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Franco Lanfredi aka Lanfree




                              3
L’Editore, nel ringraziare tutti i ragazzi pionieri di WDE
    che hanno preso parte a questa prima iniziativa, inviando i propri lavori,
    ritiene doveroso ricordare che la realizzazione di questo libro
    è stata resa possibile grazie anche al contributo ed al sostegno
    degli sponsor amici di WDE:
    ARKÈ - BEST-SERVER - E-TREE - PAUL HARTMANN - INTERA




    © 2002 - Editoriale Sometti, Mantova
    www.sometti.com
    ISBN 88-88091-91-2

4
Presentazione




I COLORI DELLA LUCE

Il merito esatto di ciò che è arte e quello che non lo è deve ancora, dopo tanti secoli,
essere deciso con chiarezza. Non esiste la formula decifrabile per la meritocrazia
intellettuale. Ogni tempo ha le sue discipline e ciò che è gradito in un’epoca è dimen-
ticato in un’altra. La via del sublime è difficile e sconosciuta ma è altrettanto stimo-
lante e avvincente.
Anni fa (molto tempo è passato) avevo scritto in un avventuroso pensiero, che il giu-
dizio possibile approssimativo di un’opera d’arte non sarebbe stato l’uomo a definir-
lo, ma un suo alleato energetico, l’elaborato di un computer. Selezionare la quantità
visibile o intuibile di intelligenza, umanità e bellezza. La possibilità di calcolo deci-
derà dei valori la cui somma ci dirà, forse, quanto può essere alta un’opera al con-
fronto di un’altra.
Ovviamente questa è una futura ipotesi, anzi una avventura fantascientifica, ma que-
sto per dire che “l’inebriante tecnologia” del mondo contemporaneo può indicare
sempre più una fratellanza tra l’uomo e i suoi giocattoli pensanti.
Per millenni si è usato scalpello e pennello per creare un’immagine osservabile. Ed
oggi con tanta più facilità si usa quell’alieno elettronico che è il computer. L’arte
moderna, che ha riempito musei, sembrava tutto e ogni cosa, ed invece ora è insi-
diata. Un’altra forma di immagine è creata. Proviene da un caos profondo del pote-
re della “energia” e si affaccia con un gioco di colori e di forme eccitanti. Sono i geli-
di pixel dello schermo che appaiono nuovi, docili e superubbedienti, che si introdu-
cono in una estetica moltiplicata e che hanno uno strapotere di efficenza, visibilità,
comunicabilità. Un pixel semplice e micrometro, ma che può in un attimo attraversa-
re il mondo, da uomo a uomo lontano, lontanissimo.
Cosa può dunque fare di più un povero pittore con tavolozza e pennelli in una stan-
za per completare un quadro e aspettare.
Il tempo velocizzato ha dato esperienza a un nuovo ed intensivo sviluppo, ad una
gioventù creativa lanciata verso il futuro, verso il nuovo genio della specie per un’ar-
te diversa.
Ed è sempre una gara persistente per il diverso, in cerca di quel filo intellettuale che
crea le mode, le novità, gli stili e i concetti. Che stimola la passione per appropriarsi
di spazi diversi al confronto del passato.
Ed ecco quindi formarsi un promesso artista di webdesign, spesso slegato dal mestie-
re del passato, candido e ammaestrato per lavorare con l’intangibile, veicolare infor-
mazioni visive. Egli può avere un’arte intesa come abbellimento della propria mente
e che diventa accessibile e visibile a tutti, ovunque, in qualsiasi luogo. Un’avventura
mai immaginata in millenni di civiltà che diventa pratica semplice e amorevole.
Come dopo un’eclisse appare la luce, così dal buio del computer appare il pixel di
luce, l’arcangelo splendente che informa calcola esprime e raccoglie i simboli del
pensiero per restituirli attraverso i punti luce del monitor a volte in modo generico,
ma altre con una suggestione diversa dalle antiche immagini.
Vi è un condensato di universale nella libera rivisitazione che il webdesigner informa
con leggerezza sfiorando i tasti e richiamando forme e colori. Arrivano d’impatto

                                                                                             5
dentro il rettangolo luminoso dello schermo, qualcosa di immateriale senza sostanza,
    incorporeo e di pura visione dove non esistono limiti e frontiere.
    Sono messaggi di luce che giungono da un potere etereo, dall’antica energia del sole
    che giunta sulla terra e qui riposata ora si trasforma in potere elettronico, indefinibi-
    le come forza, tuttavia sparsa dovunque nell’universo e che resiste al passaggio del
    tempo senza limiti.
    La luce, strumento del nuovo artista, costruttore di immagini luminose: il webdesi-
    gner che lavora nella penombra con un colloquio silenzioso col suo traduttore di idee
    e pensiero, il computer, campione di memorie, maestro nell’ordine, ubbiediente alla
    sapienza. Un aggeggio strano e generoso che restituisce il suo insondabile contenu-
    to al solo tocco di una tastiera, una soffice carezza.
    Un regalo così grande non poteva l’umano aspettarsi. Come questo è generoso di
    scienza, tecnologia, velocità di informazione, un potere così grande non può non
    coinvolgere l’arte che è l’assoluto dell’uomo.
    Con la sua presenza e con i prossimi webdesigners, con coloro che ne sono i detento-
    ri piloti, darà certo contenuti da integrare ad una formula aggiunta alla storia del-
    l’arte, l’arte della luce, la webdesignart con i suoi vaghi bagliori colorati provenien-
    ti da rarefatte distanze e da confini oltre il buio del tempo.
                                                                                   Lanfranco
    17 agosto 2002




6
Ammirando le opere di Lanfranco, Lanfree si è proposto un progetto ambizioso.
La reinterpretazione di alcune opere significative del maestro mantovano in una sorta
di paternità d’origine artistica delle webdesignart, ha aperto un capitolo nuovo.
Come in un gioco, ma soprattutto spinto dalla curiosità, Lanfranco ha donato la bel-
lezza delle sue opere ad una estrapolazione esplorativa senza precedenti. 128 opere
reinterpretate da tutto il mondo in pochi giorni hanno riempito una pagina Web che
è destinata a rimanere un esempio vitale di rara bellezza.


“We’re Lanfranco’s Sons”
http://www.webdesignersexperiments.net/lanfranco_ping_pong/

Le 128 composizioni presentate dai giovani webdesigners esprimono un imprevedibi-
le modo di interpretazione di un’opera dipinta e tonalità di colori sconosciuti alla pit-
tura tradizionale e alla storia dell’arte.
Gli autori non condizionati da precedenti culture artistiche, danno un messaggio di
libera rivisitazione delle forme e del colore per una nuova e diversa estetica che è pos-
sibile con gli strumenti della tecnologia.
Alcune opere sono state scelte perché uniscono con equilibrio di effetti la sostanza
formale del modello riprodotto, alla eterea movibilità colorata del computer.
(1° gruppo). Altre per l’impegno tecnico di lavoro nel trasformare il modello in imma-
gini complesse, ricche di originalità e bellezza. (2° gruppo).
Un creativo spazio di nuovi visionari e nuove esperienze per l’arte.
                                                                               Lanfranco
25 agosto 2002



OPERE SEGNALATE
(1° gruppo)      Daniele Cascone (la donna che regalò i pianeti)
                 Kristal_Varelli Margherita (ebbrezza privata)
                 Massimo Kunstler (all images)
                 Piero Desopo (il luogo dello spirito)
                 Rizky – Indonesia (ebbrezza privata)
(2° gruppo)      Daniele Tabelloni (giacca psichedelica)
                 Harry J-H (la donna che regalò i pianeti)
                 Karborn (gli amanti del sogno)
                 Ideali (lo spirituale ed il demoniaco)
                 Indifference (la donna che regalò i pianeti)
                 Irene (gli amanti)
                 Mauro Gatti (eva metallica)
                 Marco Mongelli (Venezia al sole)
                 Raffaele Rutigliano (gli amanti)
                 Roberto DellaVedova (il labirinto)
                 S. B©nauta (incontrare un altro mondo)
                 Satya.Gumilang (eva metallica)
                 Terrorpilot (lo spirituale ed il demoniaco)
                 Tilaar,Desiree (apridonna)
                 Moch Zamroni (apridonna)

                                                                                            7
Daniele Cascone (la donna che regalò i pianeti)




8
Massimo Kunstler (all images)
Rizky – Indonesia (ebbrezza privata)




                                                                       9
Kristal_Varelli Margherita (ebbrezza privata)
     Piero Desopo (il luogo dello spirito)




10
Introduzione



DAL PIXEL ALLA PAGINA A STAMPA:
MEMORIA DI UNA WEB COMMUNITY.
“Laboratorio” è parola ricca di fascino, di suggestione. Perché implica, oltre al senso
del lavoro, dell’operosità, dell’uomo faber, anche l’interesse per ciò che si crea e si
forgia. Nel laboratorio l’artigiano dà un senso alla propria vita manipolando la mate-
ria con i propri strumenti e creando – cioè aggiungendo tratti significanti – opere
che sono messaggio della sua esistenza, del suo modo di vedere la realtà nella quale
vive. Pardon, ho detto “artigiano”. Eppure laboratorio in francese fa “atelier” e l’ar-
tigiano assurge subito al rango di artista: ecco, basta cambiare matrice linguistica e
il mondo si legge in altra prospettiva. Ma poi la differenza, davvero mai come in que-
sto caso, è soggettiva, legata a chi sa intendere – meglio interpretare – un pensiero
sustanziato in una realizzazione che vuole andare oltre all’asservimento di uno scopo
primario, per la quale generalmente è stata commissionata e, talvolta, pagata.
Lanfree ha creato un laboratorio, di questo tutti coloro che hanno a cuore le sorti della
Web art dovrebbero rendergli merito. Uno dei primi provider italiani si era scelto
come nome “agorà”, era un nome centrato: la piazza è un luogo ove ci si incontra, ci
si confronta, si parla, si commercia: così avveniva tra coloro che si affacciavano per
la prima volta sulle soglie della Rete. Lanfree però ha creato qualcosa di diverso: ha
offerto non solo un luogo ove stabilire contatti en plein air, ma ha fornito un tetto, un
riscaldamento, un pasto caldo: soprattutto ha accolto con un abbraccio chi voleva
entrare, con lo spirito – e le attenzioni - di un vero dominus, padrone di casa, una
situazione ben diversa dalla piazza. Nel grande opificio di WDE si sono ritrovate prima
di tutto (prima di artisti, artigiani, smanettoni) persone che hanno voluto condivide-
re qualcosa insieme, partendo da un punto comune – la creatività in Web – per giun-
gere ben oltre, laddove che cosa si faccia ha importanza relativa, mero pretesto per
stare insieme. Basta passare un’ora con Lanfree per rendersi conto che il fattore este-
tico dell’operazione WDE è del tutto secondario rispetto allo spirito di gruppo, al sen-
tirsi uniti prima come community che come guilda d’artisti.
Ecco: comunità è un’altra parola importante di questa storia. Internet non è nata
come rete per una comunità, a meno che non si voglia definire con questo termine
l’insieme dei distaccamenti militari statunitensi a metà degli anni Sessanta. No,
Internet è divenuto strumento di comunità quando, sotto la spinta del mondo dell’u-
niversità, si è compreso che attraverso cavi e computer potevano essere fatti passare
non solo dati strategici, scientifici, statistici, ma emozioni. Sissignori, emozioni. La
svolta della Rete è stato lo sforzo – mentale, puramente mentale – di comprendere
che dietro lo schermo sul quale stiamo disegnando o digitando parole non stanno
transistor, ma persone: occhi e cuori in ascolto, come scrive Howard Rheingold, l’i-
spiratore di “The Well” una delle prime comunità virtuali nate attraverso la comuni-
cazione telematica: “I realized that the people who have the information are more
interesting than the information alone”1.
Da lì in poi tutto il resto. Il Web non è che l’ultimo (in ordine di apparizione, benin-
teso) passaggio verso la possibilità di utilizzare la Rete come un formidabile ausilio
alle esigenze di un gruppo. Il Web, lui sì a differenza di Internet, nasce per una pre-
cisa comunità – quella dei fisici delle particelle – ma non solo allo scopo di scambia-
re e condividere dati sperimentali, ma anche per cementare quegli usi, quelle con-
suetudini che sono lo spirito di un gruppo. Chiariscono il concetto le parole di Tim
Berners-Lee, l’inventore del Web:

                                                                                            11
Il Web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica. L’ho progetta-
           to perché avesse una ricaduta sociale, perché aiutasse le persone a collaborare,
           e non come un giocattolo tecnologico. Il fine ultimo del Web è migliorare la
           nostra esistenza reticolare nel mondo2.


     Tramite il Web si creano dunque non solo legami tra documenti, ma soprattutto tra
     persone che danno un segno della loro esistenza attraverso un’interfaccia che, nel
     nostro caso, è rappresentata da uno strumento ipermediale. Legami tra persone che
     sono il fondamento di una determinata trama relazionale e, di conseguenza, come
     non vedere questo volume innanzitutto come un fortissimo segno di identità comu-
     nitaria? La stessa partecipazione alla gestazione del prodotto finito, una condivisio-
     ne continua in tempo reale, sarebbe di per sé un forte motivo di riflessione. Qui, a
     partire dalla copertina, tutto è stato pensato come un progetto aperto alla collabo-
     razione di tutti: sul sito di WDE una sezione raccontava i passi avanti, i dubbi, le riso-
     luzioni (perché poi qualcuno deve pur risolversi a prendere delle decisioni anche se
     difficili, perlomeno impopolari), tenendo la community sempre al corrente, sempre
     all’erta, pronta ad affrontare nuovi stimoli e suggerimenti. Questo è stato il desiderio
     di Lanfree: che questo fosse il libro di WDE, cioè che ciascuno dei ragazzi potesse dire:
     questo libro è anche mio.
     Secondo punto di interesse: perché la scelta di una pubblicazione su carta per testi-
     moniare l’opera di artisti che lavorano con il mouse invece che con il pennello? Perché
     il libro è per eccellenza nel mondo occidentale, laddove è stata inventata la rivolu-
     zionaria scrittura sillabica, lo strumento principe della memoria, contro l’oblìo, con-
     tro la dimenticanza a volte non voluta, a volte inconscia. È proprio della libertà che
     deve contraddistinguere l’azione di ciascun artista la facoltà di decidere le sorti della
     propria opera. Questo non da ieri, da sempre. Virgilio che, sul punto di morire, impo-
     ne che l’Eneide scompaia insieme al suo autore è un esempio più che noto. Salvo il
     fatto che, d’altra parte, è anche diritto della società impedire la distruzione della
     memoria, soprattutto quando l’opera che rischia l’annullamento è opera nella quale
     vengono riconosciuti valori comuni, condivisi. Allora, fra queste due libertà, si gene-
     ra una situazione drammatica che spesso non ha modo di essere ricomposta se non
     attraverso un atto di forza da parte dell’uno o dell’altro degli attori in scena. In appa-
     renza la Web art è per natura del mezzo utilizzato, ma più spesso per intenzione este-
     tica di chi la pratica, un’arte effimera, che tende a scorrere via veloce senza lasciare
     un sedimento materiale. La scelta dunque di un sistema antico di preservazione della
     memoria utilizzato allo scopo di registrare forme nuove, prometeiche e sguscianti,
     può apparire una stranezza davvero balzana. Eppure non è così: aprire un archivio
     elettronico (un database accessibile via Web) con i lavori che vengono presentati in
     questo volume avrebbe significato probabilmente una più corretta “preservazione”
     delle qualità intrinseche delle opere d’arte ma, d’altro canto, una molto più flebile
     presenza come memoria di gruppo. E questo secondo aspetto è – ribadiamolo – ciò
     che sta alla base di questa operazione editoriale. Questo non significa, naturalmente,
     che non debbano essere poste in atto tutte quelle strategie che possano garantire
     anche a chi verrà dopo di noi la fruizione più corretta delle opere presentate. Opere
     che sfruttano tutta la gamma delle tecniche multimediali, opere che hanno nell’ani-
     mazione molte ragioni della loro esistenza, opere che – per riprendere una conside-
     razione vecchia ma sempre validissima di McLuhan – sono nate per essere fruite attra-


12
verso un dispositivo che fa del nostro viso il vero schermo di proiezione, bersaglio del
flusso di elettroni sparati dal tubo catodico del monitor, con quello che ne consegue,
cioè una “convulsa partecipazione dei sensi che è profondamente tattile e cinetica”3.
Questo libro raccoglie tra le sue pagine (molto più resistenti non solo dei bit, ma della
roccia) una traccia, un segno dello spirito che ha animato ogni artista, e questa è la
sua funzione, il suo pregio. Ma per il resto ciò che vediamo qui stampato è tanto falso
rispetto al “prodotto” dei webdesigner quanto può esserlo un volume sulla Cappella
Sistina rispetto agli affreschi michelangioleschi ammirati dal vivo. Non ho utilizzato,
evidentemente, il termine “originale”. Per chi ha un po’ di dimestichezza con il
mondo digitale sa che i concetti di “originale” e di “copia” sono di quelli destinati a
descrivere un mondo che non è quello delle memorie elettroniche: la vera differenza
tra due documenti elettronici di cui uno sia il clone dell’altro non sta nella loro costi-
tuzione (ogni bit dell’uno corrisponde esattamente a un bit dell’altro) ma nel loro
stato, nella loro fruibilità attraverso un sistema che interpreti i segni lasciati su un
supporto e li ri-produca in informazioni decodificabili dall’uomo. La messa in atto o
la potenza di questo imprescindibile processo è assoluta peculiarità del mondo digi-
tale, senza di esso tutti i dati (ma anche le emozioni) sono destinati a rimanere impri-
gionati nel silenzio del loro sarcofago magnetico o ottico.
Dunque l’interfaccia assume per il webdesign un valore esemplare: è su di essa che
lavora l’artista ed è tramite essa che si ha la vera fruizione del prodotto artistico.
Come scrive Pierre Lévy: “se ogni processo è interfacciamento, dunque traduzione,
questo è perché nessun messaggio si trasmette tale e quale, in un ambiente condut-
tore neutro, ma deve superare discontinuità che lo trasformano”4. Questo passaggio
è dunque una chiave di lettura importante per tentare una interpretazione delle
opere presentate. Opere che sono accomunate da un’altra caratteristica specifica di
WDE, l’essere – come dice il nome stesso – un luogo della sperimentazione, total-
mente libera e indipendente da committenze e provvigioni. Pur ribadendo quanto
già espresso in apertura, e cioè che un’opera d’arte non è meno valida perché voluta
e pagata da qualcuno (la Madonna dei Pellegrini di Caravaggio è meno capolavoro
perché il soggetto fu scelto dagli Agostiniani del convento romano?), non si può
disconoscere che (almeno) dall’inizio del secolo passato il valore della sperimenta-
zione “pura” sia sempre più vitale alle esigenze della ricerca artistica e delle riper-
cussioni della medesima sulla produzione destinata al consumo. Umberto Eco chiari-
sce bene il concetto:

      [L’avanguardia], da un lato, trovandosi a funzionare suo malgrado come uffi-
      cio studi dell’industria culturale, reagisce a questa circonvenzione cercando di
      elaborare continuamente nuove proposte eversive – e questo è un problema
      che riguarda un discorso sulla sorte e sulla funzione dell’avanguardia nel
      mondo contemporaneo – mentre l’industria della cultura di consumo, stimola-
      ta dalle proposte dell’avanguardia, continuamente svolge opera di mediazio-
      ne, diffusione e adattamento, sempre e di nuovo prescrivendo in modi com-
      merciabili come provare il dovuto effetto di fronte a modi di formare che origi-
      nariamente volevano farci riflettere solo sulle cause 5.


WDE è spazio di libertà e di confronto. I due elementi fanno la forza di questa espe-
rienza: ciascuno infatti è libero, nel suo percorso di lavoro, di ritagliarsi momenti di


                                                                                             13
analisi, approfondimento, sperimentazione. Ma la solitudine della pratica non può
     generare un dibattito, un confronto se non c’è modo di ritrovarsi in un luogo a
     mostrare il proprio lavoro e a discuterne con gli altri. Per questo l’esperienza di WDE
     ha avuto successo, per questo quando c’è da dare una mano per l’ordinaria (e la
     straordinaria) amministrazione dell’edificio tutti sono disposti a partecipare. In più
     se il responsabile dell’impresa non si accontenta semplicemente di accogliere gli arti-
     sti, ma anche di lanciare sfide, proporre argomenti, gettare fiammiferi nel pagliaio -
     “dobbiamo stare in compagnia oggi, noi, scambiandoci discorsi: e che discorsi, se
     permettete, voglio suggerirvelo”6 - allora state certi che ci sarà poco tempo per ripo-
     sare e molto da parlare, vedere e ascoltare.
     L’ultima provocazione di Lanfree, complice in sordina Valerio Sometti, è stata un’at-
     tribuzione di paternità per tutti i giovani membri della community. Mi riferisco natu-
     ralmente al “siamo tutti figli di Lanfranco” che ha suggellato il patrocinio ideale del
     grande pittore mantovano nei confronti della realizzazione di questo volume. Lanfree
     e Lanfranco, come in un gioco di parole (e del destino?): l’uno ha imposto all’atten-
     zione degli artisti della community le opere dell’altro, suggerendo eredità e deriva-
     zioni ideali ed estetiche e promuovendo una rielaborazione delle opere del maestro.
     Il risultato della provocazione non lo vedrete in questo libro, forse – è speranza di
     tutti noi – in un altro. In attesa, magari, fate una capatina in WDE, ne vale la pena:
     perché l’operazione di rielaborazione è di assoluto interesse, è un elemento chiarissi-
     mo di caratterizzazione dell’estetica contemporanea, non unicamente riferito all’am-
     bito delle arti grafiche:

           Il versioning è un fenomeno caratteristico non solo del reggae, ma anche di
           tutte le musiche afroamericane e caraibiche: jazz, blues, rap, rhythm’n’blues,
           afrocubana. E oggi è normale avere delle versioni diverse dello stesso brano,
           dubbato o remixato. Nessuno ha mai l’ultima parola7.


     Il successo di interesse nella community dell’iniziativa di rielaborazione delle opere
     di Lanfranco testimonia che quel passaggio in un epoca definita neobarocca è ben
     lungi dall’essere concluso e che, anzi, ne viviamo forse ora la fase più intensa, scrive
     Calabrese in proposito:

           Esercizi sul tema, variazioni di stile: è questo il primo principio dell’estetica
           neobarocca, modellato appunto su un generale principio barocco del virtuosi-
           smo, che in tutte le arti consiste nella totale fuga da una centralità organizza-
           trice, per dirigersi, attraverso una fitta rete di regole, verso la grande combi-
           natoria policentrica e verso il sistema delle sue mutazioni8.


     La pratica della rielaborazione è uno dei tratti caratteristici delle opere presentate.
     Questo approccio nei confronti della prassi artistica legata al Web è di duplice inte-
     resse. Primo: non si può rielaborare se non si ha coscienza del fatto di essere circon-
     dati da materiali che hanno ancora potere significante, anzi che possono assumerne
     di nuovo nel momento in cui vengono integrati, meglio riassemblati, secondo una
     sintassi nuova. Conseguentemente – secondo punto – uno sforzo enorme da parte
     dell’artista si rivolge verso l’aspetto della connettività tra i frammenti sparsi di un


14
discorso da costruire, dinamica questa che è alla base di ogni forma ipertestuale, la
quale ha la sua novità proprio nell’inusitato sistema di collegamenti tra i diversi ele-
menti informativi. Rielaborazione significa dunque avere un occhio attento sul
mondo dei segni, dunque dei documenti, dunque (magari inconsciamente, implici-
tamente) verso una prospettiva storica che troppo spesso viene semplicisticamente
negata di fronte a operazioni nate per essere fruite attraverso un sistema telematico
digitale. D’altra parte è indubbio che la Rete rappresenti un formidabile catalizzato-
re di processi cognitivi, ove la velocità assume un ruolo essenziale nel ridisegnare le
modalità attraverso le quali ciascuno di noi assorbe ed elabora informazioni, ove gli
stessi orizzonti fisici del nostro biotopo sono continuamente rimessi in discussione dal
potere di muovere il nostro pensiero in modo istantaneo, in un qualunque punto del
globo interconnesso al sistema. Siamo all’ultimo stadio (ancora una volta “ultimo” in
ordine di tempo, non di conclusione di un processo in atto) di un’evoluzione tecno-
logica che, prendendo la rincorsa con la rivoluzione industriale, si è prodotta in
un’accelerazione che ha attraversato tutto il Novecento e che ha lasciato sulla nostra
pelle segni indelebili:

      Perché asserisco che il tempo si sta trasformando sotto i nostri occhi in qualco-
      sa di fittizio e insieme di falso? Qualcosa di “fittizio” perché ormai – data
      appunto la costante accelerazione dei nostri spostamenti e lo sganciarsi del
      nostro movimento da quello della natura – il movimento è divenuto, più d’o-
      gni altro “parametro” della nostra esistenza, un elemento del tutto “innatura-
      le”, modificabile a volontà, indeterminato, e non più legato a quei ritmi (respi-
      ro, battito cardiaco, fasi delle stagioni, e forse anche “anni cosmici”!) che un
      tempo lo limitavano, lo circoscrivevano, ma anche ne consentivano la identifi-
      cazione e la assolutizzazione9.


Progettare per il Web significa dunque tenere conto di un supporto che, caratterizza-
to dalla sua labilità, instabilità fisica, sfrutta di converso queste doti per esaltare –
come mai si era visto prima – la cinetica della comunicazione. Ogni opera d’arte ha
in sé un tempo della narrazione: nella Web art questo tempo si adegua ai ritmi di
quella realtà che le reti telematiche hanno contribuito a strutturare. È il tempo pun-
tiforme, è l’esaltazione dell’attimo, è la logica dell’hic et nunc: ciò che vediamo espo-
sto in WDE è espressione dell’emozione di un istante, ma anche dell’implosione – in
quello stesso istante – di una temporalità che non è, torno a dire, negata bensì com-
pressa. Si avverte di frequente, di fronte alle opere di questi giovani artisti, un senso
tremendo di tensione che non è proprio della contemplazione dei frammenti di una
visione esplosa della realtà, quanto piuttosto dell’ordigno innescato, pronto a salta-
re in aria. Chi osserva è investito da questa sensazione di attesa, di potenziale defla-
grazione che però non si sa se produrrà realmente uno scoppio tremendo e deva-
stante oppure un innocuo bum da mortaretto o tricchetracche. Infatti la carica ironi-
ca insita in molti di questi lavori è un altro aspetto che non può essere disconosciu-
to, ma d’altra parte è anche logico che sia così: in una società di rapporti sempre più
fluidi e sempre meno stabili nel tempo, il ruolo di chi propone arte su un mezzo come
il Web non è forse anche quello di riflettere sul proprio “ruolo” creativo, dunque su
eventuali etichettature troppo semplicistiche, inadeguate? Da qui bisognerebbe poi
considerare quanto la tecnologia telematica ha contribuito a rendere disponibile a


                                                                                            15
tutti coloro che avessero la pazienza di apprenderne i fondamentali uno strumento
     per esprimere la propria creatività e per poterla proporre ad altri attraverso un’inter-
     mediazione ridotta effettivamente all’osso. La “democratizzazione” della prassi arti-
     stica è uno di quei luoghi comuni difficili da scalfire quando si tratta di Web; natu-
     ralmente come in tutti i luoghi comuni vi è un fondo di verità: nessuno può negare
     che il Web si è rivelato nel tempo uno strumento di “pubblicazione” spaventosamen-
     te potente, la sua stessa crescita quantitativa a ritmi iper-esponenziali ne è la testi-
     monianza più tangibile. È altresì ovvio che non basta la padronanza di utilizzo di una
     tecnica per fare di chiunque non solo un webartist ma anche un webmaster o un web-
     designer:

           Che il numero più ampio possibile di esseri umani sia messo in grado di svilup-
           pare la propria congenita creatività, certo. Epperò, siamo seri: l’arte – che è
           (sempre) un’altra cosa – che c’entra con tutto questo?10


     Già, che c’entra? Soprattutto che c’entra in un ambito, come è quello digitale, ove la
     tecnica è ossessivamente fine a sé stessa, in una continua rincorsa a prestazioni sem-
     pre più potenti al servizio di obiettivi sempre più oscuri.
     Se si vuole insinuare un’ipotesi estetica nell’utilizzo delle nuove tecnologie è neces-
     sario utilizzare le medesime come cavallo di Troia: è solo facendo finta di sfruttare la
     tecnica per fini non propriamente artistici che si può sperare di operare quello scar-
     to semiotico che consente l’apertura di una effettiva prospettiva poetica.
     Naturalmente il gioco può anche non funzionare e a rimanere gabbato potrebbe
     essere lo sperimentatore. Ma è necessario - è segno importante e confortante - che
     qualcuno si cimenti in questo tentativo di riflessione sul senso dell’utilizzo di un siste-
     ma telematico globale. E allora, torno a dire, invece del neoluddismo, del rifiuto
     aprioristico, del muro contro muro, può essere più sconvolgente e più lievemente
     scardinante l’arma dell’ironia, che sa far traballare certezze perché – dissimulando,
     fingendo ignoranza da neofita o da inesperto – coglie alle spalle, dribbla l’ostacolo,
     sgambetta l’avversario appena l’arbitro ha distolto lo sguardo. Sarei dunque pru-
     dente di fronte a tante riflessioni che vogliono leggere la Web art unicamente attra-
     verso le categorie dell’estetica postmoderna, vorrei insinuare il dubbio che il pensie-
     ro debole o l’opera aperta non siano due grimaldelli in grado di aiutare ad aprire
     delle vere porte interpretative. Anche la presunta interattività della Web art è, alme-
     no in ciò che vediamo presentato qui in WDE, in gran parte totalmente illusoria.
     Riflettiamo: quanto conta, quanto è presente il fruitore come parte attiva nella costi-
     tuzione del processo artistico? Qui ci troviamo di fronte perlopiù a prodotti sviluppa-
     ti in Flash, fortemente chiusi in sé stessi, difficilmente manipolabili dall’utente, sem-
     pre più autonomi nella loro struttura. E la struttura è allora una struttura forte, come
     forti sono le intenzioni degli artisti. L’interattività la si potrà trovare a un livello più
     generale, cioè a dire quello dello spazio connettivo su cui il Web è costruito, uno spa-
     zio che si moltiplica grazie ai nodi che ciascuno aggiunge alla trama condivisa. Siamo
     dunque d’accordo che le opere di WDE potranno essere linkate ad altri contenuti ma,
     anche inserite in nuovi contesti, manterranno la loro matrice, non potranno essere
     decostruite a piacimento del lector in fabula. Da qui, per riprendere il discorso ini-
     ziale, ecco non solo la necessità ma il senso di testimoniare un’epoca nella ricerca e
     sperimentazione sul Web design: ciò che rimane nel percorso artistico dei membri di


16
WDE, ciò che risulta al termine delle sperimentazioni (experiment cioè la “E” di WDE)
è alla fine un prodotto fortemente strutturato che dunque, benché registrato su un
supporto labile, ha ragione di rimanere nel tempo, aere perennius.
In WDE non si vivono solo processi, happening, eventi, momenti: vi sono anche opere,
e di questo il volume vuol essere catalogo, o meglio antologia, seppur strumento
imperfetto che necessiterebbe di tanto corredo, a stampa e in digitale, per offrire un
panorama ancor più significativo dell’attività di una comunità di artisti. Ma intanto
accontentiamoci, prendiamo questa occasione come un pretesto per iniziare un
discorso, certamente non per concluderlo. E ancor di più cerchiamo di sfruttare il
potenziale del mezzo gutenberghiano, vecchio di cinquecento anni, familiare a tutti,
transgenerazionale, transgender: cerchiamo cioè di cogliere l’occasione per rendere
più visibile ciò che si fa in WDE anche al di fuori della comunità stessa, in una pro-
spettiva di dialogo con chi nel pubblico o nel privato promuove manifestazioni arti-
stiche oppure con il mondo della scuola e dell’università. Il Web design è un veicolo
straordinario per poter riflettere sulle potenzialità della Rete, non solo a livello este-
tico, beninteso: l’opportunità di cercare di interpretare la complessità degli strumen-
ti informativi che ci circondano, che utilizziamo quotidianamente, attraverso il desi-
gn è la riprova ulteriore di quanto, nella congerie di dubbi che caratterizza il nostro
tempo, la riflessione artistica sia un ambito privilegiato per aiutarci a comprendere la
nostra condizione, senza offrire facili punti di approdo, ma delineando il nostro esse-
re uomini in transito tra due millenni, immersi in un oceano informazionale nel quale
è sempre più difficile mantenere una rotta nonché stabilire un piano di navigazione.

                                                                                          Alberto Salarelli




  1
      Howard RHEINGOLD, The virtual community. Finding connection in a computerized world, London,
Minerva, 1994, p. 56.
   2
      Tim BERNERS-LEE, L’architettura del nuovo Web, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 113.
   3
      Marshall MCLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1997 (ed. or. 1964), p. 334.
   4
      Pierre LÉVY, Le tecnologie dell’intelligenza, Milano, Synergon-A/Traverso, 1992, p. 198.
   5
      Umberto ECO, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1988 (ed. or. 1964), p. 76.
   6
      PLATONE, Simposio, V, 7-10.
   7
      Dall’intervento di Camillo de Marco in Virginio BRIATORE (a cura di), Restyling. Meraviglie e miserie
del progetto contemporaneo, Roma, Castelvecchi, 2000, p. 86.
   8
      Omar CALABRESE, L’età neobarocca, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 44.
   9
      Gillo DORFLES, Il feticcio quotidiano, Milano, Feltrinelli, 1989, p. 184.
   10
      Massimo CARBONI, Il sublime è ora. Saggio sulle estetiche contemporanee, Roma, Castelvecchi, 1998,
p. 118.


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18
Internet is speed
    it continuously changes
the world turns around Internet
           thoughts run
          things remain
    there is no time to think
         you have to see.

             Lanfree




                                  19
20
WDE aka Web designers experiments.
Una sigla che sta rappresentando moltissimo nel panorama del Web design italiano.
È passato poco più di un anno (messa online del sito 04 maggio 2001) e di strada ne
ha fatta già parecchia questo dominio, nato da un idea nello scuro della notte l’an-
no scorso.
Ma che cosa significa questo sito?
Certamente la volontà di Lanfree nel permettere ai giovani webdesigners di potersi
sfogare lanciandosi in prove grafiche o animazioni tecnico-concettuali in completa
libertà.
Sì nel Web sono conosciuto come Lanfree, un nickname appropriato, che identifica al
meglio la mia indole: spirito libero, fuori dagli schemi e dai vincoli. Certo Internet,
per un non più giovanissimo, può sembrare inadatto, dove i giovani imperversano,
tracciano e setacciano a passo indecifrabile e vertiginoso una nuova storia intrigan-
te e ricca di misteri. Davanti ad un monitor può succedere di tutto, si può anche per-
dere la dimensione del tempo, immergendosi in un mondo visivo senza ombra.
La curiosità mi ha spinto. Sono un perito elettronico diplomatosi nel lontano 1982,
allora si studiavano i transistor, gli amplificatori. Oggi con l’avvento dei circuiti inte-
grati, dei sistemi sempre più sofisticati, si sono aperte delle finestre verso orizzonti
multimediali e interattivi che stimolano giochi bellissimi.
È stato per puro caso che mi sono avvicinato al computer nel 96. Lavorando - come
commerciale - per un’azienda di macchine a controllo numerico per il taglio del
vetro, ho intuito che una fonte di vendita poteva essere rappresentata dallo sviluppo
di un software per la ottimizzazione del taglio delle lastre dando come risultato meno
sfrido. Una scommessa ardita che con l’aiuto di alcuni tecnici mi ha permesso di svi-
luppare tale intuizione.
È stato in quel preciso momento che ho capito le enormi potenzialità dell’informati-
ca. La passione mi ha coinvolto al punto che dieci ore della mia giornata erano dedi-
cate a lui. Sì, il mio vecchio PC 133 Mhz mi ha obbligato ad abbandonare nel tempo
libero parole crociate, riviste, giornali e televisione. Vi sembrerà strano, ma da quel
momento la mia vita ha assunto ritmi e interessi completamente diversi. Il primo
modem, la prima connessione, la curiosità nell’esplorare e surfare alla ricerca di qual-
cosa di grande, di enorme, mi affascinava… il primo scanner, il primo software di
grafica, che smania di imparare, di capire come destreggiarmi all’interno di un siste-
ma operativo con una sua logica, con le sue enormi potenzialità. Sete di conoscenza
e di apprendimento. Non mi so spiegare questa passione, forse il gusto della compli-
cazione, ma anche il nuovo, il concetto di abbattimento di spazio temporale con le
prime chat, la possibilità da parte del cittadino comune e con pochi soldi di aver a
disposizione una macchina che è diventata indispensabile per la nostra vita di tutti i
giorni, la sensazione di vivere un passaggio epocale, consentitemelo di dirlo forte:
TUTTO CIÒ È STRAORDINARIO!
Dopo alcuni tentativi personali sondando e sviscerando le tematiche grafiche del
mondo via etere, ho lanciato nell’aprile del 2000 www.lanfree.it, il mio primo sito con
dominio di primo livello.
La passione per la grafica e il continuo bisogno interiore di ricerca mi hanno perdu-


                                                                                              21
tamente coinvolto a tempo pieno, a tal punto che ogni giorno il monitor pretende che
     gli si dedichino tra le cinque e le otto ore, lavoro permettendo. Un sacrificio enorme,
     ma non esiste sacrificio se lo si vede con amore: il computer è diventato il riferimen-
     to, il tramite tra me e il mondo virtuale di Internet. Questo mondo che vibra di web-
     designers eccellenti, troppo giovani a volte per trasmettere quel richiamo profondo
     che, con il plasma tra l’immagine e i contenuti, mostra al visitatore una personalità
     intrinseca forte, profonda. L’utente si sofferma sul piacevole intreccio grafico, ma poi
     di conseguenza è costretto a pensare, a riflettere, a gioire, a toccare con mano una
     realtà evolutiva che interagisce col proprio io alla ricerca di noi stessi.
     Oggi la mia occupazione è di funzionario commerciale nell’”Hospital Division” di una
     multinazionale tedesca (Paul Hartmann) nel settore delle medicazioni e dei presidi
     medico chirurgici. Professionalmente un lavoro di grande responsabilità e di enormi
     soddisfazioni. Ma il mio cuore, la mia passione sono lo studio di Internet e della sua
     evoluzione. Sono altresì convinto che tutti abbiamo le potenzialità nell’usare questo
     mezzo con buon profitto. Certamente c’è bisogno, lo ripeto, di passione: sono più gli
     autodidatti come me che in fondo premono sull’acceleratore. Più di tutto amo il Web
     design, mi piace vedere scrollare immagini, digerire siti pieni di grafica accattivan-
     te, ricca di spunti metafisici e irreali intrecciati con il vertiginoso mondo circostante.
     Mi piace seguire da vicino queste nuove generazioni che disegnano le pagine Web.
     Per identificare nel gergo simbolico una grande emozione, unita a tecnica sopraffi-
     na, si usano le espressioni “very cool” o “very nice”: ci si sofferma sull’essenziale, non
     servono tante parole. “Io sono ciò che vedi”, può sembrare un paradosso, ma oggi i
     webdesigners non amano le definizioni, le etichette, la catalogazione: ognuno si
     sente libero di esprimere i propri concetti attraverso questo monitor che li proietta
     verso spazi indefiniti.
     Mi sono accorto però che mancava un riferimento sulla rete dove esprimere ed espri-
     mersi dando sfoggio alle proprie creazioni o anche ai lavori lasciati in sospeso sul
     proprio hard disk.
     L’idea di lanciare WDE è scaturita dopo la pubblicazione di Niko Stumpo Forever
     Laboratories (www.lanfreeblogger.org/stumpo/stumpo.html), ero sempre più con-
     vinto che la professione di Web designer fosse molto dura e piena di sacrifici e che
     l’appagamento fosse irrisorio rispetto l’impegno profuso sul campo: ho voluto crea-
     re una sorta di contenitore di prove mai messe online dove la creatività si sprigionas-
     se alla ricerca di una cover o di un flash animation per un’azienda o, semplicemente,
     per il proprio sito Internet. Così da conferire all’utente un plauso, e al tempo stesso in
     modo da creare un luogo che fosse fonte di ispirazione, bacino dal quale attingere
     idee e spunti.
     Come vedete (nella pagina a fianco), inizialmente mi sono affidato ad una mia per-
     sonale realizzazione, forse non all’altezza graficamente, ma efficace nel contenuto. I
     ragazzi hanno visto con entusiasmo crescente il desiderio di spedire le loro opere più
     disparate. Nella parte superiore veniva spiegato in italiano, e sotto in inglese, il
     “topic contest” del sito:
     // un contenitore dove raccogliere gli esperimenti di voi WD mai messi online. Da ades-
     so in poi non dovete più imprecare: “non lo trovo più” o “l’ ho cancellato dall’Hard
     Disk” perché c’é Lanfree che raccoglie e mantiene per il bene dell’umanità... (lavori di
     grafica, movie e tutto ciò che fate anche così per fare). Vi chiederete ha un senso que-
     sto progetto ? È aperto a tutti, dico tutti, italiani e non... qualcuno di voi ha già can-


22
tato e con mia sorpresa sto già inseren-
                                             do... il lavoro del WD è un lavoro duro
                                             fatto di enormi sacrifici e di notti inson-
                                             ni, di prove e di bozze più o meno com-
                                             plicate, ma pur sempre frutto della fan-
                                             tasia e ingegno del vostro cervello,
                                             crearne un contenitore mi stimola parec-
                                             chio.... per capirne i vostri talenti, per
                                             assaporare il nocciolo delle vostre crea-
                                             zioni, curiosando qua e là... Dio benedi-
                                             ca la vostra testa e il vostro indice…
                                             In attesa dello sviluppo del progetto
                                             non esitate a spedire tutto ciò che avete
                                             nel cassetto, e che per vostre ragioni
                                             non è mai stato pubblicato, a:
                                             info@lanfree.it

                                             Da subito l’interesse dei webdesigners si
                                             è orientato qui: il fatto che in Italia
                                             mancasse un riferimento dove tutti
Lanfree layout
                                                        Phoenixart layout (Piero Desopo)
potessero lasciare traccia delle loro
creazioni era fin troppo evidente. Il
panorama del Web design italiano era
contraddistinto da moltissimi siti che
promuovevano in modo autarchico
alcuni personalissimi designers senza
considerare i tanti che si affacciavano
su questo mondo. Ci furono moltissime
polemiche a riguardo, ma l’interesse
suscitato dal sito inserendo, al fianco di
autorevoli funamboli della grafica, dei
perfetti sconosciuti, ha aperto in modo
meno discriminante le porte ai giovani
webmaster freelancer che cercavano
una vetrina dove collocare le loro crea-
zioni. Giovani talenti più o meno bravi,
ma tutti ricchi di spunti creativi.
Fu allora che Piero Desopo, artista tra i
più conosciuti e tecnicamente bravissi-
mo, si propose nella creazione di un
layout graficamente perfetto, ordinato
e preciso. Ci mise un po’ di tempo, ma
alla fine scaturiva un sito degno, pron-
to alla spinta internazionale e così fu.

Venne linkato nelle più importanti web-


                                                                                           23
zine e crew mondiali ed iniziarono ad arrivare contributi da tutto il pianeta al punto
     che il numero dei Webdez cresceva in modo esponenziale arrivando in pochi mesi a
     contenere circa duecento nominativi. Nel tempo la filosofia di WDE non è affatto cam-
     biata ed il riferimento e gli scambi con le altre realtà ci collocano tra le più importanti
     comunità nel Web design mondiale. Già il senso di community ha iniziato a caratte-
     rizzare la forma reale di questo movimento. Un movimento di giovani ragazzi che
     attraverso la passione della grafica, e non solo, ha bisogno di una propria casa dove
     discutere, mediare, chiedere e scambiare opinioni, a volte futili, a volte necessarie, a
     volte pertinenti e a volte insignificanti. Non eravamo e non siamo soli: Dollydesign,
     assieme a Designradar, Digitalultras, Webmaster-Republic, Retina-e, Flasher, Warp 9,
     Net-Art, Wainer Valido e alla defunta Design Parade hanno caratterizzato il panora-
     ma di questo fenomeno. Migliaia di ragazzi quotidianamente a leggere le pagine di
     questi siti dove le news sugli ultimi nati o sulle notizie più accattivanti delineano una
     nuova forma culturale nell’apprendere, nel capire e nello scegliere all’interno del
     mondo della rete. La scelta nelle scelte! In tempo reale, istantanea: condividere le
     stesse emozioni, intervistarsi a vicenda colloquiando su ICQ, fa crescere l’interesse
     intorno a questo mondo incatalogabile e di difficile comprensione. Con questo libro
     abbiamo cercato di valorizzarne alcuni aspetti essenziali per rendere visibile tale
     realtà. Per delineare le caratteristiche di queste webzine abbiamo chiesto agli stessi
     protagonisti un loro commento.



     DOLLYDESIGN

        DOLLYDESIGN
     www.dollydesign.com
     di Antonio Moro

     DollyDesign nasce da un’idea di Antonio Moro ed Enrico Maioli. Il concetto alla base
     è semplice ed efficace: unire i migliori professionisti del web in Italia e raccogliere,
     intorno a questi, un movimento nazionale per promuovere la cultura del Web design
     su Internet.
     Tra i servizi offerti dalla comunità un ruolo importantissimo lo rivestono le mailing list,
     tra le più seguite e competenti in Italia. Le discussioni affrontano temi specifici, sono
     interamente in italiano e seguono gli aspetti più importanti della creatività in rete
     offrendo uno spazio di confronto tra i designers. Inoltre ogni giorno DollyDesign offre
     le “Dolly-News”, novità e curiosità interessanti dal mondo della rete e del design.
     Ogni anno viene organizzato PixelDNA, il primo, e per ora unico, incontro nazionale
     dei migliori webdesigners italiani che si riuniscono per discutere con il pubblico e
     presentare nuovi progetti. Oltre a queste attività principali ne esistono altre di con-
     torno: giochi on-line, risorse da scaricare, hosting di progetti esterni.
     DollyDesign attualmente gestisce una serie di servizi ed attività sia on-line che off-
     line. Il target di queste iniziative è quasi sempre un pubblico ben identificato di pro-
     fessionisti della rete, ma dato l’interesse generale che il connubio fra design ed
     Internet sta destando, sempre più “gente comune” partecipa attivamente.

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LE MAILING LIST
http://www.dollydesign.com/news/ml
Forse il servizio più famoso gestito da DollyDesign, le mailing list di Dolly sono cana-
li tematici di comunicazione multidirezionale via posta elettronica fra tutti gli iscritti
(oltre 500) che costituiscono un punto di riferimento per moltissimi designers e svi-
luppatori italiani.
Attualmente sono attive 6 diverse mailing list di cui 5 in lingua italiana che spaziano
negli argomenti trattati dal design puro alla programmazione avanzata.

LE DOLLYNEWS
Ogni giorno vengono pubblicate sul sito principale di DollyDesign delle notizie e rife-
rimenti di carattere generale legati al mondo del WebDesign e di Internet. Queste
news costituiscono linfa vitale per la scoperta di nuovi stili, nuovi approcci ad
Internet e alle nuove tecnologie e sono viste come grande fonte di ispirazione dai
tanti lettori che ogni giorno visitano il sito appositamente per leggerle e partire attra-
verso una nuova navigazione. Un comodo motore di ricerca consente poi di naviga-
re le oltre 2000 news presenti in archivio. (http://www.dollydesign.com/news/archi-
ve.asp)

DROPFOLDER
DropFolder è un motore di talent-scouting e talent-showing creato appositamente
dal team interno di DollyDesign. In pratica consiste in una vetrina in cui chiunque,
attraverso un pannello di controllo personalizzato può pubblicare delle gallerie di
propri lavori ed inserire il proprio curriculum vitae nel database centrale. Ogni galle-
ria di lavori presenti in DropFolder può essere votata dai visitatori di DollyDesign che
contribuiscono così a creare classifiche di gradimento sulle opere esposte nel sistema.

DOLLYFORUM
Un ondine-forum completo organizzato in tanti canali tematici che permettono agli
utenti di discutere degli argomenti più disparati. Attivissimo il canale che serve ad
ospitare i commenti alle DollyNews giornaliere.

PIXELDNA
Primo evento “off-line” organizzato da DollyDesign, PixelDNA costituisce il primo e
per ora unico incontro italiano dedicato unicamente ai webdesigners.
PixelDNA riunisce in una sola conferenza tutti i migliori webdesigners italiani e gli da
la possibilità di parlare dei propri lavori e confrontarsi fra loro e con il pubblico pre-
sente in sala.

ALTRE ATTIVITA’
Attraverso il proprio sito internet DollyDesign promuove poi tutta una serie di altri
servizi per la promozione del webdesign e della “coscienza di rete” in Italia.
Si spazia da archivi di materiale utile per lo sviluppo ed il lavoro quotidiano, a servi-
zi più particolari come piccoli concorsi a tema, sia grafici che autoriali per stimolare
la creatività incentivando la competizione ed il confronto. Non mancano poi le lotte
e le proteste promosse dalla comunità, come “Stampa Clandestina”, seguitissima
protesta lanciata nel 2001 contro la nuove legge sull’editoria (http://www.dollydesi-
gn.com/sc/)


                                                                                             25
DOLLYDESIGN
     DollyDesign è una pietra miliare della storia del Web design in Italia, costituendo la
     prima grande comunità on-line italiana dedicata all’argomento. DollyDesign ha negli
     anno costituito un punto di riferimento per migliaia di designers italiani che, trovan-
     do un luogo comune in cui scambiarsi idee, opinioni, tecniche, sono riusciti a cresce-
     re professionalmente promuovendo allo stesso tempo il Web design italiano nel
     mondo.
     DollyDesign è un po’ la mamma di tutte le comunità italiane dedicate espressamente
     al Web design e costituisce ancora oggi un grande faro per chi si avventura nel
     mondo del Web design in Italia.




     DESIGNRADAR




     www.designradar.it
     D(R team

     Ci fa sorridere parlare di noi.
     Ormai siamo talmente abituati a parlare di altri e far parlare altri che ci ritroviamo
     spaesati difronte alla domanda cos’è D(R.
     Questa è dunque una buona occasione per fermarci è fare il punto della situazione.
     Designradar è una comunità aperta ed in continua evoluzione composta da profes-
     sionisti del webdez, freelance, musicisti, muratori, calzolai e quant’altro, con in
     comune la passione per il Web design e l’arte in genere. D(R ha come obbiettivo
     comune la crescita della comunità stessa e dei suoi partecipanti. La manifestazione di
     questa comunità sono i contenuti e tutte le iniziative del sito designradar.it.
     La nascita di Designradar è da attibuire a qualcuno, il cui nome non ricordiamo più
     (ma tutti chiamano “papà”), in modo poco chiaro e abbastanza improvvisato. Unico
     punto certo sin dall’inizio era la voglia di confrontarsi, costruire insieme, condivide-
     re idee, opinioni, tecniche e far crescere ed evolvere una comunità e le persone che
     nel tempo si sarebbero aggregate con questi intenti.
     Piano piano la redazione di D(R si è allargata coinvolgendo più persone sparse per
     l’Italia, la cui presenza ha contribuito a dare delle precise direzioni e criteri ai conte-
     nuti di volta in volta pubblicati.
     Così eccoci qua, onorati di avere uno spazio su un libro edito da chi è anni che inse-
     gue la comunità dei webdesigner italiani e ha partecipato alla sua storia.
     Essendo praticamente D(R l’ultimo arrivato, ci fa molto piacere aver avuto la consi-
     derazione sia di WDE, sia di altri importanti punti di riferimento italiani, ma altret-
     tanto piacere ci ha fatto ricevere complimenti, proposte e l’adesione anche da per-
     fetti sconosciuti, grafici e designers in erba, o semplici interessati al mondo del web-
     dez. Questo perché D(R esiste anche per loro e grazie a loro, su di essi bisogna pun-

26
tare, questi dobbiamo sostenere, per dare un futuro alla creatività online, sono loro i
futuri talenti italiani.
È dunque spontaneo tentare di esaltare la creatività e lo stile personale piuttosto che
l’imitazione di modelli già visti, invitare a intraprendere questa direzione a chi si
affaccia a questa professione piuttosto che piegarsi a standard e regole di mercato.
Altrettanto spontanea è la voglia di intervistare e conoscere chi si occupa di Web
design sia direttamente che indirettamente, sia a parole che attraverso l’uso di imma-
gini. Per conoscere, per capire, per far circolare idee e opinioni per mostrare in quan-
ti e quali modi il Web design si può manifestare, si può realizzare.
Tutto qui, nulla di più nulla di meno.
Chi vuole partecipare a questo progetto “open source in open mind” è il benvenuto,
è sufficiente avere voglia, idee e un po’ di tempo libero. Non esiste una distinzione
netta tra redazione e partecipanti occasionali, l’unico confine è la disponibilità di
tempo che si ha, il progetto è senza scopo di lucro, quindi è tutto nelle mani dei par-
tecipanti e da essi dipende anche il suo futuro.

Quindi... partecipate numerosi :)



DIGITALULTRAS




www.digitalultras.com
di Manuel Perfetto

Digitalultras nasce nell’estate del 2001, durante i giorni di Genova. Dopo la morte di
Carlo Giuliani mi sembrava necessario esprimere dissenso. Sono partito così, poi il
progetto ha preso forma. Veniva più o meno fuori naturalmente dal mio background,
dalla mia vita e dal modo che ho di vedere le cose. Sarebbe meglio essere tutti un po’
più ultras e un po’ meno digitali. Ci sono cose di cui parlare più importanti dei pixel
e più interessanti dei tutorial di flash: quello che ami, quello che ti fa incazzare, quel-
lo per cui lotti e quello in cui credi tutti i giorni. Digitalultras si era quindi posto l’in-
tento di differenziare in modo chiaro il rapporto tra produzioni di design indipen-
dente e produzioni a scopo di business, non pubblicizzando siti commerciali
Chi è entrato in Digitalultras sa che rispetto chi fa le cose sue e le vende anche, ma
non amo chi fa lo schiavo. Sono un ragazzo di periferia, cresciuto in periferia, e mi
piace vedere la gente che si alza dalla sedia e lotta per qualcosa. Il puro esercizio di
stile, perfetto che sia, non lascia segni indelebili. Se hai fatto il sito di Tiscali buon per
te, ma a me manda cose tue. Non è detto che debba essere politica anzi, parla del tuo
quartiere, della tua ragazza, come del telegiornale che ti fa credere che morirai asfis-
siato o di MTV che ti asfissia già da anni. Cazzo, qualcosa da dire uno lo ha sempre.
L’attrazione dei designer nei confronti di lavori fatti per questi multi-clienti-nazio-

                                                                                                 27
nali mi sembra priva di senso. Leggere l’apologia di MTV sui network che tutti cono-
     sciamo, come se MTV fosse il massimo dei supporter del design, mi lascia credere che
     molti non sappiano che MTV se ne sbatte di fare prodotti validi, ma basa il suo impe-
     ro sullo sfruttamento dei fenomeni underground. Un famoso pubblicitario ha detto:
     “le persone felici non consumano.” Le persone felici consumano ridendo, gli infelici
     consumano guardando ridere gli altri. Chi di consumo e consumismo ha fatto la pro-
     pria bandiera, ride dell’ ignobile spettacolo degli infelici esibiti al servizio del mer-
     cato. Il famoso pubblicitario sa bene che ogni sua frase di pretestuosa e presuntuosa
     cultura, non serve ad altro che a moltiplicare consumatori dalla coscienza pulita. Così
     compreremo con lo spirito allegerito, felici di essere depressi per l’infelicità che il
     nostro consumismo crea. E sceglieremo con attenzione di comprare quelle magliette
     piuttosto che altre, perchè non compreremo magliette ma la nostra superficiale feli-
     cità. Ha ragione il famoso pubblicitario, le persone felici non consumano ma escono
     dalle porte dei suoi negozi con borse piene di ipocrisia, di marca.
     Poi c’è l’arte. L’arte non può prescindere dalla comunicazione. Un famoso scrittore ha
     detto: “È un artista colui che, elaborando le proprie impressioni soggettive, sa sco-
     prirvi un significato oggettivo generale ed esprimerle in una forma convincente.” La
     comunicazione visiva può invece fare a meno dell’arte, avendo il comunicatore uni-
     camente il compito di esprimere concetti in forma convincente e struttura funziona-
     le. Il webdesigner, in quanto designer, non fa arte ma progetta prodotti. Questo non
     nega la possibilità che alcuni webdesigner abbiano sensibilità artistica e quindi le
     capacità per creare opere d’arte, ma in quanto artisti e non designer. Chi crea arte
     non ha regole da seguire se non quelle della propria coscienza. Artista e designer
     devono essere portatori di innovazione concettuale e formale, capaci di indipenden-
     za da regole imposte e predefinite. Il designer deve rispondere a requisiti di funzio-
     nalità dei suoi progetti. È poi necessario essere riconoscibili per le proprie innovazio-
     ni. Metabolizzare il proprio background e comunicarlo rendendolo immagine. La
     banalità ci circonda quotidianamente. Stiamo esaltando l’assenza di individualità e
     di libero arbitrio. Il desiderio spasmodico di sentirci parte di un unico pensiero, inu-
     tile, ma rassicurante. Viviamo in una costante anestesia sociale. Morfina mass-
     mediatica e visita guidata in set di cartone riciclato. Liberi schiavi di famosi cartello-
     ni libero infostrada sulle nostre strade. Il mainstream, la grande truffa della demo-
     crazia. Votare il grande Stream o il grande Telepiù. Il grande occhio non ha più biso-
     gno di guardarci. Può star tranquillo. Siamo noi a fissarlo con disinibita ammirazio-
     ne. “Il grande boh” ha detto un ridicolo ed incapace cantante mainstream, così tanti
     ragazzi “boh” hanno comprato il suo libro mainstream e cantato ai suoi concerti
     mainstream. Avrebbe dovuto farsi fare la copertina dal famoso pubblicitario.
     “Produci, consuma, crepa” davanti al Dio Televisione mainstream, buona domenica,
     posta per te, fatti vostri, total request live e vita in diretta. La spazzatura ha sempre
     un posto in prima fila. Celentano Pagliaccio Mainstream in prima serata. Ghezzi,
     unico lampo di genio, relegato in innocui fuori orario senza spot pubblicitari. Ma ho
     cassette piene di Ghezzi sui miei scaffali.
     Sogno di unire menti valide ed indipendenti. Costruire realtà autosufficienti ed auto-
     prodotte all’interno del design.




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WEBMASTER REPUBLIC




www.webmaster-republic.it
di Stefano Marini

Webmaster Republic è un progetto editoriale indipendente, nato dalle ceneri della
fanzine di grafica “Dpi Brain Wanted”, e partorito dalle fertili menti di Stefano Marini
e Romina Raffaelli alias Eve. WR è una e-zine gratuita che parla di creatività non solo
legata al Web design ma anche alla grafica tradizionale e all’advertising, ed è rivol-
to a tutti coloro che lavorano o desiderano lavorare nell’ambito creativo: offre spun-
ti di riflessione, approfondimenti, links utili, interviste ai creativi italiani più affer-
mati, ed organizza una serie di contest durante l’anno per stimolare la fantasia dei
suoi utenti.
Webmaster Republic è’ fautore ed organizzatore anche del Flash Design Awards, il
premio internazionale dedicato alla creatività dei siti realizzati in flash: l’edizione del
2002 ha avuto una giuria d’eccezione, presieduta niente di meno che da David
Carson, che coordinava 14 membri della giuria scelti tra i migliori professionisti del
Web design internazionale. La giuria ha avuto il compito di valutare oltre 600 siti
iscritti e di scegliere il migliore in assoluto, conferendo il prestigioso Grand Prix.
Il successo di Webmaster Republic, che conta oggi oltre mille visitatori unici al gior-
no, con circa 450.000 page wiev al mese, è dovuto probabilmente alla formula di
fruizione del sito: dall’homepage i navigatori possono accedere ad una serie di infor-
mazioni regolarmente aggiornate (news, concorsi, articoli, corsi) affiancate ad una
serie di “tools” utili per il lavoro di tutti i giorni, come la rubrica che raccoglie cro-
maticamente alcuni dei migliori siti Web. Un pratico motore di ricerca interno ed un
menu a tendina consentono ai visitatori di esplorare le oltre 500 pagine di archivio di
Webmaster Republic, un patrimonio a fruizione gratuita che si incrementa giorno
dopo giorno e comprende argomenti estremamente importanti per tutti i creativi: Job
Directory (archivio di studi e agenzie in Italia e all’estero), Free Fonts (le migliori fonts
gratuite da scaricare per pc e mac), Creative Gallery (fotografi, illustratori e designers
internazionali) e molto altro.

STEFANO MARINI
Art Director, ha lavorato nelle maggiori agenzie di pubblicità internazionali prima di
fondare insieme ad Eve l’agenzia Winkler & Noah, dove produce idee per Maserati,
Stream, Nazareno Gabrielli, Onyx , Fagan Reggio del Bravo e Lowe Lintas.

EVE
Art Director dalla personalità poliedrica, oltre ad occuparsi di design e Web design,
si dedica all’illustrazione e alla fotografia con la stessa incontrollabile passione, lavo-
rando tra l’Italia e gli Usa.




                                                                                                29
RETINA-E

     www.retina-e.com
     Di Andrea Toniolo


     Vi racconto un pezzo del passato tra Italia e estero… tra persone e community, dal
     1997 al 2001.
     Questa storia iniziò tra il 1997 e il 1998 per poi concludersi nel 2000 quando ancora il
     Web non era nella sua piena crisi (che sfociò successivamente nel 2001 e ancora deci-
     samente non risolta nel 2002).
     Nel 1998, anno in cui ho conosciuto Antonio Moro a Smau, nella realtà italiana c’era-
     no 2 nomi importanti Mirco Pasqualini e Niko Stumpo; il secondo ancor più inserito
     nelle community internazionali ( in realtà altri nomi erano venuti prima di questo; ad
     esempio il gruppo di Ekidna).
     In Italia l’unica community per webdesigners era DollyDesign (unanimemente consi-
     derata la prima community italiana di webdesigners).
     Contattai allora Antonio e gli proposi l’idea di Retina-e, e il suo gemellaggio con
     DollyDesign, tra gli stand di SMAU a Milano; la mia proposta intendeva che Retina-e
     facesse da lab esclusivo per DollyDesign e che ci fosse un patto solido tra i due siti.
     All’estero era l’anno in cui K10K, BORN Magazine, KIIROI, DesignIsKinky, THREEOH e
     Atlas Magazine facevano da spartiacque e soprattutto mantenevano una certa diffe-
     renza di stile e di contenuto;
     Nel 1998 creai la prima versione di Retina-e decisamente più orientata al magazine
     che non al lab. La versione era molto underground e stilisticamente racchiusa tra
     colori acidi. Nel gennaio 1999 decisi di creare una crew e un sito più solido, cercando
     di guardare più a lungo termine; coinvolsi nella crew nomi come Andre Matarazzo
     (BlastRadius) , Kalle Everland, Nikola Tosic e molti altri art-director da tutte le parti
     del mondo. Creammo una catena di sperimentazioni e contest in molti casi non pub-
     blicati o mai finiti. Fu l’anno della passione, dell’unione e delle sfide.
     La prime tre covers furono create da Piero Desopo e poi da Mirco Pasqualini e Valerio
     Tedesco tre grandi sostenitori del progetto a cui devo molto.
     La versione del 1999 ebbe un successo clamoroso anche nelle community e mailing list
     estere… persone come Todd Purgason e altre personalità di rilievo fecero complimenti
     alla crew. Mi resi conto allora che avevamo portato l’Italia ad un gradino superiore.
     Ricordo che ci fu una sfida interessante tra me e Piero Desopo contro gli Automatic5
     brasiliani. Clamorosa. L’estero era decisamente più aperto e allettante che non
     l’Italia.
     Il nostro bel paese infatti continuava verso la strada della tecnologia fine a se stessa,
     molto pochi furono quelli che sostenevano la teoria (diventata poi il primo Pay Off di
     Retina-e) “DESIGN IS NOT ABOUT TECH” fortemente contradditoria. In realtà cercava-
     mo di orientare l’Italia verso l’interattività, la grafica e non verso la programmazione
     e le sfide all’ultimo JavaScript che ci portavano costantemente dietro i nord europei
     e gli americani. Purtroppo Internet in Italia era sostenuta principalmente da inge-
     gneri.
     Mesi dopo arrivarano altri siti come Design Parade di Massimo Nardini a dar man forte
     al panorama. C’era energia. Nel 1999 e inizio 2000 ci furono i primi dissidi tra desi-
     gners e le prime guerre ecclatanti. C’era fervore nel panorama si stava crescendo c’e-

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rano i soldi eravamo famosi e il mondo pareva ascoltarci. Purtroppo non era esatta-
mente così.
Nel 2000 immerso negli impegni di lavoro tra conferenze, interviste estere e italiane
abbandonai Retina-e lasciando che la crew continuasse l’opera di tenere in vita un
animale che purtroppo aveva già dato tutto quello per cui era stato creato.
Successivamente decisi di chiudere Retina-e e di scogliere la crew. Fu molto doloro-
so. Nel 2001 iniziammo a fare conferenze per l’Italia dal nome PIXELDNA ; la prima la
tenemmo alla triennale di Milano poi a SMAU e l’ultima al FutureFilmFestival di
Bolona. Dopo l’esperienza Ootworld entrai nel servizio civile. Guardai per molti mesi
il Web da fuori. Maturai certe idee e teorie. Studiai molto e incontrai Niko Stumpo e
Ubaldo De Feo a Milano. Proposi la mia nuova idea e loro ne furono entusiasti.
Incontrai poi Mauro Gatti , Alessandro D’Andrea di Dollydesign, User e Ubi di CTRL
chiedendo un aiuto per progettare la nuova versione decisamente imponente e com-
plessa.
Ora finalmente siamo nella fase finale… stiamo facendo recruit, stiamo estendendo la
maglia.
Speriamo di concludere presto… preparatevi a qualcosa di veramente nuovo.



FLASHER




www.flasher.it - Per la grafica web in movimento
di Alberto Cecchi

Molti creativi che si sono avvicinati al Web passando per l’HTML hanno vissuto delle
gravi crisi di espressione artistica. Il risultato visualizzato dal “lettore” di una pagina
HTML ha la caratteristica di essere difficilmente controllabile dall’autore della pagina
stessa.
Da un certo punto di vista questa perdita di potere da parte dell’autore potrebbe
sembrare un aspetto positivo agli occhi di coloro che credono che i nuovi media pos-
sano essere uno strumento democratico per l’avvicinamento tra la figura dell’autore
e quella del lettore conseguentemente all’indebolimento “dell’autorità”. In realtà
l’impossibilità da parte dell’autore di controllare la propria opera attraverso l’HTML è
causata principalmente da mere limitazioni tecniche dei mezzi a disposizione dei
creativi (il browser, la risoluzione dello schermo, il numero dei colori…) e non certo
da una volontà di democratizzazione.
Con l’introduzione di Flash nel Web è avvenuta una vera e propria rivoluzione creati-
va. Coloro che avevano perso la speranza di potersi misurare con il Web sul piano
artistico e innovativo hanno visto in Flash lo strumento migliore per comunicare. Così,
mentre molti aspiranti creativi rimanevano imprigionati a lungo nelle gabbie
dell’HTML (producendo dei costosi omogeneizzati dal nome di portali, vortali e siti
istituzionali) altri creativi iniziavano un nuovo percorso di ricerca basato su Flash. In
Italia, come nel resto del mondo, sono nate delle comunità che hanno subito sentito

                                                                                              31
il bisogno di confrontarsi e aiutarsi a vicenda per affrontare la nuova emergenza
     creativa. La risposta italiana è stata stranamente sincronizzata con il resto del mondo
     ed è nato Flasher.it insieme o prima di tanti altri magazine in lingua inglese.
     La comunità cresciuta intorno a Flasher.it ha delle caratteristiche peculiari originali
     rispetto alle altre comunità creative del Web, infatti Flasher.it mette sullo stesso piano
     la “creatività tecnica” e la creatività grafica e visiva. Evitando qualsiasi gerarchizza-
     zione delle produzioni, Flasher.it pubblica contenuti tecnicamente o graficamente
     innovativi. La somma e la compenetrazione di questi risultati genera degli stimoli
     visivi e delle sensazioni interattive che vanno oltre Internet e oltre il linguaggio
     audiovisivo dei vecchi mezzi lineari. La nuova tendenza creativa alla base di Flasher.it
     sta creando un movimento antagonista per la produzione di applicazioni on-line
     alternative al browser e prodotte in Flash. Queste applicazioni liberano definitiva-
     mente i creativi dalle “cornici” di Explorer o Netscape permettendo di produrre inter-
     facce/contenuti sullo schermo intero. Queste applicazioni creative antibrowser sboc-
     ceranno sulle scrivanie degli utenti on-line come dei virus, provocando il salto nella
     nuova dimensione di Internet liberi dai portali, dai browser, dagli URL e dalla naming
     authorithy.

     Lavorano nella redazione di flasher.it: Alberto Cecchi, Massimo Piacentini, Giampiero
     Travaglini, Marco Gentili, Cristina Begliomini e Claudia Polli.



     WARP 9




     www.warp9.it
     di Eros Ciaiolo

     Aloha,
     mi presento (da qualche parte bisogna pur iniziare…): sono Eros Ciaiolo, in rete
     “Warp9” e ho l’immeritato onore di gestire, assieme ad una manica di pazzi,
     Warp9.it.
     Vi chiederete: “autocelebrativo?” - d’altronde uno che crea un sito e lo battezza con
     il proprio nick…- ma vi assicuro che non era questa l’intenzione… J
     “Ma cos’è Warp9.it ?”
     Partiamo dall’inizio: a parte il nome (sono un fanatico di Star Trek :Warp è il termine
     che indica la velocità a curvatura, ossia più veloce della luce e ciò mi sembrava adat-
     to alla filosofia del sito).
     In Warp9.it si parla di Flash (molto), di Web design (meno, ma se ne parla) e si è crea-
     ta una comunità per la condivisione di risorse e aiuti.
     L’idea di realizzare un sito dedicato a Flash, con risorse on-line, mi è venuta frequen-

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tando il newsgroup dedicato ai prodotti Macromedia: se ne sentiva l’esigenza, inol-
tre avevo voglia di fare qualcosa che fosse utile a chi, come me, era rimasto “strega-
to” da Flash.
1+1 e il sito è partito, ma comunque preciso che non è quello ufficiale del NG.
Sono partito nel lontano 1999 (o era ’98 ?) con Geocities per ovvie ragioni: è stata una
scommessa, della serie “vediamo quanta gente arriva”.
Poi, con mia immensa soddisfazione, il contatore delle visite ha cominciato a schiz-
zare verso l’alto e quindi si è deciso di registrare il dominio, una specie di ringrazia-
mento ai visitatori.
E il progetto si è evoluto… si è creata una comunità.
Ma cosa si intende per “comunità”?
Secondo me, è cercare di condividere le conoscenze (gli ammaricani direbbero
“Sharing Resources”), in un ambiente sereno, di amici, senza atteggiamenti di sud-
ditanza da parte dei principianti verso gli esperti (giusto un po’ di sano rispetto), i
quali non devono sentirsi in diritto di prendere a pesci in faccia nessuno (il rispetto è
reciproco).
Insomma, uno dei pilastri sui quali si basa la nostra (vostra) comunità è il famoso
motto: “Nessuno nasce imparato”. Se sei un “guru” devi avere la pazienza di rispon-
dere a domande che possono sembrare ovvie perché, quando eri un newbie, qualcu-
no ha avuto altrettanta pazienza con te.
Tutto funziona grazie a dei professionisti che mi aiutano in maniera totalmente disin-
teressata e volontaria (e questo dimostra quanto siano pazzi…) nel gestire il sito, ma
in maniera particolare quello che reputiamo essere la parte centrale di esso (oltre ai
tutorial, è ovvio…): il forum.
In un sito può esserci qualunque cosa per rendere partecipe l’utente (sondaggi, com-
menti, chat ecc.) ma quello che fa interagire di più le persone è il forum.
Qui si crea l’incantesimo, nell’unico posto dove è possibile effettivamente scambiare
idee e chiedere consigli, ma non solo: trovare collaborazioni, condividere progetti o
crearne di nuovi.
Una breve descrizione delle stanze principali:
Newbie: una stanza dove i principianti si sentono a loro agio
Skilled: qui chi affronta problematiche più complesse relative alla programmazione
avanzata in AS può trovare validissimi appoggi.
MX: nuova versione, nuovi problemi J
Backend: integrazione tra Flash e linguaggi lato server.
Flash Library: raccolta di scripts (AS avanzato) non commentati.
Essendo “sciroccati” i moderatori, non poteva che esserlo anche il forum: esitono
quindi stanze un po’ anomale come la “Vergine di Norimberga”, un check site senza
pietà dove i moderatori possono atomizzare chi si presenta loro (ma attenzione, sem-
pre criticando in maniera positiva); questa stanza è un esperimento, un modo di
vedere le cose un po’ diversamente dal solito “sì bellino, però…”. Una specie di tera-
pia d’urto insomma.
Poi c’è “Bullshit”, la valvola di sfogo del forum dove chiunque può parlare di cose che
sarebbero Off-Topic altrove (chi ha detto che bisogna sempre parlare solo di Flash ?).
Per non dimenticare “Tavola Rotonda”, dove si …
Argh… spazio tiranno… è finita la pagina.
Che posso ancora dire?
http://www.warp9.it, veniteci a trovare… chi c’è, c’è… J


                                                                                            33
NET-ART

     L’esperienza di .netArt, la rivista italiana di webdesign.
     di Frederic Argazzi



     Netart nasce per caso, come tanti progetti, dall’incontro di due menti affini.
     Antonio Cavedoni, che oggi è diventato uno dei nomi caldi del Web design italiano,
     smanettava a tempo perso presso un ISP di Sassuolo (MO) e faceva siti Web per alcu-
     ne associazioni di volontariato che erano in qualche modo collegate al Comune di
     Modena.
     Io avevo da poco finito di fare il mio primo sito Web di una qualche importanza,
     Stradanove.net, e collaboravo con la redazione tenendo una rubrica dedicata alle
     nuove tecnologie. Stradanove era una rivista on-line, oggi si direbbe un portale,
     finanziata dalla Regione Emilia-Romagna e realizzata dal Comune di Modena. Correva
     l’anno del Signore 1999: Guerre Stellari era ancora una trilogia e il Millennium Bug
     sembrava la più grande minaccia che il mondo libero avrebbe dovuto affrontare.
     Per farla breve: sia io che Antonio eravamo adepti di alcuni webdesigner americani
     che cercavano di diffondere una certa cultura del Web design razionale. David Siegel
     e il team Hotwired/Webmonkey erano i miei modelli, Jeffrey Zeldman, con A List
     Apart, e Dmitry Kirsanov quelli di Antonio. Volevamo un sito italiano che rompesse
     con il culto della intro in Flash fine a sé stessa e cercasse di diffondere questo modo
     di pensare e di lavorare nella nascente comunità dei nostri colleghi. Nessuno aveva
     ancora avuto questa idea e così abbiamo deciso di provarci, gratis e senza sapere
     bene dove stessimo andando.
     Questo spirito do-it-yourself, questa voglia di riunire altre persone intorno a un’idea
     del nostro lavoro che ci sembrava così semplice e condivisibile è rimasta fino a oggi
     in tutti i progetti che Antonio e io affrontiamo, sul lavoro e not-for-profit.
     Forse la cosa che ci distingue dagli altri è che per noi il Web design è sempre stato
     qualcosa di maledettamente serio, mai un hobby.
     Abbiamo aperto Netart come sezione di Stradanove. Il primo numero è uscito a
     novembre del ’99. Dieci giorni dopo il bellissimo Retina-e di Andrea Toniolo, che ci ha
     soffiato sul filo di lana la possibilità di definirci Il primo magazine italiano di Web
     design.
     La formula era abbastanza semplice: in ogni numero volevamo intervistare un web-
     designer internazionale e premiare un sito italiano meritevole, oltre a scrivere
     approfondimenti sulle tecnologie della rete a al modo corretto di usarle. Inizialmente
     volevamo uscire con tutti gli articoli tradotti in inglese, ma questa idea è stata accan-
     tonata quasi subito in favore di un riassunto.
     Nel primo numero abbiamo intervistato Dmitry Kirsanov e premiato Mirco Pasqualini.
     Poi sono venuti Peter NRG, Wainer Valido, ecc.
     Un’altra idea che è rimasta in diversi numeri è stata quella di inserire un tutorial di
     Flash (Flash 3 all’inizio, poi il 4 e, negli ultimi numeri, il 5). Abbiamo chiamato que-
     sta rubrica Licence to Flash, dandole un look un po’ alla 007.
     Ma la feature più carina della prima incarnazione di Netart rimaneva la mailing list.
     Esistevano altre ML nell’ambiente, fra cui quella di Dollydesign, che è diventata giu-
     stamente la più nota. Ma la nostra era diversa. La sola moderata con un certo rigore,

34
il che riduceva al minimo il rapporto segnale/rumore, favorendo uno scambio vera-
mente costruttivo.
A volte Antonio e io risultavamo un po’ duri nelle stroncature di qualche thread che
a nostro giudizio risultava poco pertinente. Questo ha fatto arrabbiare qualche colle-
ga ma, a posterirori, si è rivelata la scelta più giusta.
Abbiamo tutti imparato molto da quei mesi in ML. I ragazzi che lavoravano negli studi
un po’ più grandi ci davano dritte sulla gestione di progetti importanti, tutti mette-
vano in comune le proprie frustrazioni con Netscape, Explorer e i nascenti CSS.
Credo che sia corretto dire che la seconda generazione di webdesigner italiani si sia
fatta le ossa sulla Nartlist. I pionieri e i primi netartisti hanno cominciato formandosi
su materiale americano, ma molti dei ragazzi che adesso fanno bella figura nelle
comunità più cool hanno cominciato chiedendo la differenza fra gif e jpg sulla nostra
lista. Possiamo dire di essere davvero old-school :)
Dopo qualche numero è diventato chiaro che non saremmo riusciti a portare avanti il
progetto da soli. Abbiamo chiesto una mano ai membri più attivi della lista e abbia-
mo cooptato in redazione Adriano Fragano. E poi tanti amici ci hanno aiutato con
articoli molto interessanti e altre collaborazioni dietro le quinte. Spero di non dimen-
ticare nessuno: Massimo Cardini, Fabrizio De Gennaro della redazione di Stradanove,
Elisabetta Ognibene, Leonardo Piras, Roberto Marzialetti, Ketty Pelati, Giovanni Jjam
Montemurro.
Andando avanti la mole di lavoro per seguire il progetto con un certo criterio cresce-
va, e Antonio e io eravamo sempre più impegnati nella professione.
Dopo una prima chiusura, la separazione da Stradanove, lo spostamento della rivista
su un nuovo server (www.netartmagazine.com) e una nuova veste grafica siamo riu-
sciti a pubblicare Netart per pochi mesi.
Netart ha chiuso, a tempo indeterminato, nel febbraio 2001.
È stata un’esperienza emozionante, che ci ha permesso di conoscere colleghi che
ammiravamo in Italia e oltreoceano.
In segreto Antonio e io stiamo lavorando a una nuovissima versione di Netart, che
speriamo veda la luce prima di Natale 2002. We’ll be back!



WAINER VALIDO




www.wainer.com

Wainer Valido nasce il 9/9/999 in quel di Modena.
È l’espressione, principalmente, di due persone: Wainer (Marcello Gadda) e Valido
(Matteo Zuffolini) che trovano nel “Magnate” un appoggio logistico e morale che gli
permette di avere i servizi Internet gratuiti e la spinta necessaria per partire.
Wainer Valido perché Wainer è un classico nome popolare delle nostre parti, Valido

                                                                                            35
perché se dovessimo elogiare con una sola parola ciò che facciamo diremmo: Valido!
     Nasce dalla voglia di liberare e stampare sul Web per sempre le nostre voglie più
     malate, le nostre passioni e ciò che convenzionalmente non facciamo ma vorremmo
     fare.
     Le caratteristiche principali e gli obiettivi sono:

     1 - Soprattutto umorismo: la voglia più grande è quella di ridere e far ridere, cercan-
     do nell’allegria la linfa vitale.
     2 - No umorismo “cazzo figa”: mantenere una certa distanza dall’umorismo volgare.
     3 - Ricerca dello “sgurz”: ricerca dell’originalità, della “chicca”.
     4 - Popolare, molto popolare: cercare di esseri un buon sito per “l’uomo qualunque”,
     senza credersi dei geni, con un linguaggio sempre popolare, visitare
     www.wainer.com come andare al “bar sport”.
     5 - Grafica ricercata: ogni contenitore una grafica diversa fatta ad hoc, originalità’
     senza perdere di vista il fatto di essere popolari.
     6 - Sito “aperto”: fin da subito, anche altre menti creano per Wainer Valido, poeti,
     fumettisti, pensatori, fotografi, scrittori, artisti “della domenica” in genere.
     7 - Divertimento per chi crea il sito: sia nella grafica che nei contenuti il sito esprime
     le voglie represse degli autori e dei collaboratori.

     Wainer Valido è uno 007 dell’umorismo. Alla mattina segue delle brave persone
     (almeno apparentemente) e se le fa’ amiche, discute con loro e ne valuta la “validi-
     ta’”, dopo di che alla notte le stimola nelle classiche discussioni “da bar”. Ruba tutte
     queste discussioni, a volte non sazio, entra furtivamente nelle case dei “validi” e ruba
     dai cassetti dei loro comodini i progetti più segreti e poi pubblica tutto in rete.
     Wainer Valido si firma come zorro con la tripla VVV e ha seguaci che tra loro si salu-
     tano con la tripla VVV (mano aperta con pollice chiuso).



     DESIGN PARADE




     di Massimo Nardini.

     Designparade (parade inteso più come ‘sfilata’ che come classifica) nacque all’inizio
     dell’estate 2000.
     Avevo appena iniziato a navigare in Internet ed essendo abbastanza interessato alla
     grafica ero stato attratto dal sito dollydesign.com. Mi ero unito alla mailing list WD-
     ITA e dopo poco avevo scoperto, con mia gran contentezza, di aver trovato una risor-
     sa e un gruppo di persone (allora ancora piuttosto ridotto) con il quale condividevo
     una passione. Ne ero talmente entusiasta che dopo una notte di ripensamenti decisi,
     molto spontaneamente, di offrire un dono a tali persone. Non per ingraziarmi qual-

36
cuno, né per fare sfoggio delle mie capacità, ma semplicemente perché amavo tutto
quello che girava intorno al design, al Web e alla grafica, e perché l’idea mi piaceva.
Visto che in Italia non esisteva nulla di simile, non persi tempo. Disegnai il logo, la
grafica generale e mi comprai il dominio.
L’idea era quella di fare un “coolhomepages.com” ma solamente per il Web design
italiano: screenshot rimpiccioliti delle homepage dei siti che mi piacevano di più,
suddivisi per categoria: Flash, commerciali, personali eccetera. Ricordo persino che
per rafforzare l’idea di italianità, nel layout del sito ero indeciso se mettere o meno in
bella vista lo scudo sabaudo, quello dei Savoia per intenderci. Tuttavia il circolo
monarchico locale mi persuase a desistere.
Iniziai a sperimentare dal vivo, pubblicando anche gli errori: form che non funziona-
vano, pagine in php che si inceppavano, gif che esplodevano al solo muoversi del
monitor. Pian piano però riuscii a costruire una struttura abbastanza stabile, corre-
data anche delle immancabili news.
Dopo un inizio in sordina, con pochi accessi, il pubblico iniziò ad aumentare. Dedicai
uno spazio al forum, uno ai deskshot (fotografie dello spazio di lavoro di ogni desi-
gner, con il contributo del generoso Valsecchi), un contest sulle copertine di libri.
Aumentava il consenso. Arrivavano lettere di stima, di considerazione da parte di
designer che apprezzavo, e questo era molto piacevole. Ma mi stavo iniziando ad
accorgere due fenomeni collaterali:
1. Avevo mio malgrado, senza ricercarla, acquisito una forte responsabilità e autore-
volezza. Inserire siti nella parade significava rifiutarne altri. E questo non piaceva a
tutti, soprattutto le vittime.
2. il fatto che arrivassero anche e-mail di sfogo e di minaccia aveva fatto diventare il
gioco più serio di una tragedia greca. Vedevo che non importa quali fossero le inten-
zioni, avere a che fare con decine di menti diverse, ognuna con la sua interpretazio-
ne, era un lavoro duro, a tough job. Se non inserivo un sito, mi arrivava una mail
furiosa del candidato bocciato. Se lo inserivo, ne arrivavano altre minacciose, di per-
sone che si preoccupavano della qualità del portale.

Stavo iniziando a stancarmi, e avevo ripreso a bere e ad andare a baldracche. Avevo
raggiunto i 15 minuti di celebrità che più o meno inconsciamente ricercavo, e stare
dietro allo pseudo-portale era diventato un impegno troppo gravoso.
Un paio di errori con membri della lista WD-ITA (mailing list di Dolly Design) crearo-
no incidenti di incomprensione a catena. Qualcuno era contento del mio lavoro, qual-
cun altro affatto. Colsi l’occasione al volo e nel dicembre del 2000 chiusi baracca, e
mi trasferii a Palm Beach.




***



Attorno a queste community è nato un fenomeno di costume molto interessante,
attraverso l’utilizzo di una specifica risorsa della rete che ha permesso a milioni di
utenti di comunicare reciprocamente affidandosi ad Internet per raccontare le loro
esperienze quotidiane.


                                                                                             37
L’avanguardia dei blog
     Di Luca Di Ciaccio

     Come il Web design, come tutto ciò che sguazza nella Rete, nascendo, morendo e
     ricomparendo, anche i blog nascono come avanguardia. Fino a espandersi, evolver-
     si, acquistare nuovi utenti, nuovi usi e nuovi significati. Una ricerca incessante.
     Blog come abbreviativo di weblog: letteralmente, un sito (Web) che tiene appunti,
     diari (Log); praticamente un sistema che, attraverso l’iscrizione gratuita ad appositi
     siti, permette la pubblicazione istantanea di testi su una pagina Internet.
     Involontariamente l’assonanza del termine è con “blob”: massa liquida, imprendibi-
     le, espansa che fuoriesce dallo schermo del pc fin nella nostra vita; e, televisivamen-
     te, collage, miscuglio di immagini, accostamento stridente di parole e visioni.
     Tentare una storiografia esatta del fenomeno blog non è facile. Ma è un modo inte-
     ressante per cogliere le tendenze del medium Internet, e soprattutto di coloro che ci
     stanno dietro.
     Naturalmente è impossibile individuare, una data certa, un unico autore o un sito
     definito da cui tutto nacque. In ogni caso, i primi weblog compaiono negli Stati Uniti
     alla fine degli anni 90 prima per usi e sperimentazioni personali, e subito dopo con
     la diffusione gratuita agli utenti. Alla fine del ‘99 il giovane californiano Evan
     Williams crea Blogger.com, tuttora il decano e il più diffuso tra i software weblog:
     oggi gli iscritti sono oltre ottantamila, ed è nata una versione per uso professionale a
     pagamento.
     In Italia i primi blog arrivano nell’estate del 2000 attraverso un’avanguardia di web-
     designers modenesi, tra cui Antonio Cavedoni e Frederic Argazzi.
     Il blog nasce e cresce nel nostro paese come espansione del Web design, scambio di
     idee e contenuti. Era l’epoca pionieristica e un po’ illusoria di Internet, la webculture
     si ampliava in sordina, come una corrente sotterranea ma promettente.
     Blogorroico di Cavedoni offre uno schema per creare e personalizzare il proprio sito-
     blog, e tuttora non smette mai di sperimentare nuove soluzioni tecniche. Nuovi
     software, nuovi codici, per aggiungere link, immagini, titoli, font, commenti ecc. Tra
     link e passaparola, i blog cominciano a diffondersi, ma restano un fenomeno elitario,
     di WD e lavoratori della rete, tecnici e autoreferenziali.
     Nel 2001 si avvia la metamorfosi dei blog. Il Corriere della Sera dedica un articolo a
     “L’invasione dei blog”, e ruba a Cavedoni il neologismo “blogorroico”. È l’inizio di un
     anno pieno di eventi, cambiamenti storici e discussioni animate, dalle elezioni ai
     giorni di Genova all’undici settembre, ognuno si sente chiamato a intervenire e dire
     la sua opinione. Arrivano nuovi bloggatori, e il target diventa sempre più imprendi-
     bile: studenti, musicisti, v.j di MTV, giornalisti, aspiranti scrittori, associazioni.
     Cambia lo stile, si ampliano i contenuti.
     La prima generazione di blog, quella dell’avanguardia WD, preferisce periodi brevi,
     spunti e segnalazioni rapide ad altri siti o notizie, poche battute per racchiudere una
     serata o una giornata di lavoro. Internet, frammenti di vita privata, commenti brevi
     caratterizzano i veterani Cavedoni o Max Boschini.
     La seconda generazione di bloggatori è più eterogenea e più verbosa. Pezzi più lun-
     ghi, talvolta veri e propri articoli o racconti. Negli argomenti entra la politica, il rac-
     conto di sé passa dal gossip all’esistenzialista. Il link non diventa più elemento cen-
     trale di ogni post, ma aumenta la riflessione, la profondità. Blog opinionisti. Con
     Leonardo, Pizia, Rillo, Broono e molti altri la verità dei blog diventa romanzata.

38
Nel frattempo, c’è chi tenta strade diverse. Come il blog grafico. Le parole cedono il
posto alle immagini, ma l’esito rimane incerto.
Oppure il blog collettivo. Per sfruttare l’effetto-gruppo che si crea tra bloggatori,
incanalare le frequenti discussioni, allusioni o botta e risposta. Forum o discussione o
assemblaggio. Ma il rischio è sempre quello di arenarsi: forse per l’eterogeneità o l’e-
gocentrismo o la pigrizia dei bloggatori nostrani. Esempi: Verbamanent, News from
Dan, blogo.net, o il Wash It On Post strutturato come un giornale con spazi e colonne
per ciascun bloggatore partecipante.
Anche il giornalismo vero e proprio si accorge delle potenzialità di blogger: aumen-
tano articoli su quotidiani, settimanali e webzine, ma soprattutto sono i giornalisti a
farsi bloggatori, sull’esempio del clamoroso successo dell’americano Sullivan.
Claudio Sabelli Fioretti, del Corriere della sera, e Pino Scaccia, inviato del Tg1 usano il
blog per mantenere un costante dialogo con i loro lettori o spettatori.
Oppure il blog diventa uno spazio per scrivere, per raccontare, per sfogare velleità
artistiche. Blog narrativi, in cui entra lo stile dello scrittore. Esempi: Uomonero,
Ezekiel, Quaero.
C’è spazio per tutti. Dall’intimista al bollettino informativo, dalla politica al business.
Ognuno col suo stile, le sue idee, il suo carattere.
Blog come prolungamento, integrazione di altri mezzi. La stampa (i commenti dei let-
tori di Sabelli), la radio (Polaroid), i libri magari mai pubblicati (i blog-scrittori), la
televisione (l’esperimento del vj di MTV Coppola e del suo programma Brand:new in
versione blog), le associazioni (dagli amici del prosecco ai Ds di Modena, anche loro
fanno uso di blog).
Una novità di linguaggio: incrocio tra diario, giornalismo e community.
Una ventata di idee e progetti, che nascono e rimbalzano da una pagina all’altra, tra
il coro dei post e il chiacchiericcio dei commenti. Una boccata d’ossigeno nelle bana-
lità della rete e nel logoramento dell’informazione sotto editore unico.
È l’applicazione perfetta della nuova comunicazione: ognuno si crea il proprio cana-
le, non più solo per ricevere ma anche per diffondere informazioni, di ogni tipo.
Finché non arriveranno leggi restrittive e corporative a impedirlo, come nel caso della
discussa legge sull’editoria 62/2002.
Un rovesciamento mediatico. Il circolo virtuoso dello scrivere, leggere ed essere letti.
Che spesso sfocia in rapporti personali, incontri e raduni “live”. I bloggatori italiani,
o almeno parte di essi, recuperano quello spirito di gruppo, di circolo di amici con
cui questo fenomeno è giunto tra noi. La colonna dei link diventa una mappa di per-
sonalità. Senza un centro, un inizio o un arrivo.
Un sistema blog policentrico, dislocato. Una ragnatela parallela e sotterranea, fuori
dal giro di siti commerciali, portali onnicomprensivi, buchetti voyeuristici o di chias-
sose e inutili pagine personali.
Sono nati, e crescono senza sosta, siti che tentano di mantenere un elenco dei blog e
di orientarsi nel fenomeno, come blog.it o bloggando (che è arrivato a conteggiare
oltre 300 blog italiani).
Il blog come auto-rappresentazione. La grafica entra al servizio del contenuto, e tal-
volta si fa essa stessa contenuto. Chiunque apra un blog, non solo WD professionisti
o smanettoni informatici, ma anche profani e digiuni dei linguaggi del Web, si ritro-
va ad applicarsi sulla grafica. Anche utilizzando i template preconfezionati di
Blogger, si finisce per inserire una modifica in HTML, un nuovo font, una colonna in
più che fa sempre comodo, o un colore meglio adatto.


                                                                                              39
Insomma c’è chi si costruisce la moto (vedi il design raffinato di Weblogz o
     FlamingPxl Vanessa), chi fornisce i pezzi (come i continui aggiustamenti di blogor-
     roico/Cavedoni o i consigli di Bloggando) e chi si trucca la lambretta (come il classi-
     co template Blogger modificato da Madame Defarge o Leonardo).
     Il blog come contagio ma anche come antidoto alla sindrome del webdesigners.
     Perché la funzionalità entra al servizio del contenuto, le velleità d’artista fanno i conti
     con lo spazio per le proprie parole. Così non conta più solo la bella presenza, ma
     anche saper parlare.
     E l’Italia della Rete ha tanto dire.



     ***


     Oggi il Web ha bisogno di tale confronto, che piaccia o no è così. Ognuno si sente un
     protagonista: per sé o per gli altri, controllare controllandosi, guardando in modo
     ossessivo i propri referer per sentirsi vivi, per sentirsi partecipi di questa o quella
     community.
     WDE lancia il suo sassolino per far conoscere cosa gira intorno al Web design e per far
     sentire quanto sia importante il meccanismo di libertà espressiva attraverso le cover
     o i concept: costante ricerca di nuovi spazi, a volte già visti, a volte pertinenti. La pos-
     sibilità è aperta a tutti coloro vogliano proporsi in modo creativo. Ne è riprova il fatto
     che i layout cambiano, oggi è la volta di Maurizio Sartore (Malana Design), con il suo
     “SUMMER EDITION” che ha modificato leggermente la forma, ma mantenuta la sua
      S
     struttura, incrementando nuove sezioni e nuove sfide con nuovi concept. È nato Web
     Poetic Experiments, ha preso posto Movie & Graphic Music Lab. Sezioni legate all’in-
     terpretazione grafica di un brano musicale o di una poesia, o di un aforisma. Ci piace
     vedere! La nostra è sete visionaria, esercizio artistico, mutazione e ricostruzione.




                                                               Malana layout


40
Con gli stessi intenti Fabien Butazzi (Koandesign) ha interpretato le prime versioni del
sito legato a “WDE. Agli antipodi del Web design” sul quale abbiamo indetto il con-
corso per scegliere la copertina del libro e grazie al quale abbiamo seguito quotidia-
namente lo stato di avanzamento del volume in tutte le sue fasi: raccolta sponsor,
raccolta contributi dei CD dei singoli Webdez e relative prenotazioni. Da sottolineare
come tutti abbiano sentito in modo palpabile questo percorso, accompagnando da
vicino il suo progresso, una sorta di sviluppo online collettivo con pochi precedenti.




                                                      Koandesign layout
Ci piace pensare che attorno a noi ci siano anche personaggi che sanno riderci sopra
mostrando aspetti goliardici della professione del webdesigner. Volontà semiseria di
sdrammatizzare ed enfatizzare tale presagio: pensare che il webdez sia un perfezio-
nista, talentuoso e virtuosista. Abbiamo chiamato Luca Guglielmi a raccontarci que-
sta storia:


Siamo tutti un po’ Flavio Cocconi
di Luca Guglielmi

Flavio Cocconi è una creazione di Luca Guglielmi
(www.inspirations.it) e Flavio Condò (www.graphic.it) e
non nel senso che è nostro figlio (ci abbiamo già prova-
to a farne uno ma ci hanno spiegato che non possiamo
averne) ma nel senso che non esiste nessun Flavio
Cocconi, almeno nessun Flavio Cocconi che faccia il web-
designer.
È un personaggio che popola la nostra fantasia, chiara-

                                                                                           41
Wde the book
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Wde the book

  • 2. L’Editore, nel ringraziare tutti i ragazzi pionieri di WDE che hanno preso parte a questa prima iniziativa, inviando i propri lavori, ritiene doveroso ricordare che la realizzazione di questo libro è stata resa possibile grazie anche al contributo ed al sostegno degli sponsor amici di WDE: ARKÈ - BEST-SERVER - E-TREE - PAUL HARTMANN - INTERA © 2002 - Editoriale Sometti, Mantova www.sometti.com ISBN 88-88091-91-2 4
  • 3. Presentazione I COLORI DELLA LUCE Il merito esatto di ciò che è arte e quello che non lo è deve ancora, dopo tanti secoli, essere deciso con chiarezza. Non esiste la formula decifrabile per la meritocrazia intellettuale. Ogni tempo ha le sue discipline e ciò che è gradito in un’epoca è dimen- ticato in un’altra. La via del sublime è difficile e sconosciuta ma è altrettanto stimo- lante e avvincente. Anni fa (molto tempo è passato) avevo scritto in un avventuroso pensiero, che il giu- dizio possibile approssimativo di un’opera d’arte non sarebbe stato l’uomo a definir- lo, ma un suo alleato energetico, l’elaborato di un computer. Selezionare la quantità visibile o intuibile di intelligenza, umanità e bellezza. La possibilità di calcolo deci- derà dei valori la cui somma ci dirà, forse, quanto può essere alta un’opera al con- fronto di un’altra. Ovviamente questa è una futura ipotesi, anzi una avventura fantascientifica, ma que- sto per dire che “l’inebriante tecnologia” del mondo contemporaneo può indicare sempre più una fratellanza tra l’uomo e i suoi giocattoli pensanti. Per millenni si è usato scalpello e pennello per creare un’immagine osservabile. Ed oggi con tanta più facilità si usa quell’alieno elettronico che è il computer. L’arte moderna, che ha riempito musei, sembrava tutto e ogni cosa, ed invece ora è insi- diata. Un’altra forma di immagine è creata. Proviene da un caos profondo del pote- re della “energia” e si affaccia con un gioco di colori e di forme eccitanti. Sono i geli- di pixel dello schermo che appaiono nuovi, docili e superubbedienti, che si introdu- cono in una estetica moltiplicata e che hanno uno strapotere di efficenza, visibilità, comunicabilità. Un pixel semplice e micrometro, ma che può in un attimo attraversa- re il mondo, da uomo a uomo lontano, lontanissimo. Cosa può dunque fare di più un povero pittore con tavolozza e pennelli in una stan- za per completare un quadro e aspettare. Il tempo velocizzato ha dato esperienza a un nuovo ed intensivo sviluppo, ad una gioventù creativa lanciata verso il futuro, verso il nuovo genio della specie per un’ar- te diversa. Ed è sempre una gara persistente per il diverso, in cerca di quel filo intellettuale che crea le mode, le novità, gli stili e i concetti. Che stimola la passione per appropriarsi di spazi diversi al confronto del passato. Ed ecco quindi formarsi un promesso artista di webdesign, spesso slegato dal mestie- re del passato, candido e ammaestrato per lavorare con l’intangibile, veicolare infor- mazioni visive. Egli può avere un’arte intesa come abbellimento della propria mente e che diventa accessibile e visibile a tutti, ovunque, in qualsiasi luogo. Un’avventura mai immaginata in millenni di civiltà che diventa pratica semplice e amorevole. Come dopo un’eclisse appare la luce, così dal buio del computer appare il pixel di luce, l’arcangelo splendente che informa calcola esprime e raccoglie i simboli del pensiero per restituirli attraverso i punti luce del monitor a volte in modo generico, ma altre con una suggestione diversa dalle antiche immagini. Vi è un condensato di universale nella libera rivisitazione che il webdesigner informa con leggerezza sfiorando i tasti e richiamando forme e colori. Arrivano d’impatto 5
  • 4. dentro il rettangolo luminoso dello schermo, qualcosa di immateriale senza sostanza, incorporeo e di pura visione dove non esistono limiti e frontiere. Sono messaggi di luce che giungono da un potere etereo, dall’antica energia del sole che giunta sulla terra e qui riposata ora si trasforma in potere elettronico, indefinibi- le come forza, tuttavia sparsa dovunque nell’universo e che resiste al passaggio del tempo senza limiti. La luce, strumento del nuovo artista, costruttore di immagini luminose: il webdesi- gner che lavora nella penombra con un colloquio silenzioso col suo traduttore di idee e pensiero, il computer, campione di memorie, maestro nell’ordine, ubbiediente alla sapienza. Un aggeggio strano e generoso che restituisce il suo insondabile contenu- to al solo tocco di una tastiera, una soffice carezza. Un regalo così grande non poteva l’umano aspettarsi. Come questo è generoso di scienza, tecnologia, velocità di informazione, un potere così grande non può non coinvolgere l’arte che è l’assoluto dell’uomo. Con la sua presenza e con i prossimi webdesigners, con coloro che ne sono i detento- ri piloti, darà certo contenuti da integrare ad una formula aggiunta alla storia del- l’arte, l’arte della luce, la webdesignart con i suoi vaghi bagliori colorati provenien- ti da rarefatte distanze e da confini oltre il buio del tempo. Lanfranco 17 agosto 2002 6
  • 5. Ammirando le opere di Lanfranco, Lanfree si è proposto un progetto ambizioso. La reinterpretazione di alcune opere significative del maestro mantovano in una sorta di paternità d’origine artistica delle webdesignart, ha aperto un capitolo nuovo. Come in un gioco, ma soprattutto spinto dalla curiosità, Lanfranco ha donato la bel- lezza delle sue opere ad una estrapolazione esplorativa senza precedenti. 128 opere reinterpretate da tutto il mondo in pochi giorni hanno riempito una pagina Web che è destinata a rimanere un esempio vitale di rara bellezza. “We’re Lanfranco’s Sons” http://www.webdesignersexperiments.net/lanfranco_ping_pong/ Le 128 composizioni presentate dai giovani webdesigners esprimono un imprevedibi- le modo di interpretazione di un’opera dipinta e tonalità di colori sconosciuti alla pit- tura tradizionale e alla storia dell’arte. Gli autori non condizionati da precedenti culture artistiche, danno un messaggio di libera rivisitazione delle forme e del colore per una nuova e diversa estetica che è pos- sibile con gli strumenti della tecnologia. Alcune opere sono state scelte perché uniscono con equilibrio di effetti la sostanza formale del modello riprodotto, alla eterea movibilità colorata del computer. (1° gruppo). Altre per l’impegno tecnico di lavoro nel trasformare il modello in imma- gini complesse, ricche di originalità e bellezza. (2° gruppo). Un creativo spazio di nuovi visionari e nuove esperienze per l’arte. Lanfranco 25 agosto 2002 OPERE SEGNALATE (1° gruppo) Daniele Cascone (la donna che regalò i pianeti) Kristal_Varelli Margherita (ebbrezza privata) Massimo Kunstler (all images) Piero Desopo (il luogo dello spirito) Rizky – Indonesia (ebbrezza privata) (2° gruppo) Daniele Tabelloni (giacca psichedelica) Harry J-H (la donna che regalò i pianeti) Karborn (gli amanti del sogno) Ideali (lo spirituale ed il demoniaco) Indifference (la donna che regalò i pianeti) Irene (gli amanti) Mauro Gatti (eva metallica) Marco Mongelli (Venezia al sole) Raffaele Rutigliano (gli amanti) Roberto DellaVedova (il labirinto) S. B©nauta (incontrare un altro mondo) Satya.Gumilang (eva metallica) Terrorpilot (lo spirituale ed il demoniaco) Tilaar,Desiree (apridonna) Moch Zamroni (apridonna) 7
  • 6. Daniele Cascone (la donna che regalò i pianeti) 8
  • 7. Massimo Kunstler (all images) Rizky – Indonesia (ebbrezza privata) 9
  • 8. Kristal_Varelli Margherita (ebbrezza privata) Piero Desopo (il luogo dello spirito) 10
  • 9. Introduzione DAL PIXEL ALLA PAGINA A STAMPA: MEMORIA DI UNA WEB COMMUNITY. “Laboratorio” è parola ricca di fascino, di suggestione. Perché implica, oltre al senso del lavoro, dell’operosità, dell’uomo faber, anche l’interesse per ciò che si crea e si forgia. Nel laboratorio l’artigiano dà un senso alla propria vita manipolando la mate- ria con i propri strumenti e creando – cioè aggiungendo tratti significanti – opere che sono messaggio della sua esistenza, del suo modo di vedere la realtà nella quale vive. Pardon, ho detto “artigiano”. Eppure laboratorio in francese fa “atelier” e l’ar- tigiano assurge subito al rango di artista: ecco, basta cambiare matrice linguistica e il mondo si legge in altra prospettiva. Ma poi la differenza, davvero mai come in que- sto caso, è soggettiva, legata a chi sa intendere – meglio interpretare – un pensiero sustanziato in una realizzazione che vuole andare oltre all’asservimento di uno scopo primario, per la quale generalmente è stata commissionata e, talvolta, pagata. Lanfree ha creato un laboratorio, di questo tutti coloro che hanno a cuore le sorti della Web art dovrebbero rendergli merito. Uno dei primi provider italiani si era scelto come nome “agorà”, era un nome centrato: la piazza è un luogo ove ci si incontra, ci si confronta, si parla, si commercia: così avveniva tra coloro che si affacciavano per la prima volta sulle soglie della Rete. Lanfree però ha creato qualcosa di diverso: ha offerto non solo un luogo ove stabilire contatti en plein air, ma ha fornito un tetto, un riscaldamento, un pasto caldo: soprattutto ha accolto con un abbraccio chi voleva entrare, con lo spirito – e le attenzioni - di un vero dominus, padrone di casa, una situazione ben diversa dalla piazza. Nel grande opificio di WDE si sono ritrovate prima di tutto (prima di artisti, artigiani, smanettoni) persone che hanno voluto condivide- re qualcosa insieme, partendo da un punto comune – la creatività in Web – per giun- gere ben oltre, laddove che cosa si faccia ha importanza relativa, mero pretesto per stare insieme. Basta passare un’ora con Lanfree per rendersi conto che il fattore este- tico dell’operazione WDE è del tutto secondario rispetto allo spirito di gruppo, al sen- tirsi uniti prima come community che come guilda d’artisti. Ecco: comunità è un’altra parola importante di questa storia. Internet non è nata come rete per una comunità, a meno che non si voglia definire con questo termine l’insieme dei distaccamenti militari statunitensi a metà degli anni Sessanta. No, Internet è divenuto strumento di comunità quando, sotto la spinta del mondo dell’u- niversità, si è compreso che attraverso cavi e computer potevano essere fatti passare non solo dati strategici, scientifici, statistici, ma emozioni. Sissignori, emozioni. La svolta della Rete è stato lo sforzo – mentale, puramente mentale – di comprendere che dietro lo schermo sul quale stiamo disegnando o digitando parole non stanno transistor, ma persone: occhi e cuori in ascolto, come scrive Howard Rheingold, l’i- spiratore di “The Well” una delle prime comunità virtuali nate attraverso la comuni- cazione telematica: “I realized that the people who have the information are more interesting than the information alone”1. Da lì in poi tutto il resto. Il Web non è che l’ultimo (in ordine di apparizione, benin- teso) passaggio verso la possibilità di utilizzare la Rete come un formidabile ausilio alle esigenze di un gruppo. Il Web, lui sì a differenza di Internet, nasce per una pre- cisa comunità – quella dei fisici delle particelle – ma non solo allo scopo di scambia- re e condividere dati sperimentali, ma anche per cementare quegli usi, quelle con- suetudini che sono lo spirito di un gruppo. Chiariscono il concetto le parole di Tim Berners-Lee, l’inventore del Web: 11
  • 10. Il Web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica. L’ho progetta- to perché avesse una ricaduta sociale, perché aiutasse le persone a collaborare, e non come un giocattolo tecnologico. Il fine ultimo del Web è migliorare la nostra esistenza reticolare nel mondo2. Tramite il Web si creano dunque non solo legami tra documenti, ma soprattutto tra persone che danno un segno della loro esistenza attraverso un’interfaccia che, nel nostro caso, è rappresentata da uno strumento ipermediale. Legami tra persone che sono il fondamento di una determinata trama relazionale e, di conseguenza, come non vedere questo volume innanzitutto come un fortissimo segno di identità comu- nitaria? La stessa partecipazione alla gestazione del prodotto finito, una condivisio- ne continua in tempo reale, sarebbe di per sé un forte motivo di riflessione. Qui, a partire dalla copertina, tutto è stato pensato come un progetto aperto alla collabo- razione di tutti: sul sito di WDE una sezione raccontava i passi avanti, i dubbi, le riso- luzioni (perché poi qualcuno deve pur risolversi a prendere delle decisioni anche se difficili, perlomeno impopolari), tenendo la community sempre al corrente, sempre all’erta, pronta ad affrontare nuovi stimoli e suggerimenti. Questo è stato il desiderio di Lanfree: che questo fosse il libro di WDE, cioè che ciascuno dei ragazzi potesse dire: questo libro è anche mio. Secondo punto di interesse: perché la scelta di una pubblicazione su carta per testi- moniare l’opera di artisti che lavorano con il mouse invece che con il pennello? Perché il libro è per eccellenza nel mondo occidentale, laddove è stata inventata la rivolu- zionaria scrittura sillabica, lo strumento principe della memoria, contro l’oblìo, con- tro la dimenticanza a volte non voluta, a volte inconscia. È proprio della libertà che deve contraddistinguere l’azione di ciascun artista la facoltà di decidere le sorti della propria opera. Questo non da ieri, da sempre. Virgilio che, sul punto di morire, impo- ne che l’Eneide scompaia insieme al suo autore è un esempio più che noto. Salvo il fatto che, d’altra parte, è anche diritto della società impedire la distruzione della memoria, soprattutto quando l’opera che rischia l’annullamento è opera nella quale vengono riconosciuti valori comuni, condivisi. Allora, fra queste due libertà, si gene- ra una situazione drammatica che spesso non ha modo di essere ricomposta se non attraverso un atto di forza da parte dell’uno o dell’altro degli attori in scena. In appa- renza la Web art è per natura del mezzo utilizzato, ma più spesso per intenzione este- tica di chi la pratica, un’arte effimera, che tende a scorrere via veloce senza lasciare un sedimento materiale. La scelta dunque di un sistema antico di preservazione della memoria utilizzato allo scopo di registrare forme nuove, prometeiche e sguscianti, può apparire una stranezza davvero balzana. Eppure non è così: aprire un archivio elettronico (un database accessibile via Web) con i lavori che vengono presentati in questo volume avrebbe significato probabilmente una più corretta “preservazione” delle qualità intrinseche delle opere d’arte ma, d’altro canto, una molto più flebile presenza come memoria di gruppo. E questo secondo aspetto è – ribadiamolo – ciò che sta alla base di questa operazione editoriale. Questo non significa, naturalmente, che non debbano essere poste in atto tutte quelle strategie che possano garantire anche a chi verrà dopo di noi la fruizione più corretta delle opere presentate. Opere che sfruttano tutta la gamma delle tecniche multimediali, opere che hanno nell’ani- mazione molte ragioni della loro esistenza, opere che – per riprendere una conside- razione vecchia ma sempre validissima di McLuhan – sono nate per essere fruite attra- 12
  • 11. verso un dispositivo che fa del nostro viso il vero schermo di proiezione, bersaglio del flusso di elettroni sparati dal tubo catodico del monitor, con quello che ne consegue, cioè una “convulsa partecipazione dei sensi che è profondamente tattile e cinetica”3. Questo libro raccoglie tra le sue pagine (molto più resistenti non solo dei bit, ma della roccia) una traccia, un segno dello spirito che ha animato ogni artista, e questa è la sua funzione, il suo pregio. Ma per il resto ciò che vediamo qui stampato è tanto falso rispetto al “prodotto” dei webdesigner quanto può esserlo un volume sulla Cappella Sistina rispetto agli affreschi michelangioleschi ammirati dal vivo. Non ho utilizzato, evidentemente, il termine “originale”. Per chi ha un po’ di dimestichezza con il mondo digitale sa che i concetti di “originale” e di “copia” sono di quelli destinati a descrivere un mondo che non è quello delle memorie elettroniche: la vera differenza tra due documenti elettronici di cui uno sia il clone dell’altro non sta nella loro costi- tuzione (ogni bit dell’uno corrisponde esattamente a un bit dell’altro) ma nel loro stato, nella loro fruibilità attraverso un sistema che interpreti i segni lasciati su un supporto e li ri-produca in informazioni decodificabili dall’uomo. La messa in atto o la potenza di questo imprescindibile processo è assoluta peculiarità del mondo digi- tale, senza di esso tutti i dati (ma anche le emozioni) sono destinati a rimanere impri- gionati nel silenzio del loro sarcofago magnetico o ottico. Dunque l’interfaccia assume per il webdesign un valore esemplare: è su di essa che lavora l’artista ed è tramite essa che si ha la vera fruizione del prodotto artistico. Come scrive Pierre Lévy: “se ogni processo è interfacciamento, dunque traduzione, questo è perché nessun messaggio si trasmette tale e quale, in un ambiente condut- tore neutro, ma deve superare discontinuità che lo trasformano”4. Questo passaggio è dunque una chiave di lettura importante per tentare una interpretazione delle opere presentate. Opere che sono accomunate da un’altra caratteristica specifica di WDE, l’essere – come dice il nome stesso – un luogo della sperimentazione, total- mente libera e indipendente da committenze e provvigioni. Pur ribadendo quanto già espresso in apertura, e cioè che un’opera d’arte non è meno valida perché voluta e pagata da qualcuno (la Madonna dei Pellegrini di Caravaggio è meno capolavoro perché il soggetto fu scelto dagli Agostiniani del convento romano?), non si può disconoscere che (almeno) dall’inizio del secolo passato il valore della sperimenta- zione “pura” sia sempre più vitale alle esigenze della ricerca artistica e delle riper- cussioni della medesima sulla produzione destinata al consumo. Umberto Eco chiari- sce bene il concetto: [L’avanguardia], da un lato, trovandosi a funzionare suo malgrado come uffi- cio studi dell’industria culturale, reagisce a questa circonvenzione cercando di elaborare continuamente nuove proposte eversive – e questo è un problema che riguarda un discorso sulla sorte e sulla funzione dell’avanguardia nel mondo contemporaneo – mentre l’industria della cultura di consumo, stimola- ta dalle proposte dell’avanguardia, continuamente svolge opera di mediazio- ne, diffusione e adattamento, sempre e di nuovo prescrivendo in modi com- merciabili come provare il dovuto effetto di fronte a modi di formare che origi- nariamente volevano farci riflettere solo sulle cause 5. WDE è spazio di libertà e di confronto. I due elementi fanno la forza di questa espe- rienza: ciascuno infatti è libero, nel suo percorso di lavoro, di ritagliarsi momenti di 13
  • 12. analisi, approfondimento, sperimentazione. Ma la solitudine della pratica non può generare un dibattito, un confronto se non c’è modo di ritrovarsi in un luogo a mostrare il proprio lavoro e a discuterne con gli altri. Per questo l’esperienza di WDE ha avuto successo, per questo quando c’è da dare una mano per l’ordinaria (e la straordinaria) amministrazione dell’edificio tutti sono disposti a partecipare. In più se il responsabile dell’impresa non si accontenta semplicemente di accogliere gli arti- sti, ma anche di lanciare sfide, proporre argomenti, gettare fiammiferi nel pagliaio - “dobbiamo stare in compagnia oggi, noi, scambiandoci discorsi: e che discorsi, se permettete, voglio suggerirvelo”6 - allora state certi che ci sarà poco tempo per ripo- sare e molto da parlare, vedere e ascoltare. L’ultima provocazione di Lanfree, complice in sordina Valerio Sometti, è stata un’at- tribuzione di paternità per tutti i giovani membri della community. Mi riferisco natu- ralmente al “siamo tutti figli di Lanfranco” che ha suggellato il patrocinio ideale del grande pittore mantovano nei confronti della realizzazione di questo volume. Lanfree e Lanfranco, come in un gioco di parole (e del destino?): l’uno ha imposto all’atten- zione degli artisti della community le opere dell’altro, suggerendo eredità e deriva- zioni ideali ed estetiche e promuovendo una rielaborazione delle opere del maestro. Il risultato della provocazione non lo vedrete in questo libro, forse – è speranza di tutti noi – in un altro. In attesa, magari, fate una capatina in WDE, ne vale la pena: perché l’operazione di rielaborazione è di assoluto interesse, è un elemento chiarissi- mo di caratterizzazione dell’estetica contemporanea, non unicamente riferito all’am- bito delle arti grafiche: Il versioning è un fenomeno caratteristico non solo del reggae, ma anche di tutte le musiche afroamericane e caraibiche: jazz, blues, rap, rhythm’n’blues, afrocubana. E oggi è normale avere delle versioni diverse dello stesso brano, dubbato o remixato. Nessuno ha mai l’ultima parola7. Il successo di interesse nella community dell’iniziativa di rielaborazione delle opere di Lanfranco testimonia che quel passaggio in un epoca definita neobarocca è ben lungi dall’essere concluso e che, anzi, ne viviamo forse ora la fase più intensa, scrive Calabrese in proposito: Esercizi sul tema, variazioni di stile: è questo il primo principio dell’estetica neobarocca, modellato appunto su un generale principio barocco del virtuosi- smo, che in tutte le arti consiste nella totale fuga da una centralità organizza- trice, per dirigersi, attraverso una fitta rete di regole, verso la grande combi- natoria policentrica e verso il sistema delle sue mutazioni8. La pratica della rielaborazione è uno dei tratti caratteristici delle opere presentate. Questo approccio nei confronti della prassi artistica legata al Web è di duplice inte- resse. Primo: non si può rielaborare se non si ha coscienza del fatto di essere circon- dati da materiali che hanno ancora potere significante, anzi che possono assumerne di nuovo nel momento in cui vengono integrati, meglio riassemblati, secondo una sintassi nuova. Conseguentemente – secondo punto – uno sforzo enorme da parte dell’artista si rivolge verso l’aspetto della connettività tra i frammenti sparsi di un 14
  • 13. discorso da costruire, dinamica questa che è alla base di ogni forma ipertestuale, la quale ha la sua novità proprio nell’inusitato sistema di collegamenti tra i diversi ele- menti informativi. Rielaborazione significa dunque avere un occhio attento sul mondo dei segni, dunque dei documenti, dunque (magari inconsciamente, implici- tamente) verso una prospettiva storica che troppo spesso viene semplicisticamente negata di fronte a operazioni nate per essere fruite attraverso un sistema telematico digitale. D’altra parte è indubbio che la Rete rappresenti un formidabile catalizzato- re di processi cognitivi, ove la velocità assume un ruolo essenziale nel ridisegnare le modalità attraverso le quali ciascuno di noi assorbe ed elabora informazioni, ove gli stessi orizzonti fisici del nostro biotopo sono continuamente rimessi in discussione dal potere di muovere il nostro pensiero in modo istantaneo, in un qualunque punto del globo interconnesso al sistema. Siamo all’ultimo stadio (ancora una volta “ultimo” in ordine di tempo, non di conclusione di un processo in atto) di un’evoluzione tecno- logica che, prendendo la rincorsa con la rivoluzione industriale, si è prodotta in un’accelerazione che ha attraversato tutto il Novecento e che ha lasciato sulla nostra pelle segni indelebili: Perché asserisco che il tempo si sta trasformando sotto i nostri occhi in qualco- sa di fittizio e insieme di falso? Qualcosa di “fittizio” perché ormai – data appunto la costante accelerazione dei nostri spostamenti e lo sganciarsi del nostro movimento da quello della natura – il movimento è divenuto, più d’o- gni altro “parametro” della nostra esistenza, un elemento del tutto “innatura- le”, modificabile a volontà, indeterminato, e non più legato a quei ritmi (respi- ro, battito cardiaco, fasi delle stagioni, e forse anche “anni cosmici”!) che un tempo lo limitavano, lo circoscrivevano, ma anche ne consentivano la identifi- cazione e la assolutizzazione9. Progettare per il Web significa dunque tenere conto di un supporto che, caratterizza- to dalla sua labilità, instabilità fisica, sfrutta di converso queste doti per esaltare – come mai si era visto prima – la cinetica della comunicazione. Ogni opera d’arte ha in sé un tempo della narrazione: nella Web art questo tempo si adegua ai ritmi di quella realtà che le reti telematiche hanno contribuito a strutturare. È il tempo pun- tiforme, è l’esaltazione dell’attimo, è la logica dell’hic et nunc: ciò che vediamo espo- sto in WDE è espressione dell’emozione di un istante, ma anche dell’implosione – in quello stesso istante – di una temporalità che non è, torno a dire, negata bensì com- pressa. Si avverte di frequente, di fronte alle opere di questi giovani artisti, un senso tremendo di tensione che non è proprio della contemplazione dei frammenti di una visione esplosa della realtà, quanto piuttosto dell’ordigno innescato, pronto a salta- re in aria. Chi osserva è investito da questa sensazione di attesa, di potenziale defla- grazione che però non si sa se produrrà realmente uno scoppio tremendo e deva- stante oppure un innocuo bum da mortaretto o tricchetracche. Infatti la carica ironi- ca insita in molti di questi lavori è un altro aspetto che non può essere disconosciu- to, ma d’altra parte è anche logico che sia così: in una società di rapporti sempre più fluidi e sempre meno stabili nel tempo, il ruolo di chi propone arte su un mezzo come il Web non è forse anche quello di riflettere sul proprio “ruolo” creativo, dunque su eventuali etichettature troppo semplicistiche, inadeguate? Da qui bisognerebbe poi considerare quanto la tecnologia telematica ha contribuito a rendere disponibile a 15
  • 14. tutti coloro che avessero la pazienza di apprenderne i fondamentali uno strumento per esprimere la propria creatività e per poterla proporre ad altri attraverso un’inter- mediazione ridotta effettivamente all’osso. La “democratizzazione” della prassi arti- stica è uno di quei luoghi comuni difficili da scalfire quando si tratta di Web; natu- ralmente come in tutti i luoghi comuni vi è un fondo di verità: nessuno può negare che il Web si è rivelato nel tempo uno strumento di “pubblicazione” spaventosamen- te potente, la sua stessa crescita quantitativa a ritmi iper-esponenziali ne è la testi- monianza più tangibile. È altresì ovvio che non basta la padronanza di utilizzo di una tecnica per fare di chiunque non solo un webartist ma anche un webmaster o un web- designer: Che il numero più ampio possibile di esseri umani sia messo in grado di svilup- pare la propria congenita creatività, certo. Epperò, siamo seri: l’arte – che è (sempre) un’altra cosa – che c’entra con tutto questo?10 Già, che c’entra? Soprattutto che c’entra in un ambito, come è quello digitale, ove la tecnica è ossessivamente fine a sé stessa, in una continua rincorsa a prestazioni sem- pre più potenti al servizio di obiettivi sempre più oscuri. Se si vuole insinuare un’ipotesi estetica nell’utilizzo delle nuove tecnologie è neces- sario utilizzare le medesime come cavallo di Troia: è solo facendo finta di sfruttare la tecnica per fini non propriamente artistici che si può sperare di operare quello scar- to semiotico che consente l’apertura di una effettiva prospettiva poetica. Naturalmente il gioco può anche non funzionare e a rimanere gabbato potrebbe essere lo sperimentatore. Ma è necessario - è segno importante e confortante - che qualcuno si cimenti in questo tentativo di riflessione sul senso dell’utilizzo di un siste- ma telematico globale. E allora, torno a dire, invece del neoluddismo, del rifiuto aprioristico, del muro contro muro, può essere più sconvolgente e più lievemente scardinante l’arma dell’ironia, che sa far traballare certezze perché – dissimulando, fingendo ignoranza da neofita o da inesperto – coglie alle spalle, dribbla l’ostacolo, sgambetta l’avversario appena l’arbitro ha distolto lo sguardo. Sarei dunque pru- dente di fronte a tante riflessioni che vogliono leggere la Web art unicamente attra- verso le categorie dell’estetica postmoderna, vorrei insinuare il dubbio che il pensie- ro debole o l’opera aperta non siano due grimaldelli in grado di aiutare ad aprire delle vere porte interpretative. Anche la presunta interattività della Web art è, alme- no in ciò che vediamo presentato qui in WDE, in gran parte totalmente illusoria. Riflettiamo: quanto conta, quanto è presente il fruitore come parte attiva nella costi- tuzione del processo artistico? Qui ci troviamo di fronte perlopiù a prodotti sviluppa- ti in Flash, fortemente chiusi in sé stessi, difficilmente manipolabili dall’utente, sem- pre più autonomi nella loro struttura. E la struttura è allora una struttura forte, come forti sono le intenzioni degli artisti. L’interattività la si potrà trovare a un livello più generale, cioè a dire quello dello spazio connettivo su cui il Web è costruito, uno spa- zio che si moltiplica grazie ai nodi che ciascuno aggiunge alla trama condivisa. Siamo dunque d’accordo che le opere di WDE potranno essere linkate ad altri contenuti ma, anche inserite in nuovi contesti, manterranno la loro matrice, non potranno essere decostruite a piacimento del lector in fabula. Da qui, per riprendere il discorso ini- ziale, ecco non solo la necessità ma il senso di testimoniare un’epoca nella ricerca e sperimentazione sul Web design: ciò che rimane nel percorso artistico dei membri di 16
  • 15. WDE, ciò che risulta al termine delle sperimentazioni (experiment cioè la “E” di WDE) è alla fine un prodotto fortemente strutturato che dunque, benché registrato su un supporto labile, ha ragione di rimanere nel tempo, aere perennius. In WDE non si vivono solo processi, happening, eventi, momenti: vi sono anche opere, e di questo il volume vuol essere catalogo, o meglio antologia, seppur strumento imperfetto che necessiterebbe di tanto corredo, a stampa e in digitale, per offrire un panorama ancor più significativo dell’attività di una comunità di artisti. Ma intanto accontentiamoci, prendiamo questa occasione come un pretesto per iniziare un discorso, certamente non per concluderlo. E ancor di più cerchiamo di sfruttare il potenziale del mezzo gutenberghiano, vecchio di cinquecento anni, familiare a tutti, transgenerazionale, transgender: cerchiamo cioè di cogliere l’occasione per rendere più visibile ciò che si fa in WDE anche al di fuori della comunità stessa, in una pro- spettiva di dialogo con chi nel pubblico o nel privato promuove manifestazioni arti- stiche oppure con il mondo della scuola e dell’università. Il Web design è un veicolo straordinario per poter riflettere sulle potenzialità della Rete, non solo a livello este- tico, beninteso: l’opportunità di cercare di interpretare la complessità degli strumen- ti informativi che ci circondano, che utilizziamo quotidianamente, attraverso il desi- gn è la riprova ulteriore di quanto, nella congerie di dubbi che caratterizza il nostro tempo, la riflessione artistica sia un ambito privilegiato per aiutarci a comprendere la nostra condizione, senza offrire facili punti di approdo, ma delineando il nostro esse- re uomini in transito tra due millenni, immersi in un oceano informazionale nel quale è sempre più difficile mantenere una rotta nonché stabilire un piano di navigazione. Alberto Salarelli 1 Howard RHEINGOLD, The virtual community. Finding connection in a computerized world, London, Minerva, 1994, p. 56. 2 Tim BERNERS-LEE, L’architettura del nuovo Web, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 113. 3 Marshall MCLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1997 (ed. or. 1964), p. 334. 4 Pierre LÉVY, Le tecnologie dell’intelligenza, Milano, Synergon-A/Traverso, 1992, p. 198. 5 Umberto ECO, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1988 (ed. or. 1964), p. 76. 6 PLATONE, Simposio, V, 7-10. 7 Dall’intervento di Camillo de Marco in Virginio BRIATORE (a cura di), Restyling. Meraviglie e miserie del progetto contemporaneo, Roma, Castelvecchi, 2000, p. 86. 8 Omar CALABRESE, L’età neobarocca, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 44. 9 Gillo DORFLES, Il feticcio quotidiano, Milano, Feltrinelli, 1989, p. 184. 10 Massimo CARBONI, Il sublime è ora. Saggio sulle estetiche contemporanee, Roma, Castelvecchi, 1998, p. 118. 17
  • 16. 18
  • 17. Internet is speed it continuously changes the world turns around Internet thoughts run things remain there is no time to think you have to see. Lanfree 19
  • 18. 20
  • 19. WDE aka Web designers experiments. Una sigla che sta rappresentando moltissimo nel panorama del Web design italiano. È passato poco più di un anno (messa online del sito 04 maggio 2001) e di strada ne ha fatta già parecchia questo dominio, nato da un idea nello scuro della notte l’an- no scorso. Ma che cosa significa questo sito? Certamente la volontà di Lanfree nel permettere ai giovani webdesigners di potersi sfogare lanciandosi in prove grafiche o animazioni tecnico-concettuali in completa libertà. Sì nel Web sono conosciuto come Lanfree, un nickname appropriato, che identifica al meglio la mia indole: spirito libero, fuori dagli schemi e dai vincoli. Certo Internet, per un non più giovanissimo, può sembrare inadatto, dove i giovani imperversano, tracciano e setacciano a passo indecifrabile e vertiginoso una nuova storia intrigan- te e ricca di misteri. Davanti ad un monitor può succedere di tutto, si può anche per- dere la dimensione del tempo, immergendosi in un mondo visivo senza ombra. La curiosità mi ha spinto. Sono un perito elettronico diplomatosi nel lontano 1982, allora si studiavano i transistor, gli amplificatori. Oggi con l’avvento dei circuiti inte- grati, dei sistemi sempre più sofisticati, si sono aperte delle finestre verso orizzonti multimediali e interattivi che stimolano giochi bellissimi. È stato per puro caso che mi sono avvicinato al computer nel 96. Lavorando - come commerciale - per un’azienda di macchine a controllo numerico per il taglio del vetro, ho intuito che una fonte di vendita poteva essere rappresentata dallo sviluppo di un software per la ottimizzazione del taglio delle lastre dando come risultato meno sfrido. Una scommessa ardita che con l’aiuto di alcuni tecnici mi ha permesso di svi- luppare tale intuizione. È stato in quel preciso momento che ho capito le enormi potenzialità dell’informati- ca. La passione mi ha coinvolto al punto che dieci ore della mia giornata erano dedi- cate a lui. Sì, il mio vecchio PC 133 Mhz mi ha obbligato ad abbandonare nel tempo libero parole crociate, riviste, giornali e televisione. Vi sembrerà strano, ma da quel momento la mia vita ha assunto ritmi e interessi completamente diversi. Il primo modem, la prima connessione, la curiosità nell’esplorare e surfare alla ricerca di qual- cosa di grande, di enorme, mi affascinava… il primo scanner, il primo software di grafica, che smania di imparare, di capire come destreggiarmi all’interno di un siste- ma operativo con una sua logica, con le sue enormi potenzialità. Sete di conoscenza e di apprendimento. Non mi so spiegare questa passione, forse il gusto della compli- cazione, ma anche il nuovo, il concetto di abbattimento di spazio temporale con le prime chat, la possibilità da parte del cittadino comune e con pochi soldi di aver a disposizione una macchina che è diventata indispensabile per la nostra vita di tutti i giorni, la sensazione di vivere un passaggio epocale, consentitemelo di dirlo forte: TUTTO CIÒ È STRAORDINARIO! Dopo alcuni tentativi personali sondando e sviscerando le tematiche grafiche del mondo via etere, ho lanciato nell’aprile del 2000 www.lanfree.it, il mio primo sito con dominio di primo livello. La passione per la grafica e il continuo bisogno interiore di ricerca mi hanno perdu- 21
  • 20. tamente coinvolto a tempo pieno, a tal punto che ogni giorno il monitor pretende che gli si dedichino tra le cinque e le otto ore, lavoro permettendo. Un sacrificio enorme, ma non esiste sacrificio se lo si vede con amore: il computer è diventato il riferimen- to, il tramite tra me e il mondo virtuale di Internet. Questo mondo che vibra di web- designers eccellenti, troppo giovani a volte per trasmettere quel richiamo profondo che, con il plasma tra l’immagine e i contenuti, mostra al visitatore una personalità intrinseca forte, profonda. L’utente si sofferma sul piacevole intreccio grafico, ma poi di conseguenza è costretto a pensare, a riflettere, a gioire, a toccare con mano una realtà evolutiva che interagisce col proprio io alla ricerca di noi stessi. Oggi la mia occupazione è di funzionario commerciale nell’”Hospital Division” di una multinazionale tedesca (Paul Hartmann) nel settore delle medicazioni e dei presidi medico chirurgici. Professionalmente un lavoro di grande responsabilità e di enormi soddisfazioni. Ma il mio cuore, la mia passione sono lo studio di Internet e della sua evoluzione. Sono altresì convinto che tutti abbiamo le potenzialità nell’usare questo mezzo con buon profitto. Certamente c’è bisogno, lo ripeto, di passione: sono più gli autodidatti come me che in fondo premono sull’acceleratore. Più di tutto amo il Web design, mi piace vedere scrollare immagini, digerire siti pieni di grafica accattivan- te, ricca di spunti metafisici e irreali intrecciati con il vertiginoso mondo circostante. Mi piace seguire da vicino queste nuove generazioni che disegnano le pagine Web. Per identificare nel gergo simbolico una grande emozione, unita a tecnica sopraffi- na, si usano le espressioni “very cool” o “very nice”: ci si sofferma sull’essenziale, non servono tante parole. “Io sono ciò che vedi”, può sembrare un paradosso, ma oggi i webdesigners non amano le definizioni, le etichette, la catalogazione: ognuno si sente libero di esprimere i propri concetti attraverso questo monitor che li proietta verso spazi indefiniti. Mi sono accorto però che mancava un riferimento sulla rete dove esprimere ed espri- mersi dando sfoggio alle proprie creazioni o anche ai lavori lasciati in sospeso sul proprio hard disk. L’idea di lanciare WDE è scaturita dopo la pubblicazione di Niko Stumpo Forever Laboratories (www.lanfreeblogger.org/stumpo/stumpo.html), ero sempre più con- vinto che la professione di Web designer fosse molto dura e piena di sacrifici e che l’appagamento fosse irrisorio rispetto l’impegno profuso sul campo: ho voluto crea- re una sorta di contenitore di prove mai messe online dove la creatività si sprigionas- se alla ricerca di una cover o di un flash animation per un’azienda o, semplicemente, per il proprio sito Internet. Così da conferire all’utente un plauso, e al tempo stesso in modo da creare un luogo che fosse fonte di ispirazione, bacino dal quale attingere idee e spunti. Come vedete (nella pagina a fianco), inizialmente mi sono affidato ad una mia per- sonale realizzazione, forse non all’altezza graficamente, ma efficace nel contenuto. I ragazzi hanno visto con entusiasmo crescente il desiderio di spedire le loro opere più disparate. Nella parte superiore veniva spiegato in italiano, e sotto in inglese, il “topic contest” del sito: // un contenitore dove raccogliere gli esperimenti di voi WD mai messi online. Da ades- so in poi non dovete più imprecare: “non lo trovo più” o “l’ ho cancellato dall’Hard Disk” perché c’é Lanfree che raccoglie e mantiene per il bene dell’umanità... (lavori di grafica, movie e tutto ciò che fate anche così per fare). Vi chiederete ha un senso que- sto progetto ? È aperto a tutti, dico tutti, italiani e non... qualcuno di voi ha già can- 22
  • 21. tato e con mia sorpresa sto già inseren- do... il lavoro del WD è un lavoro duro fatto di enormi sacrifici e di notti inson- ni, di prove e di bozze più o meno com- plicate, ma pur sempre frutto della fan- tasia e ingegno del vostro cervello, crearne un contenitore mi stimola parec- chio.... per capirne i vostri talenti, per assaporare il nocciolo delle vostre crea- zioni, curiosando qua e là... Dio benedi- ca la vostra testa e il vostro indice… In attesa dello sviluppo del progetto non esitate a spedire tutto ciò che avete nel cassetto, e che per vostre ragioni non è mai stato pubblicato, a: info@lanfree.it Da subito l’interesse dei webdesigners si è orientato qui: il fatto che in Italia mancasse un riferimento dove tutti Lanfree layout Phoenixart layout (Piero Desopo) potessero lasciare traccia delle loro creazioni era fin troppo evidente. Il panorama del Web design italiano era contraddistinto da moltissimi siti che promuovevano in modo autarchico alcuni personalissimi designers senza considerare i tanti che si affacciavano su questo mondo. Ci furono moltissime polemiche a riguardo, ma l’interesse suscitato dal sito inserendo, al fianco di autorevoli funamboli della grafica, dei perfetti sconosciuti, ha aperto in modo meno discriminante le porte ai giovani webmaster freelancer che cercavano una vetrina dove collocare le loro crea- zioni. Giovani talenti più o meno bravi, ma tutti ricchi di spunti creativi. Fu allora che Piero Desopo, artista tra i più conosciuti e tecnicamente bravissi- mo, si propose nella creazione di un layout graficamente perfetto, ordinato e preciso. Ci mise un po’ di tempo, ma alla fine scaturiva un sito degno, pron- to alla spinta internazionale e così fu. Venne linkato nelle più importanti web- 23
  • 22. zine e crew mondiali ed iniziarono ad arrivare contributi da tutto il pianeta al punto che il numero dei Webdez cresceva in modo esponenziale arrivando in pochi mesi a contenere circa duecento nominativi. Nel tempo la filosofia di WDE non è affatto cam- biata ed il riferimento e gli scambi con le altre realtà ci collocano tra le più importanti comunità nel Web design mondiale. Già il senso di community ha iniziato a caratte- rizzare la forma reale di questo movimento. Un movimento di giovani ragazzi che attraverso la passione della grafica, e non solo, ha bisogno di una propria casa dove discutere, mediare, chiedere e scambiare opinioni, a volte futili, a volte necessarie, a volte pertinenti e a volte insignificanti. Non eravamo e non siamo soli: Dollydesign, assieme a Designradar, Digitalultras, Webmaster-Republic, Retina-e, Flasher, Warp 9, Net-Art, Wainer Valido e alla defunta Design Parade hanno caratterizzato il panora- ma di questo fenomeno. Migliaia di ragazzi quotidianamente a leggere le pagine di questi siti dove le news sugli ultimi nati o sulle notizie più accattivanti delineano una nuova forma culturale nell’apprendere, nel capire e nello scegliere all’interno del mondo della rete. La scelta nelle scelte! In tempo reale, istantanea: condividere le stesse emozioni, intervistarsi a vicenda colloquiando su ICQ, fa crescere l’interesse intorno a questo mondo incatalogabile e di difficile comprensione. Con questo libro abbiamo cercato di valorizzarne alcuni aspetti essenziali per rendere visibile tale realtà. Per delineare le caratteristiche di queste webzine abbiamo chiesto agli stessi protagonisti un loro commento. DOLLYDESIGN DOLLYDESIGN www.dollydesign.com di Antonio Moro DollyDesign nasce da un’idea di Antonio Moro ed Enrico Maioli. Il concetto alla base è semplice ed efficace: unire i migliori professionisti del web in Italia e raccogliere, intorno a questi, un movimento nazionale per promuovere la cultura del Web design su Internet. Tra i servizi offerti dalla comunità un ruolo importantissimo lo rivestono le mailing list, tra le più seguite e competenti in Italia. Le discussioni affrontano temi specifici, sono interamente in italiano e seguono gli aspetti più importanti della creatività in rete offrendo uno spazio di confronto tra i designers. Inoltre ogni giorno DollyDesign offre le “Dolly-News”, novità e curiosità interessanti dal mondo della rete e del design. Ogni anno viene organizzato PixelDNA, il primo, e per ora unico, incontro nazionale dei migliori webdesigners italiani che si riuniscono per discutere con il pubblico e presentare nuovi progetti. Oltre a queste attività principali ne esistono altre di con- torno: giochi on-line, risorse da scaricare, hosting di progetti esterni. DollyDesign attualmente gestisce una serie di servizi ed attività sia on-line che off- line. Il target di queste iniziative è quasi sempre un pubblico ben identificato di pro- fessionisti della rete, ma dato l’interesse generale che il connubio fra design ed Internet sta destando, sempre più “gente comune” partecipa attivamente. 24
  • 23. LE MAILING LIST http://www.dollydesign.com/news/ml Forse il servizio più famoso gestito da DollyDesign, le mailing list di Dolly sono cana- li tematici di comunicazione multidirezionale via posta elettronica fra tutti gli iscritti (oltre 500) che costituiscono un punto di riferimento per moltissimi designers e svi- luppatori italiani. Attualmente sono attive 6 diverse mailing list di cui 5 in lingua italiana che spaziano negli argomenti trattati dal design puro alla programmazione avanzata. LE DOLLYNEWS Ogni giorno vengono pubblicate sul sito principale di DollyDesign delle notizie e rife- rimenti di carattere generale legati al mondo del WebDesign e di Internet. Queste news costituiscono linfa vitale per la scoperta di nuovi stili, nuovi approcci ad Internet e alle nuove tecnologie e sono viste come grande fonte di ispirazione dai tanti lettori che ogni giorno visitano il sito appositamente per leggerle e partire attra- verso una nuova navigazione. Un comodo motore di ricerca consente poi di naviga- re le oltre 2000 news presenti in archivio. (http://www.dollydesign.com/news/archi- ve.asp) DROPFOLDER DropFolder è un motore di talent-scouting e talent-showing creato appositamente dal team interno di DollyDesign. In pratica consiste in una vetrina in cui chiunque, attraverso un pannello di controllo personalizzato può pubblicare delle gallerie di propri lavori ed inserire il proprio curriculum vitae nel database centrale. Ogni galle- ria di lavori presenti in DropFolder può essere votata dai visitatori di DollyDesign che contribuiscono così a creare classifiche di gradimento sulle opere esposte nel sistema. DOLLYFORUM Un ondine-forum completo organizzato in tanti canali tematici che permettono agli utenti di discutere degli argomenti più disparati. Attivissimo il canale che serve ad ospitare i commenti alle DollyNews giornaliere. PIXELDNA Primo evento “off-line” organizzato da DollyDesign, PixelDNA costituisce il primo e per ora unico incontro italiano dedicato unicamente ai webdesigners. PixelDNA riunisce in una sola conferenza tutti i migliori webdesigners italiani e gli da la possibilità di parlare dei propri lavori e confrontarsi fra loro e con il pubblico pre- sente in sala. ALTRE ATTIVITA’ Attraverso il proprio sito internet DollyDesign promuove poi tutta una serie di altri servizi per la promozione del webdesign e della “coscienza di rete” in Italia. Si spazia da archivi di materiale utile per lo sviluppo ed il lavoro quotidiano, a servi- zi più particolari come piccoli concorsi a tema, sia grafici che autoriali per stimolare la creatività incentivando la competizione ed il confronto. Non mancano poi le lotte e le proteste promosse dalla comunità, come “Stampa Clandestina”, seguitissima protesta lanciata nel 2001 contro la nuove legge sull’editoria (http://www.dollydesi- gn.com/sc/) 25
  • 24. DOLLYDESIGN DollyDesign è una pietra miliare della storia del Web design in Italia, costituendo la prima grande comunità on-line italiana dedicata all’argomento. DollyDesign ha negli anno costituito un punto di riferimento per migliaia di designers italiani che, trovan- do un luogo comune in cui scambiarsi idee, opinioni, tecniche, sono riusciti a cresce- re professionalmente promuovendo allo stesso tempo il Web design italiano nel mondo. DollyDesign è un po’ la mamma di tutte le comunità italiane dedicate espressamente al Web design e costituisce ancora oggi un grande faro per chi si avventura nel mondo del Web design in Italia. DESIGNRADAR www.designradar.it D(R team Ci fa sorridere parlare di noi. Ormai siamo talmente abituati a parlare di altri e far parlare altri che ci ritroviamo spaesati difronte alla domanda cos’è D(R. Questa è dunque una buona occasione per fermarci è fare il punto della situazione. Designradar è una comunità aperta ed in continua evoluzione composta da profes- sionisti del webdez, freelance, musicisti, muratori, calzolai e quant’altro, con in comune la passione per il Web design e l’arte in genere. D(R ha come obbiettivo comune la crescita della comunità stessa e dei suoi partecipanti. La manifestazione di questa comunità sono i contenuti e tutte le iniziative del sito designradar.it. La nascita di Designradar è da attibuire a qualcuno, il cui nome non ricordiamo più (ma tutti chiamano “papà”), in modo poco chiaro e abbastanza improvvisato. Unico punto certo sin dall’inizio era la voglia di confrontarsi, costruire insieme, condivide- re idee, opinioni, tecniche e far crescere ed evolvere una comunità e le persone che nel tempo si sarebbero aggregate con questi intenti. Piano piano la redazione di D(R si è allargata coinvolgendo più persone sparse per l’Italia, la cui presenza ha contribuito a dare delle precise direzioni e criteri ai conte- nuti di volta in volta pubblicati. Così eccoci qua, onorati di avere uno spazio su un libro edito da chi è anni che inse- gue la comunità dei webdesigner italiani e ha partecipato alla sua storia. Essendo praticamente D(R l’ultimo arrivato, ci fa molto piacere aver avuto la consi- derazione sia di WDE, sia di altri importanti punti di riferimento italiani, ma altret- tanto piacere ci ha fatto ricevere complimenti, proposte e l’adesione anche da per- fetti sconosciuti, grafici e designers in erba, o semplici interessati al mondo del web- dez. Questo perché D(R esiste anche per loro e grazie a loro, su di essi bisogna pun- 26
  • 25. tare, questi dobbiamo sostenere, per dare un futuro alla creatività online, sono loro i futuri talenti italiani. È dunque spontaneo tentare di esaltare la creatività e lo stile personale piuttosto che l’imitazione di modelli già visti, invitare a intraprendere questa direzione a chi si affaccia a questa professione piuttosto che piegarsi a standard e regole di mercato. Altrettanto spontanea è la voglia di intervistare e conoscere chi si occupa di Web design sia direttamente che indirettamente, sia a parole che attraverso l’uso di imma- gini. Per conoscere, per capire, per far circolare idee e opinioni per mostrare in quan- ti e quali modi il Web design si può manifestare, si può realizzare. Tutto qui, nulla di più nulla di meno. Chi vuole partecipare a questo progetto “open source in open mind” è il benvenuto, è sufficiente avere voglia, idee e un po’ di tempo libero. Non esiste una distinzione netta tra redazione e partecipanti occasionali, l’unico confine è la disponibilità di tempo che si ha, il progetto è senza scopo di lucro, quindi è tutto nelle mani dei par- tecipanti e da essi dipende anche il suo futuro. Quindi... partecipate numerosi :) DIGITALULTRAS www.digitalultras.com di Manuel Perfetto Digitalultras nasce nell’estate del 2001, durante i giorni di Genova. Dopo la morte di Carlo Giuliani mi sembrava necessario esprimere dissenso. Sono partito così, poi il progetto ha preso forma. Veniva più o meno fuori naturalmente dal mio background, dalla mia vita e dal modo che ho di vedere le cose. Sarebbe meglio essere tutti un po’ più ultras e un po’ meno digitali. Ci sono cose di cui parlare più importanti dei pixel e più interessanti dei tutorial di flash: quello che ami, quello che ti fa incazzare, quel- lo per cui lotti e quello in cui credi tutti i giorni. Digitalultras si era quindi posto l’in- tento di differenziare in modo chiaro il rapporto tra produzioni di design indipen- dente e produzioni a scopo di business, non pubblicizzando siti commerciali Chi è entrato in Digitalultras sa che rispetto chi fa le cose sue e le vende anche, ma non amo chi fa lo schiavo. Sono un ragazzo di periferia, cresciuto in periferia, e mi piace vedere la gente che si alza dalla sedia e lotta per qualcosa. Il puro esercizio di stile, perfetto che sia, non lascia segni indelebili. Se hai fatto il sito di Tiscali buon per te, ma a me manda cose tue. Non è detto che debba essere politica anzi, parla del tuo quartiere, della tua ragazza, come del telegiornale che ti fa credere che morirai asfis- siato o di MTV che ti asfissia già da anni. Cazzo, qualcosa da dire uno lo ha sempre. L’attrazione dei designer nei confronti di lavori fatti per questi multi-clienti-nazio- 27
  • 26. nali mi sembra priva di senso. Leggere l’apologia di MTV sui network che tutti cono- sciamo, come se MTV fosse il massimo dei supporter del design, mi lascia credere che molti non sappiano che MTV se ne sbatte di fare prodotti validi, ma basa il suo impe- ro sullo sfruttamento dei fenomeni underground. Un famoso pubblicitario ha detto: “le persone felici non consumano.” Le persone felici consumano ridendo, gli infelici consumano guardando ridere gli altri. Chi di consumo e consumismo ha fatto la pro- pria bandiera, ride dell’ ignobile spettacolo degli infelici esibiti al servizio del mer- cato. Il famoso pubblicitario sa bene che ogni sua frase di pretestuosa e presuntuosa cultura, non serve ad altro che a moltiplicare consumatori dalla coscienza pulita. Così compreremo con lo spirito allegerito, felici di essere depressi per l’infelicità che il nostro consumismo crea. E sceglieremo con attenzione di comprare quelle magliette piuttosto che altre, perchè non compreremo magliette ma la nostra superficiale feli- cità. Ha ragione il famoso pubblicitario, le persone felici non consumano ma escono dalle porte dei suoi negozi con borse piene di ipocrisia, di marca. Poi c’è l’arte. L’arte non può prescindere dalla comunicazione. Un famoso scrittore ha detto: “È un artista colui che, elaborando le proprie impressioni soggettive, sa sco- prirvi un significato oggettivo generale ed esprimerle in una forma convincente.” La comunicazione visiva può invece fare a meno dell’arte, avendo il comunicatore uni- camente il compito di esprimere concetti in forma convincente e struttura funziona- le. Il webdesigner, in quanto designer, non fa arte ma progetta prodotti. Questo non nega la possibilità che alcuni webdesigner abbiano sensibilità artistica e quindi le capacità per creare opere d’arte, ma in quanto artisti e non designer. Chi crea arte non ha regole da seguire se non quelle della propria coscienza. Artista e designer devono essere portatori di innovazione concettuale e formale, capaci di indipenden- za da regole imposte e predefinite. Il designer deve rispondere a requisiti di funzio- nalità dei suoi progetti. È poi necessario essere riconoscibili per le proprie innovazio- ni. Metabolizzare il proprio background e comunicarlo rendendolo immagine. La banalità ci circonda quotidianamente. Stiamo esaltando l’assenza di individualità e di libero arbitrio. Il desiderio spasmodico di sentirci parte di un unico pensiero, inu- tile, ma rassicurante. Viviamo in una costante anestesia sociale. Morfina mass- mediatica e visita guidata in set di cartone riciclato. Liberi schiavi di famosi cartello- ni libero infostrada sulle nostre strade. Il mainstream, la grande truffa della demo- crazia. Votare il grande Stream o il grande Telepiù. Il grande occhio non ha più biso- gno di guardarci. Può star tranquillo. Siamo noi a fissarlo con disinibita ammirazio- ne. “Il grande boh” ha detto un ridicolo ed incapace cantante mainstream, così tanti ragazzi “boh” hanno comprato il suo libro mainstream e cantato ai suoi concerti mainstream. Avrebbe dovuto farsi fare la copertina dal famoso pubblicitario. “Produci, consuma, crepa” davanti al Dio Televisione mainstream, buona domenica, posta per te, fatti vostri, total request live e vita in diretta. La spazzatura ha sempre un posto in prima fila. Celentano Pagliaccio Mainstream in prima serata. Ghezzi, unico lampo di genio, relegato in innocui fuori orario senza spot pubblicitari. Ma ho cassette piene di Ghezzi sui miei scaffali. Sogno di unire menti valide ed indipendenti. Costruire realtà autosufficienti ed auto- prodotte all’interno del design. 28
  • 27. WEBMASTER REPUBLIC www.webmaster-republic.it di Stefano Marini Webmaster Republic è un progetto editoriale indipendente, nato dalle ceneri della fanzine di grafica “Dpi Brain Wanted”, e partorito dalle fertili menti di Stefano Marini e Romina Raffaelli alias Eve. WR è una e-zine gratuita che parla di creatività non solo legata al Web design ma anche alla grafica tradizionale e all’advertising, ed è rivol- to a tutti coloro che lavorano o desiderano lavorare nell’ambito creativo: offre spun- ti di riflessione, approfondimenti, links utili, interviste ai creativi italiani più affer- mati, ed organizza una serie di contest durante l’anno per stimolare la fantasia dei suoi utenti. Webmaster Republic è’ fautore ed organizzatore anche del Flash Design Awards, il premio internazionale dedicato alla creatività dei siti realizzati in flash: l’edizione del 2002 ha avuto una giuria d’eccezione, presieduta niente di meno che da David Carson, che coordinava 14 membri della giuria scelti tra i migliori professionisti del Web design internazionale. La giuria ha avuto il compito di valutare oltre 600 siti iscritti e di scegliere il migliore in assoluto, conferendo il prestigioso Grand Prix. Il successo di Webmaster Republic, che conta oggi oltre mille visitatori unici al gior- no, con circa 450.000 page wiev al mese, è dovuto probabilmente alla formula di fruizione del sito: dall’homepage i navigatori possono accedere ad una serie di infor- mazioni regolarmente aggiornate (news, concorsi, articoli, corsi) affiancate ad una serie di “tools” utili per il lavoro di tutti i giorni, come la rubrica che raccoglie cro- maticamente alcuni dei migliori siti Web. Un pratico motore di ricerca interno ed un menu a tendina consentono ai visitatori di esplorare le oltre 500 pagine di archivio di Webmaster Republic, un patrimonio a fruizione gratuita che si incrementa giorno dopo giorno e comprende argomenti estremamente importanti per tutti i creativi: Job Directory (archivio di studi e agenzie in Italia e all’estero), Free Fonts (le migliori fonts gratuite da scaricare per pc e mac), Creative Gallery (fotografi, illustratori e designers internazionali) e molto altro. STEFANO MARINI Art Director, ha lavorato nelle maggiori agenzie di pubblicità internazionali prima di fondare insieme ad Eve l’agenzia Winkler & Noah, dove produce idee per Maserati, Stream, Nazareno Gabrielli, Onyx , Fagan Reggio del Bravo e Lowe Lintas. EVE Art Director dalla personalità poliedrica, oltre ad occuparsi di design e Web design, si dedica all’illustrazione e alla fotografia con la stessa incontrollabile passione, lavo- rando tra l’Italia e gli Usa. 29
  • 28. RETINA-E www.retina-e.com Di Andrea Toniolo Vi racconto un pezzo del passato tra Italia e estero… tra persone e community, dal 1997 al 2001. Questa storia iniziò tra il 1997 e il 1998 per poi concludersi nel 2000 quando ancora il Web non era nella sua piena crisi (che sfociò successivamente nel 2001 e ancora deci- samente non risolta nel 2002). Nel 1998, anno in cui ho conosciuto Antonio Moro a Smau, nella realtà italiana c’era- no 2 nomi importanti Mirco Pasqualini e Niko Stumpo; il secondo ancor più inserito nelle community internazionali ( in realtà altri nomi erano venuti prima di questo; ad esempio il gruppo di Ekidna). In Italia l’unica community per webdesigners era DollyDesign (unanimemente consi- derata la prima community italiana di webdesigners). Contattai allora Antonio e gli proposi l’idea di Retina-e, e il suo gemellaggio con DollyDesign, tra gli stand di SMAU a Milano; la mia proposta intendeva che Retina-e facesse da lab esclusivo per DollyDesign e che ci fosse un patto solido tra i due siti. All’estero era l’anno in cui K10K, BORN Magazine, KIIROI, DesignIsKinky, THREEOH e Atlas Magazine facevano da spartiacque e soprattutto mantenevano una certa diffe- renza di stile e di contenuto; Nel 1998 creai la prima versione di Retina-e decisamente più orientata al magazine che non al lab. La versione era molto underground e stilisticamente racchiusa tra colori acidi. Nel gennaio 1999 decisi di creare una crew e un sito più solido, cercando di guardare più a lungo termine; coinvolsi nella crew nomi come Andre Matarazzo (BlastRadius) , Kalle Everland, Nikola Tosic e molti altri art-director da tutte le parti del mondo. Creammo una catena di sperimentazioni e contest in molti casi non pub- blicati o mai finiti. Fu l’anno della passione, dell’unione e delle sfide. La prime tre covers furono create da Piero Desopo e poi da Mirco Pasqualini e Valerio Tedesco tre grandi sostenitori del progetto a cui devo molto. La versione del 1999 ebbe un successo clamoroso anche nelle community e mailing list estere… persone come Todd Purgason e altre personalità di rilievo fecero complimenti alla crew. Mi resi conto allora che avevamo portato l’Italia ad un gradino superiore. Ricordo che ci fu una sfida interessante tra me e Piero Desopo contro gli Automatic5 brasiliani. Clamorosa. L’estero era decisamente più aperto e allettante che non l’Italia. Il nostro bel paese infatti continuava verso la strada della tecnologia fine a se stessa, molto pochi furono quelli che sostenevano la teoria (diventata poi il primo Pay Off di Retina-e) “DESIGN IS NOT ABOUT TECH” fortemente contradditoria. In realtà cercava- mo di orientare l’Italia verso l’interattività, la grafica e non verso la programmazione e le sfide all’ultimo JavaScript che ci portavano costantemente dietro i nord europei e gli americani. Purtroppo Internet in Italia era sostenuta principalmente da inge- gneri. Mesi dopo arrivarano altri siti come Design Parade di Massimo Nardini a dar man forte al panorama. C’era energia. Nel 1999 e inizio 2000 ci furono i primi dissidi tra desi- gners e le prime guerre ecclatanti. C’era fervore nel panorama si stava crescendo c’e- 30
  • 29. rano i soldi eravamo famosi e il mondo pareva ascoltarci. Purtroppo non era esatta- mente così. Nel 2000 immerso negli impegni di lavoro tra conferenze, interviste estere e italiane abbandonai Retina-e lasciando che la crew continuasse l’opera di tenere in vita un animale che purtroppo aveva già dato tutto quello per cui era stato creato. Successivamente decisi di chiudere Retina-e e di scogliere la crew. Fu molto doloro- so. Nel 2001 iniziammo a fare conferenze per l’Italia dal nome PIXELDNA ; la prima la tenemmo alla triennale di Milano poi a SMAU e l’ultima al FutureFilmFestival di Bolona. Dopo l’esperienza Ootworld entrai nel servizio civile. Guardai per molti mesi il Web da fuori. Maturai certe idee e teorie. Studiai molto e incontrai Niko Stumpo e Ubaldo De Feo a Milano. Proposi la mia nuova idea e loro ne furono entusiasti. Incontrai poi Mauro Gatti , Alessandro D’Andrea di Dollydesign, User e Ubi di CTRL chiedendo un aiuto per progettare la nuova versione decisamente imponente e com- plessa. Ora finalmente siamo nella fase finale… stiamo facendo recruit, stiamo estendendo la maglia. Speriamo di concludere presto… preparatevi a qualcosa di veramente nuovo. FLASHER www.flasher.it - Per la grafica web in movimento di Alberto Cecchi Molti creativi che si sono avvicinati al Web passando per l’HTML hanno vissuto delle gravi crisi di espressione artistica. Il risultato visualizzato dal “lettore” di una pagina HTML ha la caratteristica di essere difficilmente controllabile dall’autore della pagina stessa. Da un certo punto di vista questa perdita di potere da parte dell’autore potrebbe sembrare un aspetto positivo agli occhi di coloro che credono che i nuovi media pos- sano essere uno strumento democratico per l’avvicinamento tra la figura dell’autore e quella del lettore conseguentemente all’indebolimento “dell’autorità”. In realtà l’impossibilità da parte dell’autore di controllare la propria opera attraverso l’HTML è causata principalmente da mere limitazioni tecniche dei mezzi a disposizione dei creativi (il browser, la risoluzione dello schermo, il numero dei colori…) e non certo da una volontà di democratizzazione. Con l’introduzione di Flash nel Web è avvenuta una vera e propria rivoluzione creati- va. Coloro che avevano perso la speranza di potersi misurare con il Web sul piano artistico e innovativo hanno visto in Flash lo strumento migliore per comunicare. Così, mentre molti aspiranti creativi rimanevano imprigionati a lungo nelle gabbie dell’HTML (producendo dei costosi omogeneizzati dal nome di portali, vortali e siti istituzionali) altri creativi iniziavano un nuovo percorso di ricerca basato su Flash. In Italia, come nel resto del mondo, sono nate delle comunità che hanno subito sentito 31
  • 30. il bisogno di confrontarsi e aiutarsi a vicenda per affrontare la nuova emergenza creativa. La risposta italiana è stata stranamente sincronizzata con il resto del mondo ed è nato Flasher.it insieme o prima di tanti altri magazine in lingua inglese. La comunità cresciuta intorno a Flasher.it ha delle caratteristiche peculiari originali rispetto alle altre comunità creative del Web, infatti Flasher.it mette sullo stesso piano la “creatività tecnica” e la creatività grafica e visiva. Evitando qualsiasi gerarchizza- zione delle produzioni, Flasher.it pubblica contenuti tecnicamente o graficamente innovativi. La somma e la compenetrazione di questi risultati genera degli stimoli visivi e delle sensazioni interattive che vanno oltre Internet e oltre il linguaggio audiovisivo dei vecchi mezzi lineari. La nuova tendenza creativa alla base di Flasher.it sta creando un movimento antagonista per la produzione di applicazioni on-line alternative al browser e prodotte in Flash. Queste applicazioni liberano definitiva- mente i creativi dalle “cornici” di Explorer o Netscape permettendo di produrre inter- facce/contenuti sullo schermo intero. Queste applicazioni creative antibrowser sboc- ceranno sulle scrivanie degli utenti on-line come dei virus, provocando il salto nella nuova dimensione di Internet liberi dai portali, dai browser, dagli URL e dalla naming authorithy. Lavorano nella redazione di flasher.it: Alberto Cecchi, Massimo Piacentini, Giampiero Travaglini, Marco Gentili, Cristina Begliomini e Claudia Polli. WARP 9 www.warp9.it di Eros Ciaiolo Aloha, mi presento (da qualche parte bisogna pur iniziare…): sono Eros Ciaiolo, in rete “Warp9” e ho l’immeritato onore di gestire, assieme ad una manica di pazzi, Warp9.it. Vi chiederete: “autocelebrativo?” - d’altronde uno che crea un sito e lo battezza con il proprio nick…- ma vi assicuro che non era questa l’intenzione… J “Ma cos’è Warp9.it ?” Partiamo dall’inizio: a parte il nome (sono un fanatico di Star Trek :Warp è il termine che indica la velocità a curvatura, ossia più veloce della luce e ciò mi sembrava adat- to alla filosofia del sito). In Warp9.it si parla di Flash (molto), di Web design (meno, ma se ne parla) e si è crea- ta una comunità per la condivisione di risorse e aiuti. L’idea di realizzare un sito dedicato a Flash, con risorse on-line, mi è venuta frequen- 32
  • 31. tando il newsgroup dedicato ai prodotti Macromedia: se ne sentiva l’esigenza, inol- tre avevo voglia di fare qualcosa che fosse utile a chi, come me, era rimasto “strega- to” da Flash. 1+1 e il sito è partito, ma comunque preciso che non è quello ufficiale del NG. Sono partito nel lontano 1999 (o era ’98 ?) con Geocities per ovvie ragioni: è stata una scommessa, della serie “vediamo quanta gente arriva”. Poi, con mia immensa soddisfazione, il contatore delle visite ha cominciato a schiz- zare verso l’alto e quindi si è deciso di registrare il dominio, una specie di ringrazia- mento ai visitatori. E il progetto si è evoluto… si è creata una comunità. Ma cosa si intende per “comunità”? Secondo me, è cercare di condividere le conoscenze (gli ammaricani direbbero “Sharing Resources”), in un ambiente sereno, di amici, senza atteggiamenti di sud- ditanza da parte dei principianti verso gli esperti (giusto un po’ di sano rispetto), i quali non devono sentirsi in diritto di prendere a pesci in faccia nessuno (il rispetto è reciproco). Insomma, uno dei pilastri sui quali si basa la nostra (vostra) comunità è il famoso motto: “Nessuno nasce imparato”. Se sei un “guru” devi avere la pazienza di rispon- dere a domande che possono sembrare ovvie perché, quando eri un newbie, qualcu- no ha avuto altrettanta pazienza con te. Tutto funziona grazie a dei professionisti che mi aiutano in maniera totalmente disin- teressata e volontaria (e questo dimostra quanto siano pazzi…) nel gestire il sito, ma in maniera particolare quello che reputiamo essere la parte centrale di esso (oltre ai tutorial, è ovvio…): il forum. In un sito può esserci qualunque cosa per rendere partecipe l’utente (sondaggi, com- menti, chat ecc.) ma quello che fa interagire di più le persone è il forum. Qui si crea l’incantesimo, nell’unico posto dove è possibile effettivamente scambiare idee e chiedere consigli, ma non solo: trovare collaborazioni, condividere progetti o crearne di nuovi. Una breve descrizione delle stanze principali: Newbie: una stanza dove i principianti si sentono a loro agio Skilled: qui chi affronta problematiche più complesse relative alla programmazione avanzata in AS può trovare validissimi appoggi. MX: nuova versione, nuovi problemi J Backend: integrazione tra Flash e linguaggi lato server. Flash Library: raccolta di scripts (AS avanzato) non commentati. Essendo “sciroccati” i moderatori, non poteva che esserlo anche il forum: esitono quindi stanze un po’ anomale come la “Vergine di Norimberga”, un check site senza pietà dove i moderatori possono atomizzare chi si presenta loro (ma attenzione, sem- pre criticando in maniera positiva); questa stanza è un esperimento, un modo di vedere le cose un po’ diversamente dal solito “sì bellino, però…”. Una specie di tera- pia d’urto insomma. Poi c’è “Bullshit”, la valvola di sfogo del forum dove chiunque può parlare di cose che sarebbero Off-Topic altrove (chi ha detto che bisogna sempre parlare solo di Flash ?). Per non dimenticare “Tavola Rotonda”, dove si … Argh… spazio tiranno… è finita la pagina. Che posso ancora dire? http://www.warp9.it, veniteci a trovare… chi c’è, c’è… J 33
  • 32. NET-ART L’esperienza di .netArt, la rivista italiana di webdesign. di Frederic Argazzi Netart nasce per caso, come tanti progetti, dall’incontro di due menti affini. Antonio Cavedoni, che oggi è diventato uno dei nomi caldi del Web design italiano, smanettava a tempo perso presso un ISP di Sassuolo (MO) e faceva siti Web per alcu- ne associazioni di volontariato che erano in qualche modo collegate al Comune di Modena. Io avevo da poco finito di fare il mio primo sito Web di una qualche importanza, Stradanove.net, e collaboravo con la redazione tenendo una rubrica dedicata alle nuove tecnologie. Stradanove era una rivista on-line, oggi si direbbe un portale, finanziata dalla Regione Emilia-Romagna e realizzata dal Comune di Modena. Correva l’anno del Signore 1999: Guerre Stellari era ancora una trilogia e il Millennium Bug sembrava la più grande minaccia che il mondo libero avrebbe dovuto affrontare. Per farla breve: sia io che Antonio eravamo adepti di alcuni webdesigner americani che cercavano di diffondere una certa cultura del Web design razionale. David Siegel e il team Hotwired/Webmonkey erano i miei modelli, Jeffrey Zeldman, con A List Apart, e Dmitry Kirsanov quelli di Antonio. Volevamo un sito italiano che rompesse con il culto della intro in Flash fine a sé stessa e cercasse di diffondere questo modo di pensare e di lavorare nella nascente comunità dei nostri colleghi. Nessuno aveva ancora avuto questa idea e così abbiamo deciso di provarci, gratis e senza sapere bene dove stessimo andando. Questo spirito do-it-yourself, questa voglia di riunire altre persone intorno a un’idea del nostro lavoro che ci sembrava così semplice e condivisibile è rimasta fino a oggi in tutti i progetti che Antonio e io affrontiamo, sul lavoro e not-for-profit. Forse la cosa che ci distingue dagli altri è che per noi il Web design è sempre stato qualcosa di maledettamente serio, mai un hobby. Abbiamo aperto Netart come sezione di Stradanove. Il primo numero è uscito a novembre del ’99. Dieci giorni dopo il bellissimo Retina-e di Andrea Toniolo, che ci ha soffiato sul filo di lana la possibilità di definirci Il primo magazine italiano di Web design. La formula era abbastanza semplice: in ogni numero volevamo intervistare un web- designer internazionale e premiare un sito italiano meritevole, oltre a scrivere approfondimenti sulle tecnologie della rete a al modo corretto di usarle. Inizialmente volevamo uscire con tutti gli articoli tradotti in inglese, ma questa idea è stata accan- tonata quasi subito in favore di un riassunto. Nel primo numero abbiamo intervistato Dmitry Kirsanov e premiato Mirco Pasqualini. Poi sono venuti Peter NRG, Wainer Valido, ecc. Un’altra idea che è rimasta in diversi numeri è stata quella di inserire un tutorial di Flash (Flash 3 all’inizio, poi il 4 e, negli ultimi numeri, il 5). Abbiamo chiamato que- sta rubrica Licence to Flash, dandole un look un po’ alla 007. Ma la feature più carina della prima incarnazione di Netart rimaneva la mailing list. Esistevano altre ML nell’ambiente, fra cui quella di Dollydesign, che è diventata giu- stamente la più nota. Ma la nostra era diversa. La sola moderata con un certo rigore, 34
  • 33. il che riduceva al minimo il rapporto segnale/rumore, favorendo uno scambio vera- mente costruttivo. A volte Antonio e io risultavamo un po’ duri nelle stroncature di qualche thread che a nostro giudizio risultava poco pertinente. Questo ha fatto arrabbiare qualche colle- ga ma, a posterirori, si è rivelata la scelta più giusta. Abbiamo tutti imparato molto da quei mesi in ML. I ragazzi che lavoravano negli studi un po’ più grandi ci davano dritte sulla gestione di progetti importanti, tutti mette- vano in comune le proprie frustrazioni con Netscape, Explorer e i nascenti CSS. Credo che sia corretto dire che la seconda generazione di webdesigner italiani si sia fatta le ossa sulla Nartlist. I pionieri e i primi netartisti hanno cominciato formandosi su materiale americano, ma molti dei ragazzi che adesso fanno bella figura nelle comunità più cool hanno cominciato chiedendo la differenza fra gif e jpg sulla nostra lista. Possiamo dire di essere davvero old-school :) Dopo qualche numero è diventato chiaro che non saremmo riusciti a portare avanti il progetto da soli. Abbiamo chiesto una mano ai membri più attivi della lista e abbia- mo cooptato in redazione Adriano Fragano. E poi tanti amici ci hanno aiutato con articoli molto interessanti e altre collaborazioni dietro le quinte. Spero di non dimen- ticare nessuno: Massimo Cardini, Fabrizio De Gennaro della redazione di Stradanove, Elisabetta Ognibene, Leonardo Piras, Roberto Marzialetti, Ketty Pelati, Giovanni Jjam Montemurro. Andando avanti la mole di lavoro per seguire il progetto con un certo criterio cresce- va, e Antonio e io eravamo sempre più impegnati nella professione. Dopo una prima chiusura, la separazione da Stradanove, lo spostamento della rivista su un nuovo server (www.netartmagazine.com) e una nuova veste grafica siamo riu- sciti a pubblicare Netart per pochi mesi. Netart ha chiuso, a tempo indeterminato, nel febbraio 2001. È stata un’esperienza emozionante, che ci ha permesso di conoscere colleghi che ammiravamo in Italia e oltreoceano. In segreto Antonio e io stiamo lavorando a una nuovissima versione di Netart, che speriamo veda la luce prima di Natale 2002. We’ll be back! WAINER VALIDO www.wainer.com Wainer Valido nasce il 9/9/999 in quel di Modena. È l’espressione, principalmente, di due persone: Wainer (Marcello Gadda) e Valido (Matteo Zuffolini) che trovano nel “Magnate” un appoggio logistico e morale che gli permette di avere i servizi Internet gratuiti e la spinta necessaria per partire. Wainer Valido perché Wainer è un classico nome popolare delle nostre parti, Valido 35
  • 34. perché se dovessimo elogiare con una sola parola ciò che facciamo diremmo: Valido! Nasce dalla voglia di liberare e stampare sul Web per sempre le nostre voglie più malate, le nostre passioni e ciò che convenzionalmente non facciamo ma vorremmo fare. Le caratteristiche principali e gli obiettivi sono: 1 - Soprattutto umorismo: la voglia più grande è quella di ridere e far ridere, cercan- do nell’allegria la linfa vitale. 2 - No umorismo “cazzo figa”: mantenere una certa distanza dall’umorismo volgare. 3 - Ricerca dello “sgurz”: ricerca dell’originalità, della “chicca”. 4 - Popolare, molto popolare: cercare di esseri un buon sito per “l’uomo qualunque”, senza credersi dei geni, con un linguaggio sempre popolare, visitare www.wainer.com come andare al “bar sport”. 5 - Grafica ricercata: ogni contenitore una grafica diversa fatta ad hoc, originalità’ senza perdere di vista il fatto di essere popolari. 6 - Sito “aperto”: fin da subito, anche altre menti creano per Wainer Valido, poeti, fumettisti, pensatori, fotografi, scrittori, artisti “della domenica” in genere. 7 - Divertimento per chi crea il sito: sia nella grafica che nei contenuti il sito esprime le voglie represse degli autori e dei collaboratori. Wainer Valido è uno 007 dell’umorismo. Alla mattina segue delle brave persone (almeno apparentemente) e se le fa’ amiche, discute con loro e ne valuta la “validi- ta’”, dopo di che alla notte le stimola nelle classiche discussioni “da bar”. Ruba tutte queste discussioni, a volte non sazio, entra furtivamente nelle case dei “validi” e ruba dai cassetti dei loro comodini i progetti più segreti e poi pubblica tutto in rete. Wainer Valido si firma come zorro con la tripla VVV e ha seguaci che tra loro si salu- tano con la tripla VVV (mano aperta con pollice chiuso). DESIGN PARADE di Massimo Nardini. Designparade (parade inteso più come ‘sfilata’ che come classifica) nacque all’inizio dell’estate 2000. Avevo appena iniziato a navigare in Internet ed essendo abbastanza interessato alla grafica ero stato attratto dal sito dollydesign.com. Mi ero unito alla mailing list WD- ITA e dopo poco avevo scoperto, con mia gran contentezza, di aver trovato una risor- sa e un gruppo di persone (allora ancora piuttosto ridotto) con il quale condividevo una passione. Ne ero talmente entusiasta che dopo una notte di ripensamenti decisi, molto spontaneamente, di offrire un dono a tali persone. Non per ingraziarmi qual- 36
  • 35. cuno, né per fare sfoggio delle mie capacità, ma semplicemente perché amavo tutto quello che girava intorno al design, al Web e alla grafica, e perché l’idea mi piaceva. Visto che in Italia non esisteva nulla di simile, non persi tempo. Disegnai il logo, la grafica generale e mi comprai il dominio. L’idea era quella di fare un “coolhomepages.com” ma solamente per il Web design italiano: screenshot rimpiccioliti delle homepage dei siti che mi piacevano di più, suddivisi per categoria: Flash, commerciali, personali eccetera. Ricordo persino che per rafforzare l’idea di italianità, nel layout del sito ero indeciso se mettere o meno in bella vista lo scudo sabaudo, quello dei Savoia per intenderci. Tuttavia il circolo monarchico locale mi persuase a desistere. Iniziai a sperimentare dal vivo, pubblicando anche gli errori: form che non funziona- vano, pagine in php che si inceppavano, gif che esplodevano al solo muoversi del monitor. Pian piano però riuscii a costruire una struttura abbastanza stabile, corre- data anche delle immancabili news. Dopo un inizio in sordina, con pochi accessi, il pubblico iniziò ad aumentare. Dedicai uno spazio al forum, uno ai deskshot (fotografie dello spazio di lavoro di ogni desi- gner, con il contributo del generoso Valsecchi), un contest sulle copertine di libri. Aumentava il consenso. Arrivavano lettere di stima, di considerazione da parte di designer che apprezzavo, e questo era molto piacevole. Ma mi stavo iniziando ad accorgere due fenomeni collaterali: 1. Avevo mio malgrado, senza ricercarla, acquisito una forte responsabilità e autore- volezza. Inserire siti nella parade significava rifiutarne altri. E questo non piaceva a tutti, soprattutto le vittime. 2. il fatto che arrivassero anche e-mail di sfogo e di minaccia aveva fatto diventare il gioco più serio di una tragedia greca. Vedevo che non importa quali fossero le inten- zioni, avere a che fare con decine di menti diverse, ognuna con la sua interpretazio- ne, era un lavoro duro, a tough job. Se non inserivo un sito, mi arrivava una mail furiosa del candidato bocciato. Se lo inserivo, ne arrivavano altre minacciose, di per- sone che si preoccupavano della qualità del portale. Stavo iniziando a stancarmi, e avevo ripreso a bere e ad andare a baldracche. Avevo raggiunto i 15 minuti di celebrità che più o meno inconsciamente ricercavo, e stare dietro allo pseudo-portale era diventato un impegno troppo gravoso. Un paio di errori con membri della lista WD-ITA (mailing list di Dolly Design) crearo- no incidenti di incomprensione a catena. Qualcuno era contento del mio lavoro, qual- cun altro affatto. Colsi l’occasione al volo e nel dicembre del 2000 chiusi baracca, e mi trasferii a Palm Beach. *** Attorno a queste community è nato un fenomeno di costume molto interessante, attraverso l’utilizzo di una specifica risorsa della rete che ha permesso a milioni di utenti di comunicare reciprocamente affidandosi ad Internet per raccontare le loro esperienze quotidiane. 37
  • 36. L’avanguardia dei blog Di Luca Di Ciaccio Come il Web design, come tutto ciò che sguazza nella Rete, nascendo, morendo e ricomparendo, anche i blog nascono come avanguardia. Fino a espandersi, evolver- si, acquistare nuovi utenti, nuovi usi e nuovi significati. Una ricerca incessante. Blog come abbreviativo di weblog: letteralmente, un sito (Web) che tiene appunti, diari (Log); praticamente un sistema che, attraverso l’iscrizione gratuita ad appositi siti, permette la pubblicazione istantanea di testi su una pagina Internet. Involontariamente l’assonanza del termine è con “blob”: massa liquida, imprendibi- le, espansa che fuoriesce dallo schermo del pc fin nella nostra vita; e, televisivamen- te, collage, miscuglio di immagini, accostamento stridente di parole e visioni. Tentare una storiografia esatta del fenomeno blog non è facile. Ma è un modo inte- ressante per cogliere le tendenze del medium Internet, e soprattutto di coloro che ci stanno dietro. Naturalmente è impossibile individuare, una data certa, un unico autore o un sito definito da cui tutto nacque. In ogni caso, i primi weblog compaiono negli Stati Uniti alla fine degli anni 90 prima per usi e sperimentazioni personali, e subito dopo con la diffusione gratuita agli utenti. Alla fine del ‘99 il giovane californiano Evan Williams crea Blogger.com, tuttora il decano e il più diffuso tra i software weblog: oggi gli iscritti sono oltre ottantamila, ed è nata una versione per uso professionale a pagamento. In Italia i primi blog arrivano nell’estate del 2000 attraverso un’avanguardia di web- designers modenesi, tra cui Antonio Cavedoni e Frederic Argazzi. Il blog nasce e cresce nel nostro paese come espansione del Web design, scambio di idee e contenuti. Era l’epoca pionieristica e un po’ illusoria di Internet, la webculture si ampliava in sordina, come una corrente sotterranea ma promettente. Blogorroico di Cavedoni offre uno schema per creare e personalizzare il proprio sito- blog, e tuttora non smette mai di sperimentare nuove soluzioni tecniche. Nuovi software, nuovi codici, per aggiungere link, immagini, titoli, font, commenti ecc. Tra link e passaparola, i blog cominciano a diffondersi, ma restano un fenomeno elitario, di WD e lavoratori della rete, tecnici e autoreferenziali. Nel 2001 si avvia la metamorfosi dei blog. Il Corriere della Sera dedica un articolo a “L’invasione dei blog”, e ruba a Cavedoni il neologismo “blogorroico”. È l’inizio di un anno pieno di eventi, cambiamenti storici e discussioni animate, dalle elezioni ai giorni di Genova all’undici settembre, ognuno si sente chiamato a intervenire e dire la sua opinione. Arrivano nuovi bloggatori, e il target diventa sempre più imprendi- bile: studenti, musicisti, v.j di MTV, giornalisti, aspiranti scrittori, associazioni. Cambia lo stile, si ampliano i contenuti. La prima generazione di blog, quella dell’avanguardia WD, preferisce periodi brevi, spunti e segnalazioni rapide ad altri siti o notizie, poche battute per racchiudere una serata o una giornata di lavoro. Internet, frammenti di vita privata, commenti brevi caratterizzano i veterani Cavedoni o Max Boschini. La seconda generazione di bloggatori è più eterogenea e più verbosa. Pezzi più lun- ghi, talvolta veri e propri articoli o racconti. Negli argomenti entra la politica, il rac- conto di sé passa dal gossip all’esistenzialista. Il link non diventa più elemento cen- trale di ogni post, ma aumenta la riflessione, la profondità. Blog opinionisti. Con Leonardo, Pizia, Rillo, Broono e molti altri la verità dei blog diventa romanzata. 38
  • 37. Nel frattempo, c’è chi tenta strade diverse. Come il blog grafico. Le parole cedono il posto alle immagini, ma l’esito rimane incerto. Oppure il blog collettivo. Per sfruttare l’effetto-gruppo che si crea tra bloggatori, incanalare le frequenti discussioni, allusioni o botta e risposta. Forum o discussione o assemblaggio. Ma il rischio è sempre quello di arenarsi: forse per l’eterogeneità o l’e- gocentrismo o la pigrizia dei bloggatori nostrani. Esempi: Verbamanent, News from Dan, blogo.net, o il Wash It On Post strutturato come un giornale con spazi e colonne per ciascun bloggatore partecipante. Anche il giornalismo vero e proprio si accorge delle potenzialità di blogger: aumen- tano articoli su quotidiani, settimanali e webzine, ma soprattutto sono i giornalisti a farsi bloggatori, sull’esempio del clamoroso successo dell’americano Sullivan. Claudio Sabelli Fioretti, del Corriere della sera, e Pino Scaccia, inviato del Tg1 usano il blog per mantenere un costante dialogo con i loro lettori o spettatori. Oppure il blog diventa uno spazio per scrivere, per raccontare, per sfogare velleità artistiche. Blog narrativi, in cui entra lo stile dello scrittore. Esempi: Uomonero, Ezekiel, Quaero. C’è spazio per tutti. Dall’intimista al bollettino informativo, dalla politica al business. Ognuno col suo stile, le sue idee, il suo carattere. Blog come prolungamento, integrazione di altri mezzi. La stampa (i commenti dei let- tori di Sabelli), la radio (Polaroid), i libri magari mai pubblicati (i blog-scrittori), la televisione (l’esperimento del vj di MTV Coppola e del suo programma Brand:new in versione blog), le associazioni (dagli amici del prosecco ai Ds di Modena, anche loro fanno uso di blog). Una novità di linguaggio: incrocio tra diario, giornalismo e community. Una ventata di idee e progetti, che nascono e rimbalzano da una pagina all’altra, tra il coro dei post e il chiacchiericcio dei commenti. Una boccata d’ossigeno nelle bana- lità della rete e nel logoramento dell’informazione sotto editore unico. È l’applicazione perfetta della nuova comunicazione: ognuno si crea il proprio cana- le, non più solo per ricevere ma anche per diffondere informazioni, di ogni tipo. Finché non arriveranno leggi restrittive e corporative a impedirlo, come nel caso della discussa legge sull’editoria 62/2002. Un rovesciamento mediatico. Il circolo virtuoso dello scrivere, leggere ed essere letti. Che spesso sfocia in rapporti personali, incontri e raduni “live”. I bloggatori italiani, o almeno parte di essi, recuperano quello spirito di gruppo, di circolo di amici con cui questo fenomeno è giunto tra noi. La colonna dei link diventa una mappa di per- sonalità. Senza un centro, un inizio o un arrivo. Un sistema blog policentrico, dislocato. Una ragnatela parallela e sotterranea, fuori dal giro di siti commerciali, portali onnicomprensivi, buchetti voyeuristici o di chias- sose e inutili pagine personali. Sono nati, e crescono senza sosta, siti che tentano di mantenere un elenco dei blog e di orientarsi nel fenomeno, come blog.it o bloggando (che è arrivato a conteggiare oltre 300 blog italiani). Il blog come auto-rappresentazione. La grafica entra al servizio del contenuto, e tal- volta si fa essa stessa contenuto. Chiunque apra un blog, non solo WD professionisti o smanettoni informatici, ma anche profani e digiuni dei linguaggi del Web, si ritro- va ad applicarsi sulla grafica. Anche utilizzando i template preconfezionati di Blogger, si finisce per inserire una modifica in HTML, un nuovo font, una colonna in più che fa sempre comodo, o un colore meglio adatto. 39
  • 38. Insomma c’è chi si costruisce la moto (vedi il design raffinato di Weblogz o FlamingPxl Vanessa), chi fornisce i pezzi (come i continui aggiustamenti di blogor- roico/Cavedoni o i consigli di Bloggando) e chi si trucca la lambretta (come il classi- co template Blogger modificato da Madame Defarge o Leonardo). Il blog come contagio ma anche come antidoto alla sindrome del webdesigners. Perché la funzionalità entra al servizio del contenuto, le velleità d’artista fanno i conti con lo spazio per le proprie parole. Così non conta più solo la bella presenza, ma anche saper parlare. E l’Italia della Rete ha tanto dire. *** Oggi il Web ha bisogno di tale confronto, che piaccia o no è così. Ognuno si sente un protagonista: per sé o per gli altri, controllare controllandosi, guardando in modo ossessivo i propri referer per sentirsi vivi, per sentirsi partecipi di questa o quella community. WDE lancia il suo sassolino per far conoscere cosa gira intorno al Web design e per far sentire quanto sia importante il meccanismo di libertà espressiva attraverso le cover o i concept: costante ricerca di nuovi spazi, a volte già visti, a volte pertinenti. La pos- sibilità è aperta a tutti coloro vogliano proporsi in modo creativo. Ne è riprova il fatto che i layout cambiano, oggi è la volta di Maurizio Sartore (Malana Design), con il suo “SUMMER EDITION” che ha modificato leggermente la forma, ma mantenuta la sua S struttura, incrementando nuove sezioni e nuove sfide con nuovi concept. È nato Web Poetic Experiments, ha preso posto Movie & Graphic Music Lab. Sezioni legate all’in- terpretazione grafica di un brano musicale o di una poesia, o di un aforisma. Ci piace vedere! La nostra è sete visionaria, esercizio artistico, mutazione e ricostruzione. Malana layout 40
  • 39. Con gli stessi intenti Fabien Butazzi (Koandesign) ha interpretato le prime versioni del sito legato a “WDE. Agli antipodi del Web design” sul quale abbiamo indetto il con- corso per scegliere la copertina del libro e grazie al quale abbiamo seguito quotidia- namente lo stato di avanzamento del volume in tutte le sue fasi: raccolta sponsor, raccolta contributi dei CD dei singoli Webdez e relative prenotazioni. Da sottolineare come tutti abbiano sentito in modo palpabile questo percorso, accompagnando da vicino il suo progresso, una sorta di sviluppo online collettivo con pochi precedenti. Koandesign layout Ci piace pensare che attorno a noi ci siano anche personaggi che sanno riderci sopra mostrando aspetti goliardici della professione del webdesigner. Volontà semiseria di sdrammatizzare ed enfatizzare tale presagio: pensare che il webdez sia un perfezio- nista, talentuoso e virtuosista. Abbiamo chiamato Luca Guglielmi a raccontarci que- sta storia: Siamo tutti un po’ Flavio Cocconi di Luca Guglielmi Flavio Cocconi è una creazione di Luca Guglielmi (www.inspirations.it) e Flavio Condò (www.graphic.it) e non nel senso che è nostro figlio (ci abbiamo già prova- to a farne uno ma ci hanno spiegato che non possiamo averne) ma nel senso che non esiste nessun Flavio Cocconi, almeno nessun Flavio Cocconi che faccia il web- designer. È un personaggio che popola la nostra fantasia, chiara- 41