2. 2
Nell'intervento ABA, la modalità
principale è quella
dell'insegnamento attraverso
prove distinte ("discrete trial
teaching"). Questo metodo non è
usato esclusivamente con i
bambini con disturbi autistici, ma
è un metodo didattico molto
chiaro e efficace che può essere
usato con chiunque.
L'insegnamento attraverso le prove distinte
("discrete trial teaching"/"DTT")
3. 3
L'insegnamento DTT viene svolto in un ambiente
che:
elimina le distrazioni che possono impedire
l'apprendimento;
scompone le abilità in parti più comprensibili per il
bambino;
insegna una parte dell'abilità per volta;
usa i principi dell'ABA, e in modo particolare
principi dell'uso corretto del rinforzo;
dà tutto l'aiuto possibile al bambino. Tanto è vero
che con questo metodo il bambino non ha
nemmeno l'opportunità di fallire.
Per questo viene anche chiamato "insegnamento
senza errori" ("errorless learning").
4. 4
Questo tipo di insegnamento è particolarmente adatto ai bambini con
disturbi autistici. Sappiano che questi bambini riescono a imparare
relativamente poco in modo spontaneo dal loro ambiente naturale.
1. non osservano bene le persone che li circondano (non sappiamo se per
inabilità innata, per disinteresse o per altro) e quindi non imitano; così
non si servono di una delle tecniche di apprendimento umano più
importante, cioè l'osservazione e l'imitazione;
Questo in parte per motivi non del tutto chiari, ma
sicuramente per tre fattori importanti:
2. non sono intrinsecamente gratificati a compiere molte azioni (come per esempio le
interazioni sociali, anche di quelle più semplici come il sorriso sociale del neonato),
quindi il processo di apprendimento non è il processo spontaneo di azione-
gratificazione sociale/intrinseco-nuova azione, come è invece per i bambini normali;
3. L'ambiente naturale non fornisce una quantità sufficiente di occasioni di apprendimento (non
sappiamo se perché necessitano di un maggior numero di occasioni di apprendimento o
perché non stanno attenti agli esempi che l'ambiente naturale fornice.
5. 5
L'insegnamento DTT è molto
adatto per i bambini autistici
perché è un metodo che riesce a
superare tutti questi impedimenti
6. 6
Il bambino normale non ha bisogno di premi artificiali
per voler far vedere alla mamma il suo disegno, è
intrinsecamente gratificato dalla sua reazione. Come il
neonato che prova piacere intrinseco a sorridere alla
mamma. Il bambino autistico non trova il rinforzo
naturale e intrinseco in queste situazioni. Il metodo di
insegnamento DTT non fa altro che sostituire il rinforzo
naturale e intrinseco che il bambino tipico trova
spontaneamente nel suo ambiente con un rinforzo
artificiale. Quindi dà al bambino un motivo per
compiere le azioni (osservare, imitare, produrre
vocalizzazioni) che lo porteranno allo sviluppo di abilità
a lui necessarie, come imparare guardando i coetanei,
parlare, utilizzare il gioco simbolico.
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Inizialmente queste abilità saranno goffe ,
artificiali. Il bambino le eseguirà esclusivamente
per avere il suo "premio". Ma la generalizzazione
di queste abilità iniziali non è lasciata al caso, fa
parte integrante della programmazione. Se il
bambino imparasse solo come imitare un adulto
che fa azioni chiare mentre è seduto a un tavolino
solo per avere una ricompensa artificiale, sarebbe
del tutto inutile. Le abilità iniziali vengono
insegnate in un ambiente spoglio di distrazioni,
usando un linguaggio a volte artificialmente
semplice. Il passo successivo è rendere sempre
più complessa e naturale la situazione, e
modificare gradualmente tutti gli elementi della
situazione.
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Il bambino che ha imparato "a tavolino" a imitare un adulto
che fa azioni semplici, passa a imitare l'adulto che compie
azioni più complesse; poi impara ad imitare l'adulto nel gioco
simbolico fatto in situazioni gradualmente più naturali; viene
aiutato a imitare in un ambiente più ricco di distrazioni; viene
inserito in una situazione come la scuola dove può finalmente
cominciare a mettere insieme tutto quello che è riuscito a
fare fino a ora.
Solo quando si nota che il bambino inizia a imitare i coetanei,
spontaneamente e in situazioni naturali come la scuola, si
può dire che l'intervento sull'imitazione è riuscito: Lo stesso
vale per tutti i tipi di abilità che vengono insegnate al
bambino: un obiettivo iniziale o intermedio può essere che il
bambino dimostri un comportamento "a tavolino" (indichi
parti del corpo,esegue un'istruzione, risponde correttamente
a una domanda), ma l'obiettivo finale è sempre l'uso
spontaneo delle abilità in situazioni naturali.
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Il funzionamento specifico dell'insegnamento DTT
Obiettivi dell'intervento
Gli obiettivi si concentrano su:
•Il linguaggio,
•la comunicazione,
•il gioco,
•la socializzazione e l'autosufficienza quotidiana
tramite un intervento che inizialmente si basa
sull'imitazione, la motricità e le abilità pre-
accademiche
10. 10
Gli obiettivi sono individualizzati
per ogni bambino, ma seguono un
filo logico di programmazione.
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L'ambiente fisico
L'ambiente fisico deve facilitare l'apprendimento. E'
necessario eliminare potenziali distrazioni che
variano a seconda del bambino; ad esempio un
bambino che si autostimola visivamente non deve
lavorare in un ambiente pieno di stimoli visivi, un
bambino che è distratto da rumori ambientali,
invece, dovrebbe lavorare in un ambiente silenzioso.
Al tempo stesso l'ambiente deve risultare più
comodo e gradevole possibile, visto che il bambino
dovrà passarci molto tempo. Le prove discrete, di
solito, vengono fatte con il bambino e l'adulto seduti
uno di fronte all'altro, con un tavolino dell'altezza
del bambino. Serve un secondo tavolino per l'adulto,
per appoggiare il quaderno ed altri materiali.
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Le ore di terapia
Di solito vengono fatte due o tre
sessioni di terapia al giorno. Nei
primi tempi le sessioni sono molto
brevi, poi aumentano.
Generalmente le ore sono suddivise
in due o tre sessioni al giorno.
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La raccolta dati
I dati sono raccolti durante tutte le
sessioni. Quelli delle prove distinte
sono riassunti quotidianamente in
grafici. I dati raccolti servono
innanzitutto come mezzo di
comunicazione precisa tra terapisti
e come documentazione della
programmazione della terapia.
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ALTRI METODI
la Comunicazione Facilitata ,
il Feurstein,
il Portage,
il Doman Delacato.
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La comunicazione facilitata
Il metodo è stato sviluppato in origine in Australia
come modalità di comunicazione aumentativa per
bambini con difficoltà motorie. La CF si colloca
all'interno delle modalità di comunicazione
aumentative e alternative; nasce oltre venti anni
fa ad opera di Rosemary Crossley, rivolta a
soggetti con disturbi spastici conseguenti a
paralisi cerebrale, che impedivano loro di parlare
ed anche di servirsi delle tastiere, di lettere da
comporre su lavagna magnetica, di altri modi più
facili per scrivere o di segnare con la lingua dei
sordi.
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In sintesi si basa sulla presenza di una
macchina per scrivere adattata (o
computer) e su una figura di “facilitatore”.
Senza dubbio il metodo dà al genitore una
enorme motivazione e in alcuni casi si
osservano dei risultati apprezzabili;
tuttavia esistono anche delle risultanze
scientificamente validate che sollevano
dei dubbi in particolare sul ruolo del
facilitatore.
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La prova consisteva nel richiedere di ascoltare in
cuffia una parola che poi doveva essere scritta
sulla tastiera; tutto funzionava quando il
facilitatore e il facilitato ricevevano lo stesso
messaggio, ma quando venivano inviati
contemporaneamente due messaggi diversi con
due parole diverse nelle cuffie di ascolto del
facilitato e del facilitatore, la parola che veniva
scritta era quella udita dal facilitatore e non quella
indirizzata al facilitato.Il dibattito rimane aperto e
il metodo è molto “sponsorizzato” da famiglie e da
associazioni: un po’ meno dalla ricerca.
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Portage
Il metodo Portage è stato elaborato inizialmente
tra la fine degli anni 60 e inizio 70 negli Stati Uniti
con l’obiettivo principale di venire incontro alle
esigenze riabilitative di bambini con disabilità che
vivevano in luoghi lontani dai centri riabilitativi
(Portage è una cittadina del Wisconsin). In
seguito è stato utilizzato in vari Paesi ed ha subito
degli apprendimenti interessanti. In Italia la sua
diffusione si deve principalmente a Michele
Zappella ed allo staff dell’Unità operativa di
Neuropsichiatria dell’Ospedale di Siena.
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Il metodo è articolato in tre parti:
una checklist che esplora 5 aree di
sviluppo (cognitiva, motoria, linguistica,
socializzazione e autonomia),
una guida pratica in schede,
un manuale.
Pur essendo di taglio prettamente
comportamentale, il metodo ha il pregio
di offrire al bambino in trattamento una
globalità di proposte e la possibilità di
sviluppare un rapporto collaborativo con i
genitori, che sono i principali “terapeuti”.
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É un metodo che necessita della
capacità e della volontà di lavorare
in rete, dove il successo dipende
non solo dal singolo ma dalla
interazione tra i vari soggetti
partecipanti.
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Feuerstein
Il metodo prende il nome dal suo
ideatore, Reuven Feuerstein, pedagogista
attivo in Israele che ha sviluppato nel
dopoguerra un programma di recupero di
persone con disabilità intellettive
provocate dalla prigionia in campi di
concentramento. Il metodo, che è coperto
da Copyright e che può essere applicato
esclusivamente da persone munite di
autorizzazioni rilasciate dopo avere
seguito corsi specifici, si pone come
obiettivo il potenziamento delle abilità
cognitive dell’individuo.
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Il metodo sembra essere molto
dipendente dalla qualità del
mediatore, dalla sua capacità di
proporre e gestire correttamente
le esperienze di apprendimento
mediato. Tali circostanze in realtà
sono alla base di qualsiasi
didattica “speciale”, nel senso di
“qualitativa”.
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Doman - Delacato
E’ senza dubbio uno dei “metodi” che più hanno
alimentato discussioni e creato fronti di fautori
e detrattori. Per capire di cosa si tratta
bisognerebbe anche ascoltare i racconti di
genitori di bambini con gravi tetraparesi
spastiche conseguenti a cerebrolesione; quei
bambini sono diventati degli adulti e in qualche
caso superano i 40 anni. Quei genitori sono tutti
segnati da questa esperienza, da quei viaggi
della speranza e dall’essersi sentiti dire che
tutto dipendeva da loro, che il loro figlio ce la
poteva fare a migliorare se il programma fosse
stato rispettato.
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il metodo ha il pregio di offrire al bambino
in trattamento una globalità di proposte e
la possibilità di sviluppare un rapporto
collaborativo con i genitori, che sono i
principali “terapeuti”. Essi sono supportati
dagli operatori sia per quanto riguarda la
progressione degli interventi sia per la
gestione complessiva dell’intervento. In
sintesi: è un metodo che necessita della
capacità e della volontà di lavorare in
rete, dove il successo dipende non solo
dal singolo ma dalla interazione tra i vari
soggetti partecipanti.
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Tecniche e strategie
Apprendimento cooperativo
Imparare a lavorare in un gruppo
cooperativo non è né facile né
breve. Le tecniche e i quadri di
riferimento che si sono sviluppate in
questi anni non sono solo frutto di
quel “buon senso” con cui spesso si
insegnano o si applicano le regole
sociali.
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Il senso dell’integrazione e di una
didattica speciale per l’integrazione, è di
comprendere e vivere come normale
l’interazione tra diversità, costruendo una
cultura che si opponga al modello
dell’individualismo e sia aperta alla
solidarietà:
non per buonismo,
non per pietismo,
bensì per aver avuto delle esperienze
positive che hanno permesso di
interiorizzare norme per rispettare e far
rispettare le regole all’interno del gruppo.
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Imparare a lavorare insieme non è solo un
obiettivo per il ragazzino che usufruisce di
sostegno; spesso è un obiettivo non centrato
dagli insegnanti stessi, con l’evidente,
insanabile, contraddizione del voler
predicare un modello che essi si rifiutano di
applicare. E’ a mio avviso uno degli elementi
più radicali del “modello di qualità” di cui
parla Ianes e a cui molti autori italiani hanno
portato dei preziosi contributi. Ma è anche
un ingrediente insostituibile, perché il
modello cooperativo è al centro del concetto
di “rete” e presuppone l’apprendere a
lavorare in “collaborazione e
differenziazione”.
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Un interessante modello di insegnamento
di attività basate sulla cooperazione è
l’esercizio dei “Broken Circles”(cerchi
rotti), sviluppato da N. eT. Graves, 1985.
Si tratta di un puzzle che non può essere
completato in modo soddisfacente finché i
membri del gruppo non diventano
consapevoli dei problemi sperimentati da
altri e non sono disponibili a cedere dei
propri pezzi di puzzle pur di raggiungere
lo scopo del gruppo, che è di formare
tanti cerchi quanti sono i partecipanti,
tutti uguali tra loro.
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I partecipanti ricevono delle buste
con dei pezzi; qualcuno ha nella sua
busta gli elementi bastanti per fare
il “suo” cerchio, ma se non scambia
dei pezzi con altri, il gruppo non
raggiungerà mai l’obiettivo.
30. 30
Le didattiche metacognitive
La didattica metacognitiva è un
modo di fare scuola; l’attenzione
dell’insegnante non è tanto rivolta
all’elaborazione di materiali o
metodi nuovi per insegnare “come
fare a…” bensì a sviluppare nel
ragazzo la consapevolezza di quello
che sta facendo, del perché lo fa, di
quando è opportuno farlo ed in quali
condizioni
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L’intervento agisce su quattro livelli
diversi, che rappresentano altrettante
dimensioni della metacognizione e che
sono strettamente interconnessi tra loro:
1° livello - conoscenze sul funzionamento
cognitivo in generale (teoria della mente)
2° livello - autoconsapevolezza del proprio
funzionamento cognitivo
3° livello - uso di strategie di
autoregolazione cognitiva
4° livello - variabili psicologiche di
mediazione
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Le variabili del punto 4 sono quelle
che definiscono in qualche misura
l’immagine di sé che si dà la
persona;
il senso di autoefficacia,
di autostima,
la motivazione.