Il mobbing è stato descritto da vari Autori (Heinz, L., 1990; Ege, H., 1996, 1997, 1998, 2002; Favretto, G., 2005; Casilli, A., 2000) come una forma subdola di terrore psicologico effettuata sul posto di lavoro attraverso atti vessatori e persecutori, portati avanti in modo frequente e duraturo, da parte di una o più persone (mobber) nei confronti di un altro membro del gruppo di lavoro (mobbizzato) di posizione gerarchica inferiore, superiore o paritaria. Le conseguenze di questa situazione patologica sono per la vittima davvero devastanti e coinvolgono sia la sfera biologica della persona che quella sociale-relazionale ed affettivo-emotiva.
MOBBING, UNA FORMA PATOLOGICA DI DOPPIO LEGAME - di Laura Cervone
1. MOBBING, UNA FORMA PATOLOGICA DI
DOPPIO LEGAME
di Laura Cervone *
Il mobbing è stato descritto da vari Autori (Heinz, L., 1990; Ege, H., 1996, 1997,
1998, 2002; Favretto, G., 2005; Casilli, A., 2000) come una forma subdola di
terrore psicologico effettuata sul posto di lavoro attraverso atti vessatori e
persecutori, portati avanti in modo frequente e duraturo, da parte di una o più
persone (mobber) nei confronti di un altro membro del gruppo di lavoro
(mobbizzato) di posizione gerarchica inferiore, superiore o paritaria. Le
conseguenze di questa situazione patologica sono per la vittima davvero
devastanti e coinvolgono sia la sfera biologica della persona che quella sociale-
relazionale ed affettivo-emotiva.
Secondo una lettura sistemica del fenomeno, il mobbing può essere letto, in senso
ampio, anche come una forma patologica di doppio legame (Bateson G., Jackson
D.D., Haley., e al. 1956; Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., 1997;
weakland J. H., 1974).
La base teorica del doppio legame è la teoria dei tipi logici di Russell, la cui tesi
centrale postula una discontinuità tra una classe e i suoi membri, in quanto né
una classe può essere membro di se stessa, né uno dei suoi membri può essere la
classe, appartenendo “membro” e “classe” a livelli di astrazione differenti.
Secondo Bateson e coll. (1956) quando questa discontinuità viene violata nella
comunicazione umana insorge una patologia, come la schizofrenia.
Le caratteristiche fondamentali del doppio legame sono sinteticamente queste:
a) due o più persone sono coinvolte in una situazione di cui una è designata
come vittima;
b) la ripetitività dell’esperienza;
2. c) una ingiunzione negativa primaria, come ad esempio “Non fare così se no
ti punirò” oppure “Se fai così, ti punirò”. Si crea in tal modo un contesto
basato sull’evitare la punizione;
d) una ingiunzione secondaria in conflitto con la prima e ad un livello più
astratto, rinforzata sempre dall’evitare la punizione e da segnali che
minacciano la sopravvivenza dell’individuo. Questa comunicazione viene
di solito fatta al bambino con mezzi non verbali e contraddice
l’ingiunzione negativa primaria;
e) una ingiunzione terziaria negativa che proibisce di abbandonare il campo
per l’intensità e l’importanza della relazione;
f) una volta che l’individuo-vittima ha imparato a percepire il mondo in
termini di doppio legame, non è più necessaria la serie completa di eventi,
sopra descritta, perché si verifichi il doppio legame.
Gli effetti del doppio legame sono per l’individuo-vittima davvero drammatici:
a) l’individuo coinvolto nella relazione non riesce a distinguere con
precisione il tipo di messaggio per rispondere in modo appropriato; anche
perché l’altra persona (“la madre”) gli invia contemporaneamente
messaggi di livello diverso di astrazione di cui l’uno nega l’altro;
b) l’individuo-vittima non è in grado di metacomunicare per uscire
dall’ambiguità né di abbandonare il campo per l’importanza di quella
relazione per la sua sopravvivenza. La schizofrenia ricorre allora alla
descrizione metaforica come via d’uscita.
Parallelamente alla situazione sopra descritta, il mobbing, come forma subdola
di terrore psicologico sul posto di lavoro, agisce a due livelli logici differenti: da
un lato il mobber metterà in pratica tutta una serie di azioni finalizzate a
screditare e umiliare il mobbizzato col fine di ottenere le sue dimissioni;
dall’altro, sul piano verbale, non esprimerà mai chiaramente questo suo
desiderio, cioè non dirà mai “Io ti licenzio, te ne devi andare!”, ma farà in modo
che sia la vittima a capirlo indirettamente e a farlo. Quindi, come nel doppio
3. legame, ad un livello logico il mobber (la madre) dirà una cosa ,“Non voglio che
tu te ne vada!” (piano verbale inferiore), ma ad un altro livello (piano non-
verbale superiore) dirà esattamente l’opposto, “Vattene!”. Intanto il Mobbizzato
(il figlio) viene spostato in un altro ufficio isolato, gli viene tolta la scrivania o la
macchina e altri bonus aziendali… Si trova quindi come in gabbia, intrappolato
tra due messaggi contraddittori: “Ti tolgo la macchina, ti attribuisco mansioni
dequalificanti, ma non voglio che tu te ne vada!”. In questa frase si rivela
chiaramente l’aspetto paradossale della situazione di mobbing che assomiglia
molto a quella del doppio legame, a parte il differente contesto in cui si svolge
(luogo di lavoro), la differente qualità delle relazioni umane coinvolte, il fatto
che nel mobbing abbiamo un fine a cui il mobber mira direttamente
(eliminazione della vittima), mentre nel doppio legame descritto da Bateson e al.
(1956) non è così chiaro e ben definito. Inoltre le azioni mobbizzanti, ad un certo
punto del processo, vengono svolte in modo intenzionale e consapevole dal
mobber; non possiamo dire invece la stessa cosa per la madre coinvolta nel
doppio legame.
Il doppio legame è stato studiato da vari Autori nel sistema familiare e in
particolare prima nella relazione diadica madre-figlio (Bateson 1956), poi in
quella triadica (Weakland, 1974) genitori-figlio. Successivamente è stato studiato
in altri sistemi più ampi, come l’ospedalizzazione, i rapporti d’affari, ecc.
(Weakland, 1974). E’ un fenomeno quindi molto diffuso, che si presta ad essere
utilizzato in contesti differenti con le dovute modifiche e specificazioni, come nel
gruppo di lavoro. Anche qui, infatti, come nella situazione classica del doppio
legame, l’intensità e l’importanza della relazione con il gruppo rendono per la
vittima difficile e molto sofferta la scelta di abbandonare il proprio posto di
lavoro. Il lavoro infatti costituisce la nostra principale entrata economica, il
mezzo attraverso il quale possiamo provvedere a noi stessi e alla nostra famiglia.
Inoltre il lavoro rappresenta simbolicamente anche il nostro ingresso nella
società degli adulti, la fine quindi del periodo adolescenziale e l’inizio dell’età
4. adulta con tutte le sue difficoltà e responsabilità. Diviene allora fondamentale
per la sopravvivenza del nostro Sé sociale il sentirci appartenenti ad un gruppo,
in questo caso, di lavoro, se è vero, come dice Tajfel (1981) che “l’identità sociale
è quella parte dell’immagine di sé di un individuo che deriva dalla sua
consapevolezza di appartenere ad un gruppo sociale unita al valore e al
significato emotivo attribuito a tale appartenenza”.
Anche metacomunicare sulla situazione è impossibile: il mobber non dirà mai
quello che vuole realmente e, se il mobbizzato si azzarderà soltanto a dire come
stanno veramente le cose, passerà per matto e paranoide. Non c’è nulla da fare!
Il mobbizzato deve subire tutta la contraddittorietà della situazione in cui si
trova in silenzio, mantenendola e rafforzandola a sua volta. Secondo una lettura
cibernetica, come per il doppio legame, anche per il mobbing, ad un certo punto
si crea un circolo vizioso, paradossale, dove diviene difficile individuare un
prima e un dopo, una vittima e un persecutore. Al massimo si può dire che uno,
quello più debole, sembra essere la vittima e che l’altro, quello invece più forte,
sembra essere il persecutore (Sluzki, 2000). Entrambi gli individui coinvolti nella
relazione si stimolano a vicenda, mantenendo così la relazione ricorsiva e
circolare, come nel doppio legame.
* Laura Cervone: Psicologa, esercita a Modena, prestando servizio anche presso
la casa circondariale locale.
5. BIBLIOGRAFIA
1. Bateson, G., Jackson, D.D., Haley, J., e al., Toward a theory of
schizophrenia, Behav. Science, 1: 251-264, 1956.
2. Casilli Antonio, Stop Mobbing, ed. Derive Approdi, 2000, Roma.
3. Ege, Harald, Mobbing. Che cos’è il terrore psicologico sul posto del
lavoro, ed. Pitagora, 1996, Bologna.
4. Ege Harald, Il Mobbing in Italia. Introduzione al Mobbing culturale,
ed. Pitagora, 1997, Bologna.
5. Ege Harald, Stress e Mobbing, ed. Pitagora, 1998, Bologna.
6. Ege Harald, La valutazione peritale del danno da Mobbing, ed.
Giuffrè, 2002, Milano.
7. Gilioli Alessandro e Renato, Cattivi capi, cattivi colleghi. Come
difendersi dal Mobbing e dal nuovo capitalismo selvaggio, ed.
Mondatori, 2000. Sluzki, C.E., Ransom, D.C., Il doppio legame, ed
Astrolabio, 2000.
8. Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D., Pragmatica della
comunicazione umana, ed. Astrolabio, cap. 6, Roma, 1997.
9. Weakland J.H., The “double bind” hypothesis of schizophrenia and
three-party interaction, in Jackson D.D. (a cura di), The Etiology of
Schizophrenia, Basic Books, New York, 1960 (trad. it., Eziologia
della Scizofrenia, Feltrinelli, Milano, 1964).