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Indice
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8-9
10
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Editoriale: una città per cambiare
Rappresentanti d’istituto. Non solo un voto!
Il viaggio che trasforma: conosciamo la “LINK”
Daisho: una nuova realtà
Il “Let’s Space” del 7 Ottobre: Fateci spazio!
Il ruggito della Leonessa
I nostri luoghi dimenticati
Social Sì, ma restiamo connessi
Gelusalemme: il nostro inviato dalla Città Santa
Il racconto del mese: “Il solito Inizio”
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3
di Marco Lorusso
EDITORIALE
UNA
CITTÀ PER
CAMBIARE
Editoriale
L’opera con cui abbiamo deciso di dare il benvenuto
ai lettori di questo mese è frutto dell’arte di Vincen-
zo Locapo, uno studente diciannovenne dalle ispi-
razioni geniali. Nel disegno, terminato molto prima
dell’ideazione di questa edizione, Vincenzo ha ri-
tratto a pieno, quasi profeticamente, quello che sa-
rebbe stato il senso e il contenuto del Numero Uno
del nostro magazine. La sua penna non ha descritto
solo un momento, un attimo, una suggestione, ma
l’anima di una città al confine tra la storia e il
nuovo, tra la pietra e la fantasia, tra il creato e
il creare che si fondono laddove la torre dell’amata
cattedrale sfiora un cielo fluido, che danza insieme
al cambiamento e trascina con sé il tempo che fug-
ge. Ed è proprio questo che fa da padrone al nostro
Numero Uno e ci ha spinto a dedicarlo al rapporto
tra i giovani e la loro città, l’odi et amo intramon-
tabile che abbiamo provato a raccontare nelle sedici
pagine di questo mese. La quale, facciamo attenzio-
ne, è, a nostro avviso, una scelta molto significati-
va. È come se, mentre la maggior parte aspettano
l’arrivo dell’Università per fuggire verso una nuova
vita e mentre nove giovani su dieci (ndr) non cre-
dono che la propria città sia l’ambiente giusto per
la loro crescita, noi stessimo dicendo: “Ehi, però noi
ci siamo!”. Non perché per noi i problemi non esi-
stano, ma perché sono belli anche quelli. In fondo,
pensateci, quale posto è più bello di un posto da
cambiare? La nostra città è meravigliosa per que-
sto: perché è un posto da cambiare come tante altre
insieme a lei, che puntualmente, invece, continua-
no a marcire. Ma finché i più continueranno a cor-
rere verso le proprie certezze piuttosto che lottare
per una realtà migliore, non ci sarà da stupirsi. Un
posto da cambiare è quello che dà più motivi per
crescere, per unirsi, per collaborare. Quello che
partorisce più esigenze e quindi più idee per risol-
verle. Quello che dà la vita a più problemi e quindi
più energia per vincerli. Quello dove si può aiuta-
re, dove si può fare tanto per tanti, dove possiamo
sentirci importanti, utili. Quello dove possiamo si-
gnificare. Non è, forse, questa stessa rivista, queste
stesse parole che state leggendo a nascere dall’esi-
genza di esprimersi e di dare il proprio piccolo con-
tributo al miglioramento di ciò che ci circonda? Non
è, forse, l’obiettivo di questa stessa rivista, di que-
ste stesse parole che state leggendo permetterci di
conoscere ciò che fa da cornice al quadro della no-
stra vita, per combattere la più sterile cecità e ogni
morbo dell’indifferenza? Questo numero, insieme
a tutti gli altri che ancora ci aspettano, è un urlo
di risposta alle nostre esigenze e se ci daremo da
fare per le nostre esigenze, un giorno, la nostra
esigenza sarà darci da fare. Per questo, la lettura
delle sedici pagine sfiorerà molti pezzi di realtà che
impreziosiscono il nostro vivere in città, passando
per la descrizione e promozione di attività locali na-
scenti fino ad arrivare agli articoli di informazione
e cultura sulle nostre bellezze nascoste, sulla città
come luogo di confronto e sviluppo, sul mutamen-
to del concetto di spazio e tanto tanto altro. Inutile
continuare ad anticipare, vi basta girare questa pa-
gina. Che aspettate? Ah, un momento, non poteva-
mo non concludere con una mai desueta e mai così
opportuna citazione, proveniente dall’anima del
cantautore genovese Fabrizio De Andrè, che, prima
di chiunque altro, aveva colto la bellezza delle diffi-
coltà. Vi accogliamo con questa frase, sperando che
possa scaldarvi il cuore e avviarvi verso una attenta
e stimolante lettura: “Dai diamanti non nasce nien-
te, dal letame nascono i fiori”.
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4
Scuola
Come sono calde le scuole in
questo periodo, ci avete mai
fatto caso? Siamo ad Ottobre,
mese delle “Candidature alla
Rappresentanza d’Istituto”.
Che parolone, eh? Eppure
tendiamo a sminuire tutto ciò,
come se il dover essere un punto
di riferimento per centinaia di
studenti fosse poco. Non si sente
il peso di tutto ciò, spesso, non se
ne sente la rilevanza.
Chi saranno i futuri “punti di
riferimento” delle nostre scuole?
Si respira già un’aria di
intraprendenza. I futuri
candidati oscillano tra le loro
paure e le loro forze. Non pensate
sia un momento da niente per
chiunque stia per intraprendere
questa scelta, anzi, più che
scelta, la definirei una “prova”.
Una prova porta con sé emozioni,
ansie, forze e paure. Se provate
ad osservare i futuri aspiranti a
tutto ciò potrete notare come in
loro vi sia una danza. Una danza
che oscilla tra due caratteri
fondamentali di un periodo
del genere: paura e forza. La
paura di non farcela, la paura
di non essere abbastanza. La
forza di provarci, di lanciarsi, di
“osare”. Se dovessimo descrivere
a pieno questo periodo, forse ci
aggiungerei un tocco di ipocrisia,
ma non dateci troppo peso, è
un normale processo, credo sia
parte di ogni prima esperienza
come questa (ma, fidatevi, c’è chi
rapirebbe la sorella del proprio
migliore amico pur di farcela).
L’eccesso di queste emozioni
(negative e non) è sicuramente
un altro punto cardine di questa
pre-esperienza. Ma, ora, con un
brusco cambio di visuale, vorrei
soffermare la nostra attenzione
sulla parte più consistente di
questo periodo: gli elettori.
Questo vociare tra i corridoi,
questi pregiudizi che prendon
sempre più piede, questo
giudicare tutto ciò che i candidati
fanno. Il muro tra le due parti
inizia a prender forma, il blocco
degli aspiranti sta nascendo.
Osservateli, comprendeteli e
distruggeteli di giudizi, è il loro
pane, sapete? (Quanta violenza
eh!) Ma vorrei che ci fossero dei
RAPPRESENTANTI D’ISTITUTO. NON SOLO UN VOTO!
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chiarimenti, vorrei che leggendo
questo possiate dar pane agli
aspiranti, ma quello vero: un
parere costruttivo. Prima
di poter dire, fare o spargere
qualsiasi piccola parola su un
candidato, andrebbe effettuato
un processo così lontano, a volte,
da alcune argute menti che
tutto sanno e di tutto parlano:
PENSARE. Pensare che dietro
una persona c’è tanto altro oltre
quello che si vede. Pensare che
c’è chi ci mette il cuore in tutto
questo. Pensare che il nome che vi
si lancia in faccia ogni giorno non
sia necessariamente
il meglio. Pensare che
ciò condizionerà e non
poco il vostro anno. Non
è “solo un voto”, ma è
UN VOTO. Una parola
di differenza, ma un
significato completamente
diverso. Potrei parlarvi
di questa esperienza per
ore, ma non l’ho mai fatto,
per davvero, con nessuno.
Gettare su un foglio tutto
ciò che penso, tutto ciò
che è stata questa esperienza,
porta dietro una gran nostalgia.
Quando per la prima volta pensai
di candidarmi, avevo preso così
a cuore tutto ciò, ci ero entrato
così dentro, che non arrivarci
fu una delle più grandi batoste
mai ricevute. A distanza di anni,
ci ripenso e il tutto mi tira su
un leggero sorriso. Non abbiate
questo timore, lanciatevi. Non
ce la farete? Riprovateci, sarà
ancora più dolce riuscirci.
Quando divenni “Rappresentante
d’Istituto” la prima cosa che
pensai fu: “E ora?”. Il timore
iniziale fu subito sconfitto da
una voglia intramontabile di
dimostrare a così tanta gente
ciò che avrei avuto da dirgli,
regalargli e mostrargli. Ci ho
messo il cuore in tutto questo,
a volte mi ci son perso troppo,
a volte, questa gran “voglia”
ha preso il sopravvento. Quel
camminare e sapere che chi stai
per incontrare ti odia, ti ama, ti
riconosce ha un sapore di un altro
pianeta. Conoscere, incontrare,
nuovi volti, nuovi animi, è il più
grande confronto, la più grande
crescita. Organizzare,
r i u s c i r e
a catturare l’attenzione di
qualcuno, toccarlo, per davvero.
É stato un anno di connessioni, di
confronti e legami con una grande
realtà come la scuola. Quella
fatta di ragazzi, di studenti, con
ancora una gran voglia dentro
di sé di mangiarselo ‘sto mondo.
Per il resto della scuola, avrei
bisogno di un altro articolo per
poterne parlare. Ho un unico
grande rimorso, non aver potuto
continuare quest’esperienza
anche durante quest’anno. Il
tempo chiama, tutto scorre.
L’Università attende. Vorrei
che questo fosse un augurio
a tutti voi. Dai candidati agli
elettori, che prima di esser
tali, sono studenti, sono
ragazzi, sono vita. Spero che
leggendo, nasca qualcosa in voi.
Spero che, leggendo, possiate
guardare tutto ciò che vivete
sotto un altro occhio. Spero che,
leggendo, possiate OSSERVARE,
per davvero. Piazzateci un po’
di voi nelle vostre scuole, non
statene alla larga. Partecipate,
create, è ciò che vi resterà in
primo luogo di quest’esperienza.
Metteteci il cuore, sempre. Che
quel formicolio di emozioni
dentro voi non smetta mai.
Che quella danza di paura
e forza non finisca mai. Vi
lascio, con una frase, di un
celebre capolavoro della
Disney, il motto che mi ha
seguito fin qui: “E la gente
mia, quando passerò, mi
saluterà dicendo QUESTA
E’ CASA TUA”. Sentitevi
a casa all’interno di quel
gran cumulo di ragazzi.
Rappresentanti Futuri,
quest’ultima parte era per voi.
Buon anno, buona scuola, buona
vita!
Un gran saluto a tutte le scuole,
ma devo lasciar un piccolo spazio
per la mia vecchia casa: “Che
possa esser rimasto qualcosa a
voi, di tutto
ciò, mio caro
Liceo”
di Francesco Tirelli
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Lontano da casa...
IL VIAGGIO CHE TRASFORMA
Dopotutto, c’era da aspettarselo:
come può un giovane, con gran-
di progetti e ambizioni, restare
in un contesto che di garanzie, o
meglio opportunità, ne offre ben
poche? In una distesa di cemen-
to come il nostro paese, parados-
salmente, non troviamo struttu-
re dedicate ad attività giovanili
e, quando anche ad un piccolo e
ormai raro tocchetto di verde vie-
ne preferito un ennesimo mostro
grigio e di utilità dubbia, soprag-
giunge una vocina che ti urla di
ANDARE! Andare, sì, ma dove?
O meglio, perché? O meglio anco-
ra, perché no? Confrontarsi con
culture, lingue diverse in paesi
altrettanto diversi si rivela un
vero e proprio viaggio introspet-
tivo, un mettersi in discussione e
in relazione allo stesso tempo, un
continuo e concentrico viaggio
in sé stessi e negli altri. L’affasci-
nante termine ‘viaggio’ indica
senza dubbio un percorso, una
tratta, ma in passato indicava an-
che la provvista indispensabile
per intraprenderlo. Non bisogna
lasciarsi intimorire dall’idea di
andare, al contrario, cercare di
rimanerne infatuati e di assapo-
rarne ogni delineazione al fine di
colmare sempre più questa fanto-
matica provvista. «L’essenza dello
spirito dell’uomo sta nelle nuove
esperienze», sostiene Christopher
McCandless (cit. “Into The Wild”),
e allora perché non iniziare pro-
prio da qui, dalla nostra città,
dal nostro bagaglio semivuoto,
dai nostri desideri e dalle nostre
aspirazioni? E poi andare, sì, ma
per tornare con un punto di vi-
sta differente, più ampio, matu-
ro, frutto di una formazione co-
smopolita e affrontare la realtà
dei fatti non per accettarla, ma
per cambiarla. “Sì, ma per fare
queste esperienze c’è bisogno di
molti soldi?!” FALSO! Tra le po-
che realtà attive sul nostro terri-
torio, fa sentire la sua voce LINK…
E non parla solo italiano... Di cosa
si tratta? Sin dal 2003, l’associa-
zione, si occupa di mobilità in-
ternazionale e progettazione
europea (senza percepire alcun
contributo dall’ amministrazione
comunale): ridotto ai minimi ter-
mini, Lucia Creanza, Birgit Atzl,
Mino Vicenti, Maria Di Martino,
Sante Perrucci e Caterina Guer-
rieri reggono il ponte creato tra
Altamura e le realtà europee (e
non), attive sul fronte del volon-
tariato, e si impegnano nell’ ac-
cogliere ragazzi che collaborano
a numerosi progetti e che spesso
e volentieri si legano fortemen-
te all’ambiente LINK, tanto da
ritornarci. Lo stesso è acca-
duto a numerosi ragazzi
delle nostre zone che,
quasi per caso, sono
stati proiettati e to-
talmente assorbiti
dalla galassia di
progetti euro-
pei. Come è
possibile?
A t t r a -
verso lo SVE (servizio volontario
europeo), che permette a ragazzi
dai 17 ai 30 anni di svolgere un’e-
sperienza finanziata interamen-
te da i fondi europei o mediante
semplici scambi intercultura-
li dalla breve durata. I membri
dell’associazione LINK, ormai,
trascorrono la maggior parte del
loro tempo nei loro locali colora-
ti in Via S. Croce, 3, che ospitano
ogni giorno decine di giovani
viaggiatori
e sognato-
ri, aperti e
disponibili
a ricevere
tutti. Che
dite? Lo
f a c c i a m o
un salto?
I dati sull’emigrazione non mentono: il
36,7% di coloro che hanno lasciato l’Italia
nel 2015 ha tra i 18 e i 34 anni (dati Ansa).
di Giuseppe Sardone
e Angela Sollecito
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Negli occhi di lui c’è l’attesa dei
sogni pensati a lungo, quelli
fatti di coraggio e passione, sa-
crificio e determinazione. Sul
volto di lei si legge la voglia di
costruire, la capacità di creare,
l’impazienza di cominciare, l’en-
tusiasmo di buttarsi in un mare
in tempesta. “Siamo degli appas-
sionati di karate” si presentano
così. Vincenzo Aruanno (III dan
e istruttore) e Michela Tota (II
dan) stanno per dar vita ad una
nuova realtà: la Dai Sho, una pa-
lestra che presto troverete in via
Santeramo 82-84. Avete presen-
te quando i genitori propongono
di andare in un posto nuovo con
qualcuno? Vincenzo ha comin-
ciato così: bastò un ‘vuoi anda-
re in palestra con tuo cugino?’
Aveva tre anni. “Restai a vedere
la lezione di karate e ne rimasi af-
fascinato. Mi eccitava soprattutto
l’idea del combattimento!” rac-
conta. Era nata quella che resterà
la passione di una vita. Ma non
iniziò a fare karate in quel mo-
mento; per sua madre si trattava
di uno sport violento e non lasciò
che suo figlio lo praticasse. Dieci
anni dopo, si apre uno spiraglio:
Vincenzo, trova una locandina di
una palestra in cui si fa karate. Si
iscrive di nascosto, pagando con
i suoi risparmi. “Era il 2 ottobre
2000… una data che non dimenti-
cherò mai” dice. “Emozionante?”
chiedo “Tanto…”. “Quando ho co-
nosciuto Vincenzo” spiega Miche-
la “lui faceva karate già da anni.
Una sera mi chiese di seguirlo in
palestra, dicendo che avrebbe por-
tato un kimono per me. Mi vergo-
gnavo, ma decisi di provarci! Mi ci-
mentai in un kata (combattimento
immaginario) che associai ad una
coreografia di danza…” continua
“Approfondendo quest’arte ho ca-
pito quanto fosse importante per il
benessere mentale; in più, grazie
alla federazione internazionale a
cui siamo iscritti (J.K.A.) abbiamo
l’opportunità di allenarci con ma-
estri che vengono dal Giappone…
non ci sono limiti di età, né cul-
tura.” Ma come nasce l’idea di un
centro sportivo? “Sinceramente
c’è sempre stata. Sognavo di im-
parare quest’arte e poterla inse-
gnare” risponde Vincenzo “a dar-
ci fiducia è stato il maestro Sante
Novelli, di Foggia (Vicepresidente
Org. J.K.A.)”. Dai Sho, dunque ha
l’obiettivo di divulgare il karate,
ancora oggi sconosciuto. Pochi
sanno dei suoi benefici: miglio-
rare le capacità di ascolto, memo-
ria, concentrazione, agilità, equi-
librio, coordinazione. “È difficile
spiegare quanto si possa imparare
su se stessi anche con una sola
tecnica” afferma Michela. Sui
social comincia a spopolare un
logo con un nome che è nato in-
torno al 1600, quando Musashi,
grande guerriero giapponese,
cominciò a combattere con due
spade, fondando la corrente filo-
sofica “Dai Sho”. Oltre al karate,
alla Dai Sho si praticheranno al-
cune delle discipline più in voga,
come primitive e funzionale, o
anche discipline di fitness quali
aerobica, step e pilates. È diffici-
le intraprendere un’avventura
del genere in un mondo in cui i
giovani faticano a farsi spazio e
trovare lavoro. In pochi ci credo-
no. “Noi ci crediamo… e questo
basta!” dice Michela. Vincenzo
e Michela ce la stanno mettendo
tutta. Stanno lottando per tra-
sformare un sogno in realtà,
una passione in lavoro. E… la
paura? “Esiste, ma non è ancora
venuta a trovarci!” dice Vincenzo
“sicuramente ci saranno momen-
ti difficili e noi… combatteremo!”
Auguriamo
una buona
partenza a
questi ra-
gazzi! Siete
sogno, co-
raggio, bel-
lezza, ri-
voluzione,
libertà!
DAISHO: UNA NUOVA REALTÀ
QUANDO LA PASSIONE DIVENTA LAVORO
Sport e Passione
di Silvia Miglionico
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Sociale
“Vogliamo più spazi” questo è il
grido degli studenti altamurani
che il 7 Ottobre sono scesi in piaz-
za per manifestare le loro opinio-
ni su quella che sembra l’indiffe-
renza o la noncuranza da parte
dell’amministrazione comunale
riguardo importanti problema-
tiche di politiche giovanili. Gli
studenti hanno approfittato di
questa data di mobilitazione stu-
dentesca nazionale (indetta dal
“sindacato” studentesco ‘Unio-
ne Degli Studenti’), per dedicarla
non solo alle criticità del sistema
scolastico, ma anche, e soprattut-
to, all’evidenziare una posizione
netta e decisa dei giovani sui pro-
blemi territoriali: primo fra tutti,
la necessità di SPAZI dove i gio-
vani stessi possano incontrarsi,
confrontarsi, crescere e svolge-
re tutte le loro attività.
Questa giornata è stata orga-
nizzata dalle associazioni FRE-
ESPACE, ALTERACULTURA e
RI-PULIAMOCI, che da più di un
anno affrontano questa “batta-
glia pacifica” contro il suddetto
problema attraverso raccolta fir-
me, manifestazioni pubbliche di
protesta, richieste di dialogo con
le istituzioni e gli assessori loca-
li, l’organizzazione di moltissimi
eventi culturali di vario genere
ecc…. Questo impegno è culmina-
to, ma non terminato, per tutte le
associazioni sopra citate, proprio
nella partecipazione al BANDO
COMUNALE PER LA GESTIONE
DEL LABORATORIO CULTURALE
GIOVANILE URBANO PORT’ALBA,
pubblicato dall’amministrazione
comunale tra la fine del 2015 e
l’inizio del 2016. Di questo, però,
parleremo più avanti.
Il fatto che ogni manifestazione,
ogni evento, ogni faccia a fac-
cia con l’amministrazione si sia
concluso sempre con promesse,
ad oggi, non mantenute, ha dato
vita alla necessità di coinvolgere
nel LET’S SPACE tutta la cittadi-
nanza e soprattutto gli studenti,
che, nonostante le avversità cli-
matiche, hanno partecipato e “ti-
rato fuori gli artigli”. La giornata,
dagli organizzatori stessi, è stata
definita molto proficua, anche se,
nel momento del corteo, che ha
condotto i manifestanti da P.zza
Zanardelli (luogo del raduno) a
Port’Alba (luogo dell’evento), ci
si aspettava più partecipazione
da parte degli studenti ai quali è
stata, soprattutto nei giorni pre-
cedenti, illustrata l’importanza
di manifestare e partecipare. Il
nostro stesso vocabolario ci dice
che il verbo ‘manifestare’ signi-
fica ‘rendere visibili a tutti le
proprie opinioni’ ed è SOLO AT-
TRAVERSO QUESTI FATTI, NON
SOLO CON LE PAROLE, CHE SI
OTTENGONO I RISULTATI. Tale
concetto, purtroppo, non sempre
è chiaro a molti studenti che as-
sociano la giornata di mobilita-
zione ad un banalissimo e scarno
“non andare a scuola”.
Mentre il flusso del corteo ha rag-
giunto Port’Alba, alcuni delegati
delle tre associazioni sono stati ri-
cevuti dal vicesindaco Ada Bosso,
attirata dalle voci degli studenti
che, in un primo momento della
giornata, hanno tenuto un sit-in
in P.zza Repubblica, dinanzi al co-
mune, reclamando, determina-
ti, di essere ascoltati. Il risultato
dell’incontro con il vicesindaco è
stato l’ottenimento di un “face to
face” con il sindaco Giacinto Forte
in persona, programmato per il
giorno 20 Ottobre, in cui si potrà
iniziare a parlare nel concreto
della risoluzione del problema
spazi.
Ma, tornando a Port’Alba, perché
è stato scelto proprio quel luogo?
Il motivo è semplice da compren-
dere, dal momento che le tre as-
sociazioni organizzatrici hanno
partecipato al bando (quello di
cui sopra abbiamo parlato) per
la gestione del Laboratorio as-
sieme a tantissime altre associa-
zioni, che, stringendosi attorno
alla capofila LINK (pag.6), hanno
assistito non solo alla pubblica-
zione del bando, che ha compor-
tato duri lavori d’organizzazione
e programmazione da parte dei
partecipanti, ma anche al disfa-
cimento dello stesso, pochi gior-
ni prima, tra l’altro, di scoprire
chi avrebbe effettivamente ge-
stito parte dei locali della strut-
tura (prime settimane di Aprile
2016). Insomma, un luogo “sim-
FATECI SPAZIO!ARRIVA AD ALTAMURA L’EVENTO “LET’S SPACE”
PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PA-
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bolo”, unitamente a numerosi
altri spazi comunali ristrutturati
e inutilizzati; tra questi, l’”Info-
point” in via Treviso (si pensa,
prossimo oggetto di un bando),
Palazzo Baldassarra o ancora il
palazzo dell’Acquedotto (costato
al comune diverse centinaia di
migliaia di euro e tutt’ora inagi-
bile) destinato, nelle proposte di
alcuni membri dell’amministra-
zione, ad ospitare un museo della
tortura o di arte contemporanea
(idea molto contestata, data già
la presenza di un museo civico
nazionale, del quale gli stessi cit-
tadini altamurani non conoscono
l’esistenza).
A Port’Alba, per tutta la durata
della giornata, i giovani hanno
svolto svariate attività. Il tutto
era finalizzato a porsi delle do-
mande e trovare insieme delle
proposte, più che delle risposte,
partendo dalla convinzione che
questa città abbia un enorme po-
tenziale, incarnato nei GIOVANI
e nelle loro idee, che raramente
vengono colte e valorizzate. Mu-
sica, workshops e “tavole roton-
de” hanno fatto da cornice ad un
nuovo confronto con l’assessore
alla cultura e alle politiche gio-
vanili Saverio Mascolo, soprag-
giunto sul posto per rispondere
alle nostre domande, il quale ha
promesso che troverà il prima
possibile soluzione alle numero-
se problematiche messe in luce.
Il percorso avviato il giorno del 7
Ottobre assieme all’assessore, si
rivela tutt’ora aleatorio, dal mo-
mento che il dott. Saverio Masco-
lo è stato da qualche giorno sol-
levato dalla carica di assessore,
non lasciando, per ora, alcun tipo
di erede pronto a incaricarsi delle
stesse responsabilità.
In ogni caso, il messaggio che si
è voluto trasmettere è quello di
non pensare a chi protesta come
nemico delle istituzioni, tanto
meno, di non pensare alle istitu-
zioni come antagonisti dei citta-
dini, ma di credere in una neces-
saria e reciproca collaborazione
tra giovani e amministrazione.
Pertanto, i giovani, con il LET’S
SPACE, hanno lanciato le loro idee
e i loro mes-
saggi, ora
tocca alle
istituzioni
coglierli al
volo e non
lasciarseli
scappare.
di Giovanni Chironna
Voci Dalla Piazza
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“Leonessa di Puglia”, così viene
definita la città di Altamura, per
la fierezza e il coraggio che i suoi
cittadini dimostrarono durante
la cosiddetta “Rivoluzione alta-
murana” avvenuta nel 1799, con
la quale rivendicarono i valori re-
pubblicani diffusi in tutta Europa
a seguito della Rivoluzione fran-
cese (liberté, égalité, fraternité).
È proprio in tale circostanza che
fu innalzato il celebre monumen-
to, situato in Piazza Duomo, noto
come l’Albero della libertà.
Nel medesimo luogo non passa
inosservata un’altra imponen-
te costruzione, la Cattedrale di
Santa Maria Assunta, che ha
da sempre affascinato architet-
ti provenienti da tutto il mondo;
per poter comprendere la sua sto-
ria, tuttavia, è necessario guar-
darci alle spalle, fino a scorgere
ciò che eravamo 600 anni fa, ca-
tapultandoci nella Media Aetas,
periodo caratterizzato da una ge-
nerale depressione della produ-
zione artistica, ma non del tutto
infruttuoso.
Dai documenti storici si evince
che l’edificazione della Cattedra-
le avvenne tra il 1232 e il 1247 ad
opera dell’imperatore Federico
II di Svevia, uomo sagace e dina-
mico, definito dagli storici, non a
caso, stupor mundi.
Poliedrico e intraprendente,
Federico non si interessò uni-
camente all’ambito artistico di
Altamura, bensì anche a quello
urbanistico: infatti, si impegnò
nella ricostruzione dell’intera
città, risollevandola da uno stato
di degrado, invitando gli abitanti
dei paesi limitrofi a stabilirvisi.
In seguito, i popoli che vi si in-
sediarono crebbero di numero,
rendendo la “neonata città” co-
smopolita: dai Greci ai Latini, dai
musulmani agli ebrei.
Questa varietà si è conservata
fino ad oggi, tanto che è possibile
visitare nel centro storico i clau-
stri, ossia spazi chiusi abitati cia-
scuno da un’etnia diversa. Dopo
la venuta dell’imperatore, Alta-
mura conobbe un lungo periodo
di prosperità economica.
Accanto a “Leonessa di Puglia”,
v’è un altro appellativo della no-
stra città che gode addirittura di
fama mondiale: “Città del pane”,
legato alla altissima qualità di
questo alimento targato D.O.P.
(denominazione di origine pro-
tetta), perché prodotto seguendo
una peculiare e antichissima ri-
cetta.
Pare, infatti, che il pane di Alta-
mura sia stato nominato per la
prima volta in una delle Satire del
poeta latino Orazio, che scrisse:
<<Il pane è senza confronti il mi-
gliore, tanto che i viaggiatori ac-
corti hanno l’abitudine di farne
provvista>>.
La storia di questa città, dal glo-
rioso e unico passato, è degna di
un approfondimento accurato da
parte di ogni singolo abitante.
É bene conoscere le proprie origi-
ni o i motivi che si celano dietro la
realizzazione di un’opera d’arte,
affinché il sapere non smetta mai
di tramandarsi. Solo in tal modo,
anche a distanza di svariati anni,
la “Leonessa di Puglia” conti-
nuerà a far sentire il suo ruggito.
MA TU, LA CONO
IL RUGGITO
DELLA
LEONESSA
di Marica Basile
PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PA-
11
Volano gli anni, cambiano le ge-
nerazioni, mutano i luoghi. Il
tempo gira e rigira la sua cles-
sidra e quando il fulmine della
modernità invade le nostre vite
cosa possiamo farne di quel che
siamo stati? Ricadiamo spesso
nell’errore di coprire il nostro
passato con un vecchio lenzuolo
bianco come si fa quando conser-
viamo in cantina vecchi mobili
condannati al rumoroso morso
del tarlo. La nostra dimentican-
za pervade ogni cosa che non sia
più utile ai tempi moderni: azio-
ni, discorsi, battaglie e soprattut-
to luoghi, edifici, piazze e chiese
che pure ci stanno davanti, avi-
de di un nostro misero sguardo
di nostalgia. Anche ad Altamura
non abbiamo opposto resistenza
alla dimenticanza di tanti luoghi
simbolici, capaci di offrirci il pro-
fumo di qualcosa che ha resistito
alla umana finitezza. Per fortuna,
l’arte del ricordo è innata negli
uomini e girovagando “distratta-
mente” per le strade della nostra
città, è possibile far rivivere tanti
spazi di cui abbiamo dimenticato
l’origine.
Altamura, ad esempio, godeva di
una Regia Università, eretta nel
1748 dal re Carlo di Borbone. Sei
erano i corsi di studio disponibi-
li tra cui Medicina, Matematiche,
Diritto del Regno. Essa occupava
il palazzo prelatizio, accanto alla
Cattedrale, al di sopra dell’odier-
no “Caffè Ronchi”. L’Universi-
tà fu istituita in un particolare
momento storico: le correnti
del pensiero illuministico erano
giunte anche in Italia, provocan-
do una innovazione profonda
nella concezione assolutistica del
potere. Qui ebbero modo di for-
marsi gli intellettuali provenienti
dalla Puglia e dalla Basilicata, tra
i quali tantissimi sostenitori della
Rivoluzione Partenopea del 1799
e della coeva rivoluzione altamu-
rana. Altamura aderì con convin-
zione all’esperienza rivoluziona-
ria napoletana e in Piazza Duomo
fu innalzato l’albero della liber-
tà, emblema della Rivoluzione
francese indicante l’abbattimen-
to della monarchia e l’inizio della
repubblica. Altamura, tuttavia,
nonostante i suoi tentativi di
strenua difesa, dovette arrender-
si al Cardinale Ruffo, incaricato
di reprimere i movimenti rivo-
luzionari interni al regno borbo-
nico. Per questo nel 1899, a cento
anni da quella clamorosa scon-
fitta, viene collocata nello stesso
posto di quel famoso albero del-
la libertà la statua bronzea che
ancora oggi adorna la nostra
piazza: realizzata dallo scultore
Arnoldo Zocchi, raffigura Alta-
mura, trionfante nonostante la
sconfitta, nelle sembianze di una
donna che imbraccia uno scudo
nella sinistra e nella destra una
lancia spezzata.
Altro luogo simbolo dimenticato
è il Claustro Giudecca, preziosa
testimonianza della presenza di
una comunità ebraica nella no-
stra città fin dall’epoca di Federi-
co II. Singolare per la sua forma
assolutamente unica, differente
da quella di tutti gli altri, il clau-
stro della “Giudecca” è struttura-
to in modo da disegnare la forma
di un candelabro a tre bracci. Al
suo interno s’incastonava una si-
nagoga della quale rimane appe-
na un bassorilievo sopra un muro
e nulla di più.
Interessante è la cariatide all’in-
gresso del claustro Giudecca, det-
ta “Sinagoga, la padrona del clau-
stro”. Sito poco conosciuto è il
complesso ipogeo di San Michele
delle grotte, in Via Madonna del-
la Croce. Abitato fin dal X secolo
d.C., si caratterizza per la presen-
za di una grotta-chiesa ed altre
cavità, le uniche sopravvissute
all’espansione edilizia cui l’area
è stata sottoposta nell’ultimo se-
colo.
Si trattava probabilmente di un
centro di culto di una comunità
agro-pastorale. Al suo interno si
conservano, purtroppo in avan-
zato stato di degrado, preziosis-
simi affreschi di santi comuni
alla tradizione. Da non dimenti-
care la Tipografia Portoghese,
definita “gioiello di archeologia
industriale”, fondata da Gaeta-
no e Francesco Portoghese nel
1891, impiantata nel 1893 in al-
cuni ambienti dell’ex convento di
Sant’Antonio, a ridosso di Porta
Matera. Essa rappresenta un con-
tenitore della storia altamurana
novecentesca: manifesti, locan-
dine, ordinanze, annunci testi-
moniano un passato fervente sul
piano politico-culturale. Oltre
alle macchine a moderna tecno-
logia collocabili tra gli anni ‘30 e
gli anni ‘80 del novecento, qui si
conservano due rare macchine
piano-cilindriche Koënig  & Bau-
er, una macchina per la stampa a
rilievo chimico ed un trapano per
forature del primo novecento. La
lista dei “nostri” luoghi degni di
memoria potrebbe notevolmente
allungarsi: da ora in poi abbiamo
il compito di guardarci attorno e
ridare vita a quel che siamo stati,
agli spazi che abbiamo vissuto e
fare in modo che la clessidra del
passato si unisca, rinnovandosi, a
quella del presente.
OSCI ALTAMURA?
SPAZIO
AI
RICORDI
di Annarita Incampo
La Piazza Virtuale
16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16P
12
Da sempre nella nostra
storia gli uomini hanno
avvertito il bisogno di co-
municare tra di loro, cer-
cando di ridurre le distan-
ze, a partire dagli emissari
greci che correvano tutto
il giorno fino ad arrivare
all’istant messaging di
oggi. Ciò che ha portato,
però, la comunicazione
ad un livello superiore
è stato il colpo di genio
di Tim-Berners-Lee, un
ricercatore del CERN
che, nel 1991, inavver-
titamente, o meglio per
scopi totalmente diver-
si, creò quello che poi sa-
rebbe stato denominato il
World Wide Web. Analizzia-
mo queste tre parole. Quel-
lo che noi comunemente
chiamiamo internet è
definito dall’ unione
dei termini “mondo”,
“grande” e “ragnatela”. Ecco
cosa distingue il web da al-
tri mezzi di comunica-
zione come il telefono
o la radio: il fatto che si
sia creato un mondo, un
mondo parallelo a quello
reale e al quale si può ac-
cedere con estrema facili-
tà, un mondo virtuale. Già
nel 1996 venne pubblicato un
gioco di ruolo online, un mondo
nel mondo, un posto nel quale
ogni persona poteva scegliere
di essere qualcun altro e di vi-
vere un’altra vita attraverso
uno schermo. È questa la
direzione che poi ha preso il Wor-
ld Wide Web, tanto che negli anni
duemila diventa molto
famosa “Second Life”.
una sorta di community
nella quale ognuno può
creare il proprio avatar e
vivere, appunto, una se-
conda vita in una copia del nostro
mondo, incontrare altre perso-
ne, ma senza mai vederle,
guadagnare soldi e ad-
dirittura innamorarsi. È
abbastanza triste, ma per
gente insicura Second Life
era il paradiso. Poi c’è
stato l’avvento dell’e-
ra che noi oggi stia-
mo vivendo: l’era dei
Social Network.
Che cos’è un so-
cial network?È un
ambiente nel quale
si può entrare in
relazione con altre
persone, caratteriz-
zato dalla persisten-
za (ogni azione svol-
ta sui social network
lascia una “traccia”
accessibile anche dopo
anni), dalla ricercabi-
lità (è sempre possibile
cercare e trovare segni
lasciati in rete) e da un
pubblico Invisibile (non si
può sapere con precisione
quante e quali persone
hanno visualizzato ciò che
noi abbiamo scritto, com-
mentato, ecc.) . In pratica
ci siamo noi che mettiamo in
rete, specialmente su Facebook,
tutto ciò che ci riguar-
da, tutto ciò che con-
cerne la nostra vita.
Stiamo popolando il
World Wide Web e stiamo via
via accorgendoci che in
questo nuovo spazio pos-
siamo fare tutto quello
che ci pare, dato che il tro-
varci dietro uno schermo
ci permette di mentire e
di mostrarci migliori. Chis-
sà se lo siamo davvero, ma
il fatto che ora la tenden-
za sia quella di rifu-
giarsi in un social
network piuttosto
che guardarsi in
faccia l’un l’al-
tro denota che,
magari, la real-
tà non sia poi così
soddisfacente, maga-
ri abbiamo bisogno di
fuggire da essa, di
ritrovare delle liber-
tà ormai perdute. Ma, sia-
mo davvero così sicuri che,
continuando a metterci a
nudo di fronte al mondo,
troveremo la giusta rispo-
sta ad una società che non
è in grado di accogliere noi
e le nostre menti?
SOCIAL SÌ, MA RESTIAMO CONNESSI
di Michele Pellegrino
PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PA-
13
Gerusalemme. Per molti aspetti
e per diverse culture semplice-
mente La Città. L’archetipo della
città antica: articolazione sociale
ed antropica di uno spazio natu-
rale che corrisponde anche ad un
ordine di natura divina. La città
è elemento simbolico del divino
che irrompe nello spazio diaboli-
co del mondo circostante.
Erano fatte così le città antiche,
come Ur, Uruk, e Nippur, il cui te-
menos rappresentava un pilastro
di connessione tra cielo e terra. O
come Babilonia il cui solo nome
significa “Porta di Dio” (Bab-El).
Gerusalemme non fa eccezione:
ancora oggi il cuore della gran-
de città, capitale di due stati, è il
nucleo antico denominato Cit-
tà Vecchia, l’area più connotata
religiosamente ed anche la più
importante per le tre religioni
monoteiste. In una superficie di
poche centinaia di metri quadrati
sono dislocati alcuni tra i luoghi
più santi per ebrei, musulmani e
cristiani, come il Muro Occiden-
tale (detto Muro del Pianto), la
Cupola della Roccia, il terzo luo-
go più santo per l’Islam e il Santo
Sepolcro.
Insomma, Zcome città antica, in-
tesa come città-santuario, non c’è
città più città di Gerusalemme.
Facile è misurare la città in ter-
mini di superficie, densità e nu-
mero di abitanti. Ma dare una
definizione univoca di cosa effet-
tivamente la città sia, beh è tutta
un’altra storia! Sfido i lettori a
fermarsi e rispondere alla do-
manda: Cos’è la città?
Difficile vero?
La definizione più immediata è
quella di città in senso moderno,
l’intersezione tra evidenza dell’e-
dificato e la presenza di funzioni
di eccellenza: controllo economi-
co, servizio pubblico, simboli del-
lo stato e connessione con il reti-
colo globale.
E sapete Gerusalemme cos’ha di
tutto questo? Ben poco.
Quello che abbiamo definito
come archetipo dell’antica di cit-
tà-santuario, rischia di diventare
null’altro se non uno stereoti-
po. Limitarsi ad osservare i muri
bianchi, i negozi di souvenir e i
luoghi santi della Città Vecchia
significa farsi un’idea di Gerusa-
lemme che poco si discosta da un
Luna Park per pellegrini e turisti.
La situazione, però, è molto più
complessa.
Lo spazio pubblico, tradizional-
mente rappresentato dalla piaz-
za, a Gerusalemme è frammen-
tario per non dire inesistente.
Infatti, nella Città Vecchia non
c’è una sola piazza degna di que-
sto nome. Le zone esterne alle
mura sono invece piene di “non
luoghi”, completamente avulse
dalla vera vita cittadina, come, ad
esempio, le zone dei centri com-
merciali: luoghi di passaggio in
cui transitano centinaia di per-
sone senza venire realmente in
contatto se non per comunicarsi
prezzi, sconti e saluti. Questa si-
tuazione permette di mantenere
lo status quo.
Senza confronto umano e reale
gli israeliani possono fingere che
i palestinesi non esistano anche
se abitano nella loro stessa città.
Ciò che allontana ancor di più Ge-
rusalemme dal modello di città
contemporanea è il rapporto che
intesse con la propria periferia.
Tutt’ora una città non può essere
considerata senza proprie perife-
rie. Nonostante i centri storici si-
ano sempre più messi a nuovo, è
la periferia a dettare il grado di
ingiustizia sociale di una città! I
sobborghi ad est del muro costru-
ito da Israele a partire dal 2002,
sono completamente separati da
Gerusalemme. Ogni giorno centi-
naia di pendolari si accalcano ai
checkpoint per varcare il muro
e facendo di questi (non) luoghi
mercatini a cielo aperto dove si
vendono caffè, sigarette, gom-
me da masticare e paccottiglia
di vario genere. Gerusalemme,
infine, è molto lontana dall’es-
sere una città in senso moderno
per l’assenza quasi totale delle
funzioni di eccellenza di cui par-
lavamo. Basti pensare che in Isra-
ele i quartieri generali di grandi
multinazionali (Microsoft, Apple,
Google, etc.) si trovano quasi tut-
ti a Tel Aviv, capitale economica
del paese. Circa i simboli dello
stato, le sedi di governo israelia-
ne come la Knesset (il parlamen-
to) si trovano a Gerusalemme, a
Ramallah, invece, lontano dalla
capitale, quelle dell’autorità na-
zionale palestinese. t
Detto ciò, cosa rimane di Gerusa-
lemme tra l’archetipo religioso e
lo stereotipo fideistico? Non è fa-
cile dare una risposta. Rimane un
piccolo lembo di terra da sempre
voluto, conteso, amato e spesso di-
strutto dall’uomo stesso. Conclu-
do con le parole del salmista che
esprime la difficoltà, nonostante
tutto, di non amare la città tre
volte santa e mille volte ferita:
Se ti dimentico, Gerusalemme,
si paralizzi la mia destra;
 mi si attacchi la lingua al palato,
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non metto Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.
GERUSALEMME: TRA ARCHETIPO E STEREOTIPO
PAROLA AL NOSTRO INVIATO DAL MEDIO ORIENTE
In Altre Città
di Francesco Petronella
Racconto del mese
16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16P
14
Quando Luca spalancò le orbite
in una delle tante, troppe mattine
d’estate, stordito dal rumore della
sveglia che, puntuale, segnava le
sette in punto, si destò a fatica dal
coma che lo aveva accompagnato
fino alle prime luci del giorno. Un
paio di fasci di luce trafiggevano
la tapparella e si infrangevano
contro la scrivania dove Luca non
faceva che battere tasti di una ta-
stiera consumata dal lavoro e che,
per disgrazia o per fortuna, gli
procurava il necessario per vivere
dignitosamente. Si alzò, sollevò le
avvolgibili e, spalancando le per-
siane, si portò una mano sugli oc-
chi per coprirli dal sole. Poi si recò
verso il bagno ed osservò la sua
immagine allo specchio. Era un
uomo sui trent’anni. Capelli corti
e scuri sormontavano il suo volto
giovane, dove a rubare la scena a
ogni altro lineamento erano i suoi
occhi azzurri, simili al più limpido
dei mari, al di sotto dei quali vi era
un piccolo naso e delle labbra car-
nose. Dimostrava molti meno anni
di quelli che in realtà portava.
Si gettò un po’ d’acqua fresca in
faccia e si diresse verso la cucina
per la colazione. Un caffè amaro
ed eccolo seduto davanti alla luce
del monitor su cui passavano se-
rie e serie di dati che aspettavano
di essere registrati per conto di
un’azienda dalla quale era stato
assunto. Le lancette dell’orologio
impolverato sulla carta da parati
ingiallita e decrepita indicavano
le 13.00. Un panino e di nuovo a
lavoro. Fino alle 19.00. Luca sfor-
zandosi si alzò dalla sedia, che
scricchiolò sotto il suo peso, e aprì
la dispensa in cerca di qualcosa da
mettere sotto i denti per la cena.
Afferrò qualcosa tra la polvere e le
briciole: una confezione di gallet-
te. Ne divorò un paio e di nuovo a
fissare la scatola luminosa che gli
spalancava gli occhi e lo impalli-
diva. Senza nemmeno rendersene
conto si ritrovò sotto le coperte, su-
pino, con mille frammenti di pen-
sieri che gli passavano per la testa
ma senza riuscire a focalizzarne
nessuno.
Quando il giorno seguente si destò
dall’ennesima notte priva di sogni,
arrivato davanti allo specchio notò
che alcuni capelli avevano perso
colore ed alcune ciocche qua e là
si erano tinte di grigio. L. ne strin-
se un paio tra il pollice e l’indice
e, chiudendo un occhio, cercò di
metterle a fuoco. Sembrò non far-
ci molto caso: “Che vuoi che sia”
pensò “Sto invecchiando lo so... ma
vuoi che sia tutto frutto della mia
mente? Appena svegliato e ancora
stanco, stordito, ma sì, che vuoi che
sia...” continuò a ripetere, mentre
si avviava verso lo studio. Sedutosi
davanti alla scrivania, ricominciò
a digitare numeri e codici, i tasti
sulla tastiera erano ormai stinti
a causa delle continue battiture.
Come un automa, sembrava stesse
replicando le medesime azioni del
giorno precedente: “Un numero
qui, un altro qui, questo mi sem-
bra di averlo già inserito, non fa
nulla..” . Giunta l’ora di pranzo, un
pezzo di pane era lì ad attenderlo,
pronto ad essere divorato. La gior-
nata proseguì come di consueto.
All’imbrunire, aprì nuovamente la
dispensa, afferrò il pacco di gallet-
te, mangiò le ultime due rimaste e
tornò a lavoro.
All’alba del giorno seguente,
quando si avvicinò alla sua imma-
gine riflessa, notò che il profondo
blu nella sua iride si era sbiadito,
ora tendeva ad un chiaro grigio-
re. Appena ebbe finito di lavarsi e,
dopo aver sorseggiato un caffè con
poco zucchero, si precipitò a svol-
gere il compito per cui era ancora
vivo. Un panino per pranzo, due
gallette per cena e via, nel letto. La
mattina dopo si potevano notare
rughe marcate lungo l’intero vol-
to dell’uomo. Si sfiorò i solchi sul
volto con la mano, carezzandosi
dolcemente la guancia: “Sto invec-
chiando” si limitò a pronunciare,
con voce rauca, mentre degluti-
va il liquido amaro nella tazzina
che non aveva mai lavato, ma che
stranamente era tuttora lucida.
Dopo aver inserito gli stessi codi-
ci di giorni, settimane, mesi, anni
prima e dopo una pagnotta, al-
tri codici e due gallette. chiuse gli
occhi per un’ulteriore volta senza
mai più ria-
prirli, nella
più comple-
ta apatia.
IL SOLITO INIZIO
di Gianpiero Andriulli
PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PA-
15
Periodico di cultura,
informazione e attualità,
supplemento de La Nuova Murgia.
Anno I, n 1, Ottobre 2016,
Registrato presso il tribunale di Bari
il 09/11/2000 n 1493
Edito dall’Associazione Culturale
La Nuova Murgia
Piazza Zanardelli 22 70022 Altamura (BA)
Tel. 3293394234
e-mail: sedicipaginemagazine@gmail.com
Direttore:
Antonio Molinari
Presidente:
Domenico Stea
Caporedattore:
Marco Lorusso
Presidente de La Nuova Murgia:
Michele Cannito
Diretto Responsabile:
Giovanni Brunelli
Redazione del Numero 1:
Francesco Tirelli
Giuseppe Sardone
Angela Sollecito
Silvia Miglionico
Giovanni Chironna
Marica Basile
Annarita Incampo
Michele Pellegrino
Francesco Petronella
Gianpiero Andriulli
Pubblicità:
Antonio Molinari 3293394234
Domenico Stea 3441139614
Foto di:
Michele Masiello
Progetto grafico e impaginazione:
Francesco Viscanti 3928759874
Stampa: Grafica & Stampa
Questo numero è stato chiuso il
16/10/2016 alle ore 21:00
Immagini e disegni di:
Vincenzo Locapo
Per info sulle Associazioni:
LINK
Via S. Croce, 3 - Tel. 080314080
link@linkyouth.org
DAISHO
Via Santeramo 82/84 - Tel. 3454877078
daishofit@gmail.com
IN COLLABORAZIONE CON
www.sipremsrl.it
16 Pagine - Numero 1

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16 Pagine - Numero 1

  • 1.
  • 2. 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16P 2 Indice 3 4-5 6 7 8-9 10 11 12 13 14 Editoriale: una città per cambiare Rappresentanti d’istituto. Non solo un voto! Il viaggio che trasforma: conosciamo la “LINK” Daisho: una nuova realtà Il “Let’s Space” del 7 Ottobre: Fateci spazio! Il ruggito della Leonessa I nostri luoghi dimenticati Social Sì, ma restiamo connessi Gelusalemme: il nostro inviato dalla Città Santa Il racconto del mese: “Il solito Inizio”
  • 3. PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PA- 3 di Marco Lorusso EDITORIALE UNA CITTÀ PER CAMBIARE Editoriale L’opera con cui abbiamo deciso di dare il benvenuto ai lettori di questo mese è frutto dell’arte di Vincen- zo Locapo, uno studente diciannovenne dalle ispi- razioni geniali. Nel disegno, terminato molto prima dell’ideazione di questa edizione, Vincenzo ha ri- tratto a pieno, quasi profeticamente, quello che sa- rebbe stato il senso e il contenuto del Numero Uno del nostro magazine. La sua penna non ha descritto solo un momento, un attimo, una suggestione, ma l’anima di una città al confine tra la storia e il nuovo, tra la pietra e la fantasia, tra il creato e il creare che si fondono laddove la torre dell’amata cattedrale sfiora un cielo fluido, che danza insieme al cambiamento e trascina con sé il tempo che fug- ge. Ed è proprio questo che fa da padrone al nostro Numero Uno e ci ha spinto a dedicarlo al rapporto tra i giovani e la loro città, l’odi et amo intramon- tabile che abbiamo provato a raccontare nelle sedici pagine di questo mese. La quale, facciamo attenzio- ne, è, a nostro avviso, una scelta molto significati- va. È come se, mentre la maggior parte aspettano l’arrivo dell’Università per fuggire verso una nuova vita e mentre nove giovani su dieci (ndr) non cre- dono che la propria città sia l’ambiente giusto per la loro crescita, noi stessimo dicendo: “Ehi, però noi ci siamo!”. Non perché per noi i problemi non esi- stano, ma perché sono belli anche quelli. In fondo, pensateci, quale posto è più bello di un posto da cambiare? La nostra città è meravigliosa per que- sto: perché è un posto da cambiare come tante altre insieme a lei, che puntualmente, invece, continua- no a marcire. Ma finché i più continueranno a cor- rere verso le proprie certezze piuttosto che lottare per una realtà migliore, non ci sarà da stupirsi. Un posto da cambiare è quello che dà più motivi per crescere, per unirsi, per collaborare. Quello che partorisce più esigenze e quindi più idee per risol- verle. Quello che dà la vita a più problemi e quindi più energia per vincerli. Quello dove si può aiuta- re, dove si può fare tanto per tanti, dove possiamo sentirci importanti, utili. Quello dove possiamo si- gnificare. Non è, forse, questa stessa rivista, queste stesse parole che state leggendo a nascere dall’esi- genza di esprimersi e di dare il proprio piccolo con- tributo al miglioramento di ciò che ci circonda? Non è, forse, l’obiettivo di questa stessa rivista, di que- ste stesse parole che state leggendo permetterci di conoscere ciò che fa da cornice al quadro della no- stra vita, per combattere la più sterile cecità e ogni morbo dell’indifferenza? Questo numero, insieme a tutti gli altri che ancora ci aspettano, è un urlo di risposta alle nostre esigenze e se ci daremo da fare per le nostre esigenze, un giorno, la nostra esigenza sarà darci da fare. Per questo, la lettura delle sedici pagine sfiorerà molti pezzi di realtà che impreziosiscono il nostro vivere in città, passando per la descrizione e promozione di attività locali na- scenti fino ad arrivare agli articoli di informazione e cultura sulle nostre bellezze nascoste, sulla città come luogo di confronto e sviluppo, sul mutamen- to del concetto di spazio e tanto tanto altro. Inutile continuare ad anticipare, vi basta girare questa pa- gina. Che aspettate? Ah, un momento, non poteva- mo non concludere con una mai desueta e mai così opportuna citazione, proveniente dall’anima del cantautore genovese Fabrizio De Andrè, che, prima di chiunque altro, aveva colto la bellezza delle diffi- coltà. Vi accogliamo con questa frase, sperando che possa scaldarvi il cuore e avviarvi verso una attenta e stimolante lettura: “Dai diamanti non nasce nien- te, dal letame nascono i fiori”.
  • 4. 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16P 4 Scuola Come sono calde le scuole in questo periodo, ci avete mai fatto caso? Siamo ad Ottobre, mese delle “Candidature alla Rappresentanza d’Istituto”. Che parolone, eh? Eppure tendiamo a sminuire tutto ciò, come se il dover essere un punto di riferimento per centinaia di studenti fosse poco. Non si sente il peso di tutto ciò, spesso, non se ne sente la rilevanza. Chi saranno i futuri “punti di riferimento” delle nostre scuole? Si respira già un’aria di intraprendenza. I futuri candidati oscillano tra le loro paure e le loro forze. Non pensate sia un momento da niente per chiunque stia per intraprendere questa scelta, anzi, più che scelta, la definirei una “prova”. Una prova porta con sé emozioni, ansie, forze e paure. Se provate ad osservare i futuri aspiranti a tutto ciò potrete notare come in loro vi sia una danza. Una danza che oscilla tra due caratteri fondamentali di un periodo del genere: paura e forza. La paura di non farcela, la paura di non essere abbastanza. La forza di provarci, di lanciarsi, di “osare”. Se dovessimo descrivere a pieno questo periodo, forse ci aggiungerei un tocco di ipocrisia, ma non dateci troppo peso, è un normale processo, credo sia parte di ogni prima esperienza come questa (ma, fidatevi, c’è chi rapirebbe la sorella del proprio migliore amico pur di farcela). L’eccesso di queste emozioni (negative e non) è sicuramente un altro punto cardine di questa pre-esperienza. Ma, ora, con un brusco cambio di visuale, vorrei soffermare la nostra attenzione sulla parte più consistente di questo periodo: gli elettori. Questo vociare tra i corridoi, questi pregiudizi che prendon sempre più piede, questo giudicare tutto ciò che i candidati fanno. Il muro tra le due parti inizia a prender forma, il blocco degli aspiranti sta nascendo. Osservateli, comprendeteli e distruggeteli di giudizi, è il loro pane, sapete? (Quanta violenza eh!) Ma vorrei che ci fossero dei RAPPRESENTANTI D’ISTITUTO. NON SOLO UN VOTO!
  • 5. PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PA- 5 chiarimenti, vorrei che leggendo questo possiate dar pane agli aspiranti, ma quello vero: un parere costruttivo. Prima di poter dire, fare o spargere qualsiasi piccola parola su un candidato, andrebbe effettuato un processo così lontano, a volte, da alcune argute menti che tutto sanno e di tutto parlano: PENSARE. Pensare che dietro una persona c’è tanto altro oltre quello che si vede. Pensare che c’è chi ci mette il cuore in tutto questo. Pensare che il nome che vi si lancia in faccia ogni giorno non sia necessariamente il meglio. Pensare che ciò condizionerà e non poco il vostro anno. Non è “solo un voto”, ma è UN VOTO. Una parola di differenza, ma un significato completamente diverso. Potrei parlarvi di questa esperienza per ore, ma non l’ho mai fatto, per davvero, con nessuno. Gettare su un foglio tutto ciò che penso, tutto ciò che è stata questa esperienza, porta dietro una gran nostalgia. Quando per la prima volta pensai di candidarmi, avevo preso così a cuore tutto ciò, ci ero entrato così dentro, che non arrivarci fu una delle più grandi batoste mai ricevute. A distanza di anni, ci ripenso e il tutto mi tira su un leggero sorriso. Non abbiate questo timore, lanciatevi. Non ce la farete? Riprovateci, sarà ancora più dolce riuscirci. Quando divenni “Rappresentante d’Istituto” la prima cosa che pensai fu: “E ora?”. Il timore iniziale fu subito sconfitto da una voglia intramontabile di dimostrare a così tanta gente ciò che avrei avuto da dirgli, regalargli e mostrargli. Ci ho messo il cuore in tutto questo, a volte mi ci son perso troppo, a volte, questa gran “voglia” ha preso il sopravvento. Quel camminare e sapere che chi stai per incontrare ti odia, ti ama, ti riconosce ha un sapore di un altro pianeta. Conoscere, incontrare, nuovi volti, nuovi animi, è il più grande confronto, la più grande crescita. Organizzare, r i u s c i r e a catturare l’attenzione di qualcuno, toccarlo, per davvero. É stato un anno di connessioni, di confronti e legami con una grande realtà come la scuola. Quella fatta di ragazzi, di studenti, con ancora una gran voglia dentro di sé di mangiarselo ‘sto mondo. Per il resto della scuola, avrei bisogno di un altro articolo per poterne parlare. Ho un unico grande rimorso, non aver potuto continuare quest’esperienza anche durante quest’anno. Il tempo chiama, tutto scorre. L’Università attende. Vorrei che questo fosse un augurio a tutti voi. Dai candidati agli elettori, che prima di esser tali, sono studenti, sono ragazzi, sono vita. Spero che leggendo, nasca qualcosa in voi. Spero che, leggendo, possiate guardare tutto ciò che vivete sotto un altro occhio. Spero che, leggendo, possiate OSSERVARE, per davvero. Piazzateci un po’ di voi nelle vostre scuole, non statene alla larga. Partecipate, create, è ciò che vi resterà in primo luogo di quest’esperienza. Metteteci il cuore, sempre. Che quel formicolio di emozioni dentro voi non smetta mai. Che quella danza di paura e forza non finisca mai. Vi lascio, con una frase, di un celebre capolavoro della Disney, il motto che mi ha seguito fin qui: “E la gente mia, quando passerò, mi saluterà dicendo QUESTA E’ CASA TUA”. Sentitevi a casa all’interno di quel gran cumulo di ragazzi. Rappresentanti Futuri, quest’ultima parte era per voi. Buon anno, buona scuola, buona vita! Un gran saluto a tutte le scuole, ma devo lasciar un piccolo spazio per la mia vecchia casa: “Che possa esser rimasto qualcosa a voi, di tutto ciò, mio caro Liceo” di Francesco Tirelli
  • 6. 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16P 6 Lontano da casa... IL VIAGGIO CHE TRASFORMA Dopotutto, c’era da aspettarselo: come può un giovane, con gran- di progetti e ambizioni, restare in un contesto che di garanzie, o meglio opportunità, ne offre ben poche? In una distesa di cemen- to come il nostro paese, parados- salmente, non troviamo struttu- re dedicate ad attività giovanili e, quando anche ad un piccolo e ormai raro tocchetto di verde vie- ne preferito un ennesimo mostro grigio e di utilità dubbia, soprag- giunge una vocina che ti urla di ANDARE! Andare, sì, ma dove? O meglio, perché? O meglio anco- ra, perché no? Confrontarsi con culture, lingue diverse in paesi altrettanto diversi si rivela un vero e proprio viaggio introspet- tivo, un mettersi in discussione e in relazione allo stesso tempo, un continuo e concentrico viaggio in sé stessi e negli altri. L’affasci- nante termine ‘viaggio’ indica senza dubbio un percorso, una tratta, ma in passato indicava an- che la provvista indispensabile per intraprenderlo. Non bisogna lasciarsi intimorire dall’idea di andare, al contrario, cercare di rimanerne infatuati e di assapo- rarne ogni delineazione al fine di colmare sempre più questa fanto- matica provvista. «L’essenza dello spirito dell’uomo sta nelle nuove esperienze», sostiene Christopher McCandless (cit. “Into The Wild”), e allora perché non iniziare pro- prio da qui, dalla nostra città, dal nostro bagaglio semivuoto, dai nostri desideri e dalle nostre aspirazioni? E poi andare, sì, ma per tornare con un punto di vi- sta differente, più ampio, matu- ro, frutto di una formazione co- smopolita e affrontare la realtà dei fatti non per accettarla, ma per cambiarla. “Sì, ma per fare queste esperienze c’è bisogno di molti soldi?!” FALSO! Tra le po- che realtà attive sul nostro terri- torio, fa sentire la sua voce LINK… E non parla solo italiano... Di cosa si tratta? Sin dal 2003, l’associa- zione, si occupa di mobilità in- ternazionale e progettazione europea (senza percepire alcun contributo dall’ amministrazione comunale): ridotto ai minimi ter- mini, Lucia Creanza, Birgit Atzl, Mino Vicenti, Maria Di Martino, Sante Perrucci e Caterina Guer- rieri reggono il ponte creato tra Altamura e le realtà europee (e non), attive sul fronte del volon- tariato, e si impegnano nell’ ac- cogliere ragazzi che collaborano a numerosi progetti e che spesso e volentieri si legano fortemen- te all’ambiente LINK, tanto da ritornarci. Lo stesso è acca- duto a numerosi ragazzi delle nostre zone che, quasi per caso, sono stati proiettati e to- talmente assorbiti dalla galassia di progetti euro- pei. Come è possibile? A t t r a - verso lo SVE (servizio volontario europeo), che permette a ragazzi dai 17 ai 30 anni di svolgere un’e- sperienza finanziata interamen- te da i fondi europei o mediante semplici scambi intercultura- li dalla breve durata. I membri dell’associazione LINK, ormai, trascorrono la maggior parte del loro tempo nei loro locali colora- ti in Via S. Croce, 3, che ospitano ogni giorno decine di giovani viaggiatori e sognato- ri, aperti e disponibili a ricevere tutti. Che dite? Lo f a c c i a m o un salto? I dati sull’emigrazione non mentono: il 36,7% di coloro che hanno lasciato l’Italia nel 2015 ha tra i 18 e i 34 anni (dati Ansa). di Giuseppe Sardone e Angela Sollecito
  • 7. PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PA- 7 Negli occhi di lui c’è l’attesa dei sogni pensati a lungo, quelli fatti di coraggio e passione, sa- crificio e determinazione. Sul volto di lei si legge la voglia di costruire, la capacità di creare, l’impazienza di cominciare, l’en- tusiasmo di buttarsi in un mare in tempesta. “Siamo degli appas- sionati di karate” si presentano così. Vincenzo Aruanno (III dan e istruttore) e Michela Tota (II dan) stanno per dar vita ad una nuova realtà: la Dai Sho, una pa- lestra che presto troverete in via Santeramo 82-84. Avete presen- te quando i genitori propongono di andare in un posto nuovo con qualcuno? Vincenzo ha comin- ciato così: bastò un ‘vuoi anda- re in palestra con tuo cugino?’ Aveva tre anni. “Restai a vedere la lezione di karate e ne rimasi af- fascinato. Mi eccitava soprattutto l’idea del combattimento!” rac- conta. Era nata quella che resterà la passione di una vita. Ma non iniziò a fare karate in quel mo- mento; per sua madre si trattava di uno sport violento e non lasciò che suo figlio lo praticasse. Dieci anni dopo, si apre uno spiraglio: Vincenzo, trova una locandina di una palestra in cui si fa karate. Si iscrive di nascosto, pagando con i suoi risparmi. “Era il 2 ottobre 2000… una data che non dimenti- cherò mai” dice. “Emozionante?” chiedo “Tanto…”. “Quando ho co- nosciuto Vincenzo” spiega Miche- la “lui faceva karate già da anni. Una sera mi chiese di seguirlo in palestra, dicendo che avrebbe por- tato un kimono per me. Mi vergo- gnavo, ma decisi di provarci! Mi ci- mentai in un kata (combattimento immaginario) che associai ad una coreografia di danza…” continua “Approfondendo quest’arte ho ca- pito quanto fosse importante per il benessere mentale; in più, grazie alla federazione internazionale a cui siamo iscritti (J.K.A.) abbiamo l’opportunità di allenarci con ma- estri che vengono dal Giappone… non ci sono limiti di età, né cul- tura.” Ma come nasce l’idea di un centro sportivo? “Sinceramente c’è sempre stata. Sognavo di im- parare quest’arte e poterla inse- gnare” risponde Vincenzo “a dar- ci fiducia è stato il maestro Sante Novelli, di Foggia (Vicepresidente Org. J.K.A.)”. Dai Sho, dunque ha l’obiettivo di divulgare il karate, ancora oggi sconosciuto. Pochi sanno dei suoi benefici: miglio- rare le capacità di ascolto, memo- ria, concentrazione, agilità, equi- librio, coordinazione. “È difficile spiegare quanto si possa imparare su se stessi anche con una sola tecnica” afferma Michela. Sui social comincia a spopolare un logo con un nome che è nato in- torno al 1600, quando Musashi, grande guerriero giapponese, cominciò a combattere con due spade, fondando la corrente filo- sofica “Dai Sho”. Oltre al karate, alla Dai Sho si praticheranno al- cune delle discipline più in voga, come primitive e funzionale, o anche discipline di fitness quali aerobica, step e pilates. È diffici- le intraprendere un’avventura del genere in un mondo in cui i giovani faticano a farsi spazio e trovare lavoro. In pochi ci credo- no. “Noi ci crediamo… e questo basta!” dice Michela. Vincenzo e Michela ce la stanno mettendo tutta. Stanno lottando per tra- sformare un sogno in realtà, una passione in lavoro. E… la paura? “Esiste, ma non è ancora venuta a trovarci!” dice Vincenzo “sicuramente ci saranno momen- ti difficili e noi… combatteremo!” Auguriamo una buona partenza a questi ra- gazzi! Siete sogno, co- raggio, bel- lezza, ri- voluzione, libertà! DAISHO: UNA NUOVA REALTÀ QUANDO LA PASSIONE DIVENTA LAVORO Sport e Passione di Silvia Miglionico
  • 8. 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16P 8 Sociale “Vogliamo più spazi” questo è il grido degli studenti altamurani che il 7 Ottobre sono scesi in piaz- za per manifestare le loro opinio- ni su quella che sembra l’indiffe- renza o la noncuranza da parte dell’amministrazione comunale riguardo importanti problema- tiche di politiche giovanili. Gli studenti hanno approfittato di questa data di mobilitazione stu- dentesca nazionale (indetta dal “sindacato” studentesco ‘Unio- ne Degli Studenti’), per dedicarla non solo alle criticità del sistema scolastico, ma anche, e soprattut- to, all’evidenziare una posizione netta e decisa dei giovani sui pro- blemi territoriali: primo fra tutti, la necessità di SPAZI dove i gio- vani stessi possano incontrarsi, confrontarsi, crescere e svolge- re tutte le loro attività. Questa giornata è stata orga- nizzata dalle associazioni FRE- ESPACE, ALTERACULTURA e RI-PULIAMOCI, che da più di un anno affrontano questa “batta- glia pacifica” contro il suddetto problema attraverso raccolta fir- me, manifestazioni pubbliche di protesta, richieste di dialogo con le istituzioni e gli assessori loca- li, l’organizzazione di moltissimi eventi culturali di vario genere ecc…. Questo impegno è culmina- to, ma non terminato, per tutte le associazioni sopra citate, proprio nella partecipazione al BANDO COMUNALE PER LA GESTIONE DEL LABORATORIO CULTURALE GIOVANILE URBANO PORT’ALBA, pubblicato dall’amministrazione comunale tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016. Di questo, però, parleremo più avanti. Il fatto che ogni manifestazione, ogni evento, ogni faccia a fac- cia con l’amministrazione si sia concluso sempre con promesse, ad oggi, non mantenute, ha dato vita alla necessità di coinvolgere nel LET’S SPACE tutta la cittadi- nanza e soprattutto gli studenti, che, nonostante le avversità cli- matiche, hanno partecipato e “ti- rato fuori gli artigli”. La giornata, dagli organizzatori stessi, è stata definita molto proficua, anche se, nel momento del corteo, che ha condotto i manifestanti da P.zza Zanardelli (luogo del raduno) a Port’Alba (luogo dell’evento), ci si aspettava più partecipazione da parte degli studenti ai quali è stata, soprattutto nei giorni pre- cedenti, illustrata l’importanza di manifestare e partecipare. Il nostro stesso vocabolario ci dice che il verbo ‘manifestare’ signi- fica ‘rendere visibili a tutti le proprie opinioni’ ed è SOLO AT- TRAVERSO QUESTI FATTI, NON SOLO CON LE PAROLE, CHE SI OTTENGONO I RISULTATI. Tale concetto, purtroppo, non sempre è chiaro a molti studenti che as- sociano la giornata di mobilita- zione ad un banalissimo e scarno “non andare a scuola”. Mentre il flusso del corteo ha rag- giunto Port’Alba, alcuni delegati delle tre associazioni sono stati ri- cevuti dal vicesindaco Ada Bosso, attirata dalle voci degli studenti che, in un primo momento della giornata, hanno tenuto un sit-in in P.zza Repubblica, dinanzi al co- mune, reclamando, determina- ti, di essere ascoltati. Il risultato dell’incontro con il vicesindaco è stato l’ottenimento di un “face to face” con il sindaco Giacinto Forte in persona, programmato per il giorno 20 Ottobre, in cui si potrà iniziare a parlare nel concreto della risoluzione del problema spazi. Ma, tornando a Port’Alba, perché è stato scelto proprio quel luogo? Il motivo è semplice da compren- dere, dal momento che le tre as- sociazioni organizzatrici hanno partecipato al bando (quello di cui sopra abbiamo parlato) per la gestione del Laboratorio as- sieme a tantissime altre associa- zioni, che, stringendosi attorno alla capofila LINK (pag.6), hanno assistito non solo alla pubblica- zione del bando, che ha compor- tato duri lavori d’organizzazione e programmazione da parte dei partecipanti, ma anche al disfa- cimento dello stesso, pochi gior- ni prima, tra l’altro, di scoprire chi avrebbe effettivamente ge- stito parte dei locali della strut- tura (prime settimane di Aprile 2016). Insomma, un luogo “sim- FATECI SPAZIO!ARRIVA AD ALTAMURA L’EVENTO “LET’S SPACE”
  • 9. PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PA- 9 bolo”, unitamente a numerosi altri spazi comunali ristrutturati e inutilizzati; tra questi, l’”Info- point” in via Treviso (si pensa, prossimo oggetto di un bando), Palazzo Baldassarra o ancora il palazzo dell’Acquedotto (costato al comune diverse centinaia di migliaia di euro e tutt’ora inagi- bile) destinato, nelle proposte di alcuni membri dell’amministra- zione, ad ospitare un museo della tortura o di arte contemporanea (idea molto contestata, data già la presenza di un museo civico nazionale, del quale gli stessi cit- tadini altamurani non conoscono l’esistenza). A Port’Alba, per tutta la durata della giornata, i giovani hanno svolto svariate attività. Il tutto era finalizzato a porsi delle do- mande e trovare insieme delle proposte, più che delle risposte, partendo dalla convinzione che questa città abbia un enorme po- tenziale, incarnato nei GIOVANI e nelle loro idee, che raramente vengono colte e valorizzate. Mu- sica, workshops e “tavole roton- de” hanno fatto da cornice ad un nuovo confronto con l’assessore alla cultura e alle politiche gio- vanili Saverio Mascolo, soprag- giunto sul posto per rispondere alle nostre domande, il quale ha promesso che troverà il prima possibile soluzione alle numero- se problematiche messe in luce. Il percorso avviato il giorno del 7 Ottobre assieme all’assessore, si rivela tutt’ora aleatorio, dal mo- mento che il dott. Saverio Masco- lo è stato da qualche giorno sol- levato dalla carica di assessore, non lasciando, per ora, alcun tipo di erede pronto a incaricarsi delle stesse responsabilità. In ogni caso, il messaggio che si è voluto trasmettere è quello di non pensare a chi protesta come nemico delle istituzioni, tanto meno, di non pensare alle istitu- zioni come antagonisti dei citta- dini, ma di credere in una neces- saria e reciproca collaborazione tra giovani e amministrazione. Pertanto, i giovani, con il LET’S SPACE, hanno lanciato le loro idee e i loro mes- saggi, ora tocca alle istituzioni coglierli al volo e non lasciarseli scappare. di Giovanni Chironna
  • 10. Voci Dalla Piazza 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16P 10 “Leonessa di Puglia”, così viene definita la città di Altamura, per la fierezza e il coraggio che i suoi cittadini dimostrarono durante la cosiddetta “Rivoluzione alta- murana” avvenuta nel 1799, con la quale rivendicarono i valori re- pubblicani diffusi in tutta Europa a seguito della Rivoluzione fran- cese (liberté, égalité, fraternité). È proprio in tale circostanza che fu innalzato il celebre monumen- to, situato in Piazza Duomo, noto come l’Albero della libertà. Nel medesimo luogo non passa inosservata un’altra imponen- te costruzione, la Cattedrale di Santa Maria Assunta, che ha da sempre affascinato architet- ti provenienti da tutto il mondo; per poter comprendere la sua sto- ria, tuttavia, è necessario guar- darci alle spalle, fino a scorgere ciò che eravamo 600 anni fa, ca- tapultandoci nella Media Aetas, periodo caratterizzato da una ge- nerale depressione della produ- zione artistica, ma non del tutto infruttuoso. Dai documenti storici si evince che l’edificazione della Cattedra- le avvenne tra il 1232 e il 1247 ad opera dell’imperatore Federico II di Svevia, uomo sagace e dina- mico, definito dagli storici, non a caso, stupor mundi. Poliedrico e intraprendente, Federico non si interessò uni- camente all’ambito artistico di Altamura, bensì anche a quello urbanistico: infatti, si impegnò nella ricostruzione dell’intera città, risollevandola da uno stato di degrado, invitando gli abitanti dei paesi limitrofi a stabilirvisi. In seguito, i popoli che vi si in- sediarono crebbero di numero, rendendo la “neonata città” co- smopolita: dai Greci ai Latini, dai musulmani agli ebrei. Questa varietà si è conservata fino ad oggi, tanto che è possibile visitare nel centro storico i clau- stri, ossia spazi chiusi abitati cia- scuno da un’etnia diversa. Dopo la venuta dell’imperatore, Alta- mura conobbe un lungo periodo di prosperità economica. Accanto a “Leonessa di Puglia”, v’è un altro appellativo della no- stra città che gode addirittura di fama mondiale: “Città del pane”, legato alla altissima qualità di questo alimento targato D.O.P. (denominazione di origine pro- tetta), perché prodotto seguendo una peculiare e antichissima ri- cetta. Pare, infatti, che il pane di Alta- mura sia stato nominato per la prima volta in una delle Satire del poeta latino Orazio, che scrisse: <<Il pane è senza confronti il mi- gliore, tanto che i viaggiatori ac- corti hanno l’abitudine di farne provvista>>. La storia di questa città, dal glo- rioso e unico passato, è degna di un approfondimento accurato da parte di ogni singolo abitante. É bene conoscere le proprie origi- ni o i motivi che si celano dietro la realizzazione di un’opera d’arte, affinché il sapere non smetta mai di tramandarsi. Solo in tal modo, anche a distanza di svariati anni, la “Leonessa di Puglia” conti- nuerà a far sentire il suo ruggito. MA TU, LA CONO IL RUGGITO DELLA LEONESSA di Marica Basile
  • 11. PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PA- 11 Volano gli anni, cambiano le ge- nerazioni, mutano i luoghi. Il tempo gira e rigira la sua cles- sidra e quando il fulmine della modernità invade le nostre vite cosa possiamo farne di quel che siamo stati? Ricadiamo spesso nell’errore di coprire il nostro passato con un vecchio lenzuolo bianco come si fa quando conser- viamo in cantina vecchi mobili condannati al rumoroso morso del tarlo. La nostra dimentican- za pervade ogni cosa che non sia più utile ai tempi moderni: azio- ni, discorsi, battaglie e soprattut- to luoghi, edifici, piazze e chiese che pure ci stanno davanti, avi- de di un nostro misero sguardo di nostalgia. Anche ad Altamura non abbiamo opposto resistenza alla dimenticanza di tanti luoghi simbolici, capaci di offrirci il pro- fumo di qualcosa che ha resistito alla umana finitezza. Per fortuna, l’arte del ricordo è innata negli uomini e girovagando “distratta- mente” per le strade della nostra città, è possibile far rivivere tanti spazi di cui abbiamo dimenticato l’origine. Altamura, ad esempio, godeva di una Regia Università, eretta nel 1748 dal re Carlo di Borbone. Sei erano i corsi di studio disponibi- li tra cui Medicina, Matematiche, Diritto del Regno. Essa occupava il palazzo prelatizio, accanto alla Cattedrale, al di sopra dell’odier- no “Caffè Ronchi”. L’Universi- tà fu istituita in un particolare momento storico: le correnti del pensiero illuministico erano giunte anche in Italia, provocan- do una innovazione profonda nella concezione assolutistica del potere. Qui ebbero modo di for- marsi gli intellettuali provenienti dalla Puglia e dalla Basilicata, tra i quali tantissimi sostenitori della Rivoluzione Partenopea del 1799 e della coeva rivoluzione altamu- rana. Altamura aderì con convin- zione all’esperienza rivoluziona- ria napoletana e in Piazza Duomo fu innalzato l’albero della liber- tà, emblema della Rivoluzione francese indicante l’abbattimen- to della monarchia e l’inizio della repubblica. Altamura, tuttavia, nonostante i suoi tentativi di strenua difesa, dovette arrender- si al Cardinale Ruffo, incaricato di reprimere i movimenti rivo- luzionari interni al regno borbo- nico. Per questo nel 1899, a cento anni da quella clamorosa scon- fitta, viene collocata nello stesso posto di quel famoso albero del- la libertà la statua bronzea che ancora oggi adorna la nostra piazza: realizzata dallo scultore Arnoldo Zocchi, raffigura Alta- mura, trionfante nonostante la sconfitta, nelle sembianze di una donna che imbraccia uno scudo nella sinistra e nella destra una lancia spezzata. Altro luogo simbolo dimenticato è il Claustro Giudecca, preziosa testimonianza della presenza di una comunità ebraica nella no- stra città fin dall’epoca di Federi- co II. Singolare per la sua forma assolutamente unica, differente da quella di tutti gli altri, il clau- stro della “Giudecca” è struttura- to in modo da disegnare la forma di un candelabro a tre bracci. Al suo interno s’incastonava una si- nagoga della quale rimane appe- na un bassorilievo sopra un muro e nulla di più. Interessante è la cariatide all’in- gresso del claustro Giudecca, det- ta “Sinagoga, la padrona del clau- stro”. Sito poco conosciuto è il complesso ipogeo di San Michele delle grotte, in Via Madonna del- la Croce. Abitato fin dal X secolo d.C., si caratterizza per la presen- za di una grotta-chiesa ed altre cavità, le uniche sopravvissute all’espansione edilizia cui l’area è stata sottoposta nell’ultimo se- colo. Si trattava probabilmente di un centro di culto di una comunità agro-pastorale. Al suo interno si conservano, purtroppo in avan- zato stato di degrado, preziosis- simi affreschi di santi comuni alla tradizione. Da non dimenti- care la Tipografia Portoghese, definita “gioiello di archeologia industriale”, fondata da Gaeta- no e Francesco Portoghese nel 1891, impiantata nel 1893 in al- cuni ambienti dell’ex convento di Sant’Antonio, a ridosso di Porta Matera. Essa rappresenta un con- tenitore della storia altamurana novecentesca: manifesti, locan- dine, ordinanze, annunci testi- moniano un passato fervente sul piano politico-culturale. Oltre alle macchine a moderna tecno- logia collocabili tra gli anni ‘30 e gli anni ‘80 del novecento, qui si conservano due rare macchine piano-cilindriche Koënig  & Bau- er, una macchina per la stampa a rilievo chimico ed un trapano per forature del primo novecento. La lista dei “nostri” luoghi degni di memoria potrebbe notevolmente allungarsi: da ora in poi abbiamo il compito di guardarci attorno e ridare vita a quel che siamo stati, agli spazi che abbiamo vissuto e fare in modo che la clessidra del passato si unisca, rinnovandosi, a quella del presente. OSCI ALTAMURA? SPAZIO AI RICORDI di Annarita Incampo
  • 12. La Piazza Virtuale 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16P 12 Da sempre nella nostra storia gli uomini hanno avvertito il bisogno di co- municare tra di loro, cer- cando di ridurre le distan- ze, a partire dagli emissari greci che correvano tutto il giorno fino ad arrivare all’istant messaging di oggi. Ciò che ha portato, però, la comunicazione ad un livello superiore è stato il colpo di genio di Tim-Berners-Lee, un ricercatore del CERN che, nel 1991, inavver- titamente, o meglio per scopi totalmente diver- si, creò quello che poi sa- rebbe stato denominato il World Wide Web. Analizzia- mo queste tre parole. Quel- lo che noi comunemente chiamiamo internet è definito dall’ unione dei termini “mondo”, “grande” e “ragnatela”. Ecco cosa distingue il web da al- tri mezzi di comunica- zione come il telefono o la radio: il fatto che si sia creato un mondo, un mondo parallelo a quello reale e al quale si può ac- cedere con estrema facili- tà, un mondo virtuale. Già nel 1996 venne pubblicato un gioco di ruolo online, un mondo nel mondo, un posto nel quale ogni persona poteva scegliere di essere qualcun altro e di vi- vere un’altra vita attraverso uno schermo. È questa la direzione che poi ha preso il Wor- ld Wide Web, tanto che negli anni duemila diventa molto famosa “Second Life”. una sorta di community nella quale ognuno può creare il proprio avatar e vivere, appunto, una se- conda vita in una copia del nostro mondo, incontrare altre perso- ne, ma senza mai vederle, guadagnare soldi e ad- dirittura innamorarsi. È abbastanza triste, ma per gente insicura Second Life era il paradiso. Poi c’è stato l’avvento dell’e- ra che noi oggi stia- mo vivendo: l’era dei Social Network. Che cos’è un so- cial network?È un ambiente nel quale si può entrare in relazione con altre persone, caratteriz- zato dalla persisten- za (ogni azione svol- ta sui social network lascia una “traccia” accessibile anche dopo anni), dalla ricercabi- lità (è sempre possibile cercare e trovare segni lasciati in rete) e da un pubblico Invisibile (non si può sapere con precisione quante e quali persone hanno visualizzato ciò che noi abbiamo scritto, com- mentato, ecc.) . In pratica ci siamo noi che mettiamo in rete, specialmente su Facebook, tutto ciò che ci riguar- da, tutto ciò che con- cerne la nostra vita. Stiamo popolando il World Wide Web e stiamo via via accorgendoci che in questo nuovo spazio pos- siamo fare tutto quello che ci pare, dato che il tro- varci dietro uno schermo ci permette di mentire e di mostrarci migliori. Chis- sà se lo siamo davvero, ma il fatto che ora la tenden- za sia quella di rifu- giarsi in un social network piuttosto che guardarsi in faccia l’un l’al- tro denota che, magari, la real- tà non sia poi così soddisfacente, maga- ri abbiamo bisogno di fuggire da essa, di ritrovare delle liber- tà ormai perdute. Ma, sia- mo davvero così sicuri che, continuando a metterci a nudo di fronte al mondo, troveremo la giusta rispo- sta ad una società che non è in grado di accogliere noi e le nostre menti? SOCIAL SÌ, MA RESTIAMO CONNESSI di Michele Pellegrino
  • 13. PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PA- 13 Gerusalemme. Per molti aspetti e per diverse culture semplice- mente La Città. L’archetipo della città antica: articolazione sociale ed antropica di uno spazio natu- rale che corrisponde anche ad un ordine di natura divina. La città è elemento simbolico del divino che irrompe nello spazio diaboli- co del mondo circostante. Erano fatte così le città antiche, come Ur, Uruk, e Nippur, il cui te- menos rappresentava un pilastro di connessione tra cielo e terra. O come Babilonia il cui solo nome significa “Porta di Dio” (Bab-El). Gerusalemme non fa eccezione: ancora oggi il cuore della gran- de città, capitale di due stati, è il nucleo antico denominato Cit- tà Vecchia, l’area più connotata religiosamente ed anche la più importante per le tre religioni monoteiste. In una superficie di poche centinaia di metri quadrati sono dislocati alcuni tra i luoghi più santi per ebrei, musulmani e cristiani, come il Muro Occiden- tale (detto Muro del Pianto), la Cupola della Roccia, il terzo luo- go più santo per l’Islam e il Santo Sepolcro. Insomma, Zcome città antica, in- tesa come città-santuario, non c’è città più città di Gerusalemme. Facile è misurare la città in ter- mini di superficie, densità e nu- mero di abitanti. Ma dare una definizione univoca di cosa effet- tivamente la città sia, beh è tutta un’altra storia! Sfido i lettori a fermarsi e rispondere alla do- manda: Cos’è la città? Difficile vero? La definizione più immediata è quella di città in senso moderno, l’intersezione tra evidenza dell’e- dificato e la presenza di funzioni di eccellenza: controllo economi- co, servizio pubblico, simboli del- lo stato e connessione con il reti- colo globale. E sapete Gerusalemme cos’ha di tutto questo? Ben poco. Quello che abbiamo definito come archetipo dell’antica di cit- tà-santuario, rischia di diventare null’altro se non uno stereoti- po. Limitarsi ad osservare i muri bianchi, i negozi di souvenir e i luoghi santi della Città Vecchia significa farsi un’idea di Gerusa- lemme che poco si discosta da un Luna Park per pellegrini e turisti. La situazione, però, è molto più complessa. Lo spazio pubblico, tradizional- mente rappresentato dalla piaz- za, a Gerusalemme è frammen- tario per non dire inesistente. Infatti, nella Città Vecchia non c’è una sola piazza degna di que- sto nome. Le zone esterne alle mura sono invece piene di “non luoghi”, completamente avulse dalla vera vita cittadina, come, ad esempio, le zone dei centri com- merciali: luoghi di passaggio in cui transitano centinaia di per- sone senza venire realmente in contatto se non per comunicarsi prezzi, sconti e saluti. Questa si- tuazione permette di mantenere lo status quo. Senza confronto umano e reale gli israeliani possono fingere che i palestinesi non esistano anche se abitano nella loro stessa città. Ciò che allontana ancor di più Ge- rusalemme dal modello di città contemporanea è il rapporto che intesse con la propria periferia. Tutt’ora una città non può essere considerata senza proprie perife- rie. Nonostante i centri storici si- ano sempre più messi a nuovo, è la periferia a dettare il grado di ingiustizia sociale di una città! I sobborghi ad est del muro costru- ito da Israele a partire dal 2002, sono completamente separati da Gerusalemme. Ogni giorno centi- naia di pendolari si accalcano ai checkpoint per varcare il muro e facendo di questi (non) luoghi mercatini a cielo aperto dove si vendono caffè, sigarette, gom- me da masticare e paccottiglia di vario genere. Gerusalemme, infine, è molto lontana dall’es- sere una città in senso moderno per l’assenza quasi totale delle funzioni di eccellenza di cui par- lavamo. Basti pensare che in Isra- ele i quartieri generali di grandi multinazionali (Microsoft, Apple, Google, etc.) si trovano quasi tut- ti a Tel Aviv, capitale economica del paese. Circa i simboli dello stato, le sedi di governo israelia- ne come la Knesset (il parlamen- to) si trovano a Gerusalemme, a Ramallah, invece, lontano dalla capitale, quelle dell’autorità na- zionale palestinese. t Detto ciò, cosa rimane di Gerusa- lemme tra l’archetipo religioso e lo stereotipo fideistico? Non è fa- cile dare una risposta. Rimane un piccolo lembo di terra da sempre voluto, conteso, amato e spesso di- strutto dall’uomo stesso. Conclu- do con le parole del salmista che esprime la difficoltà, nonostante tutto, di non amare la città tre volte santa e mille volte ferita: Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra;  mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia. GERUSALEMME: TRA ARCHETIPO E STEREOTIPO PAROLA AL NOSTRO INVIATO DAL MEDIO ORIENTE In Altre Città di Francesco Petronella
  • 14. Racconto del mese 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16P 14 Quando Luca spalancò le orbite in una delle tante, troppe mattine d’estate, stordito dal rumore della sveglia che, puntuale, segnava le sette in punto, si destò a fatica dal coma che lo aveva accompagnato fino alle prime luci del giorno. Un paio di fasci di luce trafiggevano la tapparella e si infrangevano contro la scrivania dove Luca non faceva che battere tasti di una ta- stiera consumata dal lavoro e che, per disgrazia o per fortuna, gli procurava il necessario per vivere dignitosamente. Si alzò, sollevò le avvolgibili e, spalancando le per- siane, si portò una mano sugli oc- chi per coprirli dal sole. Poi si recò verso il bagno ed osservò la sua immagine allo specchio. Era un uomo sui trent’anni. Capelli corti e scuri sormontavano il suo volto giovane, dove a rubare la scena a ogni altro lineamento erano i suoi occhi azzurri, simili al più limpido dei mari, al di sotto dei quali vi era un piccolo naso e delle labbra car- nose. Dimostrava molti meno anni di quelli che in realtà portava. Si gettò un po’ d’acqua fresca in faccia e si diresse verso la cucina per la colazione. Un caffè amaro ed eccolo seduto davanti alla luce del monitor su cui passavano se- rie e serie di dati che aspettavano di essere registrati per conto di un’azienda dalla quale era stato assunto. Le lancette dell’orologio impolverato sulla carta da parati ingiallita e decrepita indicavano le 13.00. Un panino e di nuovo a lavoro. Fino alle 19.00. Luca sfor- zandosi si alzò dalla sedia, che scricchiolò sotto il suo peso, e aprì la dispensa in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti per la cena. Afferrò qualcosa tra la polvere e le briciole: una confezione di gallet- te. Ne divorò un paio e di nuovo a fissare la scatola luminosa che gli spalancava gli occhi e lo impalli- diva. Senza nemmeno rendersene conto si ritrovò sotto le coperte, su- pino, con mille frammenti di pen- sieri che gli passavano per la testa ma senza riuscire a focalizzarne nessuno. Quando il giorno seguente si destò dall’ennesima notte priva di sogni, arrivato davanti allo specchio notò che alcuni capelli avevano perso colore ed alcune ciocche qua e là si erano tinte di grigio. L. ne strin- se un paio tra il pollice e l’indice e, chiudendo un occhio, cercò di metterle a fuoco. Sembrò non far- ci molto caso: “Che vuoi che sia” pensò “Sto invecchiando lo so... ma vuoi che sia tutto frutto della mia mente? Appena svegliato e ancora stanco, stordito, ma sì, che vuoi che sia...” continuò a ripetere, mentre si avviava verso lo studio. Sedutosi davanti alla scrivania, ricominciò a digitare numeri e codici, i tasti sulla tastiera erano ormai stinti a causa delle continue battiture. Come un automa, sembrava stesse replicando le medesime azioni del giorno precedente: “Un numero qui, un altro qui, questo mi sem- bra di averlo già inserito, non fa nulla..” . Giunta l’ora di pranzo, un pezzo di pane era lì ad attenderlo, pronto ad essere divorato. La gior- nata proseguì come di consueto. All’imbrunire, aprì nuovamente la dispensa, afferrò il pacco di gallet- te, mangiò le ultime due rimaste e tornò a lavoro. All’alba del giorno seguente, quando si avvicinò alla sua imma- gine riflessa, notò che il profondo blu nella sua iride si era sbiadito, ora tendeva ad un chiaro grigio- re. Appena ebbe finito di lavarsi e, dopo aver sorseggiato un caffè con poco zucchero, si precipitò a svol- gere il compito per cui era ancora vivo. Un panino per pranzo, due gallette per cena e via, nel letto. La mattina dopo si potevano notare rughe marcate lungo l’intero vol- to dell’uomo. Si sfiorò i solchi sul volto con la mano, carezzandosi dolcemente la guancia: “Sto invec- chiando” si limitò a pronunciare, con voce rauca, mentre degluti- va il liquido amaro nella tazzina che non aveva mai lavato, ma che stranamente era tuttora lucida. Dopo aver inserito gli stessi codi- ci di giorni, settimane, mesi, anni prima e dopo una pagnotta, al- tri codici e due gallette. chiuse gli occhi per un’ulteriore volta senza mai più ria- prirli, nella più comple- ta apatia. IL SOLITO INIZIO di Gianpiero Andriulli
  • 15. PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PAGINE 16PA- 15 Periodico di cultura, informazione e attualità, supplemento de La Nuova Murgia. Anno I, n 1, Ottobre 2016, Registrato presso il tribunale di Bari il 09/11/2000 n 1493 Edito dall’Associazione Culturale La Nuova Murgia Piazza Zanardelli 22 70022 Altamura (BA) Tel. 3293394234 e-mail: sedicipaginemagazine@gmail.com Direttore: Antonio Molinari Presidente: Domenico Stea Caporedattore: Marco Lorusso Presidente de La Nuova Murgia: Michele Cannito Diretto Responsabile: Giovanni Brunelli Redazione del Numero 1: Francesco Tirelli Giuseppe Sardone Angela Sollecito Silvia Miglionico Giovanni Chironna Marica Basile Annarita Incampo Michele Pellegrino Francesco Petronella Gianpiero Andriulli Pubblicità: Antonio Molinari 3293394234 Domenico Stea 3441139614 Foto di: Michele Masiello Progetto grafico e impaginazione: Francesco Viscanti 3928759874 Stampa: Grafica & Stampa Questo numero è stato chiuso il 16/10/2016 alle ore 21:00 Immagini e disegni di: Vincenzo Locapo Per info sulle Associazioni: LINK Via S. Croce, 3 - Tel. 080314080 link@linkyouth.org DAISHO Via Santeramo 82/84 - Tel. 3454877078 daishofit@gmail.com IN COLLABORAZIONE CON www.sipremsrl.it