IPSOS FLAIR è la lettura annuale del paese da parte degli esperti di Ipsos, arrichita da ipotesi interpretative, e da alcune previsioni sul mondo che ci circonda.
Ipsos Flair - italia 2012 - La difficile ricomposizione
1. COP 8-02-2012 9:08 Pagina 1
Ipsos Flair Collection
Ipsos Flair Collection
Italia 2012: la difficile ricomposizione
Gli Specialisti
Nando Pagnoncelli In un anno di straordinari
Luca Comodo cambiamenti che ridisegnano
l'Italia, i nostri 11 esperti si
Ipsos Public Affairs (riga2) sono liberamente confrontati
Italia 2012:
Andrea Alemanno per interpretare il paese.
Chiara Ferrari Nasce così il secondo volume di
Cecilia Pennati Ipsos Flair, uno strumento che
la difficile ricomposizione
immaginiamo utile per
Ipsos MediaCT (riga3) individuare i segnali, forti e
Gian Menotti Conti deboli, che caratterizzeranno
Nora Schmitz il 2012.
Claudia D’Ippolito
Ipsos Marketing (riga 4)
Massimo De Benedittis
Marta Pavan
Chiara Berardi
NOBODY’S UNPREDICTABLE
5. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 4
Ipsos Flair:
comprendere per anticipare
Anche quest’anno, come è già successo nel 2011, vi propo-
niamo la nostra lettura del paese, le nostre suggestioni, le
ipotesi interpretative, qualche previsione.
Ipsos conduce ogni giorno migliaia di interviste, che diventa-
no milioni in capo ad un anno. Interroga la società che ci cir-
conda con le metodologie più diverse: dal telefono al web,
dai focus ai forum on line, dai colloqui in profondità alle inter-
viste via smartphone.
Parliamo con milioni di italiani, diversi fra loro e spesso, appa-
rentemente, distanti. Siamo il paese delle cento città, ognuna
con il proprio genius loci, ma anche il paese che sa trovare
una cifra comune quando il gioco si fa duro.
Questo paese così diverso e insieme così simile ci passa sotto
gli occhi tutti i giorni. Che ci occupiamo dello yoghurt o del-
l’ultima manovra finanziaria, del mercato del lavoro o delle
bevande gassate, stiamo guardando alla complessità di un
mondo che ci racconta in continuazione la sua storia.
Ogni pezzo di questo racconto è prezioso. Serve a dirci di noi
sotto le più diverse forme. Noi aiutiamo i nostri clienti a dipa-
nare la storia, a guardarne i singoli aspetti senza trascurare la
visione di insieme.
I nostri clienti hanno bisogno di capire cosa fanno i loro clien-
ti. E questo tanto più in un momento come quello che stiamo
attraversando. Oggi, tutti insieme, lavoriamo per trasformare in
opportunità un rischio. Lavoriamo per rendere la crisi una possi-
bilità, per non adagiarci sulla sconfitta.
Con loro cerchiamo di capire quali siano le tendenze, quali le
possibilità.
La nostra struttura, con le sue aree di expertise (Marketing,
Pubblicità, Media, Opinione, Loyalty, Observer), ci consente di
guardare alle diverse individualità che convivono in ciascuno di
noi: consumatore, elettore, spettatore, lavoratore, lettore,
venditore …
Le molteplicità, l’articolarsi delle individualità, la superfetazio-
ne degli ego che faticano a ricomporsi sono i segnali di un
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6. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 5
cammino difficile ma possibile. Stiamo in un passaggio stret-
to, in cui tutte le energie sono necessarie. Siamo chiamati a
rendere conto di quel che abbiamo fatto. E’ una sfida com-
plessa, dalle tante risposte. Orientarsi e comprendere non è
facile.
E’ quello che vogliamo condividere con voi. Il fluire del rac-
conto ci aiuterà, speriamo, a capire dove potremmo andare,
cosa ci potrebbe capitare.
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7. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 6
Indice
La politica 09
Vent’anni dopo 10
La lunga agonia 11
Senza politica 13
La caduta della credibilità 15
Una breve fiammata 17
La fine di un paradigma 19
Le ultime convulsioni: tra democrazia e mercati 22
Il nocchiero della nave in gran tempesta 24
Mario & Mario: ottimati al potere 25
Neoguelfi in una società autodiretta 27
Tutti a casa: la democrazia a disagio 30
Senza partiti: l’implosione del sistema 32
La crisi, l’economia,
il mercato 035
Uno sguardo ai fondamentali 36
Con le unghie e con i denti:
la battaglia delle famiglie 39
La contrazione dei consumi 42
La povertà cronica 46
Consumare meno, consumare meglio 49
Costume e società 053
Convergere e co-creare 54
Disconnettersi e decelerare 55
L’economia del riciclo 58
6
8. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 7
Marche e stili di consumo 061
Sempre la rete … 62
Il destino del brand 63
Post edonistici 67
I nuovi consumatori: gli immigrati 68
I profili di consumo 71
Gli acquisti: una prospettiva evolutiva 79
Media e nuovi media 085
La dotazione tecnologica delle famiglie italiane 86
La rete nel panorama mediatico 87
Comprando in rete 94
Nuovi modelli di business 95
La stampa: nuove fruizioni 96
La televisione: una rivoluzione silenziosa 98
La nuova vitalità della radio 101
I media locali: un presidio “orizzontale” 102
La filiera dell’intrattenimento 103
Conclusioni:
un paese da ricomporre 0105
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11. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 10
Vent’anni dopo
“Un’atmosfera da ultima spiaggia si è diffusa […] nel nostro
Paese. E’ stata stupefacente e brutale la rapidità con cui la
tendenza generale si è rovesciata. Il passaggio dal clima di
festa collettiva […] ai poveri saldi di fine stagione […] ha fatto
mozzare il fiato, ha riportato in primo piano il plumbeo clima
dei tempi della stagnazione. Sono bastati pochi mesi […] per-
ché quasi tutti gli indicatori economici assumessero un segno
negativo; la cattiva congiuntura mondiale ha cominciato ad
assomigliare minacciosamente alla recessione […]. Alla fine,
la situazione italiana si è configurata come una perfida com-
binazione di crisi economica conclamata e di marasma politi-
co pericolosamente vicino al collasso del sistema. Quel che
forse è peggio, l’idea che l’Italia è un malato terminale si è dif-
fusa irresistibilmente, permeando la collettività con quella che
si potrebbe chiamare senza retorica una cultura del pessimi-
smo. Aspettative tutte di carattere negativo sono divenute
l’unico orizzonte visibile. Non è un caso che lo scrollone più
appariscente, quello che è sembrato innescare l’alterazione di
un sistema di equilibri ampiamente collaudati, sia venuto dai
settori geneticamente filogovernativi, quelli dell’imprenditoria
e dell’industria. Ma diverse altre linee di crisi, svariate linee di
faglia di possibili sconvolgimenti tellurici, si erano manifesta-
te sul piano politico con cruda nitidezza nel corso dell’anno”.
Una meravigliosa analisi di quello che è successo nel corso del
2011? Sembrerebbe proprio di sì, fatto salvo che queste per-
fette parole sono state scritte esattamente vent’anni fa da
Edmondo Berselli per Il Mulino1.
E’ utile partire da qui: siamo un paese che si ripropone, che
non risolve i suoi problemi di fondo, strutturali, sistemici. In
cui i particolarismi, per citare Diamanti nell’introduzione allo
stesso testo a proposito del ruolo archetipico della DC, sono
assemblati senza miscela, mediati senza sintesi, generatori di
“compresenza” più che di “coerenza”.
Un paese il cui sistema politico non si autoriforma se non per
eventi esterni (la prima guerra mondiale che chiude il lungo
ciclo liberale, la seconda guerra che chiude il fascismo, la
magistratura che chiude la prima Repubblica, l’Europa che
1
Edmondo Berselli chiude la seconda …).
“L’ultima recita dei partiti”
(novembre dicembre Vi inviteremmo a partire da qui. Per dire se possiamo ancora
1991) in “L’Italia, nono-
stante tutto” Il Mulino farcela, come direbbe Berselli, nonostante tutto. Se non sia
2011 forse venuto il momento in cui il nonostante non è più suffi-
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12. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 11
ciente. Se insomma l’adattabilità e la capacità di sgusciare fra
le regole non sia più la cifra adatta per la nostra sopravvivenza.
La lunga agonia
Il 2010 si chiude con un paese straordinariamente preoccupa-
to e in netta difficoltà.
Al centro la crisi che in quell’anno ha duramente colpito le
famiglie, intaccandone i risparmi, riducendo i consumi, ren-
dendo sempre più difficile, se non impossibile, assolvere al
ruolo di principale ammortizzatore sociale del paese.
Al chiudersi dell’anno nulla è cambiato: la crisi rimane in tutta
la sua gravità, mentre risposte dalla politica non se ne vedo-
no. Il 14 dicembre 2010, per molti il giorno fatidico della spal-
lata che avrebbe abbattuto il governo Berlusconi (i giornali
parlano di “giorno del giudizio”), si chiude con un nulla di
fatto. Berlusconi ha resistito ottenendo la maggioranza asso-
luta per pochi voti grazie al gruppo dei responsabili. Tre voti
in più, quattro transfughi che diventeranno presto famosi:
Calearo (dal PD), Cesario (dall’API), Razzi (dall’IDV), Scilipoti
(anch’egli dall’IDV).
Il 2011 si apre con un clima di sfiducia rassegnata. Il governo
vive alla giornata nelle mani di pochi personaggi, in qualche
caso pittoreschi, senza una prospettiva di medio periodo,
l’opposizione non ha un programma alternativo e si presenta
spesso divisa su questioni essenziali, il terzo polo non sembra
decollare.
Comincia un lento processo di sfarinamento, con un paese in
stallo.
L’agonia del berlusconismo segnerà gran parte del 2011, ago-
nia senza alternativa. Un anno in cui il vecchio sembra mori-
re e il nuovo non nasce.
Disagi, malesseri, difficoltà, sono evidenti. Possiamo tentare di
riassumerli così:
- Uno sfaldamento del blocco sociale che ha sostenuto il
berlusconismo sino ad allora: la punta visibile è il gruppo
dirigente di Confindustria (Emma Marcegaglia dice a
febbraio “gli industriali sono stati lasciati soli” e lo ripe-
11
13. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 12
terà più volte nel corso dell’anno) ma dietro c’è il males-
sere delle piccole imprese, delle partite Iva. Ci si allonta-
na da Berlusconi, senza un piano B. A maggio gli
imprenditori trevigiani inaugurano la loro nuova sede
con una marcia silenziosa che vede la partecipazione di
oltre 2000 persone. Si manifesta un disagio profondo, si
chiede alla politica un’impennata;
- Una difficoltà sempre più evidente per la Lega: il federa-
lismo che pure approda in parlamento viene svuotato dei
suoi effetti dalla crisi. Paradossalmente l’ipotesi di decen-
tramento si scontra con un sempre maggiore accentra-
mento delle scelte. L’alleanza con Berlusconi sta sempre
più stretta: difficile convivere con gli Scilipoti, difficile
giustificare il rallentamento del federalismo, difficile
anche fare digerire alla base i comportamenti discutibili
del Presidente del Consiglio. Cominciano le critiche allo
stesso Tremonti, alleato di sempre;
- Una diarchia che si fa sempre più evidente tra Tremonti
e Berlusconi, con momenti in cui il Presidente del Consi-
glio sembra nell’angolo, quasi rinunciatario. Momenti
nei quali il timone del governo e delle sue scelte sembra
saldamente, ed esclusivamente, nelle mani del supermi-
nistro dell’economia;
- Una caduta della credibilità internazionale. La politica
delle “pacche sulle spalle” sembra sempre meno effica-
ce. In momenti che si fanno davvero critici, la credibilità
e l’autorevolezza debbono basarsi su scelte anche diffi-
cili, quando non dolorose, che dall’Italia sembrano non
arrivare. Di nuovo la Marcegaglia a settembre: “L’Italia è
un paese serio e siamo stufi di essere lo zimbello inter-
nazionale”.
La reazione degli elettori, lo vedremo, è un distacco rabbioso.
Il governo del fare, portato sugli altari nel 2009, ha perso colpi
nel 2010 e nel 2011 resta privo del tutto di credibilità, attac-
cato a pochi voti dopo aver avuto la più larga maggioranza
della storia repubblicana, senza una bussola, con un accaval-
larsi di promesse che scompaiono il giorno successivo (la “fru-
stata” all’economia promessa da Berlusconi, non arriverà mai).
L’agonia berlusconiana, lenta e lunga, non ha però solo a che
fare con l’economia. Il degrado della vita politica e dei com-
portamenti è sotto gli occhi di tutti: molti usano un linguag-
gio triviale anche nelle aule parlamentari, gesti scurrili, anche
da ministri (La Russa e il “vaffa” al Presidente della Camera,
per tacere del dito medio e delle pernacchie di Bossi), mentre
i discorsi si fanno sempre meno razionali e sempre più emoti-
12
14. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 13
vi. Il processo di avvicinamento dei politici ai cittadini, inaugu-
rato alla fine degli anni ’80 è oramai tracimato. I cittadini
sono attoniti e pensano che un livello così basso non sia mai
stato raggiunto nella storia repubblicana. Qualcuno conia un
neologismo che ben si attaglia al clima: “scilipotizzazione”. A
questo si aggiunge il mercato dei parlamentari, con perso-
naggi deputati alla compravendita (Pionati lo ha rivendicato
apertamente, in occasione della compera del 14 dicembre
2010). Le promozioni dei transfughi all’ultimo minuto per
“pagare” la fiducia (Catia Polidori, nominata il 14 ottobre
viceministro allo sviluppo economico dopo essere passata dal
PDL a Fini, per poi passare al gruppo misto sostenendo Berlu-
sconi, Aurelio Misiti, Giuseppe Galati e Guido Viceconte, tutti
nominati lo stesso giorno).
I comportamenti privati del Presidente del Consiglio (escort,
Olgettine, ecc.) domineranno le prime pagine dei giornali, ma
avranno scarso impatto sugli orientamenti degli elettori. Tut-
talpiù serviranno ad aumentare la sfiducia di chi vi vede un
segno di disinteresse per la cosa pubblica e a rafforzare le
motivazioni di chi si oppone a Berlusconi. Chi si è indignato lo
ha già fatto nel 2010, con lo scoppio del caso D’Addario e del
caso Ruby.
Senza politica
Il combinato disposto di un governo sempre meno credibile e
di un’opposizione che non rappresenta una prospettiva prati-
cabile spinge l’elettorato ad un distacco sempre più marcato
dalla politica.
Fin dagli inizi del 2011 l’area “grigia”, astensionisti e incerti,
assomma ad una cifra che si aggira intorno al 40%. All’area
tradizionale che si colloca nello spazio dell’astensione e del-
l’incertezza (età medio/alte, titoli di studio bassi, casalinghe e
pensionati, sud) si vanno aggiungendo in misura rilevante ceti
dinamici e normalmente partecipativi (classi di età centrali e
giovanili, titoli di studio medio/alti, ceti professionalizzati, resi-
denti nel centro nord e in comuni medio/grandi).
Si tratta quindi di ceti che non esprimono un banale, come si
sarebbe detto qualche tempo fa, “qualunquismo” (sono tutti
uguali) ma una critica più articolata e approfondita (nessuno
sta rispondendo ai bisogni miei e del paese). D’altronde
segnali d’allarme erano emersi dal comportamento reale degli
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15. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 14
elettori già qualche tempo prima: se si guarda alle elezioni
regionali del 2010 si scopre che coloro che meno degli altri
hanno votato per i partiti sono stati i “rossi” toscani, che pure
hanno partecipato al voto un po’ più della media delle 13
regioni coinvolte. Hanno votato i candidati, non i partiti.
L’area della cosiddetta “antipolitica” è presidiata da diverse
forze, ma da due in maniera precipua: L’Italia dei Valori e il
Movimento 5 stelle legato a Beppe Grillo. Con qualche carat-
terizzazione parzialmente diversa: Di Pietro mira a raccogliere
soprattutto i sentimenti antiberlusconiani molto presenti in
un’area relativamente vasta del paese e non necessariamente
collocata solo a sinistra. L’esistenza di quest’area è testimonia-
ta non solo dai molti dati di sondaggio visti nel corso degli
ultimi anni, ma anche, per esempio, dal notevole successo de
Il Fatto Quotidiano che nel nome e nell’iconografia richiama
personaggi del giornalismo italiano non certo dichiaratamen-
te di sinistra (Biagi nel nome – il fatto, Montanelli nel logo del
bambino col megafono – la voce). Diretto da Padellaro (ex
Unità) e condiretto da Travaglio, esemplifica bene il ritratto di
un’area non definibile tout court con criteri di collocazione
politica. E’ l’area dell’antiberlusconismo in cui si collegano
elementi politici, morali, estetici. Con una diffusione media di
tutto riguardo, nel 2011 vicina alle 80.000 copie.
Il caso di Grillo sembra essere contemporaneamente sovrap-
posto e distinto rispetto all’area dipietrista. Nelle motivazioni
di simpatia verso Grillo convergono aspetti diversificati: una
critica alla politica più vasta rispetto all’antiberlusconismo (per
quanto sia molto marcata la distanza dallo “psiconano” come
viene definito da Beppe Grillo), un’attenzione ai programmi
(ambiente in primo luogo), uno sguardo attento alla parteci-
pazione diretta dei cittadini, senza mediazioni. Il che fa sì che
l’ambito privilegiato dei consensi al movimento 5stelle sia
quello dei grandi centri urbani del centro nord. Vero ma non
del tutto: gli ultimi segnali, emersi nelle elezioni del Molise
dove l’elettorato grillino ha fatto la differenza, impedendo di
un soffio l’elezione del candidato di centrosinistra, ci dicono
di una diffusione di questo consenso anche in aree non certo
metropolitane.
Insomma, il sentimento diffuso di distanza dalla politica non
può essere letto solo come “antipolitica”. E’ un’insofferenza
diffusa che richiede in molti casi alla politica di riprendere il
suo ruolo, che critica in qualche caso puntualmente compor-
tamenti, programmi e valori espressi dal ceto politico, di
destra e di sinistra, che legge l’avventura berlusconiana come
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16. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 15
un’anomalia da un lato ma dall’altro anche come “autobio-
grafia della nazione”, da cui magari occorrerebbe liberarsi.
E’ interessante notare come in questo allontanamento dalla
politica un contributo importante lo diano i cattolici osservan-
ti e in particolare quel segmento piccolo ma non irrilevante
(circa 13/14% della popolazione) di cattolici impegnati, che
prestano nelle associazioni, nelle parrocchie e negli oratori
attività di volontariato. Anche in questo caso si tratta di un
elettorato piuttosto avvertito, almeno in una sua parte
In sostanza, siamo di fronte ad un processo complesso, artico-
lato, all’interno del quale si evidenziano segmenti diversi che
convergono nel processo di raffreddamento generale del rap-
porto con la politica. Per una parte rilevante dei “distanti” la
richiesta è di una politica più adeguata, capace di rispondere ai
bisogni, di produrre le riforme necessarie alla modernizzazione
e alla crescita del paese. Sono qui molti dei delusi del centrode-
stra e del centrosinistra, che non vedono nel loro schieramento
di riferimento una risposta adeguata alle necessità.
Ma il sentimento di distanza dalla politica non è solo tipico del
nostro paese (dove pure si enfatizza). L’Eurobarometro del
novembre 2011 mette l’Italia alla pari con la Francia collocan-
do entrambi i paesi ai livelli minimi di fiducia nei partiti tra le
principali nazioni europee. Poco meglio le altre (Regno Unito,
Germania, Spagna). In Germania, e siamo al livello più elevato
tra i paesi considerati, la fiducia nei partiti si attesta al 15%.
La caduta della credibilità
Credibilità è la parola centrale dell’anno. La capacità di deci-
dere del governo centrale, che ha un solo nome, Berlusconi,
il solutore dei problemi del paese, è oramai ridotta al lumici-
no. Quello che si era presentato come il governo del “fare”,
capace di dar vita a grandi opere (il Ponte sullo Stretto è la
promessa più faraonica che non avrà mai sviluppi, la Salerno
Reggio Calabria che torna più volte negli impegni, ecc.), di
mettere mano a riforme liberali, di operare una ristrutturazio-
ne efficientista della macchina pubblica, tende ad essere (e
soprattutto ad essere percepito) come un governo che
sopravvive, senza una direzione precisa.
L’incapacità del governo di rispondere alle attese sempre più
pressanti della popolazione non è però solo dettato dal tema
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17. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 16
del “fare” mancato. Accanto ci sono altre motivazioni non
inconsistenti. La prima è la litigiosità. Il paese si aspetta coe-
sione, unità, comunanza di intenti. Nell’immaginario degli ita-
liani uno dei governi peggiori è l’ultimo governo Prodi, pro-
prio per l’evidente (e pubblico) contrasto delle sue compo-
nenti che si manifestava in forme aperte e intollerabili, con
ministri che intervenivano sui mezzi di comunicazione contro
le decisioni e le ipotesi del governo e che qualche volta parte-
cipavano a manifestazioni antigovernative. E’ poi un paese
che ama l’unione, la chiarezza, la semplicità. La diarchia Tre-
monti/Berlusconi, lo smarcarsi sempre più evidente della Lega,
la presenza di segmenti della maggioranza che trattano su
posti e prebende e fanno valere il loro voto come strumento
di contrattazione provocavano fastidio e in qualche caso
disgusto. Al di là del giudizio pesante che i cittadini esprimo-
no e che abbiamo già riportato, ciò che si perde è la convin-
zione che si possa reagire alle difficoltà del paese: il Presiden-
te taumaturgo ha lasciato il passo ad un leader logorato, che
ha perso l’aura decisionista che lo ha caratterizzato in questi
lunghi anni.
La percezione dei cittadini è netta. Nel grafico qui sotto è
riportato il livello di fiducia in Silvio Berlusconi dal 2009 sino
al novembre 2011, prima delle dimissioni:
Grafico 1 La fiducia in Silvio Berlusconi
(% voti positivi – serie storica)
60
56
55
54 54
53 5 25 2 5 2 53 52 52 55
51 51
49
48 50
47
46
42 42 45
39 39
38
37 37 40
35 35
35
31
30 30
27 30
26
23
25
20
feb-09 apr-09 giu-09 set-09 nov-09 gen-10 mar-10 mag-10 lug-10 ott-10 dic-10 feb-11 apr-11 giu-11 set-11 nov-11
Fonte: Banca dati sondaggi Ipsos
Nessuno mette in dubbio le sue capacità di combattente:
dopo ogni schiaffo la maggioranza dei cittadini ritiene che
comunque saprà risollevarsi, tornare in pista. Pochi, pochissi-
mi, leggono questi segnali come la fine di un’era. Eppure que-
sta fine comincia a manifestarsi.
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18. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 17
Una breve fiammata
Le elezioni amministrative e referendarie rappresentano un
radicale cambiamento del sentimento degli italiani.
Nelle elezioni locali sono coinvolti numerosi comuni capoluogo
ma soprattutto quattro grandi città: Torino, Milano, Bologna e
Napoli. Due, Torino e Bologna, vanno al centrosinistra al primo
turno, in continuità con i risultati precedenti; nelle altre due
invece, Milano e Napoli, si verificano grandi cambiamenti.
A Milano vince Pisapia, un avvocato che proviene dalla sinistra
radicale ma appartiene alla borghesia illuminata della città,
candidato dopo aver vinto le primarie contro l’esponente indi-
cato dal partito maggiore del centrosinistra, il PD. Un outsider.
A Napoli vince De Magistris, un magistrato dell’Italia dei Valo-
ri di Di Pietro, che si era presentato da solo contro il centro-
destra e contro il candidato del PD. Un outsider.
Infine bisogna ricordare i risultati di Cagliari dove vince al bal-
lottaggio Zedda, un giovanissimo candidato di Sel, il partito di
Nichi Vendola. Di nuovo un outsider.
I risultati sono un vero e proprio terremoto: a Milano, culla di
Berlusconi e del berlusconismo, la sconfitta è nettissima: al
ballottaggio Pisapia vince di 10 punti rispetto alla candidata
del centrodestra e sindaco uscente; lo stesso presidente del
Consiglio, che si era candidato come capolista del suo partito
chiamando gli elettori ad un referendum su di sé, dimezza le
preferenze rispetto a cinque anni prima.
La campagna del centrodestra, fondata sulla paura (con toni
esasperati che preannunciano invasioni di zingari, occupazio-
ne della città da parte dei centri sociali, ingresso di terroristi
nel governo locale) viene respinta dalla “forza gentile” di
Pisapia. E notoriamente Milano anticipa i fenomeni che carat-
terizzeranno l’Italia. Qualcuno comincia a parlare di Pisapia
come del possibile “papa straniero” per il centrosinistra.
A Napoli, che aveva una giunta di centrosinistra incapace di
affrontare i problemi storici ed endemici della città, vince il
magistrato che promette una riscossa miracolosa senza alle-
arsi con nessuno: al secondo turno il centrodestra si astiene in
massa, decretando la sconfitta del proprio candidato, che
ottiene un misero 35%.
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19. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 18
I referendum segnano un’ulteriore e questa volta nettissima
disfatta per il centrodestra (la Lega titolerà sul suo giornale:
“siamo stufi di prendere sberle”). Bossi invita gli italiani a non
andare a votare, Berlusconi dichiara che lui personalmente
non si recherà alle urne.
Gli italiani al contrario vanno a votare in massa e, per la prima
volta dopo quindici anni, un referendum raggiunge il quorum
nettamente (57% considerando solo gli italiani che risiedono
nel paese, 54,8% considerando anche gli italiani residenti
all’estero). Tutti i quesiti (due sulla privatizzazione dell’acqua,
uno sulle centrali nucleari, l’ultimo sul legittimo impedimen-
to) vengono approvati da circa il 95% dei votanti nonostan-
te la contrarietà del governo. Il quorum si raggiunge in tutte
le regioni del paese (anche in quelle, come la Calabria, tradi-
zionalmente più astensioniste).
A votare vanno dai 10 ai 12 milioni di elettori del centrodestra;
il Veneto, regione con una massiccia presenza leghista e con un
Presidente della Lega votato a furor di popolo un anno prima,
fa rilevare una partecipazione superiore alla media del Paese.
Non si tratta solo di un cambiamento negli orientamenti eletto-
rali degli italiani, quanto di una radicale trasformazione del sen-
timento del paese: si conclama la caduta della credibilità di Ber-
lusconi (è appena il caso di ricordare l’analogia con l’invito ad
andare al mare di Craxi nel 1991, esattamente vent’anni
prima), emerge una stanchezza diffusa per le promesse non
mantenute, si cercano concretezza, capacità di fare.
La campagna referendaria (in particolare in relazione ai due
quesiti sull’acqua) è dominata da un’idea forse ingenua ma
largamente condivisa, della predominanza del bene comune.
Seguendo la campagna in rete si trova molta ideologia e poco
pragmatismo, molte emozioni e poche analisi. Tuttavia sem-
bra nascere un nuovo vocabolario. Diamanti lo certifica nel-
l’indagine sul lessico degli italiani condotta per l’osservatorio
Demos Coop a luglio. Le parole di successo sono, tra le altre,
bene comune, merito, unità nazionale, solidarietà, giovani.
Ma anche, a sorpresa, decrescita. Le parole impopolari sono,
tra le altre, federalismo, individualismo, apparire, Ma anche,
forse meno a sorpresa, stato e (ci sorprendiamo?) matrimonio
gay. Le parole fuori dal gioco sono Padania, veline, Berlusco-
ni e, c’era da aspettarselo, partiti.
Al di là dell’evidente effetto di desiderabilità sociale che forse
amplifica l’adesione ad alcune parole (è difficile dire che non
ci importa nulla del bene comune), la lettura di questi dati è
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20. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 19
piuttosto articolata: certo sembra finito un paradigma con la
crescita di termini anti individualistici e con l’idea-cardine che
il modello di sviluppo è messo in dubbio da molti aspetti con-
vergenti (crisi ambientale innanzitutto, forse anche parziale
revisione dei modelli di consumo, convinzione che la crescita
continua non sia più compatibile con una condizione di vita
accettabile, la situazione dei centri urbani assaliti dalla conge-
stione del traffico e dai loro effetti nefasti innanzitutto sulla
qualità dell’aria). Ma per esempio è evidente il conflitto tra
unità nazionale (bene) e stato (male). O dietro c’è una sofisti-
cata analisi sulla crisi degli stati nazione e sulla necessità
comunque di un amalgama sovranazionale (Europa) che
tenga conto delle caratterizzazioni dei singoli popoli oppure
c’è un riflesso atavico che vede lo stato come, ad andar bene,
altro da sé, ad andar male, un nemico.
L’iniziale lettura, un po’ enfatica, che vedeva nascere anche in
Italia una sorta di primavera araba, forse va un po’ smorzata.
Il responso delle urne amministrative e referendarie è chiaro,
gli sviluppi possibili molto meno.
Anche perché (e qui sta la brevità della fiammata) la spinta
prodotta in primo luogo dalla mobilitazione referendaria non
trova sponde: tra maggio e giugno si contrae (non di molto,
ma comunque in misura sensibile) la quota di incerti e asten-
sionisti che premia, nei sondaggi, in particolare il PD e in
generale la sinistra e il centrosinistra. Ma è un’apertura di cre-
dito che rientra velocemente: il PD si schiererà contro l’aboli-
zione delle province e scoppierà lo scandalo delle tangenti di
Sesto che coinvolge Filippo Penati, esponente di primo piano
del partito e per un certo periodo braccio destro del segreta-
rio Bersani. Non è solo il PD: nel PDL il coinvolgimento nel
malaffare è anche più consistente. L’area “grigia” cresce
immediatamente e torna a livelli elevatissimi.
La fine di un paradigma
Berlusconi finisce, nel sentimento popolare, con una lunga
agonia, come abbiamo visto, che si protrarrà sino all’autunno
inoltrato, con il rischio concreto di un default del paese. Emer-
gono, con la campagna amministrativa, nuove leadership
distantissime dall’approccio berlusconiano (Pisapia a Milano
ne è l’esempio, mitezza, dialogo, ascolto).
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21. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 20
Ma muore il berlusconismo? Viene sostituito da un nuovo
paradigma? Esiste un uomo, un movimento, una forza che
raccoglie la fiaccola spenta ed è in grado di riaccenderla?
Sembra proprio di no. Berlusconi finisce, il berlusconismo un
po’ meno.
Gli italiani ne sono persuasi. Da un lato ritengono che l’epo-
ca di Berlusconi sia finita per quanto egli resista aggrappato
al governo. Ma sono anche convinti che non esista una vera
alternativa politica (e sociale) al cavaliere e pensano che i valo-
ri e il clima culturale prevalente nel paese rimangano quelli
berlusconiani.
D’altronde non è proprio tutto da buttar via quello che viene
dal berlusconismo (posto che è stato Berlusconi in qualche
modo a produrre o almeno spingere il profondo cambiamen-
to del sistema politico italiano).
Piace moltissimo (e ce la vogliamo tenere) la semplificazione
del messaggio politico. Nella prima repubblica si capiva poco,
anche se il sistema dei partiti esercitava una pedagogia di
massa che rendeva meno arduo e più digeribile il lessico poli-
tico. Il crollo dei grandi partiti lascia il vuoto e accentua il solco
tra il linguaggio comune e le astrusità del linguaggio politico.
La modernizzazione mancata della seconda metà degli anni
Settanta rende il distacco sempre più evidente, sino alla rot-
tura degli anni ’80 (il riflusso). Adesso che abbiamo comincia-
to a capirci qualcosa non vorremmo smettere.
Piace il bipolarismo, anche se ben temperato: se fino a meno
di un anno fa rimaneva prevalente l’idea di una semplificazio-
ne estrema (due partiti e basta) oggi tendiamo ad attenuare
questo atteggiamento e comincia ad emergere l’idea del tri-
polarismo che conquista più di un quinto degli italiani. Ma
alla fine metà dei nostri concittadini rimane saldamente bipo-
larista quando non bipartitista. Piace ancora molto l’idea di
stare di qua o di là.
Piace l’idea della rivoluzione liberale, tanto cavalcata e mai
agita. Anche qui bisogna prestare attenzione: spesso la rivo-
luzione liberale è pensata per gli altri e non per sé. Scatta, non
infrequentemente, la difesa dei propri privilegi. E’ la sindrome
Nimby. Forse a un certo punto si era sperato di uscire dalla
società bloccata, centrata su articolati corporativismi. Nono-
stante il fatto che questo atteggiamento sembri essere atavi-
co e profondamente radicato nella nostra società (la solita Ita-
lia senza stato, senza ethos “repubblicano”), ci si contava
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22. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 21
almeno un po’. In realtà sia la destra che la sinistra, pur da
diversi angoli visuali, hanno contribuito a mantenere privilegi
radicati. La destra guardando agli interessi di pezzi di società
che ne hanno garantito l’egemonia (perché liberalizzare signi-
ficava anche e forse soprattutto mettere mano agli ordini pro-
fessionali, ai grovigli delle partecipazioni incrociate, alla rottu-
ra delle corporazioni), la sinistra ancorata alla difesa del posto
di lavoro che limita lo sguardo a quelli che si sono cominciati
a chiamare i garantiti senza leggere le profonde trasformazio-
ni del mercato del lavoro e degli interessi di “classe”. Risulta-
to la pratica scomparsa di quel minimo di ascensore sociale
emerso durante e dopo il boom.
Ma piace anche il ruolo della televisione: veicolo principale
(per fortuna sempre meno unico) dell’informazione politica,
luogo (in questo caso quasi unico) del dibattito virato nella
forma dei talk show che continuano a riscuotere grandi suc-
cessi, nonostante siano spesso (con qualche rara eccezione)
luoghi di litigio e scarso se non nullo approfondimento vero.
Si butterebbero invece volentieri i tormentoni del passato che
non passa: l’anticomunismo ma anche il suo corrispettivo spe-
culare, l’antiberlusconismo. Lo stallo della seconda repubblica
(che a molti pare una prosecuzione della prima) è oramai evi-
dente a tutti e nella seconda repubblica si sono portati pezzi
(molti) della vecchia tra cui appunto l’anticomunismo (a
comunisti morti) e la risposta antiberlusconiana (in cui il Cava-
liere appare non infrequentemente come prodotto del mali-
gno). Anziché far vincere il pesante e oscuro proceduralismo
che richiede faticosi accordi basati su un principio cooperati-
vo, prevale la logica amico-nemico, come se vivessimo peren-
nemente in uno schmittiano “stato di eccezione”. Con la
conseguenza da un lato di mirare a scrollarsi di dosso tutta la
farraginosità delle procedure democratiche, che, dice il Cava-
liere, mi impediscono di lavorare, dall’altro di difendere que-
ste procedure senza critica, senza la necessaria ricerca di un
adeguamento al mondo che cambia. Si ragiona in termini di
blocchi contrapposti e tutto rimane fermo.
E si critica anche l’eccesso di leaderismo, di personalizzazione.
Questo è più strano, bisogna interpretarlo. In realtà il leader
che incarna valori e passioni piace agli italiani. La competizio-
ne più gradita è quella dei sindaci, la legge elettorale che è
maggiormente piaciuta. Consente di scegliere persone sgra-
vando molti dal fastidioso obbligo di esprimere un voto per i
partiti, di optare per programmi incarnati e visibili, di investi-
re su una persona che si pensa dotata di poteri reali cui si
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23. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 22
potrà chiedere conto di ciò che ha fatto. Le perplessità sulla
personalizzazione sono critiche agli eccessi e forse una reazio-
ne di noia alla presenza sul proscenio di uomini che sono sem-
pre gli stessi.
In sostanza sembra che non ci sia un nuovo paradigma che
nasce. Qualche vagito si trova, ma nessuno che ne prenda la
fiaccola. La fine dell’individualismo in salsa italiana (con molte
venature neocorporative e senza liberalismo in azione) lascia
in eredità spettatori perplessi, senza sbocchi.
Le ultime convulsioni:
tra democrazia e mercati
Quella che per lungo tempo era sembrata un’endiadi si tra-
sforma in un ossimoro. La crisi finanziaria (non la prima, ma
sicuramente la più grave del dopoguerra) si conclama nel
pieno dell’estate e rende evidente la difficoltà nel conciliare i
due termini.
Il fenomeno è decisamente pesante: se fino ad ora le crisi
finanziarie, sempre più importanti e sempre più vicine nel
tempo, sono state normalmente liquidate come “bolle” (dalla
new economy all’immobiliare dei subprime) anche quando
hanno ripercussioni gravi sull’economia mondiale, l’ultima
crisi si qualifica per essere una difficoltà profonda dei debiti
sovrani e per attacchi concentrici ad un sistema (l’Europa e
l’Euro).
E’ la stessa democrazia sovrana che viene palesemente messa
in discussione. La finanziarizzazione dell’economia globale
mette in scena la sua rappresentazione più devastante. Non è
una novità, ma l’intensità e le forme che assume rendono evi-
denti a tutti i rischi enormi che si stanno correndo.
Le profonde critiche al mercato finanziario non vengono solo
da aree tradizionalmente antagoniste: il Sole 24 ore ospita
spesso, in particolare nel proprio supplemento domenicale,
interventi, tra gli altri, di Guido Rossi, profondamente sfavo-
revoli all’evolversi della situazione. Le sue tesi erano già
espresse in un volume del 2008 (“Il mercato d’azzardo” Adel-
phi). Il mercato finanziario globalizzato va divorando i suoi
stessi presupposti, calpestando giorno dopo giorno i principi
della democrazia azionaria, dell'interesse sociale, della crea-
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24. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 23
zione di valore sostiene Rossi, con una messa in mora della
politica. Questo tanto più in Italia dove la pratica del control-
lo minoritario è diffusissima.
Sempre a parere di Rossi la finanziarizzazione esasperata, la
deregulation post roosveltiana stanno mettendo in discussio-
ne l’eguaglianza che è il fondamento principale del diritto di
cittadinanza.
La politica occidentale balbetta e mostra un’estrema debolez-
za. Obama rischia di portare il paese al default, l’Europa bar-
colla e il duumvirato Merkel/Sarkozy non riesce ad esprimere
una direzione forte all’Unione. Zapatero annuncia le proprie
dimissioni per ridare fiato ai mercati. Papandreou cerca di resi-
stere proponendo un referendum ma viene commissariato. In
questo caso è evidente come la democrazia di un intero paese
sia messa in mora dalla crisi.
Ma la finanza ha in alcuni casi trovato una sponda nella poli-
tica: non dobbiamo dimenticare che la crisi finanziaria sembra
colpire soprattutto gli Stati che – come moderni “apprendisti
stregoni” della finanza globale – hanno creduto di poter
lucrare facilmente consenso politico con la “leva finanziaria”:
vale per la Grecia, ove era diventato prassi presentare bilanci
falsificati; vale per l’Italia, ove anni di tassi bassi non hanno
condotto ad una riduzione del debito, ma si è utilizzato tale
“dividendo” implicito per sostenere inefficienze via via meno
sostenibili (per essere chiari: l’Italia dell’Euro ha pagato molto
meno interessi sul proprio debito, tali soldi in più sono stati
puntualmente spesi in attività aggiuntive, senza utilizzarli per
ridurre lo stock di debito: in tal modo abbiamo affrontato il
naufragio senza la scialuppa di una possibile politica fiscale
espansiva), vale per Spagna e Portogallo che hanno forzato la
crescita della propria economia su una bolla speculativa nella
quale molto spazio è stato dato alla leva finanziaria (in “debi-
to” appunto). Se la politica si affida alla finanza, poi ne viene
condizionata: il ciclo politico è più lento e prevedibile dei mer-
cati finanziari, e quindi questi fatalmente lo condizionano.
L’intera Europa sembra essere nelle mani della Banca Centra-
le, che cerca di resistere ai colpi della speculazione finanziaria.
Si rende evidente che l’assenza di una risposta politica mette
a rischio la tenuta stessa dell’Unione Europea.
L’Italia è al centro della tempesta. Il suo fallimento mettereb-
be a repentaglio l’Europa e la sua moneta. Il governo non
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25. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 24
sembra all’altezza della situazione. Si susseguono ipotesi di
manovra che vengono smentite o modificate il giorno dopo,
si discute di ripresa e di rigore dei conti senza una soluzione
condivisa, le diversità di visione fra Tremonti e il resto del
governo e della maggioranza si fanno evidenti sino a diventa-
re laceranti.
Ai primi di agosto la BCE manderà una lettera segreta per
indicare al governo italiano le misure da prendere, nel detta-
glio. Il commissariamento diventa evidente, il governo sembra
privo di autorità oltre che di direzione.
Il nocchiero della nave in
gran tempesta
Se da un lato dall’Europa arriva il commissariamento, quasi
mortificante quando si annuncia la visita di un’ampia delega-
zione munita di esteso questionario da somministrare ai mem-
bri del governo, dall’altro al palese arenarsi del governo rispon-
de con un ruolo di supplenza il Presidente della Repubblica.
Da tempo il Presidente è divenuto una presenza molto rile-
vante nella vita politica quotidiana. E’ vero che non si tratta
della prima volta. Dalla crisi del sistema dei partiti i Presidenti
hanno avuto un ruolo sempre più rilevante e “interventista”.
Tuttavia il Presidente Napolitano va sempre più assumendo un
ruolo di rappresentanza politica diretta. In primo luogo
all’estero, dove il discredito del Paese assume dimensioni
imbarazzanti (per arrivare alla fine alla famosa risatina di
scherno di Merkel e Sarkozy richiesti, ad un vertice europeo,
di dire se Berlusconi li avesse rassicurati), la Presidenza della
Repubblica diviene interlocutore dei principali leader.
Ma anche all’interno sempre più il Presidente Napolitano fa
da pungolo per Governo e Parlamento che spesso richiama
all’ordine su contenuti e tempi.
Gli italiani guardano al Presidente come all’unico punto di rife-
rimento e all’unica persona in cui possano confidare. Se fino
all’anno scorso era l’uomo dei richiami ai valori e ai principi,
oggi diventa il garante solitario di una politica traballante.
La fiducia nel Presidente non solo rimane intatta, ma cresce al
diminuire della presenza fattiva della politica.
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26. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 25
Le preoccupazioni che esprime, i richiami che manda, gli
obiettivi che propone sono compresi e condivisi da tutti o
quasi.
Tuttavia il Presidente coglie con nettezza e preoccupazione
una situazione di assenza della politica cui deve essere posto
rimedio e lo sottolinea con la consueta chiarezza. In una delle
tante occasioni in cui viene accolto trionfalmente nel corso
dei suoi viaggi per il paese dice: “Queste manifestazioni d’af-
fetto mi rendono felice, ma m’inquietano, perché i punti di
riferimento istituzionale dovrebbero essere molti”.
Cogliendo esattamente il punto: il vuoto istituzionale è un
problema e un rischio per il paese.
Mario & Mario: ottimati al
potere
Il paese balla sull’orlo dell’abisso: la situazione italiana, a un
passo dal default, con rendimenti dei titoli di stato che rischia-
no di rendere impraticabile la possibilità di un rientro dal debi-
to e un governo che non riesce a rispondere, varando e smen-
tendo manovre, tutte prevalentemente caratterizzate dal rin-
vio e sonoramente bocciate dai mercati, rende necessario un
intervento straordinario che il Presidente esercita con determi-
natezza e forza.
Prima dell’incarico a Mario Monti, diventa operativa la nomi-
na di Mario Draghi alla Banca Centrale Europea e dello stes-
so Monti come senatore a vita. I due fenomeni fanno appari-
re l’Italia in ripresa, quanto meno in termini di credibilità e
ascolto a livello europeo e internazionale. Da paese messo
all’angolo, torniamo ad essere, forse, un paese che ha un
minimo di voce in capitolo.
L’investitura Mario Monti fa tirare agli italiani un avvertibile
sospiro di sollievo. Prima ancora che sia formalmente defini-
to, l’ipotetico governo Monti gode di un sostegno altissimo.
Dalla fine di agosto, quando abbiamo ripreso i nostri sondag-
gi continuativi sul clima del paese dopo la pausa estiva, tutti
gli indicatori erano in crollo verticale: qualità della vita, aspet-
tative economiche, fiducia nelle istituzioni facevano emerge-
re un paese terrorizzato, sfiduciato, pervaso dall’idea che non
ce l’avremmo fatta.
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27. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 26
Una soluzione non politica viene considerata il toccasana,
vista l’incapacità di un ceto politico sempre meno rappresen-
tativo. D’altronde, nel tempo recente, sono sempre stati i
“tecnici” a risolvere le situazioni di difficoltà del paese.
Il governo Monti sembra il più tecnico tra i governi che il
paese ha avuto. Le nomine sono fatte soprattutto tra esperti
(qualcuno dice che più che un Consiglio dei ministri si tratta
di un Consiglio di facoltà).
Il paese reagisce bene, convinto com’è di essere all’ultima
spiaggia. Gli indicatori risalgono, il rischio Grecia, paventato
da quasi tre quarti degli italiani ad ottobre, sembra farsi più
lontano.
La politica, nell’angolo, non può che approvare. Il nuovo
governo nasce con una maggioranza parlamentare larghissi-
ma, all’opposizione nella sostanza solo la Lega.
Tuttavia i mal di pancia sono numerosi: nel centrodestra la cri-
tica spesso si accentra sulla legittimità stessa del governo. Si
valuta l’incarico come una sospensione della democrazia e
questo tema non è secondario. Se formalmente la procedura
non è discutibile e i passaggi non rappresentano una messa
in discussione delle forme, nella sostanza si tratta di una
messa in mora della rappresentanza. E’ tuttavia, come già
detto, il prodotto di una débacle, quella della politica. Solo
una piccola parte dei cittadini concorda con la tesi della
sospensione della democrazia.
Ancora, le critiche si incentrano sull’estrazione del governo,
espressione delle banche (uno dei ministri di peso è Corrado
Passera, ex ad di Banca Intesa) e della Chiesa (ben tre ministri,
Riccardi, Ornaghi e lo stesso Passera erano stati relatori al
recente convegno di Todi, che ha riunito le principali associa-
zioni cattoliche del paese sull’onda dell’intervento del cardi-
nale Bagnasco).
Nel centrosinistra i malesseri si appuntano di più su un certo
sentore liberista del governo, in maniera evidente per Vendo-
la e Di Pietro, ma non irrilevante nello stesso PD, almeno per
bocca del responsabile economico Fassina.
La manovra presentata dal governo è pesante e dolorosa,
centrata principalmente sulle entrate, con poco spazio per la
riduzione delle spese e soprattutto indirizzata prevalentemen-
te al lavoro dipendente e alle pensioni.
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28. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 27
La reazione del paese è straordinaria: della manovra piace
pochissimo. L’aumento dell’Iva (82% sono critici sul provvedi-
mento), l’ICI (criticata dal 68%), gli interventi sulle pensioni
(69% contrari) non piacciono a nessuno o quasi. Nel comples-
so si valuta la manovra come iniqua (lo pensa quasi il 70%
degli italiani). Tuttavia, contestualmente, il governo mantiene
una valutazione elevatissima (oltre il 60% di consensi) e lo
stesso avviene per il premier (oltre due terzi degli italiani ha
fiducia in Mario Monti). Inoltre un segnale arriva anche sul
fronte economico: le aste di collocamento di fine anno dei
Titoli di Stato nazionali, cui sono ricorsi numerosi italiani, pre-
sentano rendimenti inferiori a quelli contemporaneamente
presenti sul mercato libero, ove la presenza di investitori Ita-
liani è ininfluente.
C’è la convinzione (che sembra molto meno presente tra i
politici) della necessità di ingoiare la pillola per superare
l’emergenza.
E’ però fuori dubbio che questo consenso da ultima spiaggia
non potrà durare molto. Nel brevissimo è vincolato ad alcune
condizioni ed in particolare alla capacità di ridurre lo spread
mettendo in sicurezza i titoli pubblici e ridando fiato alle
borse. Nel medio è collegato alla capacità di produrre equità
e crescita.
Neoguelfi in una società
autodiretta
Nell’ultimo scorcio dell’anno la Chiesa riprende un suo ruolo
politico. La messa in mora del berlusconismo la chiama in
causa direttamente. Da tempo la base dei fedeli è critica
quando non disgustata: i comportamenti privati del premier
prima e poi la manifesta difficoltà di fare ne rendono eviden-
te il confliggere con la rete diffusa sul territorio.
Il mondo delle parrocchie, cui danno voce i giornali diocesa-
ni, esprime disapprovazione con analisi sempre più cogenti e
pesanti. Non è più solo Famiglia Cristiana col suo direttore
spesso criticato per le sue posizioni fuori dal coro.
La questione sembra complessa e rilevante. Potremmo sem-
plificarla così. Due grandi ideologie sono in crisi: la socialde-
mocratica da tempo, da quando almeno la sua creatura, lo
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29. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 28
stato sociale, sembra non essere più in grado di sostenersi né
di redistribuire in maniera soddisfacente una ricchezza che si
riduce sempre più. La risposta liberista mostra la corda: dise-
guaglianze sociali enormi, impoverimento complessivo, spa-
ventoso vuoto del sociale e abbandono dell’individuo al sé,
evidenziano la sua incapacità di rispondere ad un nuovo
mondo globale che pure essa ha contribuito a creare, con la
speranza di divenirne l’espressione unica (il pensiero unico).
L’unica risposta possibile, nel silenzio della socialdemocrazia e
nell’arretrare dei liberisti sconfitti, sembra l’economia sociale
di mercato. Qualcuno mette insieme, con estrema proprietà,
Marx e Leone XIII. E rispolvera, in un momento critico per
l’Europa, in cui uno dei grandi stati, la Gran Bretagna si allon-
tana dal Continente per continuare a rivolgersi ad un impro-
babile asse con gli Stati Uniti, il modello “renano” fondato
sulla Gemeinschaft, sulla comunità come collante centrale,
contrapposto al modello anglosassone, individualista, dipen-
dente dalla finanza. Le aziende in questo modello sono
“prede” orientate esclusivamente al profitto. Nel modello
renano l’azienda si qualifica, citiamo ancora Berselli da
“L’economia giusta”, “come community, non soltanto come
commodity, come comunità vitale non soltanto come merce
scambiabile sul mercato”.2
Il cardinale Bagnasco ripropone queste linee con una forte
accentuazione “politica”, contribuendo ad un appuntamento
dei movimenti cattolici a Todi da cui emerge una forte spinta
interventista, l’idea non di un’inattuale riedizione della Demo-
crazia Cristiana quanto di una struttura intermedia, una sorta
di movimento organizzato in grado di parlare verso l’alto alle
classi dirigenti politico-economiche del paese e verso il basso
ad un “popolo” sempre meno rappresentato.
Il dibattito era avviato da tempo, ma la crisi del berlusconismo
ne accelera i tempi. Tra i tanti interventi vale la pena ricorda-
re quello di Lorenzo Ornaghi, ex rettore della Cattolica di
Milano e attualmente ministro dei Beni Culturali del governo
Monti, che alla fine del 2010 lanciava una sorta di manifesto
neoguelfo. Rivendicando ai cattolici un primato: “Rispetto ad
altre […] ‘identità’ culturali […] disponiamo di idee più appro-
priate alla soluzione dei problemi del presente. E siamo anco-
ra dotati di strumenti d’azione meno obsoleti o improvvisati.
[…] Essere ‘guelfi’ implica la consapevolezza che la nostra
2
Edmondo Berselli posizione di vantaggio va di giorno in giorno consolidata.
“L’economia giusta” Consolidandola, saremo già pronti per quelle nuove ‘opere’
Einaudi 2010 che – soprattutto per ciò che riguarda la rilevanza e la capa-
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30. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 29
cità attrattiva della nostra partecipazione alla vita politica del
presente – il futuro prossimo già ci domanda” (Lorenzo Orna-
ghi “Sul presente e il futuro dell’Italia” intervento al X Forum
del Progetto Culturale dedicato al tema “Nei 150 anni del-
l’Unità d’Italia. Tradizione e progetto” – corsivo nostro).
Gli italiani ascoltano con interesse: l’intervento del cardinale
Bagnasco, seguito con attenzione da più di un quarto dei cit-
tadini e conosciuto almeno a grandi linee dal 50%, riscuote
un diffuso apprezzamento, in particolare nelle sue parti tese
a richiamare la politica al suo ruolo di sobrietà e capacità di
rappresentanza.
E’, come abbiamo più volte detto, un paese che aspetta voci
ragionevoli ed è disposto ad ascoltarle, da qualunque parte
provengano.
Ma tutte le voci, compreso quelle provenienti dalla cattedra di
Pietro, vanno filtrate dalla coscienza individuale. Lo dicono
con nettezza tutti gli italiani, compresi i cattolici praticanti ed
impegnati nell’attività volontaria nelle parrocchie. La Chiesa,
come le altre istituzioni del Paese, non è automaticamente
investita di un’autorità tale da rendere le sue parole non
discutibili, anzi. La perdita di fiducia nella Chiesa (pur soste-
nuta ancora da circa 60% dei cittadini), determinata negli
ultimi anni principalmente dall’emergere del fenomeno della
pedofilia, non si riprende. Anzi, scende ancora negli ultimi
mesi dell’anno, anche in relazione alla polemica sull'esenzio-
ne dal pagamento dell’ICI.
L’archetipo comunitario su cui tutta l’analisi cattolica si fonda
è quantomeno da ricostruire e da riconfermare giorno per
giorno. Il modello sembra essere più che non quello della soli-
da Gemeinschaft, la comunità basata sulle relazioni personali
stabili, piuttosto quello delle comunità virtuali che vediamo
crescere in rete, basate su relazioni liquide, la cui durata non
è determinabile in un continuo comporsi e scomporsi.
E in questo quadro sembra in discussione anche il principio di
non negoziabilità dei valori e del fondamento di verità che
sottostà alle posizioni ufficiali della Chiesa.
In un contesto in cui si chiede alla Chiesa di ridurre i propri
interventi morali e dove su alcuni dei principi cardine (quali ad
esempio il tema del fine vita, della contraccezione, dell’abor-
to e più in generale, e soprattutto, della morale sessuale) le
opinioni degli italiani – e anche di una parte rilevante dei pra-
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31. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 30
ticanti – sono molto distanti dalle posizioni della Chiesa.
Infine i cattolici non appaiono come un monolito, anzi le divi-
sioni che percorrono la politica sembrano anche riflettersi sul
mondo cattolico. Gli italiani sono convinti che difficilmente si
troveranno punti di accordo, tra i politici e tra le diverse asso-
ciazioni cattoliche, soprattutto per quei temi che rappresenta-
no in generale faglie importanti di frattura nella società e
nella politica: le politiche economiche, i temi etici, le politiche
fiscali.
In sostanza nella società del disincanto dove il luogo della
scelta è in interiore homine, nella propria coscienza che pre-
tende di non essere eterodiretta, i punti di ricucitura dovran-
no necessariamente essere centrati sul terreno della politica,
delle politiche sociali, della redistribuzione, della produzione
oltre che della riproduzione.
Scommessa che i cattolici condividono con il resto della società.
Per dirla con Touraine, di fronte alla fine del sociale così come
l’abbiamo conosciuto nella modernità preglobale, forse l’irru-
zione dei soggetti non è solo degrado ma possibile ricostru-
zione dei (faticosi) paradigmi fondativi.
Tutti a casa: la democrazia a
disagio
L’ondata antipolitica non è solo, lo abbiamo detto, recrude-
scenza forcaiola e populistica. Stiamo in un passaggio stretto
e complesso in cui si conclama la difficoltà di funzionamento
del sistema democratico a fronte di una società talmente
cambiata da essere irriconoscibile.
Si avverte un disagio profondo proprio per le risposte che
mancano: in una realtà che dà luogo a sempre più dramma-
tiche diseguaglianze sembra perdersi la ragion d’essere stessa
del sistema democratico che dovrebbe invece produrre inclu-
sione, benessere diffuso, crescita della cittadinanza. Anche
perché, se la democrazia è dialettica delle parti, sono le parti
ad essere cambiate.
Come dice Galli: “La democrazia oggi non soffre tanto della
sua storica difficoltà a fare unità a partire dall’indipendenza
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32. libro 7-02-2012 9:11 Pagina 31
delle parti; soffre semmai della scomparsa delle parti che,
interconnesse, la costituiscono: Stato, soggetto, partiti, popo-
lo – mentre la scena è dominata da un capitale profondamen-
te trasformato e fuori controllo. […] La crisi nella democrazia
è diventata, o sta diventando, crisi della democrazia.”3
La reazione dei cittadini è di insofferenza per questa situazio-
ne, aggravata certo dallo storico malfunzionamento del pub-
blico e della politica nel nostro paese. La colpa è della casta.
La polemica sui costi della politica è enorme e oramai storica.
Anche se poi, guardando bene, si scopre che tutto sommato
i costi dei parlamentari italiani non sono molto diversi da
quelli di molti dei principali stati europei.
Tuttavia si è davvero convinti che intervenire sulla politica con-
tribuisca a migliorare le finanze pubbliche. Richiesti di indica-
re il provvedimento prioritario per affrontare la crisi, doman-
da fatta nell’autunno inoltrato, oltre 60% degli italiani mette
al primo posto la riduzione dei parlamentari. E fin qui non c’è
da stupirsi. Ma poco meno della metà (47% per la precisione)
è anche convinto che questo sarebbe l’intervento più vantag-
gioso per le finanze statali, addirittura più efficace di una
patrimoniale.
Ci si scaglia contro il pubblico accusandolo di avere un eccesso
di dipendenti, scoprendo poi che tutto sommato l’incidenza dei
dipendenti pubblici italiani è inferiore alla media europea.
Il disagio, quando non il disprezzo o addirittura la rabbia –
stanno tornando gli insulti ai politici per strada come ai tempi
di tangentopoli – sono probabilmente eccessivi, ma testimo-
niano della incapacità della politica nel far fronte ai cambia-
menti e alle nuove richieste. D’altronde siamo al punto più
basso della fiducia nei partiti (12%), un punto mai raggiunto
neanche negli anni di Tangentopoli.
Il coro, unanime o quasi, è “tutti a casa”. Il ricambio totale e
senza sconti della classe politica attuale del paese, la palinge-
nesi rigeneratrice, è richiesta non solo dai disgustati ma dagli
stessi elettori per i propri partiti. Sono soprattutto gli elettori
del centrosinistra che chiedono a gran voce un cambiamento
radicale, ma anche nel centrodestra l’attesa è di un profondo
rinnovamento.
3
Carlo Galli “Il disagio
L’inadeguatezza della politica è evidente e non solo in Italia. Il della democrazia” Einau-
tema è quello di avere una classe dirigente aggiornata, con di 2011
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una cultura globale, con letture adeguate, con analisi che tra-
valicano i confini nazionali, con relazioni vaste.
Questo manca. Il costo vero della politica, come qualcuno ha
correttamente sottolineato non è tanto il peso economico
della casta, quanto la sua incapacità di decidere per il bene
del paese. Torna l’urgenza di avere degli statisti, delle perso-
ne che, secondo la celebre definizione degasperiana, siano
capaci di guardare alle prossime generazioni, non alle prossi-
me elezioni.
Il ceto politico italiano, a partire dalla seconda Repubblica,
pare non essere capace di adeguarsi a queste necessità, e
oggi sembra aver raggiunto uno dei livelli più bassi mai visti.
La cultura politica rimane spesso ancorata al passato, ancora
incistata nel novecento, inadeguata.
La richiesta quindi di mandarli tutti a casa ha in qualche modo
un suo fondamento: abbiamo bisogno di adeguarci alle
nuove sfide.
Non secondario, in questo, il comportamento di non pochi
rappresentanti della classe politica. Con l’arrivo del nuovo
governo fa notizia il premier che si mette in coda al check-in,
che si porta (da solo!) il trolley alla stazione Termini, che si
paga l’ingresso alla mostra. La sobria normalità sembra un’ec-
cezione.
Senza partiti: l’implosione del
sistema
E’ nel sostanziale vuoto politico-istituzionale prima descritto
che si apre una fase nuova per il paese, in cui la bussola sem-
bra assente.
I partiti hanno alzato le braccia, incapaci di far fronte agli
eventi, consegnandosi nella mani dei tecnici. Apparentemen-
te una situazione transitoria. Si fa la manovra, si prendono i
provvedimenti necessari, poi tutto torna come prima.
In realtà tutto dovrà, necessariamente, cambiare. Perché sicu-
ramente da questa situazione non si uscirà come prima alme-
no sul lato della spesa pubblica, che è stata il volano principa-
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le della politica per lunghi anni. Le risorse saranno minori, la
redistribuzione del reddito dovrà trovare nuovi canali.
Si dovranno individuare nuovi destinatari della ridotta possibi-
lità di spesa ridisegnando il sistema di welfare e la rete degli
ammortizzatori sociali. Per far funzionare il paese bisognerà
spostare risorse dal modello del male breadwinner (sostenuto
in misura rilevante dalla spesa pensionistica) ai giovani e alle
donne, sostenendo percorsi di vita, garantendo redditi di cit-
tadinanza, esplorando l’ottimizzazione dei servizi in una più
efficiente e più stretta relazione pubblico/privato.
La drastica riforma delle pensioni scardina modelli di vita, reti
di relazione e sostegno. Andremo verso un mondo in cui la
rete della solidarietà familiare si farà più leggera.
Siamo di fronte ad un processo in cui stanno cambiando (e lo
vedremo) stili di consumo e di vita, e non solo per imposizio-
ne della crisi. E’ in parte un’interiorizzazione della decrescita,
che comporta modelli di consumo più virtuosi, più sostenibili,
più compatibili con la scarsità di risorse. La politica dovrà rap-
portarsi a questo nuovo clima, alle mutate condizioni di vita.
La competitività delle imprese, se il trasferimento di ricchezza
dall’Occidente ai paesi emergenti manterrà i ritmi che abbia-
mo visto negli ultimi anni, dovrà sempre più essere giocato su
innovazione, crescita della produttività (riducendo il costo del
lavoro per unità di prodotto che nel nostro paese rimane uno
dei problemi principali), specializzazione. Di nuovo ridisegnan-
do il ruolo della formazione, della scuola, dei centri di ricerca.
A meno che non si voglia progressivamente diventare i forni-
tori di manodopera a basso costo per il mondo avanzato.
Non si vede quale partito, nella sua struttura attuale, sia in
grado di raccogliere una sfida simile.
Sia nel centrosinistra che nel centrodestra convergono cultu-
re, visioni, interessi che faticano a ricomporsi.
Quello che sembra mancare è un’etica repubblicana, cioè un
sentimento condiviso delle responsabilità collettive. E’ il ruolo
della borghesia (“la proprietà obbliga”), ma la borghesia è
stata in Italia poca cosa, così come le élites che pure hanno
“fatto” il paese, dal Risorgimento in poi.
La scomposizione e ricomposizione dei partiti non è solo una
necessità auspicabile, ma sembra essere nei fatti: si scompon-
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gono e ricompongono interessi e campi di forza.
Certo, molto dipenderà dalla durata del governo Monti. Se
cadrà a breve, è probabile che si vada al voto a scenari sostan-
zialmente invariati (ma il rischio è ricominciare l’agonia con un
ceto politico che non si è riaccreditato nel paese). Se durerà
sino alla scadenza della legislatura, la ricomposizione divente-
rà necessaria.
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La crisi, l’economia, il mercato
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Uno sguardo ai fondamentali
Lo scenario 2011 conferma con forza le tendenze degli ultimi
anni. Un progressivo spostamento della ricchezza (del peso
economico certo, ma anche e progressivamente del ruolo
politico) dai paesi dell’occidente sviluppato ai paesi emergen-
ti. Bric(s) diventa un termine familiare ad una massa sempre
più vasta di italiani. E non sarà l’unica acquisizione nel dizio-
nario dell’economia che gli italiani faranno: spread e bund
fino a poco fa termini oscuri e arcani, entrano nelle chiacchie-
re da bar, nelle discussioni delle famiglie.
L’andamento dell’economia globale è a due velocità, come
mostra il grafico seguente (con le stime 2011 desunte dalle
previsioni del Fondo Monetario Internazionale)
Grafico 2 Prodotto interno lordo: confronto serie stori-
ca economie avanzate e paesi emergenti (variazioni %;
previsioni Fondo Monetario Internazionale per il 2011)
Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) su dati FMI per
Ancc-Coop
La situazione si presenta ancora nettamente critica per le eco-
nomie dei paesi avanzati; se la recessione del 2008/2009 (in
testa ai cittadini rimangono le immagini dei dipendenti della
Lehman Brothers che se ne vanno reggendo i loro scatoloni)
ha colpito sostanzialmente tutta l’economia mondiale, la
ripresa avviene con velocità nettamente differenti che fanno
emergere le difficoltà delle economie più sviluppate.
Si manifesta con evidenza un riassetto della distribuzione
della ricchezza che penalizza l’Occidente avanzato (e in primo
luogo Stati Uniti e vecchio continente). Tuttavia sembra che la
politica stenti a fare propria questa situazione e a rispondere
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con mosse adeguate. L’esemplificazione più netta è l’este-
nuante dibattito statunitense per l’innalzamento del debito,
trascinato quasi sino all’ultimo momento con il rischio di por-
tare il paese al default. Qualcosa di simile avviene per l’Euro-
pa: l’assenza di un governo capace di intervenire sui grandi
temi (certo non sostituito dal direttorio Merkozy) e una Banca
Centrale con poteri non sufficienti a fronteggiare la grande
crisi finanziaria. Potremmo adeguare il famoso motto della
prima campagna di Bill Clinton: “It’s the politics, stupid”.
Quello che manca all’Occidente è la politica.
Detto per inciso, questa situazione di redistribuzione della ric-
chezza sui paesi emergenti, è percepita anche dalla popola-
zione: richiesti di prevedere l’andamento dell’economia nei
prossimi tre anni gli italiani vedono peggiorare tutto (econo-
mia personale, locale, italiana, europea), tranne l’economia
mondiale. Trainata da altri, che non siamo noi.
Dentro un percorso di questo genere l’Italia segna grandi dif-
ficoltà. Innanzitutto nella capacità di ripresa, tema fondamen-
tale nel gorgo di una crisi finanziaria di proporzioni inaudite.
Grafico 3 Il Pil dei principali paesi dell’area Euro
(1° trimestre 2008=100)
Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) su dati
Eurostat per Ancc-Coop
E di nuovo si registrano pesanti differenze territoriali, con la
solita frattura Nord/Sud assai evidente:
Il Sud non riprende.
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