3. Presentazione
I COLORI DELLA LUCE
Il merito esatto di ciò che è arte e quello che non lo è deve ancora, dopo tanti secoli,
essere deciso con chiarezza. Non esiste la formula decifrabile per la meritocrazia
intellettuale. Ogni tempo ha le sue discipline e ciò che è gradito in un’epoca è dimen-
ticato in un’altra. La via del sublime è difficile e sconosciuta ma è altrettanto stimo-
lante e avvincente.
Anni fa (molto tempo è passato) avevo scritto in un avventuroso pensiero, che il giu-
dizio possibile approssimativo di un’opera d’arte non sarebbe stato l’uomo a definir-
lo, ma un suo alleato energetico, l’elaborato di un computer. Selezionare la quantità
visibile o intuibile di intelligenza, umanità e bellezza. La possibilità di calcolo deci-
derà dei valori la cui somma ci dirà, forse, quanto può essere alta un’opera al con-
fronto di un’altra.
Ovviamente questa è una futura ipotesi, anzi una avventura fantascientifica, ma que-
sto per dire che “l’inebriante tecnologia” del mondo contemporaneo può indicare
sempre più una fratellanza tra l’uomo e i suoi giocattoli pensanti.
Per millenni si è usato scalpello e pennello per creare un’immagine osservabile. Ed
oggi con tanta più facilità si usa quell’alieno elettronico che è il computer. L’arte
moderna, che ha riempito musei, sembrava tutto e ogni cosa, ed invece ora è insi-
diata. Un’altra forma di immagine è creata. Proviene da un caos profondo del pote-
re della “energia” e si affaccia con un gioco di colori e di forme eccitanti. Sono i geli-
di pixel dello schermo che appaiono nuovi, docili e superubbedienti, che si introdu-
cono in una estetica moltiplicata e che hanno uno strapotere di efficenza, visibilità,
comunicabilità. Un pixel semplice e micrometro, ma che può in un attimo attraversa-
re il mondo, da uomo a uomo lontano, lontanissimo.
Cosa può dunque fare di più un povero pittore con tavolozza e pennelli in una stan-
za per completare un quadro e aspettare.
Il tempo velocizzato ha dato esperienza a un nuovo ed intensivo sviluppo, ad una
gioventù creativa lanciata verso il futuro, verso il nuovo genio della specie per un’ar-
te diversa.
Ed è sempre una gara persistente per il diverso, in cerca di quel filo intellettuale che
crea le mode, le novità, gli stili e i concetti. Che stimola la passione per appropriarsi
di spazi diversi al confronto del passato.
Ed ecco quindi formarsi un promesso artista di webdesign, spesso slegato dal mestie-
re del passato, candido e ammaestrato per lavorare con l’intangibile, veicolare infor-
mazioni visive. Egli può avere un’arte intesa come abbellimento della propria mente
e che diventa accessibile e visibile a tutti, ovunque, in qualsiasi luogo. Un’avventura
mai immaginata in millenni di civiltà che diventa pratica semplice e amorevole.
Come dopo un’eclisse appare la luce, così dal buio del computer appare il pixel di
luce, l’arcangelo splendente che informa calcola esprime e raccoglie i simboli del
pensiero per restituirli attraverso i punti luce del monitor a volte in modo generico,
ma altre con una suggestione diversa dalle antiche immagini.
Vi è un condensato di universale nella libera rivisitazione che il webdesigner informa
con leggerezza sfiorando i tasti e richiamando forme e colori. Arrivano d’impatto
5
4. dentro il rettangolo luminoso dello schermo, qualcosa di immateriale senza sostanza,
incorporeo e di pura visione dove non esistono limiti e frontiere.
Sono messaggi di luce che giungono da un potere etereo, dall’antica energia del sole
che giunta sulla terra e qui riposata ora si trasforma in potere elettronico, indefinibi-
le come forza, tuttavia sparsa dovunque nell’universo e che resiste al passaggio del
tempo senza limiti.
La luce, strumento del nuovo artista, costruttore di immagini luminose: il webdesi-
gner che lavora nella penombra con un colloquio silenzioso col suo traduttore di idee
e pensiero, il computer, campione di memorie, maestro nell’ordine, ubbiediente alla
sapienza. Un aggeggio strano e generoso che restituisce il suo insondabile contenu-
to al solo tocco di una tastiera, una soffice carezza.
Un regalo così grande non poteva l’umano aspettarsi. Come questo è generoso di
scienza, tecnologia, velocità di informazione, un potere così grande non può non
coinvolgere l’arte che è l’assoluto dell’uomo.
Con la sua presenza e con i prossimi webdesigners, con coloro che ne sono i detento-
ri piloti, darà certo contenuti da integrare ad una formula aggiunta alla storia del-
l’arte, l’arte della luce, la webdesignart con i suoi vaghi bagliori colorati provenien-
ti da rarefatte distanze e da confini oltre il buio del tempo.
Lanfranco
17 agosto 2002
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9. Introduzione
DAL PIXEL ALLA PAGINA A STAMPA:
MEMORIA DI UNA WEB COMMUNITY.
“Laboratorio” è parola ricca di fascino, di suggestione. Perché implica, oltre al senso
del lavoro, dell’operosità, dell’uomo faber, anche l’interesse per ciò che si crea e si
forgia. Nel laboratorio l’artigiano dà un senso alla propria vita manipolando la mate-
ria con i propri strumenti e creando – cioè aggiungendo tratti significanti – opere
che sono messaggio della sua esistenza, del suo modo di vedere la realtà nella quale
vive. Pardon, ho detto “artigiano”. Eppure laboratorio in francese fa “atelier” e l’ar-
tigiano assurge subito al rango di artista: ecco, basta cambiare matrice linguistica e
il mondo si legge in altra prospettiva. Ma poi la differenza, davvero mai come in que-
sto caso, è soggettiva, legata a chi sa intendere – meglio interpretare – un pensiero
sustanziato in una realizzazione che vuole andare oltre all’asservimento di uno scopo
primario, per la quale generalmente è stata commissionata e, talvolta, pagata.
Lanfree ha creato un laboratorio, di questo tutti coloro che hanno a cuore le sorti della
Web art dovrebbero rendergli merito. Uno dei primi provider italiani si era scelto
come nome “agorà”, era un nome centrato: la piazza è un luogo ove ci si incontra, ci
si confronta, si parla, si commercia: così avveniva tra coloro che si affacciavano per
la prima volta sulle soglie della Rete. Lanfree però ha creato qualcosa di diverso: ha
offerto non solo un luogo ove stabilire contatti en plein air, ma ha fornito un tetto, un
riscaldamento, un pasto caldo: soprattutto ha accolto con un abbraccio chi voleva
entrare, con lo spirito – e le attenzioni - di un vero dominus, padrone di casa, una
situazione ben diversa dalla piazza. Nel grande opificio di WDE si sono ritrovate prima
di tutto (prima di artisti, artigiani, smanettoni) persone che hanno voluto condivide-
re qualcosa insieme, partendo da un punto comune – la creatività in Web – per giun-
gere ben oltre, laddove che cosa si faccia ha importanza relativa, mero pretesto per
stare insieme. Basta passare un’ora con Lanfree per rendersi conto che il fattore este-
tico dell’operazione WDE è del tutto secondario rispetto allo spirito di gruppo, al sen-
tirsi uniti prima come community che come guilda d’artisti.
Ecco: comunità è un’altra parola importante di questa storia. Internet non è nata
come rete per una comunità, a meno che non si voglia definire con questo termine
l’insieme dei distaccamenti militari statunitensi a metà degli anni Sessanta. No,
Internet è divenuto strumento di comunità quando, sotto la spinta del mondo dell’u-
niversità, si è compreso che attraverso cavi e computer potevano essere fatti passare
non solo dati strategici, scientifici, statistici, ma emozioni. Sissignori, emozioni. La
svolta della Rete è stato lo sforzo – mentale, puramente mentale – di comprendere
che dietro lo schermo sul quale stiamo disegnando o digitando parole non stanno
transistor, ma persone: occhi e cuori in ascolto, come scrive Howard Rheingold, l’i-
spiratore di “The Well” una delle prime comunità virtuali nate attraverso la comuni-
cazione telematica: “I realized that the people who have the information are more
interesting than the information alone”1.
Da lì in poi tutto il resto. Il Web non è che l’ultimo (in ordine di apparizione, benin-
teso) passaggio verso la possibilità di utilizzare la Rete come un formidabile ausilio
alle esigenze di un gruppo. Il Web, lui sì a differenza di Internet, nasce per una pre-
cisa comunità – quella dei fisici delle particelle – ma non solo allo scopo di scambia-
re e condividere dati sperimentali, ma anche per cementare quegli usi, quelle con-
suetudini che sono lo spirito di un gruppo. Chiariscono il concetto le parole di Tim
Berners-Lee, l’inventore del Web:
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10. Il Web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica. L’ho progetta-
to perché avesse una ricaduta sociale, perché aiutasse le persone a collaborare,
e non come un giocattolo tecnologico. Il fine ultimo del Web è migliorare la
nostra esistenza reticolare nel mondo2.
Tramite il Web si creano dunque non solo legami tra documenti, ma soprattutto tra
persone che danno un segno della loro esistenza attraverso un’interfaccia che, nel
nostro caso, è rappresentata da uno strumento ipermediale. Legami tra persone che
sono il fondamento di una determinata trama relazionale e, di conseguenza, come
non vedere questo volume innanzitutto come un fortissimo segno di identità comu-
nitaria? La stessa partecipazione alla gestazione del prodotto finito, una condivisio-
ne continua in tempo reale, sarebbe di per sé un forte motivo di riflessione. Qui, a
partire dalla copertina, tutto è stato pensato come un progetto aperto alla collabo-
razione di tutti: sul sito di WDE una sezione raccontava i passi avanti, i dubbi, le riso-
luzioni (perché poi qualcuno deve pur risolversi a prendere delle decisioni anche se
difficili, perlomeno impopolari), tenendo la community sempre al corrente, sempre
all’erta, pronta ad affrontare nuovi stimoli e suggerimenti. Questo è stato il desiderio
di Lanfree: che questo fosse il libro di WDE, cioè che ciascuno dei ragazzi potesse dire:
questo libro è anche mio.
Secondo punto di interesse: perché la scelta di una pubblicazione su carta per testi-
moniare l’opera di artisti che lavorano con il mouse invece che con il pennello? Perché
il libro è per eccellenza nel mondo occidentale, laddove è stata inventata la rivolu-
zionaria scrittura sillabica, lo strumento principe della memoria, contro l’oblìo, con-
tro la dimenticanza a volte non voluta, a volte inconscia. È proprio della libertà che
deve contraddistinguere l’azione di ciascun artista la facoltà di decidere le sorti della
propria opera. Questo non da ieri, da sempre. Virgilio che, sul punto di morire, impo-
ne che l’Eneide scompaia insieme al suo autore è un esempio più che noto. Salvo il
fatto che, d’altra parte, è anche diritto della società impedire la distruzione della
memoria, soprattutto quando l’opera che rischia l’annullamento è opera nella quale
vengono riconosciuti valori comuni, condivisi. Allora, fra queste due libertà, si gene-
ra una situazione drammatica che spesso non ha modo di essere ricomposta se non
attraverso un atto di forza da parte dell’uno o dell’altro degli attori in scena. In appa-
renza la Web art è per natura del mezzo utilizzato, ma più spesso per intenzione este-
tica di chi la pratica, un’arte effimera, che tende a scorrere via veloce senza lasciare
un sedimento materiale. La scelta dunque di un sistema antico di preservazione della
memoria utilizzato allo scopo di registrare forme nuove, prometeiche e sguscianti,
può apparire una stranezza davvero balzana. Eppure non è così: aprire un archivio
elettronico (un database accessibile via Web) con i lavori che vengono presentati in
questo volume avrebbe significato probabilmente una più corretta “preservazione”
delle qualità intrinseche delle opere d’arte ma, d’altro canto, una molto più flebile
presenza come memoria di gruppo. E questo secondo aspetto è – ribadiamolo – ciò
che sta alla base di questa operazione editoriale. Questo non significa, naturalmente,
che non debbano essere poste in atto tutte quelle strategie che possano garantire
anche a chi verrà dopo di noi la fruizione più corretta delle opere presentate. Opere
che sfruttano tutta la gamma delle tecniche multimediali, opere che hanno nell’ani-
mazione molte ragioni della loro esistenza, opere che – per riprendere una conside-
razione vecchia ma sempre validissima di McLuhan – sono nate per essere fruite attra-
12
11. verso un dispositivo che fa del nostro viso il vero schermo di proiezione, bersaglio del
flusso di elettroni sparati dal tubo catodico del monitor, con quello che ne consegue,
cioè una “convulsa partecipazione dei sensi che è profondamente tattile e cinetica”3.
Questo libro raccoglie tra le sue pagine (molto più resistenti non solo dei bit, ma della
roccia) una traccia, un segno dello spirito che ha animato ogni artista, e questa è la
sua funzione, il suo pregio. Ma per il resto ciò che vediamo qui stampato è tanto falso
rispetto al “prodotto” dei webdesigner quanto può esserlo un volume sulla Cappella
Sistina rispetto agli affreschi michelangioleschi ammirati dal vivo. Non ho utilizzato,
evidentemente, il termine “originale”. Per chi ha un po’ di dimestichezza con il
mondo digitale sa che i concetti di “originale” e di “copia” sono di quelli destinati a
descrivere un mondo che non è quello delle memorie elettroniche: la vera differenza
tra due documenti elettronici di cui uno sia il clone dell’altro non sta nella loro costi-
tuzione (ogni bit dell’uno corrisponde esattamente a un bit dell’altro) ma nel loro
stato, nella loro fruibilità attraverso un sistema che interpreti i segni lasciati su un
supporto e li ri-produca in informazioni decodificabili dall’uomo. La messa in atto o
la potenza di questo imprescindibile processo è assoluta peculiarità del mondo digi-
tale, senza di esso tutti i dati (ma anche le emozioni) sono destinati a rimanere impri-
gionati nel silenzio del loro sarcofago magnetico o ottico.
Dunque l’interfaccia assume per il webdesign un valore esemplare: è su di essa che
lavora l’artista ed è tramite essa che si ha la vera fruizione del prodotto artistico.
Come scrive Pierre Lévy: “se ogni processo è interfacciamento, dunque traduzione,
questo è perché nessun messaggio si trasmette tale e quale, in un ambiente condut-
tore neutro, ma deve superare discontinuità che lo trasformano”4. Questo passaggio
è dunque una chiave di lettura importante per tentare una interpretazione delle
opere presentate. Opere che sono accomunate da un’altra caratteristica specifica di
WDE, l’essere – come dice il nome stesso – un luogo della sperimentazione, total-
mente libera e indipendente da committenze e provvigioni. Pur ribadendo quanto
già espresso in apertura, e cioè che un’opera d’arte non è meno valida perché voluta
e pagata da qualcuno (la Madonna dei Pellegrini di Caravaggio è meno capolavoro
perché il soggetto fu scelto dagli Agostiniani del convento romano?), non si può
disconoscere che (almeno) dall’inizio del secolo passato il valore della sperimenta-
zione “pura” sia sempre più vitale alle esigenze della ricerca artistica e delle riper-
cussioni della medesima sulla produzione destinata al consumo. Umberto Eco chiari-
sce bene il concetto:
[L’avanguardia], da un lato, trovandosi a funzionare suo malgrado come uffi-
cio studi dell’industria culturale, reagisce a questa circonvenzione cercando di
elaborare continuamente nuove proposte eversive – e questo è un problema
che riguarda un discorso sulla sorte e sulla funzione dell’avanguardia nel
mondo contemporaneo – mentre l’industria della cultura di consumo, stimola-
ta dalle proposte dell’avanguardia, continuamente svolge opera di mediazio-
ne, diffusione e adattamento, sempre e di nuovo prescrivendo in modi com-
merciabili come provare il dovuto effetto di fronte a modi di formare che origi-
nariamente volevano farci riflettere solo sulle cause 5.
WDE è spazio di libertà e di confronto. I due elementi fanno la forza di questa espe-
rienza: ciascuno infatti è libero, nel suo percorso di lavoro, di ritagliarsi momenti di
13
12. analisi, approfondimento, sperimentazione. Ma la solitudine della pratica non può
generare un dibattito, un confronto se non c’è modo di ritrovarsi in un luogo a
mostrare il proprio lavoro e a discuterne con gli altri. Per questo l’esperienza di WDE
ha avuto successo, per questo quando c’è da dare una mano per l’ordinaria (e la
straordinaria) amministrazione dell’edificio tutti sono disposti a partecipare. In più
se il responsabile dell’impresa non si accontenta semplicemente di accogliere gli arti-
sti, ma anche di lanciare sfide, proporre argomenti, gettare fiammiferi nel pagliaio -
“dobbiamo stare in compagnia oggi, noi, scambiandoci discorsi: e che discorsi, se
permettete, voglio suggerirvelo”6 - allora state certi che ci sarà poco tempo per ripo-
sare e molto da parlare, vedere e ascoltare.
L’ultima provocazione di Lanfree, complice in sordina Valerio Sometti, è stata un’at-
tribuzione di paternità per tutti i giovani membri della community. Mi riferisco natu-
ralmente al “siamo tutti figli di Lanfranco” che ha suggellato il patrocinio ideale del
grande pittore mantovano nei confronti della realizzazione di questo volume. Lanfree
e Lanfranco, come in un gioco di parole (e del destino?): l’uno ha imposto all’atten-
zione degli artisti della community le opere dell’altro, suggerendo eredità e deriva-
zioni ideali ed estetiche e promuovendo una rielaborazione delle opere del maestro.
Il risultato della provocazione non lo vedrete in questo libro, forse – è speranza di
tutti noi – in un altro. In attesa, magari, fate una capatina in WDE, ne vale la pena:
perché l’operazione di rielaborazione è di assoluto interesse, è un elemento chiarissi-
mo di caratterizzazione dell’estetica contemporanea, non unicamente riferito all’am-
bito delle arti grafiche:
Il versioning è un fenomeno caratteristico non solo del reggae, ma anche di
tutte le musiche afroamericane e caraibiche: jazz, blues, rap, rhythm’n’blues,
afrocubana. E oggi è normale avere delle versioni diverse dello stesso brano,
dubbato o remixato. Nessuno ha mai l’ultima parola7.
Il successo di interesse nella community dell’iniziativa di rielaborazione delle opere
di Lanfranco testimonia che quel passaggio in un epoca definita neobarocca è ben
lungi dall’essere concluso e che, anzi, ne viviamo forse ora la fase più intensa, scrive
Calabrese in proposito:
Esercizi sul tema, variazioni di stile: è questo il primo principio dell’estetica
neobarocca, modellato appunto su un generale principio barocco del virtuosi-
smo, che in tutte le arti consiste nella totale fuga da una centralità organizza-
trice, per dirigersi, attraverso una fitta rete di regole, verso la grande combi-
natoria policentrica e verso il sistema delle sue mutazioni8.
La pratica della rielaborazione è uno dei tratti caratteristici delle opere presentate.
Questo approccio nei confronti della prassi artistica legata al Web è di duplice inte-
resse. Primo: non si può rielaborare se non si ha coscienza del fatto di essere circon-
dati da materiali che hanno ancora potere significante, anzi che possono assumerne
di nuovo nel momento in cui vengono integrati, meglio riassemblati, secondo una
sintassi nuova. Conseguentemente – secondo punto – uno sforzo enorme da parte
dell’artista si rivolge verso l’aspetto della connettività tra i frammenti sparsi di un
14
13. discorso da costruire, dinamica questa che è alla base di ogni forma ipertestuale, la
quale ha la sua novità proprio nell’inusitato sistema di collegamenti tra i diversi ele-
menti informativi. Rielaborazione significa dunque avere un occhio attento sul
mondo dei segni, dunque dei documenti, dunque (magari inconsciamente, implici-
tamente) verso una prospettiva storica che troppo spesso viene semplicisticamente
negata di fronte a operazioni nate per essere fruite attraverso un sistema telematico
digitale. D’altra parte è indubbio che la Rete rappresenti un formidabile catalizzato-
re di processi cognitivi, ove la velocità assume un ruolo essenziale nel ridisegnare le
modalità attraverso le quali ciascuno di noi assorbe ed elabora informazioni, ove gli
stessi orizzonti fisici del nostro biotopo sono continuamente rimessi in discussione dal
potere di muovere il nostro pensiero in modo istantaneo, in un qualunque punto del
globo interconnesso al sistema. Siamo all’ultimo stadio (ancora una volta “ultimo” in
ordine di tempo, non di conclusione di un processo in atto) di un’evoluzione tecno-
logica che, prendendo la rincorsa con la rivoluzione industriale, si è prodotta in
un’accelerazione che ha attraversato tutto il Novecento e che ha lasciato sulla nostra
pelle segni indelebili:
Perché asserisco che il tempo si sta trasformando sotto i nostri occhi in qualco-
sa di fittizio e insieme di falso? Qualcosa di “fittizio” perché ormai – data
appunto la costante accelerazione dei nostri spostamenti e lo sganciarsi del
nostro movimento da quello della natura – il movimento è divenuto, più d’o-
gni altro “parametro” della nostra esistenza, un elemento del tutto “innatura-
le”, modificabile a volontà, indeterminato, e non più legato a quei ritmi (respi-
ro, battito cardiaco, fasi delle stagioni, e forse anche “anni cosmici”!) che un
tempo lo limitavano, lo circoscrivevano, ma anche ne consentivano la identifi-
cazione e la assolutizzazione9.
Progettare per il Web significa dunque tenere conto di un supporto che, caratterizza-
to dalla sua labilità, instabilità fisica, sfrutta di converso queste doti per esaltare –
come mai si era visto prima – la cinetica della comunicazione. Ogni opera d’arte ha
in sé un tempo della narrazione: nella Web art questo tempo si adegua ai ritmi di
quella realtà che le reti telematiche hanno contribuito a strutturare. È il tempo pun-
tiforme, è l’esaltazione dell’attimo, è la logica dell’hic et nunc: ciò che vediamo espo-
sto in WDE è espressione dell’emozione di un istante, ma anche dell’implosione – in
quello stesso istante – di una temporalità che non è, torno a dire, negata bensì com-
pressa. Si avverte di frequente, di fronte alle opere di questi giovani artisti, un senso
tremendo di tensione che non è proprio della contemplazione dei frammenti di una
visione esplosa della realtà, quanto piuttosto dell’ordigno innescato, pronto a salta-
re in aria. Chi osserva è investito da questa sensazione di attesa, di potenziale defla-
grazione che però non si sa se produrrà realmente uno scoppio tremendo e deva-
stante oppure un innocuo bum da mortaretto o tricchetracche. Infatti la carica ironi-
ca insita in molti di questi lavori è un altro aspetto che non può essere disconosciu-
to, ma d’altra parte è anche logico che sia così: in una società di rapporti sempre più
fluidi e sempre meno stabili nel tempo, il ruolo di chi propone arte su un mezzo come
il Web non è forse anche quello di riflettere sul proprio “ruolo” creativo, dunque su
eventuali etichettature troppo semplicistiche, inadeguate? Da qui bisognerebbe poi
considerare quanto la tecnologia telematica ha contribuito a rendere disponibile a
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14. tutti coloro che avessero la pazienza di apprenderne i fondamentali uno strumento
per esprimere la propria creatività e per poterla proporre ad altri attraverso un’inter-
mediazione ridotta effettivamente all’osso. La “democratizzazione” della prassi arti-
stica è uno di quei luoghi comuni difficili da scalfire quando si tratta di Web; natu-
ralmente come in tutti i luoghi comuni vi è un fondo di verità: nessuno può negare
che il Web si è rivelato nel tempo uno strumento di “pubblicazione” spaventosamen-
te potente, la sua stessa crescita quantitativa a ritmi iper-esponenziali ne è la testi-
monianza più tangibile. È altresì ovvio che non basta la padronanza di utilizzo di una
tecnica per fare di chiunque non solo un webartist ma anche un webmaster o un web-
designer:
Che il numero più ampio possibile di esseri umani sia messo in grado di svilup-
pare la propria congenita creatività, certo. Epperò, siamo seri: l’arte – che è
(sempre) un’altra cosa – che c’entra con tutto questo?10
Già, che c’entra? Soprattutto che c’entra in un ambito, come è quello digitale, ove la
tecnica è ossessivamente fine a sé stessa, in una continua rincorsa a prestazioni sem-
pre più potenti al servizio di obiettivi sempre più oscuri.
Se si vuole insinuare un’ipotesi estetica nell’utilizzo delle nuove tecnologie è neces-
sario utilizzare le medesime come cavallo di Troia: è solo facendo finta di sfruttare la
tecnica per fini non propriamente artistici che si può sperare di operare quello scar-
to semiotico che consente l’apertura di una effettiva prospettiva poetica.
Naturalmente il gioco può anche non funzionare e a rimanere gabbato potrebbe
essere lo sperimentatore. Ma è necessario - è segno importante e confortante - che
qualcuno si cimenti in questo tentativo di riflessione sul senso dell’utilizzo di un siste-
ma telematico globale. E allora, torno a dire, invece del neoluddismo, del rifiuto
aprioristico, del muro contro muro, può essere più sconvolgente e più lievemente
scardinante l’arma dell’ironia, che sa far traballare certezze perché – dissimulando,
fingendo ignoranza da neofita o da inesperto – coglie alle spalle, dribbla l’ostacolo,
sgambetta l’avversario appena l’arbitro ha distolto lo sguardo. Sarei dunque pru-
dente di fronte a tante riflessioni che vogliono leggere la Web art unicamente attra-
verso le categorie dell’estetica postmoderna, vorrei insinuare il dubbio che il pensie-
ro debole o l’opera aperta non siano due grimaldelli in grado di aiutare ad aprire
delle vere porte interpretative. Anche la presunta interattività della Web art è, alme-
no in ciò che vediamo presentato qui in WDE, in gran parte totalmente illusoria.
Riflettiamo: quanto conta, quanto è presente il fruitore come parte attiva nella costi-
tuzione del processo artistico? Qui ci troviamo di fronte perlopiù a prodotti sviluppa-
ti in Flash, fortemente chiusi in sé stessi, difficilmente manipolabili dall’utente, sem-
pre più autonomi nella loro struttura. E la struttura è allora una struttura forte, come
forti sono le intenzioni degli artisti. L’interattività la si potrà trovare a un livello più
generale, cioè a dire quello dello spazio connettivo su cui il Web è costruito, uno spa-
zio che si moltiplica grazie ai nodi che ciascuno aggiunge alla trama condivisa. Siamo
dunque d’accordo che le opere di WDE potranno essere linkate ad altri contenuti ma,
anche inserite in nuovi contesti, manterranno la loro matrice, non potranno essere
decostruite a piacimento del lector in fabula. Da qui, per riprendere il discorso ini-
ziale, ecco non solo la necessità ma il senso di testimoniare un’epoca nella ricerca e
sperimentazione sul Web design: ciò che rimane nel percorso artistico dei membri di
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15. WDE, ciò che risulta al termine delle sperimentazioni (experiment cioè la “E” di WDE)
è alla fine un prodotto fortemente strutturato che dunque, benché registrato su un
supporto labile, ha ragione di rimanere nel tempo, aere perennius.
In WDE non si vivono solo processi, happening, eventi, momenti: vi sono anche opere,
e di questo il volume vuol essere catalogo, o meglio antologia, seppur strumento
imperfetto che necessiterebbe di tanto corredo, a stampa e in digitale, per offrire un
panorama ancor più significativo dell’attività di una comunità di artisti. Ma intanto
accontentiamoci, prendiamo questa occasione come un pretesto per iniziare un
discorso, certamente non per concluderlo. E ancor di più cerchiamo di sfruttare il
potenziale del mezzo gutenberghiano, vecchio di cinquecento anni, familiare a tutti,
transgenerazionale, transgender: cerchiamo cioè di cogliere l’occasione per rendere
più visibile ciò che si fa in WDE anche al di fuori della comunità stessa, in una pro-
spettiva di dialogo con chi nel pubblico o nel privato promuove manifestazioni arti-
stiche oppure con il mondo della scuola e dell’università. Il Web design è un veicolo
straordinario per poter riflettere sulle potenzialità della Rete, non solo a livello este-
tico, beninteso: l’opportunità di cercare di interpretare la complessità degli strumen-
ti informativi che ci circondano, che utilizziamo quotidianamente, attraverso il desi-
gn è la riprova ulteriore di quanto, nella congerie di dubbi che caratterizza il nostro
tempo, la riflessione artistica sia un ambito privilegiato per aiutarci a comprendere la
nostra condizione, senza offrire facili punti di approdo, ma delineando il nostro esse-
re uomini in transito tra due millenni, immersi in un oceano informazionale nel quale
è sempre più difficile mantenere una rotta nonché stabilire un piano di navigazione.
Alberto Salarelli
1
Howard RHEINGOLD, The virtual community. Finding connection in a computerized world, London,
Minerva, 1994, p. 56.
2
Tim BERNERS-LEE, L’architettura del nuovo Web, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 113.
3
Marshall MCLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1997 (ed. or. 1964), p. 334.
4
Pierre LÉVY, Le tecnologie dell’intelligenza, Milano, Synergon-A/Traverso, 1992, p. 198.
5
Umberto ECO, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1988 (ed. or. 1964), p. 76.
6
PLATONE, Simposio, V, 7-10.
7
Dall’intervento di Camillo de Marco in Virginio BRIATORE (a cura di), Restyling. Meraviglie e miserie
del progetto contemporaneo, Roma, Castelvecchi, 2000, p. 86.
8
Omar CALABRESE, L’età neobarocca, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 44.
9
Gillo DORFLES, Il feticcio quotidiano, Milano, Feltrinelli, 1989, p. 184.
10
Massimo CARBONI, Il sublime è ora. Saggio sulle estetiche contemporanee, Roma, Castelvecchi, 1998,
p. 118.
17
17. Internet is speed
it continuously changes
the world turns around Internet
thoughts run
things remain
there is no time to think
you have to see.
Lanfree
19
19. WDE aka Web designers experiments.
Una sigla che sta rappresentando moltissimo nel panorama del Web design italiano.
È passato poco più di un anno (messa online del sito 04 maggio 2001) e di strada ne
ha fatta già parecchia questo dominio, nato da un idea nello scuro della notte l’an-
no scorso.
Ma che cosa significa questo sito?
Certamente la volontà di Lanfree nel permettere ai giovani webdesigners di potersi
sfogare lanciandosi in prove grafiche o animazioni tecnico-concettuali in completa
libertà.
Sì nel Web sono conosciuto come Lanfree, un nickname appropriato, che identifica al
meglio la mia indole: spirito libero, fuori dagli schemi e dai vincoli. Certo Internet,
per un non più giovanissimo, può sembrare inadatto, dove i giovani imperversano,
tracciano e setacciano a passo indecifrabile e vertiginoso una nuova storia intrigan-
te e ricca di misteri. Davanti ad un monitor può succedere di tutto, si può anche per-
dere la dimensione del tempo, immergendosi in un mondo visivo senza ombra.
La curiosità mi ha spinto. Sono un perito elettronico diplomatosi nel lontano 1982,
allora si studiavano i transistor, gli amplificatori. Oggi con l’avvento dei circuiti inte-
grati, dei sistemi sempre più sofisticati, si sono aperte delle finestre verso orizzonti
multimediali e interattivi che stimolano giochi bellissimi.
È stato per puro caso che mi sono avvicinato al computer nel 96. Lavorando - come
commerciale - per un’azienda di macchine a controllo numerico per il taglio del
vetro, ho intuito che una fonte di vendita poteva essere rappresentata dallo sviluppo
di un software per la ottimizzazione del taglio delle lastre dando come risultato meno
sfrido. Una scommessa ardita che con l’aiuto di alcuni tecnici mi ha permesso di svi-
luppare tale intuizione.
È stato in quel preciso momento che ho capito le enormi potenzialità dell’informati-
ca. La passione mi ha coinvolto al punto che dieci ore della mia giornata erano dedi-
cate a lui. Sì, il mio vecchio PC 133 Mhz mi ha obbligato ad abbandonare nel tempo
libero parole crociate, riviste, giornali e televisione. Vi sembrerà strano, ma da quel
momento la mia vita ha assunto ritmi e interessi completamente diversi. Il primo
modem, la prima connessione, la curiosità nell’esplorare e surfare alla ricerca di qual-
cosa di grande, di enorme, mi affascinava… il primo scanner, il primo software di
grafica, che smania di imparare, di capire come destreggiarmi all’interno di un siste-
ma operativo con una sua logica, con le sue enormi potenzialità. Sete di conoscenza
e di apprendimento. Non mi so spiegare questa passione, forse il gusto della compli-
cazione, ma anche il nuovo, il concetto di abbattimento di spazio temporale con le
prime chat, la possibilità da parte del cittadino comune e con pochi soldi di aver a
disposizione una macchina che è diventata indispensabile per la nostra vita di tutti i
giorni, la sensazione di vivere un passaggio epocale, consentitemelo di dirlo forte:
TUTTO CIÒ È STRAORDINARIO!
Dopo alcuni tentativi personali sondando e sviscerando le tematiche grafiche del
mondo via etere, ho lanciato nell’aprile del 2000 www.lanfree.it, il mio primo sito con
dominio di primo livello.
La passione per la grafica e il continuo bisogno interiore di ricerca mi hanno perdu-
21
20. tamente coinvolto a tempo pieno, a tal punto che ogni giorno il monitor pretende che
gli si dedichino tra le cinque e le otto ore, lavoro permettendo. Un sacrificio enorme,
ma non esiste sacrificio se lo si vede con amore: il computer è diventato il riferimen-
to, il tramite tra me e il mondo virtuale di Internet. Questo mondo che vibra di web-
designers eccellenti, troppo giovani a volte per trasmettere quel richiamo profondo
che, con il plasma tra l’immagine e i contenuti, mostra al visitatore una personalità
intrinseca forte, profonda. L’utente si sofferma sul piacevole intreccio grafico, ma poi
di conseguenza è costretto a pensare, a riflettere, a gioire, a toccare con mano una
realtà evolutiva che interagisce col proprio io alla ricerca di noi stessi.
Oggi la mia occupazione è di funzionario commerciale nell’”Hospital Division” di una
multinazionale tedesca (Paul Hartmann) nel settore delle medicazioni e dei presidi
medico chirurgici. Professionalmente un lavoro di grande responsabilità e di enormi
soddisfazioni. Ma il mio cuore, la mia passione sono lo studio di Internet e della sua
evoluzione. Sono altresì convinto che tutti abbiamo le potenzialità nell’usare questo
mezzo con buon profitto. Certamente c’è bisogno, lo ripeto, di passione: sono più gli
autodidatti come me che in fondo premono sull’acceleratore. Più di tutto amo il Web
design, mi piace vedere scrollare immagini, digerire siti pieni di grafica accattivan-
te, ricca di spunti metafisici e irreali intrecciati con il vertiginoso mondo circostante.
Mi piace seguire da vicino queste nuove generazioni che disegnano le pagine Web.
Per identificare nel gergo simbolico una grande emozione, unita a tecnica sopraffi-
na, si usano le espressioni “very cool” o “very nice”: ci si sofferma sull’essenziale, non
servono tante parole. “Io sono ciò che vedi”, può sembrare un paradosso, ma oggi i
webdesigners non amano le definizioni, le etichette, la catalogazione: ognuno si
sente libero di esprimere i propri concetti attraverso questo monitor che li proietta
verso spazi indefiniti.
Mi sono accorto però che mancava un riferimento sulla rete dove esprimere ed espri-
mersi dando sfoggio alle proprie creazioni o anche ai lavori lasciati in sospeso sul
proprio hard disk.
L’idea di lanciare WDE è scaturita dopo la pubblicazione di Niko Stumpo Forever
Laboratories (www.lanfreeblogger.org/stumpo/stumpo.html), ero sempre più con-
vinto che la professione di Web designer fosse molto dura e piena di sacrifici e che
l’appagamento fosse irrisorio rispetto l’impegno profuso sul campo: ho voluto crea-
re una sorta di contenitore di prove mai messe online dove la creatività si sprigionas-
se alla ricerca di una cover o di un flash animation per un’azienda o, semplicemente,
per il proprio sito Internet. Così da conferire all’utente un plauso, e al tempo stesso in
modo da creare un luogo che fosse fonte di ispirazione, bacino dal quale attingere
idee e spunti.
Come vedete (nella pagina a fianco), inizialmente mi sono affidato ad una mia per-
sonale realizzazione, forse non all’altezza graficamente, ma efficace nel contenuto. I
ragazzi hanno visto con entusiasmo crescente il desiderio di spedire le loro opere più
disparate. Nella parte superiore veniva spiegato in italiano, e sotto in inglese, il
“topic contest” del sito:
// un contenitore dove raccogliere gli esperimenti di voi WD mai messi online. Da ades-
so in poi non dovete più imprecare: “non lo trovo più” o “l’ ho cancellato dall’Hard
Disk” perché c’é Lanfree che raccoglie e mantiene per il bene dell’umanità... (lavori di
grafica, movie e tutto ciò che fate anche così per fare). Vi chiederete ha un senso que-
sto progetto ? È aperto a tutti, dico tutti, italiani e non... qualcuno di voi ha già can-
22
21. tato e con mia sorpresa sto già inseren-
do... il lavoro del WD è un lavoro duro
fatto di enormi sacrifici e di notti inson-
ni, di prove e di bozze più o meno com-
plicate, ma pur sempre frutto della fan-
tasia e ingegno del vostro cervello,
crearne un contenitore mi stimola parec-
chio.... per capirne i vostri talenti, per
assaporare il nocciolo delle vostre crea-
zioni, curiosando qua e là... Dio benedi-
ca la vostra testa e il vostro indice…
In attesa dello sviluppo del progetto
non esitate a spedire tutto ciò che avete
nel cassetto, e che per vostre ragioni
non è mai stato pubblicato, a:
info@lanfree.it
Da subito l’interesse dei webdesigners si
è orientato qui: il fatto che in Italia
mancasse un riferimento dove tutti
Lanfree layout
Phoenixart layout (Piero Desopo)
potessero lasciare traccia delle loro
creazioni era fin troppo evidente. Il
panorama del Web design italiano era
contraddistinto da moltissimi siti che
promuovevano in modo autarchico
alcuni personalissimi designers senza
considerare i tanti che si affacciavano
su questo mondo. Ci furono moltissime
polemiche a riguardo, ma l’interesse
suscitato dal sito inserendo, al fianco di
autorevoli funamboli della grafica, dei
perfetti sconosciuti, ha aperto in modo
meno discriminante le porte ai giovani
webmaster freelancer che cercavano
una vetrina dove collocare le loro crea-
zioni. Giovani talenti più o meno bravi,
ma tutti ricchi di spunti creativi.
Fu allora che Piero Desopo, artista tra i
più conosciuti e tecnicamente bravissi-
mo, si propose nella creazione di un
layout graficamente perfetto, ordinato
e preciso. Ci mise un po’ di tempo, ma
alla fine scaturiva un sito degno, pron-
to alla spinta internazionale e così fu.
Venne linkato nelle più importanti web-
23
22. zine e crew mondiali ed iniziarono ad arrivare contributi da tutto il pianeta al punto
che il numero dei Webdez cresceva in modo esponenziale arrivando in pochi mesi a
contenere circa duecento nominativi. Nel tempo la filosofia di WDE non è affatto cam-
biata ed il riferimento e gli scambi con le altre realtà ci collocano tra le più importanti
comunità nel Web design mondiale. Già il senso di community ha iniziato a caratte-
rizzare la forma reale di questo movimento. Un movimento di giovani ragazzi che
attraverso la passione della grafica, e non solo, ha bisogno di una propria casa dove
discutere, mediare, chiedere e scambiare opinioni, a volte futili, a volte necessarie, a
volte pertinenti e a volte insignificanti. Non eravamo e non siamo soli: Dollydesign,
assieme a Designradar, Digitalultras, Webmaster-Republic, Retina-e, Flasher, Warp 9,
Net-Art, Wainer Valido e alla defunta Design Parade hanno caratterizzato il panora-
ma di questo fenomeno. Migliaia di ragazzi quotidianamente a leggere le pagine di
questi siti dove le news sugli ultimi nati o sulle notizie più accattivanti delineano una
nuova forma culturale nell’apprendere, nel capire e nello scegliere all’interno del
mondo della rete. La scelta nelle scelte! In tempo reale, istantanea: condividere le
stesse emozioni, intervistarsi a vicenda colloquiando su ICQ, fa crescere l’interesse
intorno a questo mondo incatalogabile e di difficile comprensione. Con questo libro
abbiamo cercato di valorizzarne alcuni aspetti essenziali per rendere visibile tale
realtà. Per delineare le caratteristiche di queste webzine abbiamo chiesto agli stessi
protagonisti un loro commento.
DOLLYDESIGN
DOLLYDESIGN
www.dollydesign.com
di Antonio Moro
DollyDesign nasce da un’idea di Antonio Moro ed Enrico Maioli. Il concetto alla base
è semplice ed efficace: unire i migliori professionisti del web in Italia e raccogliere,
intorno a questi, un movimento nazionale per promuovere la cultura del Web design
su Internet.
Tra i servizi offerti dalla comunità un ruolo importantissimo lo rivestono le mailing list,
tra le più seguite e competenti in Italia. Le discussioni affrontano temi specifici, sono
interamente in italiano e seguono gli aspetti più importanti della creatività in rete
offrendo uno spazio di confronto tra i designers. Inoltre ogni giorno DollyDesign offre
le “Dolly-News”, novità e curiosità interessanti dal mondo della rete e del design.
Ogni anno viene organizzato PixelDNA, il primo, e per ora unico, incontro nazionale
dei migliori webdesigners italiani che si riuniscono per discutere con il pubblico e
presentare nuovi progetti. Oltre a queste attività principali ne esistono altre di con-
torno: giochi on-line, risorse da scaricare, hosting di progetti esterni.
DollyDesign attualmente gestisce una serie di servizi ed attività sia on-line che off-
line. Il target di queste iniziative è quasi sempre un pubblico ben identificato di pro-
fessionisti della rete, ma dato l’interesse generale che il connubio fra design ed
Internet sta destando, sempre più “gente comune” partecipa attivamente.
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23. LE MAILING LIST
http://www.dollydesign.com/news/ml
Forse il servizio più famoso gestito da DollyDesign, le mailing list di Dolly sono cana-
li tematici di comunicazione multidirezionale via posta elettronica fra tutti gli iscritti
(oltre 500) che costituiscono un punto di riferimento per moltissimi designers e svi-
luppatori italiani.
Attualmente sono attive 6 diverse mailing list di cui 5 in lingua italiana che spaziano
negli argomenti trattati dal design puro alla programmazione avanzata.
LE DOLLYNEWS
Ogni giorno vengono pubblicate sul sito principale di DollyDesign delle notizie e rife-
rimenti di carattere generale legati al mondo del WebDesign e di Internet. Queste
news costituiscono linfa vitale per la scoperta di nuovi stili, nuovi approcci ad
Internet e alle nuove tecnologie e sono viste come grande fonte di ispirazione dai
tanti lettori che ogni giorno visitano il sito appositamente per leggerle e partire attra-
verso una nuova navigazione. Un comodo motore di ricerca consente poi di naviga-
re le oltre 2000 news presenti in archivio. (http://www.dollydesign.com/news/archi-
ve.asp)
DROPFOLDER
DropFolder è un motore di talent-scouting e talent-showing creato appositamente
dal team interno di DollyDesign. In pratica consiste in una vetrina in cui chiunque,
attraverso un pannello di controllo personalizzato può pubblicare delle gallerie di
propri lavori ed inserire il proprio curriculum vitae nel database centrale. Ogni galle-
ria di lavori presenti in DropFolder può essere votata dai visitatori di DollyDesign che
contribuiscono così a creare classifiche di gradimento sulle opere esposte nel sistema.
DOLLYFORUM
Un ondine-forum completo organizzato in tanti canali tematici che permettono agli
utenti di discutere degli argomenti più disparati. Attivissimo il canale che serve ad
ospitare i commenti alle DollyNews giornaliere.
PIXELDNA
Primo evento “off-line” organizzato da DollyDesign, PixelDNA costituisce il primo e
per ora unico incontro italiano dedicato unicamente ai webdesigners.
PixelDNA riunisce in una sola conferenza tutti i migliori webdesigners italiani e gli da
la possibilità di parlare dei propri lavori e confrontarsi fra loro e con il pubblico pre-
sente in sala.
ALTRE ATTIVITA’
Attraverso il proprio sito internet DollyDesign promuove poi tutta una serie di altri
servizi per la promozione del webdesign e della “coscienza di rete” in Italia.
Si spazia da archivi di materiale utile per lo sviluppo ed il lavoro quotidiano, a servi-
zi più particolari come piccoli concorsi a tema, sia grafici che autoriali per stimolare
la creatività incentivando la competizione ed il confronto. Non mancano poi le lotte
e le proteste promosse dalla comunità, come “Stampa Clandestina”, seguitissima
protesta lanciata nel 2001 contro la nuove legge sull’editoria (http://www.dollydesi-
gn.com/sc/)
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24. DOLLYDESIGN
DollyDesign è una pietra miliare della storia del Web design in Italia, costituendo la
prima grande comunità on-line italiana dedicata all’argomento. DollyDesign ha negli
anno costituito un punto di riferimento per migliaia di designers italiani che, trovan-
do un luogo comune in cui scambiarsi idee, opinioni, tecniche, sono riusciti a cresce-
re professionalmente promuovendo allo stesso tempo il Web design italiano nel
mondo.
DollyDesign è un po’ la mamma di tutte le comunità italiane dedicate espressamente
al Web design e costituisce ancora oggi un grande faro per chi si avventura nel
mondo del Web design in Italia.
DESIGNRADAR
www.designradar.it
D(R team
Ci fa sorridere parlare di noi.
Ormai siamo talmente abituati a parlare di altri e far parlare altri che ci ritroviamo
spaesati difronte alla domanda cos’è D(R.
Questa è dunque una buona occasione per fermarci è fare il punto della situazione.
Designradar è una comunità aperta ed in continua evoluzione composta da profes-
sionisti del webdez, freelance, musicisti, muratori, calzolai e quant’altro, con in
comune la passione per il Web design e l’arte in genere. D(R ha come obbiettivo
comune la crescita della comunità stessa e dei suoi partecipanti. La manifestazione di
questa comunità sono i contenuti e tutte le iniziative del sito designradar.it.
La nascita di Designradar è da attibuire a qualcuno, il cui nome non ricordiamo più
(ma tutti chiamano “papà”), in modo poco chiaro e abbastanza improvvisato. Unico
punto certo sin dall’inizio era la voglia di confrontarsi, costruire insieme, condivide-
re idee, opinioni, tecniche e far crescere ed evolvere una comunità e le persone che
nel tempo si sarebbero aggregate con questi intenti.
Piano piano la redazione di D(R si è allargata coinvolgendo più persone sparse per
l’Italia, la cui presenza ha contribuito a dare delle precise direzioni e criteri ai conte-
nuti di volta in volta pubblicati.
Così eccoci qua, onorati di avere uno spazio su un libro edito da chi è anni che inse-
gue la comunità dei webdesigner italiani e ha partecipato alla sua storia.
Essendo praticamente D(R l’ultimo arrivato, ci fa molto piacere aver avuto la consi-
derazione sia di WDE, sia di altri importanti punti di riferimento italiani, ma altret-
tanto piacere ci ha fatto ricevere complimenti, proposte e l’adesione anche da per-
fetti sconosciuti, grafici e designers in erba, o semplici interessati al mondo del web-
dez. Questo perché D(R esiste anche per loro e grazie a loro, su di essi bisogna pun-
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25. tare, questi dobbiamo sostenere, per dare un futuro alla creatività online, sono loro i
futuri talenti italiani.
È dunque spontaneo tentare di esaltare la creatività e lo stile personale piuttosto che
l’imitazione di modelli già visti, invitare a intraprendere questa direzione a chi si
affaccia a questa professione piuttosto che piegarsi a standard e regole di mercato.
Altrettanto spontanea è la voglia di intervistare e conoscere chi si occupa di Web
design sia direttamente che indirettamente, sia a parole che attraverso l’uso di imma-
gini. Per conoscere, per capire, per far circolare idee e opinioni per mostrare in quan-
ti e quali modi il Web design si può manifestare, si può realizzare.
Tutto qui, nulla di più nulla di meno.
Chi vuole partecipare a questo progetto “open source in open mind” è il benvenuto,
è sufficiente avere voglia, idee e un po’ di tempo libero. Non esiste una distinzione
netta tra redazione e partecipanti occasionali, l’unico confine è la disponibilità di
tempo che si ha, il progetto è senza scopo di lucro, quindi è tutto nelle mani dei par-
tecipanti e da essi dipende anche il suo futuro.
Quindi... partecipate numerosi :)
DIGITALULTRAS
www.digitalultras.com
di Manuel Perfetto
Digitalultras nasce nell’estate del 2001, durante i giorni di Genova. Dopo la morte di
Carlo Giuliani mi sembrava necessario esprimere dissenso. Sono partito così, poi il
progetto ha preso forma. Veniva più o meno fuori naturalmente dal mio background,
dalla mia vita e dal modo che ho di vedere le cose. Sarebbe meglio essere tutti un po’
più ultras e un po’ meno digitali. Ci sono cose di cui parlare più importanti dei pixel
e più interessanti dei tutorial di flash: quello che ami, quello che ti fa incazzare, quel-
lo per cui lotti e quello in cui credi tutti i giorni. Digitalultras si era quindi posto l’in-
tento di differenziare in modo chiaro il rapporto tra produzioni di design indipen-
dente e produzioni a scopo di business, non pubblicizzando siti commerciali
Chi è entrato in Digitalultras sa che rispetto chi fa le cose sue e le vende anche, ma
non amo chi fa lo schiavo. Sono un ragazzo di periferia, cresciuto in periferia, e mi
piace vedere la gente che si alza dalla sedia e lotta per qualcosa. Il puro esercizio di
stile, perfetto che sia, non lascia segni indelebili. Se hai fatto il sito di Tiscali buon per
te, ma a me manda cose tue. Non è detto che debba essere politica anzi, parla del tuo
quartiere, della tua ragazza, come del telegiornale che ti fa credere che morirai asfis-
siato o di MTV che ti asfissia già da anni. Cazzo, qualcosa da dire uno lo ha sempre.
L’attrazione dei designer nei confronti di lavori fatti per questi multi-clienti-nazio-
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26. nali mi sembra priva di senso. Leggere l’apologia di MTV sui network che tutti cono-
sciamo, come se MTV fosse il massimo dei supporter del design, mi lascia credere che
molti non sappiano che MTV se ne sbatte di fare prodotti validi, ma basa il suo impe-
ro sullo sfruttamento dei fenomeni underground. Un famoso pubblicitario ha detto:
“le persone felici non consumano.” Le persone felici consumano ridendo, gli infelici
consumano guardando ridere gli altri. Chi di consumo e consumismo ha fatto la pro-
pria bandiera, ride dell’ ignobile spettacolo degli infelici esibiti al servizio del mer-
cato. Il famoso pubblicitario sa bene che ogni sua frase di pretestuosa e presuntuosa
cultura, non serve ad altro che a moltiplicare consumatori dalla coscienza pulita. Così
compreremo con lo spirito allegerito, felici di essere depressi per l’infelicità che il
nostro consumismo crea. E sceglieremo con attenzione di comprare quelle magliette
piuttosto che altre, perchè non compreremo magliette ma la nostra superficiale feli-
cità. Ha ragione il famoso pubblicitario, le persone felici non consumano ma escono
dalle porte dei suoi negozi con borse piene di ipocrisia, di marca.
Poi c’è l’arte. L’arte non può prescindere dalla comunicazione. Un famoso scrittore ha
detto: “È un artista colui che, elaborando le proprie impressioni soggettive, sa sco-
prirvi un significato oggettivo generale ed esprimerle in una forma convincente.” La
comunicazione visiva può invece fare a meno dell’arte, avendo il comunicatore uni-
camente il compito di esprimere concetti in forma convincente e struttura funziona-
le. Il webdesigner, in quanto designer, non fa arte ma progetta prodotti. Questo non
nega la possibilità che alcuni webdesigner abbiano sensibilità artistica e quindi le
capacità per creare opere d’arte, ma in quanto artisti e non designer. Chi crea arte
non ha regole da seguire se non quelle della propria coscienza. Artista e designer
devono essere portatori di innovazione concettuale e formale, capaci di indipenden-
za da regole imposte e predefinite. Il designer deve rispondere a requisiti di funzio-
nalità dei suoi progetti. È poi necessario essere riconoscibili per le proprie innovazio-
ni. Metabolizzare il proprio background e comunicarlo rendendolo immagine. La
banalità ci circonda quotidianamente. Stiamo esaltando l’assenza di individualità e
di libero arbitrio. Il desiderio spasmodico di sentirci parte di un unico pensiero, inu-
tile, ma rassicurante. Viviamo in una costante anestesia sociale. Morfina mass-
mediatica e visita guidata in set di cartone riciclato. Liberi schiavi di famosi cartello-
ni libero infostrada sulle nostre strade. Il mainstream, la grande truffa della demo-
crazia. Votare il grande Stream o il grande Telepiù. Il grande occhio non ha più biso-
gno di guardarci. Può star tranquillo. Siamo noi a fissarlo con disinibita ammirazio-
ne. “Il grande boh” ha detto un ridicolo ed incapace cantante mainstream, così tanti
ragazzi “boh” hanno comprato il suo libro mainstream e cantato ai suoi concerti
mainstream. Avrebbe dovuto farsi fare la copertina dal famoso pubblicitario.
“Produci, consuma, crepa” davanti al Dio Televisione mainstream, buona domenica,
posta per te, fatti vostri, total request live e vita in diretta. La spazzatura ha sempre
un posto in prima fila. Celentano Pagliaccio Mainstream in prima serata. Ghezzi,
unico lampo di genio, relegato in innocui fuori orario senza spot pubblicitari. Ma ho
cassette piene di Ghezzi sui miei scaffali.
Sogno di unire menti valide ed indipendenti. Costruire realtà autosufficienti ed auto-
prodotte all’interno del design.
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27. WEBMASTER REPUBLIC
www.webmaster-republic.it
di Stefano Marini
Webmaster Republic è un progetto editoriale indipendente, nato dalle ceneri della
fanzine di grafica “Dpi Brain Wanted”, e partorito dalle fertili menti di Stefano Marini
e Romina Raffaelli alias Eve. WR è una e-zine gratuita che parla di creatività non solo
legata al Web design ma anche alla grafica tradizionale e all’advertising, ed è rivol-
to a tutti coloro che lavorano o desiderano lavorare nell’ambito creativo: offre spun-
ti di riflessione, approfondimenti, links utili, interviste ai creativi italiani più affer-
mati, ed organizza una serie di contest durante l’anno per stimolare la fantasia dei
suoi utenti.
Webmaster Republic è’ fautore ed organizzatore anche del Flash Design Awards, il
premio internazionale dedicato alla creatività dei siti realizzati in flash: l’edizione del
2002 ha avuto una giuria d’eccezione, presieduta niente di meno che da David
Carson, che coordinava 14 membri della giuria scelti tra i migliori professionisti del
Web design internazionale. La giuria ha avuto il compito di valutare oltre 600 siti
iscritti e di scegliere il migliore in assoluto, conferendo il prestigioso Grand Prix.
Il successo di Webmaster Republic, che conta oggi oltre mille visitatori unici al gior-
no, con circa 450.000 page wiev al mese, è dovuto probabilmente alla formula di
fruizione del sito: dall’homepage i navigatori possono accedere ad una serie di infor-
mazioni regolarmente aggiornate (news, concorsi, articoli, corsi) affiancate ad una
serie di “tools” utili per il lavoro di tutti i giorni, come la rubrica che raccoglie cro-
maticamente alcuni dei migliori siti Web. Un pratico motore di ricerca interno ed un
menu a tendina consentono ai visitatori di esplorare le oltre 500 pagine di archivio di
Webmaster Republic, un patrimonio a fruizione gratuita che si incrementa giorno
dopo giorno e comprende argomenti estremamente importanti per tutti i creativi: Job
Directory (archivio di studi e agenzie in Italia e all’estero), Free Fonts (le migliori fonts
gratuite da scaricare per pc e mac), Creative Gallery (fotografi, illustratori e designers
internazionali) e molto altro.
STEFANO MARINI
Art Director, ha lavorato nelle maggiori agenzie di pubblicità internazionali prima di
fondare insieme ad Eve l’agenzia Winkler & Noah, dove produce idee per Maserati,
Stream, Nazareno Gabrielli, Onyx , Fagan Reggio del Bravo e Lowe Lintas.
EVE
Art Director dalla personalità poliedrica, oltre ad occuparsi di design e Web design,
si dedica all’illustrazione e alla fotografia con la stessa incontrollabile passione, lavo-
rando tra l’Italia e gli Usa.
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28. RETINA-E
www.retina-e.com
Di Andrea Toniolo
Vi racconto un pezzo del passato tra Italia e estero… tra persone e community, dal
1997 al 2001.
Questa storia iniziò tra il 1997 e il 1998 per poi concludersi nel 2000 quando ancora il
Web non era nella sua piena crisi (che sfociò successivamente nel 2001 e ancora deci-
samente non risolta nel 2002).
Nel 1998, anno in cui ho conosciuto Antonio Moro a Smau, nella realtà italiana c’era-
no 2 nomi importanti Mirco Pasqualini e Niko Stumpo; il secondo ancor più inserito
nelle community internazionali ( in realtà altri nomi erano venuti prima di questo; ad
esempio il gruppo di Ekidna).
In Italia l’unica community per webdesigners era DollyDesign (unanimemente consi-
derata la prima community italiana di webdesigners).
Contattai allora Antonio e gli proposi l’idea di Retina-e, e il suo gemellaggio con
DollyDesign, tra gli stand di SMAU a Milano; la mia proposta intendeva che Retina-e
facesse da lab esclusivo per DollyDesign e che ci fosse un patto solido tra i due siti.
All’estero era l’anno in cui K10K, BORN Magazine, KIIROI, DesignIsKinky, THREEOH e
Atlas Magazine facevano da spartiacque e soprattutto mantenevano una certa diffe-
renza di stile e di contenuto;
Nel 1998 creai la prima versione di Retina-e decisamente più orientata al magazine
che non al lab. La versione era molto underground e stilisticamente racchiusa tra
colori acidi. Nel gennaio 1999 decisi di creare una crew e un sito più solido, cercando
di guardare più a lungo termine; coinvolsi nella crew nomi come Andre Matarazzo
(BlastRadius) , Kalle Everland, Nikola Tosic e molti altri art-director da tutte le parti
del mondo. Creammo una catena di sperimentazioni e contest in molti casi non pub-
blicati o mai finiti. Fu l’anno della passione, dell’unione e delle sfide.
La prime tre covers furono create da Piero Desopo e poi da Mirco Pasqualini e Valerio
Tedesco tre grandi sostenitori del progetto a cui devo molto.
La versione del 1999 ebbe un successo clamoroso anche nelle community e mailing list
estere… persone come Todd Purgason e altre personalità di rilievo fecero complimenti
alla crew. Mi resi conto allora che avevamo portato l’Italia ad un gradino superiore.
Ricordo che ci fu una sfida interessante tra me e Piero Desopo contro gli Automatic5
brasiliani. Clamorosa. L’estero era decisamente più aperto e allettante che non
l’Italia.
Il nostro bel paese infatti continuava verso la strada della tecnologia fine a se stessa,
molto pochi furono quelli che sostenevano la teoria (diventata poi il primo Pay Off di
Retina-e) “DESIGN IS NOT ABOUT TECH” fortemente contradditoria. In realtà cercava-
mo di orientare l’Italia verso l’interattività, la grafica e non verso la programmazione
e le sfide all’ultimo JavaScript che ci portavano costantemente dietro i nord europei
e gli americani. Purtroppo Internet in Italia era sostenuta principalmente da inge-
gneri.
Mesi dopo arrivarano altri siti come Design Parade di Massimo Nardini a dar man forte
al panorama. C’era energia. Nel 1999 e inizio 2000 ci furono i primi dissidi tra desi-
gners e le prime guerre ecclatanti. C’era fervore nel panorama si stava crescendo c’e-
30
29. rano i soldi eravamo famosi e il mondo pareva ascoltarci. Purtroppo non era esatta-
mente così.
Nel 2000 immerso negli impegni di lavoro tra conferenze, interviste estere e italiane
abbandonai Retina-e lasciando che la crew continuasse l’opera di tenere in vita un
animale che purtroppo aveva già dato tutto quello per cui era stato creato.
Successivamente decisi di chiudere Retina-e e di scogliere la crew. Fu molto doloro-
so. Nel 2001 iniziammo a fare conferenze per l’Italia dal nome PIXELDNA ; la prima la
tenemmo alla triennale di Milano poi a SMAU e l’ultima al FutureFilmFestival di
Bolona. Dopo l’esperienza Ootworld entrai nel servizio civile. Guardai per molti mesi
il Web da fuori. Maturai certe idee e teorie. Studiai molto e incontrai Niko Stumpo e
Ubaldo De Feo a Milano. Proposi la mia nuova idea e loro ne furono entusiasti.
Incontrai poi Mauro Gatti , Alessandro D’Andrea di Dollydesign, User e Ubi di CTRL
chiedendo un aiuto per progettare la nuova versione decisamente imponente e com-
plessa.
Ora finalmente siamo nella fase finale… stiamo facendo recruit, stiamo estendendo la
maglia.
Speriamo di concludere presto… preparatevi a qualcosa di veramente nuovo.
FLASHER
www.flasher.it - Per la grafica web in movimento
di Alberto Cecchi
Molti creativi che si sono avvicinati al Web passando per l’HTML hanno vissuto delle
gravi crisi di espressione artistica. Il risultato visualizzato dal “lettore” di una pagina
HTML ha la caratteristica di essere difficilmente controllabile dall’autore della pagina
stessa.
Da un certo punto di vista questa perdita di potere da parte dell’autore potrebbe
sembrare un aspetto positivo agli occhi di coloro che credono che i nuovi media pos-
sano essere uno strumento democratico per l’avvicinamento tra la figura dell’autore
e quella del lettore conseguentemente all’indebolimento “dell’autorità”. In realtà
l’impossibilità da parte dell’autore di controllare la propria opera attraverso l’HTML è
causata principalmente da mere limitazioni tecniche dei mezzi a disposizione dei
creativi (il browser, la risoluzione dello schermo, il numero dei colori…) e non certo
da una volontà di democratizzazione.
Con l’introduzione di Flash nel Web è avvenuta una vera e propria rivoluzione creati-
va. Coloro che avevano perso la speranza di potersi misurare con il Web sul piano
artistico e innovativo hanno visto in Flash lo strumento migliore per comunicare. Così,
mentre molti aspiranti creativi rimanevano imprigionati a lungo nelle gabbie
dell’HTML (producendo dei costosi omogeneizzati dal nome di portali, vortali e siti
istituzionali) altri creativi iniziavano un nuovo percorso di ricerca basato su Flash. In
Italia, come nel resto del mondo, sono nate delle comunità che hanno subito sentito
31
30. il bisogno di confrontarsi e aiutarsi a vicenda per affrontare la nuova emergenza
creativa. La risposta italiana è stata stranamente sincronizzata con il resto del mondo
ed è nato Flasher.it insieme o prima di tanti altri magazine in lingua inglese.
La comunità cresciuta intorno a Flasher.it ha delle caratteristiche peculiari originali
rispetto alle altre comunità creative del Web, infatti Flasher.it mette sullo stesso piano
la “creatività tecnica” e la creatività grafica e visiva. Evitando qualsiasi gerarchizza-
zione delle produzioni, Flasher.it pubblica contenuti tecnicamente o graficamente
innovativi. La somma e la compenetrazione di questi risultati genera degli stimoli
visivi e delle sensazioni interattive che vanno oltre Internet e oltre il linguaggio
audiovisivo dei vecchi mezzi lineari. La nuova tendenza creativa alla base di Flasher.it
sta creando un movimento antagonista per la produzione di applicazioni on-line
alternative al browser e prodotte in Flash. Queste applicazioni liberano definitiva-
mente i creativi dalle “cornici” di Explorer o Netscape permettendo di produrre inter-
facce/contenuti sullo schermo intero. Queste applicazioni creative antibrowser sboc-
ceranno sulle scrivanie degli utenti on-line come dei virus, provocando il salto nella
nuova dimensione di Internet liberi dai portali, dai browser, dagli URL e dalla naming
authorithy.
Lavorano nella redazione di flasher.it: Alberto Cecchi, Massimo Piacentini, Giampiero
Travaglini, Marco Gentili, Cristina Begliomini e Claudia Polli.
WARP 9
www.warp9.it
di Eros Ciaiolo
Aloha,
mi presento (da qualche parte bisogna pur iniziare…): sono Eros Ciaiolo, in rete
“Warp9” e ho l’immeritato onore di gestire, assieme ad una manica di pazzi,
Warp9.it.
Vi chiederete: “autocelebrativo?” - d’altronde uno che crea un sito e lo battezza con
il proprio nick…- ma vi assicuro che non era questa l’intenzione… J
“Ma cos’è Warp9.it ?”
Partiamo dall’inizio: a parte il nome (sono un fanatico di Star Trek :Warp è il termine
che indica la velocità a curvatura, ossia più veloce della luce e ciò mi sembrava adat-
to alla filosofia del sito).
In Warp9.it si parla di Flash (molto), di Web design (meno, ma se ne parla) e si è crea-
ta una comunità per la condivisione di risorse e aiuti.
L’idea di realizzare un sito dedicato a Flash, con risorse on-line, mi è venuta frequen-
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31. tando il newsgroup dedicato ai prodotti Macromedia: se ne sentiva l’esigenza, inol-
tre avevo voglia di fare qualcosa che fosse utile a chi, come me, era rimasto “strega-
to” da Flash.
1+1 e il sito è partito, ma comunque preciso che non è quello ufficiale del NG.
Sono partito nel lontano 1999 (o era ’98 ?) con Geocities per ovvie ragioni: è stata una
scommessa, della serie “vediamo quanta gente arriva”.
Poi, con mia immensa soddisfazione, il contatore delle visite ha cominciato a schiz-
zare verso l’alto e quindi si è deciso di registrare il dominio, una specie di ringrazia-
mento ai visitatori.
E il progetto si è evoluto… si è creata una comunità.
Ma cosa si intende per “comunità”?
Secondo me, è cercare di condividere le conoscenze (gli ammaricani direbbero
“Sharing Resources”), in un ambiente sereno, di amici, senza atteggiamenti di sud-
ditanza da parte dei principianti verso gli esperti (giusto un po’ di sano rispetto), i
quali non devono sentirsi in diritto di prendere a pesci in faccia nessuno (il rispetto è
reciproco).
Insomma, uno dei pilastri sui quali si basa la nostra (vostra) comunità è il famoso
motto: “Nessuno nasce imparato”. Se sei un “guru” devi avere la pazienza di rispon-
dere a domande che possono sembrare ovvie perché, quando eri un newbie, qualcu-
no ha avuto altrettanta pazienza con te.
Tutto funziona grazie a dei professionisti che mi aiutano in maniera totalmente disin-
teressata e volontaria (e questo dimostra quanto siano pazzi…) nel gestire il sito, ma
in maniera particolare quello che reputiamo essere la parte centrale di esso (oltre ai
tutorial, è ovvio…): il forum.
In un sito può esserci qualunque cosa per rendere partecipe l’utente (sondaggi, com-
menti, chat ecc.) ma quello che fa interagire di più le persone è il forum.
Qui si crea l’incantesimo, nell’unico posto dove è possibile effettivamente scambiare
idee e chiedere consigli, ma non solo: trovare collaborazioni, condividere progetti o
crearne di nuovi.
Una breve descrizione delle stanze principali:
Newbie: una stanza dove i principianti si sentono a loro agio
Skilled: qui chi affronta problematiche più complesse relative alla programmazione
avanzata in AS può trovare validissimi appoggi.
MX: nuova versione, nuovi problemi J
Backend: integrazione tra Flash e linguaggi lato server.
Flash Library: raccolta di scripts (AS avanzato) non commentati.
Essendo “sciroccati” i moderatori, non poteva che esserlo anche il forum: esitono
quindi stanze un po’ anomale come la “Vergine di Norimberga”, un check site senza
pietà dove i moderatori possono atomizzare chi si presenta loro (ma attenzione, sem-
pre criticando in maniera positiva); questa stanza è un esperimento, un modo di
vedere le cose un po’ diversamente dal solito “sì bellino, però…”. Una specie di tera-
pia d’urto insomma.
Poi c’è “Bullshit”, la valvola di sfogo del forum dove chiunque può parlare di cose che
sarebbero Off-Topic altrove (chi ha detto che bisogna sempre parlare solo di Flash ?).
Per non dimenticare “Tavola Rotonda”, dove si …
Argh… spazio tiranno… è finita la pagina.
Che posso ancora dire?
http://www.warp9.it, veniteci a trovare… chi c’è, c’è… J
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32. NET-ART
L’esperienza di .netArt, la rivista italiana di webdesign.
di Frederic Argazzi
Netart nasce per caso, come tanti progetti, dall’incontro di due menti affini.
Antonio Cavedoni, che oggi è diventato uno dei nomi caldi del Web design italiano,
smanettava a tempo perso presso un ISP di Sassuolo (MO) e faceva siti Web per alcu-
ne associazioni di volontariato che erano in qualche modo collegate al Comune di
Modena.
Io avevo da poco finito di fare il mio primo sito Web di una qualche importanza,
Stradanove.net, e collaboravo con la redazione tenendo una rubrica dedicata alle
nuove tecnologie. Stradanove era una rivista on-line, oggi si direbbe un portale,
finanziata dalla Regione Emilia-Romagna e realizzata dal Comune di Modena. Correva
l’anno del Signore 1999: Guerre Stellari era ancora una trilogia e il Millennium Bug
sembrava la più grande minaccia che il mondo libero avrebbe dovuto affrontare.
Per farla breve: sia io che Antonio eravamo adepti di alcuni webdesigner americani
che cercavano di diffondere una certa cultura del Web design razionale. David Siegel
e il team Hotwired/Webmonkey erano i miei modelli, Jeffrey Zeldman, con A List
Apart, e Dmitry Kirsanov quelli di Antonio. Volevamo un sito italiano che rompesse
con il culto della intro in Flash fine a sé stessa e cercasse di diffondere questo modo
di pensare e di lavorare nella nascente comunità dei nostri colleghi. Nessuno aveva
ancora avuto questa idea e così abbiamo deciso di provarci, gratis e senza sapere
bene dove stessimo andando.
Questo spirito do-it-yourself, questa voglia di riunire altre persone intorno a un’idea
del nostro lavoro che ci sembrava così semplice e condivisibile è rimasta fino a oggi
in tutti i progetti che Antonio e io affrontiamo, sul lavoro e not-for-profit.
Forse la cosa che ci distingue dagli altri è che per noi il Web design è sempre stato
qualcosa di maledettamente serio, mai un hobby.
Abbiamo aperto Netart come sezione di Stradanove. Il primo numero è uscito a
novembre del ’99. Dieci giorni dopo il bellissimo Retina-e di Andrea Toniolo, che ci ha
soffiato sul filo di lana la possibilità di definirci Il primo magazine italiano di Web
design.
La formula era abbastanza semplice: in ogni numero volevamo intervistare un web-
designer internazionale e premiare un sito italiano meritevole, oltre a scrivere
approfondimenti sulle tecnologie della rete a al modo corretto di usarle. Inizialmente
volevamo uscire con tutti gli articoli tradotti in inglese, ma questa idea è stata accan-
tonata quasi subito in favore di un riassunto.
Nel primo numero abbiamo intervistato Dmitry Kirsanov e premiato Mirco Pasqualini.
Poi sono venuti Peter NRG, Wainer Valido, ecc.
Un’altra idea che è rimasta in diversi numeri è stata quella di inserire un tutorial di
Flash (Flash 3 all’inizio, poi il 4 e, negli ultimi numeri, il 5). Abbiamo chiamato que-
sta rubrica Licence to Flash, dandole un look un po’ alla 007.
Ma la feature più carina della prima incarnazione di Netart rimaneva la mailing list.
Esistevano altre ML nell’ambiente, fra cui quella di Dollydesign, che è diventata giu-
stamente la più nota. Ma la nostra era diversa. La sola moderata con un certo rigore,
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33. il che riduceva al minimo il rapporto segnale/rumore, favorendo uno scambio vera-
mente costruttivo.
A volte Antonio e io risultavamo un po’ duri nelle stroncature di qualche thread che
a nostro giudizio risultava poco pertinente. Questo ha fatto arrabbiare qualche colle-
ga ma, a posterirori, si è rivelata la scelta più giusta.
Abbiamo tutti imparato molto da quei mesi in ML. I ragazzi che lavoravano negli studi
un po’ più grandi ci davano dritte sulla gestione di progetti importanti, tutti mette-
vano in comune le proprie frustrazioni con Netscape, Explorer e i nascenti CSS.
Credo che sia corretto dire che la seconda generazione di webdesigner italiani si sia
fatta le ossa sulla Nartlist. I pionieri e i primi netartisti hanno cominciato formandosi
su materiale americano, ma molti dei ragazzi che adesso fanno bella figura nelle
comunità più cool hanno cominciato chiedendo la differenza fra gif e jpg sulla nostra
lista. Possiamo dire di essere davvero old-school :)
Dopo qualche numero è diventato chiaro che non saremmo riusciti a portare avanti il
progetto da soli. Abbiamo chiesto una mano ai membri più attivi della lista e abbia-
mo cooptato in redazione Adriano Fragano. E poi tanti amici ci hanno aiutato con
articoli molto interessanti e altre collaborazioni dietro le quinte. Spero di non dimen-
ticare nessuno: Massimo Cardini, Fabrizio De Gennaro della redazione di Stradanove,
Elisabetta Ognibene, Leonardo Piras, Roberto Marzialetti, Ketty Pelati, Giovanni Jjam
Montemurro.
Andando avanti la mole di lavoro per seguire il progetto con un certo criterio cresce-
va, e Antonio e io eravamo sempre più impegnati nella professione.
Dopo una prima chiusura, la separazione da Stradanove, lo spostamento della rivista
su un nuovo server (www.netartmagazine.com) e una nuova veste grafica siamo riu-
sciti a pubblicare Netart per pochi mesi.
Netart ha chiuso, a tempo indeterminato, nel febbraio 2001.
È stata un’esperienza emozionante, che ci ha permesso di conoscere colleghi che
ammiravamo in Italia e oltreoceano.
In segreto Antonio e io stiamo lavorando a una nuovissima versione di Netart, che
speriamo veda la luce prima di Natale 2002. We’ll be back!
WAINER VALIDO
www.wainer.com
Wainer Valido nasce il 9/9/999 in quel di Modena.
È l’espressione, principalmente, di due persone: Wainer (Marcello Gadda) e Valido
(Matteo Zuffolini) che trovano nel “Magnate” un appoggio logistico e morale che gli
permette di avere i servizi Internet gratuiti e la spinta necessaria per partire.
Wainer Valido perché Wainer è un classico nome popolare delle nostre parti, Valido
35
34. perché se dovessimo elogiare con una sola parola ciò che facciamo diremmo: Valido!
Nasce dalla voglia di liberare e stampare sul Web per sempre le nostre voglie più
malate, le nostre passioni e ciò che convenzionalmente non facciamo ma vorremmo
fare.
Le caratteristiche principali e gli obiettivi sono:
1 - Soprattutto umorismo: la voglia più grande è quella di ridere e far ridere, cercan-
do nell’allegria la linfa vitale.
2 - No umorismo “cazzo figa”: mantenere una certa distanza dall’umorismo volgare.
3 - Ricerca dello “sgurz”: ricerca dell’originalità, della “chicca”.
4 - Popolare, molto popolare: cercare di esseri un buon sito per “l’uomo qualunque”,
senza credersi dei geni, con un linguaggio sempre popolare, visitare
www.wainer.com come andare al “bar sport”.
5 - Grafica ricercata: ogni contenitore una grafica diversa fatta ad hoc, originalità’
senza perdere di vista il fatto di essere popolari.
6 - Sito “aperto”: fin da subito, anche altre menti creano per Wainer Valido, poeti,
fumettisti, pensatori, fotografi, scrittori, artisti “della domenica” in genere.
7 - Divertimento per chi crea il sito: sia nella grafica che nei contenuti il sito esprime
le voglie represse degli autori e dei collaboratori.
Wainer Valido è uno 007 dell’umorismo. Alla mattina segue delle brave persone
(almeno apparentemente) e se le fa’ amiche, discute con loro e ne valuta la “validi-
ta’”, dopo di che alla notte le stimola nelle classiche discussioni “da bar”. Ruba tutte
queste discussioni, a volte non sazio, entra furtivamente nelle case dei “validi” e ruba
dai cassetti dei loro comodini i progetti più segreti e poi pubblica tutto in rete.
Wainer Valido si firma come zorro con la tripla VVV e ha seguaci che tra loro si salu-
tano con la tripla VVV (mano aperta con pollice chiuso).
DESIGN PARADE
di Massimo Nardini.
Designparade (parade inteso più come ‘sfilata’ che come classifica) nacque all’inizio
dell’estate 2000.
Avevo appena iniziato a navigare in Internet ed essendo abbastanza interessato alla
grafica ero stato attratto dal sito dollydesign.com. Mi ero unito alla mailing list WD-
ITA e dopo poco avevo scoperto, con mia gran contentezza, di aver trovato una risor-
sa e un gruppo di persone (allora ancora piuttosto ridotto) con il quale condividevo
una passione. Ne ero talmente entusiasta che dopo una notte di ripensamenti decisi,
molto spontaneamente, di offrire un dono a tali persone. Non per ingraziarmi qual-
36
35. cuno, né per fare sfoggio delle mie capacità, ma semplicemente perché amavo tutto
quello che girava intorno al design, al Web e alla grafica, e perché l’idea mi piaceva.
Visto che in Italia non esisteva nulla di simile, non persi tempo. Disegnai il logo, la
grafica generale e mi comprai il dominio.
L’idea era quella di fare un “coolhomepages.com” ma solamente per il Web design
italiano: screenshot rimpiccioliti delle homepage dei siti che mi piacevano di più,
suddivisi per categoria: Flash, commerciali, personali eccetera. Ricordo persino che
per rafforzare l’idea di italianità, nel layout del sito ero indeciso se mettere o meno in
bella vista lo scudo sabaudo, quello dei Savoia per intenderci. Tuttavia il circolo
monarchico locale mi persuase a desistere.
Iniziai a sperimentare dal vivo, pubblicando anche gli errori: form che non funziona-
vano, pagine in php che si inceppavano, gif che esplodevano al solo muoversi del
monitor. Pian piano però riuscii a costruire una struttura abbastanza stabile, corre-
data anche delle immancabili news.
Dopo un inizio in sordina, con pochi accessi, il pubblico iniziò ad aumentare. Dedicai
uno spazio al forum, uno ai deskshot (fotografie dello spazio di lavoro di ogni desi-
gner, con il contributo del generoso Valsecchi), un contest sulle copertine di libri.
Aumentava il consenso. Arrivavano lettere di stima, di considerazione da parte di
designer che apprezzavo, e questo era molto piacevole. Ma mi stavo iniziando ad
accorgere due fenomeni collaterali:
1. Avevo mio malgrado, senza ricercarla, acquisito una forte responsabilità e autore-
volezza. Inserire siti nella parade significava rifiutarne altri. E questo non piaceva a
tutti, soprattutto le vittime.
2. il fatto che arrivassero anche e-mail di sfogo e di minaccia aveva fatto diventare il
gioco più serio di una tragedia greca. Vedevo che non importa quali fossero le inten-
zioni, avere a che fare con decine di menti diverse, ognuna con la sua interpretazio-
ne, era un lavoro duro, a tough job. Se non inserivo un sito, mi arrivava una mail
furiosa del candidato bocciato. Se lo inserivo, ne arrivavano altre minacciose, di per-
sone che si preoccupavano della qualità del portale.
Stavo iniziando a stancarmi, e avevo ripreso a bere e ad andare a baldracche. Avevo
raggiunto i 15 minuti di celebrità che più o meno inconsciamente ricercavo, e stare
dietro allo pseudo-portale era diventato un impegno troppo gravoso.
Un paio di errori con membri della lista WD-ITA (mailing list di Dolly Design) crearo-
no incidenti di incomprensione a catena. Qualcuno era contento del mio lavoro, qual-
cun altro affatto. Colsi l’occasione al volo e nel dicembre del 2000 chiusi baracca, e
mi trasferii a Palm Beach.
***
Attorno a queste community è nato un fenomeno di costume molto interessante,
attraverso l’utilizzo di una specifica risorsa della rete che ha permesso a milioni di
utenti di comunicare reciprocamente affidandosi ad Internet per raccontare le loro
esperienze quotidiane.
37
36. L’avanguardia dei blog
Di Luca Di Ciaccio
Come il Web design, come tutto ciò che sguazza nella Rete, nascendo, morendo e
ricomparendo, anche i blog nascono come avanguardia. Fino a espandersi, evolver-
si, acquistare nuovi utenti, nuovi usi e nuovi significati. Una ricerca incessante.
Blog come abbreviativo di weblog: letteralmente, un sito (Web) che tiene appunti,
diari (Log); praticamente un sistema che, attraverso l’iscrizione gratuita ad appositi
siti, permette la pubblicazione istantanea di testi su una pagina Internet.
Involontariamente l’assonanza del termine è con “blob”: massa liquida, imprendibi-
le, espansa che fuoriesce dallo schermo del pc fin nella nostra vita; e, televisivamen-
te, collage, miscuglio di immagini, accostamento stridente di parole e visioni.
Tentare una storiografia esatta del fenomeno blog non è facile. Ma è un modo inte-
ressante per cogliere le tendenze del medium Internet, e soprattutto di coloro che ci
stanno dietro.
Naturalmente è impossibile individuare, una data certa, un unico autore o un sito
definito da cui tutto nacque. In ogni caso, i primi weblog compaiono negli Stati Uniti
alla fine degli anni 90 prima per usi e sperimentazioni personali, e subito dopo con
la diffusione gratuita agli utenti. Alla fine del ‘99 il giovane californiano Evan
Williams crea Blogger.com, tuttora il decano e il più diffuso tra i software weblog:
oggi gli iscritti sono oltre ottantamila, ed è nata una versione per uso professionale a
pagamento.
In Italia i primi blog arrivano nell’estate del 2000 attraverso un’avanguardia di web-
designers modenesi, tra cui Antonio Cavedoni e Frederic Argazzi.
Il blog nasce e cresce nel nostro paese come espansione del Web design, scambio di
idee e contenuti. Era l’epoca pionieristica e un po’ illusoria di Internet, la webculture
si ampliava in sordina, come una corrente sotterranea ma promettente.
Blogorroico di Cavedoni offre uno schema per creare e personalizzare il proprio sito-
blog, e tuttora non smette mai di sperimentare nuove soluzioni tecniche. Nuovi
software, nuovi codici, per aggiungere link, immagini, titoli, font, commenti ecc. Tra
link e passaparola, i blog cominciano a diffondersi, ma restano un fenomeno elitario,
di WD e lavoratori della rete, tecnici e autoreferenziali.
Nel 2001 si avvia la metamorfosi dei blog. Il Corriere della Sera dedica un articolo a
“L’invasione dei blog”, e ruba a Cavedoni il neologismo “blogorroico”. È l’inizio di un
anno pieno di eventi, cambiamenti storici e discussioni animate, dalle elezioni ai
giorni di Genova all’undici settembre, ognuno si sente chiamato a intervenire e dire
la sua opinione. Arrivano nuovi bloggatori, e il target diventa sempre più imprendi-
bile: studenti, musicisti, v.j di MTV, giornalisti, aspiranti scrittori, associazioni.
Cambia lo stile, si ampliano i contenuti.
La prima generazione di blog, quella dell’avanguardia WD, preferisce periodi brevi,
spunti e segnalazioni rapide ad altri siti o notizie, poche battute per racchiudere una
serata o una giornata di lavoro. Internet, frammenti di vita privata, commenti brevi
caratterizzano i veterani Cavedoni o Max Boschini.
La seconda generazione di bloggatori è più eterogenea e più verbosa. Pezzi più lun-
ghi, talvolta veri e propri articoli o racconti. Negli argomenti entra la politica, il rac-
conto di sé passa dal gossip all’esistenzialista. Il link non diventa più elemento cen-
trale di ogni post, ma aumenta la riflessione, la profondità. Blog opinionisti. Con
Leonardo, Pizia, Rillo, Broono e molti altri la verità dei blog diventa romanzata.
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37. Nel frattempo, c’è chi tenta strade diverse. Come il blog grafico. Le parole cedono il
posto alle immagini, ma l’esito rimane incerto.
Oppure il blog collettivo. Per sfruttare l’effetto-gruppo che si crea tra bloggatori,
incanalare le frequenti discussioni, allusioni o botta e risposta. Forum o discussione o
assemblaggio. Ma il rischio è sempre quello di arenarsi: forse per l’eterogeneità o l’e-
gocentrismo o la pigrizia dei bloggatori nostrani. Esempi: Verbamanent, News from
Dan, blogo.net, o il Wash It On Post strutturato come un giornale con spazi e colonne
per ciascun bloggatore partecipante.
Anche il giornalismo vero e proprio si accorge delle potenzialità di blogger: aumen-
tano articoli su quotidiani, settimanali e webzine, ma soprattutto sono i giornalisti a
farsi bloggatori, sull’esempio del clamoroso successo dell’americano Sullivan.
Claudio Sabelli Fioretti, del Corriere della sera, e Pino Scaccia, inviato del Tg1 usano il
blog per mantenere un costante dialogo con i loro lettori o spettatori.
Oppure il blog diventa uno spazio per scrivere, per raccontare, per sfogare velleità
artistiche. Blog narrativi, in cui entra lo stile dello scrittore. Esempi: Uomonero,
Ezekiel, Quaero.
C’è spazio per tutti. Dall’intimista al bollettino informativo, dalla politica al business.
Ognuno col suo stile, le sue idee, il suo carattere.
Blog come prolungamento, integrazione di altri mezzi. La stampa (i commenti dei let-
tori di Sabelli), la radio (Polaroid), i libri magari mai pubblicati (i blog-scrittori), la
televisione (l’esperimento del vj di MTV Coppola e del suo programma Brand:new in
versione blog), le associazioni (dagli amici del prosecco ai Ds di Modena, anche loro
fanno uso di blog).
Una novità di linguaggio: incrocio tra diario, giornalismo e community.
Una ventata di idee e progetti, che nascono e rimbalzano da una pagina all’altra, tra
il coro dei post e il chiacchiericcio dei commenti. Una boccata d’ossigeno nelle bana-
lità della rete e nel logoramento dell’informazione sotto editore unico.
È l’applicazione perfetta della nuova comunicazione: ognuno si crea il proprio cana-
le, non più solo per ricevere ma anche per diffondere informazioni, di ogni tipo.
Finché non arriveranno leggi restrittive e corporative a impedirlo, come nel caso della
discussa legge sull’editoria 62/2002.
Un rovesciamento mediatico. Il circolo virtuoso dello scrivere, leggere ed essere letti.
Che spesso sfocia in rapporti personali, incontri e raduni “live”. I bloggatori italiani,
o almeno parte di essi, recuperano quello spirito di gruppo, di circolo di amici con
cui questo fenomeno è giunto tra noi. La colonna dei link diventa una mappa di per-
sonalità. Senza un centro, un inizio o un arrivo.
Un sistema blog policentrico, dislocato. Una ragnatela parallela e sotterranea, fuori
dal giro di siti commerciali, portali onnicomprensivi, buchetti voyeuristici o di chias-
sose e inutili pagine personali.
Sono nati, e crescono senza sosta, siti che tentano di mantenere un elenco dei blog e
di orientarsi nel fenomeno, come blog.it o bloggando (che è arrivato a conteggiare
oltre 300 blog italiani).
Il blog come auto-rappresentazione. La grafica entra al servizio del contenuto, e tal-
volta si fa essa stessa contenuto. Chiunque apra un blog, non solo WD professionisti
o smanettoni informatici, ma anche profani e digiuni dei linguaggi del Web, si ritro-
va ad applicarsi sulla grafica. Anche utilizzando i template preconfezionati di
Blogger, si finisce per inserire una modifica in HTML, un nuovo font, una colonna in
più che fa sempre comodo, o un colore meglio adatto.
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38. Insomma c’è chi si costruisce la moto (vedi il design raffinato di Weblogz o
FlamingPxl Vanessa), chi fornisce i pezzi (come i continui aggiustamenti di blogor-
roico/Cavedoni o i consigli di Bloggando) e chi si trucca la lambretta (come il classi-
co template Blogger modificato da Madame Defarge o Leonardo).
Il blog come contagio ma anche come antidoto alla sindrome del webdesigners.
Perché la funzionalità entra al servizio del contenuto, le velleità d’artista fanno i conti
con lo spazio per le proprie parole. Così non conta più solo la bella presenza, ma
anche saper parlare.
E l’Italia della Rete ha tanto dire.
***
Oggi il Web ha bisogno di tale confronto, che piaccia o no è così. Ognuno si sente un
protagonista: per sé o per gli altri, controllare controllandosi, guardando in modo
ossessivo i propri referer per sentirsi vivi, per sentirsi partecipi di questa o quella
community.
WDE lancia il suo sassolino per far conoscere cosa gira intorno al Web design e per far
sentire quanto sia importante il meccanismo di libertà espressiva attraverso le cover
o i concept: costante ricerca di nuovi spazi, a volte già visti, a volte pertinenti. La pos-
sibilità è aperta a tutti coloro vogliano proporsi in modo creativo. Ne è riprova il fatto
che i layout cambiano, oggi è la volta di Maurizio Sartore (Malana Design), con il suo
“SUMMER EDITION” che ha modificato leggermente la forma, ma mantenuta la sua
S
struttura, incrementando nuove sezioni e nuove sfide con nuovi concept. È nato Web
Poetic Experiments, ha preso posto Movie & Graphic Music Lab. Sezioni legate all’in-
terpretazione grafica di un brano musicale o di una poesia, o di un aforisma. Ci piace
vedere! La nostra è sete visionaria, esercizio artistico, mutazione e ricostruzione.
Malana layout
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39. Con gli stessi intenti Fabien Butazzi (Koandesign) ha interpretato le prime versioni del
sito legato a “WDE. Agli antipodi del Web design” sul quale abbiamo indetto il con-
corso per scegliere la copertina del libro e grazie al quale abbiamo seguito quotidia-
namente lo stato di avanzamento del volume in tutte le sue fasi: raccolta sponsor,
raccolta contributi dei CD dei singoli Webdez e relative prenotazioni. Da sottolineare
come tutti abbiano sentito in modo palpabile questo percorso, accompagnando da
vicino il suo progresso, una sorta di sviluppo online collettivo con pochi precedenti.
Koandesign layout
Ci piace pensare che attorno a noi ci siano anche personaggi che sanno riderci sopra
mostrando aspetti goliardici della professione del webdesigner. Volontà semiseria di
sdrammatizzare ed enfatizzare tale presagio: pensare che il webdez sia un perfezio-
nista, talentuoso e virtuosista. Abbiamo chiamato Luca Guglielmi a raccontarci que-
sta storia:
Siamo tutti un po’ Flavio Cocconi
di Luca Guglielmi
Flavio Cocconi è una creazione di Luca Guglielmi
(www.inspirations.it) e Flavio Condò (www.graphic.it) e
non nel senso che è nostro figlio (ci abbiamo già prova-
to a farne uno ma ci hanno spiegato che non possiamo
averne) ma nel senso che non esiste nessun Flavio
Cocconi, almeno nessun Flavio Cocconi che faccia il web-
designer.
È un personaggio che popola la nostra fantasia, chiara-
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