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Senato della Repubblica X V I I L E G I S L A T U R A
N. 1785
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa dei senatori TAVERNA, BOTTICI, BUCCARELLA, BULGARELLI,
CAPPELLETTI, CASTALDI, CATALFO, DONNO, FATTORI, FUCKSIA,
GIARRUSSO, GIROTTO, LUCIDI, MANGILI, MARTON, MONTEVECCHI,
PAGLINI, PUGLIA, SANTANGELO, SCIBONA e SERRA
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 26 FEBBRAIO 2015
Introduzione nel codice penale del reato di atti vessatori in ambito
lavorativo
TIPOGRAFIA DEL SENATO
Atti parlamentari – 2 – Senato della Repubblica – N. 1785
XVII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI
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ONOREVOLI SENATORI. – Il termine Mob-
bing – dall’inglese to mob, «attaccare, assa-
lire, circondare» – indica un fenomeno
molto diffuso all’interno del mondo del la-
voro, ed è riconducibile ad una delle cosid-
dette disfunzioni lavorative.
Il mobbing può essere di diverse tipolo-
gie: si parla di mobbing verticale – il più
diffuso – quando le vessazioni sono realiz-
zate dal datore di lavoro o, più in generale,
da un capo nei confronti di un suo sottopo-
sto. Spesso avviene in attuazione di una sub-
dola strategia espulsiva, per costringere alle
dimissioni. Questa tipologia è molto diffusa
in Italia così come in tutti quei sistemi
dove c’è una minore libertà di licenziare.
Un’altra tipologia, invece, è il mobbing
orizzontale, ovvero quello posto in essere
dai colleghi della vittima, spesso scelta
come capro espiatorio sul quale scaricare
le tensioni lavorative.
Il mobbing è un fenomeno trasversale che
colpisce lavoratori di ogni tipo, di ogni fa-
scia sociale, di ogni zona geografica. I più
colpiti sono i soggetti dai 45 anni in poi,
dal momento che un lavoratore anziano è
un costo maggiore per l’azienda e più facil-
mente sarà oggetto di mobbing con finalità
espulsive; vittime frequenti sono poi le
donne, anche in ragione dei legami tra mob-
bing, discriminazioni e molestie sessuali.
In Italia, allo stato, non esiste una defini-
zione giuridica del termine mobbing, perciò
si ricorre alle scienze sociali e in particolar
modo alla psicologia del lavoro. Si tratta
di una situazione di aggressione, di esclu-
sione e di emarginazione di un lavoratore
da parte dei suoi colleghi o dei superiori,
che causa al soggetto vessato malessere, di-
sagio e stress, fino a cagionare vere e pro-
prie malattie fisiche.
Dal punto di vista fisico, la vittima può
accusare problemi respiratori, dell’apparato
digerente, intestinali, cardiaci, dermatologici,
dolori alla schiena, vertigini, cefalee, calo
delle difese immunitarie. Dal punto di vista
psicologico, invece, possono verificarsi di-
sturbi del sonno, d’ansia, dell’attenzione e
della concentrazione, apatia, aggressività, in-
sicurezza, modificazioni dell’alimentazione,
disturbi della sfera sessuale, depressione.
Il mobbizzato, nei casi gravi, subirà un
drammatico peggioramento della qualità di
vita, dal momento che tali disturbi si riper-
cuoteranno ovviamente nella sfera privata,
logorando le relazioni familiari, di amicizia,
persino il rapporto con il partner. Il soggetto
poi potrà finire per trovare «conforto» in al-
cool, tabacco, psicofarmaci, droghe, peggio-
rando ulteriormente la propria situazione.
Vere e proprie malattie nervose che sorti-
scono pesanti ricadute negative in primo
luogo sul nucleo familiare, in secondo luogo
sul servizio sanitario pubblico e, in terzo
luogo, sulla stessa struttura produttiva, pri-
vata o pubblica, che deve sopportare il
calo o la mancanza di rendimento.
Il cambiamento che ha attraversato il
mercato del lavoro in Italia negli ultimi
anni con la ricerca del massimo profitto pos-
sibile e la competizione esterna ed interna,
con la precarizzazione e l’altissimo tasso di
disoccupazione, ha fatto crescere vertigino-
samente i numeri del mobbing, che d’im-
provviso si è configurato come un’emer-
genza sociale.
Una ricerca dell’ISPESL (Istituto supe-
riore per la prevenzione e la sicurezza del
lavoro) ha verificato che nel nostro Paese
Atti parlamentari – 3 – Senato della Repubblica – N. 1785
XVII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI
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sono almeno 1.500.000 i lavoratori dipen-
denti vittime del mobbing, e che, tenendosi
conto del numero medio dei componenti
della famiglia italiana, si debba stimare in
circa 4.000.000 il numero delle persone rag-
giunte annualmente, direttamente o indiretta-
mente, dalle conseguenze dannose di queste
pratiche.
Alla luce di tale quadro allarmante, desta
sgomento constatare che manca nel nostro
ordinamento una disciplina legislativa. Né
in ambito civile né tanto meno in quello pe-
nale esiste, infatti, una norma ad hoc che
sanzioni il fenomeno. Il diritto civile, però,
si occupa da anni del mobbing e dei suoi ef-
fetti, avendo maturato un efficace profilo re-
pressivo, fondato sulla responsabilità con-
trattuale ed extracontrattuale, e applicando
l’articolo 2087 del codice civile, che obbliga
l’imprenditore ad adottare nell’esercizio del-
l’impresa tutte le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l’esperienza e la tec-
nica, sono necessari a tutelare l’integrità fi-
sica e la personalità morale dei prestatori
di lavoro; l’articolo 2043 del codice civile
norma cardine che impone il divieto gene-
rale del naeminem laedere; e l’articolo
2013 del codice civile che vieta il demansio-
namento.
Il mobbing è, dunque, allo stato figura ju-
ris elaborata dalla giurisprudenza, la quale si
è trovata a definire controversie nelle quali
la fenomenica in questione veniva prospet-
tata come causa di patologie produttive di
un danno biologico di cui era richiesto il ri-
sarcimento, ovvero quale causa di risolu-
zione del rapporto di lavoro per condotte da-
toriali dolose o colpose.
La Corte Costituzionale ha da tempo con-
figurato gli elementi essenziali della fattispe-
cie, evidenziando che essi debbano consi-
stere in una serie di atti o comportamenti
vessatori, protratti nel tempo, posti in essere
nei confronti di un lavoratore da parte dei
componenti del gruppo di lavoro in cui è in-
serito o dal suo capo, caratterizzati da un in-
tento di persecuzione ed emarginazione, fi-
nalizzato all’obiettivo primario di escludere
la vittima dal gruppo.
Le prassi giurisprudenziali si fondano su
un sistema di principi consolidati e chiari,
posti da norme ordinarie, costituzionali e co-
munitarie. Basta in proposito accennarsi agli
articoli 32 e 41 della Costituzione, che po-
stulano, rispettivamente, la salute come di-
ritto fondamentale dell’individuo e il divieto
per l’iniziativa economica privata di svol-
gersi in contrasto con l’utilità sociale o in
modo da recare danno alla sicurezza, alla li-
bertà e alla dignità umana.
Se in ambito civile si è usciti dall’im-
passe ricorrendo al diritto positivo, in am-
bito penale sembra molto più difficile tro-
vare una soluzione.
Il nostro diritto penale, infatti, si fonda
sul principio di legalità, di cui agli articoli
25 della Costituzione e 1 del codice penale,
che esclude che possa essere punito un de-
terminato comportamento se non in presenza
di una legge che lo configuri come reato.
Atteso che nel nostro codice penale non
c’è traccia di una specifica figura incrimina-
trice per contrastare tale pratica persecutoria,
la via penale non appare praticabile.
E tuttavia, la mancata previsione di una
autonoma fattispecie di reato incentrata sul
mobbing costituisce una palese violazione
della delibera del Consiglio d’Europa del
2000, che vincola tutti gli Stati membri a
dotarsi di una norma ad hoc, e della risolu-
zione del Parlamento europeo del 2001, che
esorta gli Stati membri a rivedere la propria
legislazione vigente sotto il profilo della
lotta contro il mobbing e le molestie sessuali
sul posto di lavoro.
Le altre legislazioni europee, invece, si
sono già dotate da tempo di una disciplina
del fenomeno. Così ad esempio, in Germa-
nia, i danni da invalidità psicologica prodotti
dalle pratiche di mobbing sono considerati
una vera e propria malattia professionale as-
similata agli infortuni sul lavoro e sono li-
quidati con i medesimi criteri impiegati per
Atti parlamentari – 4 – Senato della Repubblica – N. 1785
XVII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI
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il risarcimento del danno biologico. In Sve-
zia praticare il mobbing è un crimine.
Nel nostro paese, in mancanza della spe-
cifica previsione del reato, non si può ricor-
rere a una tutela penale «creativa», ma uni-
camente utilizzare le norme vigenti qualora
risultino applicabili nel caso concreto.
La giurisprudenza, in particolare, ricono-
sce la rilevanza penale di singoli comporta-
menti vessatori, all’interno di un più ampio
contesto di mobbing, riconducendo gli epi-
sodi ai reati di ingiuria, diffamazione, mole-
stie, minacce, mentre quelli più gravi ai de-
litti di lesioni, violenza sessuale, violenza
privata, estorsione, istigazione o aiuto al sui-
cidio.
Così operando, però, si fornisce una tu-
tela limitata ai soli beni giuridici di volta
in volta presidiati dalle singole norme incri-
minatrici, mentre non si garantisce una tu-
tela globale al complesso bene giuridico
che effettivamente viene leso dalle pratiche
di mobbing: ossia la libertà morale e la sa-
lute dell’individuo.
Per tali motivi, la giurisprudenza ha ten-
tato di garantire una tutela più uniforme, ri-
correndo all’ipotesi dei maltrattamenti in fa-
miglia, di cui all’articolo 572 del codice pe-
nale. La norma in questione, pur essendo
stato ideata per tutelare la famiglia, si
pone anche quale presidio di relazioni più
ampie, preservando il soggetto sottoposto
ad altrui autorità o affidato a un terzo per
ragioni di educazione, istruzione, cura, vigi-
lanza o custodia, o per l’esercizio di una
professione o un’arte. Proprio il riferimento
al rapporto caratterizzato dalla soggezione
ad altrui autorità parrebbe rendere la con-
dotta di mobbing sussumibile nella fattispe-
cie di reato in questione.
Tuttavia, secondo l’orientamento giuri-
sprudenziale più recente il ricorso al delitto
in questione è subordinato alla presenza di
un rapporto di lavoro di natura para-fami-
liare, mentre non può essere applicato in
via analogica (stante il principio di tassati-
vità) a qualsivoglia rapporto di lavoro.
Alla luce di queste incertezze interpreta-
tive e del grave vulnus normativo esistente,
appare indefettibile introdurre anche nel no-
stro ordinamento una norma che incrimini il
reato di mobbing.
Nel nostro Paese vi sono stati dei tenta-
tivi di offrire una tutela giuridica ad hoc
alla vittima di mobbing. La prima legge è
stata emanata dalla regione Lazio nel 2002
(n. 230) e si prefigge lo scopo di prevenire
e contrastare l’insorgenza e la diffusione
del fenomeno. Essa, però, è stata tempesti-
vamente impugnata dal Governo di fronte
alla Corte Costituzionale, lamentandone l’in-
costituzionalità per violazione dell’articolo
117, relativo alla ripartizione delle compe-
tenze tra Stato e Regioni. Successivamente
sono state emanate ulteriori leggi regionali,
che hanno però evitato il vaglio della Con-
sulta, in quanto volte per lo più a predi-
sporre interventi di aiuto e sostegno per le
vittime del mobbing.
È, pertanto, necessaria l’introduzione di
una tutela penale specifica alla luce degli in-
teressi coinvolti e della necessità di una pro-
tezione forte, che garantisca un effettivo
contrasto del fenomeno.
Soltanto la sanzione penale può contra-
stare con la massima efficacia possibile
una fenomenica così diffusa e devastante
sotto il profilo dell’allarme e del danno so-
ciale ed è in grado di dissuadere il mobber
dal portare avanti le vessazioni, nonché di
fornire una protezione adeguata agli interessi
in gioco, quali l’uguaglianza, la dignità dei
lavoratori, il loro benessere psico-fisico: in-
teressi tutti di rilevanza costituzionale.
La valutazione sulla «meritevolezza della
pena» relativa all’introduzione di un reato
specifico per il mobbing è confermata dallo
studio sugli effetti delle vessazioni nelle vit-
time: i traumi originati dal mobbing turbano
in maniera profonda l’equilibrio psico-fisico
dei lavoratori e ne distruggono le relazioni,
portando spesso a esiti irreversibili. È pro-
prio un attacco così profondo all’interesse
Atti parlamentari – 5 – Senato della Repubblica – N. 1785
XVII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI
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tutelato che giustifica l’adozione di misure
penali.
Gli elementi costitutivi del fenomeno
sono il contesto lavorativo, l’obiettivo vessa-
torio, e il suo protrarsi sistematico. Esso si
concretizza in una serie di comportamenti,
quali isolamento, demansionamento, attacchi
alla reputazione, condotte violente, ad ogni
modo mossi da intento persecutorio.
La nuova fattispecie deve colpire le con-
dotte caratterizzate da sistematicità, durata
e intensità, in modo tale da escludere dal-
l’ambito di rilevanza penale quegli episodi
scarsi e isolati. Per dare rilievo penale al
mobbing nella sua interezza, è necessario ri-
correre a un reato abituale, che abbia quindi
come sua caratteristica intrinseca la ripetiti-
vità nel tempo della condotta. Si tratta, in-
vero, di un reato di relazione, nell’ambito
del quale non assume valore la rilevanza pe-
nale dei singoli episodi, bensì la loro reitera-
zione, che cagiona la compromissione della
relazione.
L’elemento oggettivo del reato consiste,
dunque, in più atti o comportamenti protratti
nel tempo, compiuti da chi presti lavoro in
un dato ambito, pubblico o privato, in pre-
giudizio di altri, appartenente allo stesso uf-
ficio o alla stessa azienda, e che può essere
un subordinato ma anche un pari grado del-
l’agente. Deve, poi, trattarsi di un reato do-
loso.
In relazione all’interesse di maggior ri-
lievo che la disposizione penale intende es-
senzialmente tutelare, rappresentato dalla li-
bertà e dalla dignità del lavoratore nel luogo
e nell’ambiente di lavoro in cui opera, la
norma va inserita nel Libro II («Dei delitti
in particolare»), Titolo XII (Dei delitti con-
tro la persona), Sezione III («Dei delitti
contro la libertà morale») del codice penale.
Ciò in quanto i comportamenti di mobbing
incidono in primo luogo, sulla capacità del
soggetto preso di mira di autodeterminarsi
spontaneamente, costringendolo in una situa-
zione di soggezione a condizioni di lavoro
insopportabili, in termini di umiliazione e
di sofferenza, e lesive dei suoi diritti o inte-
ressi.
In particolare, la norma viene inserita im-
mediatamente dopo l’articolo 612-bis che,
recentemente introdotto nel nostro codice
penale dall’articolo 7 del decreto-legge n.
11 del 2009, contempla reato di atti persecu-
tori, comunemente chiamato stalking. Ciò in
quanto le due fattispecie presentano molte
affinità, tant’è che parte della dottrina ha
ventilato la possibilità di ricorrere all’arti-
colo 612-bis per sanzionare penalmente le
vessazioni sul lavoro. In entrambi i casi, in-
fatti, si tratta di fenomeni basati sulla reite-
razione delle condotte, che consistono in
vessazioni sgradite alla vittima e sono causa
di eventi negativi. Sono accomunati, poi,
dalla finalità che è quella di indurre il sog-
getto passivo in uno stato di soggezione e
sofferenza psico-fisica. Alla pluralità e alla
costanza delle condotte deve essere sottesa
la consapevolezza dell’agente sia della mol-
teplicità degli episodi sia dell’invasione che
per mezzo di essi si determina nella sfera
della vita della vittima. Esiste, inoltre, nella
realtà una fattispecie di confine: il cosiddetto
stalking occupazionale, una tipologia di per-
secuzione che trova le sue motivazioni nel-
l’ambiente lavorativo, per poi fuoriuscirne,
turbando in maniera invasiva la tranquillità
della vita privata della vittima. La colloca-
zione della norma trova conforto in un’altra
esperienza legislativa: l’articolo 181-bis del
codice penale della Repubblica di San Ma-
rino, infatti, inserisce addirittura nella stessa
norma intitolata «atti persecutori» le due fat-
tispecie di stalking e mobbing, prevedendo
un aumento di pena nel caso in cui le con-
dotte integranti il primo fenomeno vengano
poste in essere in ambiente lavorativo.
Atti parlamentari – 6 – Senato della Repubblica – N. 1785
XVII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
1. Dopo l’articolo 612-bis del codice pe-
nale è inserito il seguente:
«Art. 612-ter. – (Atti vessatori in ambito
lavorativo). – Salvo che il fatto costituisca
più grave reato, è punito con la reclusione
da sei mesi a quattro anni chiunque, nel
luogo o nell’ambito di lavoro, con condotte
reiterate, compie atti, omissioni o comporta-
menti di vessazione o di persecuzione psico-
logica tali da compromettere la salute o la
professionalità o la dignità del lavoratore.
La pena è aumentata se dal fatto deriva
una malattia nel corpo o nella mente.
La pena è aumentata fino alla metà se il
fatto è commesso a danno di un minore,
di una donna in stato di gravidanza o di
una persona con disabilità di cui all’articolo
3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Il delitto è punito a querela della persona
offesa. Il termine per la proposizione della
querela è di sei mesi. Si procede, tuttavia,
di ufficio nelle ipotesi di cui ai commi se-
condo e terzo».
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SENATO DELLA REPUBBLICA - XVII LEGISLATURA - DL N. 1785 COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 26 FEBBRAIO 2015

  • 1. Senato della Repubblica X V I I L E G I S L A T U R A N. 1785 DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa dei senatori TAVERNA, BOTTICI, BUCCARELLA, BULGARELLI, CAPPELLETTI, CASTALDI, CATALFO, DONNO, FATTORI, FUCKSIA, GIARRUSSO, GIROTTO, LUCIDI, MANGILI, MARTON, MONTEVECCHI, PAGLINI, PUGLIA, SANTANGELO, SCIBONA e SERRA COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 26 FEBBRAIO 2015 Introduzione nel codice penale del reato di atti vessatori in ambito lavorativo TIPOGRAFIA DEL SENATO
  • 2. Atti parlamentari – 2 – Senato della Repubblica – N. 1785 XVII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI �� � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � �� � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � ONOREVOLI SENATORI. – Il termine Mob- bing – dall’inglese to mob, «attaccare, assa- lire, circondare» – indica un fenomeno molto diffuso all’interno del mondo del la- voro, ed è riconducibile ad una delle cosid- dette disfunzioni lavorative. Il mobbing può essere di diverse tipolo- gie: si parla di mobbing verticale – il più diffuso – quando le vessazioni sono realiz- zate dal datore di lavoro o, più in generale, da un capo nei confronti di un suo sottopo- sto. Spesso avviene in attuazione di una sub- dola strategia espulsiva, per costringere alle dimissioni. Questa tipologia è molto diffusa in Italia così come in tutti quei sistemi dove c’è una minore libertà di licenziare. Un’altra tipologia, invece, è il mobbing orizzontale, ovvero quello posto in essere dai colleghi della vittima, spesso scelta come capro espiatorio sul quale scaricare le tensioni lavorative. Il mobbing è un fenomeno trasversale che colpisce lavoratori di ogni tipo, di ogni fa- scia sociale, di ogni zona geografica. I più colpiti sono i soggetti dai 45 anni in poi, dal momento che un lavoratore anziano è un costo maggiore per l’azienda e più facil- mente sarà oggetto di mobbing con finalità espulsive; vittime frequenti sono poi le donne, anche in ragione dei legami tra mob- bing, discriminazioni e molestie sessuali. In Italia, allo stato, non esiste una defini- zione giuridica del termine mobbing, perciò si ricorre alle scienze sociali e in particolar modo alla psicologia del lavoro. Si tratta di una situazione di aggressione, di esclu- sione e di emarginazione di un lavoratore da parte dei suoi colleghi o dei superiori, che causa al soggetto vessato malessere, di- sagio e stress, fino a cagionare vere e pro- prie malattie fisiche. Dal punto di vista fisico, la vittima può accusare problemi respiratori, dell’apparato digerente, intestinali, cardiaci, dermatologici, dolori alla schiena, vertigini, cefalee, calo delle difese immunitarie. Dal punto di vista psicologico, invece, possono verificarsi di- sturbi del sonno, d’ansia, dell’attenzione e della concentrazione, apatia, aggressività, in- sicurezza, modificazioni dell’alimentazione, disturbi della sfera sessuale, depressione. Il mobbizzato, nei casi gravi, subirà un drammatico peggioramento della qualità di vita, dal momento che tali disturbi si riper- cuoteranno ovviamente nella sfera privata, logorando le relazioni familiari, di amicizia, persino il rapporto con il partner. Il soggetto poi potrà finire per trovare «conforto» in al- cool, tabacco, psicofarmaci, droghe, peggio- rando ulteriormente la propria situazione. Vere e proprie malattie nervose che sorti- scono pesanti ricadute negative in primo luogo sul nucleo familiare, in secondo luogo sul servizio sanitario pubblico e, in terzo luogo, sulla stessa struttura produttiva, pri- vata o pubblica, che deve sopportare il calo o la mancanza di rendimento. Il cambiamento che ha attraversato il mercato del lavoro in Italia negli ultimi anni con la ricerca del massimo profitto pos- sibile e la competizione esterna ed interna, con la precarizzazione e l’altissimo tasso di disoccupazione, ha fatto crescere vertigino- samente i numeri del mobbing, che d’im- provviso si è configurato come un’emer- genza sociale. Una ricerca dell’ISPESL (Istituto supe- riore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro) ha verificato che nel nostro Paese
  • 3. Atti parlamentari – 3 – Senato della Repubblica – N. 1785 XVII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI �� � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � �� � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � sono almeno 1.500.000 i lavoratori dipen- denti vittime del mobbing, e che, tenendosi conto del numero medio dei componenti della famiglia italiana, si debba stimare in circa 4.000.000 il numero delle persone rag- giunte annualmente, direttamente o indiretta- mente, dalle conseguenze dannose di queste pratiche. Alla luce di tale quadro allarmante, desta sgomento constatare che manca nel nostro ordinamento una disciplina legislativa. Né in ambito civile né tanto meno in quello pe- nale esiste, infatti, una norma ad hoc che sanzioni il fenomeno. Il diritto civile, però, si occupa da anni del mobbing e dei suoi ef- fetti, avendo maturato un efficace profilo re- pressivo, fondato sulla responsabilità con- trattuale ed extracontrattuale, e applicando l’articolo 2087 del codice civile, che obbliga l’imprenditore ad adottare nell’esercizio del- l’impresa tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tec- nica, sono necessari a tutelare l’integrità fi- sica e la personalità morale dei prestatori di lavoro; l’articolo 2043 del codice civile norma cardine che impone il divieto gene- rale del naeminem laedere; e l’articolo 2013 del codice civile che vieta il demansio- namento. Il mobbing è, dunque, allo stato figura ju- ris elaborata dalla giurisprudenza, la quale si è trovata a definire controversie nelle quali la fenomenica in questione veniva prospet- tata come causa di patologie produttive di un danno biologico di cui era richiesto il ri- sarcimento, ovvero quale causa di risolu- zione del rapporto di lavoro per condotte da- toriali dolose o colpose. La Corte Costituzionale ha da tempo con- figurato gli elementi essenziali della fattispe- cie, evidenziando che essi debbano consi- stere in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è in- serito o dal suo capo, caratterizzati da un in- tento di persecuzione ed emarginazione, fi- nalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo. Le prassi giurisprudenziali si fondano su un sistema di principi consolidati e chiari, posti da norme ordinarie, costituzionali e co- munitarie. Basta in proposito accennarsi agli articoli 32 e 41 della Costituzione, che po- stulano, rispettivamente, la salute come di- ritto fondamentale dell’individuo e il divieto per l’iniziativa economica privata di svol- gersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla li- bertà e alla dignità umana. Se in ambito civile si è usciti dall’im- passe ricorrendo al diritto positivo, in am- bito penale sembra molto più difficile tro- vare una soluzione. Il nostro diritto penale, infatti, si fonda sul principio di legalità, di cui agli articoli 25 della Costituzione e 1 del codice penale, che esclude che possa essere punito un de- terminato comportamento se non in presenza di una legge che lo configuri come reato. Atteso che nel nostro codice penale non c’è traccia di una specifica figura incrimina- trice per contrastare tale pratica persecutoria, la via penale non appare praticabile. E tuttavia, la mancata previsione di una autonoma fattispecie di reato incentrata sul mobbing costituisce una palese violazione della delibera del Consiglio d’Europa del 2000, che vincola tutti gli Stati membri a dotarsi di una norma ad hoc, e della risolu- zione del Parlamento europeo del 2001, che esorta gli Stati membri a rivedere la propria legislazione vigente sotto il profilo della lotta contro il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro. Le altre legislazioni europee, invece, si sono già dotate da tempo di una disciplina del fenomeno. Così ad esempio, in Germa- nia, i danni da invalidità psicologica prodotti dalle pratiche di mobbing sono considerati una vera e propria malattia professionale as- similata agli infortuni sul lavoro e sono li- quidati con i medesimi criteri impiegati per
  • 4. Atti parlamentari – 4 – Senato della Repubblica – N. 1785 XVII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI �� � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � �� � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � il risarcimento del danno biologico. In Sve- zia praticare il mobbing è un crimine. Nel nostro paese, in mancanza della spe- cifica previsione del reato, non si può ricor- rere a una tutela penale «creativa», ma uni- camente utilizzare le norme vigenti qualora risultino applicabili nel caso concreto. La giurisprudenza, in particolare, ricono- sce la rilevanza penale di singoli comporta- menti vessatori, all’interno di un più ampio contesto di mobbing, riconducendo gli epi- sodi ai reati di ingiuria, diffamazione, mole- stie, minacce, mentre quelli più gravi ai de- litti di lesioni, violenza sessuale, violenza privata, estorsione, istigazione o aiuto al sui- cidio. Così operando, però, si fornisce una tu- tela limitata ai soli beni giuridici di volta in volta presidiati dalle singole norme incri- minatrici, mentre non si garantisce una tu- tela globale al complesso bene giuridico che effettivamente viene leso dalle pratiche di mobbing: ossia la libertà morale e la sa- lute dell’individuo. Per tali motivi, la giurisprudenza ha ten- tato di garantire una tutela più uniforme, ri- correndo all’ipotesi dei maltrattamenti in fa- miglia, di cui all’articolo 572 del codice pe- nale. La norma in questione, pur essendo stato ideata per tutelare la famiglia, si pone anche quale presidio di relazioni più ampie, preservando il soggetto sottoposto ad altrui autorità o affidato a un terzo per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigi- lanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o un’arte. Proprio il riferimento al rapporto caratterizzato dalla soggezione ad altrui autorità parrebbe rendere la con- dotta di mobbing sussumibile nella fattispe- cie di reato in questione. Tuttavia, secondo l’orientamento giuri- sprudenziale più recente il ricorso al delitto in questione è subordinato alla presenza di un rapporto di lavoro di natura para-fami- liare, mentre non può essere applicato in via analogica (stante il principio di tassati- vità) a qualsivoglia rapporto di lavoro. Alla luce di queste incertezze interpreta- tive e del grave vulnus normativo esistente, appare indefettibile introdurre anche nel no- stro ordinamento una norma che incrimini il reato di mobbing. Nel nostro Paese vi sono stati dei tenta- tivi di offrire una tutela giuridica ad hoc alla vittima di mobbing. La prima legge è stata emanata dalla regione Lazio nel 2002 (n. 230) e si prefigge lo scopo di prevenire e contrastare l’insorgenza e la diffusione del fenomeno. Essa, però, è stata tempesti- vamente impugnata dal Governo di fronte alla Corte Costituzionale, lamentandone l’in- costituzionalità per violazione dell’articolo 117, relativo alla ripartizione delle compe- tenze tra Stato e Regioni. Successivamente sono state emanate ulteriori leggi regionali, che hanno però evitato il vaglio della Con- sulta, in quanto volte per lo più a predi- sporre interventi di aiuto e sostegno per le vittime del mobbing. È, pertanto, necessaria l’introduzione di una tutela penale specifica alla luce degli in- teressi coinvolti e della necessità di una pro- tezione forte, che garantisca un effettivo contrasto del fenomeno. Soltanto la sanzione penale può contra- stare con la massima efficacia possibile una fenomenica così diffusa e devastante sotto il profilo dell’allarme e del danno so- ciale ed è in grado di dissuadere il mobber dal portare avanti le vessazioni, nonché di fornire una protezione adeguata agli interessi in gioco, quali l’uguaglianza, la dignità dei lavoratori, il loro benessere psico-fisico: in- teressi tutti di rilevanza costituzionale. La valutazione sulla «meritevolezza della pena» relativa all’introduzione di un reato specifico per il mobbing è confermata dallo studio sugli effetti delle vessazioni nelle vit- time: i traumi originati dal mobbing turbano in maniera profonda l’equilibrio psico-fisico dei lavoratori e ne distruggono le relazioni, portando spesso a esiti irreversibili. È pro- prio un attacco così profondo all’interesse
  • 5. Atti parlamentari – 5 – Senato della Repubblica – N. 1785 XVII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI �� � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � �� � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � tutelato che giustifica l’adozione di misure penali. Gli elementi costitutivi del fenomeno sono il contesto lavorativo, l’obiettivo vessa- torio, e il suo protrarsi sistematico. Esso si concretizza in una serie di comportamenti, quali isolamento, demansionamento, attacchi alla reputazione, condotte violente, ad ogni modo mossi da intento persecutorio. La nuova fattispecie deve colpire le con- dotte caratterizzate da sistematicità, durata e intensità, in modo tale da escludere dal- l’ambito di rilevanza penale quegli episodi scarsi e isolati. Per dare rilievo penale al mobbing nella sua interezza, è necessario ri- correre a un reato abituale, che abbia quindi come sua caratteristica intrinseca la ripetiti- vità nel tempo della condotta. Si tratta, in- vero, di un reato di relazione, nell’ambito del quale non assume valore la rilevanza pe- nale dei singoli episodi, bensì la loro reitera- zione, che cagiona la compromissione della relazione. L’elemento oggettivo del reato consiste, dunque, in più atti o comportamenti protratti nel tempo, compiuti da chi presti lavoro in un dato ambito, pubblico o privato, in pre- giudizio di altri, appartenente allo stesso uf- ficio o alla stessa azienda, e che può essere un subordinato ma anche un pari grado del- l’agente. Deve, poi, trattarsi di un reato do- loso. In relazione all’interesse di maggior ri- lievo che la disposizione penale intende es- senzialmente tutelare, rappresentato dalla li- bertà e dalla dignità del lavoratore nel luogo e nell’ambiente di lavoro in cui opera, la norma va inserita nel Libro II («Dei delitti in particolare»), Titolo XII (Dei delitti con- tro la persona), Sezione III («Dei delitti contro la libertà morale») del codice penale. Ciò in quanto i comportamenti di mobbing incidono in primo luogo, sulla capacità del soggetto preso di mira di autodeterminarsi spontaneamente, costringendolo in una situa- zione di soggezione a condizioni di lavoro insopportabili, in termini di umiliazione e di sofferenza, e lesive dei suoi diritti o inte- ressi. In particolare, la norma viene inserita im- mediatamente dopo l’articolo 612-bis che, recentemente introdotto nel nostro codice penale dall’articolo 7 del decreto-legge n. 11 del 2009, contempla reato di atti persecu- tori, comunemente chiamato stalking. Ciò in quanto le due fattispecie presentano molte affinità, tant’è che parte della dottrina ha ventilato la possibilità di ricorrere all’arti- colo 612-bis per sanzionare penalmente le vessazioni sul lavoro. In entrambi i casi, in- fatti, si tratta di fenomeni basati sulla reite- razione delle condotte, che consistono in vessazioni sgradite alla vittima e sono causa di eventi negativi. Sono accomunati, poi, dalla finalità che è quella di indurre il sog- getto passivo in uno stato di soggezione e sofferenza psico-fisica. Alla pluralità e alla costanza delle condotte deve essere sottesa la consapevolezza dell’agente sia della mol- teplicità degli episodi sia dell’invasione che per mezzo di essi si determina nella sfera della vita della vittima. Esiste, inoltre, nella realtà una fattispecie di confine: il cosiddetto stalking occupazionale, una tipologia di per- secuzione che trova le sue motivazioni nel- l’ambiente lavorativo, per poi fuoriuscirne, turbando in maniera invasiva la tranquillità della vita privata della vittima. La colloca- zione della norma trova conforto in un’altra esperienza legislativa: l’articolo 181-bis del codice penale della Repubblica di San Ma- rino, infatti, inserisce addirittura nella stessa norma intitolata «atti persecutori» le due fat- tispecie di stalking e mobbing, prevedendo un aumento di pena nel caso in cui le con- dotte integranti il primo fenomeno vengano poste in essere in ambiente lavorativo.
  • 6. Atti parlamentari – 6 – Senato della Repubblica – N. 1785 XVII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI DISEGNO DI LEGGE Art. 1. 1. Dopo l’articolo 612-bis del codice pe- nale è inserito il seguente: «Art. 612-ter. – (Atti vessatori in ambito lavorativo). – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, nel luogo o nell’ambito di lavoro, con condotte reiterate, compie atti, omissioni o comporta- menti di vessazione o di persecuzione psico- logica tali da compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore. La pena è aumentata se dal fatto deriva una malattia nel corpo o nella mente. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede, tuttavia, di ufficio nelle ipotesi di cui ai commi se- condo e terzo».
  • 7.