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Centro Milanese di Terapia della Famiglia

Massimo Giuliani
TERAPIA SISTEMICA
E LINGUAGGIO




web: www.massimogiuliani.it
blog: www.massimogiuliani.it/blog
e-mail: info@massimogiuliani.it
2 modi di pensare la terapia

      I sistemi possiedono      La realtà è frutto di un
          struttura, confini,   consenso ed è costruita nel
          gerarchie, regole.    linguaggio.
 L'occhio dell'esperto è in     “Se gli uomini definiscono
      grado di riconoscere      certe situazioni come reali,
                                esse sono reali nelle loro
        pattern di relazione,   conseguenze” (Thomas).
                 ridondanze,    I sistemi non determinano
             disfunzionalità.   problemi, ma sono
         Possono produrre       determinati dalle
        problemi e sintomi.     descrizioni che danno dei
   La terapia consiste nel      problemi.
                rimuovere le    La terapia consiste nel far
         disfunzionalità per    evolvere descrizioni.
                                Il terapeuta fa domande da
restituire al sistema il suo    una posizione di “non
      funzionamento sano.       esperto”.
Lynn Hoffman critica il “colonialismo della salute
mentale”:
“Una volta che si aderisce a un determinato discorso
(religioso, psicologico o sulle differenze di genere) si
promuovono anche certe definizioni su quali persone
o temi siano importanti o legittimi: spesso
all'insaputa di chi si fa portatore dei discorsi in
questione.

   Le “cinque vacche sacre della psicologia”:
   1. L'oggettività nella ricerca sociale
   2. Il Sé
   3. La psicologia dello sviluppo
   4. Le emozioni
   5. I livelli
   (Hoffman, 1992)
Approccio narrativo e questioni etiche

John Shotter (1984):
pratiche di accountability
I. Responsibility: knowing that
II. Reliability: knowing how
III. Accountability: knowing of the third kind

Vernon Cronen (1991):
narrazioni e “moral agency”

Bianciardi e Bertrando (2002):
se la pratica clinica non ha un fondamento “forte”
è esplicita la responsabilità del clinico
J.-F. Lyotard:
“Possiamo considerare
postmoderna l'incredulità nei
confronti delle metanarrazioni”
(1979)
“La comprensione che ognuno
ha di se stesso è narrativa: non
posso cogliere me stesso al di
fuori del tempo e dunque al di
fuori del racconto”
(Paul Ricoeur, 1988)

“Questo mi fa venire in mente
una storia...” (Gregory Bateson)

Accanto al pensiero
paradigmatico che persegue
l’ideale di un sistema descrittivo
ed esplicativo formale e
matematico, esiste un pensiero
narrativo. (v. J. Bruner, 1996)
Pensiero paradigmatico e pensiero narrativo

               “Versare dell'acqua in un becker tramite spruzzetta.
                                  Aggiungere al becker contenente
                                l'acqua del cloruro di sodio (NaCl).
                                          Mescolare con l'agitatore.
            Dopo aver mescolato bene rilevare il pH della soluzione
                                      tramite la cartina al tornasole.
                        Ripetere il procedimento per gli altri sali.”


“Vedo mio padre come un veleno. Da alcuni anni ci
sentiamo due o tre volte all'anno, solo per telefono.
Sento che tenendo le distanze riesco a stare meglio.
Non so se dipenda da lui, ma da qualche tempo
ho la grande paura che non riuscirei ad essere un
buon padre... Ho paura di
aver ereditato la sua
incapacità di amare.” (Luigi)
Nella terapia sistemica


Un approccio
 “strutturale”                 Un approccio “story-telling”
  (cambiano                    (cambiano descrizioni e
   strutture e                 narrazioni)
      pattern)


              Una narrativa                  Una narrativa
                “riparativa”                 “moltiplicativa”
           (tecnologia della                 (tecnologia del
                 coerenza)                   coordinamento)
Postmodernità e
   moltiplicazione di narrazioni

                         In letteratura:
                     narrativa multilineare


Nell'intercultura:
 coordinamento
   vs. coerenza


                       In terapia: il
                      Milan Approach
Michael White:
Le persone arrivano con una
descrizione saturata dal
problema.
La storia saturata è una
storia dominante della vita
familiare.
White non trasforma le storie,
né propone connessioni
inesplorate: identifica aspetti
negativi o trascurati
dell’esperienza e li inserisce
in una nuova storia.
Da M. White, D. Epston:
“Narrative Means to
Therapeutic Ends”
Da M. White, D. Epston:
“Narrative Means to
Therapeutic Ends”
Da M. White, D. Epston:
“Narrative Means to
Therapeutic Ends”
Umberto Eco:
  testo aperto, testo chiuso
   “Testi chiusi cercano di indirizzare in
   modo stringente l’interpretazione del
  lettore, in modo che ogni termine, ogni
       modo di dire e ogni riferimento
        enciclopedico sia quello che
   prevedibilmente il lettore può capire.”
 “Non solo i testi a funzione estetica, ma
  qualunque altro atto comunicativo è in
 qualche misura ‘aperto’, cioè richiede la
       collaborazione del destinatario.
Ambiguità e incompletezza sono insite in
    ogni testo: ogni testo è strutturato in
 modo tale da lasciare un certo margine
    (variabile) di manovra interpretativa.
   I testi aperti sono quelli che sfruttano
    questa situazione pragmatica come
ipotesi regolativa della propria strategia.”
Il Partenone
    ad Atene
John Portman:
Horton Plaza, San Diego
John Portman:
Hotel Bonaventure, Los Angeles
Oltre al pensiero paradigmatico e al
          pensiero narrativo
      è possibile parlare di un
    pensiero ipertestuale?
 Come nella narrativa multilineare,
il pensiero ipertestuale non afferma
qualche genere di verità di un testo:
      ne afferma la narrabilità
Contributi della scrittura
ipertestuale alla terapia
1. La riconfigurazione dell'Autore

2. L'ipotizzazione multilineare

3. La virtualizzazione della realtà

4. Il disorientamento

5. I link fra testi (connettere storie e
personaggi)

6. Multimedialità e tecniche non verbali
Una “buona storia”
Secondo Aristotele (“Poetica”): linearità e unitarietà, coerenza
formale, nodo e scioglimento, preparazione a un finale:
 “In questa differenza sta anche il divario tra la tragedia e la commedia, giacché l’una
 tende ad imitare persone migliori, l’altra peggiori di quelle esistenti.”

                   “Quanto ai caratteri, quattro sono le cose a cui si deve mirare, di cui una,
                   e la prima, è che siano buoni. Il personaggio avrà poi un carattere se,
                   come si è detto, il suo discorso e la sua azione rendono manifesta una
                   qualche risoluzione e, se questa è buona, buono sarà il carattere. E ciò è
                   possibile in ciascuna condizione, perché buona lo è anche la donna e
                   buono lo schiavo, benché di questi l’una sia inferiore e l’altro di infimo
                   rango.
                            La seconda cosa a cui si deve mirare è la convenienza, perché è
                            anche possibile che una donna sia di carattere coraggioso, ma
                            non è conveniente per una donna essere fino a questo punto
                            coraggiosa o fiera.

                                 La terza è la somiglianza, e questa è cosa diversa dal fare il
                                 carattere buono e conveniente come si è detto.

                                 Quarta è la coerenza, giacché anche se il modello
                                 dell’imitazione sia una persona incoerente e si sia supposto
                                 un tale carattere, deve essere coerentemente incoerente.”
Ian McEwan analizza le
narrazioni ricorrenti sulla fine
del mondo.
Le persone hanno bisogno di
pensare che le storie abbiano
una fine?
Ma le storie hanno una fine?
Hanno un inizio?
Femminismo e approccio narrativo
                     Mary Olson:
      il ricercatore come “testimone esterno”

   La sua ricerca “analizza i temi dell'avere voce in
capitolo e della comunicazione e sviluppa pratiche di
ricerca relazionale che consentono al singolo di fare
 esperienza di sé stesso nella sua intierezza. Le idee
  narrative e riflessive e le pratiche conversazionali
     provenienti dalla terapia familiare sono qui
         incorporate in un metodo di studio.”
La ricerca di Bergamo, ispirata
al lavoro di Mary Olson
(v. Connessioni, n. 21):

Follow up nell'anoressia
Le narrazioni delle ex pazienti
v. anche
“Rashomon, Manuela e l'anoressia”:
http://www.massimogiuliani.it/blog/?p=70

“La terapia raccontata dalle anoressiche”:
http://www.ibridamenti.com/costruzioni-identitarie/2008/11/la-terapia-raccontata-dalle-anoressiche/
Dott. C. Casati:




“
Su 27 casi seguiti [...] in 25 era scattata nella paziente la
molla: “Non è vero, se io voglio, posso mangiare”. A questo
punto sfidavo la paziente dicendo che non le credevo: “Le do
una settimana, non m’interessa se mangia pane piuttosto che
carne, faccia quello che vuole. Io la peso adesso, se lei fra una
settimana è aumentata di peso, mi scuserò, perché vorrà dire
che ho sbagliato la mia diagnosi”. Queste ragazze
riprendevano a mangiare e io suggerivo loro, all’inizio, di
mangiare alimenti facilmente digeribili come il gelato.
Penso che la maggior parte delle pazienti abbia ripreso a
mangiare entro la prima settimana. In seguito però, mi sono
accorto che qualcuna diventava bulimica, mettendomi così in
un’impasse incredibile; per questo, dal terzo caso in poi,




                                                           ”
abbiamo arricchito il nostro intervento con il messaggio: “Lei
non può mangiare e poi anche se si mettesse a mangiare
diventerebbe bulimica”. Da quel momento in poi, non
abbiamo avuto più casi di bulimia.
Dott. G. Covelli:




“
L’intervento adottato da me e dal dott. C. Casati era piuttosto
duro e quindi c’era un netto rifiuto da parte dei genitori
anche se poi questi erano i casi con un esito migliore. La
reazione di shock permetteva alla ragazza di stringere
un’alleanza con i genitori contro di noi. Questo era uno dei
meccanismi psicologici che aiutava a superare la situazione.
Al contrario, se la reazione era scarsa sia da parte della
paziente che dei genitori, le probabilità di successo erano




                                                         ”
minori.
Dott. G. Covelli:




“
 In pochi abbiamo adottato tale metodo, con il quale è
previsto un “non intervento”, nel senso che si dice alla
paziente che non c’è niente da fare e si aspetta che sia lei a
fare qualcosa. È un metodo ben lontano da un tipico
intervento medico e accettare un ruolo simile non è facile,
implica un’assunzione di responsabilità importante. All’inizio
temevamo tentati suicidi, ma non è mai accaduto, anche
perché, in un certo senso lo anticipavamo esplicitandolo e, in
tal modo, la paziente, agendo con un acting out mi avrebbe




                                                          ”
dato ragione e non se lo poteva permettere. Era messa
all’angolo: “O mangi o ti devi dichiarare pazza scatenata”.
“
Terapeuta:
Devo dire che questo mio modo di intervenire sulle pazienti era
molto pesante, carico di tensione anche per chi lo attuava. Ogni
volta era una sfida, ci chiedevamo: “Funzionerà ancora? È così
meravigliosamente funzionante!”. Così ho deciso di non operare




                        ”
più con questo metodo.

Manuela:




“
Io metto il dott. Covelli su un piedistallo, per me è in gambissima.
Anche il mio ragazzo mi ha aiutata tanto ed anch’io ho fatto la mia
parte. Il perché mi sia capitato questo non lo so. Adesso, da persona
lucida, dico che ho un carattere forte e parte del merito va anche a
me. Il dott. Covelli diceva sempre che la bravura del medico è
relativa, chi deve guarire è la persona che soffre. Mi è rimasta
impressa una sua frase: “Devo dare atto alla tua volontà perché
pensavo che tu non ce la facessi”. Ora mi ripeto quella frase anche
quando ho delle difficoltà al lavoro o da qualche altra parte. Penso
che se sono guarita da quella malattia, ce la posso fare anche in
altre situazioni difficili. […] Per me le terapie, ripeto, sono state la
manna. Non ne ho mai saltata neanche una, era una sofferenza
andarci, ma non ne ho mai saltate.
Parole chiave

Per i terapeuti                       Per Manuela
Ricorrono elementi di un              La storia appare quella di un
linguaggio bellicoso o competitivo:   percorso duro con un compagno di

  “mettere in scacco”;                strada fidato:

  “strategia”;                        
                                       “stare bene”;

  “manovrare”;                        
                                       “bisogno di coccole”;

  “attacco”;                          
                                       “essere d'aiuto”;

  “difesa”;                           
                                       “carattere forte”;

  “ricompattarsi”;                    
                                       “volontà”;

  “alleanze”;                         
                                       “sofferenza”;

  “avere il controllo”;               
                                       “tenacia”;

  “sfida”;                            
                                       “fiducia nel medico”;

  l'intervento come uno “shock”;      
                                       “accettazione”;

  “la paziente, agendo con un         
                                       Il terapeuta è “in gamba”, è “su un
acting out mi avrebbe dato ragione    piedistallo”.
e non se lo poteva permettere”;

  “era messa all’angolo”.
Il tempo della terapia


Per il terapeuta

“Terapia”         “Colloqui di controllo”
  6 settimane          alcuni anni di colloqui molto radi

“Ricovero”        “Terapia”

Per Manuela
Manuela e il senso comune




“
Manuela: Alcune persone dicevano: “Voi ragazze volete fare la
dieta, volete fare le modelle…”, ma io non ho mai guardato le
modelle, non mi sono mai detta: “Mi piacerebbe essere come
quella ragazza”. Avevo il fidanzato, non era che non mi
guardava nessuno. Mi ricordo, invece, che quando stavo male
tutti mi coccolavano di più; più mi coccolavano più io stavo male
perché se stavo male di meno ero coccolata di meno. Queste sono




                                               ”
però riflessioni che faccio adesso…
Manuela e la competenza...




“
    Manuela: C’è anche qualcosa di positivo che ho preso dalla malattia:
    mi sono fatta una cultura sugli alimenti e sui componenti degli
    alimenti. Io sono partita con l’idea di un’alimentazione salutare,
    magari in modo sbagliato, ad esempio dicevo che il burro fa alzare il
    colesterolo, la combinazione di due alimenti altamente proteici non va
    bene…
    Intervistatore: Per cui si è fatta una cultura sugli alimenti, una
    conoscenza seppur “fai-da-te”?
    Manuela: Sì, “cultura” tra virgolette.
    Intervistatore: Leggeva molto sull’argomento?
    Manuela: Sì, molto. Per assurdo, nel periodo in cui ero a digiuno, mi
    ero fatta un’enciclopedia di ricette. Ancora adesso la uso per cucinare;




                                                                        ”
    avevo rilegato tutti i fogli, ero proprio dentro all’argomento, l’unico
    problema era che non mangiavo.
...Manuela e la competenza




“
    Intervistatore: Quindi tra le cose che le ha lasciato quel periodo c’è
    una bella collezione di ricette?
    Manuela: Sì, e ogni volta che ne preparo una che non mi piace la
    strappo così rimane posto per un’altra. Non è che ho dimenticato
    tutto; questo, per esempio, anche se potrei dimenticarlo perché una
    volta passata la malattia potrei non volerne più sapere, non lo
    dimentico. Che vada la malattia, ma ciò che ho imparato perché non
    metterlo in atto, magari anche con un po’ di “fissazione” per queste
    cose. Penso: “Chi è che non ha un pallino per qualche cosa? Io ho
    questo”. Se comunque mi permette di vivere normalmente perché non
    averlo? Se per eliminarlo devo fare un altro lavoro interiore allora me
    lo tengo. Succede anche con la bambina, per esempio non le faccio i




                                                                  ”
    piselli con la carne, ma i piselli con il pesce, è una questione di
    proteine.
Alcuni approfondimenti utili...

- Harlene Anderson, Harold A. Goolishian (1992), “I sistemi umani come sistemi linguistici. Implicazioni per
una teoria della clinica”. In Connessioni, 2.
- Lynne E. Angus, John McLeod (eds.) (2004), The Handbook of Narrative and Psychotherapy. Practice,
Theory and Research. Sage Pub., California.
- Paolo Bertrando () “Testo e contesto. Narrativa, postmoderno e cibernetica”. In Connessioni,
- Marco Bianciardi e Paolo Bertrando (2002), “Terapia etica: una proposta per l’epoca postmoderna”. In
Terapia Familiare, 69.
- Luigi Boscolo e Paolo Bertrando (1993), I tempi del tempo. Bollati Boringhieri, Milano.
- Luigi Boscolo e Paolo Bertrando (1996), Terapia sistemica individuale. Raffaello Cortina, Milano.
- Jerome Bruner (1992), La ricerca del significato. Per una psicologia culturale. Bollati Boringhieri, Torino.
- Jerome Bruner (1993), La mente a più dimensioni. Laterza, Roma - Bari.
- Gianfranco Cecchin (1988), “Revisione dei concetti di ipotizzazione, circolarità, neutralità: un invito alla
curiosità“. Ecologia della Mente n. 5.
- Vernon Cronen (1991), “Coordinated Management of Meaning Theory and Postenlightenment Ethics”. In
Greenberg, K. J. (1991), Conversations on Communication Ethic. Ablex, New Jersey.
- Massimo Giuliani (2006), “Terapia ipertestuale: nuove metafore postmoderne per la clinica sistemica”.
Terapia Familiare, 82.
- Massimo Giuliani e Flavio Nascimbene (2009), La terapia come Ipertesto. Antigone, Torino.
- Rom Harré, G. Gillet (1996), La mente discorsiva. Raffaello Cortina, Milano.
- James Hillman (1984), Le storie che curano. Raffaello Cortina, Milano.
- Lynn Hoffman (1990), “Constructing realities. An Art of Lenses”. Family Process, 29. Trad. it. sul sito
Terapiasistemica.info.
- Lynn Hoffman (1998), “Un'ottica riflessiva per la terapia della famiglia”, in McNamee, S., e Gergen, K., La
terapia come costruzione sociale, Franco Angeli, Milano.
- Mary Olson (2003), “Ascoltando le voci dell’anoressia: il ricercatore come testimone esterno”, in P. Barbetta,
P. Benini, R. Naclerio (a cura di) Diagnosi della diagnosi. Guerini Editore.
- John Shotter (1984), Social Accountability and Selfhood. Blackwell Pub.
- Michael White (1992), La terapia come narrazione. Proposte cliniche. a cura di Umberta Telfener,
Astrolabio, Roma.

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Terapia e Linguaggio

  • 1. Centro Milanese di Terapia della Famiglia Massimo Giuliani TERAPIA SISTEMICA E LINGUAGGIO web: www.massimogiuliani.it blog: www.massimogiuliani.it/blog e-mail: info@massimogiuliani.it
  • 2. 2 modi di pensare la terapia I sistemi possiedono La realtà è frutto di un struttura, confini, consenso ed è costruita nel gerarchie, regole. linguaggio. L'occhio dell'esperto è in “Se gli uomini definiscono grado di riconoscere certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro pattern di relazione, conseguenze” (Thomas). ridondanze, I sistemi non determinano disfunzionalità. problemi, ma sono Possono produrre determinati dalle problemi e sintomi. descrizioni che danno dei La terapia consiste nel problemi. rimuovere le La terapia consiste nel far disfunzionalità per evolvere descrizioni. Il terapeuta fa domande da restituire al sistema il suo una posizione di “non funzionamento sano. esperto”.
  • 3. Lynn Hoffman critica il “colonialismo della salute mentale”: “Una volta che si aderisce a un determinato discorso (religioso, psicologico o sulle differenze di genere) si promuovono anche certe definizioni su quali persone o temi siano importanti o legittimi: spesso all'insaputa di chi si fa portatore dei discorsi in questione. Le “cinque vacche sacre della psicologia”: 1. L'oggettività nella ricerca sociale 2. Il Sé 3. La psicologia dello sviluppo 4. Le emozioni 5. I livelli (Hoffman, 1992)
  • 4. Approccio narrativo e questioni etiche John Shotter (1984): pratiche di accountability I. Responsibility: knowing that II. Reliability: knowing how III. Accountability: knowing of the third kind Vernon Cronen (1991): narrazioni e “moral agency” Bianciardi e Bertrando (2002): se la pratica clinica non ha un fondamento “forte” è esplicita la responsabilità del clinico
  • 5. J.-F. Lyotard: “Possiamo considerare postmoderna l'incredulità nei confronti delle metanarrazioni” (1979)
  • 6. “La comprensione che ognuno ha di se stesso è narrativa: non posso cogliere me stesso al di fuori del tempo e dunque al di fuori del racconto” (Paul Ricoeur, 1988) “Questo mi fa venire in mente una storia...” (Gregory Bateson) Accanto al pensiero paradigmatico che persegue l’ideale di un sistema descrittivo ed esplicativo formale e matematico, esiste un pensiero narrativo. (v. J. Bruner, 1996)
  • 7. Pensiero paradigmatico e pensiero narrativo “Versare dell'acqua in un becker tramite spruzzetta. Aggiungere al becker contenente l'acqua del cloruro di sodio (NaCl). Mescolare con l'agitatore. Dopo aver mescolato bene rilevare il pH della soluzione tramite la cartina al tornasole. Ripetere il procedimento per gli altri sali.” “Vedo mio padre come un veleno. Da alcuni anni ci sentiamo due o tre volte all'anno, solo per telefono. Sento che tenendo le distanze riesco a stare meglio. Non so se dipenda da lui, ma da qualche tempo ho la grande paura che non riuscirei ad essere un buon padre... Ho paura di aver ereditato la sua incapacità di amare.” (Luigi)
  • 8. Nella terapia sistemica Un approccio “strutturale” Un approccio “story-telling” (cambiano (cambiano descrizioni e strutture e narrazioni) pattern) Una narrativa Una narrativa “riparativa” “moltiplicativa” (tecnologia della (tecnologia del coerenza) coordinamento)
  • 9. Postmodernità e moltiplicazione di narrazioni In letteratura: narrativa multilineare Nell'intercultura: coordinamento vs. coerenza In terapia: il Milan Approach
  • 10. Michael White: Le persone arrivano con una descrizione saturata dal problema. La storia saturata è una storia dominante della vita familiare. White non trasforma le storie, né propone connessioni inesplorate: identifica aspetti negativi o trascurati dell’esperienza e li inserisce in una nuova storia.
  • 11. Da M. White, D. Epston: “Narrative Means to Therapeutic Ends”
  • 12. Da M. White, D. Epston: “Narrative Means to Therapeutic Ends”
  • 13. Da M. White, D. Epston: “Narrative Means to Therapeutic Ends”
  • 14. Umberto Eco: testo aperto, testo chiuso “Testi chiusi cercano di indirizzare in modo stringente l’interpretazione del lettore, in modo che ogni termine, ogni modo di dire e ogni riferimento enciclopedico sia quello che prevedibilmente il lettore può capire.” “Non solo i testi a funzione estetica, ma qualunque altro atto comunicativo è in qualche misura ‘aperto’, cioè richiede la collaborazione del destinatario. Ambiguità e incompletezza sono insite in ogni testo: ogni testo è strutturato in modo tale da lasciare un certo margine (variabile) di manovra interpretativa. I testi aperti sono quelli che sfruttano questa situazione pragmatica come ipotesi regolativa della propria strategia.”
  • 15. Il Partenone ad Atene
  • 18. Oltre al pensiero paradigmatico e al pensiero narrativo è possibile parlare di un pensiero ipertestuale? Come nella narrativa multilineare, il pensiero ipertestuale non afferma qualche genere di verità di un testo: ne afferma la narrabilità
  • 19. Contributi della scrittura ipertestuale alla terapia 1. La riconfigurazione dell'Autore 2. L'ipotizzazione multilineare 3. La virtualizzazione della realtà 4. Il disorientamento 5. I link fra testi (connettere storie e personaggi) 6. Multimedialità e tecniche non verbali
  • 20. Una “buona storia” Secondo Aristotele (“Poetica”): linearità e unitarietà, coerenza formale, nodo e scioglimento, preparazione a un finale: “In questa differenza sta anche il divario tra la tragedia e la commedia, giacché l’una tende ad imitare persone migliori, l’altra peggiori di quelle esistenti.” “Quanto ai caratteri, quattro sono le cose a cui si deve mirare, di cui una, e la prima, è che siano buoni. Il personaggio avrà poi un carattere se, come si è detto, il suo discorso e la sua azione rendono manifesta una qualche risoluzione e, se questa è buona, buono sarà il carattere. E ciò è possibile in ciascuna condizione, perché buona lo è anche la donna e buono lo schiavo, benché di questi l’una sia inferiore e l’altro di infimo rango. La seconda cosa a cui si deve mirare è la convenienza, perché è anche possibile che una donna sia di carattere coraggioso, ma non è conveniente per una donna essere fino a questo punto coraggiosa o fiera. La terza è la somiglianza, e questa è cosa diversa dal fare il carattere buono e conveniente come si è detto. Quarta è la coerenza, giacché anche se il modello dell’imitazione sia una persona incoerente e si sia supposto un tale carattere, deve essere coerentemente incoerente.”
  • 21. Ian McEwan analizza le narrazioni ricorrenti sulla fine del mondo. Le persone hanno bisogno di pensare che le storie abbiano una fine? Ma le storie hanno una fine? Hanno un inizio?
  • 22. Femminismo e approccio narrativo Mary Olson: il ricercatore come “testimone esterno” La sua ricerca “analizza i temi dell'avere voce in capitolo e della comunicazione e sviluppa pratiche di ricerca relazionale che consentono al singolo di fare esperienza di sé stesso nella sua intierezza. Le idee narrative e riflessive e le pratiche conversazionali provenienti dalla terapia familiare sono qui incorporate in un metodo di studio.”
  • 23. La ricerca di Bergamo, ispirata al lavoro di Mary Olson (v. Connessioni, n. 21): Follow up nell'anoressia Le narrazioni delle ex pazienti v. anche “Rashomon, Manuela e l'anoressia”: http://www.massimogiuliani.it/blog/?p=70 “La terapia raccontata dalle anoressiche”: http://www.ibridamenti.com/costruzioni-identitarie/2008/11/la-terapia-raccontata-dalle-anoressiche/
  • 24. Dott. C. Casati: “ Su 27 casi seguiti [...] in 25 era scattata nella paziente la molla: “Non è vero, se io voglio, posso mangiare”. A questo punto sfidavo la paziente dicendo che non le credevo: “Le do una settimana, non m’interessa se mangia pane piuttosto che carne, faccia quello che vuole. Io la peso adesso, se lei fra una settimana è aumentata di peso, mi scuserò, perché vorrà dire che ho sbagliato la mia diagnosi”. Queste ragazze riprendevano a mangiare e io suggerivo loro, all’inizio, di mangiare alimenti facilmente digeribili come il gelato. Penso che la maggior parte delle pazienti abbia ripreso a mangiare entro la prima settimana. In seguito però, mi sono accorto che qualcuna diventava bulimica, mettendomi così in un’impasse incredibile; per questo, dal terzo caso in poi, ” abbiamo arricchito il nostro intervento con il messaggio: “Lei non può mangiare e poi anche se si mettesse a mangiare diventerebbe bulimica”. Da quel momento in poi, non abbiamo avuto più casi di bulimia.
  • 25. Dott. G. Covelli: “ L’intervento adottato da me e dal dott. C. Casati era piuttosto duro e quindi c’era un netto rifiuto da parte dei genitori anche se poi questi erano i casi con un esito migliore. La reazione di shock permetteva alla ragazza di stringere un’alleanza con i genitori contro di noi. Questo era uno dei meccanismi psicologici che aiutava a superare la situazione. Al contrario, se la reazione era scarsa sia da parte della paziente che dei genitori, le probabilità di successo erano ” minori.
  • 26. Dott. G. Covelli: “ In pochi abbiamo adottato tale metodo, con il quale è previsto un “non intervento”, nel senso che si dice alla paziente che non c’è niente da fare e si aspetta che sia lei a fare qualcosa. È un metodo ben lontano da un tipico intervento medico e accettare un ruolo simile non è facile, implica un’assunzione di responsabilità importante. All’inizio temevamo tentati suicidi, ma non è mai accaduto, anche perché, in un certo senso lo anticipavamo esplicitandolo e, in tal modo, la paziente, agendo con un acting out mi avrebbe ” dato ragione e non se lo poteva permettere. Era messa all’angolo: “O mangi o ti devi dichiarare pazza scatenata”.
  • 27. “ Terapeuta: Devo dire che questo mio modo di intervenire sulle pazienti era molto pesante, carico di tensione anche per chi lo attuava. Ogni volta era una sfida, ci chiedevamo: “Funzionerà ancora? È così meravigliosamente funzionante!”. Così ho deciso di non operare ” più con questo metodo. Manuela: “ Io metto il dott. Covelli su un piedistallo, per me è in gambissima. Anche il mio ragazzo mi ha aiutata tanto ed anch’io ho fatto la mia parte. Il perché mi sia capitato questo non lo so. Adesso, da persona lucida, dico che ho un carattere forte e parte del merito va anche a me. Il dott. Covelli diceva sempre che la bravura del medico è relativa, chi deve guarire è la persona che soffre. Mi è rimasta impressa una sua frase: “Devo dare atto alla tua volontà perché pensavo che tu non ce la facessi”. Ora mi ripeto quella frase anche quando ho delle difficoltà al lavoro o da qualche altra parte. Penso che se sono guarita da quella malattia, ce la posso fare anche in altre situazioni difficili. […] Per me le terapie, ripeto, sono state la manna. Non ne ho mai saltata neanche una, era una sofferenza andarci, ma non ne ho mai saltate.
  • 28. Parole chiave Per i terapeuti Per Manuela Ricorrono elementi di un La storia appare quella di un linguaggio bellicoso o competitivo: percorso duro con un compagno di  “mettere in scacco”; strada fidato:  “strategia”;  “stare bene”;  “manovrare”;  “bisogno di coccole”;  “attacco”;  “essere d'aiuto”;  “difesa”;  “carattere forte”;  “ricompattarsi”;  “volontà”;  “alleanze”;  “sofferenza”;  “avere il controllo”;  “tenacia”;  “sfida”;  “fiducia nel medico”;  l'intervento come uno “shock”;  “accettazione”;  “la paziente, agendo con un  Il terapeuta è “in gamba”, è “su un acting out mi avrebbe dato ragione piedistallo”. e non se lo poteva permettere”;  “era messa all’angolo”.
  • 29. Il tempo della terapia Per il terapeuta “Terapia” “Colloqui di controllo” 6 settimane alcuni anni di colloqui molto radi “Ricovero” “Terapia” Per Manuela
  • 30. Manuela e il senso comune “ Manuela: Alcune persone dicevano: “Voi ragazze volete fare la dieta, volete fare le modelle…”, ma io non ho mai guardato le modelle, non mi sono mai detta: “Mi piacerebbe essere come quella ragazza”. Avevo il fidanzato, non era che non mi guardava nessuno. Mi ricordo, invece, che quando stavo male tutti mi coccolavano di più; più mi coccolavano più io stavo male perché se stavo male di meno ero coccolata di meno. Queste sono ” però riflessioni che faccio adesso…
  • 31. Manuela e la competenza... “ Manuela: C’è anche qualcosa di positivo che ho preso dalla malattia: mi sono fatta una cultura sugli alimenti e sui componenti degli alimenti. Io sono partita con l’idea di un’alimentazione salutare, magari in modo sbagliato, ad esempio dicevo che il burro fa alzare il colesterolo, la combinazione di due alimenti altamente proteici non va bene… Intervistatore: Per cui si è fatta una cultura sugli alimenti, una conoscenza seppur “fai-da-te”? Manuela: Sì, “cultura” tra virgolette. Intervistatore: Leggeva molto sull’argomento? Manuela: Sì, molto. Per assurdo, nel periodo in cui ero a digiuno, mi ero fatta un’enciclopedia di ricette. Ancora adesso la uso per cucinare; ” avevo rilegato tutti i fogli, ero proprio dentro all’argomento, l’unico problema era che non mangiavo.
  • 32. ...Manuela e la competenza “ Intervistatore: Quindi tra le cose che le ha lasciato quel periodo c’è una bella collezione di ricette? Manuela: Sì, e ogni volta che ne preparo una che non mi piace la strappo così rimane posto per un’altra. Non è che ho dimenticato tutto; questo, per esempio, anche se potrei dimenticarlo perché una volta passata la malattia potrei non volerne più sapere, non lo dimentico. Che vada la malattia, ma ciò che ho imparato perché non metterlo in atto, magari anche con un po’ di “fissazione” per queste cose. Penso: “Chi è che non ha un pallino per qualche cosa? Io ho questo”. Se comunque mi permette di vivere normalmente perché non averlo? Se per eliminarlo devo fare un altro lavoro interiore allora me lo tengo. Succede anche con la bambina, per esempio non le faccio i ” piselli con la carne, ma i piselli con il pesce, è una questione di proteine.
  • 33. Alcuni approfondimenti utili... - Harlene Anderson, Harold A. Goolishian (1992), “I sistemi umani come sistemi linguistici. Implicazioni per una teoria della clinica”. In Connessioni, 2. - Lynne E. Angus, John McLeod (eds.) (2004), The Handbook of Narrative and Psychotherapy. Practice, Theory and Research. Sage Pub., California. - Paolo Bertrando () “Testo e contesto. Narrativa, postmoderno e cibernetica”. In Connessioni, - Marco Bianciardi e Paolo Bertrando (2002), “Terapia etica: una proposta per l’epoca postmoderna”. In Terapia Familiare, 69. - Luigi Boscolo e Paolo Bertrando (1993), I tempi del tempo. Bollati Boringhieri, Milano. - Luigi Boscolo e Paolo Bertrando (1996), Terapia sistemica individuale. Raffaello Cortina, Milano. - Jerome Bruner (1992), La ricerca del significato. Per una psicologia culturale. Bollati Boringhieri, Torino. - Jerome Bruner (1993), La mente a più dimensioni. Laterza, Roma - Bari. - Gianfranco Cecchin (1988), “Revisione dei concetti di ipotizzazione, circolarità, neutralità: un invito alla curiosità“. Ecologia della Mente n. 5. - Vernon Cronen (1991), “Coordinated Management of Meaning Theory and Postenlightenment Ethics”. In Greenberg, K. J. (1991), Conversations on Communication Ethic. Ablex, New Jersey. - Massimo Giuliani (2006), “Terapia ipertestuale: nuove metafore postmoderne per la clinica sistemica”. Terapia Familiare, 82. - Massimo Giuliani e Flavio Nascimbene (2009), La terapia come Ipertesto. Antigone, Torino. - Rom Harré, G. Gillet (1996), La mente discorsiva. Raffaello Cortina, Milano. - James Hillman (1984), Le storie che curano. Raffaello Cortina, Milano. - Lynn Hoffman (1990), “Constructing realities. An Art of Lenses”. Family Process, 29. Trad. it. sul sito Terapiasistemica.info. - Lynn Hoffman (1998), “Un'ottica riflessiva per la terapia della famiglia”, in McNamee, S., e Gergen, K., La terapia come costruzione sociale, Franco Angeli, Milano. - Mary Olson (2003), “Ascoltando le voci dell’anoressia: il ricercatore come testimone esterno”, in P. Barbetta, P. Benini, R. Naclerio (a cura di) Diagnosi della diagnosi. Guerini Editore. - John Shotter (1984), Social Accountability and Selfhood. Blackwell Pub. - Michael White (1992), La terapia come narrazione. Proposte cliniche. a cura di Umberta Telfener, Astrolabio, Roma.