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1
L'INTERVENTO INTENSIVO E
PRECOCE ABA NEI DISTURBI
AUTISTICI (di Denise Smith
Brunetti)
2
 Nell'intervento ABA, la modalità
principale è quella
dell'insegnamento attraverso
prove distinte ("discrete trial
teaching"). Questo metodo non è
usato esclusivamente con i
bambini con disturbi autistici, ma
è un metodo didattico molto
chiaro e efficace che può essere
usato con chiunque.
L'insegnamento attraverso le prove distinte
("discrete trial teaching"/"DTT")
3
 L'insegnamento DTT viene svolto in un ambiente
che:
 elimina le distrazioni che possono impedire
l'apprendimento;
 scompone le abilità in parti più comprensibili per il
bambino;
insegna una parte dell'abilità per volta;
usa i principi dell'ABA, e in modo particolare
principi dell'uso corretto del rinforzo;
dà tutto l'aiuto possibile al bambino. Tanto è vero
che con questo metodo il bambino non ha
nemmeno l'opportunità di fallire.
Per questo viene anche chiamato "insegnamento
senza errori" ("errorless learning").
4
Questo tipo di insegnamento è particolarmente adatto ai bambini con
disturbi autistici. Sappiano che questi bambini riescono a imparare
relativamente poco in modo spontaneo dal loro ambiente naturale.
1. non osservano bene le persone che li circondano (non sappiamo se per
inabilità innata, per disinteresse o per altro) e quindi non imitano; così
non si servono di una delle tecniche di apprendimento umano più
importante, cioè l'osservazione e l'imitazione;
Questo in parte per motivi non del tutto chiari, ma
sicuramente per tre fattori importanti:
2. non sono intrinsecamente gratificati a compiere molte azioni (come per esempio le
interazioni sociali, anche di quelle più semplici come il sorriso sociale del neonato),
quindi il processo di apprendimento non è il processo spontaneo di azione-
gratificazione sociale/intrinseco-nuova azione, come è invece per i bambini normali;
3. L'ambiente naturale non fornisce una quantità sufficiente di occasioni di apprendimento (non
sappiamo se perché necessitano di un maggior numero di occasioni di apprendimento o
perché non stanno attenti agli esempi che l'ambiente naturale fornice.
5
L'insegnamento DTT è molto
adatto per i bambini autistici
perché è un metodo che riesce a
superare tutti questi impedimenti
6
Il bambino normale non ha bisogno di premi artificiali
per voler far vedere alla mamma il suo disegno, è
intrinsecamente gratificato dalla sua reazione. Come il
neonato che prova piacere intrinseco a sorridere alla
mamma. Il bambino autistico non trova il rinforzo
naturale e intrinseco in queste situazioni. Il metodo di
insegnamento DTT non fa altro che sostituire il rinforzo
naturale e intrinseco che il bambino tipico trova
spontaneamente nel suo ambiente con un rinforzo
artificiale. Quindi dà al bambino un motivo per
compiere le azioni (osservare, imitare, produrre
vocalizzazioni) che lo porteranno allo sviluppo di abilità
a lui necessarie, come imparare guardando i coetanei,
parlare, utilizzare il gioco simbolico.
7
 Inizialmente queste abilità saranno goffe ,
artificiali. Il bambino le eseguirà esclusivamente
per avere il suo "premio". Ma la generalizzazione
di queste abilità iniziali non è lasciata al caso, fa
parte integrante della programmazione. Se il
bambino imparasse solo come imitare un adulto
che fa azioni chiare mentre è seduto a un tavolino
solo per avere una ricompensa artificiale, sarebbe
del tutto inutile. Le abilità iniziali vengono
insegnate in un ambiente spoglio di distrazioni,
usando un linguaggio a volte artificialmente
semplice. Il passo successivo è rendere sempre
più complessa e naturale la situazione, e
modificare gradualmente tutti gli elementi della
situazione.
8
 Il bambino che ha imparato "a tavolino" a imitare un adulto
che fa azioni semplici, passa a imitare l'adulto che compie
azioni più complesse; poi impara ad imitare l'adulto nel gioco
simbolico fatto in situazioni gradualmente più naturali; viene
aiutato a imitare in un ambiente più ricco di distrazioni; viene
inserito in una situazione come la scuola dove può finalmente
cominciare a mettere insieme tutto quello che è riuscito a
fare fino a ora.
Solo quando si nota che il bambino inizia a imitare i coetanei,
spontaneamente e in situazioni naturali come la scuola, si
può dire che l'intervento sull'imitazione è riuscito: Lo stesso
vale per tutti i tipi di abilità che vengono insegnate al
bambino: un obiettivo iniziale o intermedio può essere che il
bambino dimostri un comportamento "a tavolino" (indichi
parti del corpo,esegue un'istruzione, risponde correttamente
a una domanda), ma l'obiettivo finale è sempre l'uso
spontaneo delle abilità in situazioni naturali.
9
Il funzionamento specifico dell'insegnamento DTT
Obiettivi dell'intervento
Gli obiettivi si concentrano su:
•Il linguaggio,
•la comunicazione,
•il gioco,
•la socializzazione e l'autosufficienza quotidiana
tramite un intervento che inizialmente si basa
sull'imitazione, la motricità e le abilità pre-
accademiche
10
 Gli obiettivi sono individualizzati
per ogni bambino, ma seguono un
filo logico di programmazione.
11
L'ambiente fisico
 L'ambiente fisico deve facilitare l'apprendimento. E'
necessario eliminare potenziali distrazioni che
variano a seconda del bambino; ad esempio un
bambino che si autostimola visivamente non deve
lavorare in un ambiente pieno di stimoli visivi, un
bambino che è distratto da rumori ambientali,
invece, dovrebbe lavorare in un ambiente silenzioso.
Al tempo stesso l'ambiente deve risultare più
comodo e gradevole possibile, visto che il bambino
dovrà passarci molto tempo. Le prove discrete, di
solito, vengono fatte con il bambino e l'adulto seduti
uno di fronte all'altro, con un tavolino dell'altezza
del bambino. Serve un secondo tavolino per l'adulto,
per appoggiare il quaderno ed altri materiali.
12
Le ore di terapia
 Di solito vengono fatte due o tre
sessioni di terapia al giorno. Nei
primi tempi le sessioni sono molto
brevi, poi aumentano.
Generalmente le ore sono suddivise
in due o tre sessioni al giorno.
13
La raccolta dati
 I dati sono raccolti durante tutte le
sessioni. Quelli delle prove distinte
sono riassunti quotidianamente in
grafici. I dati raccolti servono
innanzitutto come mezzo di
comunicazione precisa tra terapisti
e come documentazione della
programmazione della terapia.
14
ALTRI METODI
 la Comunicazione Facilitata ,
 il Feurstein,
 il Portage,
 il Doman Delacato.
15
La comunicazione facilitata
 Il metodo è stato sviluppato in origine in Australia
come modalità di comunicazione aumentativa per
bambini con difficoltà motorie. La CF si colloca
all'interno delle modalità di comunicazione
aumentative e alternative; nasce oltre venti anni
fa ad opera di Rosemary Crossley, rivolta a
soggetti con disturbi spastici conseguenti a
paralisi cerebrale, che impedivano loro di parlare
ed anche di servirsi delle tastiere, di lettere da
comporre su lavagna magnetica, di altri modi più
facili per scrivere o di segnare con la lingua dei
sordi.
16
 In sintesi si basa sulla presenza di una
macchina per scrivere adattata (o
computer) e su una figura di “facilitatore”.
Senza dubbio il metodo dà al genitore una
enorme motivazione e in alcuni casi si
osservano dei risultati apprezzabili;
tuttavia esistono anche delle risultanze
scientificamente validate che sollevano
dei dubbi in particolare sul ruolo del
facilitatore.
17
La prova consisteva nel richiedere di ascoltare in
cuffia una parola che poi doveva essere scritta
sulla tastiera; tutto funzionava quando il
facilitatore e il facilitato ricevevano lo stesso
messaggio, ma quando venivano inviati
contemporaneamente due messaggi diversi con
due parole diverse nelle cuffie di ascolto del
facilitato e del facilitatore, la parola che veniva
scritta era quella udita dal facilitatore e non quella
indirizzata al facilitato.Il dibattito rimane aperto e
il metodo è molto “sponsorizzato” da famiglie e da
associazioni: un po’ meno dalla ricerca.
18
Portage
 Il metodo Portage è stato elaborato inizialmente
tra la fine degli anni 60 e inizio 70 negli Stati Uniti
con l’obiettivo principale di venire incontro alle
esigenze riabilitative di bambini con disabilità che
vivevano in luoghi lontani dai centri riabilitativi
(Portage è una cittadina del Wisconsin). In
seguito è stato utilizzato in vari Paesi ed ha subito
degli apprendimenti interessanti. In Italia la sua
diffusione si deve principalmente a Michele
Zappella ed allo staff dell’Unità operativa di
Neuropsichiatria dell’Ospedale di Siena.
19
 Il metodo è articolato in tre parti:
 una checklist che esplora 5 aree di
sviluppo (cognitiva, motoria, linguistica,
socializzazione e autonomia),
 una guida pratica in schede,
 un manuale.
Pur essendo di taglio prettamente
comportamentale, il metodo ha il pregio
di offrire al bambino in trattamento una
globalità di proposte e la possibilità di
sviluppare un rapporto collaborativo con i
genitori, che sono i principali “terapeuti”.
20
 É un metodo che necessita della
capacità e della volontà di lavorare
in rete, dove il successo dipende
non solo dal singolo ma dalla
interazione tra i vari soggetti
partecipanti.
21
Feuerstein
 Il metodo prende il nome dal suo
ideatore, Reuven Feuerstein, pedagogista
attivo in Israele che ha sviluppato nel
dopoguerra un programma di recupero di
persone con disabilità intellettive
provocate dalla prigionia in campi di
concentramento. Il metodo, che è coperto
da Copyright e che può essere applicato
esclusivamente da persone munite di
autorizzazioni rilasciate dopo avere
seguito corsi specifici, si pone come
obiettivo il potenziamento delle abilità
cognitive dell’individuo.
22
 Il metodo sembra essere molto
dipendente dalla qualità del
mediatore, dalla sua capacità di
proporre e gestire correttamente
le esperienze di apprendimento
mediato. Tali circostanze in realtà
sono alla base di qualsiasi
didattica “speciale”, nel senso di
“qualitativa”.
23
Doman - Delacato
 E’ senza dubbio uno dei “metodi” che più hanno
alimentato discussioni e creato fronti di fautori
e detrattori. Per capire di cosa si tratta
bisognerebbe anche ascoltare i racconti di
genitori di bambini con gravi tetraparesi
spastiche conseguenti a cerebrolesione; quei
bambini sono diventati degli adulti e in qualche
caso superano i 40 anni. Quei genitori sono tutti
segnati da questa esperienza, da quei viaggi
della speranza e dall’essersi sentiti dire che
tutto dipendeva da loro, che il loro figlio ce la
poteva fare a migliorare se il programma fosse
stato rispettato.
24
 il metodo ha il pregio di offrire al bambino
in trattamento una globalità di proposte e
la possibilità di sviluppare un rapporto
collaborativo con i genitori, che sono i
principali “terapeuti”. Essi sono supportati
dagli operatori sia per quanto riguarda la
progressione degli interventi sia per la
gestione complessiva dell’intervento. In
sintesi: è un metodo che necessita della
capacità e della volontà di lavorare in
rete, dove il successo dipende non solo
dal singolo ma dalla interazione tra i vari
soggetti partecipanti.
25
Tecniche e strategie
 Apprendimento cooperativo
 Imparare a lavorare in un gruppo
cooperativo non è né facile né
breve. Le tecniche e i quadri di
riferimento che si sono sviluppate in
questi anni non sono solo frutto di
quel “buon senso” con cui spesso si
insegnano o si applicano le regole
sociali.
26
 Il senso dell’integrazione e di una
didattica speciale per l’integrazione, è di
comprendere e vivere come normale
l’interazione tra diversità, costruendo una
cultura che si opponga al modello
dell’individualismo e sia aperta alla
solidarietà:
 non per buonismo,
 non per pietismo,
 bensì per aver avuto delle esperienze
positive che hanno permesso di
interiorizzare norme per rispettare e far
rispettare le regole all’interno del gruppo.
27
 Imparare a lavorare insieme non è solo un
obiettivo per il ragazzino che usufruisce di
sostegno; spesso è un obiettivo non centrato
dagli insegnanti stessi, con l’evidente,
insanabile, contraddizione del voler
predicare un modello che essi si rifiutano di
applicare. E’ a mio avviso uno degli elementi
più radicali del “modello di qualità” di cui
parla Ianes e a cui molti autori italiani hanno
portato dei preziosi contributi. Ma è anche
un ingrediente insostituibile, perché il
modello cooperativo è al centro del concetto
di “rete” e presuppone l’apprendere a
lavorare in “collaborazione e
differenziazione”.
28
 Un interessante modello di insegnamento
di attività basate sulla cooperazione è
l’esercizio dei “Broken Circles”(cerchi
rotti), sviluppato da N. eT. Graves, 1985.
Si tratta di un puzzle che non può essere
completato in modo soddisfacente finché i
membri del gruppo non diventano
consapevoli dei problemi sperimentati da
altri e non sono disponibili a cedere dei
propri pezzi di puzzle pur di raggiungere
lo scopo del gruppo, che è di formare
tanti cerchi quanti sono i partecipanti,
tutti uguali tra loro.
29
 I partecipanti ricevono delle buste
con dei pezzi; qualcuno ha nella sua
busta gli elementi bastanti per fare
il “suo” cerchio, ma se non scambia
dei pezzi con altri, il gruppo non
raggiungerà mai l’obiettivo.
30
Le didattiche metacognitive
 La didattica metacognitiva è un
modo di fare scuola; l’attenzione
dell’insegnante non è tanto rivolta
all’elaborazione di materiali o
metodi nuovi per insegnare “come
fare a…” bensì a sviluppare nel
ragazzo la consapevolezza di quello
che sta facendo, del perché lo fa, di
quando è opportuno farlo ed in quali
condizioni
31
 L’intervento agisce su quattro livelli
diversi, che rappresentano altrettante
dimensioni della metacognizione e che
sono strettamente interconnessi tra loro:
 1° livello - conoscenze sul funzionamento
cognitivo in generale (teoria della mente)
 2° livello - autoconsapevolezza del proprio
funzionamento cognitivo
 3° livello - uso di strategie di
autoregolazione cognitiva
 4° livello - variabili psicologiche di
mediazione
32
 Le variabili del punto 4 sono quelle
che definiscono in qualche misura
l’immagine di sé che si dà la
persona;
 il senso di autoefficacia,
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 la motivazione.

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Metodi

  • 1. 1 L'INTERVENTO INTENSIVO E PRECOCE ABA NEI DISTURBI AUTISTICI (di Denise Smith Brunetti)
  • 2. 2  Nell'intervento ABA, la modalità principale è quella dell'insegnamento attraverso prove distinte ("discrete trial teaching"). Questo metodo non è usato esclusivamente con i bambini con disturbi autistici, ma è un metodo didattico molto chiaro e efficace che può essere usato con chiunque. L'insegnamento attraverso le prove distinte ("discrete trial teaching"/"DTT")
  • 3. 3  L'insegnamento DTT viene svolto in un ambiente che:  elimina le distrazioni che possono impedire l'apprendimento;  scompone le abilità in parti più comprensibili per il bambino; insegna una parte dell'abilità per volta; usa i principi dell'ABA, e in modo particolare principi dell'uso corretto del rinforzo; dà tutto l'aiuto possibile al bambino. Tanto è vero che con questo metodo il bambino non ha nemmeno l'opportunità di fallire. Per questo viene anche chiamato "insegnamento senza errori" ("errorless learning").
  • 4. 4 Questo tipo di insegnamento è particolarmente adatto ai bambini con disturbi autistici. Sappiano che questi bambini riescono a imparare relativamente poco in modo spontaneo dal loro ambiente naturale. 1. non osservano bene le persone che li circondano (non sappiamo se per inabilità innata, per disinteresse o per altro) e quindi non imitano; così non si servono di una delle tecniche di apprendimento umano più importante, cioè l'osservazione e l'imitazione; Questo in parte per motivi non del tutto chiari, ma sicuramente per tre fattori importanti: 2. non sono intrinsecamente gratificati a compiere molte azioni (come per esempio le interazioni sociali, anche di quelle più semplici come il sorriso sociale del neonato), quindi il processo di apprendimento non è il processo spontaneo di azione- gratificazione sociale/intrinseco-nuova azione, come è invece per i bambini normali; 3. L'ambiente naturale non fornisce una quantità sufficiente di occasioni di apprendimento (non sappiamo se perché necessitano di un maggior numero di occasioni di apprendimento o perché non stanno attenti agli esempi che l'ambiente naturale fornice.
  • 5. 5 L'insegnamento DTT è molto adatto per i bambini autistici perché è un metodo che riesce a superare tutti questi impedimenti
  • 6. 6 Il bambino normale non ha bisogno di premi artificiali per voler far vedere alla mamma il suo disegno, è intrinsecamente gratificato dalla sua reazione. Come il neonato che prova piacere intrinseco a sorridere alla mamma. Il bambino autistico non trova il rinforzo naturale e intrinseco in queste situazioni. Il metodo di insegnamento DTT non fa altro che sostituire il rinforzo naturale e intrinseco che il bambino tipico trova spontaneamente nel suo ambiente con un rinforzo artificiale. Quindi dà al bambino un motivo per compiere le azioni (osservare, imitare, produrre vocalizzazioni) che lo porteranno allo sviluppo di abilità a lui necessarie, come imparare guardando i coetanei, parlare, utilizzare il gioco simbolico.
  • 7. 7  Inizialmente queste abilità saranno goffe , artificiali. Il bambino le eseguirà esclusivamente per avere il suo "premio". Ma la generalizzazione di queste abilità iniziali non è lasciata al caso, fa parte integrante della programmazione. Se il bambino imparasse solo come imitare un adulto che fa azioni chiare mentre è seduto a un tavolino solo per avere una ricompensa artificiale, sarebbe del tutto inutile. Le abilità iniziali vengono insegnate in un ambiente spoglio di distrazioni, usando un linguaggio a volte artificialmente semplice. Il passo successivo è rendere sempre più complessa e naturale la situazione, e modificare gradualmente tutti gli elementi della situazione.
  • 8. 8  Il bambino che ha imparato "a tavolino" a imitare un adulto che fa azioni semplici, passa a imitare l'adulto che compie azioni più complesse; poi impara ad imitare l'adulto nel gioco simbolico fatto in situazioni gradualmente più naturali; viene aiutato a imitare in un ambiente più ricco di distrazioni; viene inserito in una situazione come la scuola dove può finalmente cominciare a mettere insieme tutto quello che è riuscito a fare fino a ora. Solo quando si nota che il bambino inizia a imitare i coetanei, spontaneamente e in situazioni naturali come la scuola, si può dire che l'intervento sull'imitazione è riuscito: Lo stesso vale per tutti i tipi di abilità che vengono insegnate al bambino: un obiettivo iniziale o intermedio può essere che il bambino dimostri un comportamento "a tavolino" (indichi parti del corpo,esegue un'istruzione, risponde correttamente a una domanda), ma l'obiettivo finale è sempre l'uso spontaneo delle abilità in situazioni naturali.
  • 9. 9 Il funzionamento specifico dell'insegnamento DTT Obiettivi dell'intervento Gli obiettivi si concentrano su: •Il linguaggio, •la comunicazione, •il gioco, •la socializzazione e l'autosufficienza quotidiana tramite un intervento che inizialmente si basa sull'imitazione, la motricità e le abilità pre- accademiche
  • 10. 10  Gli obiettivi sono individualizzati per ogni bambino, ma seguono un filo logico di programmazione.
  • 11. 11 L'ambiente fisico  L'ambiente fisico deve facilitare l'apprendimento. E' necessario eliminare potenziali distrazioni che variano a seconda del bambino; ad esempio un bambino che si autostimola visivamente non deve lavorare in un ambiente pieno di stimoli visivi, un bambino che è distratto da rumori ambientali, invece, dovrebbe lavorare in un ambiente silenzioso. Al tempo stesso l'ambiente deve risultare più comodo e gradevole possibile, visto che il bambino dovrà passarci molto tempo. Le prove discrete, di solito, vengono fatte con il bambino e l'adulto seduti uno di fronte all'altro, con un tavolino dell'altezza del bambino. Serve un secondo tavolino per l'adulto, per appoggiare il quaderno ed altri materiali.
  • 12. 12 Le ore di terapia  Di solito vengono fatte due o tre sessioni di terapia al giorno. Nei primi tempi le sessioni sono molto brevi, poi aumentano. Generalmente le ore sono suddivise in due o tre sessioni al giorno.
  • 13. 13 La raccolta dati  I dati sono raccolti durante tutte le sessioni. Quelli delle prove distinte sono riassunti quotidianamente in grafici. I dati raccolti servono innanzitutto come mezzo di comunicazione precisa tra terapisti e come documentazione della programmazione della terapia.
  • 14. 14 ALTRI METODI  la Comunicazione Facilitata ,  il Feurstein,  il Portage,  il Doman Delacato.
  • 15. 15 La comunicazione facilitata  Il metodo è stato sviluppato in origine in Australia come modalità di comunicazione aumentativa per bambini con difficoltà motorie. La CF si colloca all'interno delle modalità di comunicazione aumentative e alternative; nasce oltre venti anni fa ad opera di Rosemary Crossley, rivolta a soggetti con disturbi spastici conseguenti a paralisi cerebrale, che impedivano loro di parlare ed anche di servirsi delle tastiere, di lettere da comporre su lavagna magnetica, di altri modi più facili per scrivere o di segnare con la lingua dei sordi.
  • 16. 16  In sintesi si basa sulla presenza di una macchina per scrivere adattata (o computer) e su una figura di “facilitatore”. Senza dubbio il metodo dà al genitore una enorme motivazione e in alcuni casi si osservano dei risultati apprezzabili; tuttavia esistono anche delle risultanze scientificamente validate che sollevano dei dubbi in particolare sul ruolo del facilitatore.
  • 17. 17 La prova consisteva nel richiedere di ascoltare in cuffia una parola che poi doveva essere scritta sulla tastiera; tutto funzionava quando il facilitatore e il facilitato ricevevano lo stesso messaggio, ma quando venivano inviati contemporaneamente due messaggi diversi con due parole diverse nelle cuffie di ascolto del facilitato e del facilitatore, la parola che veniva scritta era quella udita dal facilitatore e non quella indirizzata al facilitato.Il dibattito rimane aperto e il metodo è molto “sponsorizzato” da famiglie e da associazioni: un po’ meno dalla ricerca.
  • 18. 18 Portage  Il metodo Portage è stato elaborato inizialmente tra la fine degli anni 60 e inizio 70 negli Stati Uniti con l’obiettivo principale di venire incontro alle esigenze riabilitative di bambini con disabilità che vivevano in luoghi lontani dai centri riabilitativi (Portage è una cittadina del Wisconsin). In seguito è stato utilizzato in vari Paesi ed ha subito degli apprendimenti interessanti. In Italia la sua diffusione si deve principalmente a Michele Zappella ed allo staff dell’Unità operativa di Neuropsichiatria dell’Ospedale di Siena.
  • 19. 19  Il metodo è articolato in tre parti:  una checklist che esplora 5 aree di sviluppo (cognitiva, motoria, linguistica, socializzazione e autonomia),  una guida pratica in schede,  un manuale. Pur essendo di taglio prettamente comportamentale, il metodo ha il pregio di offrire al bambino in trattamento una globalità di proposte e la possibilità di sviluppare un rapporto collaborativo con i genitori, che sono i principali “terapeuti”.
  • 20. 20  É un metodo che necessita della capacità e della volontà di lavorare in rete, dove il successo dipende non solo dal singolo ma dalla interazione tra i vari soggetti partecipanti.
  • 21. 21 Feuerstein  Il metodo prende il nome dal suo ideatore, Reuven Feuerstein, pedagogista attivo in Israele che ha sviluppato nel dopoguerra un programma di recupero di persone con disabilità intellettive provocate dalla prigionia in campi di concentramento. Il metodo, che è coperto da Copyright e che può essere applicato esclusivamente da persone munite di autorizzazioni rilasciate dopo avere seguito corsi specifici, si pone come obiettivo il potenziamento delle abilità cognitive dell’individuo.
  • 22. 22  Il metodo sembra essere molto dipendente dalla qualità del mediatore, dalla sua capacità di proporre e gestire correttamente le esperienze di apprendimento mediato. Tali circostanze in realtà sono alla base di qualsiasi didattica “speciale”, nel senso di “qualitativa”.
  • 23. 23 Doman - Delacato  E’ senza dubbio uno dei “metodi” che più hanno alimentato discussioni e creato fronti di fautori e detrattori. Per capire di cosa si tratta bisognerebbe anche ascoltare i racconti di genitori di bambini con gravi tetraparesi spastiche conseguenti a cerebrolesione; quei bambini sono diventati degli adulti e in qualche caso superano i 40 anni. Quei genitori sono tutti segnati da questa esperienza, da quei viaggi della speranza e dall’essersi sentiti dire che tutto dipendeva da loro, che il loro figlio ce la poteva fare a migliorare se il programma fosse stato rispettato.
  • 24. 24  il metodo ha il pregio di offrire al bambino in trattamento una globalità di proposte e la possibilità di sviluppare un rapporto collaborativo con i genitori, che sono i principali “terapeuti”. Essi sono supportati dagli operatori sia per quanto riguarda la progressione degli interventi sia per la gestione complessiva dell’intervento. In sintesi: è un metodo che necessita della capacità e della volontà di lavorare in rete, dove il successo dipende non solo dal singolo ma dalla interazione tra i vari soggetti partecipanti.
  • 25. 25 Tecniche e strategie  Apprendimento cooperativo  Imparare a lavorare in un gruppo cooperativo non è né facile né breve. Le tecniche e i quadri di riferimento che si sono sviluppate in questi anni non sono solo frutto di quel “buon senso” con cui spesso si insegnano o si applicano le regole sociali.
  • 26. 26  Il senso dell’integrazione e di una didattica speciale per l’integrazione, è di comprendere e vivere come normale l’interazione tra diversità, costruendo una cultura che si opponga al modello dell’individualismo e sia aperta alla solidarietà:  non per buonismo,  non per pietismo,  bensì per aver avuto delle esperienze positive che hanno permesso di interiorizzare norme per rispettare e far rispettare le regole all’interno del gruppo.
  • 27. 27  Imparare a lavorare insieme non è solo un obiettivo per il ragazzino che usufruisce di sostegno; spesso è un obiettivo non centrato dagli insegnanti stessi, con l’evidente, insanabile, contraddizione del voler predicare un modello che essi si rifiutano di applicare. E’ a mio avviso uno degli elementi più radicali del “modello di qualità” di cui parla Ianes e a cui molti autori italiani hanno portato dei preziosi contributi. Ma è anche un ingrediente insostituibile, perché il modello cooperativo è al centro del concetto di “rete” e presuppone l’apprendere a lavorare in “collaborazione e differenziazione”.
  • 28. 28  Un interessante modello di insegnamento di attività basate sulla cooperazione è l’esercizio dei “Broken Circles”(cerchi rotti), sviluppato da N. eT. Graves, 1985. Si tratta di un puzzle che non può essere completato in modo soddisfacente finché i membri del gruppo non diventano consapevoli dei problemi sperimentati da altri e non sono disponibili a cedere dei propri pezzi di puzzle pur di raggiungere lo scopo del gruppo, che è di formare tanti cerchi quanti sono i partecipanti, tutti uguali tra loro.
  • 29. 29  I partecipanti ricevono delle buste con dei pezzi; qualcuno ha nella sua busta gli elementi bastanti per fare il “suo” cerchio, ma se non scambia dei pezzi con altri, il gruppo non raggiungerà mai l’obiettivo.
  • 30. 30 Le didattiche metacognitive  La didattica metacognitiva è un modo di fare scuola; l’attenzione dell’insegnante non è tanto rivolta all’elaborazione di materiali o metodi nuovi per insegnare “come fare a…” bensì a sviluppare nel ragazzo la consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quando è opportuno farlo ed in quali condizioni
  • 31. 31  L’intervento agisce su quattro livelli diversi, che rappresentano altrettante dimensioni della metacognizione e che sono strettamente interconnessi tra loro:  1° livello - conoscenze sul funzionamento cognitivo in generale (teoria della mente)  2° livello - autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo  3° livello - uso di strategie di autoregolazione cognitiva  4° livello - variabili psicologiche di mediazione
  • 32. 32  Le variabili del punto 4 sono quelle che definiscono in qualche misura l’immagine di sé che si dà la persona;  il senso di autoefficacia,  di autostima,  la motivazione.