. Ma ora lo
esporremo, una volta per tutte, a chiare lettere:
se tutti gli esseri umani mettessero insieme la
ricchezza prodotta e la condividessero con amo-
re suddividendola in parti uguali con tutti i
membri della società, non ci sarebbe alcun biso-
gno di finanziare un reddito incondizionato,
perché ogni individuo disporrebbe già di un
reddito sufficientemente elevato per vivere in
modo agiato.
Siccome l’Italia produce un PIL di 1.700 miliar-
di all’anno, questo significa che 50 milioni di
persone potrebbero disporre di un reddito di
cittadinanza di ben 2.830 euro lordi al mese.
Non credo che ci sia altro da aggiungere. O forse
sì...
Metodo n.6: eliminare le attività noci-
ve
Tempo fa, ho calcolato che guerre, fumo, alcol,
droga e obesità, tra spese, costi e mancati gua-
dagni, sommano una cifra equivalente al 20%
del PIL mondiale. In verità, l’elenco potrebbe
essere esteso ulteriormente.
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Metodo n.6: eliminare le attività nocive
Ad esempio, ogni anno nel mondo vengono per-
si al gioco d’azzardo ben 365 miliardi di dollari.
Ma questo è nulla, se si considera che le spese
sanitarie mondiali nel 2020 sfonderanno quota
8.700 miliardi di dollari all’anno.
Per finanziare un reddito incondizionato sareb-
be importante recuperare una certa parte di
questa cifra: si consideri che la spesa sanitaria
pubblica e privata italiana sfiora il 9% del PIL
(circa 150 miliardi di euro).
Per tentare di capire se sia possibile farlo, biso-
gna rispondere alla seguente domanda: come
mai le persone hanno una così grande necessità
di spendere soldi per curarsi?
Gran parte del problema risiede nell’alimenta-
zione: gli esseri umani introducono nel loro cor-
po cibi che non sono adatti alla loro natura e
che per giunta sono contaminati da sostanze
tossiche. Dopo decenni di quotidiani suicidi ali-
mentari, è il minimo che possa accadere che si
sviluppino delle patologie.
Per ridurre ulteriormente l’incidenza delle ma-
lattie, bisognerebbe smetterla d’inquinare l’am-
biente, perché altrimenti, pur alimentandosi
correttamente, gli esseri umani continuerebbe-
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Reddito Incondizionato
ro comunque ad ammalarsi, anche se in minor
misura.
Immettere nell’ambiente sostanze tossiche, pri-
ma o poi, ucciderà qualcuno, e non si capisce
come sia possibile che l’omicidio effettuato con
la pistola sia considerato illegale (a patto che
non sia un uomo in divisa a sparare), mentre
quello effettuato con gli erbicidi ed i gas di sca-
rico, invece no.
È del tutto evidente che se l’umanità comincias-
se ad alimentarsi in modo sano e la smettesse
d’inquinare l’ambiente, la spesa sanitaria mon-
diale crollerebbe drasticamente e la maggior
parte di quella cifra mostruosa potrebbe essere
utilizzata in modo più intelligente rispetto al
tentare di curare malattie che se ci si fosse com-
portati con intelligenza neanche sarebbero esi-
stite.
Se ci si prendesse cura del proprio corpo e della
natura, pensate un po’, non ci sarebbe più biso-
gno di spendere fior di miliardi impiegando mi-
gliaia di ricercatori in tutto il mondo per tentare
di scoprire una cura miracolosa contro il temi-
bile cancro, attualmente “curato” sommini-
strando ai milioni di malati già presenti in tutto
il mondo farmaci costosissimi prodotti da
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Metodo n.6: eliminare le attività nocive
aziende private il cui scopo è quello di ottenere
profitti, perché il cancro, improvvisamente, in-
vece di rappresentare la seconda causa di mor-
te, diverrebbe una malattia rara. La stessa cosa
accadrebbe con le malattie cardiovascolari, che
oggigiorno sono la prima causa di morte... e così
via, per molte altre patologie.
Considerando tutti questi aspetti, ovvero guer-
re, fumo, alcol, droga, obesità, salute e gioco
d’azzardo, non è esagerato sostenere che si po-
trebbe recuperare, in tutta tranquillità, una cifra
superiore al 25% del PIL mondiale. Nel caso
dell’Italia questa percentuale si tradurrebbe in
un reddito incondizionato di poco superiore ai
700 euro al mese erogato ad una platea di 50
milioni d’individui.
Ciò significa che, se solo gli esseri umani la
smettessero di dedicare tempo, risorse ed ener-
gia ad attività dannose e cominciassero ad
orientarsi alla vita, di colpo, scoprirebbero di di-
sporre di denaro a sufficienza per finanziare un
reddito universale incondizionato utilizzando
proprio quelle risorse economiche che prima
impiegavano stupidamente per distruggere, uc-
cidere e far ammalare se stessi, il mondo intero
ed i suoi abitanti.
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Reddito Incondizionato
Capisco che questa proposta sia inattuabile sen-
za che prima abbia luogo un risveglio di co-
scienza di massa, ma ho voluto comunque inse-
rirla nell’elenco delle possibilità per far com-
prendere l’eclatante follia dell’odierna umanità.
Quest’ultimo metodo ci aiuta a comprendere
che non è affatto vero che non ci sono soldi a
sufficienza per finanziare un reddito incondizio-
nato; i soldi ci sono, ma vengono impiegati
male. Se ne deduce che l’introduzione di un red-
dito di esistenza non sia tanto una questione
economica, quanto una questione di evoluzione
spirituale.
Metodo n.7: soluzioni innovative e/o
miste
Abbiamo già esposto 6 strategie per finanziare
un reddito incondizionato, ma in realtà si po-
trebbero individuare altri metodi per farlo. Essi
però richiederebbero di effettuare un cambio di
paradigma, ripensando in modo sostanziale le
dinamiche socio-economiche e/o quelle del de-
naro. Omettiamo per brevità questi aspetti, non
necessari in questa fase storica, rimandando il
compito di elaborare ulteriori soluzioni innova-
tive all’intelligenza dei lettori più volenterosi.
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Metodo n.7: soluzioni innovative e/o mi-
ste
Prima di procedere oltre con l’analisi, vorrei os-
servare che alcuni dei precedenti metodi posso-
no anche essere combinati tra loro, dando luogo
ad un gran numero di possibilità.
Ad esempio, si potrebbe decidere di finanziare il
reddito incondizionato attingendo per una parte
dai profitti e per l’altra dal taglio delle spese mi-
litari, non prima di aver recuperato la sovranità
monetaria, così da riuscire a recuperare altri
fondi abbattendo la spesa per gli interessi sul
debito pubblico... e così sia.
Per non tediare ulteriormente il lettore, eviterò
ben volentieri di analizzare caso per caso tutta
questa lunga serie di possibilità, rimandando
l’onere ai singoli individui, i quali dovranno de-
dicarsi a questo compito in modo particolare
nel caso il cui, in futuro, una qualche forza poli-
tica proporrà l’introduzione di un vero reddito
di cittadinanza.
Possiamo però fissare un punto: quanto fin qui
riportato prova che quello dell’impossibilità
economica è soltanto una argomento retorico.
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Reddito Incondizionato
Chi si oppone al reddito incondizionato soste-
nendo che esso sia economicamente insosteni-
bile o è un ignorante o è in malafede.
La questione del disincentivo al lavo-
ro
Procediamo ora affrontando un’ulteriore obie-
zione mossa dai detrattori del reddito incondi-
zionato. Essa si basa sul Sacro Graal dei luoghi
comuni: «Se dessimo soldi a tutti senza preten-
dere nulla in cambio allora nessuno farebbe
più niente!».
Per nostra fortuna le dinamiche del comporta-
mento umano sono assai più complesse di
quanto vorrebbero lasciare intendere i sosteni-
tori di una simile tesi.
In realtà, esiste già uno Stato in cui i cittadini ri-
cevono un reddito incondizionato, eppure in
quel luogo il tasso di disoccupazione è di gran
lunga inferiore a quello dell’Italia: si tratta del-
l’Alaska. Pertanto, è già dimostrato che non è
affatto vero che dando soldi a tutti senza porre
condizioni nessuno farebbe più nulla.
Che cosa farebbero gli individui disponendo di
un reddito incondizionato dipende da una mol-
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La questione del disincentivo al lavoro
teplicità di fattori fortemente determinanti,
come ad esempio, l’entità dell’importo erogato,
la cultura degli individui, la struttura della so-
cietà in cui essi vivono e via dicendo.
Dare 300 euro al mese non è come darne 600;
erogare il medesimo beneficio a tutti, non è
come erogare un importo che decresce all’au-
mentare del reddito già percepito lavorando;
istituire un reddito incondizionato in una socie-
tà competitiva ed individualista non è affatto
come istituirlo in una società cooperativa e col-
lettivista; assicurare un reddito vitalizio ad indi-
vidui spiritualmente elevati non è come assicu-
rarlo ad un popolo con un basso livello di co-
scienza... e così via.
In linea di principio, l’introduzione di un reddi-
to incondizionato potrebbe indurre le persone
ad agire in modo diverso rispetto ad oggi, ma
non è affatto detto che questa variazione di
comportamento avvenga, né che conduca l’u-
manità alla rovina.
Questa maldicenza fa il paio con quella che po-
trebbe essere definita la retorica degli sfruttato-
ri, la quale può essere riassunta così: «Se le per-
sone non fossero obbligate a lavorare, allora
non lavorerebbe più nessuno!».
36/110
Reddito Incondizionato
Ma come? Quegli stessi individui hanno sempre
sostenuto che nell’odierna società il lavoro fosse
una scelta libera assicurata dal libero mercato
effettuata in un mondo che rispetta la libertà
dell’individuo, e poi, non appena qualcuno vuo-
le istituire un reddito incondizionato, dando
un’effettiva libertà ai membri della società, vie-
ne fuori che le persone lavorano perché sono
obbligate a farlo? Come si spiega questo cambio
di vedute?
Come avremo modo di comprendere, la verità
non è che se le persone non fossero obbligate
non lavorerebbero più, ma che non sarebbero
più disposte a lavorare secondo le odierne mo-
dalità, che sono ingiuste e disumane; in partico-
lare, potendo fare affidamento sul reddito d’esi-
stenza, nessuno sarebbe più disposto a farsi
sfruttare: ecco qual è il punto dolente per i de-
tentori di capitale!
E siccome chi trae vantaggio da questo sistema
vuole che le cose continuino a rimanere esatta-
mente così come sono, perché è l’odierno ordine
delle cose che gli consente di esercitare il pro-
prio dominio sugli altri, anche mediante la
schiavitù del lavoro, ecco che la classe dei privi-
legiati e degli sfruttatori s’affretta ad inventare
37/110
La questione del disincentivo al lavoro
espedienti retorici per fare in modo che ciò che
potrebbe potenzialmente liberare l’umanità dal-
le sue catene non venga attuato.
Cerchiamo quindi di fare chiarezza in merito
alla questione dell’eventuale disincentivo al la-
voro indotto dall’istituzione di un reddito di esi-
stenza incondizionato.
Chiariamo subito che un essere umano sano,
nel senso più ampio del termine, per sua natu-
ra, è attivo e vitale. È la malattia a rendere inat-
tivi gli individui, e ciò accade a prescindere dal-
la situazione economica: anche un ricco che
cade in depressione diventa apatico e demotiva-
to.
Ora possiamo mettere in risalto una situazione
particolare degna di rilievo perché, in un modo
o nell’altro, interessa milioni di persone soltan-
to in Italia.
Supponiamo che la causa, o la concausa, dell’in-
sorgenza di una malattia, sia fisica che mentale,
di un individuo sia proprio la sua condizione di
ristrettezza economica.
Magari un soggetto non ha potuto alimentarsi
correttamente, oppure ha somatizzato gli effetti
38/110
Reddito Incondizionato
dell’emarginazione sociale tipicamente subita
da chi vive in povertà, e quindi è diventato inat-
tivo.
In tal caso, dare un reddito incondizionato a
quell’individuo non lo renderebbe pigro e svo-
gliato, ma gli sarebbe di grande aiuto per ripri-
stinare un corretto stato di salute psico-fisica,
che rappresenta la precondizione per riuscire ad
inserirsi attivamente nella società.
Non basta dare un supporto psicologico ad un
individuo caduto in depressione, se la causa del
suo stato d’animo è legata alla sua situazione
economica, ed è del tutto assurdo pretendere di
curarlo somministrandogli degli antidepressivi:
per risolvere il suo problema bisogna dargli dei
soldi, così che egli possa riprendere le redini
della sua vita.
Ci dicono che dare soldi alle persone le rende-
rebbe inattive. Benissimo, vediamo come si
comporta chi ha soldi in abbondanza.
Se questa ipotesi fosse vera i ricchi dovrebbero
essere i più grandi scansafatiche del mondo, in-
vece essi vengono dipinti come i soggetti più in-
dustriosi che esistano sulla faccia della Terra.
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La questione del disincentivo al lavoro
È evidente che c’è qualcosa che non va nelle
precedenti affermazioni: o non è vero che i ric-
chi sono attivi, o non è vero che disporre di sol-
di rende inattivi.
Se è vero che i ricchi sono inattivi, allora come
mai nel loro caso è ritenuto legittimo che essi
possano oziare e nessuno propone di ridurre la
loro ricchezza, così che venga meno il loro di-
sincentivo al lavoro e la smettano di gozzoviglia-
re?
Non credo che vi sia neanche il bisogno di riflet-
tere su quale possibilità sia da preferire tra uno
scenario in cui un solo uomo, grazie alle sue
smisurate ricchezze, possa essere inattivo, ed
una situazione in cui, con la medesima quantità
di denaro, si aiuti un’ampia platea di poveri.
E se invece non è vero che disporre di grandi
quantità di denaro renda inattivi, allora come
può essere vero che dare un po’ di soldi ai pove-
ri li renderà inoperosi?
Mi auguro che non si vorrà spiegare il tutto
avanzando l’ipotesi di una diversità biologica
tra i membri di queste due classi sociali, tirando
in ballo idee ottocentesche ampiamente confu-
tate con il rigore della scienza...
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Reddito Incondizionato
Perché quasi nessuno è disposto a prendere in
considerazione l’ipotesi opposta, ovvero che sia
proprio la disponibilità di denaro a rendere le
persone attive?
Non sto sostenendo che l’avere dei soldi da
spendere equivalga all’essere attivi, sto soste-
nendo che avere dei soldi possa rappresentare
un incentivo per essere attivi e che invece il non
averli sia un disincentivo.
È evidente che quella appena esposta non sia
una legge universale, ciò nonostante essa ben si
presta a spiegare un’ampia maggioranza di casi.
Se ci si sofferma un attimo a riflettere, ben pre-
sto ci si accorge che non è affatto difficile indivi-
duare numerose situazioni in cui quanto è stato
appena sostenuto si verifica appieno.
Del resto, se un individuo non ha un soldo in ta-
sca, è assai difficile che riuscirà a mettere in atto
le sue idee. Indovinate un po’ perché? Perché in
una società basata sul denaro per fare la stra-
grande maggioranza delle cose serve denaro,
che, guarda un po’, i poveri, al contrario dei ric-
chi, non hanno!
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La questione del disincentivo al lavoro
Supponiamo che un individuo voglia avviare
un’attività: secondo voi in quale scenario sareb-
be più propenso a mettersi all’opera?
In una società dove, nella peggiore delle ipotesi,
potrebbe fare affidamento su di un reddito di
esistenza, oppure in un’altra dove dovrebbe
contare soltanto sull’esito del suo investimento?
Sempre ammesso che quel soggetto abbia di-
sponibilità economiche sufficienti per avviare la
propria attività, il che è alquanto improbabile,
in particolar modo se si è poveri!
Al contrario, con un reddito incondizionato in
molti tenterebbero di seguire le proprie passio-
ni. Qualcuno fallirebbe, qualcun altro no. Ma il
fallimento non sarebbe punito con la miseria,
perché vi sarebbe comunque una soglia minima
sotto la quale nessuno potrebbe scendere: ciò
spingerebbe le persone creative e volenterose ad
agire e non di certo a poltrire.
Oggi invece la maggior parte degli individui che
vorrebbero dedicarsi ad un’attività non può far-
lo, non per mancanza di idee o di volontà, ma
per paura di fallire e/o per mancanza di fondi.
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Reddito Incondizionato
Il reddito incondizionato mitigherebbe la paura
del fallimento e aiuterebbe molte persone ad ac-
cantonare denaro per trasformare i propri sogni
in realtà.
Vorrei osservare che, in generale, è lecito sup-
porre che il disincentivo al lavoro risulti più ele-
vato con i classici sussidi condizionati che non
con un reddito incondizionato, eppure essi sono
già presenti nella società e nessuno si lamenta
della diminuzione della propensione al lavoro
da essi indotta.
Infatti, a differenza di un reddito incondiziona-
to, un sussidio condizionato induce una sorta di
dipendenza nei beneficiari della misura, i quali,
pur di continuare a rimanere all’interno dei pa-
rametri che gli consentono di avere accesso al
sussidio, tendono ad adattare le proprie condi-
zioni economiche ai paletti imposti dalla legge,
anche a costo di rifiutare il lavoro.
Così facendo, invece di favorire il reinserimento
nel tessuto sociale, un sussidio condizionato
tende a rinchiudere il soggetto percepente in
una sorta di trappola della povertà, essenzial-
mente provocata dalla paura di perdere i benefi-
ci di cui quell’individuo ha chiaramente bisogno
per sopravvivere.
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La questione del disincentivo al lavoro
Ciò non accade con un reddito incondizionato,
perché, appunto, non si pongono condizioni per
averne diritto, e quindi non vi può essere alcuna
paura di perdere l’aiuto economico erogato dal-
lo Stato.
Tutto ciò si traduce in un più ampio numero di
strategie praticabili per tentare di reinserirsi
nella società.
Per massimizzare l’effetto positivo di rilancio
personale è di fondamentale importanza che il
reddito incondizionato sia erogato in denaro, e
non in beni e servizi.
La differenza è sostanziale, perché il denaro dà
una maggiore libertà di azione rispetto alla pos-
sibilità di disporre di beni e servizi per un im-
porto equivalente.
Avere vitto e alloggio pagati in una stanza di al-
bergo, non è come disporre di 780 euro al mese.
Nel primo caso si può mangiare e dormire al
caldo, ma essendo poveri non si disporrà di una
base monetaria per formarsi o per avviare un
qualche genere di attività.
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Reddito Incondizionato
Così facendo, l’unica speranza per reinserirsi
nella società consisterà nel trovare una qualche
tipologia di lavoro dipendente compatibile con
il proprio profilo professionale.
Nel secondo caso, invece, il soggetto potrebbe
effettuare un percorso di riqualificazione conse-
guendo anche una laurea oppure, pur con qual-
che sacrificio, potrebbe addirittura tentare di
avviare un’impresa.
Ci sono due ulteriori categorie di persone che
possono aiutarci a riflettere in merito al tema
del disincentivo al lavoro: i pensionati ed i vo-
lontari. Vediamo subito perché.
Se è vero che dare soldi alle persone le rende
inattive, ciò dovrebbe essere ancor più vero per
i pensionati.
In tal caso, infatti, dopo una vita di duro lavoro,
molto spesso condotto in modo forzoso, ci si
aspetterebbe che tutti quanti accettassero di
buon grado l’assegno pensionistico e smettesse-
ro di fare ogni cosa per godersi un meritato ri-
poso andandosene in vacanza... e invece non è
affatto così che vanno le cose!
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La questione del disincentivo al lavoro
In Italia c’è un vero e proprio esercito di lavora-
tori che, pur avendone maturato il diritto, rifiu-
tano di andare in pensione per continuare a la-
vorare. E ciò avviene nonostante le penalizza-
zioni economiche in termini di maggior tassa-
zione in cui incorreranno!
Stiamo parlando di un numero superiore al
mezzo milione di persone. Una parte di essi ha
dichiarato di dover continuare per questioni di
necessità (circa 6 su 10), ma la restante parte
(circa 4 su 10) ha ammesso di farlo per una
mera questione di volontà!
Il fatto che vi sia una quota di lavoratori non
trascurabile che, pur potendo andare in pensio-
ne, sceglie comunque di continuare a lavorare,
nella consapevolezza di dover subire un disin-
centivo economico, rappresenta un’ulteriore
confutazione della tesi che dare soldi alle perso-
ne le rende inattive.
Si consideri che la maggior parte dei lavoratori
giunge all’età pensionabile così malmesso che,
pur volendo, non gli sarebbe possibile continua-
re a dedicarsi a qualsiasi attività.
Ma non finisce qui: se si vanno ad analizzare le
abitudini dei pensionati che si sono mantenuti
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Reddito Incondizionato
in salute si scopre che essi, pur non lavorando
ufficialmente, sono tutt’altro che inattivi: in
molti si dedicano allo sport, altri coltivano la
terra e altri ancora non mancano di dare il loro
contributo per la realizzazione di eventi con fi-
nalità sociali.
Questa riflessione ci conduce ad un altro feno-
meno di rilievo che riguarda individui di tutte le
età: il volontariato.
In Italia si stima la presenza di 6,63 milioni di
persone che si impegnano gratuitamente per gli
altri e per il bene comune. Si tratta di un vero e
proprio esercito di lavoratori che non vengono
retribuiti in senso economico ma che, nono-
stante ciò, agiscono lo stesso.
La loro presenza dimostra che l’essere attivo op-
pure no, non dipende dal fatto che si percepisca
o meno una somma di denaro per fare ciò che si
è deciso di voler fare.
Se s’istituisse un reddito incondizionato quei
6,63 milioni di volontari continuerebbero a fare
esattamente ciò che facevano anche quando non
disponevano del sussidio statale. Di certo, nel
loro caso, ricevere dei soldi non li renderebbe
meno attivi rispetto a quanto non lo siano già.
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La questione del disincentivo al lavoro
È invece ragionevole aspettarsi che accada l’e-
satto opposto, ovvero che grazie ad un reddito
incondizionato il numero dei volontari aumen-
terebbe. Con ogni probabilità, la stessa tenden-
za si verificherebbe anche per il quantitativo di
tempo individuale da essi dedicato alle attività
di volontariato.
Tutto ciò a ulteriore prova che non è affatto
vero che dando soldi a tutti senza chiedere nulla
in cambio le persone non farebbero più nulla.
Nel caso del volontariato, le persone sarebbero
attive quanto, o addirittura più, di prima, ma si
dedicherebbero maggiormente alle cose che
loro ritengono importanti.
E magari qualcuno comincerebbe a rifiutarsi di
fare ciò che gli viene imposto di fare, a prescin-
dere dalla sua reale volontà.
Abbiamo tutti gli elementi per tentare di rispon-
dere alla seguente domanda: chi è che nell’o-
dierna società, potendo contare su di un reddito
incondizionato, abbandonerebbe il proprio la-
voro?
Se quanto abbiamo sostenuto finora corrispon-
de a realtà, le persone che amano davvero ciò
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Reddito Incondizionato
che fanno non smetterebbero di dedicare il loro
tempo alle attività a cui sono soliti dedicarsi sol-
tanto perché lo Stato metterebbe a loro disposi-
zione un sussidio. Tutt’altro, con ogni probabili-
tà esse si dedicherebbero a ciò che erano solite
fare con ancor più energia, gioia e impegno.
Per un individuo che ha una certa passione, il
poter disporre di 500 euro al mese in modo in-
condizionato, non sarebbe altro che un solido
punto di appoggio su cui contare per continuare
a coltivare i propri sogni.
Pertanto, se passione e lavoro svolto coincido-
no, si può essere ragionevolmente sicuri che
quel soggetto non cambierà le sue abitudini,
neanche con un reddito incondizionato di 1.000
euro al mese, perché egli già fa ciò che vorrebbe
realmente fare: egli fa ciò che fa, non per il de-
naro che riceve in cambio, ma come fine in sé,
agendo in forza dell’amore che prova nei con-
fronti di ciò che fa.
Chi è quindi che smetterebbe di lavorare se ve-
nisse introdotto un reddito di esistenza? Tutti
quegli individui che odiano il proprio lavoro. E
perché odiano il proprio lavoro? Forse perché
ciò che fanno non corrisponde a ciò che vorreb-
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La questione del disincentivo al lavoro
bero fare. E come mai si dedicano ad un’attività
che, in realtà, non vorrebbero fare?
La risposta è evidente: perché sono stati costret-
ti a farlo dalla società, tramite dei ricatti econo-
mici e/o dei condizionamenti mentali. E come
può essere considerato giusto costringere una
persona a fare una cosa che odia, forzandola ad
agire contro la sua volontà?
La situazione ideale a livello sociale è quella in
cui tutti gli individui dedicano il loro tempo e le
loro energie psico-fisiche ad attività utili e in
ogni caso non nocive per la collettività, nei con-
fronti delle quali provano una vera passione, e
non di certo quella in cui la maggior parte dei
lavoratori viene costretta a lavorare in modo
forzoso mettendo in atto dinamiche inutili e no-
cive.
È soltanto quando un individuo allinea l’attività
a cui si dedica al suo vero essere, agendo senza
danneggiare gli altri esseri viventi, che egli può
esprimere il suo massimo potenziale, essendo
pienamente felice per ciò che fa e di ciò che fa, e
non quando viene costretto a fare ciò che odia o
per cui non è portato, andando contro la sua na-
tura e, in alcuni casi, danneggiando perfino gli
altri.
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Reddito Incondizionato
Il reddito incondizionato potrebbe chiaramente
aiutare la società a muovere qualche passo in
questa direzione.
Consentitemi una precisazione: è corretto dire
che chi odia il suo lavoro smetterebbe di lavora-
re?
No, è più corretto dire che grazie ad un reddito
incondizionato quell’individuo lascerebbe la sua
attuale occupazione per cominciare a dedicarsi
ad altre attività più compatibili con il suo esse-
re.
Questo non significa che quell’individuo smette-
rebbe di lavorare completamente, perché maga-
ri cambierebbe lavoro.
Una piccola parte, però, potrebbe effettivamen-
te scegliere di rifiutarsi di svolgere una qualsiasi
attività economico-produttiva.
Ammettiamo, ora, per un istante, che il reddito
di esistenza fosse sostenibile, perché il lavoro
non dovrebbe essere volontario?
Se il livello scientifico-tecnologico lo consentis-
se, per quale motivo non si dovrebbe dare agli
51/110
La questione del disincentivo al lavoro
individui la possibilità di scegliere se vivere usu-
fruendo del reddito o se incrementare la loro
ricchezza materiale sacrificando un certo quan-
titativo di tempo per il lavoro?
Personalmente preferirei una società in cui cia-
scuno si facesse carico, pro quota, di una parte
del lavoro umano necessario al conseguimento
del massimo benessere sociale possibile, ma ciò
non m'impedisce di concepire un mondo dove
alcuni decidono di lavorare per passione e altri
scelgono di dedicarsi ad attività non produttive
(da un punto di vista economico) in piena liber-
tà.
Del resto, se il lavoro fosse effettivamente una
scelta, e non un obbligo, per tutti, e non soltan-
to per i furbi ed i malfattori, non vi sarebbe né
ingiustizia, né invidia sociale.
C’è però un rischio da non sottovalutare, ovvero
che in un mondo in cui tutti si dedicassero a ciò
che amano fare, si trascurerebbero delle attività
lavorative effettivamente utili e necessarie, che
oggi invece vengono svolte perché qualcuno è
costretto ad occuparsene con il ricatto e la forza.
L’ingiustizia di questo modo di operare è del
tutto evidente. Pertanto è doveroso trovare una
52/110
Reddito Incondizionato
soluzione decisamente più civile per far sì che
ciò non possa più accadere.
Prima d’indicare come si potrebbe risolvere
questo (eventuale) problema, converrà tentare
di valutarne l’entità. E per farlo, sarebbe una
buona cosa cercare di comprendere se e quanto
diminuirebbe la propensione al lavoro se si assi-
curasse un reddito incondizionato a tutta l’uma-
nità.
Approccio teorico
Immaginiamo ora di istituire un reddito di base
e cerchiamo di capire quanta voglia di lavorare
toglierebbe agli individui appartenenti alle se-
guenti categorie: 1) poveri; 2) normali lavorato-
ri; 3) lavoratori benestanti; 4) ricchi.
Per ragionare in modo concreto, scegliamo di
implementare il reddito incondizionato secondo
la modalità numero 2 precedentemente illustra-
ta, ovvero erogando un importo massimo di 500
euro che decresce all’aumentare del reddito da
lavoro percepito, fino a diventare un’imposta.
Caso numero 1: Per definizione, un soggetto po-
vero non ha un reddito sufficientemente elevato
per soddisfare i suoi bisogni primari; ciò signifi-
53/110
Approccio teorico
ca che egli o è disoccupato o è sottoccupato. Si
creano così due sottocategorie.
Caso numero 1-a: individuo disoccupato con
reddito pari a zero, reddito incondizionato ero-
gato pari a 500 euro al mese.
Un individuo disoccupato con un reddito di soli
500 euro al mese garantito dallo Stato rimar-
rebbe comunque povero. A meno di ritirarsi nei
boschi vivendo di autoproduzione, o di condur-
re vita ascetica, quel reddito di per sé non sa-
rebbe affatto sufficiente per vivere in modo de-
coroso.
Di certo egli non soffrirebbe più la fame, ma
non riuscirebbe neanche a pagare l’affitto, o il
riscaldamento della propria abitazione, nel caso
ne avesse una di sua proprietà.
Pertanto, fatta eccezione per una sparuta mino-
ranza di soggetti, è ragionevole supporre che gli
appartenenti a questa classe sociale cerchereb-
bero comunque un lavoro, se non altro per inte-
grare il reddito di esistenza.
Caso numero 1-b: individuo sottoccupato con
reddito pari a 500 euro al mese, reddito incon-
dizionato erogato pari a 375 euro al mese.
54/110
Reddito Incondizionato
Un individuo sottoccupato con un reddito da la-
voro di 500 euro al mese, vedendosi incremen-
tare le proprie disponibilità dallo Stato per un
importo pari a 375 euro al mese, supererebbe la
soglia della povertà, percependo 875 euro al
mese.
Osserviamo che, nella gran parte delle situazio-
ni, anche un simile reddito sarebbe appena suf-
ficiente per vivere in modo decoroso, in partico-
lar modo in città.
Possono quindi presentarsi due casi: o il sogget-
to si accontenta della sua nuova condizione, op-
pure vuole ulteriormente migliorare la sua si-
tuazione reddituale. È difficile immaginare che
qualcuno di essi scelga di abbandonare comple-
tamente il lavoro per usufruire di un sussidio si
soli 500 euro al mese.
Questo significa che, complessivamente, per gli
appartenenti a queste classi la propensione al
lavoro non diminuirebbe.
Caso numero 2: normale lavoratore con una re-
tribuzione di 1.500 euro al mese, reddito incon-
dizionato erogato pari a 125 euro al mese.
55/110
Approccio teorico
A seguito dell’introduzione del reddito di esi-
stenza un normale lavoratore, così come appena
definito, incrementerebbe il suo reddito da
1.500 a 1.625 euro al mese.
Suddividiamo ulteriormente l’analisi in due
casi: lavoratore dipendente, lavoratore autono-
mo. Si consideri che nel 2018 su 23,5 milioni di
occupati circa 18 milioni erano lavoratori dipen-
denti (76,6%) mentre quelli indipendenti erano
soltanto 5,5 milioni (23,4%).
Il lavoratore dipendente, di norma, viene assun-
to con un contratto che prevede lo svolgimento
di 40 ore settimanali. Il fatto che lo Stato gli as-
sicuri una sorta di bonus di 125 euro al mese
potrà renderlo un po’ più felice, ma non cam-
bierà di una sola virgola il suo orario di lavoro.
È assai improbabile che egli scelga di licenziarsi
per avere accesso a 500 euro al mese di reddito
incondizionato, finendo così a vivere al di sotto
della soglia di povertà!
Egli invece potrebbe decidere di passare ad un
regime part-time, ammesso che gli venga con-
cesso, e che la nuova situazione reddituale gli
appaia sufficientemente elevata per soddisfare i
suoi bisogni.
56/110
Reddito Incondizionato
Intuitivamente non sembra ragionevole atten-
dersi che, di fatto, una simile scelta possa inte-
ressare un elevato numero d’individui, da un
lato perché non è poi così semplice trovare una
nuova occupazione con regime part-time e dal-
l’altro perché in molti non potrebbero permet-
tersi di guadagnare di meno, perché la loro nuo-
va condizione reddituale non sarebbe sufficien-
te per mantenere la propria famiglia.
In ogni caso, se ciò avvenisse, si creerebbero
nuovi posti di lavoro che, con ogni probabilità,
verrebbero occupati dai soggetti senza lavoro
desiderosi d’incrementare la propria condizione
economica.
I lavoratori autonomi, invece, vedendosi incre-
mentare i loro guadagni, potrebbero decidere di
lavorare qualche ora in meno. Ma così facendo
creerebbero nuovi spazi di mercato che si tra-
durrebbero in posti di lavoro per i soggetti che
non disdegnano di aumentare il loro reddito.
Vista l’entità del beneficio, è ragionevole atten-
dersi che la quota di lavoratori autonomi che
sceglierebbe di ridurre il proprio orario di lavo-
ro a parità di reddito, non sia poi così elevata.
57/110
Approccio teorico
Caso numero 3: lavoratore benestante con red-
dito superiore alla soglia in cui si diventa contri-
buenti netti del reddito di esistenza.
Questa classe di lavoratori sarebbe penalizzata
dall’istituzione di un reddito incondizionato
così come proposto in questa riflessione: seppur
di poco, il loro reddito diminuirebbe.
Ad esempio, chi percepiva un reddito netto di
2.500 euro, dopo l’introduzione della misura,
guadagnerebbe 2.375 euro, subendo una ridu-
zione di 125 euro al mese; chi invece percepiva
un reddito netto di 3.500 euro guadagnerebbe
3.125 euro, subendo una riduzione di 375 euro
al mese.
In ogni caso, questa classe di soggetti guadagne-
rebbe cifre sufficientemente elevate per vivere
in modo più che agiato. Di certo, l’imposizione
di quest’onere non peggiorerebbe la loro esi-
stenza e non gli toglierebbe la voglia di lavorare.
Caso numero 4: individui ricchi che non hanno
bisogno di lavorare.
In tal caso, l’imposizione di un prelievo prossi-
mo al 25% sul reddito netto di un individuo
“ricco” da utilizzare per finanziare il reddito in-
58/110
Reddito Incondizionato
condizionato, avrà l’effetto di farlo andare su
tutte le furie, ma di certo non inciderà sulle sue
abitudini lavorative: se un individuo che perce-
piva 1 milione di euro all’anno prima dell’intro-
duzione del reddito era solito oziare, continuerà
a farlo anche disponendo di un reddito di
750.000 euro, se invece era un gran stacanovi-
sta, avrà una buona ragione in più per incre-
mentare i suoi ritmi di lavoro.
Ora, se tutti i nuclei familiari fossero composti
da singoli individui, o da singoli individui con
figli minorenni a carico (il che attenuerebbe an-
cor più le dinamiche di abbandono o di riduzio-
ne nei confronti del lavoro sopra esposte), l’isti-
tuzione del reddito incondizionato, così come
descritto, non comporterebbe un problema so-
ciale gravoso dovuto al disincentivo al lavoro.
Esso invece aiuterebbe un gran numero di per-
sone a reinserirsi nella società, eliminando le si-
tuazioni di povertà più drammatiche, e miglio-
rerebbe le disponibilità economiche delle fasce
più deboli della popolazione, ridistribuendo la
ricchezza in direzione di una maggiore equità.
Purtroppo però la realtà è assai più complessa.
Se invece di analizzare i comportamenti dei sin-
goli individui si tentasse di prevedere le scelte
59/110
Approccio teorico
dei nuclei familiari, l’analisi si complicherebbe
oltremisura. Visto il numero di variabili in gio-
co, la casistica diverrebbe eccessivamente eleva-
ta per essere passata interamente in rassegna
all’interno di questo scritto.
Si pensi solo al caso di un nucleo familiare com-
posto da due individui e a tutte le possibili com-
binazioni di reddito e tipologia d’occupazione.
Effettuare uno studio completo, al fine di otte-
nere un modello matematico affidabile, ricor-
rendo al calcolo delle probabilità e alla teoria
dei giochi, sarebbe di certo possibile, ma richie-
derebbe mesi di lavoro.
Tutto ciò sarebbe assai utile per il dibattito, ma
per quanto mi risulta, ad oggi, non c’è nessuno
che si sia cimentato in una simile impresa (ecco
un’ottima idea per un dottorato di ricerca. Spe-
ro che qualcuno raccolga il mio suggerimento!).
Si può comunque tentare di dare qualche indi-
cazione di massima, individuando tre categorie:
nuclei familiari poveri, benestanti e ricchi.
Il caso dei nuclei familiari “ricchi” è quello
meno problematico. Per come abbiamo deciso
d’implementare la misura, essi sarebbero dei
contribuenti netti. In ogni caso, l’introduzione
60/110
Reddito Incondizionato
del reddito non altererebbe in modo significati-
vo le loro esistenze: ricchi erano e ricchi rimar-
rebbero. È ragionevole attendersi che la loro
propensione al lavoro non diminuirebbe.
Anche il caso dei nuclei familiari più poveri non
è poi così problematico, come invece si potrebbe
pensare. A scanso di equivoci, giudichiamo “po-
veri” quei nuclei familiari con un reddito non
superiore alla soglia di povertà. Introducendo
un reddito incondizionato, a parità di condizio-
ni, molti di essi varcherebbero tale soglia, ma
non per questo navigherebbero nell’oro.
Mi resta difficile pensare che una famiglia appe-
na uscita dalla soglia di povertà scelga di rinun-
ciare al lavoro per sopravvivere solo con il red-
dito d’esistenza, ritornando così al di sotto della
soglia di povertà!
Ovviamente non si può escludere a priori che
ciò non accadrà in nessun caso, ma in generale
è ragionevole attendersi che la propensione al
lavoro, o rimarrebbe invariata, nel caso in cui ci
si accontentasse della nuova condizione, o si ac-
crescerebbe, nel caso in cui si tentasse di trova-
re un lavoro per incrementare ulteriormente il
proprio benessere materiale.
61/110
Approccio teorico
I cambiamenti più significativi avverrebbero
nella situazione intermedia, quella di un nucleo
familiare nella “norma”. Ed è qui che la casistica
si complica a dismisura.
Analizziamo alcuni dei comportamenti che po-
trebbero manifestarsi in un nucleo familiare
composto da marito e moglie.
Nel caso in cui entrambi i coniugi lavorassero a
tempo pieno, l’incentivo sarebbe modesto. Per-
tanto, è lecito attendersi che la loro propensione
al lavoro non muterebbe in modo sensibile, an-
che se non è da escludere che in certi casi qual-
cuno potrebbe decidere di ridurre le ore dedica-
te al lavoro, potendo contare sull’integrazione
statale.
Questa dinamica, però, avrebbe un deterrente
di tipo economico, perché, per come è stata con-
cepita la misura, riducendo il numero di ore la-
vorate si andrebbe comunque a percepire un
reddito inferiore rispetto alla situazione in cui si
lavorava a tempo pieno senza integrazione.
Si è quindi portati a pensare che se quella cop-
pia ha scelto di dedicasi completamente al lavo-
ro, lo abbia fatto per godere di un certo tenore
di vita, e non è detto che sia disposta a ridurre il
62/110
Reddito Incondizionato
proprio benessere economico. L’eventualità
però esiste ed in tal caso indurrebbe un’effettiva
diminuzione della propensione al lavoro.
Magari la coppia potrebbe decidere di avere un
figlio e così la donna sceglierebbe di licenziarsi
per poter usufruire appieno del reddito al fine
di trascorrere più tempo con il/la nascituro/a.
Probabilmente la situazione sarebbe tempora-
nea, perché, nonostante l’integrazione statale,
sopperire ai bisogni di un nucleo familiare di 3
persone con un solo stipendio risulterebbe al-
quanto difficile. In tal caso, la propensione al la-
voro diminuirebbe, ma solo per un certo lasso
di tempo.
Nel caso in cui uno solo dei due coniugi lavoras-
se a tempo pieno, può darsi che l'altro compo-
nente del nucleo familiare deciderebbe di perce-
pire il massimo del sussidio, senza far nulla. In
tal caso la propensione al lavoro rimarrebbe in-
variata.
È anche lecito attendersi che entrambi i soggetti
passino ad un regime part-time, ammesso che
riescano ad effettuare questa transizione, per-
ché, così facendo, avrebbero tutti e due tempo e
soldi a sufficienza per vivere, guadagnando ad-
63/110
Approccio teorico
dirittura di più rispetto alla situazione prece-
dente. In tal caso si avrebbe una redistribuzione
del lavoro, ma non una diminuzione della pro-
pensione al lavoro.
Se i due coniugi avessero già un contratto part-
time, sarebbe lecito attendersi che non mutino
la loro propensione al lavoro e siano ben felici
di ricevere una certa integrazione reddituale da
parte dello Stato lavorando per il medesimo nu-
mero di ore. Se uno dei due decidesse di licen-
ziarsi per godere del massimo importo erogato,
la loro situazione reddituale calerebbe sensibil-
mente.
In generale, la presenza di uno o più figli all’in-
terno di un nucleo familiare non farebbe altro
che aumentare la propensione al lavoro, se non
altro perché le necessità economiche si accre-
scono all’aumentare del numero delle bocche da
sfamare.
Ovviamente una simile analisi è troppo sempli-
cistica per trarre conclusioni definitive, anche
se essa sembrerebbe suggerire che l'introduzio-
ne di un reddito incondizionato, così come pro-
posto nella modalità 2) per un importo massi-
mo di 500 euro, non indurrebbe delle grandi
criticità.
64/110
Reddito Incondizionato
Visto e considerato l’attuale tasso di disoccupa-
zione, è più che ragionevole ipotizzare che il di-
sincentivo al lavoro che si verificherebbe in una
certa classe sociale sarebbe più che compensato
dai comportamenti dei membri che, per una ra-
gione o per l’altra, intendono incrementare la
propria situazione reddituale, ma la complessità
della realtà sociale c’impedisce di trarre delle
conclusioni attendibili sulla base di una simile
analisi.
Nell’esempio precedente abbiamo discusso il
caso in cui l’importo del reddito diminuisce pro-
gressivamente all’aumentare del reddito da la-
voro percepito. Un discorso a parte andrebbe
fatto per il caso in cui il reddito incondizionato
fosse effettivamente uguale per tutti.
Supponiamo che, effettuando dei tagli a delle
spese dannose e recuperando una quota dei
profitti, tutti gli esseri umani possano disporre
di 500 euro al mese in più, senza che lo Stato ne
recuperasse una parte con una tassazione pro-
gressiva.
È chiaro che le dinamiche cambierebbero ulte-
riormente, se non altro perché l’incentivo rice-
65/110
Approccio teorico
vuto dalla classe media sarebbe superiore ri-
spetto alla simulazione descritta in precedenza.
Uno dei motivi per cui bisognerebbe dare il me-
desimo sussidio a tutti pone i suoi fondamenti
sulla psicologia.
Se tutti potessero contare su di una certa cifra
di denaro, supponiamo 500 euro, allora ciò non
verrebbe percepito come un punto di arrivo, ma
come un punto di partenza comune, da cui cia-
scuno muoverebbe i sui passi per migliorare ul-
teriormente la propria condizione.
Così come oggi si parte da un reddito nullo, sal-
vo rare e fortunate eccezioni, in questo nuovo
scenario si partirebbe da un reddito di base ga-
rantito che verrebbe dato per scontato.
C’è chi arriva a sostenere che riservare il mede-
simo trattamento a tutti annullerebbe addirittu-
ra l’effetto del disincentivo al lavoro, perché
sposterebbe il livello di benessere verso l’alto: in
un certo senso, siccome tutti avrebbero 500
euro al mese, disporre di “soli” 500 euro al
mese sarebbe psicologicamente percepito come
oggi si percepisce una condizione con reddito
nullo.
66/110
Reddito Incondizionato
Questa argomentazione, pur avendo un senso, è
decisamente debole, dato che avere 500 euro al
mese non è affatto come non avere nulla, in par-
ticolar modo per le implicazioni psicologiche!
Se l’importo del reddito incondizionato fosse
“troppo” elevato, esso rischierebbe di trasfor-
marsi in un punto di arrivo per un certo numero
di persone. Di solito questa eventualità vuole
esser fatta passare come il male assoluto, ma
non è affatto detto che debba essere così.
Ad esempio, se grazie alle automazioni l’esigen-
za di lavoro umano venisse a diminuire sempre
più, allora sarebbe un bene che il reddito di esi-
stenza fosse sufficientemente elevato così da
trasformarsi in un effettivo disincentivo nei
confronti del lavoro umano, che, di fatto, nean-
che sarebbe disponibile, oltre a non essere più
indispensabile.
Ecco quindi che calibrando in modo opportuno
l’importo del sussidio si sarebbe trasformato
quello che per molti è un “difetto” del reddito di
esistenza in un “pregio”.
Se si ritiene che sia ingiusto che a livello sociale
vi siano individui che possano vivere senza far
nulla col reddito di esistenza mentre altri scel-
67/110
Approccio teorico
gono di lavorare, allora l’alternativa consiste
nella redistribuzione del lavoro esistente. E non
sarebbe male effettuare questa misura incre-
mentando progressivamente i salari a mano a
mano che l’automazione divenisse sempre più
spinta e l’orario di lavoro diminuisse.
Se è vero che per questioni ecologiche la cresci-
ta economica non è più praticabile, si deve con-
cludere che non ci sono altre vie da percorrere,
perché se non si redistribuisce la ricchezza, o
erogando un reddito incondizionato o tramite i
salari, redistribuendo il lavoro, i disoccupati
tecnologici saranno condannati alla miseria.
Sempre ammesso che non si voglia eliminare fi-
sicamente dalla faccia della Terra gli individui
ritenuti “inutili”.
Che cosa accadrebbe effettivamente scegliendo
d’introdurre un reddito incondizionato è diffici-
le a dirsi. Intuitivamente si sarebbe portati a
pensare che per una certa fetta di popolazione il
disincentivo al lavoro aumenterebbe all’aumen-
tare dell’importo erogato, ma se si vuole essere
intellettualmente onesti non bisogna omettere
di valutare gli effetti di retroazione a sua volta
causati da questo fenomeno.
68/110
Reddito Incondizionato
Proviamo a cambiare punto di vista. Ammettia-
mo che un reddito incondizionato troppo eleva-
to induca effettivamente un disincentivo al lavo-
ro di una certa entità: ma chi l’ha detto che que-
sto fenomeno non possa migliorare le condizio-
ni di vita dell’umanità?
Il fatto che alcuni individui decidano di ridurre
il tempo che erano soliti dedicare al lavoro pri-
ma dell’introduzione del reddito incondizionato
potrebbe indurre tre effetti: 1) redistribuzione
del lavoro esistente; 2) automazione del lavoro;
3) crescita dei salari. In tutta sincerità, io riten-
go che, se gestite correttamente, queste dinami-
che sarebbero tutt’altro che negative.
Del primo caso abbiamo già parlato, ed abbia-
mo concluso che questa eventualità sarebbe au-
spicabile, grazie ad essa infatti si ridurrebbe la
disoccupazione dando maggior tempo agli indi-
vidui per vivere la vita.
Il secondo ed il terzo caso sono in qualche modo
collegati. Infatti, se i lavoratori non fossero di-
sposti ad occuparsi di determinati compiti, per
fare in modo essi che vengano comunque porta-
ti a termine, ammesso che siano effettivamente
utili per la collettività (altrimenti sarebbe un
bene che nessuno se ne occupasse!), non si do-
69/110
Approccio teorico
vrebbe far altro che automatizzare ciò che è au-
tomatizzabile oppure, nel caso in cui ciò non
fosse possibile, si dovrebbero re-incentivare i
lavoratori incrementando i compensi.
È chiaro che le maggiori criticità si verifichereb-
bero con le mansioni non automatizzabili ma
necessarie che però nessuno vorrebbe fare, per-
ché, ad esempio, si tratta di attività poco gratifi-
canti, noiose, pericolose e/o logoranti.
Ma se si procedesse minimizzando il lavoro, ov-
vero eliminando il lavoro inutile e dannoso, si
automatizzasse ciò che resta, e s’incrementasse-
ro le retribuzioni laddove ve ne fosse l’esigenza,
il problema dei compiti detestabili sarebbe
pressoché risolto.
Complessivamente queste retroazioni provocate
dal disincentivo al lavoro migliorerebbero le
condizioni di vita di tutti, fatta eccezione per i
ricchi.
Redistribuendo il lavoro i disoccupati ricomin-
cerebbero a dare il loro contributo alla società
offrendo prestazioni lavorative in cambio di un
reddito dignitoso.
70/110
Reddito Incondizionato
Automatizzare il lavoro, in presenza di un red-
dito incondizionato, significherebbe incomin-
ciare a liberare l’umanità dalla costrizione al la-
voro, senza condannare nessuno alla miseria;
ciò sarebbe ancor più vero, se si prevedesse un
meccanismo per incrementare in modo automa-
tico l’importo del reddito di esistenza a mano a
mano che l’automazione del sistema economi-
co-produttivo diventasse sempre più spinta.
Ed infine, aumentare le retribuzioni dei lavori
meno desiderabili è quanto di giù giusto e dove-
roso si possa e si debba fare.
Ritengo che ci siano elementi a sufficienza per
concludere che, se correttamente gestito, l’even-
tuale disincentivo al lavoro indotto dal reddito
incondizionato possa addirittura trasformarsi in
un punto di forza e non in un elemento di debo-
lezza.
Approccio empirico
Sviluppando queste argomentazioni, però, non
siamo ancora riusciti a stabilire l’entità del pro-
blema legato all’eventuale disincentivo al lavo-
ro.
71/110
Approccio empirico
Per tentare di capire cosa accadrebbe realmente
introducendo un reddito incondizionato c’è chi
ha proposto di lavorare su base empirica, an-
dando a valutare gli esiti degli esperimenti che
sono già stati effettuati nel corso della storia in
varie parti del mondo. Il tutto può essere inte-
grato con i risultati dei sondaggi basati su inter-
viste e questionari.
Esistono decine di studi effettuati in tal senso,
dove una certa parte della popolazione ha rice-
vuto un reddito incondizionato erogato in dena-
ro e/o in beni e servizi per un certo lasso di tem-
po.
I più interessanti sono stati raccolti nel testo di-
vulgativo intitolato Utopia per realisti, di Rut-
ger Bregman e nel saggio, assai più approfondi-
to e ampio, intitolato Il reddito di base. Una
proposta radicale, di Philippe Van Parijs.
Ciò che emerge da questi studi è che a fronte
dell’introduzione del reddito in nessun caso la
percentuale d’individui che ha scelto di non de-
dicarsi alle attività lavorative, così come comu-
nemente intese oggi, ha superato il 10% degli
aventi diritto (ho approssimato per eccesso): un
dato, che se corrispondesse alla realtà, sarebbe
perfettamente sostenibile.
72/110
Reddito Incondizionato
Vorrei far notare al lettore che nel momento in
cui sto scrivendo queste riflessioni, in Italia, il
tasso di disoccupazione è prossimo al 10% e non
mi pare che il mondo stia crollando.
È vero, nel bel paese ci sono diversi milioni di
poveri, ciò però non è dovuto al fatto che non ci
sia lavoro a sufficienza per creare benessere per
tutti, ma ad una forte concentrazione della ric-
chezza a vantaggio di una élite di privilegiati;
una ricchezza che se fosse equamente distribui-
ta consentirebbe a tutti di vivere in modo più
che dignitoso, senza alcun bisogno d’incremen-
tare il quantitativo di attività lavorative già in
essere.
Si consideri, inoltre, che l’automazione del lavo-
ro in futuro ridurrà ulteriormente la necessità
di lavoratori umani e l’istituzione di un reddito
incondizionato potrebbe risolvere le criticità le-
gate a questo fenomeno.
In una società dove il tasso di disoccupazione si
attestasse al 10%, o anche più, ma in cui vi fosse
un reddito incondizionato sufficientemente ele-
vato, vi sarebbero delle differenze sostanziali ri-
spetto alla situazione attuale: tanto per comin-
73/110
Approccio empirico
ciare, i disoccupati lo sarebbero per scelta e non
verrebbero condannati alla fame.
Essi, inoltre, contribuirebbero al funzionamento
dell’economia spendendo il loro reddito, una
cosa che i disoccupati di oggi di certo non pos-
sono fare, a meno che non appartengano alla
élite dei ricchi che possono permettersi il lusso
di non lavorare.
Stando ai risultati delle ricerche effettuate, a
che cosa si dedicano quei presunti scansafatiche
che hanno scelto di riappropriarsi del loro tem-
po grazie al reddito di esistenza?
I dati confutano ancora una volta la summen-
zionata retorica del divano: in molti casi si trat-
ta di donne che hanno deciso di portare a termi-
ne la gravidanza in tranquillità dedicandosi ai
propri figli, in molti altri ancora si tratta d’indi-
vidui che hanno scelto di mettersi a studiare.
Come mai allora si continua ad argomentare
contro l’istituzione di una simile misura?
A titolo di esempio, vorrei riportare gli esiti di
uno dei tanti esperimenti sociali volti a testare
gli effetti dovuti alla temporanea introduzione
di un reddito incondizionato.
74/110
Reddito Incondizionato
Esso non è presente nei saggi sopra citati, per il
semplice fatto che i dati preliminari, relativi al
primo anno di sperimentazione, sono stati dif-
fusi proprio in questi giorni.
Lo cito, non tanto per discuterne i risultati, che
non sono né superiori, né inferiori in termini di
qualità, quantità e attendibilità, a quelli degli al-
tri esperimenti già condotti e analizzati, ma sol-
tanto per far notare al lettore con quale disone-
stà intellettuale viene affrontato oggigiorno il
tema del reddito incondizionato.
L’esperimento, ancora in corso, consiste nell’e-
rogare, per un periodo di 2 anni, 560 euro al
mese, cumulabili con altri redditi da lavoro e
senza porre alcuna condizione, ad una platea di
2.000 disoccupati di età compresa tra i 25 e i 58
anni scelti a caso.
Trascorso questo periodo, le azioni degli indivi-
dui coinvolti nell’esperimento saranno confron-
tate con quelle di un gruppo di controllo che
non ha avuto accesso alla misura, ma che è stato
comunque aiutato con il sistema di welfare già
in vigore.
75/110
Approccio empirico
Quest’ultimo prevede sanzioni per i disoccupati
che rifiutano le offerte di lavoro, così come av-
verrà con il (falso) reddito di cittadinanza ap-
provato dal governo italiano.
Tanto per cominciare, citiamo i titoli delle prin-
cipali testate nazionali e dei più famosi siti web
che hanno diffuso l’esito del primo anno di spe-
rimentazione sintetizzandolo così:
ANSA: Finlandia ammette, “reddito di base inu-
tile, non crea lavoro”.
Il Sole 24 Ore: Finlandia, il reddito di base uni-
versale non crea lavoro.
Repubblica: Reddito di base, la Finlandia am-
mette il flop: “Non ha aiutato a trovare lavoro”.
Il Giornale: La Finlandia boccia il suo reddito di
cittadinanza.
Tg Com 24: Finlandia: “Il reddito di base per i
disoccupati non aiuta a rilanciare
l’occupazione”.
A giudicare da questi titoli viene quasi da pen-
sare che l’esperimento abbia prodotto degli esiti
nefasti... e invece, andando a leggere all’interno
dei suddetti articoli si scopre che:
1) ai fini del livello occupazionale, la permuta-
zione di un reddito condizionato con un reddito
76/110
Reddito Incondizionato
incondizionato non ha indotto differenze degne
di rilievo; più precisamente, i beneficiari del
reddito di base in un anno hanno lavorato me-
diamente mezza giornata in più rispetto al
gruppo di controllo.
2) dal punto di vista della salute, i beneficiari 
del reddito di base universale hanno manifesta-
to un maggior benessere, da tutti i punti di vi-
sta; in particolare, rispetto al gruppo di control-
lo, essi manifestavano minor sintomi di stress,
una maggiore capacità di concentrazione, una
minor incidenza di problemi di salute. Erano
anche più fiduciosi nel futuro e nella loro capa-
cità di affrontare i problemi della società.
In estrema sintesi, se si assumessero come vali-
di gli esiti di questo esperimento e li si esten-
desse a tutta la popolazione (operazione alquan-
to discutibile da un punto di vista logico), ciò si-
gnificherebbe due cose: che se si sostituisse il
welfare condizionato già esistente con un reddi-
to incondizionato, gli aventi diritto continuereb-
bero a lavorare tanto quanto prima, se non di
più, ma sarebbero decisamente più sani e felici.
Così facendo, volendo essere davvero pessimi-
sti, nella peggiore delle ipotesi si sarebbero mi-
gliorate le condizioni di vita dei più poveri, sen-
77/110
Approccio empirico
za scoraggiarli nella ricerca del lavoro più di
quanto non lo fossero già, semplificando note-
volmente un sistema di welfare basato su obbli-
ghi, controlli e sanzioni che, per loro stessa am-
missione, risulta farraginoso.
In tutta sincerità, come si possa giudicare que-
sto esperimento come un fallimento, è vera-
mente un mistero.
Precisiamo inoltre che in Finlandia la soglia di
povertà è prossima ai 1.200 euro mensili; per-
tanto, dai risultati di questo studio emerge an-
che che, da un punto di vista empirico, non esi-
ste un effetto “scoraggiamento” nella ricerca di
lavoro per coloro che ricevono dallo Stato un
reddito incondizionato vicino al 50% della so-
glia di povertà.
Come mai allora c’è tutta questa negatività ri-
spetto agli esiti di un esperimento che ha mo-
strato degli ottimi lati positivi?
La motivazione ce la suggeriscono gli stessi au-
tori dei suddetti articoli: dopo esser stata aspra-
mente criticata da alcuni politici, anche l’OCSE
ha avvertito Helsinki che, per implementare un
reddito di base a livello nazionale, senza au-
mentare i costi per le finanze pubbliche, si sa-
78/110
Reddito Incondizionato
rebbe reso necessario un intervento redistribu-
tivo da attuare incrementando le tasse ai più
ricchi.
Ecco qual è la vera criticità, non si tratta dell’i-
nefficacia della misura, ma di fare in modo che i
ricchi possano continuare a rimaner tali.
Prima di procedere oltre consentitemi di spen-
dere due parole per commentare i titoli scelti
per sintetizzare l’esito dell’esperimento condot-
to in Finlandia.
Dire che il reddito di base sia inutile, è sempli-
cemente falso, perché, di fatto, ha contribuito a
migliorare le condizioni di salute e felicità dei
percettori.
Non è neanche vero che non aiuti a trovare la-
voro: esso, infatti, ha aiutato a trovare lavoro
tanto quanto il sistema di welfare già in essere.
Sostenere che il reddito di base non crei lavoro
non è lecito: come si può sapere se esso possa
creare o no lavoro traendo conclusioni sulla
base dello “stimolo” economico indotto da una
minuscola platea di 2.000 individui che hanno
ricevuto soltanto 560 euro al mese per non più
di dodici mesi?
79/110
Approccio empirico
Di certo, gli effetti sull’economia sarebbero stati
sensibilmente differenti se la misura avesse in-
teressato tutti i poveri, e non soltanto un piccolo
campione di individui estratti a sorte.
Analoghi discorsi possono essere fatti per l’af-
fermazione che il reddito incondizionato non
aiuti a rilanciare l’occupazione: come si può de-
durlo in base ad un campione così ridotto?
Vogliamo scommettere che se si fosse estesa la
misura a tutti, redistribuendo in modo serio la
ricchezza, gli esiti sarebbero stati sensibilmente
differenti?
Che la Finlandia abbia bocciato il reddito incon-
dizionato sarà anche vero ma questo non signi-
fica che esso sia stato un flop: per quanto abbia-
mo appena sostenuto sarebbe stato più corretto
sostenere che la Finlandia ha bocciato il reddito
nonostante questo abbia migliorato le condizio-
ni di vita dei più poveri senza scoraggiare la ri-
cerca del lavoro.
Sinceramente non mi stupisce più di tanto che
si tenti di trarre conclusioni negative sulla base
di dati empirici che invece suggeriscono il con-
trario.
80/110
Reddito Incondizionato
Ciò accade ogni volta che certi gruppi di potere
intendono confermare aprioristicamente le loro
posizioni fingendo di accreditarle con degli stu-
di “scientifici” che in realtà non vengono con-
dotti con rigore ed in modo imparziale.
Spesso le ricerche sono congegnate per confer-
mare i risultati che ci si è prefissati di ottenere,
fregandosene di stabilire quale sia la verità.
Oggigiorno la falsa scienza interviene in ogni
ambito, dalla salute all’ecologia, passando per
l’economia. Simili mistificazioni sono già acca-
dute con gli esperimenti relativi al reddito in-
condizionato che sono stati effettuati in passato,
accadono ancora oggi, come vi ho appena mo-
strato, e sono pronto a scommettere che acca-
dranno anche in futuro.
Per quanto riguarda i programmi di sosteno
pubblico al reddito il caso di mistificazione più
eclatante, a mio avviso, si è verificato con il si-
stema Speenhamland: un tentativo per cercare
di porre rimedio alle gravi condizioni socio-eco-
nomiche che la Poor law (legge sulla povertà)
varata sotto il regno di Elisabetta I non era stata
in grado di affrontare.
81/110
Approccio empirico
Qualche decennio dopo la sua introduzione ven-
ne avviata un’ambiziosa indagine governativa
volta ad indagare le condizioni dei lavoratori
agricoli, sulla povertà nelle campagne e sugli ef-
fetti prodotti dal sistema Speenhamland.
Gli incaricati della Royal Commission raccolse-
ro montagne di dati che diedero vita ad una re-
lazione di 13.000 pagine il cui esito può essere
così sintetizzato: il sistema Speenhamland era
stato un completo fallimento, aveva causato
un’esplosione demografica, la riduzione dei sa-
lari e l’aumento di condotte immorali, incre-
mentando ancor più il degrado della classe lavo-
ratrice.
Per lungo tempo la relazione della Royal Com-
mission fu considerata una fonte autorevole ed
ebbe un’ampia diffusione. Personaggi del cali-
bro di Karl Marx la utilizzarono per decretare
l’inutilità e la nocività di simili misure assisten-
ziali.
Peccato però che alcuni storici negli anni 60 e
70 del Novecento scoprirono che gran parte di
quella relazione era stata redatta ancor prima di
aver raccolto un sol dato e che essa fosse in buo-
na parte manipolata.
82/110
Reddito Incondizionato
I questionari distribuiti erano incompleti per il
90%; le domande erano state concepite per es-
sere tendenziose; vennero utilizzate risposte op-
zionali decise in anticipo per sostenere certe
tesi. Inoltre, quasi nessuna delle persone inter-
vistate riceveva il sussidio previsto dalla misura.
Da dove provenivano quindi i dati? Per la mag-
gior parte, derivavano dai membri delle élite lo-
cali, con una particolare presenza di uomini ap-
partenenti al clero, la cui opinione preconcetta
era che dando un sostegno ai poveri, così come
previsto dal sistema Speenhamland, essi sareb-
bero soltanto divenuti più pigri e viziosi.
Inutile dire che con queste premesse era del tut-
to ovvio che il massimo che un simile studio
avesse potuto fare fosse di confermare i pregiu-
dizi dei committenti. La realtà, invece, si avvici-
nava di molto all’esatto opposto di quanto ven-
ne sostenuto nelle conclusioni della suddetta re-
lazione.
Gli anni passano, ma il modo di agire del Potere
è sempre il medesimo ed è intrinsecamente ba-
sato sulla mistificazione della realtà e l’utilizzo
della menzogna.
83/110
Approccio empirico
Nonostante con un’analisi attenta ed imparziale
si possa dedurre che gli esiti degli esperimenti
fin qui condotti nel corso della storia muovano
in favore dell’istituzione del reddito incondizio-
nato, e non il contrario, mostrando in particola-
re come questa eclatante ondata di “nulla-fa-
centismo”, preconizzata dai detrattori della sud-
detta misura, non si sia mai verificata in nessu-
na situazione, e nonostante io sia intuitivamen-
te convinto della positività di questo genere di
soluzione, per una mera questione d’onestà in-
tellettuale devo rifiutare con forza la validità
delle conclusioni che si sarebbe portati a trarre
sulla base di questo genere di studi.
Pensare di prevedere il reale comportamento
degli esseri umani con delle interviste, andando
a creare statistiche previsionali sulla base di in-
tenzioni e desideri, è quanto di più inaffidabile
possa esser fatto. Pertanto, escluderei gli esiti
dei sondaggi. Veniamo ora agli studi empirici.
Il problema dei vari esperimenti che sono stati
effettuati è che essi, in realtà, non erano affatto
basati su dei veri redditi incondizionati: per un
motivo o per l’altro, le modalità attuate non si
avvicinavano a quella che invece sarebbe la real-
tà delle cose qualora s’istituisse un vero reddito
di esistenza.
84/110
Reddito Incondizionato
Ciò è accaduto per i seguenti motivi: il reddito
non è stato erogato a tutta la popolazione, ma
soltanto ad un piccolo campione d'individui; l'e-
rogazione del sussidio non era illimitata nel
tempo, ma limitata alla durata dell'esperimen-
to; in alcuni casi il reddito era decisamente
troppo basso in altri non era erogato in denaro,
ma in alimenti e/o in servizi; in altri ancora ve-
niva meno l'assenza di condizioni... e così via.
Ora, è del tutto evidente che se il reddito incon-
dizionato non viene erogato a tutta la popola-
zione si tagliano immediatamente fuori dall’e-
sperimento delle dinamiche fondamentali, di
cui invece bisognerebbe tener conto; per ovviare
a questo inconveniente si potrebbe scegliere un
campione sufficientemente ampio e rappresen-
tativo, ma non mi risulta che ciò sia mai avve-
nuto.
Purtroppo, per stabilire su base empirica se una
certa implementazione del reddito incondizio-
nato rilancerà o meno l’economia di una nazio-
ne, non c’è altra via che non sia quella di eroga-
re il reddito e vedere che cosa accadrà.
Il fatto di essere consapevoli che l’erogazione
del sussidio duri soltanto per un certo lasso di
85/110
Approccio empirico
tempo cambia drasticamente le dinamiche del
gioco: un conto è ricevere 500 euro al mese per
sempre, un altro è essere consapevoli di poterne
disporre solo per 1, o 2, anni.
Dare un reddito basso, supponiamo 100 euro,
non è come dare un reddito elevato, supponia-
mo 1.000 euro, la differenza di comportamento
indotta sarebbe sostanziale; la medesima pro-
blematica si verificherebbe erogando lo stesso
importo o in denaro o in beni/servizi, compli-
cando ancor più l’analisi.
Ed infine, il voler sperimentare un reddito in-
condizionato ponendo delle condizioni, preten-
dendo di trarne delle conclusioni affidabili in
merito a come si comporterebbero gli esseri
umani se tali condizioni non ci fossero, è una
palese contraddizione.
Per tutte queste ragioni le conclusioni degli stu-
di empirici fin qui condotti non possono essere
reputate attendibili.
Vi è però un singolo caso che fa eccezione e che
merita di essere menzionato. Si tratta dell’unica
realtà al mondo in cui esiste effettivamente un
reddito incondizionato: l’Alaska.
86/110
Reddito Incondizionato
Il questa nazione, fin dal 1976, tutti i cittadini
residenti da più di un anno percepiscono in
egual misura i profitti ottenuti da un fondo di
investimento pubblico. L’importo oscilla, a se-
conda delle annate, tra i 1.000 ed i 2.000 dollari
all’anno.
Si consideri che in Alaska la soglia di povertà
per un nucleo familiare composto da un singolo
individuo è pari a 15.600 dollari all’anno.
Quali sono i risvolti sociali? Da qualunque pun-
to di vista lo si osservi, l’esperimento dell’Alaska
risulta un successo: non ha creato disincentivo
al lavoro, ha aiutato i più poveri ed ha contri-
buito a sostenere l’economia nei periodi di crisi.
Pertanto, esso può essere ragionevolmente uti-
lizzato come argomento a supporto della tesi
che un reddito incondizionato dell’ordine del
13% della soglia di povertà (circa 100 euro al
mese in Italia) sarebbe benefico per la società.
Ma da un punto di vista empirico, se volgiamo
essere intellettualmente onesti, più di così non
possiamo sostenere.
A voler esser pignoli, si potrebbe argomentare
ulteriormente, sostenendo che, a rigor di logica,
87/110
Approccio empirico
nemmeno la precedente tesi sia valida; infatti,
applicando un’identica misura in un altro Stato,
si avrebbe a che fare con un contesto differente
che sarebbe caratterizzato da condizioni al con-
torno diverse in merito all’economia e alla cul-
tura degli esseri umani.
Tralasciamo quest’ultima osservazione e proce-
diamo con la nostra analisi assumendo, più o
meno tacitamente, che sia lecito aspettarsi che
in ambito sociale esperimenti condotti in conte-
sti “simili” producano effetti “analoghi”.
Se ciò è vero, possiamo concludere che se si ero-
gassero 100 euro al mese a tutti gli italiani, sen-
za chiedere nulla in cambio, non si verifichereb-
be alcuna dinamica sociale dannosa.
Ma il nostro proposito era di istituire un reddito
più elevato. E così siamo di nuovo al punto di
partenza per mancanza di evidenze empiriche...
come si risolve questa problematica?
In realtà, la soluzione è davvero banale: basta
introdurre il reddito incondizionato con gradua-
lità nel corso degli anni, invece che in un’unica
soluzione, riservandosi di interrompere il pro-
cesso d’incremento dell’importo non appena co-
mincino a manifestarsi dei segnali premonitori
88/110
Reddito incondizionato
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Reddito incondizionato

  • 1. Reddito Incondizionato Reddito Incondizionato Apologia di una proposta rivoluzionaria. 25 luglio 2019 Mirco Mariucci 1/110
  • 2. Quarta di copertina Quarta di copertina All’interno di quest’opera l’autore analizza la fattibilità economica e le implicazioni sociali di una misura rivoluzionaria: l’istituzione di un reddito di esistenza universale incondizionato. 2/110
  • 3. Reddito Incondizionato Indice dell’Opera Quarta di copertina........................................2 Indice dell’Opera............................................3 Reddito di esistenza incondizionato..............4 Come finanziare il reddito di esistenza?........6 Metodo n.1: tagliare il welfare........................7 Metodo n.2: redistribuire la ricchezza..........11 Metodo n.3: redditi da signoraggio..............16 Metodo n.4: utilizzare i profitti....................23 Metodo n.5: condividere la ricchezza..........28 Metodo n.6: eliminare le attività nocive......29 Metodo n.7: soluzioni innovative e/o miste 33 La questione del disincentivo al lavoro.......35 Approccio teorico.........................................53 Approccio empirico.......................................71 Qual è il giusto importo da erogare?...........90 Punti di forza................................................95 Profitto e controllo sociale..........................101 Reddito incondizionato ed ecologia...........106 Per approfondire.........................................110 3/110
  • 4. Reddito di esistenza incondizionato Reddito di esistenza incondizionato All’interno di questo saggio analizzeremo la fat- tibilità economica e le implicazioni sociali di una proposta semplice ma rivoluzionaria, vale a dire l’istituzione di un reddito incondizionato. Nella sua versione più generale, tale misura prevede l’elargizione, ad intervalli di tempo re- golari, di una certa somma di denaro donata a tutti gli esseri umani presenti sulla Terra, senza chiedere nulla in cambio. Ad esempio, in una ipotetica società dove fosse in vigore un reddito incondizionato, ogni indivi- duo riceverebbe 500 euro al mese, fin dalla na- scita, solo ed esclusivamente per il fatto di esi- stere. Per questo motivo il reddito incondizio- nato viene anche chiamato reddito di esistenza. Da un punto di vista pratico questa misura può essere implementata in molti modi differenti, modulando l’entità del beneficio economico, op- pure scegliendo di erogare una parte del sussi- dio in termini di beni e servizi. Tutto ciò è senz’altro legittimo, a condizione che non venga meno una qualità essenziale, quella 4/110
  • 5. Reddito Incondizionato che caratterizza il reddito di esistenza: l’assenza di condizioni. Infatti, se così non fosse, si ricadrebbe nella ca- sistica del reddito condizionato. Se il reddito incondizionato non viene erogato a tutta la popolazione mondiale, ma soltanto ad un suo sottoinsieme, allora esso, a rigor di ter- mini, non può più definirsi “universale”. Ciò accade quando il reddito incondizionato è assegnato soltanto ai cittadini di una certa na- zione; in tal caso, si può propriamente parlare di reddito di cittadinanza. Ulteriori varianti delle implementazioni del red- dito incondizionato sono quelle che prevedono di dare ai minorenni un reddito inferiore rispet- to a quello dei maggiorenni o, addirittura, di erogare il suddetto beneficio economico soltan- to agli individui che abbiano compiuto la mag- giore età. Per fissare le idee, effettueremo le nostre rifles- sioni analizzando un caso concreto, quello del- l'Italia, immaginando di voler istituire un reddi- to incondizionato che assicurasse un importo mensile di 500 euro a tutti gli individui maggio- 5/110
  • 6. Reddito di esistenza incondizionato renni in possesso della cittadinanza: stiamo parlando di una platea composta all'incirca da 50 milioni di persone. Come finanziare il reddito di esisten- za? Cominciamo la nostra analisi occupandoci degli aspetti economici, perché, di solito, la prima critica che viene mossa contro l’istituzione di un reddito incondizionato è proprio la sua insoste- nibilità economica. Del resto, per dare anche solo 500 euro al mese a 50 milioni di persone si dovrebbero trovare 500 euro x 12 mesi x 50 milioni di persone = 300 miliardi di euro all’anno! E la cifra salireb- be a 468 miliardi, se il beneficio economico fos- se di 780 euro al mese. Si consideri che il bilancio dello Stato italiano è prossimo agli 850 miliardi, perciò c'è chi si af- fretta a concludere che il reddito d'esistenza sia economicamente impossibile da implementare. Fortunatamente, questa impossibilità è soltanto presunta: esistono almeno 6 modi per finanzia- re il reddito di esistenza e alcuni di essi potreb- bero essere attuati all’interno dell’odierno para- 6/110
  • 7. Reddito Incondizionato digma economico addirittura a costo zero per le casse dello Stato, salvaguardando tutti i servizi pubblici preesistenti. Metodo n.1: tagliare il welfare Ancor prima d’illustrare questa proposta, pre- metto che ho deciso di citarla soltanto per com- pletezza e per allertare i lettori avvisandoli che una sua eventuale applicazione sarebbe a dir poco disastrosa per le classi sociali più povere. Spieghiamo subito il perché. Andando a guardare le voci di bilancio ci si ac- corge che, nel suo complesso, le politiche di welfare pesino, grosso modo, 450 miliardi di euro all’anno: una cifra assai più alta di quella che servirebbe per istituire un reddito incondi- zionato pari a 500 euro al mese. Pertanto i sostenitori di questa soluzione diran- no: «Volete un reddito incondizionato? Benissi- mo, affinché esso sia sostenibile bisognerà ri- sparmiare sul welfare, privatizzando alcuni servizi pubblici... del resto, se invece di garan- tire l’accesso gratuito a dei servizi, lo Stato erogasse ai cittadini un reddito di pari importo rispetto alla spesa che utilizzava per il loro funzionamento, tutti quanti potrebbero co- 7/110
  • 8. Metodo n.1: tagliare il welfare munque usufruire delle prestazioni di cui avrebbero bisogno pagandole all’occorrenza» e invece no: è questa la trappola in cui non dovete cadere! Un servizio pubblico gratuito assicura un acces- so universale; un servizio privato assicura l’ac- cesso soltanto a chi è in grado di pagare le pre- stazioni. Si pensi, ad esempio, alla sanità: è soltanto ri- partendo il costo complessivo dei servizi erogati sulla collettività che tutti quanti possono avere la certezza di potersi curare in caso di necessità; far pagare ai singoli cittadini le prestazioni di cui forse avranno bisogno significherebbe esclu- dere in partenza i soggetti più poveri. Dire che per garantire un reddito incondiziona- to di 500 euro al mese a tutti i maggiorenni si deve essere disposti a pagare lo scotto di una completa privatizzazione della sanità, significa dire che soltanto i ricchi potranno curarsi. 500 euro al mese sarebbero a malapena suffi- cienti per alimentarsi e coprire le spese della propria abitazione e, di certo, con ciò che rimar- rebbe di essi, non si riuscirebbe a pagare nean- 8/110
  • 9. Reddito Incondizionato che un semplice consulto medico, figuriamoci un’operazione! Di fatto, non cambierebbe nulla, se non in peg- gio, se l’importo del reddito fosse più elevato, arrivando ai fatidici 780 euro al mese, un obiet- tivo che, conti alla mano, potrebbe essere rag- giunto eliminando completamente ogni voce di spesa per le politiche sociali. In tal caso, infatti, i cittadini più poveri non solo non riuscirebbero a pagare le prestazioni occa- sionali, come quelle mediche, ma non riuscireb- bero neanche ad accedere a dei servizi basilari come l’istruzione! Nonostante le eclatanti problematiche a cui si andrebbe incontro finanziando il reddito incon- dizionato così come appena specificato, questa proposta viene comunque portata avanti da cer- ti politici corrotti dall’ideologia neoliberale. Il loro vero scopo, infatti, non è quello di offrire il miglior servizio a tutti i cittadini, aiutando in particolar modo i poveri, ma di privatizzare i servizi pubblici, così che qualche attore econo- mico possa utilizzarli ancor meglio per realizza- re profitto a danno della collettività. 9/110
  • 10. Metodo n.1: tagliare il welfare In tal caso, la proposta di finanziare il reddito incondizionato tagliando il welfare farebbe pro- prio al caso loro e l’istituzione di un sussidio per aiutare i poveri verrebbe utilizzato come un espediente per raggiungere i loro veri obiettivi. Per quanto fin qui sostenuto il mio monito è il seguente: state alla larga da tutte quelle forze politiche che proporranno di istituire il reddito incondizionato andando a recuperare i fondi ta- gliando lo Stato sociale. Nonostante la propaganda e la retorica con cui questa razza di vipere cercherà di convincervi del contrario, un reddito incondizionato così fi- nanziato non sarebbe affatto sufficiente per vi- vere in modo dignitoso. E la sua istituzione, invece di aiutare i più debo- li, finirebbe per condannare alla miseria un’am- pia fetta di popolazione, non per colpa del red- dito incondizionato in sé, ma di una sua scelle- rata implementazione. Vi sono delle alternative decisamente migliori per ottenere il medesimo obiettivo, senza dan- neggiare in alcun modo le cassi più deboli; uno di essi è riportato qui di seguito. 10/110
  • 11. Reddito Incondizionato Metodo n.2: redistribuire la ricchezza Basta suddividere il PIL dell’Italia per il numero dei destinatari del beneficio economico che stia- mo proponendo di attuare per rendersi imme- diatamente conto che ciò che impedisce di isti- tuire un reddito incondizionato non è di certo la mancanza di ricchezza ma una sua iniqua ripar- tizione. Nel 2018, infatti, il PIL dell’Italia era prossimo ai 1.700 miliardi di euro che, diviso per 50 mi- lioni d’individui, fa 34.000 euro a testa all’anno, corrispondenti a poco più di 2.830 euro al mese. Ma noi per finanziare la nostra misura abbiamo bisogno soltanto di 6.000 euro per ogni indivi- duo, nel caso volessimo istituire un reddito pari a 500 euro al mese, o al più di 9.360 euro, nel caso in cui il beneficio economico fosse di 780 euro al mese, e non di 34.000 euro! Pertanto è del tutto evidente che una semplice manovra redistributiva sarebbe più che suffi- ciente per finanziare un reddito incondizionato in modo perfettamente sostenibile. Il punto quindi è come redistribuire la ricchezza. 11/110
  • 12. Metodo n.2: redistribuire la ricchezza Ve lo spiego subito: ci sono tre metodi per cal- colare il PIL e uno di essi, quello del reddito, ci dice che il PIL corrisponde alla sommatoria dei salari e dei redditi da capitale. Questa identità ci suggerisce di procedere al se- guente modo: si tassano tutti i profitti, le rendi- te e gli stipendi, al netto del pagamento delle imposte, fissando una percentuale uguale per tutti. Così facendo si sarà recuperata una certa quota di PIL. L’importo ricavato attraverso questa operazione va fatto confluire in un fondo comune che verrà utilizzato in modo opportuno per finanziare il reddito di esistenza. La cifra ricavata potrà essere suddivisa per il numero degli aventi diritto, ottenendo così l’im- porto del beneficio economico individuale che verrà accreditato mensilmente a tutti gli aventi diritto. Immaginiamo che una tassazione del 25% sia sufficiente per recuperare una porzione del PIL tale da riuscire a finanziare un reddito incondi- zionato di 500 euro al mese per 50 milioni di italiani. Che cosa accadrebbe all’atto pratico? 12/110
  • 13. Reddito Incondizionato Analizziamo gli scenari caso per caso. Chi non ha alcun reddito non paga nulla, ma percepisce 500 euro al mese. In tal caso, il beneficio è mas- simo. Chi guadagna 500 euro netti al mese paga il 25% di imposte (125 euro), ma riceve 500 euro; così facendo il suo reddito sale da 500 euro net- ti al mese a 500 – 125 + 500 = 875 euro al mese. In tal caso il beneficio è di 375 euro. Chi guadagna 1.000 euro netti al mese paga il 25% di imposte (250 euro), ma riceve 500 euro; così facendo il suo reddito sale da 1.000 euro netti al mese a 1.000 – 250 + 500 = 1.250 euro al mese. In tal caso il beneficio è di 250 euro. Chi guadagna 1.500 euro netti al mese paga il 25% di imposte (375 euro), ma riceve 500 euro; così facendo il suo reddito sale da 1.500 euro netti al mese a 1.500 – 375 + 500 = 1.625 euro al mese. In tal caso il beneficio è di 125 euro. Chi guadagna 2.000 euro netti al mese paga il 25% di imposte (500 euro), ma riceve 500 euro; così facendo il suo reddito resta invariato per- ché 2.000 – 500 + 500 = 2.000 euro al mese. In tal caso non si ha nessun beneficio: abbiamo individuato il punto di equilibrio! Ciò significa 13/110
  • 14. Metodo n.2: redistribuire la ricchezza che tutti i percettori di redditi netti superiori ai 2.000 euro al mese finanziano la manovra. Ad esempio, chi guadagna 3.000 euro netti al mese paga il 25% di imposte (750 euro), ma ri- ceve 500 euro; così facendo il suo reddito dimi- nuisce da 3.000 euro netti al mese a 3.000 – 750 + 500 = 2.750 euro al mese. In tal caso egli finanzia la misura con un contributo di 250 euro al mese. Chi guadagna 5.000 euro netti al mese, paga il 25% di imposte (1.250 euro), ma riceve 500 euro; così facendo il suo reddito diminuisce da 5.000 euro netti al mese a 5.000 – 1.250 + 500 = 4.250 euro al mese. In tal caso egli finanzia la misura con un contributo di 750 euro al mese... e così via. Così facendo si è stabilito un meccanismo auto- matico di redistribuzione della ricchezza che opera secondo la seguente filosofia: più si è po- veri, meno si contribuisce e più si riceve; più si è ricchi, più si contribuisce e meno si riceve. Vi è poi un valore critico di soglia, che nel no- stro esempio corrisponde ad un reddito pari a 2.000 euro netti al mese, superato il quale si di- venta contributori netti. 14/110
  • 15. Reddito Incondizionato I valori precedentemente esposti a titolo di esempio variano in funzione della percentuale di tassazione stabilita per finanziare la misura, della platea degli aventi diritto al beneficio eco- nomico e del PIL realizzato in un dato anno, ma, con le dovute valutazioni del caso, possono essere calcolati a priori con un’accuratezza suf- ficientemente elevata. Osserviamo che se la tassazione per finanziare il reddito rimane fissa, e la platea dei beneficiari resta costante, l’entità del sussidio economico erogato varia con la variazione del PIL. In altri termini, se il PIL aumenta, si accresce anche il reddito incondizionato, se il PIL dimi- nuisce, anche l’importo del reddito si riduce. Se lo si ritiene opportuno, entro certi limiti, l’importo del reddito incondizionato può essere reso indipendente dalle variazioni del PIL mo- dificando il livello di tassazione, a patto che i complessivi livelli di ricchezza si mantengano sufficientemente elevati per finanziare la misu- ra. Concludiamo facendo notare al lettore che, adottando questa metodologia di finanziamen- 15/110
  • 16. Metodo n.2: redistribuire la ricchezza to, per istituire il reddito incondizionato non ci sarebbe alcuna necessità di effettuare dei tagli al welfare, e si potrebbe così evitare di privatiz- zare ciò che invece dovrebbe rimanere pubblico. A mio avviso quella appena illustrata rappre- senta la migliore strategia da proporre e adotta- re se si volesse prendere in seria considerazione l'idea di introdurre un reddito incondizionato nell'attuale fase storica, agendo all'interno del- l'odierno paradigma economico, senza rimetter- lo in discussione. Motiverò questa scelta più avanti, effettuando una sorta di simulazione teorica al fine di preve- dere gli effetti di una simile misura. Al momen- to, invece, vorrei sottolineare che vi sono degli ulteriori metodi per finanziare il reddito incon- dizionato, non meno importanti rispetto a quel- lo appena discusso, che mi accingo ad illustrare. Metodo n.3: redditi da signoraggio Nel senso più ampio del termine, possiamo de- finire “reddito da signoraggio” l’insieme dei red- diti derivanti dalla creazione e dall’emissione di denaro, il quale, lo ricordiamo, viene creato dal nulla a costo zero per essere dato in prestito gravato da interessi, dando luogo alla più gran- 16/110
  • 17. Reddito Incondizionato diosa truffa che sia mai stata compiuta ai danni dell’umanità. Chi si appropria dei redditi da signoraggio? I detentori della proprietà del denaro, ovviamen- te, che, nell’odierna società, possono essere identificati con l’élite che trae profitto grazie agli inganni ed ai ricatti messi in atto per mezzo del sistema bancario. Per effettuare una stima di massima, focalizzia- mo l’attenzione soltanto sul denaro che potreb- be essere recuperato andando ad intercettare tutti gli interessi pagati su tutti i debiti del mon- do, sia pubblici che privati, pur essendo consa- pevoli che così facendo non si andrebbe a calco- lare l’intero ammontare dei redditi da signorag- gio. Il mondo è metafisicamente sommerso da un oceano di debiti immaginari, che, tra debiti pubblici e debiti privati, ha raggiunto la cifra monstre di 250.000 miliardi di dollari. Immaginiamo che questi debiti siano gravati da un interesse del 3,5% annuo e siano equamente ripartiti su tutta la popolazione. Se così fosse ognuno dei 7,6 miliardi di cittadini dovrebbe pagare in interessi alle banche circa 250.000 17/110
  • 18. Metodo n.3: redditi da signoraggio miliardi x 0,035 / 7,6 miliardi / 12 mesi = 96 dollari al mese. Qualcuno penserà che in fondo sia poca cosa, ma in realtà non è così che stanno le cose. Per comprenderlo basta considerare che la maggior parte degli abitanti della Terra vive in condizio- ni di estrema povertà e, di fatto, non sarebbe in grado di sostenere neanche un sol dollaro di quell’onere. Vi ricordo che attualmente 3,4 miliardi di per- sone sopravvivono con meno di 5,5 dollari al giorno, pari a 165 dollari al mese; in particolare, 800 milioni di essi non raggiungo neanche la soglia dei 1,9 dollari al giorno. Effettuando il medesimo calcolo, contestualiz- zandolo alla situazione dell’Italia, ci si rende su- bito conto che la cifra da rendere mensilmente al sistema bancario non sia affatto modesta! In Italia, infatti, la somma del debito pubblico e di quello privato ammonta al 350% del PIL: stiamo parlando di circa 5.950 miliardi di euro. Supponiamo che il tasso d’interesse annuo sia del 3,5%. Scopriamo così che una platea di 50 milioni di italiani deve rendere al sistema ban- 18/110
  • 19. Reddito Incondizionato cario circa 5.950 miliardi x 0,035 / 50 milioni / 12 mesi = 347 euro al mese a testa in interessi! A questo punto potrebbe venirci in mente un’i- dea fantastica per trasformare i redditi da si- gnoraggio in un reddito d’esistenza: perché non attribuire la proprietà del denaro agli esseri umani, al fine di utilizzare tutti gli introiti deri- vanti dal pagamento degli interessi sui debiti per creare un fondo comune da impiegare per finanziare il reddito incondizionato? La proposta è interessante perché potrebbe es- sere attuata all’interno dell’odierno paradigma economico, trasformando un’azione parassita- ria perpetrata a danno dell’umanità, in un me- todo per aiutare i soggetti più bisognosi, sfrut- tando esattamente il medesimo sistema con cui attualmente una élite di criminali domina sul mondo intero. All’atto pratico, bisognerebbe impadronirsi di tutto il sistema bancario per renderlo pubblico e metterlo al servizio dell’umanità, liquidando con un bel calcio nel sedere tutti quei parassiti che utilizzano le banche per ottenere un profit- to. A quel punto rimarrebbero soltanto i tecnici e gli impiegati il cui ruolo sarebbe indispensabi- 19/110
  • 20. Metodo n.3: redditi da signoraggio le per far funzionare un nuovo sistema bancario pubblico. I costi di gestione dell’apparato, come ad esem- pio gli stipendi e le spese per il mantenimento delle strutture e delle apparecchiature, potreb- bero tranquillamente essere creati dal nulla, senza indebitare nessuno. Così facendo, ciascu- no dei 50 milioni di aventi diritto potrebbe rice- vere 347 euro al mese. Qualcuno potrebbe replicare sostenendo che l’importo sia troppo modesto. In effetti, all’ini- zio di questo capitolo, avevamo promesso di fi- nanziare un reddito incondizionato con una ci- fra pari a 500 euro al mese. Non c’è problema, per aumentare ancor più il beneficio economico nulla vieta di attuare una ulteriore metodologia per recuperare altri fondi, ad esempio, redistribuendo un po’ di ricchezza oppure andando ad eliminare alcune spese inu- tili e dannose come quelle militari (discuteremo questa opzione più avanti). Personalmente trovo questa metodologia molto originale, perché sfrutta il medesimo sistema utilizzato dai banchieri per arricchirsi e domi- 20/110
  • 21. Reddito Incondizionato nare il mondo, impiegandolo per una finalità positiva, togliendogli il “giocattolo” dalle mani. Si consideri che soltanto ripristinando la sovra- nità monetaria, e incominciando a finanziare lo Stato con moneta emessa senza debito, si po- trebbero risparmiare fior di miliardi, perché non si dovrebbe più pagare alcun interesse sul debito pubblico: stiamo parlando di una cifra prossima agli 80 miliardi di euro all’anno, che corrispondono ad un reddito incondizionato di circa 130 euro al mese a testa. Ciò nonostante, non prenderei in seria conside- razione l’attuazione di questa strategia per una serie di motivazioni, la più importante delle quali è la seguente: mi piacerebbe eliminare il meccanismo del debito dalla faccia della Terra (assieme al denaro!) perché lo ritengo un inutile e dannoso strumento di dominio tremendamen- te brutale ed efficace. Non a caso esso viene im- piegato da tempo immemore per ridurre in schiavitù l’umanità. Basta un po’ di riflessione per accorgersi che la pretesa di rendere indietro una somma di dena- ro, addirittura gravata da interessi, non ha al- cun senso: il denaro, infatti, in quanto pura fin- zione metafisica, frutto di una creatio ex nihilo 21/110
  • 22. Metodo n.3: redditi da signoraggio completamente immaginifica, in realtà, non ap- partiene a nessuno. Pertanto, si può solo fingere che vi sia un proprietario del denaro. Quindi si potrebbe benissimo concepire e realiz- zare una società dove il denaro viene creato ed emesso, non solo senza che vi sia alcun interes- se, ma senza neanche pretenderne la restituzio- ne, eliminando completamente il concetto di debito. Come? Facendo finta che il proprietario del de- naro non voglia imporre il pagamento d’interes- si e non sia neanche minimamente interessato a riaverlo indietro! Capisco che queste posizioni siano assai lontane dal sentire comune, a causa di anni e anni di metodico indottrinamento sul funzionamento del denaro, ma in verità non c’è nulla che obbli- ghi l’umanità ad accettare le attuali convenzioni poste a fondamento delle dinamiche di utilizzo del denaro, perché esse sono del tutto arbitra- rie. E allora tanto vale modificarle in modo tale che nessuno possa più essere ridotto in schiavitù con la truffa del debito, e da ciò possa trarne giovamento l’intera umanità. 22/110
  • 23. Reddito Incondizionato Metodo n.4: utilizzare i profitti Una delle motivazioni per cui nell’attuale perio- do storico si sta parlando sempre più del reddi- to incondizionato è legata al massiccio processo di automazione delle attività lavorative reso possibile dai robot e dall’intelligenza artificiale. Siccome, a differenza di quanto avveniva in pas- sato, le automazioni stanno rimpiazzando i la- voratori in tutti i settori, dal primario al terzia- rio, e al momento non c’è un quarto settore da utilizzare per ricollocare i cosiddetti disoccupati tecnologici, alcuni stanno incominciando a pen- sare che forse l’unico modo per sostenere i con- sumi consista nell’introdurre un reddito incon- dizionato. Così facendo l’automazione del lavoro non in- durrebbe criticità, perché sia gli occupati che i disoccupati avrebbero comunque un reddito per vivere, e quindi il processo di sostituzione dei lavoratori umani con degli strumenti tecnologici potrebbe procedere a passo spedito. Ora, però, bisogna cercare di rispondere alla se- guente domanda: come mai i capitalisti scelgo- no di automatizzare il lavoro? Non di certo per spirito caritatevole: essi lo fanno per il denaro. 23/110
  • 24. Metodo n.4: utilizzare i profitti In particolare, la sostituzione dei lavoratori umani con le automazioni avviene a condizione che il saggio di profitto ottenuto con questa nuova strategia industriale subisca un qualche incremento. Inutile dire che, in generale, a parità di costi, le automazioni consentano di produrre quantitati- vi maggiori, con una più alta qualità, rispetto a quanto non si riesca a fare sfruttando gli esseri umani. Se ciò non fosse possibile, i capitalisti sarebbero ben felici di continuare a sfruttare schiavi uma- ni, così come hanno fatto finora, senza farsi tan- ti scrupoli. Questo significa due cose: la prima, che auto- matizzando il lavoro i beni ed i servizi prodotti sarebbero disponibili esattamente come lo era- no prima, se non addirittura in quantità e quali- tà maggiori; la seconda, che ciò che i capitalisti riescono a risparmiare licenziando i lavoratori umani, ovvero la spesa per i loro stipendi, una volta ripagato l’investimento per automatizzare il lavoro, finisce dritto dritto nello loro tasche, trasformandosi in profitto. 24/110
  • 25. Reddito Incondizionato Siccome in generale è del tutto ragionevole as- sumere che, tenuto conto di tutti gli aspetti, il tasso di sostituzione uomo-macchina sia svan- taggioso per gli esseri umani, ovvero che per ogni robot-software impiegato vengano distrutti un maggior numero di posti di lavoro rispetto a quanti se ne creino, la conseguenza di questo processo di automazione del lavoro sarà la con- centrazione della ricchezza nelle mani di pochi individui: quelli che detengono la proprietà dei mezzi di produzione. Senza prendere delle contromisure, questo pro- cesso andrà avanti fin quando non si verifiche- ranno delle criticità. A lungo andare, infatti, è evidente che un simile sistema non riuscirà a mantenersi in essere, perché i produttori per vendere hanno pur sempre bisogno di una mas- sa di consumatori, e se la ricchezza non verrà redistribuita attraverso i salari, o con altri meto- di, prima o poi, il meccanismo s’incepperà. Attualmente siamo ancora nella fase in cui le aziende, automatizzando il lavoro, incrementa- no i loro profitti, lasciando però senza reddito una piccola parte di dipendenti, quelli non più utili per raggiungere gli obiettivi di produzione; essi, una volta licenziati, può darsi che non riu- sciranno a ritrovare un’occupazione. 25/110
  • 26. Metodo n.4: utilizzare i profitti In futuro le cose peggioreranno, perché i disoc- cupati tecnologici aumenteranno, il lavoro scar- seggerà sempre più e la ricchezza continuerà a concentrarsi. Come si può risolvere la situazio- ne? È del tutto evidente che se invece di alimentare i profitti dei capitalisti gli incrementi di efficienza venissero impiegati per finanziare un reddito da erogare ai nuovi disoccupati, quest’ultimi non avrebbero più alcun problema, perché potreb- bero continuare a vivere in tutta tranquillità, anche senza lavorare. Si comprende quindi che il problema dei lavora- tori non è dovuto ai robot che gli “rubano il la- voro”, lasciandoli senza salario, ma è causato dall’avidità dei capitalisti che, per incrementare egoisticamente i loro profitti, finiscono per con- centrare sempre più la ricchezza a danno dei di- soccupati, una ricchezza che, se venisse redistri- buita, sarebbe di per sé sufficiente a risolvere ogni problema economico legato all’avvento delle automazioni. Si consideri che, in Italia, la quota profitti sul PIL nel 2017 era prossima al 40%: stiamo par- lando di circa 680 miliardi di euro. 26/110
  • 27. Reddito Incondizionato Questo significa che, se si utilizzassero i profitti per finanziare un reddito incondizionato eroga- to ad una platea di 50 milioni d’individui, cia- scuno degli aventi diritto potrebbe ricevere una somma di denaro pari a 680 miliardi / 50 milio- ni / 12 mesi = 1133, 33 euro al mese! Ma noi non abbiamo bisogno di 680 miliardi per finanziare il reddito di esistenza che ci era- vamo prefissati di realizzare, ma di soli 300 mi- liardi, nel caso in cui l’importo fosse di 500 euro al mese, o al più di 468 miliardi, se si volesse garantire un beneficio economico di 780 euro al mese. Si scopre così che per finanziare il reddito in- condizionato sarebbe sufficiente recuperare il 44,1% dei profitti, nel primo scenario, oppure il 68,8%, nel secondo. Come caso limite, si potrebbe pensare di impie- gare tutti i profitti realizzati dalle aziende per fi- nanziare un reddito incondizionato. Per farlo, bisognerebbe attribuire la proprietà dei mezzi di produzione a tutti gli esseri umani, trasforman- do le aziende private in pubbliche. 27/110
  • 28. Metodo n.4: utilizzare i profitti Questo significa che non ci sarebbe più una di- stinzione tra quota salari e quota profitti, per- ché esisterebbe soltanto denaro da redistribuire in modo equo alla collettività. Com’è facile intuire, a quel punto, rimpiazzare i lavoratori con delle macchine non causerebbe alcuna criticità, dato che ogni individuo sano di mente sarebbe ben lieto di ricevere un reddito decoroso pur lavorando di meno. E tutto ciò, grazie agli incrementi di efficienza dovuti all’in- troduzione di nuova tecnologia, potrebbe avve- nire in modo pressoché automatico! Se così fosse, l’automazione del lavoro cessereb- be di rappresentare una sorta di minaccia socia- le e si trasformerebbe in una strepitosa oppor- tunità di liberazione dell’umanità da una dete- stabile schiavitù nei confronti del lavoro. Metodo n.5: condividere la ricchezza Questo metodo è il più semplice, il più efficace, il più bello ed il più elegante, ma anche quello che troverà maggiore resistenza a causa dell’avi- dità, dell’invidia, dell’egoismo e della stupidità della maggior parte degli esseri umani. 28/110
  • 29. Reddito Incondizionato In realtà, lo abbiamo già illustrato, seppur in modo velato, nelle precedenti sezioni. Ma ora lo esporremo, una volta per tutte, a chiare lettere: se tutti gli esseri umani mettessero insieme la ricchezza prodotta e la condividessero con amo- re suddividendola in parti uguali con tutti i membri della società, non ci sarebbe alcun biso- gno di finanziare un reddito incondizionato, perché ogni individuo disporrebbe già di un reddito sufficientemente elevato per vivere in modo agiato. Siccome l’Italia produce un PIL di 1.700 miliar- di all’anno, questo significa che 50 milioni di persone potrebbero disporre di un reddito di cittadinanza di ben 2.830 euro lordi al mese. Non credo che ci sia altro da aggiungere. O forse sì... Metodo n.6: eliminare le attività noci- ve Tempo fa, ho calcolato che guerre, fumo, alcol, droga e obesità, tra spese, costi e mancati gua- dagni, sommano una cifra equivalente al 20% del PIL mondiale. In verità, l’elenco potrebbe essere esteso ulteriormente. 29/110
  • 30. Metodo n.6: eliminare le attività nocive Ad esempio, ogni anno nel mondo vengono per- si al gioco d’azzardo ben 365 miliardi di dollari. Ma questo è nulla, se si considera che le spese sanitarie mondiali nel 2020 sfonderanno quota 8.700 miliardi di dollari all’anno. Per finanziare un reddito incondizionato sareb- be importante recuperare una certa parte di questa cifra: si consideri che la spesa sanitaria pubblica e privata italiana sfiora il 9% del PIL (circa 150 miliardi di euro). Per tentare di capire se sia possibile farlo, biso- gna rispondere alla seguente domanda: come mai le persone hanno una così grande necessità di spendere soldi per curarsi? Gran parte del problema risiede nell’alimenta- zione: gli esseri umani introducono nel loro cor- po cibi che non sono adatti alla loro natura e che per giunta sono contaminati da sostanze tossiche. Dopo decenni di quotidiani suicidi ali- mentari, è il minimo che possa accadere che si sviluppino delle patologie. Per ridurre ulteriormente l’incidenza delle ma- lattie, bisognerebbe smetterla d’inquinare l’am- biente, perché altrimenti, pur alimentandosi correttamente, gli esseri umani continuerebbe- 30/110
  • 31. Reddito Incondizionato ro comunque ad ammalarsi, anche se in minor misura. Immettere nell’ambiente sostanze tossiche, pri- ma o poi, ucciderà qualcuno, e non si capisce come sia possibile che l’omicidio effettuato con la pistola sia considerato illegale (a patto che non sia un uomo in divisa a sparare), mentre quello effettuato con gli erbicidi ed i gas di sca- rico, invece no. È del tutto evidente che se l’umanità comincias- se ad alimentarsi in modo sano e la smettesse d’inquinare l’ambiente, la spesa sanitaria mon- diale crollerebbe drasticamente e la maggior parte di quella cifra mostruosa potrebbe essere utilizzata in modo più intelligente rispetto al tentare di curare malattie che se ci si fosse com- portati con intelligenza neanche sarebbero esi- stite. Se ci si prendesse cura del proprio corpo e della natura, pensate un po’, non ci sarebbe più biso- gno di spendere fior di miliardi impiegando mi- gliaia di ricercatori in tutto il mondo per tentare di scoprire una cura miracolosa contro il temi- bile cancro, attualmente “curato” sommini- strando ai milioni di malati già presenti in tutto il mondo farmaci costosissimi prodotti da 31/110
  • 32. Metodo n.6: eliminare le attività nocive aziende private il cui scopo è quello di ottenere profitti, perché il cancro, improvvisamente, in- vece di rappresentare la seconda causa di mor- te, diverrebbe una malattia rara. La stessa cosa accadrebbe con le malattie cardiovascolari, che oggigiorno sono la prima causa di morte... e così via, per molte altre patologie. Considerando tutti questi aspetti, ovvero guer- re, fumo, alcol, droga, obesità, salute e gioco d’azzardo, non è esagerato sostenere che si po- trebbe recuperare, in tutta tranquillità, una cifra superiore al 25% del PIL mondiale. Nel caso dell’Italia questa percentuale si tradurrebbe in un reddito incondizionato di poco superiore ai 700 euro al mese erogato ad una platea di 50 milioni d’individui. Ciò significa che, se solo gli esseri umani la smettessero di dedicare tempo, risorse ed ener- gia ad attività dannose e cominciassero ad orientarsi alla vita, di colpo, scoprirebbero di di- sporre di denaro a sufficienza per finanziare un reddito universale incondizionato utilizzando proprio quelle risorse economiche che prima impiegavano stupidamente per distruggere, uc- cidere e far ammalare se stessi, il mondo intero ed i suoi abitanti. 32/110
  • 33. Reddito Incondizionato Capisco che questa proposta sia inattuabile sen- za che prima abbia luogo un risveglio di co- scienza di massa, ma ho voluto comunque inse- rirla nell’elenco delle possibilità per far com- prendere l’eclatante follia dell’odierna umanità. Quest’ultimo metodo ci aiuta a comprendere che non è affatto vero che non ci sono soldi a sufficienza per finanziare un reddito incondizio- nato; i soldi ci sono, ma vengono impiegati male. Se ne deduce che l’introduzione di un red- dito di esistenza non sia tanto una questione economica, quanto una questione di evoluzione spirituale. Metodo n.7: soluzioni innovative e/o miste Abbiamo già esposto 6 strategie per finanziare un reddito incondizionato, ma in realtà si po- trebbero individuare altri metodi per farlo. Essi però richiederebbero di effettuare un cambio di paradigma, ripensando in modo sostanziale le dinamiche socio-economiche e/o quelle del de- naro. Omettiamo per brevità questi aspetti, non necessari in questa fase storica, rimandando il compito di elaborare ulteriori soluzioni innova- tive all’intelligenza dei lettori più volenterosi. 33/110
  • 34. Metodo n.7: soluzioni innovative e/o mi- ste Prima di procedere oltre con l’analisi, vorrei os- servare che alcuni dei precedenti metodi posso- no anche essere combinati tra loro, dando luogo ad un gran numero di possibilità. Ad esempio, si potrebbe decidere di finanziare il reddito incondizionato attingendo per una parte dai profitti e per l’altra dal taglio delle spese mi- litari, non prima di aver recuperato la sovranità monetaria, così da riuscire a recuperare altri fondi abbattendo la spesa per gli interessi sul debito pubblico... e così sia. Per non tediare ulteriormente il lettore, eviterò ben volentieri di analizzare caso per caso tutta questa lunga serie di possibilità, rimandando l’onere ai singoli individui, i quali dovranno de- dicarsi a questo compito in modo particolare nel caso il cui, in futuro, una qualche forza poli- tica proporrà l’introduzione di un vero reddito di cittadinanza. Possiamo però fissare un punto: quanto fin qui riportato prova che quello dell’impossibilità economica è soltanto una argomento retorico. 34/110
  • 35. Reddito Incondizionato Chi si oppone al reddito incondizionato soste- nendo che esso sia economicamente insosteni- bile o è un ignorante o è in malafede. La questione del disincentivo al lavo- ro Procediamo ora affrontando un’ulteriore obie- zione mossa dai detrattori del reddito incondi- zionato. Essa si basa sul Sacro Graal dei luoghi comuni: «Se dessimo soldi a tutti senza preten- dere nulla in cambio allora nessuno farebbe più niente!». Per nostra fortuna le dinamiche del comporta- mento umano sono assai più complesse di quanto vorrebbero lasciare intendere i sosteni- tori di una simile tesi. In realtà, esiste già uno Stato in cui i cittadini ri- cevono un reddito incondizionato, eppure in quel luogo il tasso di disoccupazione è di gran lunga inferiore a quello dell’Italia: si tratta del- l’Alaska. Pertanto, è già dimostrato che non è affatto vero che dando soldi a tutti senza porre condizioni nessuno farebbe più nulla. Che cosa farebbero gli individui disponendo di un reddito incondizionato dipende da una mol- 35/110
  • 36. La questione del disincentivo al lavoro teplicità di fattori fortemente determinanti, come ad esempio, l’entità dell’importo erogato, la cultura degli individui, la struttura della so- cietà in cui essi vivono e via dicendo. Dare 300 euro al mese non è come darne 600; erogare il medesimo beneficio a tutti, non è come erogare un importo che decresce all’au- mentare del reddito già percepito lavorando; istituire un reddito incondizionato in una socie- tà competitiva ed individualista non è affatto come istituirlo in una società cooperativa e col- lettivista; assicurare un reddito vitalizio ad indi- vidui spiritualmente elevati non è come assicu- rarlo ad un popolo con un basso livello di co- scienza... e così via. In linea di principio, l’introduzione di un reddi- to incondizionato potrebbe indurre le persone ad agire in modo diverso rispetto ad oggi, ma non è affatto detto che questa variazione di comportamento avvenga, né che conduca l’u- manità alla rovina. Questa maldicenza fa il paio con quella che po- trebbe essere definita la retorica degli sfruttato- ri, la quale può essere riassunta così: «Se le per- sone non fossero obbligate a lavorare, allora non lavorerebbe più nessuno!». 36/110
  • 37. Reddito Incondizionato Ma come? Quegli stessi individui hanno sempre sostenuto che nell’odierna società il lavoro fosse una scelta libera assicurata dal libero mercato effettuata in un mondo che rispetta la libertà dell’individuo, e poi, non appena qualcuno vuo- le istituire un reddito incondizionato, dando un’effettiva libertà ai membri della società, vie- ne fuori che le persone lavorano perché sono obbligate a farlo? Come si spiega questo cambio di vedute? Come avremo modo di comprendere, la verità non è che se le persone non fossero obbligate non lavorerebbero più, ma che non sarebbero più disposte a lavorare secondo le odierne mo- dalità, che sono ingiuste e disumane; in partico- lare, potendo fare affidamento sul reddito d’esi- stenza, nessuno sarebbe più disposto a farsi sfruttare: ecco qual è il punto dolente per i de- tentori di capitale! E siccome chi trae vantaggio da questo sistema vuole che le cose continuino a rimanere esatta- mente così come sono, perché è l’odierno ordine delle cose che gli consente di esercitare il pro- prio dominio sugli altri, anche mediante la schiavitù del lavoro, ecco che la classe dei privi- legiati e degli sfruttatori s’affretta ad inventare 37/110
  • 38. La questione del disincentivo al lavoro espedienti retorici per fare in modo che ciò che potrebbe potenzialmente liberare l’umanità dal- le sue catene non venga attuato. Cerchiamo quindi di fare chiarezza in merito alla questione dell’eventuale disincentivo al la- voro indotto dall’istituzione di un reddito di esi- stenza incondizionato. Chiariamo subito che un essere umano sano, nel senso più ampio del termine, per sua natu- ra, è attivo e vitale. È la malattia a rendere inat- tivi gli individui, e ciò accade a prescindere dal- la situazione economica: anche un ricco che cade in depressione diventa apatico e demotiva- to. Ora possiamo mettere in risalto una situazione particolare degna di rilievo perché, in un modo o nell’altro, interessa milioni di persone soltan- to in Italia. Supponiamo che la causa, o la concausa, dell’in- sorgenza di una malattia, sia fisica che mentale, di un individuo sia proprio la sua condizione di ristrettezza economica. Magari un soggetto non ha potuto alimentarsi correttamente, oppure ha somatizzato gli effetti 38/110
  • 39. Reddito Incondizionato dell’emarginazione sociale tipicamente subita da chi vive in povertà, e quindi è diventato inat- tivo. In tal caso, dare un reddito incondizionato a quell’individuo non lo renderebbe pigro e svo- gliato, ma gli sarebbe di grande aiuto per ripri- stinare un corretto stato di salute psico-fisica, che rappresenta la precondizione per riuscire ad inserirsi attivamente nella società. Non basta dare un supporto psicologico ad un individuo caduto in depressione, se la causa del suo stato d’animo è legata alla sua situazione economica, ed è del tutto assurdo pretendere di curarlo somministrandogli degli antidepressivi: per risolvere il suo problema bisogna dargli dei soldi, così che egli possa riprendere le redini della sua vita. Ci dicono che dare soldi alle persone le rende- rebbe inattive. Benissimo, vediamo come si comporta chi ha soldi in abbondanza. Se questa ipotesi fosse vera i ricchi dovrebbero essere i più grandi scansafatiche del mondo, in- vece essi vengono dipinti come i soggetti più in- dustriosi che esistano sulla faccia della Terra. 39/110
  • 40. La questione del disincentivo al lavoro È evidente che c’è qualcosa che non va nelle precedenti affermazioni: o non è vero che i ric- chi sono attivi, o non è vero che disporre di sol- di rende inattivi. Se è vero che i ricchi sono inattivi, allora come mai nel loro caso è ritenuto legittimo che essi possano oziare e nessuno propone di ridurre la loro ricchezza, così che venga meno il loro di- sincentivo al lavoro e la smettano di gozzoviglia- re? Non credo che vi sia neanche il bisogno di riflet- tere su quale possibilità sia da preferire tra uno scenario in cui un solo uomo, grazie alle sue smisurate ricchezze, possa essere inattivo, ed una situazione in cui, con la medesima quantità di denaro, si aiuti un’ampia platea di poveri. E se invece non è vero che disporre di grandi quantità di denaro renda inattivi, allora come può essere vero che dare un po’ di soldi ai pove- ri li renderà inoperosi? Mi auguro che non si vorrà spiegare il tutto avanzando l’ipotesi di una diversità biologica tra i membri di queste due classi sociali, tirando in ballo idee ottocentesche ampiamente confu- tate con il rigore della scienza... 40/110
  • 41. Reddito Incondizionato Perché quasi nessuno è disposto a prendere in considerazione l’ipotesi opposta, ovvero che sia proprio la disponibilità di denaro a rendere le persone attive? Non sto sostenendo che l’avere dei soldi da spendere equivalga all’essere attivi, sto soste- nendo che avere dei soldi possa rappresentare un incentivo per essere attivi e che invece il non averli sia un disincentivo. È evidente che quella appena esposta non sia una legge universale, ciò nonostante essa ben si presta a spiegare un’ampia maggioranza di casi. Se ci si sofferma un attimo a riflettere, ben pre- sto ci si accorge che non è affatto difficile indivi- duare numerose situazioni in cui quanto è stato appena sostenuto si verifica appieno. Del resto, se un individuo non ha un soldo in ta- sca, è assai difficile che riuscirà a mettere in atto le sue idee. Indovinate un po’ perché? Perché in una società basata sul denaro per fare la stra- grande maggioranza delle cose serve denaro, che, guarda un po’, i poveri, al contrario dei ric- chi, non hanno! 41/110
  • 42. La questione del disincentivo al lavoro Supponiamo che un individuo voglia avviare un’attività: secondo voi in quale scenario sareb- be più propenso a mettersi all’opera? In una società dove, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe fare affidamento su di un reddito di esistenza, oppure in un’altra dove dovrebbe contare soltanto sull’esito del suo investimento? Sempre ammesso che quel soggetto abbia di- sponibilità economiche sufficienti per avviare la propria attività, il che è alquanto improbabile, in particolar modo se si è poveri! Al contrario, con un reddito incondizionato in molti tenterebbero di seguire le proprie passio- ni. Qualcuno fallirebbe, qualcun altro no. Ma il fallimento non sarebbe punito con la miseria, perché vi sarebbe comunque una soglia minima sotto la quale nessuno potrebbe scendere: ciò spingerebbe le persone creative e volenterose ad agire e non di certo a poltrire. Oggi invece la maggior parte degli individui che vorrebbero dedicarsi ad un’attività non può far- lo, non per mancanza di idee o di volontà, ma per paura di fallire e/o per mancanza di fondi. 42/110
  • 43. Reddito Incondizionato Il reddito incondizionato mitigherebbe la paura del fallimento e aiuterebbe molte persone ad ac- cantonare denaro per trasformare i propri sogni in realtà. Vorrei osservare che, in generale, è lecito sup- porre che il disincentivo al lavoro risulti più ele- vato con i classici sussidi condizionati che non con un reddito incondizionato, eppure essi sono già presenti nella società e nessuno si lamenta della diminuzione della propensione al lavoro da essi indotta. Infatti, a differenza di un reddito incondiziona- to, un sussidio condizionato induce una sorta di dipendenza nei beneficiari della misura, i quali, pur di continuare a rimanere all’interno dei pa- rametri che gli consentono di avere accesso al sussidio, tendono ad adattare le proprie condi- zioni economiche ai paletti imposti dalla legge, anche a costo di rifiutare il lavoro. Così facendo, invece di favorire il reinserimento nel tessuto sociale, un sussidio condizionato tende a rinchiudere il soggetto percepente in una sorta di trappola della povertà, essenzial- mente provocata dalla paura di perdere i benefi- ci di cui quell’individuo ha chiaramente bisogno per sopravvivere. 43/110
  • 44. La questione del disincentivo al lavoro Ciò non accade con un reddito incondizionato, perché, appunto, non si pongono condizioni per averne diritto, e quindi non vi può essere alcuna paura di perdere l’aiuto economico erogato dal- lo Stato. Tutto ciò si traduce in un più ampio numero di strategie praticabili per tentare di reinserirsi nella società. Per massimizzare l’effetto positivo di rilancio personale è di fondamentale importanza che il reddito incondizionato sia erogato in denaro, e non in beni e servizi. La differenza è sostanziale, perché il denaro dà una maggiore libertà di azione rispetto alla pos- sibilità di disporre di beni e servizi per un im- porto equivalente. Avere vitto e alloggio pagati in una stanza di al- bergo, non è come disporre di 780 euro al mese. Nel primo caso si può mangiare e dormire al caldo, ma essendo poveri non si disporrà di una base monetaria per formarsi o per avviare un qualche genere di attività. 44/110
  • 45. Reddito Incondizionato Così facendo, l’unica speranza per reinserirsi nella società consisterà nel trovare una qualche tipologia di lavoro dipendente compatibile con il proprio profilo professionale. Nel secondo caso, invece, il soggetto potrebbe effettuare un percorso di riqualificazione conse- guendo anche una laurea oppure, pur con qual- che sacrificio, potrebbe addirittura tentare di avviare un’impresa. Ci sono due ulteriori categorie di persone che possono aiutarci a riflettere in merito al tema del disincentivo al lavoro: i pensionati ed i vo- lontari. Vediamo subito perché. Se è vero che dare soldi alle persone le rende inattive, ciò dovrebbe essere ancor più vero per i pensionati. In tal caso, infatti, dopo una vita di duro lavoro, molto spesso condotto in modo forzoso, ci si aspetterebbe che tutti quanti accettassero di buon grado l’assegno pensionistico e smettesse- ro di fare ogni cosa per godersi un meritato ri- poso andandosene in vacanza... e invece non è affatto così che vanno le cose! 45/110
  • 46. La questione del disincentivo al lavoro In Italia c’è un vero e proprio esercito di lavora- tori che, pur avendone maturato il diritto, rifiu- tano di andare in pensione per continuare a la- vorare. E ciò avviene nonostante le penalizza- zioni economiche in termini di maggior tassa- zione in cui incorreranno! Stiamo parlando di un numero superiore al mezzo milione di persone. Una parte di essi ha dichiarato di dover continuare per questioni di necessità (circa 6 su 10), ma la restante parte (circa 4 su 10) ha ammesso di farlo per una mera questione di volontà! Il fatto che vi sia una quota di lavoratori non trascurabile che, pur potendo andare in pensio- ne, sceglie comunque di continuare a lavorare, nella consapevolezza di dover subire un disin- centivo economico, rappresenta un’ulteriore confutazione della tesi che dare soldi alle perso- ne le rende inattive. Si consideri che la maggior parte dei lavoratori giunge all’età pensionabile così malmesso che, pur volendo, non gli sarebbe possibile continua- re a dedicarsi a qualsiasi attività. Ma non finisce qui: se si vanno ad analizzare le abitudini dei pensionati che si sono mantenuti 46/110
  • 47. Reddito Incondizionato in salute si scopre che essi, pur non lavorando ufficialmente, sono tutt’altro che inattivi: in molti si dedicano allo sport, altri coltivano la terra e altri ancora non mancano di dare il loro contributo per la realizzazione di eventi con fi- nalità sociali. Questa riflessione ci conduce ad un altro feno- meno di rilievo che riguarda individui di tutte le età: il volontariato. In Italia si stima la presenza di 6,63 milioni di persone che si impegnano gratuitamente per gli altri e per il bene comune. Si tratta di un vero e proprio esercito di lavoratori che non vengono retribuiti in senso economico ma che, nono- stante ciò, agiscono lo stesso. La loro presenza dimostra che l’essere attivo op- pure no, non dipende dal fatto che si percepisca o meno una somma di denaro per fare ciò che si è deciso di voler fare. Se s’istituisse un reddito incondizionato quei 6,63 milioni di volontari continuerebbero a fare esattamente ciò che facevano anche quando non disponevano del sussidio statale. Di certo, nel loro caso, ricevere dei soldi non li renderebbe meno attivi rispetto a quanto non lo siano già. 47/110
  • 48. La questione del disincentivo al lavoro È invece ragionevole aspettarsi che accada l’e- satto opposto, ovvero che grazie ad un reddito incondizionato il numero dei volontari aumen- terebbe. Con ogni probabilità, la stessa tenden- za si verificherebbe anche per il quantitativo di tempo individuale da essi dedicato alle attività di volontariato. Tutto ciò a ulteriore prova che non è affatto vero che dando soldi a tutti senza chiedere nulla in cambio le persone non farebbero più nulla. Nel caso del volontariato, le persone sarebbero attive quanto, o addirittura più, di prima, ma si dedicherebbero maggiormente alle cose che loro ritengono importanti. E magari qualcuno comincerebbe a rifiutarsi di fare ciò che gli viene imposto di fare, a prescin- dere dalla sua reale volontà. Abbiamo tutti gli elementi per tentare di rispon- dere alla seguente domanda: chi è che nell’o- dierna società, potendo contare su di un reddito incondizionato, abbandonerebbe il proprio la- voro? Se quanto abbiamo sostenuto finora corrispon- de a realtà, le persone che amano davvero ciò 48/110
  • 49. Reddito Incondizionato che fanno non smetterebbero di dedicare il loro tempo alle attività a cui sono soliti dedicarsi sol- tanto perché lo Stato metterebbe a loro disposi- zione un sussidio. Tutt’altro, con ogni probabili- tà esse si dedicherebbero a ciò che erano solite fare con ancor più energia, gioia e impegno. Per un individuo che ha una certa passione, il poter disporre di 500 euro al mese in modo in- condizionato, non sarebbe altro che un solido punto di appoggio su cui contare per continuare a coltivare i propri sogni. Pertanto, se passione e lavoro svolto coincido- no, si può essere ragionevolmente sicuri che quel soggetto non cambierà le sue abitudini, neanche con un reddito incondizionato di 1.000 euro al mese, perché egli già fa ciò che vorrebbe realmente fare: egli fa ciò che fa, non per il de- naro che riceve in cambio, ma come fine in sé, agendo in forza dell’amore che prova nei con- fronti di ciò che fa. Chi è quindi che smetterebbe di lavorare se ve- nisse introdotto un reddito di esistenza? Tutti quegli individui che odiano il proprio lavoro. E perché odiano il proprio lavoro? Forse perché ciò che fanno non corrisponde a ciò che vorreb- 49/110
  • 50. La questione del disincentivo al lavoro bero fare. E come mai si dedicano ad un’attività che, in realtà, non vorrebbero fare? La risposta è evidente: perché sono stati costret- ti a farlo dalla società, tramite dei ricatti econo- mici e/o dei condizionamenti mentali. E come può essere considerato giusto costringere una persona a fare una cosa che odia, forzandola ad agire contro la sua volontà? La situazione ideale a livello sociale è quella in cui tutti gli individui dedicano il loro tempo e le loro energie psico-fisiche ad attività utili e in ogni caso non nocive per la collettività, nei con- fronti delle quali provano una vera passione, e non di certo quella in cui la maggior parte dei lavoratori viene costretta a lavorare in modo forzoso mettendo in atto dinamiche inutili e no- cive. È soltanto quando un individuo allinea l’attività a cui si dedica al suo vero essere, agendo senza danneggiare gli altri esseri viventi, che egli può esprimere il suo massimo potenziale, essendo pienamente felice per ciò che fa e di ciò che fa, e non quando viene costretto a fare ciò che odia o per cui non è portato, andando contro la sua na- tura e, in alcuni casi, danneggiando perfino gli altri. 50/110
  • 51. Reddito Incondizionato Il reddito incondizionato potrebbe chiaramente aiutare la società a muovere qualche passo in questa direzione. Consentitemi una precisazione: è corretto dire che chi odia il suo lavoro smetterebbe di lavora- re? No, è più corretto dire che grazie ad un reddito incondizionato quell’individuo lascerebbe la sua attuale occupazione per cominciare a dedicarsi ad altre attività più compatibili con il suo esse- re. Questo non significa che quell’individuo smette- rebbe di lavorare completamente, perché maga- ri cambierebbe lavoro. Una piccola parte, però, potrebbe effettivamen- te scegliere di rifiutarsi di svolgere una qualsiasi attività economico-produttiva. Ammettiamo, ora, per un istante, che il reddito di esistenza fosse sostenibile, perché il lavoro non dovrebbe essere volontario? Se il livello scientifico-tecnologico lo consentis- se, per quale motivo non si dovrebbe dare agli 51/110
  • 52. La questione del disincentivo al lavoro individui la possibilità di scegliere se vivere usu- fruendo del reddito o se incrementare la loro ricchezza materiale sacrificando un certo quan- titativo di tempo per il lavoro? Personalmente preferirei una società in cui cia- scuno si facesse carico, pro quota, di una parte del lavoro umano necessario al conseguimento del massimo benessere sociale possibile, ma ciò non m'impedisce di concepire un mondo dove alcuni decidono di lavorare per passione e altri scelgono di dedicarsi ad attività non produttive (da un punto di vista economico) in piena liber- tà. Del resto, se il lavoro fosse effettivamente una scelta, e non un obbligo, per tutti, e non soltan- to per i furbi ed i malfattori, non vi sarebbe né ingiustizia, né invidia sociale. C’è però un rischio da non sottovalutare, ovvero che in un mondo in cui tutti si dedicassero a ciò che amano fare, si trascurerebbero delle attività lavorative effettivamente utili e necessarie, che oggi invece vengono svolte perché qualcuno è costretto ad occuparsene con il ricatto e la forza. L’ingiustizia di questo modo di operare è del tutto evidente. Pertanto è doveroso trovare una 52/110
  • 53. Reddito Incondizionato soluzione decisamente più civile per far sì che ciò non possa più accadere. Prima d’indicare come si potrebbe risolvere questo (eventuale) problema, converrà tentare di valutarne l’entità. E per farlo, sarebbe una buona cosa cercare di comprendere se e quanto diminuirebbe la propensione al lavoro se si assi- curasse un reddito incondizionato a tutta l’uma- nità. Approccio teorico Immaginiamo ora di istituire un reddito di base e cerchiamo di capire quanta voglia di lavorare toglierebbe agli individui appartenenti alle se- guenti categorie: 1) poveri; 2) normali lavorato- ri; 3) lavoratori benestanti; 4) ricchi. Per ragionare in modo concreto, scegliamo di implementare il reddito incondizionato secondo la modalità numero 2 precedentemente illustra- ta, ovvero erogando un importo massimo di 500 euro che decresce all’aumentare del reddito da lavoro percepito, fino a diventare un’imposta. Caso numero 1: Per definizione, un soggetto po- vero non ha un reddito sufficientemente elevato per soddisfare i suoi bisogni primari; ciò signifi- 53/110
  • 54. Approccio teorico ca che egli o è disoccupato o è sottoccupato. Si creano così due sottocategorie. Caso numero 1-a: individuo disoccupato con reddito pari a zero, reddito incondizionato ero- gato pari a 500 euro al mese. Un individuo disoccupato con un reddito di soli 500 euro al mese garantito dallo Stato rimar- rebbe comunque povero. A meno di ritirarsi nei boschi vivendo di autoproduzione, o di condur- re vita ascetica, quel reddito di per sé non sa- rebbe affatto sufficiente per vivere in modo de- coroso. Di certo egli non soffrirebbe più la fame, ma non riuscirebbe neanche a pagare l’affitto, o il riscaldamento della propria abitazione, nel caso ne avesse una di sua proprietà. Pertanto, fatta eccezione per una sparuta mino- ranza di soggetti, è ragionevole supporre che gli appartenenti a questa classe sociale cerchereb- bero comunque un lavoro, se non altro per inte- grare il reddito di esistenza. Caso numero 1-b: individuo sottoccupato con reddito pari a 500 euro al mese, reddito incon- dizionato erogato pari a 375 euro al mese. 54/110
  • 55. Reddito Incondizionato Un individuo sottoccupato con un reddito da la- voro di 500 euro al mese, vedendosi incremen- tare le proprie disponibilità dallo Stato per un importo pari a 375 euro al mese, supererebbe la soglia della povertà, percependo 875 euro al mese. Osserviamo che, nella gran parte delle situazio- ni, anche un simile reddito sarebbe appena suf- ficiente per vivere in modo decoroso, in partico- lar modo in città. Possono quindi presentarsi due casi: o il sogget- to si accontenta della sua nuova condizione, op- pure vuole ulteriormente migliorare la sua si- tuazione reddituale. È difficile immaginare che qualcuno di essi scelga di abbandonare comple- tamente il lavoro per usufruire di un sussidio si soli 500 euro al mese. Questo significa che, complessivamente, per gli appartenenti a queste classi la propensione al lavoro non diminuirebbe. Caso numero 2: normale lavoratore con una re- tribuzione di 1.500 euro al mese, reddito incon- dizionato erogato pari a 125 euro al mese. 55/110
  • 56. Approccio teorico A seguito dell’introduzione del reddito di esi- stenza un normale lavoratore, così come appena definito, incrementerebbe il suo reddito da 1.500 a 1.625 euro al mese. Suddividiamo ulteriormente l’analisi in due casi: lavoratore dipendente, lavoratore autono- mo. Si consideri che nel 2018 su 23,5 milioni di occupati circa 18 milioni erano lavoratori dipen- denti (76,6%) mentre quelli indipendenti erano soltanto 5,5 milioni (23,4%). Il lavoratore dipendente, di norma, viene assun- to con un contratto che prevede lo svolgimento di 40 ore settimanali. Il fatto che lo Stato gli as- sicuri una sorta di bonus di 125 euro al mese potrà renderlo un po’ più felice, ma non cam- bierà di una sola virgola il suo orario di lavoro. È assai improbabile che egli scelga di licenziarsi per avere accesso a 500 euro al mese di reddito incondizionato, finendo così a vivere al di sotto della soglia di povertà! Egli invece potrebbe decidere di passare ad un regime part-time, ammesso che gli venga con- cesso, e che la nuova situazione reddituale gli appaia sufficientemente elevata per soddisfare i suoi bisogni. 56/110
  • 57. Reddito Incondizionato Intuitivamente non sembra ragionevole atten- dersi che, di fatto, una simile scelta possa inte- ressare un elevato numero d’individui, da un lato perché non è poi così semplice trovare una nuova occupazione con regime part-time e dal- l’altro perché in molti non potrebbero permet- tersi di guadagnare di meno, perché la loro nuo- va condizione reddituale non sarebbe sufficien- te per mantenere la propria famiglia. In ogni caso, se ciò avvenisse, si creerebbero nuovi posti di lavoro che, con ogni probabilità, verrebbero occupati dai soggetti senza lavoro desiderosi d’incrementare la propria condizione economica. I lavoratori autonomi, invece, vedendosi incre- mentare i loro guadagni, potrebbero decidere di lavorare qualche ora in meno. Ma così facendo creerebbero nuovi spazi di mercato che si tra- durrebbero in posti di lavoro per i soggetti che non disdegnano di aumentare il loro reddito. Vista l’entità del beneficio, è ragionevole atten- dersi che la quota di lavoratori autonomi che sceglierebbe di ridurre il proprio orario di lavo- ro a parità di reddito, non sia poi così elevata. 57/110
  • 58. Approccio teorico Caso numero 3: lavoratore benestante con red- dito superiore alla soglia in cui si diventa contri- buenti netti del reddito di esistenza. Questa classe di lavoratori sarebbe penalizzata dall’istituzione di un reddito incondizionato così come proposto in questa riflessione: seppur di poco, il loro reddito diminuirebbe. Ad esempio, chi percepiva un reddito netto di 2.500 euro, dopo l’introduzione della misura, guadagnerebbe 2.375 euro, subendo una ridu- zione di 125 euro al mese; chi invece percepiva un reddito netto di 3.500 euro guadagnerebbe 3.125 euro, subendo una riduzione di 375 euro al mese. In ogni caso, questa classe di soggetti guadagne- rebbe cifre sufficientemente elevate per vivere in modo più che agiato. Di certo, l’imposizione di quest’onere non peggiorerebbe la loro esi- stenza e non gli toglierebbe la voglia di lavorare. Caso numero 4: individui ricchi che non hanno bisogno di lavorare. In tal caso, l’imposizione di un prelievo prossi- mo al 25% sul reddito netto di un individuo “ricco” da utilizzare per finanziare il reddito in- 58/110
  • 59. Reddito Incondizionato condizionato, avrà l’effetto di farlo andare su tutte le furie, ma di certo non inciderà sulle sue abitudini lavorative: se un individuo che perce- piva 1 milione di euro all’anno prima dell’intro- duzione del reddito era solito oziare, continuerà a farlo anche disponendo di un reddito di 750.000 euro, se invece era un gran stacanovi- sta, avrà una buona ragione in più per incre- mentare i suoi ritmi di lavoro. Ora, se tutti i nuclei familiari fossero composti da singoli individui, o da singoli individui con figli minorenni a carico (il che attenuerebbe an- cor più le dinamiche di abbandono o di riduzio- ne nei confronti del lavoro sopra esposte), l’isti- tuzione del reddito incondizionato, così come descritto, non comporterebbe un problema so- ciale gravoso dovuto al disincentivo al lavoro. Esso invece aiuterebbe un gran numero di per- sone a reinserirsi nella società, eliminando le si- tuazioni di povertà più drammatiche, e miglio- rerebbe le disponibilità economiche delle fasce più deboli della popolazione, ridistribuendo la ricchezza in direzione di una maggiore equità. Purtroppo però la realtà è assai più complessa. Se invece di analizzare i comportamenti dei sin- goli individui si tentasse di prevedere le scelte 59/110
  • 60. Approccio teorico dei nuclei familiari, l’analisi si complicherebbe oltremisura. Visto il numero di variabili in gio- co, la casistica diverrebbe eccessivamente eleva- ta per essere passata interamente in rassegna all’interno di questo scritto. Si pensi solo al caso di un nucleo familiare com- posto da due individui e a tutte le possibili com- binazioni di reddito e tipologia d’occupazione. Effettuare uno studio completo, al fine di otte- nere un modello matematico affidabile, ricor- rendo al calcolo delle probabilità e alla teoria dei giochi, sarebbe di certo possibile, ma richie- derebbe mesi di lavoro. Tutto ciò sarebbe assai utile per il dibattito, ma per quanto mi risulta, ad oggi, non c’è nessuno che si sia cimentato in una simile impresa (ecco un’ottima idea per un dottorato di ricerca. Spe- ro che qualcuno raccolga il mio suggerimento!). Si può comunque tentare di dare qualche indi- cazione di massima, individuando tre categorie: nuclei familiari poveri, benestanti e ricchi. Il caso dei nuclei familiari “ricchi” è quello meno problematico. Per come abbiamo deciso d’implementare la misura, essi sarebbero dei contribuenti netti. In ogni caso, l’introduzione 60/110
  • 61. Reddito Incondizionato del reddito non altererebbe in modo significati- vo le loro esistenze: ricchi erano e ricchi rimar- rebbero. È ragionevole attendersi che la loro propensione al lavoro non diminuirebbe. Anche il caso dei nuclei familiari più poveri non è poi così problematico, come invece si potrebbe pensare. A scanso di equivoci, giudichiamo “po- veri” quei nuclei familiari con un reddito non superiore alla soglia di povertà. Introducendo un reddito incondizionato, a parità di condizio- ni, molti di essi varcherebbero tale soglia, ma non per questo navigherebbero nell’oro. Mi resta difficile pensare che una famiglia appe- na uscita dalla soglia di povertà scelga di rinun- ciare al lavoro per sopravvivere solo con il red- dito d’esistenza, ritornando così al di sotto della soglia di povertà! Ovviamente non si può escludere a priori che ciò non accadrà in nessun caso, ma in generale è ragionevole attendersi che la propensione al lavoro, o rimarrebbe invariata, nel caso in cui ci si accontentasse della nuova condizione, o si ac- crescerebbe, nel caso in cui si tentasse di trova- re un lavoro per incrementare ulteriormente il proprio benessere materiale. 61/110
  • 62. Approccio teorico I cambiamenti più significativi avverrebbero nella situazione intermedia, quella di un nucleo familiare nella “norma”. Ed è qui che la casistica si complica a dismisura. Analizziamo alcuni dei comportamenti che po- trebbero manifestarsi in un nucleo familiare composto da marito e moglie. Nel caso in cui entrambi i coniugi lavorassero a tempo pieno, l’incentivo sarebbe modesto. Per- tanto, è lecito attendersi che la loro propensione al lavoro non muterebbe in modo sensibile, an- che se non è da escludere che in certi casi qual- cuno potrebbe decidere di ridurre le ore dedica- te al lavoro, potendo contare sull’integrazione statale. Questa dinamica, però, avrebbe un deterrente di tipo economico, perché, per come è stata con- cepita la misura, riducendo il numero di ore la- vorate si andrebbe comunque a percepire un reddito inferiore rispetto alla situazione in cui si lavorava a tempo pieno senza integrazione. Si è quindi portati a pensare che se quella cop- pia ha scelto di dedicasi completamente al lavo- ro, lo abbia fatto per godere di un certo tenore di vita, e non è detto che sia disposta a ridurre il 62/110
  • 63. Reddito Incondizionato proprio benessere economico. L’eventualità però esiste ed in tal caso indurrebbe un’effettiva diminuzione della propensione al lavoro. Magari la coppia potrebbe decidere di avere un figlio e così la donna sceglierebbe di licenziarsi per poter usufruire appieno del reddito al fine di trascorrere più tempo con il/la nascituro/a. Probabilmente la situazione sarebbe tempora- nea, perché, nonostante l’integrazione statale, sopperire ai bisogni di un nucleo familiare di 3 persone con un solo stipendio risulterebbe al- quanto difficile. In tal caso, la propensione al la- voro diminuirebbe, ma solo per un certo lasso di tempo. Nel caso in cui uno solo dei due coniugi lavoras- se a tempo pieno, può darsi che l'altro compo- nente del nucleo familiare deciderebbe di perce- pire il massimo del sussidio, senza far nulla. In tal caso la propensione al lavoro rimarrebbe in- variata. È anche lecito attendersi che entrambi i soggetti passino ad un regime part-time, ammesso che riescano ad effettuare questa transizione, per- ché, così facendo, avrebbero tutti e due tempo e soldi a sufficienza per vivere, guadagnando ad- 63/110
  • 64. Approccio teorico dirittura di più rispetto alla situazione prece- dente. In tal caso si avrebbe una redistribuzione del lavoro, ma non una diminuzione della pro- pensione al lavoro. Se i due coniugi avessero già un contratto part- time, sarebbe lecito attendersi che non mutino la loro propensione al lavoro e siano ben felici di ricevere una certa integrazione reddituale da parte dello Stato lavorando per il medesimo nu- mero di ore. Se uno dei due decidesse di licen- ziarsi per godere del massimo importo erogato, la loro situazione reddituale calerebbe sensibil- mente. In generale, la presenza di uno o più figli all’in- terno di un nucleo familiare non farebbe altro che aumentare la propensione al lavoro, se non altro perché le necessità economiche si accre- scono all’aumentare del numero delle bocche da sfamare. Ovviamente una simile analisi è troppo sempli- cistica per trarre conclusioni definitive, anche se essa sembrerebbe suggerire che l'introduzio- ne di un reddito incondizionato, così come pro- posto nella modalità 2) per un importo massi- mo di 500 euro, non indurrebbe delle grandi criticità. 64/110
  • 65. Reddito Incondizionato Visto e considerato l’attuale tasso di disoccupa- zione, è più che ragionevole ipotizzare che il di- sincentivo al lavoro che si verificherebbe in una certa classe sociale sarebbe più che compensato dai comportamenti dei membri che, per una ra- gione o per l’altra, intendono incrementare la propria situazione reddituale, ma la complessità della realtà sociale c’impedisce di trarre delle conclusioni attendibili sulla base di una simile analisi. Nell’esempio precedente abbiamo discusso il caso in cui l’importo del reddito diminuisce pro- gressivamente all’aumentare del reddito da la- voro percepito. Un discorso a parte andrebbe fatto per il caso in cui il reddito incondizionato fosse effettivamente uguale per tutti. Supponiamo che, effettuando dei tagli a delle spese dannose e recuperando una quota dei profitti, tutti gli esseri umani possano disporre di 500 euro al mese in più, senza che lo Stato ne recuperasse una parte con una tassazione pro- gressiva. È chiaro che le dinamiche cambierebbero ulte- riormente, se non altro perché l’incentivo rice- 65/110
  • 66. Approccio teorico vuto dalla classe media sarebbe superiore ri- spetto alla simulazione descritta in precedenza. Uno dei motivi per cui bisognerebbe dare il me- desimo sussidio a tutti pone i suoi fondamenti sulla psicologia. Se tutti potessero contare su di una certa cifra di denaro, supponiamo 500 euro, allora ciò non verrebbe percepito come un punto di arrivo, ma come un punto di partenza comune, da cui cia- scuno muoverebbe i sui passi per migliorare ul- teriormente la propria condizione. Così come oggi si parte da un reddito nullo, sal- vo rare e fortunate eccezioni, in questo nuovo scenario si partirebbe da un reddito di base ga- rantito che verrebbe dato per scontato. C’è chi arriva a sostenere che riservare il mede- simo trattamento a tutti annullerebbe addirittu- ra l’effetto del disincentivo al lavoro, perché sposterebbe il livello di benessere verso l’alto: in un certo senso, siccome tutti avrebbero 500 euro al mese, disporre di “soli” 500 euro al mese sarebbe psicologicamente percepito come oggi si percepisce una condizione con reddito nullo. 66/110
  • 67. Reddito Incondizionato Questa argomentazione, pur avendo un senso, è decisamente debole, dato che avere 500 euro al mese non è affatto come non avere nulla, in par- ticolar modo per le implicazioni psicologiche! Se l’importo del reddito incondizionato fosse “troppo” elevato, esso rischierebbe di trasfor- marsi in un punto di arrivo per un certo numero di persone. Di solito questa eventualità vuole esser fatta passare come il male assoluto, ma non è affatto detto che debba essere così. Ad esempio, se grazie alle automazioni l’esigen- za di lavoro umano venisse a diminuire sempre più, allora sarebbe un bene che il reddito di esi- stenza fosse sufficientemente elevato così da trasformarsi in un effettivo disincentivo nei confronti del lavoro umano, che, di fatto, nean- che sarebbe disponibile, oltre a non essere più indispensabile. Ecco quindi che calibrando in modo opportuno l’importo del sussidio si sarebbe trasformato quello che per molti è un “difetto” del reddito di esistenza in un “pregio”. Se si ritiene che sia ingiusto che a livello sociale vi siano individui che possano vivere senza far nulla col reddito di esistenza mentre altri scel- 67/110
  • 68. Approccio teorico gono di lavorare, allora l’alternativa consiste nella redistribuzione del lavoro esistente. E non sarebbe male effettuare questa misura incre- mentando progressivamente i salari a mano a mano che l’automazione divenisse sempre più spinta e l’orario di lavoro diminuisse. Se è vero che per questioni ecologiche la cresci- ta economica non è più praticabile, si deve con- cludere che non ci sono altre vie da percorrere, perché se non si redistribuisce la ricchezza, o erogando un reddito incondizionato o tramite i salari, redistribuendo il lavoro, i disoccupati tecnologici saranno condannati alla miseria. Sempre ammesso che non si voglia eliminare fi- sicamente dalla faccia della Terra gli individui ritenuti “inutili”. Che cosa accadrebbe effettivamente scegliendo d’introdurre un reddito incondizionato è diffici- le a dirsi. Intuitivamente si sarebbe portati a pensare che per una certa fetta di popolazione il disincentivo al lavoro aumenterebbe all’aumen- tare dell’importo erogato, ma se si vuole essere intellettualmente onesti non bisogna omettere di valutare gli effetti di retroazione a sua volta causati da questo fenomeno. 68/110
  • 69. Reddito Incondizionato Proviamo a cambiare punto di vista. Ammettia- mo che un reddito incondizionato troppo eleva- to induca effettivamente un disincentivo al lavo- ro di una certa entità: ma chi l’ha detto che que- sto fenomeno non possa migliorare le condizio- ni di vita dell’umanità? Il fatto che alcuni individui decidano di ridurre il tempo che erano soliti dedicare al lavoro pri- ma dell’introduzione del reddito incondizionato potrebbe indurre tre effetti: 1) redistribuzione del lavoro esistente; 2) automazione del lavoro; 3) crescita dei salari. In tutta sincerità, io riten- go che, se gestite correttamente, queste dinami- che sarebbero tutt’altro che negative. Del primo caso abbiamo già parlato, ed abbia- mo concluso che questa eventualità sarebbe au- spicabile, grazie ad essa infatti si ridurrebbe la disoccupazione dando maggior tempo agli indi- vidui per vivere la vita. Il secondo ed il terzo caso sono in qualche modo collegati. Infatti, se i lavoratori non fossero di- sposti ad occuparsi di determinati compiti, per fare in modo essi che vengano comunque porta- ti a termine, ammesso che siano effettivamente utili per la collettività (altrimenti sarebbe un bene che nessuno se ne occupasse!), non si do- 69/110
  • 70. Approccio teorico vrebbe far altro che automatizzare ciò che è au- tomatizzabile oppure, nel caso in cui ciò non fosse possibile, si dovrebbero re-incentivare i lavoratori incrementando i compensi. È chiaro che le maggiori criticità si verifichereb- bero con le mansioni non automatizzabili ma necessarie che però nessuno vorrebbe fare, per- ché, ad esempio, si tratta di attività poco gratifi- canti, noiose, pericolose e/o logoranti. Ma se si procedesse minimizzando il lavoro, ov- vero eliminando il lavoro inutile e dannoso, si automatizzasse ciò che resta, e s’incrementasse- ro le retribuzioni laddove ve ne fosse l’esigenza, il problema dei compiti detestabili sarebbe pressoché risolto. Complessivamente queste retroazioni provocate dal disincentivo al lavoro migliorerebbero le condizioni di vita di tutti, fatta eccezione per i ricchi. Redistribuendo il lavoro i disoccupati ricomin- cerebbero a dare il loro contributo alla società offrendo prestazioni lavorative in cambio di un reddito dignitoso. 70/110
  • 71. Reddito Incondizionato Automatizzare il lavoro, in presenza di un red- dito incondizionato, significherebbe incomin- ciare a liberare l’umanità dalla costrizione al la- voro, senza condannare nessuno alla miseria; ciò sarebbe ancor più vero, se si prevedesse un meccanismo per incrementare in modo automa- tico l’importo del reddito di esistenza a mano a mano che l’automazione del sistema economi- co-produttivo diventasse sempre più spinta. Ed infine, aumentare le retribuzioni dei lavori meno desiderabili è quanto di giù giusto e dove- roso si possa e si debba fare. Ritengo che ci siano elementi a sufficienza per concludere che, se correttamente gestito, l’even- tuale disincentivo al lavoro indotto dal reddito incondizionato possa addirittura trasformarsi in un punto di forza e non in un elemento di debo- lezza. Approccio empirico Sviluppando queste argomentazioni, però, non siamo ancora riusciti a stabilire l’entità del pro- blema legato all’eventuale disincentivo al lavo- ro. 71/110
  • 72. Approccio empirico Per tentare di capire cosa accadrebbe realmente introducendo un reddito incondizionato c’è chi ha proposto di lavorare su base empirica, an- dando a valutare gli esiti degli esperimenti che sono già stati effettuati nel corso della storia in varie parti del mondo. Il tutto può essere inte- grato con i risultati dei sondaggi basati su inter- viste e questionari. Esistono decine di studi effettuati in tal senso, dove una certa parte della popolazione ha rice- vuto un reddito incondizionato erogato in dena- ro e/o in beni e servizi per un certo lasso di tem- po. I più interessanti sono stati raccolti nel testo di- vulgativo intitolato Utopia per realisti, di Rut- ger Bregman e nel saggio, assai più approfondi- to e ampio, intitolato Il reddito di base. Una proposta radicale, di Philippe Van Parijs. Ciò che emerge da questi studi è che a fronte dell’introduzione del reddito in nessun caso la percentuale d’individui che ha scelto di non de- dicarsi alle attività lavorative, così come comu- nemente intese oggi, ha superato il 10% degli aventi diritto (ho approssimato per eccesso): un dato, che se corrispondesse alla realtà, sarebbe perfettamente sostenibile. 72/110
  • 73. Reddito Incondizionato Vorrei far notare al lettore che nel momento in cui sto scrivendo queste riflessioni, in Italia, il tasso di disoccupazione è prossimo al 10% e non mi pare che il mondo stia crollando. È vero, nel bel paese ci sono diversi milioni di poveri, ciò però non è dovuto al fatto che non ci sia lavoro a sufficienza per creare benessere per tutti, ma ad una forte concentrazione della ric- chezza a vantaggio di una élite di privilegiati; una ricchezza che se fosse equamente distribui- ta consentirebbe a tutti di vivere in modo più che dignitoso, senza alcun bisogno d’incremen- tare il quantitativo di attività lavorative già in essere. Si consideri, inoltre, che l’automazione del lavo- ro in futuro ridurrà ulteriormente la necessità di lavoratori umani e l’istituzione di un reddito incondizionato potrebbe risolvere le criticità le- gate a questo fenomeno. In una società dove il tasso di disoccupazione si attestasse al 10%, o anche più, ma in cui vi fosse un reddito incondizionato sufficientemente ele- vato, vi sarebbero delle differenze sostanziali ri- spetto alla situazione attuale: tanto per comin- 73/110
  • 74. Approccio empirico ciare, i disoccupati lo sarebbero per scelta e non verrebbero condannati alla fame. Essi, inoltre, contribuirebbero al funzionamento dell’economia spendendo il loro reddito, una cosa che i disoccupati di oggi di certo non pos- sono fare, a meno che non appartengano alla élite dei ricchi che possono permettersi il lusso di non lavorare. Stando ai risultati delle ricerche effettuate, a che cosa si dedicano quei presunti scansafatiche che hanno scelto di riappropriarsi del loro tem- po grazie al reddito di esistenza? I dati confutano ancora una volta la summen- zionata retorica del divano: in molti casi si trat- ta di donne che hanno deciso di portare a termi- ne la gravidanza in tranquillità dedicandosi ai propri figli, in molti altri ancora si tratta d’indi- vidui che hanno scelto di mettersi a studiare. Come mai allora si continua ad argomentare contro l’istituzione di una simile misura? A titolo di esempio, vorrei riportare gli esiti di uno dei tanti esperimenti sociali volti a testare gli effetti dovuti alla temporanea introduzione di un reddito incondizionato. 74/110
  • 75. Reddito Incondizionato Esso non è presente nei saggi sopra citati, per il semplice fatto che i dati preliminari, relativi al primo anno di sperimentazione, sono stati dif- fusi proprio in questi giorni. Lo cito, non tanto per discuterne i risultati, che non sono né superiori, né inferiori in termini di qualità, quantità e attendibilità, a quelli degli al- tri esperimenti già condotti e analizzati, ma sol- tanto per far notare al lettore con quale disone- stà intellettuale viene affrontato oggigiorno il tema del reddito incondizionato. L’esperimento, ancora in corso, consiste nell’e- rogare, per un periodo di 2 anni, 560 euro al mese, cumulabili con altri redditi da lavoro e senza porre alcuna condizione, ad una platea di 2.000 disoccupati di età compresa tra i 25 e i 58 anni scelti a caso. Trascorso questo periodo, le azioni degli indivi- dui coinvolti nell’esperimento saranno confron- tate con quelle di un gruppo di controllo che non ha avuto accesso alla misura, ma che è stato comunque aiutato con il sistema di welfare già in vigore. 75/110
  • 76. Approccio empirico Quest’ultimo prevede sanzioni per i disoccupati che rifiutano le offerte di lavoro, così come av- verrà con il (falso) reddito di cittadinanza ap- provato dal governo italiano. Tanto per cominciare, citiamo i titoli delle prin- cipali testate nazionali e dei più famosi siti web che hanno diffuso l’esito del primo anno di spe- rimentazione sintetizzandolo così: ANSA: Finlandia ammette, “reddito di base inu- tile, non crea lavoro”. Il Sole 24 Ore: Finlandia, il reddito di base uni- versale non crea lavoro. Repubblica: Reddito di base, la Finlandia am- mette il flop: “Non ha aiutato a trovare lavoro”. Il Giornale: La Finlandia boccia il suo reddito di cittadinanza. Tg Com 24: Finlandia: “Il reddito di base per i disoccupati non aiuta a rilanciare l’occupazione”. A giudicare da questi titoli viene quasi da pen- sare che l’esperimento abbia prodotto degli esiti nefasti... e invece, andando a leggere all’interno dei suddetti articoli si scopre che: 1) ai fini del livello occupazionale, la permuta- zione di un reddito condizionato con un reddito 76/110
  • 77. Reddito Incondizionato incondizionato non ha indotto differenze degne di rilievo; più precisamente, i beneficiari del reddito di base in un anno hanno lavorato me- diamente mezza giornata in più rispetto al gruppo di controllo. 2) dal punto di vista della salute, i beneficiari  del reddito di base universale hanno manifesta- to un maggior benessere, da tutti i punti di vi- sta; in particolare, rispetto al gruppo di control- lo, essi manifestavano minor sintomi di stress, una maggiore capacità di concentrazione, una minor incidenza di problemi di salute. Erano anche più fiduciosi nel futuro e nella loro capa- cità di affrontare i problemi della società. In estrema sintesi, se si assumessero come vali- di gli esiti di questo esperimento e li si esten- desse a tutta la popolazione (operazione alquan- to discutibile da un punto di vista logico), ciò si- gnificherebbe due cose: che se si sostituisse il welfare condizionato già esistente con un reddi- to incondizionato, gli aventi diritto continuereb- bero a lavorare tanto quanto prima, se non di più, ma sarebbero decisamente più sani e felici. Così facendo, volendo essere davvero pessimi- sti, nella peggiore delle ipotesi si sarebbero mi- gliorate le condizioni di vita dei più poveri, sen- 77/110
  • 78. Approccio empirico za scoraggiarli nella ricerca del lavoro più di quanto non lo fossero già, semplificando note- volmente un sistema di welfare basato su obbli- ghi, controlli e sanzioni che, per loro stessa am- missione, risulta farraginoso. In tutta sincerità, come si possa giudicare que- sto esperimento come un fallimento, è vera- mente un mistero. Precisiamo inoltre che in Finlandia la soglia di povertà è prossima ai 1.200 euro mensili; per- tanto, dai risultati di questo studio emerge an- che che, da un punto di vista empirico, non esi- ste un effetto “scoraggiamento” nella ricerca di lavoro per coloro che ricevono dallo Stato un reddito incondizionato vicino al 50% della so- glia di povertà. Come mai allora c’è tutta questa negatività ri- spetto agli esiti di un esperimento che ha mo- strato degli ottimi lati positivi? La motivazione ce la suggeriscono gli stessi au- tori dei suddetti articoli: dopo esser stata aspra- mente criticata da alcuni politici, anche l’OCSE ha avvertito Helsinki che, per implementare un reddito di base a livello nazionale, senza au- mentare i costi per le finanze pubbliche, si sa- 78/110
  • 79. Reddito Incondizionato rebbe reso necessario un intervento redistribu- tivo da attuare incrementando le tasse ai più ricchi. Ecco qual è la vera criticità, non si tratta dell’i- nefficacia della misura, ma di fare in modo che i ricchi possano continuare a rimaner tali. Prima di procedere oltre consentitemi di spen- dere due parole per commentare i titoli scelti per sintetizzare l’esito dell’esperimento condot- to in Finlandia. Dire che il reddito di base sia inutile, è sempli- cemente falso, perché, di fatto, ha contribuito a migliorare le condizioni di salute e felicità dei percettori. Non è neanche vero che non aiuti a trovare la- voro: esso, infatti, ha aiutato a trovare lavoro tanto quanto il sistema di welfare già in essere. Sostenere che il reddito di base non crei lavoro non è lecito: come si può sapere se esso possa creare o no lavoro traendo conclusioni sulla base dello “stimolo” economico indotto da una minuscola platea di 2.000 individui che hanno ricevuto soltanto 560 euro al mese per non più di dodici mesi? 79/110
  • 80. Approccio empirico Di certo, gli effetti sull’economia sarebbero stati sensibilmente differenti se la misura avesse in- teressato tutti i poveri, e non soltanto un piccolo campione di individui estratti a sorte. Analoghi discorsi possono essere fatti per l’af- fermazione che il reddito incondizionato non aiuti a rilanciare l’occupazione: come si può de- durlo in base ad un campione così ridotto? Vogliamo scommettere che se si fosse estesa la misura a tutti, redistribuendo in modo serio la ricchezza, gli esiti sarebbero stati sensibilmente differenti? Che la Finlandia abbia bocciato il reddito incon- dizionato sarà anche vero ma questo non signi- fica che esso sia stato un flop: per quanto abbia- mo appena sostenuto sarebbe stato più corretto sostenere che la Finlandia ha bocciato il reddito nonostante questo abbia migliorato le condizio- ni di vita dei più poveri senza scoraggiare la ri- cerca del lavoro. Sinceramente non mi stupisce più di tanto che si tenti di trarre conclusioni negative sulla base di dati empirici che invece suggeriscono il con- trario. 80/110
  • 81. Reddito Incondizionato Ciò accade ogni volta che certi gruppi di potere intendono confermare aprioristicamente le loro posizioni fingendo di accreditarle con degli stu- di “scientifici” che in realtà non vengono con- dotti con rigore ed in modo imparziale. Spesso le ricerche sono congegnate per confer- mare i risultati che ci si è prefissati di ottenere, fregandosene di stabilire quale sia la verità. Oggigiorno la falsa scienza interviene in ogni ambito, dalla salute all’ecologia, passando per l’economia. Simili mistificazioni sono già acca- dute con gli esperimenti relativi al reddito in- condizionato che sono stati effettuati in passato, accadono ancora oggi, come vi ho appena mo- strato, e sono pronto a scommettere che acca- dranno anche in futuro. Per quanto riguarda i programmi di sosteno pubblico al reddito il caso di mistificazione più eclatante, a mio avviso, si è verificato con il si- stema Speenhamland: un tentativo per cercare di porre rimedio alle gravi condizioni socio-eco- nomiche che la Poor law (legge sulla povertà) varata sotto il regno di Elisabetta I non era stata in grado di affrontare. 81/110
  • 82. Approccio empirico Qualche decennio dopo la sua introduzione ven- ne avviata un’ambiziosa indagine governativa volta ad indagare le condizioni dei lavoratori agricoli, sulla povertà nelle campagne e sugli ef- fetti prodotti dal sistema Speenhamland. Gli incaricati della Royal Commission raccolse- ro montagne di dati che diedero vita ad una re- lazione di 13.000 pagine il cui esito può essere così sintetizzato: il sistema Speenhamland era stato un completo fallimento, aveva causato un’esplosione demografica, la riduzione dei sa- lari e l’aumento di condotte immorali, incre- mentando ancor più il degrado della classe lavo- ratrice. Per lungo tempo la relazione della Royal Com- mission fu considerata una fonte autorevole ed ebbe un’ampia diffusione. Personaggi del cali- bro di Karl Marx la utilizzarono per decretare l’inutilità e la nocività di simili misure assisten- ziali. Peccato però che alcuni storici negli anni 60 e 70 del Novecento scoprirono che gran parte di quella relazione era stata redatta ancor prima di aver raccolto un sol dato e che essa fosse in buo- na parte manipolata. 82/110
  • 83. Reddito Incondizionato I questionari distribuiti erano incompleti per il 90%; le domande erano state concepite per es- sere tendenziose; vennero utilizzate risposte op- zionali decise in anticipo per sostenere certe tesi. Inoltre, quasi nessuna delle persone inter- vistate riceveva il sussidio previsto dalla misura. Da dove provenivano quindi i dati? Per la mag- gior parte, derivavano dai membri delle élite lo- cali, con una particolare presenza di uomini ap- partenenti al clero, la cui opinione preconcetta era che dando un sostegno ai poveri, così come previsto dal sistema Speenhamland, essi sareb- bero soltanto divenuti più pigri e viziosi. Inutile dire che con queste premesse era del tut- to ovvio che il massimo che un simile studio avesse potuto fare fosse di confermare i pregiu- dizi dei committenti. La realtà, invece, si avvici- nava di molto all’esatto opposto di quanto ven- ne sostenuto nelle conclusioni della suddetta re- lazione. Gli anni passano, ma il modo di agire del Potere è sempre il medesimo ed è intrinsecamente ba- sato sulla mistificazione della realtà e l’utilizzo della menzogna. 83/110
  • 84. Approccio empirico Nonostante con un’analisi attenta ed imparziale si possa dedurre che gli esiti degli esperimenti fin qui condotti nel corso della storia muovano in favore dell’istituzione del reddito incondizio- nato, e non il contrario, mostrando in particola- re come questa eclatante ondata di “nulla-fa- centismo”, preconizzata dai detrattori della sud- detta misura, non si sia mai verificata in nessu- na situazione, e nonostante io sia intuitivamen- te convinto della positività di questo genere di soluzione, per una mera questione d’onestà in- tellettuale devo rifiutare con forza la validità delle conclusioni che si sarebbe portati a trarre sulla base di questo genere di studi. Pensare di prevedere il reale comportamento degli esseri umani con delle interviste, andando a creare statistiche previsionali sulla base di in- tenzioni e desideri, è quanto di più inaffidabile possa esser fatto. Pertanto, escluderei gli esiti dei sondaggi. Veniamo ora agli studi empirici. Il problema dei vari esperimenti che sono stati effettuati è che essi, in realtà, non erano affatto basati su dei veri redditi incondizionati: per un motivo o per l’altro, le modalità attuate non si avvicinavano a quella che invece sarebbe la real- tà delle cose qualora s’istituisse un vero reddito di esistenza. 84/110
  • 85. Reddito Incondizionato Ciò è accaduto per i seguenti motivi: il reddito non è stato erogato a tutta la popolazione, ma soltanto ad un piccolo campione d'individui; l'e- rogazione del sussidio non era illimitata nel tempo, ma limitata alla durata dell'esperimen- to; in alcuni casi il reddito era decisamente troppo basso in altri non era erogato in denaro, ma in alimenti e/o in servizi; in altri ancora ve- niva meno l'assenza di condizioni... e così via. Ora, è del tutto evidente che se il reddito incon- dizionato non viene erogato a tutta la popola- zione si tagliano immediatamente fuori dall’e- sperimento delle dinamiche fondamentali, di cui invece bisognerebbe tener conto; per ovviare a questo inconveniente si potrebbe scegliere un campione sufficientemente ampio e rappresen- tativo, ma non mi risulta che ciò sia mai avve- nuto. Purtroppo, per stabilire su base empirica se una certa implementazione del reddito incondizio- nato rilancerà o meno l’economia di una nazio- ne, non c’è altra via che non sia quella di eroga- re il reddito e vedere che cosa accadrà. Il fatto di essere consapevoli che l’erogazione del sussidio duri soltanto per un certo lasso di 85/110
  • 86. Approccio empirico tempo cambia drasticamente le dinamiche del gioco: un conto è ricevere 500 euro al mese per sempre, un altro è essere consapevoli di poterne disporre solo per 1, o 2, anni. Dare un reddito basso, supponiamo 100 euro, non è come dare un reddito elevato, supponia- mo 1.000 euro, la differenza di comportamento indotta sarebbe sostanziale; la medesima pro- blematica si verificherebbe erogando lo stesso importo o in denaro o in beni/servizi, compli- cando ancor più l’analisi. Ed infine, il voler sperimentare un reddito in- condizionato ponendo delle condizioni, preten- dendo di trarne delle conclusioni affidabili in merito a come si comporterebbero gli esseri umani se tali condizioni non ci fossero, è una palese contraddizione. Per tutte queste ragioni le conclusioni degli stu- di empirici fin qui condotti non possono essere reputate attendibili. Vi è però un singolo caso che fa eccezione e che merita di essere menzionato. Si tratta dell’unica realtà al mondo in cui esiste effettivamente un reddito incondizionato: l’Alaska. 86/110
  • 87. Reddito Incondizionato Il questa nazione, fin dal 1976, tutti i cittadini residenti da più di un anno percepiscono in egual misura i profitti ottenuti da un fondo di investimento pubblico. L’importo oscilla, a se- conda delle annate, tra i 1.000 ed i 2.000 dollari all’anno. Si consideri che in Alaska la soglia di povertà per un nucleo familiare composto da un singolo individuo è pari a 15.600 dollari all’anno. Quali sono i risvolti sociali? Da qualunque pun- to di vista lo si osservi, l’esperimento dell’Alaska risulta un successo: non ha creato disincentivo al lavoro, ha aiutato i più poveri ed ha contri- buito a sostenere l’economia nei periodi di crisi. Pertanto, esso può essere ragionevolmente uti- lizzato come argomento a supporto della tesi che un reddito incondizionato dell’ordine del 13% della soglia di povertà (circa 100 euro al mese in Italia) sarebbe benefico per la società. Ma da un punto di vista empirico, se volgiamo essere intellettualmente onesti, più di così non possiamo sostenere. A voler esser pignoli, si potrebbe argomentare ulteriormente, sostenendo che, a rigor di logica, 87/110
  • 88. Approccio empirico nemmeno la precedente tesi sia valida; infatti, applicando un’identica misura in un altro Stato, si avrebbe a che fare con un contesto differente che sarebbe caratterizzato da condizioni al con- torno diverse in merito all’economia e alla cul- tura degli esseri umani. Tralasciamo quest’ultima osservazione e proce- diamo con la nostra analisi assumendo, più o meno tacitamente, che sia lecito aspettarsi che in ambito sociale esperimenti condotti in conte- sti “simili” producano effetti “analoghi”. Se ciò è vero, possiamo concludere che se si ero- gassero 100 euro al mese a tutti gli italiani, sen- za chiedere nulla in cambio, non si verifichereb- be alcuna dinamica sociale dannosa. Ma il nostro proposito era di istituire un reddito più elevato. E così siamo di nuovo al punto di partenza per mancanza di evidenze empiriche... come si risolve questa problematica? In realtà, la soluzione è davvero banale: basta introdurre il reddito incondizionato con gradua- lità nel corso degli anni, invece che in un’unica soluzione, riservandosi di interrompere il pro- cesso d’incremento dell’importo non appena co- mincino a manifestarsi dei segnali premonitori 88/110