2. FERRARA SU DUE PIEDI E … SU DUE RUOTE.
Un excursus tra storia e arte, tra memoria e ricordo, è quello che ha visto protagoniste due classi in particolare del nostro istituto, la 2 A e la 3 A del liceo classico: tra
le tappe visitate Cento, Ferrara, Carpi-Fossoli e Ravenna. Un viaggio all’ insegna della cultura, per non dimenticare che la storia è ancora viva ed esercita la sua
gravità sul presente, che ancora il ricordo del passato governa le dinamiche presenti e future. La storia ha sempre svolto una parte attiva nella vita dell’ uomo e, in
Emilia-Romagna, come anche nel resto della penisola, risulta parte integrante del tessuto urbanistico e con esso convive e ad esso si salda in armonica coesione. Ci
soffermeremo adesso sui veri protagonisti di questo viaggio d’ istruzione, ovvero le città e le località sopraccitate. Cento è sicuramente famosa per il suo
Carnevale, per i suoi pittoreschi carri allegorici, per il particolare brio e fermento che vi si respira in questo periodo dell’ anno.
A seguire Ravenna, città molto ricca di chiese, monumenti, biblioteche, opere che traducono in termini di magnificenza l’ intero processo storico che qui si è
tenuto, a partire dalle prime civiltà italiche, passando per l’ impero romano d’ Oriente ed il Medioevo fino ai giorni nostri. Vi si trova, inoltre, la tomba del divino
poeta Dante Alighieri, collocata nella chiesetta di San Pier Maggiore. Ed in termini di memoriale, si pone anche il campo di concentramento di Carpi, situato in località
Fossoli, vera e proprio anticamera della morte dove, oltre ad ebrei, furono internati anche dissidenti politici e oppositori del regime fascista. Il campo così come lo
vediamo oggi è frutto di una sedimentazione dei precedenti usi che se ne sono fatti e anche le poche baracche che ancora adesso vi si ergono, stanno lentamente
cedendo contro la morsa delle intemperie e degli agenti atmosferici. All’ interno di esso, distinguiamo due campi diversi, convenzionalmente detti Vecchio e Nuovo
campo, uniti però da un comune destino di
morte. Un ruolo preponderante in questa vicenda è stato giocato da don Zeno Saltini che,abbattendo le torrette e i reticolati del campo, vi insedia il 19 maggio del
1947,l’ Opera Piccoli Apostoli. Nasce così la Comunità di Nomadelfia che, oltre ad adulti, accoglie anche e soprattutto bambini e orfani di guerra, tutti uniti per
portare in un luogo di morte uno spiraglio di vita. Ed ecco che,dulcis in fundo, arriva Ferrara, città importantissima e tappa di soggiorno per le classi coinvolte nel
progetto. Fiorente centro rinascimentale, Ferrara è stata dichiarata patrimonio dell’ umanità nel 1995 e nel 1999, per il suo centro storico e per le delizie estensi. La
città fa anche da sfondo e da ambientazione al romanzo di Giorgio Bassani, il Giardino dei Finzi-Contini, ma si distingue per una sua propria peculiarità, ovvero per la
massiccia presenza e circolazione di biciclette. Ecco perché, facendo fede al titolo, può benissimo definirsi una città “su due ruote”, ancor più se questo dinamismo
diviene simbolo di un economia e, specialmente il settore turistico, in continuo movimento ed un indice di civiltà, sensibilizzazione al risparmio e all’ ambiente. La
città si avvale di una mobilità pensata nel rispetto delle norme d’ eco-sostenibilità e contro l’ inquinamento, limitando il traffico in alcune aree, istituendo apposite
isole pedonali e piste ciclabili, favorendo il noleggio e la compravendita di biciclette. Una vera e propria “cultura della bicicletta” che non ha precedenti in altre
regioni; vi contribuisce anche un’ assoluta linearità del territorio, privo di qualsiasi dislivello che , in tal modo, si piega ad un uso più che quotidiano (anche notturno)
di questo efficiente e maneggevole mezzo di locomozione. Purtroppo, anche e soprattutto a causa della pioggia e della neve, non è stato possibile visitare la città su
“due ruote”. Inizia allora, per ovvi motivi, un’ itinerario della città “su due piedi”, che ha toccato perlopiù chiese e musei; tra questi il Duomo di Ferrara, lo splendido
Castello estense, Casa Romei e il monastero Corpus Domini. La cattedrale di S. Giorgio o Duomo è di datazione incerta ( in un’ iscrizione posta all’ ingresso dell’
edificio compare il verbo latino “struitur” di difficile interpretazione, che alcuni traducono con “si costruisce”, mentre altri con “si continua a costruire”). In esterni
reca logge, arcate, statue, rosoni e bassorilievi e due importanti iscrizioni di carattere civico. In interni presenta tre navate decorate in stile barocco e varie cappelle
laterali contenenti affreschi del Guercino, del Garofalo e del Francia. Il castello, emblema della famiglia degli Estensi, apparteneva in realtà ai Salinguerra, poi
definitivamente sconfitti da Niccolò II.
Niccolò può ben considerarsi il primo di una serie di esponenti della famiglia estense che, in generale, apportarono modifiche e cambiamenti al castello tali da
trasformare l’ edificio in quel fiabesco ibrido architettonico tra un palazzo di corte e castello che oggi ammiriamo. Uno dei fanalini di coda di questo tour all’ insegna
dell’ arte e della cultura è stato Casa Romei, uno dei pochi esempi di dimora signorile in età ducale.
L’ intero edificio affaccia su di un cortile, frutto dell’ unione di elementi medievali con elementi rinascimentali, in cui campeggia uno splendido monogramma di
Cristo. Le stanze al piano terra sono di scuola gotica, ed in particolare la stanza delle Sibille, adornata da ritratti femminili con in mano i cartigli delle profezie.
Originale è anche l’ imponente camino.
Il primo piano fu adibito, per volere del cardinale Ippolito II d’ Este, a salone refettizio , dov’è ripetuta più volte l’ aquila bianca, simbolo del cardinale stesso. Lo
studiolo di Giovanni Romei presenta ancora il soffitto a cassettoni, decorato da stampe su carta, un artificio allora assai comune. In ultimo c’è il lapidario, che
raccoglie fregi in marmo e laterizio, sculture e stemmi rinvenuti un po’ dappertutto nella città di Ferrara.
Notabili sono anche il Palazzo dei Diamanti, così chiamato per la sua particolare facciata a forma di diamante, appunto, ed il museo sulla Shoah, installazione
itinerante di scritte rosse graffite su parete, nonché frasi tratte da testimonianze di internati, diari, autori, che si sono più volte rifatti a questo tema. Inaugurale è la
frase di Bertold Brecht, famoso drammaturgo e poeta tedesco, che dice: “E voi imparate che occorre vedere e non guardare in aria: occorre agire e non parlare.
Questo mostro stava, una volta, per governare il mondo! I popoli lo spensero ma *…+ il grembo da cui nacque è ancor fecondo”. Nostro compito è esorcizzare e
sterilizzare quel mostro con la forza degli ideali.
3. IL RAP E LA SOVRANITA’ DELLA PAROLA.
Tra i tanti generi musicali che affollano il “panteon” della musica, il rap meriterebbe qualche parola al riguardo. Nato dalla commistione di diversi generi, a partire
dalla work song, fino al malinconico blues ed al virtuoso jazz, è particolarmente in voga tra i neri dell’ America latina e dell’ Africa, sebbene recentemente se ne sia
vista una rapidissima espansione. Consiste nel parlare seguendo un certo ritmo su una base o beat, prodotta da un beat maker, suonata da un DJ e interpretata da un
MC. Il rap non è un semplice genere musicale, ma uno degli elementi più importanti dell’ hip-hop, espressione fonica di una protesta sociale che si scaglia contro il
capitalismo e le logiche del sistema, che hanno sempre portato fame, guerra, malattie, falsi pregiudizi. Nel contesto primario in cui s’ inseriva, il rap appariva una
forma di denuncia fondamentale per i neri costretti a subire le angherie dell’eurocentrismo, segregati, uccisi e massacrati dall’ uomo bianco. Ma adesso, a differenza
di allora, ha assunto altre accezioni e il suo scopo è mettere in guardia e premunire riguardo i problemi della società, artificiosamente coperti e mascherati da una
frivola sovrastruttura di perbenismo e topos dell’ “uomo buono” che, come ci è chiaro, non è l’ imprenditore che ha i soldi o il politico che miete consensi, ma è colui
che riesce a mantenere la sua integrità morale ed intellettuale, dissociandosi da ogni forma di massificazione e indottrinamento ideologico, dalla omologazione della
marca e dalla spettacolarizzazione mediatica. Il rap condanna soprattutto l’ aspetto perbenista dell’ economia capitalistica, dove tutti sono bravi,belli, felici e poi fuori
dai riflettori la gente soffre. L’ egoismo nei confronti del diverso, del malato, dell’ indigente, il disprezzo e la noncuranza della realtà della strada, che è ultima
spiaggia di una società stratificata, dove il cash è la condicio sine qua non, la Chiave per il successo, per l’ onore, per la ricchezza. Non c’è un solo strato della società
che non sia corrotto,se per corruzione s’ intende quel sostrato di marciume che giace oltre la finta apparenza. Forse che l’ uomo si debba giudicare da ciò che
indossa, da quanto profuma o da quanto è ricco?Il rap invita ad oltrepassare i confini del concreto, a carpire la verità partendo dal basso, allontanandosi da ogni
ideale di utopica felicità, da tutto ciò che soffoca e non lascia emergere l’ evidenza. Bisogna toccare il fondo per risalire la china e il progresso porta intrinseca la sua
antitesi, perché nulla è come si vuol far credere o inganna lo sguardo se non si possiede una certa lungimiranza. La verità è il vettore che muove la rivolta o la
protesta cui il rap aspira, senza però che vi siano né troppi martiri né troppi disertori, ma tutti ne siano ugualmente partecipi e creino diritti laddove oggi se ne fa
richiesta. Non c’è miglior metodo di formazione per l’ uomo che sperimentare sulla propria pelle la cruda e vera realtà, perché ogni ferita non mortifica ma tempra e
rende forti, perché forse il difetto della nostra società è farci maturare nella bambagia e sradicarci quando saremo maturi. Noi siamo frutto di noi stessi e delle nostre
esperienze e la ribellione dev’ essere anzitutto intellettuale, l’ affrancamento dai canoni prestabiliti che poi tutti violano arbitrariamente, dev’ essere attivo e
disarmato. Un altro pilastro del rap è proprio la consistenza e la sovranità della parola. Qui entra in gioco e risalta particolarmente la potenza espressiva ed evocativa
della retorica, una liricità solenne ed impegnata, quasi mitologica, che crede nell’ immortalità della parola e dell’ opera d’ arte in quanto tale. E’, questa, la corda più
sensibile e profonda del rap, che penetra nell’ imperscrutabilità della parola e cerca di darle consistenza perché diventi vessillo di rivolta, parola d’ ordine. Un altro
aspetto del rap è costituito dal riferimento alla droga, alle armi, alle lotte tra bande o con la polizia, ossia il gangsta rap o droga rap. Talvolta molte delle situazioni
raccontate sono vere, spesso e,soprattutto in America o negli Stati Uniti, sorsero vere e proprie cosche mafiose o crew; talvolta talune sono strumentalizzate dai
rapper per predisporre l’ ascoltatore e sensibilizzarlo alle diverse tematiche, dissuadendone ogni tentativo di emulazione .Sta un po’ anche all’ ascoltatore saper
discernere questo equivoco, distinguendo tra ciò che è moda e ciò che, invece, vuole assurgere a paradigma del vero. Questo determina anche una profonda
divisione tra rap commerciale e underground, ed in tal senso è orientata la critica al genere. Ma se ogni forma d’ arte ha per fine l’ utile, allora anche questa piccola
pecca viene assorbita nell’ ambito più ampio dell’ informazione,del comprendere qualcosa della vita molto di più degli altri, e divulgarla ,di una lotta alla
disinformazione. Trattando anche il tema dell’ amore, infine, il genere ha effettuato la sua più grande evoluzione, perché diverge dai temi caldi e scottanti cui è
abituato, per lasciar intendere come dal dolore possa nascere l’ amore, come dalla confusione il perfetto equilibrio. L’amore, inteso non solo come rapporto tra due
persone ma anche come amorevole condiscendenza verso le diverse istanze sociali, ai nostri tempi è stato contaminato dal sesso e dalle perversioni, dalla rottura
eccessiva dei tabù. Tutto ciò ha indotto la demolizione degli ideali, della fantasia, della voglia di rapportarsi attraverso un linguaggio che non sia solo sinergia di
corpi, ma anche di eloquenti silenzi,anche di intensi sguardi. Bisogna ripristinare la purezza delle emozioni, delle sensazioni, spogliarle di inutili e futili
sofisticazioni, cogliendo solo quello che è pura essenza. L’ amore è un sottile filo rosso che ci tiene uniti in simbiotica interdipendenza, cosicché ci completeremo
sempre a vicenda e non saremo mai vuoti e,se anche un solo nodo si dovesse sciogliere, qualcuno sarà sempre pronto a ripristinarlo, rinsaldando così quell’ armonica
coesione e quella comunanza di intenzioni che nessun male potrà mai scalfire. Questa è l’ ottica stessa con la quale si inserisce e si pone nell’ ambito del rap.
4. SANREMO 2012: TRIONFA EMMA MARRONE.
Emozioni in musica, ma soprattutto tante polemiche, in scena sul palco dell’ Ariston.
Anche quest’ anno si è ufficialmente conclusa la kermesse canora sanremese che ha visto il trionfo di Emma Marrone, che si è rivelata una delle cantanti più
gettonate degli ultimi tempi, occupando i primi posti in svariate classifiche musicali , arrivando addirittura a contendersi al televoto insieme ad Arisa e Noemi uno
dei podi più ambiti di sempre: quello dell’Ariston. Una gara ricca di emozioni, che ha visto avvicendarsi sul palco 14 artisti, protagonisti ed interpreti delle canzoni di
ieri, di oggi,e dell’ Italia che sarà (San Remo giovani). Nella quarta delle cinque serate sanremesi gli artisti in gara si sono esibiti in numerose collaborazioni con altri
volti noti del campo musicale. Beniamino di quest’ edizione il già ben noto Gianni Morandi coadiuvato dall’ attore e regista Rocco Papaleo insieme a tre madrine d’
eccezione: Elisabetta Canalis, Belen Rodriguez,( presenti peraltro anche nella scorsa edizione), pronte a passare il testimone della nuova edizione ad Ivana
Mrazova, molto spesso chiamata Ivanka. La prima serata si apre all’ insegna della comicità (numerose del resto le presenze di comici in tutte le serate
successive, come Alessandro Siani e Geppy Cucciari) pungente e tutta impregnata di satira degli showman Luca e Paolo che, ricalcando le mosse della scorsa
edizione, cantano una versione inedita di “Uomini soli”, raccogliendo pertanto il boomerang della critica e dell’ invettiva polemica. Di invettive si è parlato anche per
quanto riguarda i discorsi “inaugurali” di Adriano Celentano che, a distanza di anni, ritorna alla ribalta in televisione e sul palco dell’Ariston; scagliandosi con arditi
sermoni contro le testate giornalistiche cattoliche “Famiglia cristiana” e “Avvenire”,Celentano ha giudicato inopportuno che i preti debbano occuparsi solo di
questioni politiche, invece di portare e trasmettere la luce della parola di Cristo a quanti, anziani, ammalati, si trovano in difficoltà o a quanti si gioverebbero
semplicemente che si parlasse loro di Dio, delParadiso, del Regno supremo che Dio stesso ha predisposto per noi. " Preti e frati – spiega Celentano -non parlano mai
del paradiso come se l'uomo fosse nato soltanto per morire ma non è così >>. Brevi attacchi a Montezemolo e all’ alta velocità che ha sì innovato il paese ma che, allo
stesso tempo, ha lasciato senza lavoro quei 65 dipendenti della Wagon Lits che l’ 8 dicembre scorso hanno occupato in segno di protesta a Milano il grattacielo della
sede di Intesa San Paolo. A Montezemolo e alla Consulta, rea di aver bocciato i referendum abrogativi della legge elettorale presentati dai ministri Di Pietro, Parisi e
Segni, Adriano ha voluto ricordare che l’ Italia sta perdendo tutta la sua bellezza – “La mia bellezza sta sfiorendo” dirà un’ allegorica Elisabetta Canalis salita sul palco
con addosso il tricolore- e che il popolo non è in effetti sovrano, come invece rammenta la Costituzione, inscenando un farsesco diverbio con il cantante Pupo sul
concetto di “altezza” e “bassezza”. Anche per quanto riguarda quest’ edizione le polemiche non si sono fatte attendere, ad iniziare da qualche problema tecnico al
sistema del televoto nella serata iniziale, passando poi ai già citati discorsi di Celentano, allo spacco vertiginoso del vestito di Belen Rodriguez che lasciava intravedere
il contestatissimo tatuaggio, per poi terminare con il vestito trasparente di Ivanka nella serata di chiusura. Le critiche d’ altronde hanno sempre accompagnato ogni
edizione del Festival, in forma di un sabotaggio mediatico che si nutre di ogni particolare, di ogni piccolissimo difetto, per tentare di mettere ad ogni costo i bastoni
fra le ruote, magari sperando che resti “in panne”, a quella grande macchina da spettacolo qual è San Remo. Proprio su questo aspetto è tornato ad esprimersi
pervicacemente in chiusura di Festival, quasi non soddisfatto del già intrapreso discorso della prima serata, Adriano Celentano che, attraverso un’ intensaarringa
difensiva, ha affermato: << La corporazione dei media si è coalizzata in massa contro di me>>. Celentano parla della corporazione di quanti hanno voluto vedere a
tutti i costi del marcio in quelle parole non esitando a <<cambiare il modo dei verbi>> , non volendo o <<facendo finta di non capire>>. Celentano
sottolinea, insomma, come l’ uomo si stia allontanando da Dio e, ancora di più, la Chiesa, che Dio dovrebbero rappresentarlo concretamente, andando oltre il
semplice teorema verboso ed aprendosi ad una realizzazione piena della sua Parola. Emerge, dunque, dalle parole dello stesso Celentano, che il suo discorso non è
stata una semplice e mera invettiva o una trovata per tornare a farsi applaudire e riscuotere successo, né di un delirio di onnipotenza dovuto al successo
stesso, come qualcuno ha osato affermare ; lui ha semplicemente parlato <<a quei 16 milioni di persone che hanno visto il Festival di Morandi>> per ricordare quella
che è una piaga di tutti noi, della nostra società: affermare teoricamente l’ esistenza di Dio e, puntualmente, negarlo nelle azioni, nella semplice realtà di tutti i giorni.
Ed è appunto per questo che << non esistono quelli alti o quelli bassi, esistono quelli giusti o quelli sbagliati>> ; esistono cose e persone che possono piacere e non –
de gustibus non est disputandum – ma quelle persone soprattutto che hanno il coraggio di perorare una causa, giusta o sbagliata che sia, sono le uniche
che, parlando a viso aperto in pubblica piazza, accettando tutti gli aspetti positivi e negativi del caso, permettono a noi tutti, ancora una volta, di guardarci intorno e
capire cos’è che nel nostro mondo non va e cosa noi, in quanto abitanti del mondo, siamo in grado di fare per cambiarlo. E’ un dovere, come Celentano lascia
intendere, etico e morale, che parte dalle menti di tutti noi e si attua e concretizza nell’ estenuante ed orgogliosa difesa dei valori e degli ideali cardine della nostra
società, ed invece troppo spesso siamo assorbiti e massificati da un qualunquismo che porta a discolparci e ad esonerarci, dipartendoci da quelle che sono le nostre
responsabilità come i preti che sembra dicano: << Noi la predica l’ abbiamo fatta, poi chi se ne frega se gli ultimi in fondo non sentono>>.