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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO
Facoltà di Scienze della Formazione
Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria
Indirizzo Scuola dell’Infanzia
La concezione del numero naturale nei bambini in
età prescolare
Tesi di Laurea di Relatore
Bonsignore Benedetta Prof.re Spagnolo Filippo
Matricola n° 0512914
ANNO ACCADEMICO 2006/2007
1
INDICE
PREMESSA……………………………………………………… 3
CAPITOLO I………………………….…………………………. 5
1.1 Il numero………………………………………………….. 5
1.2 Analisi storico-epistemologica…………………………… 8
1.3 Le operazioni aritmetiche………………………………… 29
1.4 Gli approcci al numero naturale……………….………… 33
1.4.1 Approccio cardinale…………………………………… 33
1.4.2 Approccio ordinale…….……………………………… 35
1.4.3 Approccio ricorsivo…….……………………………… 36
1.4.4 Approccio geometrico…….…………………………… 37
CAPITOLO II: Evoluzione storica dei modelli delle abilità
matematiche……………………………………. 40
2.1 Come si percepiscono i numeri…………………………... 40
2.2 Il modello di Piaget……………………….………………. 43
2.3 Il modello neuropsicologico…………………………….... 47
2.3.1 Il modello cognitivo di comprensione e produzione
numerica e di calcolo aritmetico di McCloskey,
Caramazza e Basili…………………………………… 48
2.4 Karen Wynn, Gelman e Gallistel……………………..…. 50
2.5 Modello di Dehaene, di Butterworth e di Devlin ……... 52
CAPITOLO 3: Fase sperimentale…………………………........ 61
Premessa……………………………………………………… 61
3.1 Ipotesi sperimentale……………………………………… 62
2
3.2 Campione della fase sperimentale…………….………… 63
3.3 La metodologia……………………………………………. 63
3.4 Gli strumenti utilizzati………………………….………… 64
3.4.1 Analisi a priori delle strategie risolutive……………. 67
3.4.2 Analisi quantitativa dei dati sperimentali……..……. 68
- Analisi descrittiva……….………………………….. 69
- Riflessioni conclusive……………………………….. 72
3.5 II Ipotesi sperimentale…………………………………… 73
3.5.1 Analisi descrittiva dei dati…………………………… 76
CAPITOLO IV: La didattica della matematica nella scuola
dell’infanzia…………………………..………. 79
4.1 Che cosa significa “Fare matematica nella scuola
dell’infanzia”………………………………………………. 79
4.2 La teoria delle situazioni…………………………………… 81
4.2.1 Schema di una situazione a-ditattica …………………. 86
CONCLUSIONI……………………………..…………………….. 91
Allegato 1…………………………………………………………… 93
Allegato 2…………………………………………………………… 99
Allegato 3…………………………………………………………… 101
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………… 102
SITOGRAFIA……………………………………………………… 104
3
PREMESSA
“Veramente ogni cosa che si conosce,
reca un numero; infatti, è impossibile,
senza numeri, conoscere e capire
con la ragione alcunché. L’Uno è il
fondamento di tutte le cose”
Filolao (450 a.C.)
Il concetto di numero è frutto della storia dell’umanità, senza di esso è
impensabile concepire sia lo sviluppo del pensiero dell’Uomo che
l’evoluzione della civiltà.
I numeri sono un modo per ricercare la perfezione, un modo per avvicinarsi
all’armonia dei rapporti naturali.
L’idea di numero si può far risalire a circa 30000 anni fa, quando l’uomo
preistorico registrava quantità numeriche inizialmente con le dita e, nel
caso in cui non fossero sufficienti, formando mucchi di pietre o incidendo
tacche su ossa o bastoni.
Allo stesso modo un bambino, pur non conoscendo un sistema di
numerazione, opera un confronto, in base ad un principio di
corrispondenza, instaurando una relazione tra le dita della sua mano e gli
elementi che vuole contare.
J. Piaget aveva a lungo indagato su questo parallelismo tra asse evolutivo
storico ed asse filogenetico e numerose furono le ricadute didattiche delle
sue ricerche.
Il “contare” rientra nelle attività prematematiche che vengono svolte nella
scuola dell’infanzia; appartiene, quindi, all’esperienza prescolastica della
maggior parte dei bambini. L’apprendimento del concetto di numero,
tuttavia, non è un’impresa facile e, gli approcci al numero naturale sono
molteplici; nessuno è da considerarsi più importante dell’altro.
4
Il presente lavoro si pone il fine di indagare sulle concezioni spontanee del
numero naturale possedute dai bambini di 4-5 anni di età, secondo i diversi
approcci.
Nelle pagine che seguono vengono presentati i seguenti argomenti:
Nel primo capitolo si affronta l’analisi storico-epistemologica del
concetto di numero, gli approcci al numero naturale;
Nel secondo capitolo si analizza l’evoluzione storica dei modelli
delle abilità matematiche, precursore è stato sicuramente Piaget.
Successivamente, intorno agli anni settanta, Gelman e Gallistel fino
ad arrivare al modello neuropsicologico e al contributo degli studi di
neuroscienze con Dehaene, Butterworth e Devlin;
Nel terzo capitolo si affronta la fase sperimentale con la relativa
descrizione dell’ipotesi, del campione, della metodologia, degli
strumenti utilizzati, quindi, l’analisi a-priori e i comportamenti attesi
dai bambini e, infine, la tabulazione dei dati con la relativa analisi;
Nel quarto capitolo si affronta l’importanza della didattica della
matematica nella scuola dell’infanzia, con particolare riferimento
alla Teoria delle Situazioni di Guy Brousseau;
Infine si riportano le considerazioni conclusive che hanno favorito
una riflessione dell’analisi dei risultati raggiunti. Seguono gli allegati
e la bibliografia.
5
CAPITOLO I
1.1 IL NUMERO
All’inizio l’uomo si è chiesto:
I NUMERI ESISTONO?
I numeri, quelle entità con le quali facciamo addizioni, sottrazioni,
moltiplicazioni, divisioni e quant'altro, esistono? ?
Già 2400 anni fa, circa, Platone si era posto il problema: che cosa esiste?
Ecco allora che considerava il concetto di dunamis (potenza) secondo il
quale esisterebbe tutto ciò che può (dunatai) compiere e subire un'azione.
Esisteranno quindi tutti gli enti materiali che ci circondano, ed è evidente,
perché possono allo stesso tempo compiere e subire azioni: ad esempio, il
cane corre e può essere accarezzato, quindi esiste. Ma con questa
definizione si è costretti ad ammettere anche l'esistenza di enti immateriali:
le idee, ossia quelli che noi definiamo oggetti del pensiero, dovranno avere
una loro esistenza proprio perché subiscono l'azione di essere pensati. Di
conseguenza, in qualche misura esisteranno anche i numeri come oggetto
del nostro pensiero..Invece, secondo Aristotele i numeri esistono, ma come
pure e semplici astrazioni: egli effettua un'importantissima distinzione tra
sostanza (ciò che per esistere non ha bisogno di null'altro all'infuori di sé) e
accidente (ciò che per esistere ha bisogno di una sostanza cui riferirsi). Così
la terra o il libro saranno sostanze proprio perché dotati di esistenza
autonoma, il blu o il marrone saranno accidenti perché potranno esistere
solo se abbinati ad una sostanza: il blu e il marrone di per sé, spiega
Aristotele, non esistono, bensì esistono libri blu e terra marrone. Gli
accidenti si trovano dunque ad avere un'esistenza che potremmo definire
"parassitaria", ossia totalmente legata ad una sostanza cui riferirsi. Per
quanto riguarda i numeri Aristotele non esita a collocarli tra gli accidenti: il
6
2 o il 3, di per sé, non esistono, bensì esistono gruppi di due o tre sostanze:
tre libri, due penne, due case...
Non è sbagliato dire che, in un certo senso, il numero è l'ultima cosa che
permane man mano che si tolgono a due o più oggetti le differenze: i due
libri hanno colori diversi, tolgo il colore; hanno scritte diverse, tolgo le
scritte; hanno dimensioni diverse, tolgo le dimensioni; alla fine, quando li
avrò spogliati di ogni cosa, resterà solo il numero: sono due.
Così ragiona Aristotele e così siamo portati a ragionare anche noi: non ci
sogneremmo mai di sostenere che il 2 o il 3 esistano di per sé senza
sostanze cui riferirsi. Tuttavia Platone, a differenza di Aristotele, sosteneva
l'esistenza dei numeri sganciata dalle sostanze: il 2 o il 3 per Platone
esistono non solo nelle cose materiali (sostanze) che ne partecipano (2 case,
3 gatti...), ma addirittura come enti a se stanti: se ho un gruppo di 6 libri
significa che esso partecipa all'idea del 6 (il numero ideale 6).
L'idea di numero è "universale": infatti,mentre gli oggetti sensibili sono
caratterizzati dal divenire e dal mutamento, soltanto delle idee si può
propriamente dire che sono stabilmente se stesse; proprio questa differenza
di livelli ontologici, ossia di consistenza di essere, qualifica le idee come
modelli rispetto agli oggetti sensibili corrispondenti. L’idea è dotata di
esistenza autonoma, né dipende per la sua esistenza dal fatto di poter essere
pensata; essa è ciò di cui gli oggetti sensibili partecipano. La partecipazione
all’idea, per esempio, di bellezza rende un determinato oggetto sensibile,
bello. Le idee hanno quindi una quadruplice valenza: 1) ontologica: i
cavalli esistono perché copiano l'idea di bellezza; 2) gnoseologica:
riconosco che quello è un cavallo perché nella mia mente ho l'idea di
cavallo; 3) assiologica: ogni idea è il bene cui tendere, lo scopo a cui
aspirare; 4) di unità del molteplice: i cavalli esistenti sono tantissimi e
diversissimi tra loro, ma l'idea di cavallo è una sola. .
7
Ora anche i numeri sono idee e hanno pertanto le prerogative delle idee:
così come quel cavallo è bello perché partecipa all'idea di bellezza, esso è
uno perché partecipa all'idea di uno; così come i cavalli materiali sono una
miriade, ma l'idea di cavallo è una, così anche i 3 scritti sulle lavagne o sui
fogli sono una miriade, ma l'idea di tre è una sola, da cui tutti gli altri tre
dipendono. I numeri sono sì idee come le altre, ma si tratta d’idee
particolarmente complesse tant'è che Platone non esita a collocarli su un
livello superiore: i numeri ideali, ossia le essenze stesse dei numeri, in
quanto tali, non sono sottoponibili ad operazioni aritmetiche. Il loro status
metafisico è ben differente da quello aritmetico, appunto perché non
rappresentano semplicemente numeri, ma l' essenza stessa dei numeri. I
Numeri ideali, quindi, costituiscono i supremi modelli dei numeri
matematici. Inoltre, per Platone i numeri ideali sono i primi derivati dai
Principi primi, per il motivo che essi rappresentano, in forma originaria e
quindi paradigmatica, quella struttura sintetica dell' unità nella molteplicità,
che caratterizza anche tutti gli altri piani del reale a tutti gli altri livelli.
Platone ha introdotto gli "enti matematici intermedi" per i seguenti motivi: i
numeri su cui opera l'aritmetica, come anche le grandezze su cui opera la
geometria, non sono realtà sensibili, ma intellegibili. Però, tali realtà
intellegibili non possono essere Numeri Ideali né Figure geometriche ideali
perché le operazioni aritmetiche implicano l'esistenza di molti numeri
uguali (pensiamo ad esempio ad un'equazione dove, per dire, il numero 6
può comparire diverse volte) e le dimostrazioni e le operazioni geometriche
implicano molte figure uguali e molte figure che sono una variazione della
medesima essenza (pensiamo a molti triangoli uguali e molte figure che
sono variazioni della medesima essenza, ossia triangoli di vario tipo:
equilatero, isoscele...). Invece, ciascuno dei Numeri Ideali (così come
ciascuna forma ideale) è unico, e inoltre i Numeri Ideali non sono operabili.
8
Quindi per Platone, gli enti matematici hanno caratteri "intermedi" fra il
mondo intellegibile e il mondo sensibile, ed in quanto sono immobili ed
eterni, essi condividono i caratteri delle realtà intellegibili, e cioè delle idee;
invece, in quanto ve ne sono molti della medesima specie, sono analoghi ai
sensibili. .
Il fondamento teoretico di questa dottrina sta nella convinzione
radicatissima in Platone della perfetta corrispondenza fra il conoscere e
l'essere, per cui ad un livello di conoscenza di un determinato tipo deve
necessariamente far riscontro un corrispettivo livello di essere. Di
conseguenza, alla conoscenza matematica, che è di livello superiore alla
conoscenza sensibile, ma inferiore alla conoscenza filosofica, deve
corrispondere un tipo di realtà che ha le corrispettive connotazioni
ontologiche. Certo oggi a noi la concezione di Platone sembra molto
distante e improbabile e preferiamo quella aristotelica, tuttavia sorge un
dubbio che rimette in gioco la teoria platonica: e se nessuno contasse più, i
numeri continuerebbero ad esistere? Con la definizione aristotelica, infatti,
essi esistono solo come processo di astrazione della mente umana e, se vi
fosse un improvviso annichilimento della realtà, sembra quasi che non
contando più nessuno i numeri debbano sparire, ma è evidentemente
ridicolo dire così. 2 + 2 = 4 è vero anche senza che io lo pensi e quindi pare
aver ragione Platone: i numeri hanno esistenza autonoma.
1.2 Analisi storico-epistemologica
Le origini
La matematica ebbe inizio dalla necessità di contare e di fissare in forma
duratura i numeri. Non è mai esistita una società che non abbia utilizzato
qualche forma di conteggio e che non abbia accompagnato una raccolta di
9
oggetti con gruppi di segni manipolabili, quali pietre, nodi, funi, segni
incisi come intagli su legno o su ossa. Si può parlare della protomatematica
che esisteva quando ancora non vi erano forme di registrazione scritta.
Le nozioni originarie collegate ai concetti di numero, grandezza e forma si
possono far risalire alle epoche più antiche in cui visse l’uomo.
Lo sviluppo del concetto di numero è stato un processo lungo e graduale e
la sua consapevolezza diventò col tempo così estesa e viva da far nascere il
bisogno di esprimere tale proprietà in qualche modo. Sicuramente
dapprima si utilizzò soltanto un linguaggio di segni; le dita di una mano
poterono facilmente venire usate per indicare un insieme di due o tre o
quattro o cinque oggetti, mentre il numero uno in un primo momento non
venne riconosciuto come vero numero. Usando le dita di entrambe le mani
si poterono rappresentare gruppi di oggetti contenenti fino a dieci elementi
e, combinando le dita delle mani con quelle dei piedi si poté giungere fino a
venti. Quando le dita si dimostrarono insufficienti , si usarono mucchi di
pietre per rappresentare una corrispondenza con gli elementi di un altro
insieme. Spesso l’uomo primitivo ammucchiava le pietre in gruppi di
cinque, poiché l’osservazione delle mani e dei piedi gli aveva reso familiari
i multipli di cinque.
Aristotele notò che l’uso, oggi diffuso, del sistema decimale non fu altro
che il risultato del fatto anatomico accidentale che la maggior parte di noi è
nata con dieci dita dei piedi e dieci dita delle mani.
Uno studio di parecchie centinaia di tribù di indiani d’America mostrò che
la maggior parte usava una base decimale e molti altri un sistema quinario-
decimale.
L’uomo preistorico inoltre registrava i numeri incidendo intaccature su un
bastone o su un pezzo di osso. L’osso di Ishango, ritrovato nell’area delle
sorgenti del Nilo (nord est del Congo) che risale a più di 20000 anni fa,
10
presenta delle incisioni che potrebbero indicare una primitiva conoscenza
della sequenza dei numeri primi. I segni sull’osso ishango consistono in
una serie di incisioni disposte su tre colonne distinte; la riga (a) contiene
quattro gruppi di incisioni, con rispettivamente, 9,19,21 e 11 segni. Nella
riga (b) ci sono quattro gruppi di 19,17,13 e 11 segni; la riga (c) ha otto
gruppi di incisioni di cui l’ultima coppia (6,3) è più ravvicinata, come lo
sono i numeri (8,4) e (5,5,10), a suggerire un ordinamento voluto in
sottogruppi distinti. De Heinzelin (1962), l’archeologo che collaborò allo
scavo dell’osso ishango, scrisse che l’osso “può rappresentare un gioco
aritmetico particolare, ideato da una popolazione che aveva un sistema
numerico in base 10 e aveva anche una conoscenza della duplicazione e dei
numeri primi”. Inoltre aggiunge dicendo che il sistema numerico ishango
avesse viaggiato raggiungendo il lontano Egitto e avesse influenzato
l’evoluzione di quello che fu il primo sistema decimale del mondo.
Secondo altri studiosi invece i segni sull’osso ishango costituiscono un
sistema di notazione sequenziale, cioè una registrazione delle diverse fasi
lunari.
ln Cecoslovacchia, circa 30000 anni fa, è stato trovato un osso di lupo che
presenta, profondamente incise, cinquantacinque intaccature, disposte in
due serie: venticinque nella prima e trenta nella seconda, divise in gruppi di
cinque. Era probabilmente la registrazione di un cacciatore del numero di
animali uccisi. Tali scoperte archeologiche forniscono una prova del fatto
11
che l’idea di numero è molto più antica di progressi tecnologici quali l’uso
di metalli o la costruzione di veicoli a ruote.
Solitamente si suppone che la matematica sia sorta in risposta a bisogni
pratici dell’uomo, ma ricerche antropologiche suggeriscono l’ipotesi che
l’arte del contare sia sorta in connessione con riti religiosi primitivi, e che
l’aspetto ordinale abbia preceduto il concetto quantitativo per il fatto che
nelle cerimonie rituali, vi era la necessità di chiamare i partecipanti
secondo un certo ordine. Inoltre tale origine indica la possibilità che sia
stata unica l’origine del contare, e in seguito si è diffusa ad altre regioni
della Terra; ciò è provato dal fatto della divisione rituale dei numeri interi
in dispari e pari, i primi considerati come maschili e i secondi come
femminili.
Il concetto di numero intero è uno dei più antichi concetti matematici e i
sistemi decimali sono stati il prodotto della matematica dell’età moderna.
Non ci sono dubbi che l’origine della matematica è più antica della stessa
scrittura e risale a un’epoca anteriore alle più antiche civiltà, ma non
bisogna commettere l’errore d’identificare l’origine della stessa alla civiltà
greca. In particolare si deve agli arabi l’uniformazione, in campo
matematico, delle tecniche di misurazione, che dai primordi egizi si sono
evolute per merito degli alessandrini; l’introduzione dell’1, cioè il sistema
numerico originario dell’India e che usiamo tuttora e, infine, l’introduzione
dell’algebra.
Erodoto sosteneva che la matematica avesse avuto origine in Egitto; infatti,
riteneva la nascita di questa disciplina per rispondere alla necessità di
misurare le terre dopo le periodiche inondazioni del Nilo. Anche per
Aristotele la matematica era nata nella Valle del Nilo perché i sacerdoti vi
trovarono l’agio per sviluppare la conoscenza teorica.
12
Matematica dell’Antico Egitto (2000 a.C. – 600 a.C.)
Sulla matematica egizia esistono due fonti maggiori e molte fonti minori.
La fonte di maggiore importanza e il più famoso e completo testo
matematico a noi noto è il papiro di Ahmes che risale al 1650 a.C., copia -
avverte lo scriba Ahmes che lo compose - di un esemplare più antico di tre
secoli. È anche conosciuto come il Papiro matematico Rhind, dal nome del
collezionista che lo acquistò nel 1858 donandolo poi al British Museum.
All'inizio del papiro si legge: “Regole per scrutare la natura e per conoscere
tutto ciò che esiste, ogni mistero, ogni segreto”, e contiene tavole di calcolo
e 87 problemi ripartiti in vari gruppi, di natura pratica connessi con le
attività di ingegneria edile, di agricoltura, di amministrazione, di
approvvigionamento etc., esposti con intento didattico.
Il papiro è scritto in ieratico, la scrittura corsiva egizia, usata per scrivere
con pennello e inchiostro sui papiri, che si diffonde dal 2400 a.C. circa
accanto alla più antica scrittura monumentale geroglifica.
La seconda fonte principale è il Papiro di Mosca, scritto circa nel 1850 a.C.
e venne portato in Russia, nel Museo delle Belle Arti di Mosca verso la
metà del XIX secolo. Il Papiro di Mosca fu composto da uno scriba rimasto
sconosciuto, contiene venticinque problemi, e tra questi due risultati
notevoli per la matematica egizia: la formula del volume di una piramide
tronca a base quadrata e l’area della superficie curva di un emisfero. Sia il
Papiro di Ahmes che il Papiro di Mosca contengono una raccolta di
centododici problemi.
Il sistema di numerazione egizio è di tipo additivo con base decimale. Nella
scrittura geroglifica (pittorica), usata per iscrizioni su lapidi e monumenti, i
numeri vengono rappresentati tramite la giustapposizione di sette simboli
rappresentanti le potenze di 10, da 1 a 1000000. Non esiste lo zero, né
come segno né come spazio vuoto. Uno dei più antichi reperti con numeri
13
scritti in geroglifici è la cosiddetta mazza del faraone Narmer, risalente a
circa 3000 a.C, che commemora la conquista delle regioni del delta del
Nilo e in cui sono riportati alcuni grandi numeri: 120000 prigionieri,
400000 bovini e 1422000 capre, cioè i bottini di guerra del faraone Narmer.
Nella scrittura ieratica (simbolica) i simboli si semplificano notevolmente e
si formano nuovi simboli per indicare simboli ripetuti. I segni usati sono
ora più numerosi, ma permettono una scrittura più rapida dei numeri. Poi vi
è la scrittura demotica, un adattamento popolare della notazione ieratica.
Egizi - geroglifica
numerazione a base
decimale, additiva
14
Egizi - ieratica
numerazione a base
decimale, additiva
Nel periodo ellenistico gli studiosi dell’Egitto abbandonano l’antica lingua
adottando la greca, così da quel momento la matematica egiziana si fuse
con quella greca dando vita alla grande matematica ellenistica.
Matematica dell’antica Mesopotamia (1900 a.C. – 300 a.C.)
Conquiste matematiche più avanzate si trovano nei popoli della
Mesopotamia. La nostra conoscenza della matematica babilonese deriva dal
ritrovamento, risalente alla metà del XIX secolo, di più di 400 tavolette di
argilla. Scritte in carattere cuneiforme, la maggior parte è datata dal 1800 al
15
1600 a.C., e trattano argomenti che includono frazioni, algebra, equazioni
di secondo grado e tavole trigonometriche. La matematica babilonese
faceva uso di un sistema di numerazione posizionale sessagesimale (cioè a
base 60): con due simboli fondamentali, un cuneo verticale per le unità e
una parentesi uncinata per le decine, si rappresentavano i numeri da 1 a 59.
Per i numeri non si introducevano altri simboli, ma si affiancavano gruppi
di cunei come i precedenti per indicare le successive potenze del 60. Quindi
si tratta di un sistema posizionale per rappresentare i numeri (come quello
arabico in uso oggi in tutto il mondo) che differenzia i Babilonesi da
Egiziani, Greci e Romani. Ad esempio il numero costituito da tre gruppi di
due cunei verticali ( ) sta a indicare 2x602
+ 2x60 + 2, ossia 2x3600 +
2x60 + 2 cioè 7322. Il sistema di spaziatura consentiva spesso di risolvere
le ambiguità di interpretazione dei raggruppamenti e delle eventuali
colonne vuote. Successivamente, ai tempi di Alessandro il Grande si
cominciò a usare un simbolo (due cunei obliqui) per indicare un posto
vuoto; questo simbolo svolgeva alcune funzioni del nostro zero, ma non
tutte: veniva usato fra colonne e mai per indicare colonne vuote alla fine
della sequenza; dunque bisognava dedurre dal contesto l'interpretazione
finale del numero.
Sumeri
numerazione
additiva
16
Babilonesi
numerazione
posizionale, a base
sessanta
Un testo di fondamentale importanza che risale al periodo babilonese
antico (1900 – 1600 a.C. circa) è la tavoletta Plimpton 322 che ha un
profondo significato matematico dal punto di vista della teoria dei numeri e
si ricollega a una forma embrionale trigonometrica.
Matematica greca (circa 550 a.C. – 400 d.C.)
La matematica greca ha avuto inizio con Talete di Mileto (624-546 a.C.) e
Pitagora di Samo (582-507 a.C.) che furono influenzati dalle idee della
matematica egiziana, babilonese e indiana. Pitagora fondò la scuola
17
pitagorica che diede importanti contributi alla geometria con la
dimostrazione del Teorema di Pitagora (già scoperto empiricamente da
egiziani e babilonesi) e alla teoria dei numeri. Per Pitagora i numeri
rappresentano il fondamento del Tutto; la stessa realtà può essere compresa
solo se la si riduce ad una quantità misurabile attraverso l’Aritmetica. Nella
tradizione pitagorica i Numeri si distinguono in intellettuali, esistiti da
sempre nella mente di Dio, e scientifici, che procedono dall’unità. Questi
ultimi sono pari, con proprietà divisibili e femminili, e dispari, indivisibili e
maschili.
Nella civiltà greca classica sono noti due principali sistemi di numerazione.
Il primo, più antico, è noto come attico ed è per molti aspetti simile a
quello in uso presso i Romani, faceva infatti, uso accanto ai simboli
fondamentali per l'1 e le potenze di 10 fino a 10000, di un simbolo speciale
per il 5, che combinato con i precedenti, dava altri simboli anche per 50,
500, 5000, 50000. Compaiono testimonianze di questo sistema a partire dal
V secolo al I secolo a.C., ma a partire dal III secolo a.C. l'altro sistema,
detto ionico o alfabetico, aveva preso il definitivo sopravvento. Questa
notazione si serve di ventisette simboli alfabetici (alcuni dei quali arcaici e
non più usati nella Grecia classica) per indicare le unità da 1 a 9, le decine
da 10 a 90, le centinaia da 100 a 900. Si usavano poi nuovamente le prime
nove lettere precedute da un apice in basso per indicare i multipli di 1000, e
per esprimere numeri ancora più grandi si ricorreva al simbolo (iniziale
di miriade) che indicava di moltiplicare per 10000 il numero che seguiva.
Ad esempio, la scrittura rappresenta il nostro 77.777.777.
18
Greci
numerazione a base
decimale, additiva
Successivamente con la fondazione ad Alessandria della Biblioteca e del
Museo, che raccoglievano le più grandi menti dell’epoca, si distinse l’opera
di Euclide (367-283 a.C.).
Gli Elementi di Euclide non sono soltanto la maggiore e più antica opera
matematica greca che ci sia pervenuta, ma costituiscono anche il più
autorevole manuale di matematica di tutti i tempi. L’opera fu composta
verso il 300 a.C., e da allora in poi fu copiata e ricopiata ripetutamente.
Si ritiene spesso, erroneamente, che gli Elementi di Euclide si limitino a
trattare argomenti di geometria. Il II e il V libro riguardano quasi
esclusivamente l’algebra, e il VII, l’VIII e il IX sono dedicati alla teoria dei
numeri.
Il termine “numero” per i greci si riferiva sempre ai numeri che oggi
chiamiamo numeri naturali, ossia ai numeri interi positivi.
Il libro VII si apre con una serie di ventidue definizioni che distinguono
diversi tipi di numeri – dispari e pari, primi e composti, piani e solidi – e
infine, definiscono un numero perfetto come “quello che è uguale alle sue
parti”.
In questi libri ciascun numero è rappresentato da un segmento, infatti,
Euclide indica un numero con AB, inoltre usa le espressioni “è misurato
19
da” e “misura”; ossia, un numero n è misurato da un altro numero m se
esiste un terzo numero k tale che n=km.
Il libro VII contiene due proposizioni che costituiscono una famosa regola
della teoria dei numeri, oggi nota come l’“algoritmo di Euclide” per trovare
il massimo comune divisore (la misura) di due numeri.
Fra le proposizioni successive troviamo formulazioni equivalenti a noti
teoremi dell’aritmetica, in particolare, la Proposizione 8 afferma che, se
an=bm e cn=dm, allora (a-c)n = (b-d)m. La Proposizione 24 afferma che, se
a e b sono primi rispetto a c, allora ab è primo rispetto a c. Il libro termina
con una regola (Proposizione 39) per trovare il minimo comune multiplo di
parecchi numeri.
Il Libro VIII si apre con una serie di proposizioni concernenti numeri in
proporzione continua (progressione geometrica) e quindi tratta alcune
semplici proprietà dei quadrati e dei cubi, terminando con la Proposizione
27: “Numeri solidi primi hanno l’uno con l’altro il rapporto che un numero
cubo ha con un numero cubo”, cioè se abbiamo un “numero solido”
ma*mb*mc e un “numero solido simile” na*nb*nc, allora il loro rapporto
sarà m3
:n3
, ossia staranno tra loro come un cubo sta a un cubo.
Il Libro IX, l’ultimo dei tre libri dedicati alla teoria dei numeri, contiene
molti teoremi che presentano un interesse particolare. Fra questi il più
famoso è la Proposizione 20: “I numeri primi sono più di una qualsiasi
assegnata moltitudine di numeri primi”, cioè Euclide dimostra che il
numero dei numeri primi è infinito. La dimostrazione è indiretta, cioè si
mostra, infatti, che l’ipotesi dell’esistenza di un numero finito porta a una
contraddizione.
La Proposizione 35 contiene una formula per la somma di numeri in
progressione geometrica: “Se tanti numeri quanti se ne vuole sono in
proporzione continua, e dal secondo e dall’ultimo si sottraggono numeri
20
uguali al primo, allora come l’eccesso del secondo starà al primo, così
l’eccesso dell’ultimo starà a tutti quelli che lo precedono”. Questa
proposizione equivale alla formula
1
12
21
11
... a
aa
aaa
aa
n
n −
=
+++
−+
La quale a sua volta è equivalente alla formula
r
ara
S
n
n
−
−
=
1
L’ultima proposizione del libro IX è la formula per i numeri perfetti: “ Se
tanti numeri quanti ne vogliamo, a cominciare dall’unità, vengono posti
continuamente in proporzione doppia fino a che la somma di tutti i numeri
non diventi un numero primo, e se la somma viene moltiplicata per l’ultimo
numero, il prodotto sarà un numero perfetto”.
Se Sn = 1+2+22
+…+2n-1
=2n
-1 è un numero primo, allora 2n-1
(2n
-1) è un
numero perfetto.
Gli antichi greci conoscevano i primi quattro numeri perfetti:
6,28,496,8128. Oggi sappiamo che tutti i numeri perfetti pari sono del tipo
euclideo, ma la questione dell’esistenza di numeri perfetti dispari è ancora
un problema irrisolto.
Infine, il Libro X degli Elementi che contiene 115 proposizioni, oggi viene
considerato un trattato sui numeri irrazionali.
I Romani
Nel sistema di numerazione romano, a base decimale, ci si serviva, come è
noto, anche di simboli speciali per indicare 5, 50, 500. Alcune antiche
epigrafi inducono a ritenere che i segni usati fossero inizialmente segni
speciali, forse di origine etrusca, che solo successivamente, in seguito a
21
successive trasformazioni, assunsero l'aspetto e furono identificati con le
lettere I, V, X, L, C, D, M. La scrittura dei numeri avveniva combinando
additivamente i segni precedenti. Per agevolare scrittura e lettura si ricorse
in alcune epoche e facoltativamente a un sistema sottrattivo, già utilizzato
dagli Assiri, che ha traccia anche nelle forme verbali, come ad esempio
“undeviginti”, stessa cosa di “decem et novem”: un simbolo posto alla
sinistra di un simbolo di quantità maggiore viene sottratto, così IX e VIIII
indicano entrambi il numero nove.
I V X L C D M
1 5 10 50 100 500 1000
Romani
numerazione a base
decimale, additiva
Matematica medioevale
Matematica delle civiltà precolombiane
Il periodo classico della civiltà Maya si situa tra il 200 e l’800 d.C.. Gli
sviluppi della matematica Maya furono dovuti principalmente ai loro studi
astronomici; essi usarono un sistema posizionale a base venti nel quale
appariva anche lo zero che non fu considerato un numero, ma solo una
cifra. La civiltà Inca (1400-1530) invece sviluppò un sistema di
numerazione a 10 e, per indicare i numeri, usavano i cosiddetti quipu, un
insieme di lunghi fili paralleli. Ogni filo rappresentava una potenza di dieci
e il numero di nodi la cifra in quella posizione.
Matematica cinese (200 a.C. – 1200)
Non conosciamo molto della matematica cinese perché nel 212 a.C.
l’imperatore Qin Shi Huang ordinò il rogo di tutti i testi scritti e, inoltre,
gran parte delle opere erano scritte sul bamboo, molto deperibile. Del
periodo Shang (1500 a.C. – 1027 a.C.) il più antico reperto di interesse per
22
la storia della matematica consiste in un guscio di tartaruga su cui sono
incisi dei numeri che usano una specie di notazione decimale; ma non
sappiamo con precisione quando questo sistema, che era il più avanzato al
mondo in quel periodo, fu inventato. Dopo il rogo dei libri, durante la
Dinastia Han (206 a.C.- 221 d.C.) furono prodotti vari lavori matematici; il
più importante di questi è I nove capitoli dell’Arte matematica che consiste
in una raccolta di 246 problemi riguardanti l’agricoltura, il commercio,
l’ingegneria e altro materiale riguardante i triangoli rettangoli. Zu
Chongzhi (V secolo) calcolò il valore di π con sette cifre decimali esatte.
I matematici cinesi svilupparono una particolare predilezione per i quadrati
magici e svilupparono il Triangolo di Pascal o di Tartaglia che si trova nel
frontespizio del trattato Ssu Yuan Yu scritto dal matematico Zhu Shijie.
23
Il triangolo di Pascal nella numerazione moderna:
Matematica indiana (400 – 1500)
La civiltà indiana, più antica di quelle cosiddette ”classiche” greca o
romana è già documentata nel periodo dei costruttori di piramidi egizie
(3000-2000 a. C.). Ma di questo periodo non ci rimangono testimonianze
per quanto riguarda la matematica. Sebbene un'attività matematica dovesse
essere ben sviluppata già molto prima, i primi testi che ci sono giunti
risalgono al V secolo d. C.
Non è ancora chiaro esattamente dove e quando si sia sviluppato il sistema
di notazione decimale posizionale che poi attraverso gli arabi si è diffuso in
Europa. Tale sistema è utilizzato nell'opera del matematico indiano
Aryabhata, vissuto intorno al 500 d.C., la più antica che ci è pervenuta se si
eccettuano frammenti sparsi di matematici anteriori, dove però manca
ancora l'uso di un simbolo zero. Testimonianze di scritture in forma
posizionale si registrano anche prima, mentre per avere datazioni sicure di
forme complete in cui compare anche il simbolo zero bisogna arrivare al IX
secolo d.C..
24
Nel VII secolo Brahmagupta scoprì l’identità e la formula che portano il
suo nome e per primo nel Brahma-sphuta-siddhanta usò senza riserve lo
zero e il sistema decimale. È da una traduzione del testo che i matematici
arabi accettarono il sistema decimale.
L'idea di usare un numero limitato di simboli a cui dare valore diverso a
seconda della posizione occupata può essere, secondo alcuni studiosi,
arrivato agli indiani dalla conoscenza diretta o tramite i greci, del sistema
sessagesimale babilonese. Gli indiani avrebbero allora iniziato ad utilizzare
solamente i primi 9 simboli del loro sistema decimale in caratteri Brahmi,
in uso dal III secolo a.C. Questi simboli assumono forme un po' diverse a
seconda delle zone e dei periodi, ma sono comunque questi che gli arabi
più tardi utilizzarono e che dalla forma araba sono passati in Europa fino
alla forma definitiva resa uniforme dalla stampa nel XV secolo.
Indiani (XI sec.
d.C.)
numerazione
posizionale, a base
decimale
Quindi il nostro sistema numerico prende il nome di sistema indiano o
indo-arabo, nome che indica l’origine indiana e la sua trasmissione per
opera degli arabi. Inoltre il sistema numerico indiano fu introdotto in
occidente da Leonardo il Pisano detto “il Fibonacci” che con la
pubblicazione del suo trattato “Liber Abaci” del 976 d.C. fece conoscere un
metodo di calcolo, fino allora sconosciuto in Europa, che aveva appreso dai
mercanti Arabi con i quali teneva rapporti commerciali. Il Liber Abaci
descriveva le “nove figure indiane” assieme al segno zero, che in arabo
25
veniva chiamato “zefiro”. È da zephirum e dalle sue varianti che sono
derivati i nostri termini di “cifra” e “zero”.
Matematica persiana e araba (750-1400)
L’Impero islamico nell’VIII secolo d.C. entrò in contatto con la matematica
ellenistica e con quella indiana e nella seconda metà del secolo, Baghdad
divenne un nuovo centro del sapere a livello mondiale. Thabit ibn Qurra
fondò una scuola di traduttori che tradusse in arabo le opere di Archimede,
Euclide, Apollonio e molti testi indiani.
Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi (780-850 circa), un matematico
persiano, scrisse importanti volumi sul sistema di numerazione indiano e
sul metodo per risolvere le equazioni. La parola “algoritmo” deriva dal suo
nome e “Algebra” dal titolo della sua opera più importante Al-Jabr wa-al-
Muqabilah. Al-Khwarizmi introdusse anche il sistema decimale nel mondo
arabo, ed è considerato da molti studiosi il fondatore dell’algebra moderna.
Ibn Qurra studiò i numeri amicabili; altri sviluppi alla materia furono
apportati da Abu bakr al-Karaji (953-1029) nel suo trattato al-Fakhri.
XVI, XVII, XVIII, XIX e XX secolo
Nell’Europa del Cinquecento, e in particolare in Italia, si diffuse un forte
interesse per l’algebra. In questo periodo si cominciarono ad accettare i
numeri negativi chiamati “falsi”. Niccolò Tartaglia fu uno dei più
importanti matematici del periodo e autore di una traduzione degli Elementi
di Euclide in italiano.
Nel XVII la matematica europea ricevette un forte impulso. Gli uomini di
scienza iniziarono a riunirsi in Accademie o società, favorendo così lo
sviluppo delle tecniche matematiche.
Pierre Fermat (1601-1665) fu uno dei matematici più produttivi del secolo
che oltre ad occuparsi di geometria, diede un enorme contributo alla Teoria
dei numeri; introdusse i numeri primi di Fermat, congetturò diversi teoremi
26
come il teorema sulle somme di due quadrati. Il teorema di Fermat ci
permette di classificare i numeri primi in due categorie: quelli che sono e
quelli che non sono la somma di due quadrati.
Nel XVIII secolo, Leonhard Euler (1707-1783) chiamato Eulero, uno dei
più grandi matematici di tutti i tempi e importante teorico dei numeri, fornì
una dimostrazione dell’infinità dei numeri primi, dando inizio alla teoria
analitica dei numeri. Inoltre, dimostrò molti teoremi lasciati indimostrati da
Fermat e introdusse la funzione phi di Eulero.
Goldbach (1690-1764) enunciò la sua famosa congettura tutt’oggi irrisolta
che afferma che ogni numero pari eccetto 2 è esprimibile come somma di
due numeri primi.
Un altro importante matematico del periodo fu Adrien-Marie Legendre
(1752-1833) che congetturò il metodo dei minimi quadrati
indipendentemente da Gauss. Fu anche un brillante teorico dei numeri:
dimostrò l’ultimo teorema di Fermat per il caso n=5, congetturò il Teorema
dei numeri primi.
Nel XIX secolo conosciuto come L’età dell’oro della matematica,
nacquero le prime società matematiche. Nella seconda metà del secolo il
centro per gli studi matematici si sposta da Parigi a Gottinga dove
risiedevano matematici come Gauss, Riemann e Dirichlet.
Gauss (1777-1855) dopo aver dimostrato nel 1799 il teorema fondamentale
dell’algebra, si occupò di teoria dei numeri, pubblicando nel 1801 le
Disquisitiones Arithmeticae. La teoria dei numeri, in questo secolo, vide
l’introduzione di nuovi concetti sempre più legati ai metodi analitici.
Nelle Disquisitiones Gauss introduceva l’aritmetica modulare, il concetto
di intero gaussiano e congetturò indipendentemente da Legendre il metodo
dei minimi quadrati e il teorema dei numeri primi che mette in relazione la
distribuzione di questi con la funzione logaritmica.
27
Dirichlet (1805-1859) che alla morte di Gauss prese il suo posto
d’insegnante dimostrò il teorema secondo il quale in tutte le progressioni
aritmetiche si trovano infiniti numeri primi, usando complessi metodi
analitici.
Il lavoro più importante nella teoria dei numeri fu quello di Riemann
(1826-1866), il successore di Dirichlet nella cattedra di matematica a
Gottinga che in un articolo del 1859 introdusse la funzione zeta di
Riemann, egli capì il collegamento di questa con la distribuzione dei
numeri primi.
Joseph Liouville (1809-1882) dimostrò nel 1844 l’esistenza di numeri
trascendenti.
Nella seconda metà del secolo si iniziò a cercare di definire logicamente il
concetto di numero. Weierstrass e Dedekind (1831-1916) definirono il
concetto di numero reale partendo da quello di numero naturale e di
numero razionale.
Frege (1848 – 1925) definì il concetto di numero naturale su basi logiche,
definizione che si basava sul concetto di cardinalità di un insieme. La
definizione di Frege di numero cardinale di una data classe, sia essa finita o
infinita, è la classe di tutte le classi che sono simili alla classe data ( simili
nel senso che gli elementi delle due classi possono essere messi in
corrispondenza biunivoca). Questa definizione apparve per la prima volta
nel 1884 in un libro famoso, I fondamenti dell’aritmetica.
Giuseppe Peano (1858 – 1932), matematico italiano, introdusse cinque
assiomi che descrivevano il concetto di numero naturale in modo
assiomatico. Gli assiomi di Peano, formulati nel 1889 negli Arithmetices
principia nova methodo exposita, sono:
1) Zero è un numero;
2) Se a è un numero, il successivo di a è un numero;
28
3) Zero non è il successivo di nessun numero;
4) Due numeri, i cui successivi sono uguali, sono essi stessi uguali;
5) Se un insieme S di numeri contiene zero e contiene anche il
successivo di ogni numero contenuto in S, allora ogni numero è
contenuto in S.
L’ultimo postulato è l’assioma d’induzione.
Dedekind definì per primo l’infinità di un insieme come il fatto che un suo
sottoinsieme potesse essere messo in corrispondenza biunivoca con esso.
Partendo da questo lavoro Georg Cantor (1845 – 1918) iniziò a studiare gli
insiemi infiniti, scoprendo che i numeri interi sono tanti quanti i numeri
razionali (ossia i due insiemi hanno la stessa potenza) ma che l’insieme
infinito dei numeri reali è più grande di quello dei razionali. Congetturò poi
che non vi fossero altre potenzialità di infinito tra questi due insiemi. La
congettura è chiamata l’ipotesi del continuo. Anche se queste scoperte
generarono scetticismo nella comunità dei matematici, le idee di Cantor
sono alla base della moderna teoria degli insiemi.
Nel XX assistiamo a una moltiplicazione di teoremi e scoperte
matematiche.
Nel 1901 Bertrand Russel (1872 – 1970) espose, in una lettera a Frege, il
cosiddetto paradosso di Russel che metteva in discussione la sua
formulazione della teoria degli insiemi e dunque della matematica. Questa
scoperta portò Ernst Zermelo e Adolf Fraenkel a riformulare la teoria su
basi assiomatiche. Anche Russel cercò parallelamente di rifondare la
matematica su degli assiomi, e insieme a Whitehead (1861-1947) scrisse
Principia Mathematica. Il fallimento di queste impostazioni assiomatiche
(anche di quella di Peano), fu decretato nel 1931 da Godel (1906-1978) con
il suo famoso teorema di incompletezza di Godel, secondo il quale in ogni
29
sistema assiomatico coerente esistono proposizioni indecidibili, che non
possono essere né dimostrate né confutate.
Nel XX secolo anche la teoria dei numeri ricevette un grande impulso;
Srinivasa Ramanujan (1887-1920), il genio indiano del XX secolo,
dimostrò molti teoremi e formule, introdusse la funzione mock theta.
Atle Selberg (1917-2007) e Paul Erdos (1913-1996) dettero nel 1949 una
dimostrazione elementare del teorema dei numeri primi.
Nel 1994, dopo anni di lavoro, Andres Wiles dimostrò l’Ultimo teorema di
Fermat, usando molte tecniche di algebra moderna.
1.3 Le operazioni aritmetiche
Una delle caratteristiche principali del sistema di numerazione indo-arabico
è quella di poter eseguire, senza l'aiuto di strumenti e con procedimenti
relativamente semplici e veloci, calcoli scritti (e dunque controllabili
successivamente). L'abilità nel far di conto viene spesso indicata come uno
dei fattori che contribuirono ad una rapida espansione e supremazia nel
commercio dei mercanti Toscani.
Gli algoritmi che apprendiamo a scuola per eseguire addizioni, sottrazioni,
moltiplicazioni e divisioni e che sembrano rigide regole immutabili (“Si fa
così”) hanno una storia fatta di tentativi e di accorgimenti diversi, anche
dovuti ad esigenze diverse (velocità, sicurezza, semplicità ...) che ha
origine nell'India del VI secolo d.C. e prosegue nel contributo di
matematici arabi e persiani del Medioevo fino al Rinascimento europeo ed
in particolare italiano.
• Addizione
L'addizione veniva effettuata già in India in maniera molto simile a quella
odierna; l'idea fondamentale è quella dell'incolonnamento e l'esecuzione
30
delle somme a partire dalla colonna delle unità con eventuale riporto. Nel
Liber abaci e in molti trattati d'abaco il risultato veniva scritto sopra e non
sotto gli addendi.
• Sottrazione
Per la sottrazione accanto ad un procedimento che è sostanzialmente il
nostro, troviamo anche un modo detto per complemento; consiste nel
sommare a partire dalla colonna delle unità la cifra del minuendo con il
complemento a 10 della cifra del sottraendo nella stessa colonna e, scritte le
unità del risultato, procedere poi analogamente con la colonna subito a
sinistra con l'accorgimento che se la somma parziale trovata nella colonna
precedente non supera 10 si deve calcolare non il complemento a 10 ma il
complemento a 9.
• Moltiplicazione
La moltiplicazione è l'operazione per la quale troviamo la maggior varietà
di metodi, che anche graficamente assumono aspetti molto diversi tra loro e
ai quali gli abachisti assegnarono i nomi più fantasiosi. L'attuale metodo
veniva detto in Toscana per biricucolo forse dal nome di certe crostate di
albicocche che lo schema a quadretti presente nei testi più antichi poteva
ricordare. Probabilmente per lo stesso motivo lo stesso metodo veniva
invece indicato come per schacchiere a Venezia e per organetto a Verona.
Si tratta comunque di un metodo molto antico, già usato in India.
Nel Liber abaci Fibonacci espone un metodo detto per crocetta noto agli
indiani come moltiplicazione fulminea perché, una volta acquisito, è un
metodo molto rapido tanto che viene ancora oggi usato dai campioni di
calcolo mentale.
31
Un algoritmo che riduce al minimo le possibilità di errori, perché i possibili
riporti si hanno solo in sede di addizioni che seguono una serie di semplici
moltiplicazioni a una cifra, è quello detto in Italia a gelosia e noto già agli
indiani e poi agli arabi come a caselle o a reticolo. Nel procedimento
moltiplicando e moltiplicatore si scrivono lungo due dei lati di un
rettangolo diviso in caselle, a loro volta divise a metà lungo la diagonale,
entro cui si scrivono decine e unità dei prodotti incrociati delle singole cifre
di moltiplicando e moltiplicatore e poi si somma lungo le diagonali.
Gelosia è il nome della grata posta a protezione delle finestre e dunque,
come si legge ad esempio nel trattato di Francesco Feliciano, Scala
grimaldelli: “Moltiplicare per gelosia over per graticola si è per certa
similitudine di quelle che si mettono alli balconi, over finestre, perché le
donne non si vedano s'elle non vogliono. Il qual si fa al modo del
quadrilatero, eccetto che a quello si teneva le decene, e a questo non si
tiene. Ma ogni cosa si mette giù, fatto la figura, come vedi qui da canto”.
Ecco uno schema di moltiplicazione a gelosia, tratto dall'Aritmetica di
Treviso. La moltiplicazione eseguita è 934 per 314, (da porre in alto e a
destra della griglia) il cui risultato, 293276, si legge di seguito al margine
sinistro e basso della griglia stessa:
32
Il quadrilatero era un altro metodo molto comune, esposto anche nel
Liber abaci. Questo è lo schema relativo alla stessa moltiplicazione
precedente, tratto sempre dall'Aritmetica di Treviso:
Inoltre vi è un metodo alla francese detto anche a calice o coppa o tazza o
bicchiere per la forma dello schema, rovesciato rispetto a quello che viene
altrove indicato come a piramide.
• Divisione
Per quanto riguarda la divisione, il procedimento che noi utilizziamo ha
raggiunto l'attuale forma nel XV secolo ed è detto a danda probabilmente
perché una volta ottenuta una cifra del quoziente, il dividendo deve dare
una cifra da collocare accanto al precedente resto. Si trovano, e tuttora si
insegnano, due varianti, a danda lunga e a danda corta a seconda che si
scriva o no la sottrazione che porta di volta in volta al resto.
Prima del XV secolo la divisione veniva eseguita con un metodo di origine
indiana che gli abachisti medioevali chiamavano a galera o a battello, per
la somiglianza che vedevano nella disposizione delle cifre nello schema
risolutivo, con una nave a remi. Questo metodo anche se più laborioso e
meno sicuro della danda venne usato fino al XVII secolo.
33
1.4 Gli approcci al numero naturale
“Dio creò i numeri naturali, tutto il resto è opera dell’uomo” diceva
Kronecker, riconoscendo che il concetto di numero è una realtà
estremamente complessa. Esso è la base della matematica; infatti, alla
parola “matematica” si associa comunemente la parola “numeri” e alla
parola “numeri” si associa subito che servono per contare: 1,2,3,4,5,……..,
sono quelli che ci diventano subito familiari fin dall’inizio della scuola e
ancora prima.
Il contare è stato con ogni probabilità uno dei primi processi “matematici”
che l’uomo ha sviluppato. La sua conquista è una questione troppo
articolata perché l’insegnante possa sottovalutarla. L’idea di numero è
complessa e questa complessità richiede un approccio che si avvale di
diversi punti di vista senza trascurarne né privilegiarne alcuno.
I vari approcci al concetto di numero naturale, proposti tra l’Ottocento e il
Novecento, sono:
Approccio cardinale;
Approccio ordinale;
Approccio ricorsivo;
Approccio geometrico.
1.4.1 Approccio cardinale
L’approccio cardinale considera il numero di oggetti contenuti in un
insieme non attraverso un conteggio di questi, ma mediante un confronto
con altri insiemi. Così, ad esempio, il numero cardinale “cinque” di un
insieme viene determinato dalla corrispondenza degli elementi con il
numero delle dita di una mano.
I presupposti logici che garantiscono una corretta acquisizione del concetto
di numero naturale secondo l’approccio cardinale sono le attività di:
34
• Classificare;
• Mettere in relazione;
• Effettuare partizioni secondo relazioni di equivalenza.
L’approccio cardinale si sviluppa dunque attraverso l’uso della
corrispondenza biunivoca per il confronto tra insiemi e la conseguente
caratterizzazione di insiemi equipotenti.
La semplicità di quest’approccio, privilegiato dall’insiemistica, viene oggi
contestata da molti; infatti, se dal punto di vista matematico potrebbe essere
accettata la conclusione a cui erano pervenuti i bourbakisti, secondo cui il
numero cardinale era prioritario e quindi più semplice di quello ordinale,
dal punto di vista didattico non è così. Infatti, l’acquisizione dell’aspetto
cardinale è funzionale alla comprensione del “tanti quanti” e quindi,
dall’intuizione del principio di invarianza. La comprensione del principio
d’invarianza è un momento determinante nel processo cognitivo del
bambino perché segna il passaggio da una visione fortemente egocentrica
ed irreversibile della realtà ad una visione relativa delle cose attraverso la
quale comincia a farsi strada la reversibilità del pensiero. Gli studi condotti
da Piaget mostrano che i bambini tra i cinque e i sette anni incontrano
difficoltà nell’accettare che alcune quantità continue (acqua e altri
liquidi,..) e discontinue (insieme di monete, di palline,…) conservano la
stessa entità se sono disposte in maniera differente. Secondo Piaget la
conquista del principio è un’importante tappa nell’evoluzione del pensiero
che diventa “reversibile” e quindi, capace di operazioni logiche.
Quindi, la comprensione dell’aspetto cardinale del numero viene raggiunta
dal bambino attraverso la comprensione dell’irrilevanza dell’ordine e
dell’invarianza rispetto alle disposizioni spaziali.
Per il raggiungimento della comprensione e dell’uso consapevole
dell’approccio cardinale si possono proporre le seguenti attività:
35
Formare insiemi;
Rappresentare insiemi e individuare relazioni di appartenenza;
Individuare l’insieme vuoto, l’insieme unitario e il sottoinsieme di un
insieme;
Individuare relazioni fra insiemi;
Confrontare insiemi;
Riconoscere e costruire insiemi equipotenti;
Intuire l’astrattezza dei criteri per la formazione dei gruppi numerici.
1.4.2 Approccio ordinale
Alcune ricerche sperimentali hanno dimostrato invece che i bambini
acquistano la nozione di numero sotto forma di sequenza ordinata e solo
più tardi sotto forma di quantità.
È la concezione ordinale secondo cui il bambino determina il numero di
oggetti contenuti nell’insieme non con un confronto, ma contando “uno,
due, tre, quattro, cinque” per cui l’ultimo numero pronunciato è anche il
numero cardinale dell’insieme.
I presupposti operativi che garantiscono un’acquisizione corretta del
concetto di numero naturale secondo l’approccio ordinale sono le attività
di:
• Confrontare;
• Mettere in relazione;
• Ordinare.
L’approccio ordinale si sviluppa attraverso l’uso della relazione d’ordine
che consente di confrontare due numeri e di decidere, nel caso in cui siano
diversi, quale dei due è maggiore. Quindi le basi teoriche dell’approccio
ordinale sono la relazione d’ordine e il principio di induzione.
36
Mentre nell’aspetto cardinale il numero è visto sotto forma di quantità,
nell’aspetto ordinale è visto sotto forma di sequenza ordinata. L’uso
consapevole di relazioni spazio-temporali (davanti-dietro, prima - dopo)
determina il controllo della relazione d’ordine e prepara alla comprensione
dell’idea di successore e di predecessore.
Per il raggiungimento della comprensione e dell’uso consapevole
dell’approccio ordinale si possono proporre le seguenti attività:
Usare consapevolmente i termini davanti-dietro, prima - dopo, subito
prima-subito-dopo,
Riconoscere ed applicare relazioni d’ordine di carattere estensivo e
temporale;
Confrontare quantità;
Stabilire una relazione d’ordine fra due numeri usando i simboli >, =,
<;
Ordinare i numeri da 0 a 9;
Conoscere ed utilizzare la linea dei numeri.
1.4.3 Approccio ricorsivo
Non va dimenticato che il numero naturale è anche collegato con il
concetto di ricorsività. Il bambino che conta quante volte riesce a saltare a
piedi uniti, quanti quadretti disegna in fila, quante volte riproduce un
suono, ripete un’operazione e contemporaneamente tiene conto di quante
volte la sta riproducendo.
I risultati di ogni singola operazione vengono accumulati ed il bambino
adopera il numero per valutare il risultato di quest’accumulo che continua
fino a quando egli è in grado di contare o ripetere l’operazione.
Quest’approccio si fonda sulle successioni e le regole che consentono la
costruzione delle successioni stesse; esso si contraddistingue per le qualità
37
dinamiche, costruttive e di essenzialità che possiede e, per l’impostazione
interdisciplinare che lo caratterizza.
Le successioni che entrano in un primo momento nell’organizzazione
mentale del bambino sono le successioni temporali; successivamente si
svilupperanno nello spazio attraverso giochi di movimento individuali o
collettivi. Si tratta di successioni finite ma con la possibilità di poter trovare
sempre ancora un altro elemento dopo l’ultimo.
Nell’approccio ricorsivo si rinuncia a dire che cosa è un numero naturale
ma si precisa come funziona il sistema dei numeri naturali, basandosi
sull’idea del successivo.
Questo approccio offre anche l’opportunità di preparare l’idea di funzione
che è importante sia come idea portante della costruzione matematica ma
anche della formazione del pensiero.
Per il raggiungimento della comprensione del numero naturale attraverso
l’approccio ricorsivo si possono proporre le seguenti attività:
Usare consapevolmente i termini davanti-dietro, prima-dopo, destra-
sinistra;
Riconoscere e continuare un ritmo grafico cromatico;
Individuare sequenze e scoprire serie ascendenti e discendenti;
Intuire che la serie naturale dei numeri si forma con la successiva
aggiunta di un’unità;
Realizzare serie numeriche ascendenti e discendenti;
Consolidare l’intuizione del “+1” come funziona che fa nascere la
serie dei numeri naturali.
1.4.4 Approccio geometrico
L’approccio geometrico è connesso con la tradizione geometrica greca,
tradizione che è fondamento del patrimonio culturale collettivo.
38
L’approccio geometrico presuppone un approccio al numero dal punto di
vista della misura.
Infatti, saper rispondere a domande del tipo: “quante matite ci sono nel
banco?” è diverso dal rispondere a domande del tipo “quanta acqua c’è
nella bottiglia?” o “quanta sabbia hai adoperato per costruire il castello?”
Nella prima situazione l’alunno può contare, mentre invece la capacità di
rispondere al secondo gruppo di domande presuppone un approccio al
numero di tipo geometrico.
È necessario che il bambino sappia trovare un’unità di misura, ad esempio
un bicchiere, iterarla contando il numero dei travasi realizzati e, nel caso in
cui la grandezza da misurare non sia stata esaurita, suddividere l’unità di
misura. Il numero viene così collegato a unità di misura.
Naturalmente misurare è molto più complesso che contare, di conseguenza
richiede maggiore consapevolezza da parte dei bambini e l’intervento
didattico deve agire nella direzione di non disperdere o ignorare l’aspetto
percettivo legato alla misura. Attraverso attività mirate bisogna rafforzare
ed estendere tutte le operazioni mentali sottese all’attività di misura. In
particolare, l’itinerario di lavoro per far conseguire al bambino tale
concetto è articolato in tre fasi distinte:
1. Attraverso il confronto diretto;
2. Attraverso il confronto indiretto con campioni arbitrari;
3. Attraverso il confronto indiretto con le unità di misura
convenzionali.
Per il raggiungimento della comprensione e dell’uso consapevole del
“numero dimensionato” si possono proporre le seguenti attività:
Riconoscere ed applicare relazioni d’ordine: invitare l’alunno
a mettere in ordine gli oggetti dal più piccolo al più grande o
secondo il peso, la quantità;
39
Operare confronti di quantità;
Anche attraverso i regoli in colore: ogni numero misura una
lunghezza che varia a seconda del colore del regolo. I regoli
sono una buona rappresentazione pratica dell’approccio al
numero tramite la misura;
Operare confronti fra grandezze.
Tutti gli approcci che portano all’acquisizione del numero naturale non
sono da intendersi come strade autonome e separate. Infatti, quando si deve
rispondere alla domanda “quanti sono” è necessario contare gli oggetti
(aspetto cardinale) e nello stesso momento in cui si contano, si vanno
ordinando (aspetto ordinale) e nella conta si procede aggiungendo uno in
più (aspetto ricorsivo).
40
CAPITOLO II
EVOLUZIONE STORICA DEI MODELLI DELLE ABILITÀ
MATEMATICHE
2.1 Come si percepiscono i numeri
Tutti siamo concordi nell’affermare che la realtà numerica circondi la
persona. Non è altrettanto noto quali siano i meccanismi che permettono al
bambino di apprendere questo universo fatto di simboli e segni. Quindi, è
fondamentale definire come avviene questo processo.
Come punto di partenza si può dire che la percezione del numero deriva da
una maturazione intellettuale, uno sviluppo che assegna ad ogni stadio un
preciso percorso di riconoscimento simbolico matematico. Ciò che deve
essere appreso è il ragionamento matematico, quale espressione di
concettualizzazioni che stanno alla base di ogni discorso numerico. Il
simbolo dell’uguale, ad esempio, per l’adulto può apparire tanto naturale
quanto la sua percezione, eppure fin tanto che il bambino non ha ben chiaro
quale sia l’implicazione logica derivante da quel determinato simbolo, cioè
l’equiparare due entità reali, non avrà la possibilità di elaborare altre idee
come la grandezza, la minoranza e la maggioranza, le quali prevedono una
maggiore difficoltà logica.
L’importanza di un opportuno riconoscimento da parte del bambino del
concetto di numero non si dimostra solo nell’elaborazione di operazioni,
come il sommare o il sottrarre, poiché la persona, attraverso
l’appropriazione e l’uso dei numeri, esprime la sua natura logico-razionale.
Per la percezione del numero e il successivo ragionamento matematico
sono individuabili quattro fasi: la prima che si colloca verso i due anni di
età, è chiamata fase pre-numerica, in cui il bambino ha il compito di
apprendere le parole e il loro significato al fine di una propria produzione
41
verbale. Qui si attivano meccanismi cerebrali fondamentali per la
percezione del numero e delle grandezze fisiche. Dopo aver superato questa
fase, si incontra una seconda fase detta genesi del numero e della logica in
cui si gettano le basi per una logica matematica che avrà il ruolo di far
comprendere quello che Riemann descrive come calcolo superiore. Qui la
persona traduce i simboli, cioè i numeri, in significati specifici, in
rappresentazioni concettuali. In questa fase le capacità operative ed
operazionali si legano a quelle linguistiche al fine del miglioramento sia
dell’espressione verbale che dell’assimilazione di concetti come:
corrispondenza, accoppiamento, ordinamento. Questo stadio da una parte
permette al bambino di valutare i numeri come espressione quantitativa,
dall’altro prepara la strada all’ingresso di una futura concezione del numero
visto come idea e non più come essenza reale e concreta.
Segue la terza fase, quella della conoscenza del numero in cui si percepisce
l’idea andando oltre la semplice grandezza fisica percepita dai sensi, i
concetti appresi assumono un’altra prospettiva, nel senso che il bambino
non considera più solo la quantità, ma quella quantità che di volta in volta
si trova a dover relazionare e che trasforma e plasma a seconda
dell’oggetto.
Nella quarta ed ultima fase, a cui i bambini giungono tra i 5 e gli 8 anni, si
attua un processo di conservazione nel quale si sedimenta l’idea di quantità
a cui si aggiunge la logica-razionale. Il concetto di conservazione da una
parte è perno per un corretto apprendimento dell’insieme dei numeri
(conservazione semplice), dall’altro si relaziona con la logica matematica,
descritta da Russel (conservazione complessa). Infatti, comprendere che
una data quantità rimane costante, anche dopo molteplici trasformazioni,
purché quello che si aggiunge sia uguale a quello che si sottrae, è
un’operazione poco memorizzabile. In questo caso subentra l’intuito
42
matematico, rintracciabile in quella conservazione complessa che permette
una relazione tra le entità numeriche.
Il concetto di conservazione è legato allo stadio di appartenenza di ogni
singolo bambino e quindi, diviene fondamentale il suo riconoscimento al
fine di produrre un percorso che non presenti bruschi salti. Inoltre,
riconoscere nello stadio pre-numerico quali parole il bambino è in grado di
percepire è importante quanto la produzione stessa, al fine di determinare
una maturazione significativa.
Un ulteriore passo in avanti, nel processo di apprendimento del numero,
oggi è costituito dalle neuroscienze, che Goldberg definisce “anima del
cervello”. Grazie all’apporto delle neuroscienze nel campo educativo, la
percezione del numero si può descrivere come attività cerebrale e, più
specificatamente, come dinamica del lobo frontale sinistro dove risiede la
parte logico-razionale, il quale risulta essere codificatore e recettore di ogni
entità numerica. Nello stesso tempo questa porzione encefalica è adibita
anche al riconoscimento delle grandezze di tali numeri grazie a una sorta di
righello mentale numerico, dove ogni numero viene collocato in base alla
sua grandezza per mezzo di una logica che prevede la collocazione di un
numero a sinistra di quello più grande dello stesso.
È importante che l’insegnante prenda coscienza del fatto che questo sapere
influenzerà in maniera definitiva tutto il campo di apprendimento.
In conclusione è doveroso dare ragione a Gardner (Gardner 1975) quando
scrive: “Ho sempre pensato che il modo migliore per rendere la
matematica interessante a studenti e non, è quello di accostarla come se
fosse un gioco. A livelli superiori, specialmente quando la matematica è
applicata a problemi concreti, può e deve essere terribilmente seria. A
livello più basso, nessuno studente può essere motivato a studiare, per
esempio, la teoria astratta dei gruppi dicendogli che la troverà bella,
43
interessante, o addirittura utile, se diventerà un fisico delle particelle
elementari”. Questa metodologia non attiverà quelle parti del cervello che
permettono l’apprendimento del numero?
Anche Peano un grande matematico diceva: “I calcoli sui numeri astratti
diventano più divertenti, se fatti sotto forma di giochi”. E prima ancora
Platone: “In Egitto sono stati inventati giochi aritmetici per i bambini, che
così imparano divertendosi con piacere. …. Così facendo i bambini
prendono confidenza con i numeri…. rendendo più vivace il loro modo di
ragionare”.
2.2 Il modello di Piaget
Piaget è considerato il fondatore dell’epistemologia genetica, scienza che
cerca di spiegare come il pensiero umano sia capace di produrre la
conoscenza scientifica, attraverso quali mezzi passa da un livello di
conoscenza meno elevato ad uno più elevato. Cerca di spiegare la
conoscenza scientifica sulla base della sua storia (filogenesi), sull’origine
dei concetti, delle operazioni, sulle quali si fonda. Piaget ricorre anche
all'ontogenesi, cioè allo studio dello sviluppo della conoscenza matematica,
fisica, logica ecc. nel bambino, nell'intento di cercare le radici della
conoscenza dalle sue forme più elementari fino al livello del pensiero
scientifico.
Un altro contributo significativo della teoria piagetiana è nell’aver
introdotto il concetto di readness che definisce l’idoneità
all’apprendimento. Tale concetto comporta un’implicazione fondamentale
riguardante il rapporto tra l’insegnamento e l’apprendimento, nel senso che
non è possibile insegnare contenuti di apprendimento che richiedono
determinate strutture cognitive di cui ancora il soggetto non dispone,
44
conseguentemente l’insegnamento deve tenere in alta considerazione il
livello di maturità conseguito dal singolo soggetto.
Piaget si è anche occupato della genesi del numero nel bambino; per lui le
abilità matematiche sono un’espressione dell’intelligenza che si sviluppa
attraverso l’interazione con l’ambiente e l’azione sulla realtà circostante.
L’acquisizione delle abilità matematiche dipende dall’acquisizione del
linguaggio e del pensiero operatorio concreto. Quindi, per Piaget la
capacità di numerare gli oggetti, e conseguentemente di compiere
operazioni con i numeri, non è solo il risultato di un apprendimento
scolastico, infatti, un bambino può affermare che due insiemi contengono
entrambi 5 elementi (e sembrerebbe saper contare fino a 5) e subito dopo
affermare che uno dei due insiemi ne contiene di più perché la fila è più
lunga, basandosi su un’evidenza percettiva fuorviante.
La sua tesi principale è che l’acquisizione del concetto di numero si
sviluppa per tappe successive, parallelamente al consolidarsi delle strutture
logiche, e che la sequenza dei numeri è la sintesi operatoria della
comprensione sia dell’aspetto ordinale che dell’aspetto cardinale, solo in
parte aiutata dall’apprendimento.
Per J. Piaget, il numero, a differenza di quanto afferma Russell, non è
basato esclusivamente sulle operazioni di classificazione, ma risulta da una
sintesi di due strutture: la struttura d'ordine e quella d’inclusione. Questa
sintesi di strutture logiche produce nuove proprietà che si possono
chiamare numeriche. Il numero risulta da un'astrazione delle qualità che
differenziano un elemento dall'altro. Quest’ astrazione rende un elemento
equivalente agli altri: 1 = 1 = 1 = 1 ...
Questi elementi possono essere classificati secondo le inclusioni:
(1) ⊂ (1+1)⊂ (1+1+1)⊂ (1+1+1+1) .....
45
ma nello stesso tempo, ordinati in serie. Ordinarli è il solo mezzo per non
contare due volte lo stesso elemento. Studiando lo sviluppo di questa
nozione nel bambino (ontogenesi) Piaget constata che a livello pre-
operatorio queste strutture sono relativamente indifferenziate mentre in
seguito (a livello operatorio) si assiste ad una differenziazione ed ad una
sintesi tra queste strutture.
Questa sintesi numerica si afferma molto progressivamente, dapprima per i
primi numeri (7-8) poi per numeri maggiori.
Quindi, secondo Piaget “ il numero è la sintesi tra classi e relazioni”, ciò
significa semplicemente che un insieme di elementi, per acquisire lo statuto
di quantità numerica, deve essere percepito, identificato, preso in
considerazione a partire dal numero di elementi che lo compone e essere
riconosciuto come più grande, più piccolo, di un altro in funzione di questo
stesso criterio. In altri termini deve essere classificato, messo insieme con
altri in funzione della sua numerosità e situato nella serie numerica in
funzione dello stesso criterio.
Per l’acquisizione del numero non è sufficiente solo riconoscere
l’equipotenza di due insiemi1
ma diventa fondamentale anche la
conservazione della quantità.
Piaget in tal senso ha condotto tanti esperimenti che hanno mostrato che
solo verso i 7 anni si può dare per scontato che i bambini hanno acquisito
l’invarianza della quantità e quindi, sappiano usare i numeri, nel loro
aspetto cardinale e ordinale. L’età intorno ai 6 anni è critica ai fini di questa
acquisizione, a questa età i bambini si trovano in un’area di “sviluppo
prossimale”, ed è per tale motivo che proprio il concetto di numero ha un
1
Piaget con l’esperimento dei gettoni rossi e blu ha dimostrato che a livello operatorio attraverso il
metodo della corrispondenza termine a termine, viene riconosciuta l’equipotenza di due insiemi,
indipendentemente dalla loro disposizione spaziale.
46
ruolo centrale nella continuità da costruire tra la scuola dell’infanzia e la
scuola primaria.
Questa teoria è un limite della teoria piagetiana; oggi sappiamo che Piaget
si è sbagliato, infatti, è vero che i bambini piccoli hanno molto da imparare
in aritmetica e che sono necessari anni perché le loro capacità concettuali si
approfondiscano, ma è altrettanto vero che non sono privi di capacità
numeriche prima di iniziare la scuola dell’infanzia e neppure al momento
della loro nascita.
Gli esperimenti che sono stati condotti da Piaget erano viziati e non
permettevano ai bambini di dimostrare quello di cui erano veramente
capaci. Per esempio, per quanto riguarda la prova classica di conservazione
dei numeri, nel 1967 nella rivista americana “Science”, Mehler e Bever
hanno dimostrato che i risultati dell’esperimento di Piaget cambiano
completamente a seconda del contesto e della motivazione dei bambini.
Mehler e Bever sottoposero i bambini a due serie di esperimenti, la
situazione classica con due file di biglie, una era corta, ma formata da sei
biglie, mentre l’altra, nonostante più lunga, era formata da quattro biglie.
Se si chiedeva, in quale fila ci fossero più biglie, la maggior parte dei
bambini di 3 e 4 anni sbagliava scegliendo la fila più lunga ma meno
numerosa. Nel secondo esperimento le biglie furono sostituite dalle
caramelle e, invece di fare domande complicate, gli sperimentatori si
limitarono a permettere ai bambini di scegliere una delle due file e di
mangiare le caramelle. I bambini sceglievano la fila con più caramelle
anche dopo averne modificato la lunghezza, dimostrando così la loro
competenza numerica. Inoltre nell’esperimento di Mehler e Bever i
bambini più piccoli, intorno ai due anni, superavano brillantemente sia la
prova con le biglie che quella con le caramelle. Sicuramente l’insuccesso
dei bambini più grandi nell’esperimento di conservazione delle biglie
47
corrispondeva a un calo momentaneo delle loro prestazioni, oppure come
sostiene Dehaene a una mancanza di maturazione della corteccia
prefrontale, la regione del cervello che ci permette di scegliere una strategia
senza lasciarci distrarre da qualcosa. Quindi, è chiaro che le prove
piagetiane non misurano le reali capacità del bambino.
Da allora sono stati fatti notevoli passi in avanti, anche se prima degli anni
Ottanta nessuna esperienza rimetteva veramente in dubbio il dogma
piagetiano secondo il quale i bambini molto piccoli erano sprovvisti del
concetto di numero. Successivamente invece sono state riscontrate capacità
numeriche anche in bambini con meno di sei mesi.
2.3 Il modello neuropsicologico
Negli ultimi anni il mondo dei numeri è divenuto oggetto di interesse di
diversi studi nell’ambito della neuropsicologia cognitiva e delle
neuroscienze.
Secondo gli studi condotti dalla neuropsicologia classica le abilità
numeriche sono totalmente indipendenti dalle funzioni intellettive, dalla
memoria e dal linguaggio.
Per la neuropsicologia dello sviluppo, grazie a studi con neonati e animali,
le abilità numeriche sono certamente innate. Dunque, le abilità numeriche
si sviluppano a partire da alcune abilità innate, subendo l’influenza di altre
funzioni cognitive.
Quindi, oggi numerosi ricercatori sostengono che in realtà, contrariamente
a quanto diceva Piaget, i bambini piccolissimi compiono operazioni di
conteggio, così come alcuni animali. Inoltre, i bambini si avvicinano
all’aritmetica ed al calcolo molto precocemente e non dopo aver acquisito
degli schemi cognitivi.
48
Il modello che impone questo tipo di approccio necessita
dell’approfondimento della componente strutturale, che consiste nella
struttura, organizzazione, architettura dei numeri e del calcolo e della
componente evolutiva, che consiste nell’evoluzione dei bambini e nel
modo in cui apprendono.
Grazie a tali studi, oggi siamo a conoscenza di tutto l’insieme di processi
che regolano le nostre capacità di riconoscimento e comprensione dei
numeri, e del loro utilizzo nell’esecuzione di operazioni, dalle più semplici
alle più complesse. A tal fine è fondamentale il modello di comprensione
numerica e calcolo aritmetico proposto da McCloskey, Caramazza e Basili.
2.3.1 Il modello cognitivo di comprensione e produzione numerica e di
calcolo aritmetico di McCloskey, Caramazza e Basili
Il modello di McCloskey, Caramazza e Basili elaborato nel 1985 prevede
l’intervento di due sistemi indipendenti nella risoluzione dei problemi
aritmetici: il sistema dei numeri e il sistema del calcolo. Fanno parte del
sistema dei numeri i processi di comprensione e di produzione numerica,
cioè riconoscere e riprodurre i simboli numerici o le parole che indicano i
numeri. Il sistema del calcolo comprende tutto l’insieme di conoscenze
necessarie per eseguire i calcoli aritmetici come: i nomi e la funzione dei
simboli operazionali, le procedure per l’esecuzione delle quattro operazioni
e i “fatti aritmetici”.
Quando presentiamo un numero a un bambino, egli deve attivare differenti
processi chiamati lessicali, di comprensione delle singole cifre che lo
costituiscono. Questi processi si modificano in funzione del formato in cui
viene presentata l’informazione; infatti, il numero può essere presentato in
forma fonologica verbale, in forma grafemica scritta e in forma di numero
arabo. Quando l’informazione viene presentata oralmente si accede al
49
sistema semantico, dove è depositato il significato relativo a quella
particolare sequenza di suoni. Se l’informazione viene presentata in forma
di parola scritta il bambino mette in atto un processo di comprensione di
lettura per risalire al corretto significato del numero. Infine, se
l’informazione viene presentata in forma di numero arabo bisogna attivare
il sistema di conoscenze relative al sistema dei numeri, per accedere al
significato del simbolo grafico corrispondente al numero.
Nel processo di comprensione dei numeri è importante anche la conoscenza
della sintassi numerica, cioè l’insieme di relazioni tra gli elementi (numeri
arabi o parole) che consentono di comprendere il numero nel suo
complesso. Ad esempio la sintassi numerica ci fa comprendere la
differenza tra 126 e 162 e la differenza tra 1005 e 1500.
Il corretto funzionamento del sistema dei numeri può essere valutato
mediante compiti di transcodifica come: il dettato dei numeri, la lettura di
numeri ad alta voce e, la traduzione in codice verbale, di numeri scritti in
codice arabo e viceversa.
Per quanto riguarda il sistema del calcolo esso si basa su tre tipi di
conoscenze:
1) La conoscenza dei simboli operazionali;
2) Dei fatti aritmetici;
3) Delle procedure delle quattro operazioni.
Naturalmente per svolgere correttamente le quattro operazioni, è necessario
che il bambino riconosca nelle diverse forme in cui può essere presentato, il
simbolo operazionale corrispondente a ciascuna operazione e di attivare
l’algoritmo che corrisponde all’operazione in oggetto. Inoltre si devono
attivare determinate procedure che, se erroneamente eseguite, influenzano
negativamente il risultato finale dell’elaborazione.
50
Alcune operazioni semplici possono essere eseguite in assenza di un vero e
proprio processo di calcolo, si tratta dei fatti aritmetici, cioè operazioni con
numeri compresi entro la prima decina. Un esempio sono le moltiplicazioni
comprese nella tavola pitagorica che, una volta apprese nel corso della
scuola primaria, vengono immagazzinate in memoria a lungo termine. Un
bambino che conosce la tavola pitagorica dire che 2*8 è uguale a 16 è un
fatto, un’informazione che recupera facilmente dal proprio magazzino di
memoria a lungo termine in assenza di un processo di calcolo.
Tutti i processi descritti sopra concorrono a formare nel bambino le
competenze aritmetiche.
2.4 Karen Wynn, Gelman e Gallistel
Il senso del numero, ne siamo ormai convinti è innato e, quindi,
indipendente dalla capacità di linguaggio.
Capita spesso di osservare che, di fronte a due mucchietti di caramelle, uno
piccolo e l’altro grande, un bambino pesca dal mucchietto più grande.
Rigorosi esperimenti dimostrano come il bambino venga al mondo con
meccanismi innati di percezione di una piccola numerosità, lo stesso senso
presente anche in alcuni animali.
La ricercatrice Karen Wynn ritiene che non solo i bambini, ma anche
alcune specie animali utilizzino lo stesso meccanismo: nella mente di
ognuno agisce un contatore emettitore di battiti che, a loro volta, sono
inseriti in un accumulatore quando si è in presenza di una nuova entità da
memorizzare. Nel 1992, nella sua tesi di dottorato al MIT in Massachusetts,
ha illustrato il comportamento di bambini di 5 mesi davanti a un teatrino di
marionette. Al bambino veniva presentato per qualche secondo un pupazzo,
nascondendolo successivamente con uno schermo; a questo punto, in
presenza del bambino, lo sperimentatore poneva un secondo pupazzo dietro
51
lo schermo. Una volta tolto lo schermo, le condizioni sperimentali
prevedevano la presentazione di 2 pupazzi (soluzione corretta) o di un solo
pupazzo (soluzione errata). Nei casi di soluzione errata i bambini
presentavano tempi di fissazione più lunghi, dimostrando di aspettarsi la
soluzione corretta con 2 pupazzi. Risultati analoghi si sono trovati anche
nella condizione 2-1, sottraendo il numero di pupazzi da quello atteso.
Con questo e altri metodi gli psicologi hanno dimostrato che i bambini
piccoli, persino nei primissimi giorni d’età, dimostrano il senso del numero,
naturalmente in relazione a pochissime unità.
Quindi, i bambini già nei primi mesi di vita posseggono abilità di tipo
matematico ed inoltre, come sostiene la Wynn, l’abilità di conteggio è il
prerequisito fondamentale dell’apprendimento matematico. I bambini,
infatti, imparano molto presto a recitare la filastrocca dei numeri,
generalmente i primi 10 o 20 numeri, ma non si tratta di un vero e proprio
conteggio in quanto il bambino non fa altro che imitare il comportamento
dell’adulto, memorizzando una lista di parole senza che esse abbiano
inizialmente un significato numerico preciso. Ma perché ci sia un vero e
proprio processo logico di conteggio, è necessario che il bambino rispetti i
principi del conteggio definiti da Gelman e Gallistel (1978), quali:
o Il principio dell’ordine stabile, il conteggio richiede una sequenza in
un ordine fisso;
o Il principio uno-a-uno, ad ogni oggetto corrisponde una sola
etichetta numerica;
o Il principio di cardinalità, l’ultimo numero contato corrisponde al
numero totale di oggetti contati;
o Il principio d’irrilevanza dell’ordine, gli oggetti possono essere
contati in qualunque ordine;
o Il principio di astrazione, qualunque cosa può essere contata.
52
Gelman e Gallistel affermano che questi principi si instaurano
spontaneamente in quanto l’abilità di contare è innata nell’individuo; ben
prima di imparare a contare ad alta voce quindi, i bambini sono in grado di
capire i principi concettuali che sottostanno il conteggio.
Sulla natura innata di tali abilità matematiche vi sono numerosi dibattiti;
diversi sono gli autori che pur condividendo l’importanza dei principi
definiti da Gelman e Gallistel sostengono che essi vengono appresi solo a
seguito della continua esposizione ai modelli adulti.
Una posizione diversa, che dirime la controversia “innato/appreso” è quella
di Sophian (1998), il quale ipotizza l’esistenza di una relazione dinamica
tra la conoscenza concettuale dei numeri e le attività con i numeri svolte dal
bambino: la conoscenza concettuale facilita lo svolgimento di attività
sempre più complesse che a loro volta innalzano il livello di conoscenza
del concetto di numero.
2.5 Modello di Dehaene, di Butterworth e di Devlin
Nel nostro cervello esistono speciali circuiti neurali funzionali alla
matematica. Questo significa che veniamo al mondo con un modulo
numerico, con informazioni codificate geneticamente che ci conferiscono
un’intuizione delle quantità numeriche. “Fin dalla nascita – afferma
Stanislas Dehaene nel suo libro, Il pallino della matematica – disponiamo
di un accumulatore interno in grado di valutare in modo approssimativo gli
oggetti che ci circondano”. Nuovi strumenti, disponibili soltanto da pochi
anni, come la camera a positroni, hanno finalmente consentito di
visualizzare l’attività cerebrale e di avviare nuovi studi sul cervello,
arrivando a localizzare anche i circuiti neurali della matematica.
La tesi di Dehaene è che il cervello umano possieda un meccanismo di
comprensione delle quantità numeriche, ereditato dal mondo animale, e che
53
questo lo guidi nell’apprendimento della matematica. Anche l’Homo
sapiens, come gli altri animali, viene al mondo con un’idea di numero.
Questo <senso dei numeri> presente anche negli animali è dunque
indipendente dalla capacità di linguaggio e possiede una lunga storia
evolutiva. I neuroni della corteccia parietale dei due emisferi entrano in
attività soltanto in presenza di numeri e restano sistematicamente silenziosi
davanti ad altre parole, quindi, l’intuizione dei numeri è saldamente
ancorata nel nostro cervello.
In particolare nel bambino la stima numerica, il confronto, il contare, le
addizioni e le sottrazioni semplici esistono spontaneamente, senza
un’educazione esplicita.
Il modello di Dehaene è detto “modello del triplo codice”, vi sono tre
diversi codici rappresentati in tre diverse aree cerebrali:
Processamento codice arabico (aree occipito-temporali ventrali
bilaterali);
Codifica verbale dei numeri (aree perisilviane sinistre);
Rappresentazione analogica delle quantità (aree intraparietali
bilaterali).
Inoltre per Dehaene ci sono due rappresentazioni esatte di numerosità:
1) Rappresentazione esatta di numerosità per piccole quantità
(subitizing), basato sulla percezione immediata della quantità,
che si evolve da 2-3 elementi nei bambini prescolari a 4-5
elementi negli adulti. Non è chiaro se questo sistema venga
coinvolto nei processi di enumerazione e calcolo e se sia in
relazione con i sistemi simbolici di rappresentazione dei
numeri.
2) Rappresentazione approssimata di numerosità anche per
grandi quantità, basato sulla rappresentazione della linea dei
54
numeri. Questo sistema viene gradualmente messo in relazione
con i sistemi simbolici di rappresentazione dei numeri per
l’enumerazione e il calcolo.
Quindi, il nostro cervello tratta in maniera diversa gli insiemi contenenti al
massimo tre elementi da quelli più grandi. Quando si chiede a soggetti
adulti di nominare il numero dei punti disposti a caso in un’immagine
mostrata loro, il tempo che impiegano per rispondere è quasi identico nel
caso di uno e due punti, ed è solo leggermente superiore per tre punti (poco
più di mezzo secondo). Oltre il tre, tuttavia, il tempo richiesto comincia ad
aumentare rapidamente. Al crescere del numero dei punti, cresce anche
quello degli errori. Dunque tutti ci comportiamo come, la tribù aborigena
dei Warlpiris, e cioè considerando solo tre possibilità: uno, due e molti, in
un sistema in cui il conteggio termina con il tre, limite oltre il quale
l’insieme viene semplicemente definito grande.
Il fatto che quando si superano i tre oggetti il nostro comportamento cambi
all’improvviso indica che il cervello si serve, nei due casi, di due
meccanismi diversi, che Dehaene, nel suo “The Number Sense”, presenta
con una serie di esperimenti molto interessanti. La percezione della
quantità per i numeri fino a tre è istantanea. Non contiamo ma ne
percepiamo immediatamente la presenza. Si tratta di una vera e propria
subitizzazione.
Anche i nostri 2 e 3 altro non sono che varianti grafiche, rispetto alla
notazione araba da cui discendono, di due e tre tratti orizzontali
sovrapposti. A partire dal 4, la notazione diventa simbolica e corrisponde
ad una capacità quasi esclusivamente umana di superare i limiti della
percezione immediata delle quantità numeriche.
Il tempo necessario per decidere la numerosità di un insieme aumenta in
modo lineare passando da tre a sei. Il fatto che in generale il cervello
55
manipoli gli insiemi contenenti non più di tre elementi mediante un
processo immediato, istintivo (e inconscio) trova ulteriori conferme negli
studi effettuati su pazienti con particolari lesioni cerebrali. Sebbene le
lesioni cerebrali spesso interessino vaste aree del cervello distruggendo
diverse facoltà mentali, a volte possono essere ben localizzate e avere uno o
due effetti molto specifici. In un caso, descritto da Dehaene, una paziente
era stata colpita da una lesione cerebrale che aveva cancellato la sua
capacità di contare e perfino di spuntare uno alla volta gli oggetti di una
serie. Tuttavia, se le si mostravano non più di tre punti sullo schermo di un
computer, la donna era ancora in grado di dire immediatamente quanti
fossero.
Quindi, più un numero è grande, più diminuisce la precisione della sua
rappresentazione mentale, e per indicare questa incertezza usiamo i numeri
approssimati.
Questi nuovi risultati sperimentali dimostrano che il cervello del bambino,
al momento della nascita non è una pagina bianca, come asserivano i
costruttivisti, e quindi, l’insegnamento precoce del numero sarebbe
dannoso perché il bambino non ne potrebbe comprendere il significato. “Il
cervello del bambino non è una spugna – sostiene invece Dehaene – è un
organo già strutturato che impara soltanto ciò che è in risonanza con le sue
conoscenze anteriori”. Come osservava lo stesso Locke nel 1689: “ Sono
molti quelli che sanno che 1+2 fa tre, senza aver mai riflettuto sugli assiomi
che lo dimostrano”.
“ È inutile dunque bombardare un giovane cervello di assiomi astratti. Mi
sembra che la sola strategia ragionevole per insegnare la matematica sia
quella che arricchisce progressivamente l’intuizione dei bambini, facendo
leva sul loro talento precoce per la manipolazione delle quantità e il
conteggio. Si comincerà con lo stuzzicare la loro curiosità con giochetti
56
divertenti; si passerà poi a esporre, a poco a poco, quanto siano utili le
scorciatoie che la notazione matematica simbolica permette, senza tuttavia
separala mai dall’intuizione quantitativa; infine, si introdurranno i sistemi
formali o assiomatici, sempre motivati da un’esigenza di semplicità. Si
tratta quasi di tracciare, nel cervello di ciascun allievo, la storia della
matematica e delle sue motivazioni” ( Dehaene, pag.268).
La teoria di Stanislas Dehaene trova grande approvazione negli studi del
neuropsicologo Brian Butterworth e in Keith Devlin, i quali partendo dalla
metafora dell’accumulatore di Dehaene elaborano altri concetti.
L’interesse di Brian Butterworth per il mondo dei numeri nasce quando
cominciò a occuparsi di pazienti un po’ particolari. La loro memoria era
normale, così come il linguaggio, ma non riuscivano a contare. Infatti, c’è
un’area particolare del cervello che è preposta alla gestione dei numeri,
perché i pazienti che hanno difficoltà a gestire i numeri presentano dei
danni in un’area della parte sinistra del cervello nota come il lobo parietale;
area molto lontana dai centri che si occupano del linguaggio e da quelli che
si occupano del ragionamento e della deduzione, processi che avvengono
nella parte frontale. Inoltre nella parte del cervello che si occupa dei numeri
esistono aree specializzate, ad esempio, una che gestiste la tabella delle
moltiplicazioni e un’altra che gestiste il riporto. Vi sono persone che
sbagliano soltanto in una di queste aree.
Da ciò Butterworth ha dedotto che esiste un’area del cervello specializzata
per i numeri, che chiama “Modulo Numerico”. Se il Modulo non funziona
bene, il soggetto è gravemente svantaggiato nella vita di tutti i giorni.
Il Modulo Numerico è la capacità posseduta dall’uomo di cogliere piccole
numerosità senza dover contare, è il nucleo innato delle nostre capacità
numeriche ed ha la funzione di classificare il mondo in termini di
numerosità, fino a un massimo di 4 o 5; se si desidera andare oltre tale
57
numerosità occorre ricorrere agli strumenti concettuali, perché la capacità
di saper usare correttamente gli strumenti matematici ci viene fornita dalla
nostra cultura. Gli strumenti concettuali si dividono in quattro categorie
principali:
Rappresentazioni che fanno uso di parti del corpo (dita delle mani,
dei piedi,..);
Rappresentazioni linguistiche (vocaboli speciali usati per contare);
Simboli numerici (simboli scritti speciali);
Rappresentazioni che fanno uso di aiuti esterni (incisioni di tacche,
calcolatrici,..).
Per Butterworth: “Siamo nati per contare. Abbiamo dei circuiti incorporati
che ci permettono di classificare il mondo in termini numerici. Perfino i
neonati percepiscono il numero delle cose”.
Le capacità numeriche dipendono da tre fattori: il nucleo centrale innato, le
conoscenze matematiche della cultura in cui viviamo, e la misura in cui
abbiamo acquisito tali conoscenze.
La base della matematica è rappresentata dal nostro senso della numerosità
e ciò non dipende dall’istruzione. I nostri antenati avevano questa capacità,
posseduta anche dagli animali, ma ciò che ci differenzia da loro sono due
competenze:
1. Siamo capaci non solo di distinguere la numerosità di un insieme
formato da quattro elementi da quella di un insieme di tre, ma siamo
in grado di
o Sperimentare la qualità astratta dell’essere quattro;
o Di riflettere su questa esperienza consapevole.
2. Siamo capaci di contare, ciò ci permette di enumerare oltre il quattro.
La combinazione del nostro senso innato con le due competenze è il
fondamento dalla matematica moderna.
58
Devlin a differenza di Butterworth e Dehaene affronta il problema
dell’innesto e della crescita della matematica simbolica sulla base delle
capacità cerebrali matematiche che sono sostanzialmente analogiche.
Anche per Devlin il pensiero matematico è un’abilità innata, che abbiamo
fin dalla nascita. Il senso dei numeri innato nei neonati è simile a quello
osservato nei ratti, nelle scimmie; Mark Hauser e i suoi colleghi
dell’Università di Harvard hanno, infatti, ripetuto sulle scimmie gli
esperimenti originali di Karen Wynn, ottenendo risultati simili. Ma fra tutte
le specie animali, solo gli esseri umani sembrano capaci di servirsi di
quest’abilità. L’uomo fin dalla nascita possiede la facoltà cerebrale
preposta al pensiero matematico che è la stessa che ci consente di usare il
linguaggio. Questa facoltà è il pensiero simbolico, definito da Devlin,
pensiero off-line, cioè la capacità che possediamo di formulare i
ragionamenti astratti, la capacità di cui abbiamo bisogno quando
formuliamo pensieri matematici.
Alla nostra capacità di fare matematica contribuiscono nove abilità mentali
che non sono tutte indipendenti le une dalle altre. Queste abilità sono:
Il senso del numero, insieme ad altre specie di animali gli esseri
umani hanno un senso del numero che è innato e non deve essere
appreso. Il senso del numero non richiede i numeri e si trova anche
nei bambini molto piccoli; infatti, se mettiamo di fronte a un
bambino due mucchietti di caramelle, uno piccolo e l’altro più
grande, sicuramente egli sceglierà il mucchietto più grande. Il
bambino non ha bisogno di contare le caramelle per capire quale dei
due mucchietti ne contiene di più. Ma per i bambini, il senso del
numero è ancora più sorprendente. Nel 1992 Karen Wynn ha
dimostrato che i bambini di cinque mesi, non soltanto hanno il senso
del numero, ma sanno che 1+1 fa due, che 3-2 fa uno e conoscono
59
tutta l’aritmetica, l’addizione e la sottrazione, per i numeri 1,2 e 3. In
seguito, altri psicologi hanno dimostrato che i neonati di due giorni
possiedono la stessa abilità.
La capacità numerica, richiede i numeri, soltanto gli esseri umani
hanno questa abilità, tranne alcuni casi come gli scimpanzé e le
grandi scimmie che dimostrano una certa conoscenza dei numeri.
Infatti, se si pone uno scimpanzé di fronte al teatrino delle marionette
e gli si fanno vedere le stesse cose, questo si comporta un po’ come
il bambino piccolo, proposto da Karen Wynn. Gli animali che
sembrano avere il miglior senso del numero, oltre agli esseri umani,
sono gli uccelli. I numeri in sé dipendono dal linguaggio, lo
psicologo Stanislas Dehaene ha verificato che una persona ricorda i
numeri nella lingua in cui li ha imparati.
La capacità algoritmica, è una sequenza specifica di passaggi che
portano ad un particolare obiettivo, è l’equivalente, per il
matematico, della ricetta per cucinare una torta.
Le prime tre abilità mentali sono i principali e necessari ingredienti per
fare dell’aritmetica.
La capacità di destreggiarsi con l’astrazione, è una capacità che il
cervello umano ha acquisito quando ha acquisito quella di usare il
linguaggio. Quindi, la ragione per cui moltissime persone hanno
difficoltà con la matematica è dovuta all’incapacità di applicare
quell’abilità alle astrazioni matematiche.
La percezione della causa e dell’effetto, abilità acquisita in età
precoce che conferisce a chi la possiede un vantaggio in termini di
sopravvivenza.
60
La capacità di costruire e seguire una concatenazione causale di
fatti o eventi, capacità esclusiva degli esseri umani acquisita dopo i
primi anni di vita.
La capacità di ragionamento logico, capacità di costruire e seguire
un ragionamento logico, collegata alla precedente abilità.
La capacità di ragionare in termini di relazioni, gran parte della
matematica si fonda sulle relazioni tra oggetti. Il ragionamento sulle
relazioni matematiche esistenti tra oggetti matematici non è molto
diverso dal ragionamento sulle relazioni interpersonali fra esseri
umani.
La capacità di ragionamento spaziale, qualunque creatura che si
muove deve possedere questa abilità, è essenziale per la
sopravvivenza di molte specie. È un’abilità che è alla base della
geometria.
Le nove abilità descritte sopra combinandosi fra loro ci consentono di fare
matematica.
Per Devlin la matematica rende visibile ciò che è invisibile; la matematica
non è solo ragionamento, ma il più delle volte è creatività e fantasia.
61
CAPITOLO III
FASE SPERIMENTALE
Premessa
I bambini iniziano molto presto a fare esperienze relative ai numeri con
funzioni e significati diversi e già nel periodo della scuola dell’infanzia li
sanno distinguere, denominare, contare, usare in diversi contesti.
Lo scopo dell’insegnante deve essere quello di rendere consapevole
l’attività del contare e di far comprendere gradualmente gli usi e le funzioni
che il numero può svolgere.
Per favorire ciò è necessaria una didattica legata ad esperienze ludiche,
perché attraverso i giochi è possibile rilevare le conoscenze e le
competenze dei bambini.
Il gioco è l’attività principale dei bambini, è grazie adesso che i bambini
sviluppano molteplici competenze: imparano a risolvere problemi, a
superare ostacoli che via via si presentano, ad orientarsi nello spazio, a
mettere in relazione oggetti ed elementi, a fare ipotesi e congetture, ad
operare confronti di quantità e a sperimentare tutti gli aspetti del numero
(cardinalità, ordinalità, ricorsività, misura).
È fondamentale costruire, fin dai primi anni di scuola, un’immagine della
matematica positiva e stimolante, per “Suscitare simpatia nei riguardi delle
attività a carattere matematico e … favorire una bella immagine di tutto
ciò che riguarda la matematica”2
.
Grazie al gioco si possono favorire situazioni significative di
apprendimento per gli alunni e contribuire all’immagine di una matematica
dal volto umano.
2
Bruno D’Amore- Aglì, L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia. Lo spazio, l’ordine, la
misura. Milano: Juvenilia.
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Concezione numero bambino

  • 1. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO Facoltà di Scienze della Formazione Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria Indirizzo Scuola dell’Infanzia La concezione del numero naturale nei bambini in età prescolare Tesi di Laurea di Relatore Bonsignore Benedetta Prof.re Spagnolo Filippo Matricola n° 0512914 ANNO ACCADEMICO 2006/2007
  • 2. 1 INDICE PREMESSA……………………………………………………… 3 CAPITOLO I………………………….…………………………. 5 1.1 Il numero………………………………………………….. 5 1.2 Analisi storico-epistemologica…………………………… 8 1.3 Le operazioni aritmetiche………………………………… 29 1.4 Gli approcci al numero naturale……………….………… 33 1.4.1 Approccio cardinale…………………………………… 33 1.4.2 Approccio ordinale…….……………………………… 35 1.4.3 Approccio ricorsivo…….……………………………… 36 1.4.4 Approccio geometrico…….…………………………… 37 CAPITOLO II: Evoluzione storica dei modelli delle abilità matematiche……………………………………. 40 2.1 Come si percepiscono i numeri…………………………... 40 2.2 Il modello di Piaget……………………….………………. 43 2.3 Il modello neuropsicologico…………………………….... 47 2.3.1 Il modello cognitivo di comprensione e produzione numerica e di calcolo aritmetico di McCloskey, Caramazza e Basili…………………………………… 48 2.4 Karen Wynn, Gelman e Gallistel……………………..…. 50 2.5 Modello di Dehaene, di Butterworth e di Devlin ……... 52 CAPITOLO 3: Fase sperimentale…………………………........ 61 Premessa……………………………………………………… 61 3.1 Ipotesi sperimentale……………………………………… 62
  • 3. 2 3.2 Campione della fase sperimentale…………….………… 63 3.3 La metodologia……………………………………………. 63 3.4 Gli strumenti utilizzati………………………….………… 64 3.4.1 Analisi a priori delle strategie risolutive……………. 67 3.4.2 Analisi quantitativa dei dati sperimentali……..……. 68 - Analisi descrittiva……….………………………….. 69 - Riflessioni conclusive……………………………….. 72 3.5 II Ipotesi sperimentale…………………………………… 73 3.5.1 Analisi descrittiva dei dati…………………………… 76 CAPITOLO IV: La didattica della matematica nella scuola dell’infanzia…………………………..………. 79 4.1 Che cosa significa “Fare matematica nella scuola dell’infanzia”………………………………………………. 79 4.2 La teoria delle situazioni…………………………………… 81 4.2.1 Schema di una situazione a-ditattica …………………. 86 CONCLUSIONI……………………………..…………………….. 91 Allegato 1…………………………………………………………… 93 Allegato 2…………………………………………………………… 99 Allegato 3…………………………………………………………… 101 BIBLIOGRAFIA…………………………………………………… 102 SITOGRAFIA……………………………………………………… 104
  • 4. 3 PREMESSA “Veramente ogni cosa che si conosce, reca un numero; infatti, è impossibile, senza numeri, conoscere e capire con la ragione alcunché. L’Uno è il fondamento di tutte le cose” Filolao (450 a.C.) Il concetto di numero è frutto della storia dell’umanità, senza di esso è impensabile concepire sia lo sviluppo del pensiero dell’Uomo che l’evoluzione della civiltà. I numeri sono un modo per ricercare la perfezione, un modo per avvicinarsi all’armonia dei rapporti naturali. L’idea di numero si può far risalire a circa 30000 anni fa, quando l’uomo preistorico registrava quantità numeriche inizialmente con le dita e, nel caso in cui non fossero sufficienti, formando mucchi di pietre o incidendo tacche su ossa o bastoni. Allo stesso modo un bambino, pur non conoscendo un sistema di numerazione, opera un confronto, in base ad un principio di corrispondenza, instaurando una relazione tra le dita della sua mano e gli elementi che vuole contare. J. Piaget aveva a lungo indagato su questo parallelismo tra asse evolutivo storico ed asse filogenetico e numerose furono le ricadute didattiche delle sue ricerche. Il “contare” rientra nelle attività prematematiche che vengono svolte nella scuola dell’infanzia; appartiene, quindi, all’esperienza prescolastica della maggior parte dei bambini. L’apprendimento del concetto di numero, tuttavia, non è un’impresa facile e, gli approcci al numero naturale sono molteplici; nessuno è da considerarsi più importante dell’altro.
  • 5. 4 Il presente lavoro si pone il fine di indagare sulle concezioni spontanee del numero naturale possedute dai bambini di 4-5 anni di età, secondo i diversi approcci. Nelle pagine che seguono vengono presentati i seguenti argomenti: Nel primo capitolo si affronta l’analisi storico-epistemologica del concetto di numero, gli approcci al numero naturale; Nel secondo capitolo si analizza l’evoluzione storica dei modelli delle abilità matematiche, precursore è stato sicuramente Piaget. Successivamente, intorno agli anni settanta, Gelman e Gallistel fino ad arrivare al modello neuropsicologico e al contributo degli studi di neuroscienze con Dehaene, Butterworth e Devlin; Nel terzo capitolo si affronta la fase sperimentale con la relativa descrizione dell’ipotesi, del campione, della metodologia, degli strumenti utilizzati, quindi, l’analisi a-priori e i comportamenti attesi dai bambini e, infine, la tabulazione dei dati con la relativa analisi; Nel quarto capitolo si affronta l’importanza della didattica della matematica nella scuola dell’infanzia, con particolare riferimento alla Teoria delle Situazioni di Guy Brousseau; Infine si riportano le considerazioni conclusive che hanno favorito una riflessione dell’analisi dei risultati raggiunti. Seguono gli allegati e la bibliografia.
  • 6. 5 CAPITOLO I 1.1 IL NUMERO All’inizio l’uomo si è chiesto: I NUMERI ESISTONO? I numeri, quelle entità con le quali facciamo addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni, divisioni e quant'altro, esistono? ? Già 2400 anni fa, circa, Platone si era posto il problema: che cosa esiste? Ecco allora che considerava il concetto di dunamis (potenza) secondo il quale esisterebbe tutto ciò che può (dunatai) compiere e subire un'azione. Esisteranno quindi tutti gli enti materiali che ci circondano, ed è evidente, perché possono allo stesso tempo compiere e subire azioni: ad esempio, il cane corre e può essere accarezzato, quindi esiste. Ma con questa definizione si è costretti ad ammettere anche l'esistenza di enti immateriali: le idee, ossia quelli che noi definiamo oggetti del pensiero, dovranno avere una loro esistenza proprio perché subiscono l'azione di essere pensati. Di conseguenza, in qualche misura esisteranno anche i numeri come oggetto del nostro pensiero..Invece, secondo Aristotele i numeri esistono, ma come pure e semplici astrazioni: egli effettua un'importantissima distinzione tra sostanza (ciò che per esistere non ha bisogno di null'altro all'infuori di sé) e accidente (ciò che per esistere ha bisogno di una sostanza cui riferirsi). Così la terra o il libro saranno sostanze proprio perché dotati di esistenza autonoma, il blu o il marrone saranno accidenti perché potranno esistere solo se abbinati ad una sostanza: il blu e il marrone di per sé, spiega Aristotele, non esistono, bensì esistono libri blu e terra marrone. Gli accidenti si trovano dunque ad avere un'esistenza che potremmo definire "parassitaria", ossia totalmente legata ad una sostanza cui riferirsi. Per quanto riguarda i numeri Aristotele non esita a collocarli tra gli accidenti: il
  • 7. 6 2 o il 3, di per sé, non esistono, bensì esistono gruppi di due o tre sostanze: tre libri, due penne, due case... Non è sbagliato dire che, in un certo senso, il numero è l'ultima cosa che permane man mano che si tolgono a due o più oggetti le differenze: i due libri hanno colori diversi, tolgo il colore; hanno scritte diverse, tolgo le scritte; hanno dimensioni diverse, tolgo le dimensioni; alla fine, quando li avrò spogliati di ogni cosa, resterà solo il numero: sono due. Così ragiona Aristotele e così siamo portati a ragionare anche noi: non ci sogneremmo mai di sostenere che il 2 o il 3 esistano di per sé senza sostanze cui riferirsi. Tuttavia Platone, a differenza di Aristotele, sosteneva l'esistenza dei numeri sganciata dalle sostanze: il 2 o il 3 per Platone esistono non solo nelle cose materiali (sostanze) che ne partecipano (2 case, 3 gatti...), ma addirittura come enti a se stanti: se ho un gruppo di 6 libri significa che esso partecipa all'idea del 6 (il numero ideale 6). L'idea di numero è "universale": infatti,mentre gli oggetti sensibili sono caratterizzati dal divenire e dal mutamento, soltanto delle idee si può propriamente dire che sono stabilmente se stesse; proprio questa differenza di livelli ontologici, ossia di consistenza di essere, qualifica le idee come modelli rispetto agli oggetti sensibili corrispondenti. L’idea è dotata di esistenza autonoma, né dipende per la sua esistenza dal fatto di poter essere pensata; essa è ciò di cui gli oggetti sensibili partecipano. La partecipazione all’idea, per esempio, di bellezza rende un determinato oggetto sensibile, bello. Le idee hanno quindi una quadruplice valenza: 1) ontologica: i cavalli esistono perché copiano l'idea di bellezza; 2) gnoseologica: riconosco che quello è un cavallo perché nella mia mente ho l'idea di cavallo; 3) assiologica: ogni idea è il bene cui tendere, lo scopo a cui aspirare; 4) di unità del molteplice: i cavalli esistenti sono tantissimi e diversissimi tra loro, ma l'idea di cavallo è una sola. .
  • 8. 7 Ora anche i numeri sono idee e hanno pertanto le prerogative delle idee: così come quel cavallo è bello perché partecipa all'idea di bellezza, esso è uno perché partecipa all'idea di uno; così come i cavalli materiali sono una miriade, ma l'idea di cavallo è una, così anche i 3 scritti sulle lavagne o sui fogli sono una miriade, ma l'idea di tre è una sola, da cui tutti gli altri tre dipendono. I numeri sono sì idee come le altre, ma si tratta d’idee particolarmente complesse tant'è che Platone non esita a collocarli su un livello superiore: i numeri ideali, ossia le essenze stesse dei numeri, in quanto tali, non sono sottoponibili ad operazioni aritmetiche. Il loro status metafisico è ben differente da quello aritmetico, appunto perché non rappresentano semplicemente numeri, ma l' essenza stessa dei numeri. I Numeri ideali, quindi, costituiscono i supremi modelli dei numeri matematici. Inoltre, per Platone i numeri ideali sono i primi derivati dai Principi primi, per il motivo che essi rappresentano, in forma originaria e quindi paradigmatica, quella struttura sintetica dell' unità nella molteplicità, che caratterizza anche tutti gli altri piani del reale a tutti gli altri livelli. Platone ha introdotto gli "enti matematici intermedi" per i seguenti motivi: i numeri su cui opera l'aritmetica, come anche le grandezze su cui opera la geometria, non sono realtà sensibili, ma intellegibili. Però, tali realtà intellegibili non possono essere Numeri Ideali né Figure geometriche ideali perché le operazioni aritmetiche implicano l'esistenza di molti numeri uguali (pensiamo ad esempio ad un'equazione dove, per dire, il numero 6 può comparire diverse volte) e le dimostrazioni e le operazioni geometriche implicano molte figure uguali e molte figure che sono una variazione della medesima essenza (pensiamo a molti triangoli uguali e molte figure che sono variazioni della medesima essenza, ossia triangoli di vario tipo: equilatero, isoscele...). Invece, ciascuno dei Numeri Ideali (così come ciascuna forma ideale) è unico, e inoltre i Numeri Ideali non sono operabili.
  • 9. 8 Quindi per Platone, gli enti matematici hanno caratteri "intermedi" fra il mondo intellegibile e il mondo sensibile, ed in quanto sono immobili ed eterni, essi condividono i caratteri delle realtà intellegibili, e cioè delle idee; invece, in quanto ve ne sono molti della medesima specie, sono analoghi ai sensibili. . Il fondamento teoretico di questa dottrina sta nella convinzione radicatissima in Platone della perfetta corrispondenza fra il conoscere e l'essere, per cui ad un livello di conoscenza di un determinato tipo deve necessariamente far riscontro un corrispettivo livello di essere. Di conseguenza, alla conoscenza matematica, che è di livello superiore alla conoscenza sensibile, ma inferiore alla conoscenza filosofica, deve corrispondere un tipo di realtà che ha le corrispettive connotazioni ontologiche. Certo oggi a noi la concezione di Platone sembra molto distante e improbabile e preferiamo quella aristotelica, tuttavia sorge un dubbio che rimette in gioco la teoria platonica: e se nessuno contasse più, i numeri continuerebbero ad esistere? Con la definizione aristotelica, infatti, essi esistono solo come processo di astrazione della mente umana e, se vi fosse un improvviso annichilimento della realtà, sembra quasi che non contando più nessuno i numeri debbano sparire, ma è evidentemente ridicolo dire così. 2 + 2 = 4 è vero anche senza che io lo pensi e quindi pare aver ragione Platone: i numeri hanno esistenza autonoma. 1.2 Analisi storico-epistemologica Le origini La matematica ebbe inizio dalla necessità di contare e di fissare in forma duratura i numeri. Non è mai esistita una società che non abbia utilizzato qualche forma di conteggio e che non abbia accompagnato una raccolta di
  • 10. 9 oggetti con gruppi di segni manipolabili, quali pietre, nodi, funi, segni incisi come intagli su legno o su ossa. Si può parlare della protomatematica che esisteva quando ancora non vi erano forme di registrazione scritta. Le nozioni originarie collegate ai concetti di numero, grandezza e forma si possono far risalire alle epoche più antiche in cui visse l’uomo. Lo sviluppo del concetto di numero è stato un processo lungo e graduale e la sua consapevolezza diventò col tempo così estesa e viva da far nascere il bisogno di esprimere tale proprietà in qualche modo. Sicuramente dapprima si utilizzò soltanto un linguaggio di segni; le dita di una mano poterono facilmente venire usate per indicare un insieme di due o tre o quattro o cinque oggetti, mentre il numero uno in un primo momento non venne riconosciuto come vero numero. Usando le dita di entrambe le mani si poterono rappresentare gruppi di oggetti contenenti fino a dieci elementi e, combinando le dita delle mani con quelle dei piedi si poté giungere fino a venti. Quando le dita si dimostrarono insufficienti , si usarono mucchi di pietre per rappresentare una corrispondenza con gli elementi di un altro insieme. Spesso l’uomo primitivo ammucchiava le pietre in gruppi di cinque, poiché l’osservazione delle mani e dei piedi gli aveva reso familiari i multipli di cinque. Aristotele notò che l’uso, oggi diffuso, del sistema decimale non fu altro che il risultato del fatto anatomico accidentale che la maggior parte di noi è nata con dieci dita dei piedi e dieci dita delle mani. Uno studio di parecchie centinaia di tribù di indiani d’America mostrò che la maggior parte usava una base decimale e molti altri un sistema quinario- decimale. L’uomo preistorico inoltre registrava i numeri incidendo intaccature su un bastone o su un pezzo di osso. L’osso di Ishango, ritrovato nell’area delle sorgenti del Nilo (nord est del Congo) che risale a più di 20000 anni fa,
  • 11. 10 presenta delle incisioni che potrebbero indicare una primitiva conoscenza della sequenza dei numeri primi. I segni sull’osso ishango consistono in una serie di incisioni disposte su tre colonne distinte; la riga (a) contiene quattro gruppi di incisioni, con rispettivamente, 9,19,21 e 11 segni. Nella riga (b) ci sono quattro gruppi di 19,17,13 e 11 segni; la riga (c) ha otto gruppi di incisioni di cui l’ultima coppia (6,3) è più ravvicinata, come lo sono i numeri (8,4) e (5,5,10), a suggerire un ordinamento voluto in sottogruppi distinti. De Heinzelin (1962), l’archeologo che collaborò allo scavo dell’osso ishango, scrisse che l’osso “può rappresentare un gioco aritmetico particolare, ideato da una popolazione che aveva un sistema numerico in base 10 e aveva anche una conoscenza della duplicazione e dei numeri primi”. Inoltre aggiunge dicendo che il sistema numerico ishango avesse viaggiato raggiungendo il lontano Egitto e avesse influenzato l’evoluzione di quello che fu il primo sistema decimale del mondo. Secondo altri studiosi invece i segni sull’osso ishango costituiscono un sistema di notazione sequenziale, cioè una registrazione delle diverse fasi lunari. ln Cecoslovacchia, circa 30000 anni fa, è stato trovato un osso di lupo che presenta, profondamente incise, cinquantacinque intaccature, disposte in due serie: venticinque nella prima e trenta nella seconda, divise in gruppi di cinque. Era probabilmente la registrazione di un cacciatore del numero di animali uccisi. Tali scoperte archeologiche forniscono una prova del fatto
  • 12. 11 che l’idea di numero è molto più antica di progressi tecnologici quali l’uso di metalli o la costruzione di veicoli a ruote. Solitamente si suppone che la matematica sia sorta in risposta a bisogni pratici dell’uomo, ma ricerche antropologiche suggeriscono l’ipotesi che l’arte del contare sia sorta in connessione con riti religiosi primitivi, e che l’aspetto ordinale abbia preceduto il concetto quantitativo per il fatto che nelle cerimonie rituali, vi era la necessità di chiamare i partecipanti secondo un certo ordine. Inoltre tale origine indica la possibilità che sia stata unica l’origine del contare, e in seguito si è diffusa ad altre regioni della Terra; ciò è provato dal fatto della divisione rituale dei numeri interi in dispari e pari, i primi considerati come maschili e i secondi come femminili. Il concetto di numero intero è uno dei più antichi concetti matematici e i sistemi decimali sono stati il prodotto della matematica dell’età moderna. Non ci sono dubbi che l’origine della matematica è più antica della stessa scrittura e risale a un’epoca anteriore alle più antiche civiltà, ma non bisogna commettere l’errore d’identificare l’origine della stessa alla civiltà greca. In particolare si deve agli arabi l’uniformazione, in campo matematico, delle tecniche di misurazione, che dai primordi egizi si sono evolute per merito degli alessandrini; l’introduzione dell’1, cioè il sistema numerico originario dell’India e che usiamo tuttora e, infine, l’introduzione dell’algebra. Erodoto sosteneva che la matematica avesse avuto origine in Egitto; infatti, riteneva la nascita di questa disciplina per rispondere alla necessità di misurare le terre dopo le periodiche inondazioni del Nilo. Anche per Aristotele la matematica era nata nella Valle del Nilo perché i sacerdoti vi trovarono l’agio per sviluppare la conoscenza teorica.
  • 13. 12 Matematica dell’Antico Egitto (2000 a.C. – 600 a.C.) Sulla matematica egizia esistono due fonti maggiori e molte fonti minori. La fonte di maggiore importanza e il più famoso e completo testo matematico a noi noto è il papiro di Ahmes che risale al 1650 a.C., copia - avverte lo scriba Ahmes che lo compose - di un esemplare più antico di tre secoli. È anche conosciuto come il Papiro matematico Rhind, dal nome del collezionista che lo acquistò nel 1858 donandolo poi al British Museum. All'inizio del papiro si legge: “Regole per scrutare la natura e per conoscere tutto ciò che esiste, ogni mistero, ogni segreto”, e contiene tavole di calcolo e 87 problemi ripartiti in vari gruppi, di natura pratica connessi con le attività di ingegneria edile, di agricoltura, di amministrazione, di approvvigionamento etc., esposti con intento didattico. Il papiro è scritto in ieratico, la scrittura corsiva egizia, usata per scrivere con pennello e inchiostro sui papiri, che si diffonde dal 2400 a.C. circa accanto alla più antica scrittura monumentale geroglifica. La seconda fonte principale è il Papiro di Mosca, scritto circa nel 1850 a.C. e venne portato in Russia, nel Museo delle Belle Arti di Mosca verso la metà del XIX secolo. Il Papiro di Mosca fu composto da uno scriba rimasto sconosciuto, contiene venticinque problemi, e tra questi due risultati notevoli per la matematica egizia: la formula del volume di una piramide tronca a base quadrata e l’area della superficie curva di un emisfero. Sia il Papiro di Ahmes che il Papiro di Mosca contengono una raccolta di centododici problemi. Il sistema di numerazione egizio è di tipo additivo con base decimale. Nella scrittura geroglifica (pittorica), usata per iscrizioni su lapidi e monumenti, i numeri vengono rappresentati tramite la giustapposizione di sette simboli rappresentanti le potenze di 10, da 1 a 1000000. Non esiste lo zero, né come segno né come spazio vuoto. Uno dei più antichi reperti con numeri
  • 14. 13 scritti in geroglifici è la cosiddetta mazza del faraone Narmer, risalente a circa 3000 a.C, che commemora la conquista delle regioni del delta del Nilo e in cui sono riportati alcuni grandi numeri: 120000 prigionieri, 400000 bovini e 1422000 capre, cioè i bottini di guerra del faraone Narmer. Nella scrittura ieratica (simbolica) i simboli si semplificano notevolmente e si formano nuovi simboli per indicare simboli ripetuti. I segni usati sono ora più numerosi, ma permettono una scrittura più rapida dei numeri. Poi vi è la scrittura demotica, un adattamento popolare della notazione ieratica. Egizi - geroglifica numerazione a base decimale, additiva
  • 15. 14 Egizi - ieratica numerazione a base decimale, additiva Nel periodo ellenistico gli studiosi dell’Egitto abbandonano l’antica lingua adottando la greca, così da quel momento la matematica egiziana si fuse con quella greca dando vita alla grande matematica ellenistica. Matematica dell’antica Mesopotamia (1900 a.C. – 300 a.C.) Conquiste matematiche più avanzate si trovano nei popoli della Mesopotamia. La nostra conoscenza della matematica babilonese deriva dal ritrovamento, risalente alla metà del XIX secolo, di più di 400 tavolette di argilla. Scritte in carattere cuneiforme, la maggior parte è datata dal 1800 al
  • 16. 15 1600 a.C., e trattano argomenti che includono frazioni, algebra, equazioni di secondo grado e tavole trigonometriche. La matematica babilonese faceva uso di un sistema di numerazione posizionale sessagesimale (cioè a base 60): con due simboli fondamentali, un cuneo verticale per le unità e una parentesi uncinata per le decine, si rappresentavano i numeri da 1 a 59. Per i numeri non si introducevano altri simboli, ma si affiancavano gruppi di cunei come i precedenti per indicare le successive potenze del 60. Quindi si tratta di un sistema posizionale per rappresentare i numeri (come quello arabico in uso oggi in tutto il mondo) che differenzia i Babilonesi da Egiziani, Greci e Romani. Ad esempio il numero costituito da tre gruppi di due cunei verticali ( ) sta a indicare 2x602 + 2x60 + 2, ossia 2x3600 + 2x60 + 2 cioè 7322. Il sistema di spaziatura consentiva spesso di risolvere le ambiguità di interpretazione dei raggruppamenti e delle eventuali colonne vuote. Successivamente, ai tempi di Alessandro il Grande si cominciò a usare un simbolo (due cunei obliqui) per indicare un posto vuoto; questo simbolo svolgeva alcune funzioni del nostro zero, ma non tutte: veniva usato fra colonne e mai per indicare colonne vuote alla fine della sequenza; dunque bisognava dedurre dal contesto l'interpretazione finale del numero. Sumeri numerazione additiva
  • 17. 16 Babilonesi numerazione posizionale, a base sessanta Un testo di fondamentale importanza che risale al periodo babilonese antico (1900 – 1600 a.C. circa) è la tavoletta Plimpton 322 che ha un profondo significato matematico dal punto di vista della teoria dei numeri e si ricollega a una forma embrionale trigonometrica. Matematica greca (circa 550 a.C. – 400 d.C.) La matematica greca ha avuto inizio con Talete di Mileto (624-546 a.C.) e Pitagora di Samo (582-507 a.C.) che furono influenzati dalle idee della matematica egiziana, babilonese e indiana. Pitagora fondò la scuola
  • 18. 17 pitagorica che diede importanti contributi alla geometria con la dimostrazione del Teorema di Pitagora (già scoperto empiricamente da egiziani e babilonesi) e alla teoria dei numeri. Per Pitagora i numeri rappresentano il fondamento del Tutto; la stessa realtà può essere compresa solo se la si riduce ad una quantità misurabile attraverso l’Aritmetica. Nella tradizione pitagorica i Numeri si distinguono in intellettuali, esistiti da sempre nella mente di Dio, e scientifici, che procedono dall’unità. Questi ultimi sono pari, con proprietà divisibili e femminili, e dispari, indivisibili e maschili. Nella civiltà greca classica sono noti due principali sistemi di numerazione. Il primo, più antico, è noto come attico ed è per molti aspetti simile a quello in uso presso i Romani, faceva infatti, uso accanto ai simboli fondamentali per l'1 e le potenze di 10 fino a 10000, di un simbolo speciale per il 5, che combinato con i precedenti, dava altri simboli anche per 50, 500, 5000, 50000. Compaiono testimonianze di questo sistema a partire dal V secolo al I secolo a.C., ma a partire dal III secolo a.C. l'altro sistema, detto ionico o alfabetico, aveva preso il definitivo sopravvento. Questa notazione si serve di ventisette simboli alfabetici (alcuni dei quali arcaici e non più usati nella Grecia classica) per indicare le unità da 1 a 9, le decine da 10 a 90, le centinaia da 100 a 900. Si usavano poi nuovamente le prime nove lettere precedute da un apice in basso per indicare i multipli di 1000, e per esprimere numeri ancora più grandi si ricorreva al simbolo (iniziale di miriade) che indicava di moltiplicare per 10000 il numero che seguiva. Ad esempio, la scrittura rappresenta il nostro 77.777.777.
  • 19. 18 Greci numerazione a base decimale, additiva Successivamente con la fondazione ad Alessandria della Biblioteca e del Museo, che raccoglievano le più grandi menti dell’epoca, si distinse l’opera di Euclide (367-283 a.C.). Gli Elementi di Euclide non sono soltanto la maggiore e più antica opera matematica greca che ci sia pervenuta, ma costituiscono anche il più autorevole manuale di matematica di tutti i tempi. L’opera fu composta verso il 300 a.C., e da allora in poi fu copiata e ricopiata ripetutamente. Si ritiene spesso, erroneamente, che gli Elementi di Euclide si limitino a trattare argomenti di geometria. Il II e il V libro riguardano quasi esclusivamente l’algebra, e il VII, l’VIII e il IX sono dedicati alla teoria dei numeri. Il termine “numero” per i greci si riferiva sempre ai numeri che oggi chiamiamo numeri naturali, ossia ai numeri interi positivi. Il libro VII si apre con una serie di ventidue definizioni che distinguono diversi tipi di numeri – dispari e pari, primi e composti, piani e solidi – e infine, definiscono un numero perfetto come “quello che è uguale alle sue parti”. In questi libri ciascun numero è rappresentato da un segmento, infatti, Euclide indica un numero con AB, inoltre usa le espressioni “è misurato
  • 20. 19 da” e “misura”; ossia, un numero n è misurato da un altro numero m se esiste un terzo numero k tale che n=km. Il libro VII contiene due proposizioni che costituiscono una famosa regola della teoria dei numeri, oggi nota come l’“algoritmo di Euclide” per trovare il massimo comune divisore (la misura) di due numeri. Fra le proposizioni successive troviamo formulazioni equivalenti a noti teoremi dell’aritmetica, in particolare, la Proposizione 8 afferma che, se an=bm e cn=dm, allora (a-c)n = (b-d)m. La Proposizione 24 afferma che, se a e b sono primi rispetto a c, allora ab è primo rispetto a c. Il libro termina con una regola (Proposizione 39) per trovare il minimo comune multiplo di parecchi numeri. Il Libro VIII si apre con una serie di proposizioni concernenti numeri in proporzione continua (progressione geometrica) e quindi tratta alcune semplici proprietà dei quadrati e dei cubi, terminando con la Proposizione 27: “Numeri solidi primi hanno l’uno con l’altro il rapporto che un numero cubo ha con un numero cubo”, cioè se abbiamo un “numero solido” ma*mb*mc e un “numero solido simile” na*nb*nc, allora il loro rapporto sarà m3 :n3 , ossia staranno tra loro come un cubo sta a un cubo. Il Libro IX, l’ultimo dei tre libri dedicati alla teoria dei numeri, contiene molti teoremi che presentano un interesse particolare. Fra questi il più famoso è la Proposizione 20: “I numeri primi sono più di una qualsiasi assegnata moltitudine di numeri primi”, cioè Euclide dimostra che il numero dei numeri primi è infinito. La dimostrazione è indiretta, cioè si mostra, infatti, che l’ipotesi dell’esistenza di un numero finito porta a una contraddizione. La Proposizione 35 contiene una formula per la somma di numeri in progressione geometrica: “Se tanti numeri quanti se ne vuole sono in proporzione continua, e dal secondo e dall’ultimo si sottraggono numeri
  • 21. 20 uguali al primo, allora come l’eccesso del secondo starà al primo, così l’eccesso dell’ultimo starà a tutti quelli che lo precedono”. Questa proposizione equivale alla formula 1 12 21 11 ... a aa aaa aa n n − = +++ −+ La quale a sua volta è equivalente alla formula r ara S n n − − = 1 L’ultima proposizione del libro IX è la formula per i numeri perfetti: “ Se tanti numeri quanti ne vogliamo, a cominciare dall’unità, vengono posti continuamente in proporzione doppia fino a che la somma di tutti i numeri non diventi un numero primo, e se la somma viene moltiplicata per l’ultimo numero, il prodotto sarà un numero perfetto”. Se Sn = 1+2+22 +…+2n-1 =2n -1 è un numero primo, allora 2n-1 (2n -1) è un numero perfetto. Gli antichi greci conoscevano i primi quattro numeri perfetti: 6,28,496,8128. Oggi sappiamo che tutti i numeri perfetti pari sono del tipo euclideo, ma la questione dell’esistenza di numeri perfetti dispari è ancora un problema irrisolto. Infine, il Libro X degli Elementi che contiene 115 proposizioni, oggi viene considerato un trattato sui numeri irrazionali. I Romani Nel sistema di numerazione romano, a base decimale, ci si serviva, come è noto, anche di simboli speciali per indicare 5, 50, 500. Alcune antiche epigrafi inducono a ritenere che i segni usati fossero inizialmente segni speciali, forse di origine etrusca, che solo successivamente, in seguito a
  • 22. 21 successive trasformazioni, assunsero l'aspetto e furono identificati con le lettere I, V, X, L, C, D, M. La scrittura dei numeri avveniva combinando additivamente i segni precedenti. Per agevolare scrittura e lettura si ricorse in alcune epoche e facoltativamente a un sistema sottrattivo, già utilizzato dagli Assiri, che ha traccia anche nelle forme verbali, come ad esempio “undeviginti”, stessa cosa di “decem et novem”: un simbolo posto alla sinistra di un simbolo di quantità maggiore viene sottratto, così IX e VIIII indicano entrambi il numero nove. I V X L C D M 1 5 10 50 100 500 1000 Romani numerazione a base decimale, additiva Matematica medioevale Matematica delle civiltà precolombiane Il periodo classico della civiltà Maya si situa tra il 200 e l’800 d.C.. Gli sviluppi della matematica Maya furono dovuti principalmente ai loro studi astronomici; essi usarono un sistema posizionale a base venti nel quale appariva anche lo zero che non fu considerato un numero, ma solo una cifra. La civiltà Inca (1400-1530) invece sviluppò un sistema di numerazione a 10 e, per indicare i numeri, usavano i cosiddetti quipu, un insieme di lunghi fili paralleli. Ogni filo rappresentava una potenza di dieci e il numero di nodi la cifra in quella posizione. Matematica cinese (200 a.C. – 1200) Non conosciamo molto della matematica cinese perché nel 212 a.C. l’imperatore Qin Shi Huang ordinò il rogo di tutti i testi scritti e, inoltre, gran parte delle opere erano scritte sul bamboo, molto deperibile. Del periodo Shang (1500 a.C. – 1027 a.C.) il più antico reperto di interesse per
  • 23. 22 la storia della matematica consiste in un guscio di tartaruga su cui sono incisi dei numeri che usano una specie di notazione decimale; ma non sappiamo con precisione quando questo sistema, che era il più avanzato al mondo in quel periodo, fu inventato. Dopo il rogo dei libri, durante la Dinastia Han (206 a.C.- 221 d.C.) furono prodotti vari lavori matematici; il più importante di questi è I nove capitoli dell’Arte matematica che consiste in una raccolta di 246 problemi riguardanti l’agricoltura, il commercio, l’ingegneria e altro materiale riguardante i triangoli rettangoli. Zu Chongzhi (V secolo) calcolò il valore di π con sette cifre decimali esatte. I matematici cinesi svilupparono una particolare predilezione per i quadrati magici e svilupparono il Triangolo di Pascal o di Tartaglia che si trova nel frontespizio del trattato Ssu Yuan Yu scritto dal matematico Zhu Shijie.
  • 24. 23 Il triangolo di Pascal nella numerazione moderna: Matematica indiana (400 – 1500) La civiltà indiana, più antica di quelle cosiddette ”classiche” greca o romana è già documentata nel periodo dei costruttori di piramidi egizie (3000-2000 a. C.). Ma di questo periodo non ci rimangono testimonianze per quanto riguarda la matematica. Sebbene un'attività matematica dovesse essere ben sviluppata già molto prima, i primi testi che ci sono giunti risalgono al V secolo d. C. Non è ancora chiaro esattamente dove e quando si sia sviluppato il sistema di notazione decimale posizionale che poi attraverso gli arabi si è diffuso in Europa. Tale sistema è utilizzato nell'opera del matematico indiano Aryabhata, vissuto intorno al 500 d.C., la più antica che ci è pervenuta se si eccettuano frammenti sparsi di matematici anteriori, dove però manca ancora l'uso di un simbolo zero. Testimonianze di scritture in forma posizionale si registrano anche prima, mentre per avere datazioni sicure di forme complete in cui compare anche il simbolo zero bisogna arrivare al IX secolo d.C..
  • 25. 24 Nel VII secolo Brahmagupta scoprì l’identità e la formula che portano il suo nome e per primo nel Brahma-sphuta-siddhanta usò senza riserve lo zero e il sistema decimale. È da una traduzione del testo che i matematici arabi accettarono il sistema decimale. L'idea di usare un numero limitato di simboli a cui dare valore diverso a seconda della posizione occupata può essere, secondo alcuni studiosi, arrivato agli indiani dalla conoscenza diretta o tramite i greci, del sistema sessagesimale babilonese. Gli indiani avrebbero allora iniziato ad utilizzare solamente i primi 9 simboli del loro sistema decimale in caratteri Brahmi, in uso dal III secolo a.C. Questi simboli assumono forme un po' diverse a seconda delle zone e dei periodi, ma sono comunque questi che gli arabi più tardi utilizzarono e che dalla forma araba sono passati in Europa fino alla forma definitiva resa uniforme dalla stampa nel XV secolo. Indiani (XI sec. d.C.) numerazione posizionale, a base decimale Quindi il nostro sistema numerico prende il nome di sistema indiano o indo-arabo, nome che indica l’origine indiana e la sua trasmissione per opera degli arabi. Inoltre il sistema numerico indiano fu introdotto in occidente da Leonardo il Pisano detto “il Fibonacci” che con la pubblicazione del suo trattato “Liber Abaci” del 976 d.C. fece conoscere un metodo di calcolo, fino allora sconosciuto in Europa, che aveva appreso dai mercanti Arabi con i quali teneva rapporti commerciali. Il Liber Abaci descriveva le “nove figure indiane” assieme al segno zero, che in arabo
  • 26. 25 veniva chiamato “zefiro”. È da zephirum e dalle sue varianti che sono derivati i nostri termini di “cifra” e “zero”. Matematica persiana e araba (750-1400) L’Impero islamico nell’VIII secolo d.C. entrò in contatto con la matematica ellenistica e con quella indiana e nella seconda metà del secolo, Baghdad divenne un nuovo centro del sapere a livello mondiale. Thabit ibn Qurra fondò una scuola di traduttori che tradusse in arabo le opere di Archimede, Euclide, Apollonio e molti testi indiani. Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi (780-850 circa), un matematico persiano, scrisse importanti volumi sul sistema di numerazione indiano e sul metodo per risolvere le equazioni. La parola “algoritmo” deriva dal suo nome e “Algebra” dal titolo della sua opera più importante Al-Jabr wa-al- Muqabilah. Al-Khwarizmi introdusse anche il sistema decimale nel mondo arabo, ed è considerato da molti studiosi il fondatore dell’algebra moderna. Ibn Qurra studiò i numeri amicabili; altri sviluppi alla materia furono apportati da Abu bakr al-Karaji (953-1029) nel suo trattato al-Fakhri. XVI, XVII, XVIII, XIX e XX secolo Nell’Europa del Cinquecento, e in particolare in Italia, si diffuse un forte interesse per l’algebra. In questo periodo si cominciarono ad accettare i numeri negativi chiamati “falsi”. Niccolò Tartaglia fu uno dei più importanti matematici del periodo e autore di una traduzione degli Elementi di Euclide in italiano. Nel XVII la matematica europea ricevette un forte impulso. Gli uomini di scienza iniziarono a riunirsi in Accademie o società, favorendo così lo sviluppo delle tecniche matematiche. Pierre Fermat (1601-1665) fu uno dei matematici più produttivi del secolo che oltre ad occuparsi di geometria, diede un enorme contributo alla Teoria dei numeri; introdusse i numeri primi di Fermat, congetturò diversi teoremi
  • 27. 26 come il teorema sulle somme di due quadrati. Il teorema di Fermat ci permette di classificare i numeri primi in due categorie: quelli che sono e quelli che non sono la somma di due quadrati. Nel XVIII secolo, Leonhard Euler (1707-1783) chiamato Eulero, uno dei più grandi matematici di tutti i tempi e importante teorico dei numeri, fornì una dimostrazione dell’infinità dei numeri primi, dando inizio alla teoria analitica dei numeri. Inoltre, dimostrò molti teoremi lasciati indimostrati da Fermat e introdusse la funzione phi di Eulero. Goldbach (1690-1764) enunciò la sua famosa congettura tutt’oggi irrisolta che afferma che ogni numero pari eccetto 2 è esprimibile come somma di due numeri primi. Un altro importante matematico del periodo fu Adrien-Marie Legendre (1752-1833) che congetturò il metodo dei minimi quadrati indipendentemente da Gauss. Fu anche un brillante teorico dei numeri: dimostrò l’ultimo teorema di Fermat per il caso n=5, congetturò il Teorema dei numeri primi. Nel XIX secolo conosciuto come L’età dell’oro della matematica, nacquero le prime società matematiche. Nella seconda metà del secolo il centro per gli studi matematici si sposta da Parigi a Gottinga dove risiedevano matematici come Gauss, Riemann e Dirichlet. Gauss (1777-1855) dopo aver dimostrato nel 1799 il teorema fondamentale dell’algebra, si occupò di teoria dei numeri, pubblicando nel 1801 le Disquisitiones Arithmeticae. La teoria dei numeri, in questo secolo, vide l’introduzione di nuovi concetti sempre più legati ai metodi analitici. Nelle Disquisitiones Gauss introduceva l’aritmetica modulare, il concetto di intero gaussiano e congetturò indipendentemente da Legendre il metodo dei minimi quadrati e il teorema dei numeri primi che mette in relazione la distribuzione di questi con la funzione logaritmica.
  • 28. 27 Dirichlet (1805-1859) che alla morte di Gauss prese il suo posto d’insegnante dimostrò il teorema secondo il quale in tutte le progressioni aritmetiche si trovano infiniti numeri primi, usando complessi metodi analitici. Il lavoro più importante nella teoria dei numeri fu quello di Riemann (1826-1866), il successore di Dirichlet nella cattedra di matematica a Gottinga che in un articolo del 1859 introdusse la funzione zeta di Riemann, egli capì il collegamento di questa con la distribuzione dei numeri primi. Joseph Liouville (1809-1882) dimostrò nel 1844 l’esistenza di numeri trascendenti. Nella seconda metà del secolo si iniziò a cercare di definire logicamente il concetto di numero. Weierstrass e Dedekind (1831-1916) definirono il concetto di numero reale partendo da quello di numero naturale e di numero razionale. Frege (1848 – 1925) definì il concetto di numero naturale su basi logiche, definizione che si basava sul concetto di cardinalità di un insieme. La definizione di Frege di numero cardinale di una data classe, sia essa finita o infinita, è la classe di tutte le classi che sono simili alla classe data ( simili nel senso che gli elementi delle due classi possono essere messi in corrispondenza biunivoca). Questa definizione apparve per la prima volta nel 1884 in un libro famoso, I fondamenti dell’aritmetica. Giuseppe Peano (1858 – 1932), matematico italiano, introdusse cinque assiomi che descrivevano il concetto di numero naturale in modo assiomatico. Gli assiomi di Peano, formulati nel 1889 negli Arithmetices principia nova methodo exposita, sono: 1) Zero è un numero; 2) Se a è un numero, il successivo di a è un numero;
  • 29. 28 3) Zero non è il successivo di nessun numero; 4) Due numeri, i cui successivi sono uguali, sono essi stessi uguali; 5) Se un insieme S di numeri contiene zero e contiene anche il successivo di ogni numero contenuto in S, allora ogni numero è contenuto in S. L’ultimo postulato è l’assioma d’induzione. Dedekind definì per primo l’infinità di un insieme come il fatto che un suo sottoinsieme potesse essere messo in corrispondenza biunivoca con esso. Partendo da questo lavoro Georg Cantor (1845 – 1918) iniziò a studiare gli insiemi infiniti, scoprendo che i numeri interi sono tanti quanti i numeri razionali (ossia i due insiemi hanno la stessa potenza) ma che l’insieme infinito dei numeri reali è più grande di quello dei razionali. Congetturò poi che non vi fossero altre potenzialità di infinito tra questi due insiemi. La congettura è chiamata l’ipotesi del continuo. Anche se queste scoperte generarono scetticismo nella comunità dei matematici, le idee di Cantor sono alla base della moderna teoria degli insiemi. Nel XX assistiamo a una moltiplicazione di teoremi e scoperte matematiche. Nel 1901 Bertrand Russel (1872 – 1970) espose, in una lettera a Frege, il cosiddetto paradosso di Russel che metteva in discussione la sua formulazione della teoria degli insiemi e dunque della matematica. Questa scoperta portò Ernst Zermelo e Adolf Fraenkel a riformulare la teoria su basi assiomatiche. Anche Russel cercò parallelamente di rifondare la matematica su degli assiomi, e insieme a Whitehead (1861-1947) scrisse Principia Mathematica. Il fallimento di queste impostazioni assiomatiche (anche di quella di Peano), fu decretato nel 1931 da Godel (1906-1978) con il suo famoso teorema di incompletezza di Godel, secondo il quale in ogni
  • 30. 29 sistema assiomatico coerente esistono proposizioni indecidibili, che non possono essere né dimostrate né confutate. Nel XX secolo anche la teoria dei numeri ricevette un grande impulso; Srinivasa Ramanujan (1887-1920), il genio indiano del XX secolo, dimostrò molti teoremi e formule, introdusse la funzione mock theta. Atle Selberg (1917-2007) e Paul Erdos (1913-1996) dettero nel 1949 una dimostrazione elementare del teorema dei numeri primi. Nel 1994, dopo anni di lavoro, Andres Wiles dimostrò l’Ultimo teorema di Fermat, usando molte tecniche di algebra moderna. 1.3 Le operazioni aritmetiche Una delle caratteristiche principali del sistema di numerazione indo-arabico è quella di poter eseguire, senza l'aiuto di strumenti e con procedimenti relativamente semplici e veloci, calcoli scritti (e dunque controllabili successivamente). L'abilità nel far di conto viene spesso indicata come uno dei fattori che contribuirono ad una rapida espansione e supremazia nel commercio dei mercanti Toscani. Gli algoritmi che apprendiamo a scuola per eseguire addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni e che sembrano rigide regole immutabili (“Si fa così”) hanno una storia fatta di tentativi e di accorgimenti diversi, anche dovuti ad esigenze diverse (velocità, sicurezza, semplicità ...) che ha origine nell'India del VI secolo d.C. e prosegue nel contributo di matematici arabi e persiani del Medioevo fino al Rinascimento europeo ed in particolare italiano. • Addizione L'addizione veniva effettuata già in India in maniera molto simile a quella odierna; l'idea fondamentale è quella dell'incolonnamento e l'esecuzione
  • 31. 30 delle somme a partire dalla colonna delle unità con eventuale riporto. Nel Liber abaci e in molti trattati d'abaco il risultato veniva scritto sopra e non sotto gli addendi. • Sottrazione Per la sottrazione accanto ad un procedimento che è sostanzialmente il nostro, troviamo anche un modo detto per complemento; consiste nel sommare a partire dalla colonna delle unità la cifra del minuendo con il complemento a 10 della cifra del sottraendo nella stessa colonna e, scritte le unità del risultato, procedere poi analogamente con la colonna subito a sinistra con l'accorgimento che se la somma parziale trovata nella colonna precedente non supera 10 si deve calcolare non il complemento a 10 ma il complemento a 9. • Moltiplicazione La moltiplicazione è l'operazione per la quale troviamo la maggior varietà di metodi, che anche graficamente assumono aspetti molto diversi tra loro e ai quali gli abachisti assegnarono i nomi più fantasiosi. L'attuale metodo veniva detto in Toscana per biricucolo forse dal nome di certe crostate di albicocche che lo schema a quadretti presente nei testi più antichi poteva ricordare. Probabilmente per lo stesso motivo lo stesso metodo veniva invece indicato come per schacchiere a Venezia e per organetto a Verona. Si tratta comunque di un metodo molto antico, già usato in India. Nel Liber abaci Fibonacci espone un metodo detto per crocetta noto agli indiani come moltiplicazione fulminea perché, una volta acquisito, è un metodo molto rapido tanto che viene ancora oggi usato dai campioni di calcolo mentale.
  • 32. 31 Un algoritmo che riduce al minimo le possibilità di errori, perché i possibili riporti si hanno solo in sede di addizioni che seguono una serie di semplici moltiplicazioni a una cifra, è quello detto in Italia a gelosia e noto già agli indiani e poi agli arabi come a caselle o a reticolo. Nel procedimento moltiplicando e moltiplicatore si scrivono lungo due dei lati di un rettangolo diviso in caselle, a loro volta divise a metà lungo la diagonale, entro cui si scrivono decine e unità dei prodotti incrociati delle singole cifre di moltiplicando e moltiplicatore e poi si somma lungo le diagonali. Gelosia è il nome della grata posta a protezione delle finestre e dunque, come si legge ad esempio nel trattato di Francesco Feliciano, Scala grimaldelli: “Moltiplicare per gelosia over per graticola si è per certa similitudine di quelle che si mettono alli balconi, over finestre, perché le donne non si vedano s'elle non vogliono. Il qual si fa al modo del quadrilatero, eccetto che a quello si teneva le decene, e a questo non si tiene. Ma ogni cosa si mette giù, fatto la figura, come vedi qui da canto”. Ecco uno schema di moltiplicazione a gelosia, tratto dall'Aritmetica di Treviso. La moltiplicazione eseguita è 934 per 314, (da porre in alto e a destra della griglia) il cui risultato, 293276, si legge di seguito al margine sinistro e basso della griglia stessa:
  • 33. 32 Il quadrilatero era un altro metodo molto comune, esposto anche nel Liber abaci. Questo è lo schema relativo alla stessa moltiplicazione precedente, tratto sempre dall'Aritmetica di Treviso: Inoltre vi è un metodo alla francese detto anche a calice o coppa o tazza o bicchiere per la forma dello schema, rovesciato rispetto a quello che viene altrove indicato come a piramide. • Divisione Per quanto riguarda la divisione, il procedimento che noi utilizziamo ha raggiunto l'attuale forma nel XV secolo ed è detto a danda probabilmente perché una volta ottenuta una cifra del quoziente, il dividendo deve dare una cifra da collocare accanto al precedente resto. Si trovano, e tuttora si insegnano, due varianti, a danda lunga e a danda corta a seconda che si scriva o no la sottrazione che porta di volta in volta al resto. Prima del XV secolo la divisione veniva eseguita con un metodo di origine indiana che gli abachisti medioevali chiamavano a galera o a battello, per la somiglianza che vedevano nella disposizione delle cifre nello schema risolutivo, con una nave a remi. Questo metodo anche se più laborioso e meno sicuro della danda venne usato fino al XVII secolo.
  • 34. 33 1.4 Gli approcci al numero naturale “Dio creò i numeri naturali, tutto il resto è opera dell’uomo” diceva Kronecker, riconoscendo che il concetto di numero è una realtà estremamente complessa. Esso è la base della matematica; infatti, alla parola “matematica” si associa comunemente la parola “numeri” e alla parola “numeri” si associa subito che servono per contare: 1,2,3,4,5,…….., sono quelli che ci diventano subito familiari fin dall’inizio della scuola e ancora prima. Il contare è stato con ogni probabilità uno dei primi processi “matematici” che l’uomo ha sviluppato. La sua conquista è una questione troppo articolata perché l’insegnante possa sottovalutarla. L’idea di numero è complessa e questa complessità richiede un approccio che si avvale di diversi punti di vista senza trascurarne né privilegiarne alcuno. I vari approcci al concetto di numero naturale, proposti tra l’Ottocento e il Novecento, sono: Approccio cardinale; Approccio ordinale; Approccio ricorsivo; Approccio geometrico. 1.4.1 Approccio cardinale L’approccio cardinale considera il numero di oggetti contenuti in un insieme non attraverso un conteggio di questi, ma mediante un confronto con altri insiemi. Così, ad esempio, il numero cardinale “cinque” di un insieme viene determinato dalla corrispondenza degli elementi con il numero delle dita di una mano. I presupposti logici che garantiscono una corretta acquisizione del concetto di numero naturale secondo l’approccio cardinale sono le attività di:
  • 35. 34 • Classificare; • Mettere in relazione; • Effettuare partizioni secondo relazioni di equivalenza. L’approccio cardinale si sviluppa dunque attraverso l’uso della corrispondenza biunivoca per il confronto tra insiemi e la conseguente caratterizzazione di insiemi equipotenti. La semplicità di quest’approccio, privilegiato dall’insiemistica, viene oggi contestata da molti; infatti, se dal punto di vista matematico potrebbe essere accettata la conclusione a cui erano pervenuti i bourbakisti, secondo cui il numero cardinale era prioritario e quindi più semplice di quello ordinale, dal punto di vista didattico non è così. Infatti, l’acquisizione dell’aspetto cardinale è funzionale alla comprensione del “tanti quanti” e quindi, dall’intuizione del principio di invarianza. La comprensione del principio d’invarianza è un momento determinante nel processo cognitivo del bambino perché segna il passaggio da una visione fortemente egocentrica ed irreversibile della realtà ad una visione relativa delle cose attraverso la quale comincia a farsi strada la reversibilità del pensiero. Gli studi condotti da Piaget mostrano che i bambini tra i cinque e i sette anni incontrano difficoltà nell’accettare che alcune quantità continue (acqua e altri liquidi,..) e discontinue (insieme di monete, di palline,…) conservano la stessa entità se sono disposte in maniera differente. Secondo Piaget la conquista del principio è un’importante tappa nell’evoluzione del pensiero che diventa “reversibile” e quindi, capace di operazioni logiche. Quindi, la comprensione dell’aspetto cardinale del numero viene raggiunta dal bambino attraverso la comprensione dell’irrilevanza dell’ordine e dell’invarianza rispetto alle disposizioni spaziali. Per il raggiungimento della comprensione e dell’uso consapevole dell’approccio cardinale si possono proporre le seguenti attività:
  • 36. 35 Formare insiemi; Rappresentare insiemi e individuare relazioni di appartenenza; Individuare l’insieme vuoto, l’insieme unitario e il sottoinsieme di un insieme; Individuare relazioni fra insiemi; Confrontare insiemi; Riconoscere e costruire insiemi equipotenti; Intuire l’astrattezza dei criteri per la formazione dei gruppi numerici. 1.4.2 Approccio ordinale Alcune ricerche sperimentali hanno dimostrato invece che i bambini acquistano la nozione di numero sotto forma di sequenza ordinata e solo più tardi sotto forma di quantità. È la concezione ordinale secondo cui il bambino determina il numero di oggetti contenuti nell’insieme non con un confronto, ma contando “uno, due, tre, quattro, cinque” per cui l’ultimo numero pronunciato è anche il numero cardinale dell’insieme. I presupposti operativi che garantiscono un’acquisizione corretta del concetto di numero naturale secondo l’approccio ordinale sono le attività di: • Confrontare; • Mettere in relazione; • Ordinare. L’approccio ordinale si sviluppa attraverso l’uso della relazione d’ordine che consente di confrontare due numeri e di decidere, nel caso in cui siano diversi, quale dei due è maggiore. Quindi le basi teoriche dell’approccio ordinale sono la relazione d’ordine e il principio di induzione.
  • 37. 36 Mentre nell’aspetto cardinale il numero è visto sotto forma di quantità, nell’aspetto ordinale è visto sotto forma di sequenza ordinata. L’uso consapevole di relazioni spazio-temporali (davanti-dietro, prima - dopo) determina il controllo della relazione d’ordine e prepara alla comprensione dell’idea di successore e di predecessore. Per il raggiungimento della comprensione e dell’uso consapevole dell’approccio ordinale si possono proporre le seguenti attività: Usare consapevolmente i termini davanti-dietro, prima - dopo, subito prima-subito-dopo, Riconoscere ed applicare relazioni d’ordine di carattere estensivo e temporale; Confrontare quantità; Stabilire una relazione d’ordine fra due numeri usando i simboli >, =, <; Ordinare i numeri da 0 a 9; Conoscere ed utilizzare la linea dei numeri. 1.4.3 Approccio ricorsivo Non va dimenticato che il numero naturale è anche collegato con il concetto di ricorsività. Il bambino che conta quante volte riesce a saltare a piedi uniti, quanti quadretti disegna in fila, quante volte riproduce un suono, ripete un’operazione e contemporaneamente tiene conto di quante volte la sta riproducendo. I risultati di ogni singola operazione vengono accumulati ed il bambino adopera il numero per valutare il risultato di quest’accumulo che continua fino a quando egli è in grado di contare o ripetere l’operazione. Quest’approccio si fonda sulle successioni e le regole che consentono la costruzione delle successioni stesse; esso si contraddistingue per le qualità
  • 38. 37 dinamiche, costruttive e di essenzialità che possiede e, per l’impostazione interdisciplinare che lo caratterizza. Le successioni che entrano in un primo momento nell’organizzazione mentale del bambino sono le successioni temporali; successivamente si svilupperanno nello spazio attraverso giochi di movimento individuali o collettivi. Si tratta di successioni finite ma con la possibilità di poter trovare sempre ancora un altro elemento dopo l’ultimo. Nell’approccio ricorsivo si rinuncia a dire che cosa è un numero naturale ma si precisa come funziona il sistema dei numeri naturali, basandosi sull’idea del successivo. Questo approccio offre anche l’opportunità di preparare l’idea di funzione che è importante sia come idea portante della costruzione matematica ma anche della formazione del pensiero. Per il raggiungimento della comprensione del numero naturale attraverso l’approccio ricorsivo si possono proporre le seguenti attività: Usare consapevolmente i termini davanti-dietro, prima-dopo, destra- sinistra; Riconoscere e continuare un ritmo grafico cromatico; Individuare sequenze e scoprire serie ascendenti e discendenti; Intuire che la serie naturale dei numeri si forma con la successiva aggiunta di un’unità; Realizzare serie numeriche ascendenti e discendenti; Consolidare l’intuizione del “+1” come funziona che fa nascere la serie dei numeri naturali. 1.4.4 Approccio geometrico L’approccio geometrico è connesso con la tradizione geometrica greca, tradizione che è fondamento del patrimonio culturale collettivo.
  • 39. 38 L’approccio geometrico presuppone un approccio al numero dal punto di vista della misura. Infatti, saper rispondere a domande del tipo: “quante matite ci sono nel banco?” è diverso dal rispondere a domande del tipo “quanta acqua c’è nella bottiglia?” o “quanta sabbia hai adoperato per costruire il castello?” Nella prima situazione l’alunno può contare, mentre invece la capacità di rispondere al secondo gruppo di domande presuppone un approccio al numero di tipo geometrico. È necessario che il bambino sappia trovare un’unità di misura, ad esempio un bicchiere, iterarla contando il numero dei travasi realizzati e, nel caso in cui la grandezza da misurare non sia stata esaurita, suddividere l’unità di misura. Il numero viene così collegato a unità di misura. Naturalmente misurare è molto più complesso che contare, di conseguenza richiede maggiore consapevolezza da parte dei bambini e l’intervento didattico deve agire nella direzione di non disperdere o ignorare l’aspetto percettivo legato alla misura. Attraverso attività mirate bisogna rafforzare ed estendere tutte le operazioni mentali sottese all’attività di misura. In particolare, l’itinerario di lavoro per far conseguire al bambino tale concetto è articolato in tre fasi distinte: 1. Attraverso il confronto diretto; 2. Attraverso il confronto indiretto con campioni arbitrari; 3. Attraverso il confronto indiretto con le unità di misura convenzionali. Per il raggiungimento della comprensione e dell’uso consapevole del “numero dimensionato” si possono proporre le seguenti attività: Riconoscere ed applicare relazioni d’ordine: invitare l’alunno a mettere in ordine gli oggetti dal più piccolo al più grande o secondo il peso, la quantità;
  • 40. 39 Operare confronti di quantità; Anche attraverso i regoli in colore: ogni numero misura una lunghezza che varia a seconda del colore del regolo. I regoli sono una buona rappresentazione pratica dell’approccio al numero tramite la misura; Operare confronti fra grandezze. Tutti gli approcci che portano all’acquisizione del numero naturale non sono da intendersi come strade autonome e separate. Infatti, quando si deve rispondere alla domanda “quanti sono” è necessario contare gli oggetti (aspetto cardinale) e nello stesso momento in cui si contano, si vanno ordinando (aspetto ordinale) e nella conta si procede aggiungendo uno in più (aspetto ricorsivo).
  • 41. 40 CAPITOLO II EVOLUZIONE STORICA DEI MODELLI DELLE ABILITÀ MATEMATICHE 2.1 Come si percepiscono i numeri Tutti siamo concordi nell’affermare che la realtà numerica circondi la persona. Non è altrettanto noto quali siano i meccanismi che permettono al bambino di apprendere questo universo fatto di simboli e segni. Quindi, è fondamentale definire come avviene questo processo. Come punto di partenza si può dire che la percezione del numero deriva da una maturazione intellettuale, uno sviluppo che assegna ad ogni stadio un preciso percorso di riconoscimento simbolico matematico. Ciò che deve essere appreso è il ragionamento matematico, quale espressione di concettualizzazioni che stanno alla base di ogni discorso numerico. Il simbolo dell’uguale, ad esempio, per l’adulto può apparire tanto naturale quanto la sua percezione, eppure fin tanto che il bambino non ha ben chiaro quale sia l’implicazione logica derivante da quel determinato simbolo, cioè l’equiparare due entità reali, non avrà la possibilità di elaborare altre idee come la grandezza, la minoranza e la maggioranza, le quali prevedono una maggiore difficoltà logica. L’importanza di un opportuno riconoscimento da parte del bambino del concetto di numero non si dimostra solo nell’elaborazione di operazioni, come il sommare o il sottrarre, poiché la persona, attraverso l’appropriazione e l’uso dei numeri, esprime la sua natura logico-razionale. Per la percezione del numero e il successivo ragionamento matematico sono individuabili quattro fasi: la prima che si colloca verso i due anni di età, è chiamata fase pre-numerica, in cui il bambino ha il compito di apprendere le parole e il loro significato al fine di una propria produzione
  • 42. 41 verbale. Qui si attivano meccanismi cerebrali fondamentali per la percezione del numero e delle grandezze fisiche. Dopo aver superato questa fase, si incontra una seconda fase detta genesi del numero e della logica in cui si gettano le basi per una logica matematica che avrà il ruolo di far comprendere quello che Riemann descrive come calcolo superiore. Qui la persona traduce i simboli, cioè i numeri, in significati specifici, in rappresentazioni concettuali. In questa fase le capacità operative ed operazionali si legano a quelle linguistiche al fine del miglioramento sia dell’espressione verbale che dell’assimilazione di concetti come: corrispondenza, accoppiamento, ordinamento. Questo stadio da una parte permette al bambino di valutare i numeri come espressione quantitativa, dall’altro prepara la strada all’ingresso di una futura concezione del numero visto come idea e non più come essenza reale e concreta. Segue la terza fase, quella della conoscenza del numero in cui si percepisce l’idea andando oltre la semplice grandezza fisica percepita dai sensi, i concetti appresi assumono un’altra prospettiva, nel senso che il bambino non considera più solo la quantità, ma quella quantità che di volta in volta si trova a dover relazionare e che trasforma e plasma a seconda dell’oggetto. Nella quarta ed ultima fase, a cui i bambini giungono tra i 5 e gli 8 anni, si attua un processo di conservazione nel quale si sedimenta l’idea di quantità a cui si aggiunge la logica-razionale. Il concetto di conservazione da una parte è perno per un corretto apprendimento dell’insieme dei numeri (conservazione semplice), dall’altro si relaziona con la logica matematica, descritta da Russel (conservazione complessa). Infatti, comprendere che una data quantità rimane costante, anche dopo molteplici trasformazioni, purché quello che si aggiunge sia uguale a quello che si sottrae, è un’operazione poco memorizzabile. In questo caso subentra l’intuito
  • 43. 42 matematico, rintracciabile in quella conservazione complessa che permette una relazione tra le entità numeriche. Il concetto di conservazione è legato allo stadio di appartenenza di ogni singolo bambino e quindi, diviene fondamentale il suo riconoscimento al fine di produrre un percorso che non presenti bruschi salti. Inoltre, riconoscere nello stadio pre-numerico quali parole il bambino è in grado di percepire è importante quanto la produzione stessa, al fine di determinare una maturazione significativa. Un ulteriore passo in avanti, nel processo di apprendimento del numero, oggi è costituito dalle neuroscienze, che Goldberg definisce “anima del cervello”. Grazie all’apporto delle neuroscienze nel campo educativo, la percezione del numero si può descrivere come attività cerebrale e, più specificatamente, come dinamica del lobo frontale sinistro dove risiede la parte logico-razionale, il quale risulta essere codificatore e recettore di ogni entità numerica. Nello stesso tempo questa porzione encefalica è adibita anche al riconoscimento delle grandezze di tali numeri grazie a una sorta di righello mentale numerico, dove ogni numero viene collocato in base alla sua grandezza per mezzo di una logica che prevede la collocazione di un numero a sinistra di quello più grande dello stesso. È importante che l’insegnante prenda coscienza del fatto che questo sapere influenzerà in maniera definitiva tutto il campo di apprendimento. In conclusione è doveroso dare ragione a Gardner (Gardner 1975) quando scrive: “Ho sempre pensato che il modo migliore per rendere la matematica interessante a studenti e non, è quello di accostarla come se fosse un gioco. A livelli superiori, specialmente quando la matematica è applicata a problemi concreti, può e deve essere terribilmente seria. A livello più basso, nessuno studente può essere motivato a studiare, per esempio, la teoria astratta dei gruppi dicendogli che la troverà bella,
  • 44. 43 interessante, o addirittura utile, se diventerà un fisico delle particelle elementari”. Questa metodologia non attiverà quelle parti del cervello che permettono l’apprendimento del numero? Anche Peano un grande matematico diceva: “I calcoli sui numeri astratti diventano più divertenti, se fatti sotto forma di giochi”. E prima ancora Platone: “In Egitto sono stati inventati giochi aritmetici per i bambini, che così imparano divertendosi con piacere. …. Così facendo i bambini prendono confidenza con i numeri…. rendendo più vivace il loro modo di ragionare”. 2.2 Il modello di Piaget Piaget è considerato il fondatore dell’epistemologia genetica, scienza che cerca di spiegare come il pensiero umano sia capace di produrre la conoscenza scientifica, attraverso quali mezzi passa da un livello di conoscenza meno elevato ad uno più elevato. Cerca di spiegare la conoscenza scientifica sulla base della sua storia (filogenesi), sull’origine dei concetti, delle operazioni, sulle quali si fonda. Piaget ricorre anche all'ontogenesi, cioè allo studio dello sviluppo della conoscenza matematica, fisica, logica ecc. nel bambino, nell'intento di cercare le radici della conoscenza dalle sue forme più elementari fino al livello del pensiero scientifico. Un altro contributo significativo della teoria piagetiana è nell’aver introdotto il concetto di readness che definisce l’idoneità all’apprendimento. Tale concetto comporta un’implicazione fondamentale riguardante il rapporto tra l’insegnamento e l’apprendimento, nel senso che non è possibile insegnare contenuti di apprendimento che richiedono determinate strutture cognitive di cui ancora il soggetto non dispone,
  • 45. 44 conseguentemente l’insegnamento deve tenere in alta considerazione il livello di maturità conseguito dal singolo soggetto. Piaget si è anche occupato della genesi del numero nel bambino; per lui le abilità matematiche sono un’espressione dell’intelligenza che si sviluppa attraverso l’interazione con l’ambiente e l’azione sulla realtà circostante. L’acquisizione delle abilità matematiche dipende dall’acquisizione del linguaggio e del pensiero operatorio concreto. Quindi, per Piaget la capacità di numerare gli oggetti, e conseguentemente di compiere operazioni con i numeri, non è solo il risultato di un apprendimento scolastico, infatti, un bambino può affermare che due insiemi contengono entrambi 5 elementi (e sembrerebbe saper contare fino a 5) e subito dopo affermare che uno dei due insiemi ne contiene di più perché la fila è più lunga, basandosi su un’evidenza percettiva fuorviante. La sua tesi principale è che l’acquisizione del concetto di numero si sviluppa per tappe successive, parallelamente al consolidarsi delle strutture logiche, e che la sequenza dei numeri è la sintesi operatoria della comprensione sia dell’aspetto ordinale che dell’aspetto cardinale, solo in parte aiutata dall’apprendimento. Per J. Piaget, il numero, a differenza di quanto afferma Russell, non è basato esclusivamente sulle operazioni di classificazione, ma risulta da una sintesi di due strutture: la struttura d'ordine e quella d’inclusione. Questa sintesi di strutture logiche produce nuove proprietà che si possono chiamare numeriche. Il numero risulta da un'astrazione delle qualità che differenziano un elemento dall'altro. Quest’ astrazione rende un elemento equivalente agli altri: 1 = 1 = 1 = 1 ... Questi elementi possono essere classificati secondo le inclusioni: (1) ⊂ (1+1)⊂ (1+1+1)⊂ (1+1+1+1) .....
  • 46. 45 ma nello stesso tempo, ordinati in serie. Ordinarli è il solo mezzo per non contare due volte lo stesso elemento. Studiando lo sviluppo di questa nozione nel bambino (ontogenesi) Piaget constata che a livello pre- operatorio queste strutture sono relativamente indifferenziate mentre in seguito (a livello operatorio) si assiste ad una differenziazione ed ad una sintesi tra queste strutture. Questa sintesi numerica si afferma molto progressivamente, dapprima per i primi numeri (7-8) poi per numeri maggiori. Quindi, secondo Piaget “ il numero è la sintesi tra classi e relazioni”, ciò significa semplicemente che un insieme di elementi, per acquisire lo statuto di quantità numerica, deve essere percepito, identificato, preso in considerazione a partire dal numero di elementi che lo compone e essere riconosciuto come più grande, più piccolo, di un altro in funzione di questo stesso criterio. In altri termini deve essere classificato, messo insieme con altri in funzione della sua numerosità e situato nella serie numerica in funzione dello stesso criterio. Per l’acquisizione del numero non è sufficiente solo riconoscere l’equipotenza di due insiemi1 ma diventa fondamentale anche la conservazione della quantità. Piaget in tal senso ha condotto tanti esperimenti che hanno mostrato che solo verso i 7 anni si può dare per scontato che i bambini hanno acquisito l’invarianza della quantità e quindi, sappiano usare i numeri, nel loro aspetto cardinale e ordinale. L’età intorno ai 6 anni è critica ai fini di questa acquisizione, a questa età i bambini si trovano in un’area di “sviluppo prossimale”, ed è per tale motivo che proprio il concetto di numero ha un 1 Piaget con l’esperimento dei gettoni rossi e blu ha dimostrato che a livello operatorio attraverso il metodo della corrispondenza termine a termine, viene riconosciuta l’equipotenza di due insiemi, indipendentemente dalla loro disposizione spaziale.
  • 47. 46 ruolo centrale nella continuità da costruire tra la scuola dell’infanzia e la scuola primaria. Questa teoria è un limite della teoria piagetiana; oggi sappiamo che Piaget si è sbagliato, infatti, è vero che i bambini piccoli hanno molto da imparare in aritmetica e che sono necessari anni perché le loro capacità concettuali si approfondiscano, ma è altrettanto vero che non sono privi di capacità numeriche prima di iniziare la scuola dell’infanzia e neppure al momento della loro nascita. Gli esperimenti che sono stati condotti da Piaget erano viziati e non permettevano ai bambini di dimostrare quello di cui erano veramente capaci. Per esempio, per quanto riguarda la prova classica di conservazione dei numeri, nel 1967 nella rivista americana “Science”, Mehler e Bever hanno dimostrato che i risultati dell’esperimento di Piaget cambiano completamente a seconda del contesto e della motivazione dei bambini. Mehler e Bever sottoposero i bambini a due serie di esperimenti, la situazione classica con due file di biglie, una era corta, ma formata da sei biglie, mentre l’altra, nonostante più lunga, era formata da quattro biglie. Se si chiedeva, in quale fila ci fossero più biglie, la maggior parte dei bambini di 3 e 4 anni sbagliava scegliendo la fila più lunga ma meno numerosa. Nel secondo esperimento le biglie furono sostituite dalle caramelle e, invece di fare domande complicate, gli sperimentatori si limitarono a permettere ai bambini di scegliere una delle due file e di mangiare le caramelle. I bambini sceglievano la fila con più caramelle anche dopo averne modificato la lunghezza, dimostrando così la loro competenza numerica. Inoltre nell’esperimento di Mehler e Bever i bambini più piccoli, intorno ai due anni, superavano brillantemente sia la prova con le biglie che quella con le caramelle. Sicuramente l’insuccesso dei bambini più grandi nell’esperimento di conservazione delle biglie
  • 48. 47 corrispondeva a un calo momentaneo delle loro prestazioni, oppure come sostiene Dehaene a una mancanza di maturazione della corteccia prefrontale, la regione del cervello che ci permette di scegliere una strategia senza lasciarci distrarre da qualcosa. Quindi, è chiaro che le prove piagetiane non misurano le reali capacità del bambino. Da allora sono stati fatti notevoli passi in avanti, anche se prima degli anni Ottanta nessuna esperienza rimetteva veramente in dubbio il dogma piagetiano secondo il quale i bambini molto piccoli erano sprovvisti del concetto di numero. Successivamente invece sono state riscontrate capacità numeriche anche in bambini con meno di sei mesi. 2.3 Il modello neuropsicologico Negli ultimi anni il mondo dei numeri è divenuto oggetto di interesse di diversi studi nell’ambito della neuropsicologia cognitiva e delle neuroscienze. Secondo gli studi condotti dalla neuropsicologia classica le abilità numeriche sono totalmente indipendenti dalle funzioni intellettive, dalla memoria e dal linguaggio. Per la neuropsicologia dello sviluppo, grazie a studi con neonati e animali, le abilità numeriche sono certamente innate. Dunque, le abilità numeriche si sviluppano a partire da alcune abilità innate, subendo l’influenza di altre funzioni cognitive. Quindi, oggi numerosi ricercatori sostengono che in realtà, contrariamente a quanto diceva Piaget, i bambini piccolissimi compiono operazioni di conteggio, così come alcuni animali. Inoltre, i bambini si avvicinano all’aritmetica ed al calcolo molto precocemente e non dopo aver acquisito degli schemi cognitivi.
  • 49. 48 Il modello che impone questo tipo di approccio necessita dell’approfondimento della componente strutturale, che consiste nella struttura, organizzazione, architettura dei numeri e del calcolo e della componente evolutiva, che consiste nell’evoluzione dei bambini e nel modo in cui apprendono. Grazie a tali studi, oggi siamo a conoscenza di tutto l’insieme di processi che regolano le nostre capacità di riconoscimento e comprensione dei numeri, e del loro utilizzo nell’esecuzione di operazioni, dalle più semplici alle più complesse. A tal fine è fondamentale il modello di comprensione numerica e calcolo aritmetico proposto da McCloskey, Caramazza e Basili. 2.3.1 Il modello cognitivo di comprensione e produzione numerica e di calcolo aritmetico di McCloskey, Caramazza e Basili Il modello di McCloskey, Caramazza e Basili elaborato nel 1985 prevede l’intervento di due sistemi indipendenti nella risoluzione dei problemi aritmetici: il sistema dei numeri e il sistema del calcolo. Fanno parte del sistema dei numeri i processi di comprensione e di produzione numerica, cioè riconoscere e riprodurre i simboli numerici o le parole che indicano i numeri. Il sistema del calcolo comprende tutto l’insieme di conoscenze necessarie per eseguire i calcoli aritmetici come: i nomi e la funzione dei simboli operazionali, le procedure per l’esecuzione delle quattro operazioni e i “fatti aritmetici”. Quando presentiamo un numero a un bambino, egli deve attivare differenti processi chiamati lessicali, di comprensione delle singole cifre che lo costituiscono. Questi processi si modificano in funzione del formato in cui viene presentata l’informazione; infatti, il numero può essere presentato in forma fonologica verbale, in forma grafemica scritta e in forma di numero arabo. Quando l’informazione viene presentata oralmente si accede al
  • 50. 49 sistema semantico, dove è depositato il significato relativo a quella particolare sequenza di suoni. Se l’informazione viene presentata in forma di parola scritta il bambino mette in atto un processo di comprensione di lettura per risalire al corretto significato del numero. Infine, se l’informazione viene presentata in forma di numero arabo bisogna attivare il sistema di conoscenze relative al sistema dei numeri, per accedere al significato del simbolo grafico corrispondente al numero. Nel processo di comprensione dei numeri è importante anche la conoscenza della sintassi numerica, cioè l’insieme di relazioni tra gli elementi (numeri arabi o parole) che consentono di comprendere il numero nel suo complesso. Ad esempio la sintassi numerica ci fa comprendere la differenza tra 126 e 162 e la differenza tra 1005 e 1500. Il corretto funzionamento del sistema dei numeri può essere valutato mediante compiti di transcodifica come: il dettato dei numeri, la lettura di numeri ad alta voce e, la traduzione in codice verbale, di numeri scritti in codice arabo e viceversa. Per quanto riguarda il sistema del calcolo esso si basa su tre tipi di conoscenze: 1) La conoscenza dei simboli operazionali; 2) Dei fatti aritmetici; 3) Delle procedure delle quattro operazioni. Naturalmente per svolgere correttamente le quattro operazioni, è necessario che il bambino riconosca nelle diverse forme in cui può essere presentato, il simbolo operazionale corrispondente a ciascuna operazione e di attivare l’algoritmo che corrisponde all’operazione in oggetto. Inoltre si devono attivare determinate procedure che, se erroneamente eseguite, influenzano negativamente il risultato finale dell’elaborazione.
  • 51. 50 Alcune operazioni semplici possono essere eseguite in assenza di un vero e proprio processo di calcolo, si tratta dei fatti aritmetici, cioè operazioni con numeri compresi entro la prima decina. Un esempio sono le moltiplicazioni comprese nella tavola pitagorica che, una volta apprese nel corso della scuola primaria, vengono immagazzinate in memoria a lungo termine. Un bambino che conosce la tavola pitagorica dire che 2*8 è uguale a 16 è un fatto, un’informazione che recupera facilmente dal proprio magazzino di memoria a lungo termine in assenza di un processo di calcolo. Tutti i processi descritti sopra concorrono a formare nel bambino le competenze aritmetiche. 2.4 Karen Wynn, Gelman e Gallistel Il senso del numero, ne siamo ormai convinti è innato e, quindi, indipendente dalla capacità di linguaggio. Capita spesso di osservare che, di fronte a due mucchietti di caramelle, uno piccolo e l’altro grande, un bambino pesca dal mucchietto più grande. Rigorosi esperimenti dimostrano come il bambino venga al mondo con meccanismi innati di percezione di una piccola numerosità, lo stesso senso presente anche in alcuni animali. La ricercatrice Karen Wynn ritiene che non solo i bambini, ma anche alcune specie animali utilizzino lo stesso meccanismo: nella mente di ognuno agisce un contatore emettitore di battiti che, a loro volta, sono inseriti in un accumulatore quando si è in presenza di una nuova entità da memorizzare. Nel 1992, nella sua tesi di dottorato al MIT in Massachusetts, ha illustrato il comportamento di bambini di 5 mesi davanti a un teatrino di marionette. Al bambino veniva presentato per qualche secondo un pupazzo, nascondendolo successivamente con uno schermo; a questo punto, in presenza del bambino, lo sperimentatore poneva un secondo pupazzo dietro
  • 52. 51 lo schermo. Una volta tolto lo schermo, le condizioni sperimentali prevedevano la presentazione di 2 pupazzi (soluzione corretta) o di un solo pupazzo (soluzione errata). Nei casi di soluzione errata i bambini presentavano tempi di fissazione più lunghi, dimostrando di aspettarsi la soluzione corretta con 2 pupazzi. Risultati analoghi si sono trovati anche nella condizione 2-1, sottraendo il numero di pupazzi da quello atteso. Con questo e altri metodi gli psicologi hanno dimostrato che i bambini piccoli, persino nei primissimi giorni d’età, dimostrano il senso del numero, naturalmente in relazione a pochissime unità. Quindi, i bambini già nei primi mesi di vita posseggono abilità di tipo matematico ed inoltre, come sostiene la Wynn, l’abilità di conteggio è il prerequisito fondamentale dell’apprendimento matematico. I bambini, infatti, imparano molto presto a recitare la filastrocca dei numeri, generalmente i primi 10 o 20 numeri, ma non si tratta di un vero e proprio conteggio in quanto il bambino non fa altro che imitare il comportamento dell’adulto, memorizzando una lista di parole senza che esse abbiano inizialmente un significato numerico preciso. Ma perché ci sia un vero e proprio processo logico di conteggio, è necessario che il bambino rispetti i principi del conteggio definiti da Gelman e Gallistel (1978), quali: o Il principio dell’ordine stabile, il conteggio richiede una sequenza in un ordine fisso; o Il principio uno-a-uno, ad ogni oggetto corrisponde una sola etichetta numerica; o Il principio di cardinalità, l’ultimo numero contato corrisponde al numero totale di oggetti contati; o Il principio d’irrilevanza dell’ordine, gli oggetti possono essere contati in qualunque ordine; o Il principio di astrazione, qualunque cosa può essere contata.
  • 53. 52 Gelman e Gallistel affermano che questi principi si instaurano spontaneamente in quanto l’abilità di contare è innata nell’individuo; ben prima di imparare a contare ad alta voce quindi, i bambini sono in grado di capire i principi concettuali che sottostanno il conteggio. Sulla natura innata di tali abilità matematiche vi sono numerosi dibattiti; diversi sono gli autori che pur condividendo l’importanza dei principi definiti da Gelman e Gallistel sostengono che essi vengono appresi solo a seguito della continua esposizione ai modelli adulti. Una posizione diversa, che dirime la controversia “innato/appreso” è quella di Sophian (1998), il quale ipotizza l’esistenza di una relazione dinamica tra la conoscenza concettuale dei numeri e le attività con i numeri svolte dal bambino: la conoscenza concettuale facilita lo svolgimento di attività sempre più complesse che a loro volta innalzano il livello di conoscenza del concetto di numero. 2.5 Modello di Dehaene, di Butterworth e di Devlin Nel nostro cervello esistono speciali circuiti neurali funzionali alla matematica. Questo significa che veniamo al mondo con un modulo numerico, con informazioni codificate geneticamente che ci conferiscono un’intuizione delle quantità numeriche. “Fin dalla nascita – afferma Stanislas Dehaene nel suo libro, Il pallino della matematica – disponiamo di un accumulatore interno in grado di valutare in modo approssimativo gli oggetti che ci circondano”. Nuovi strumenti, disponibili soltanto da pochi anni, come la camera a positroni, hanno finalmente consentito di visualizzare l’attività cerebrale e di avviare nuovi studi sul cervello, arrivando a localizzare anche i circuiti neurali della matematica. La tesi di Dehaene è che il cervello umano possieda un meccanismo di comprensione delle quantità numeriche, ereditato dal mondo animale, e che
  • 54. 53 questo lo guidi nell’apprendimento della matematica. Anche l’Homo sapiens, come gli altri animali, viene al mondo con un’idea di numero. Questo <senso dei numeri> presente anche negli animali è dunque indipendente dalla capacità di linguaggio e possiede una lunga storia evolutiva. I neuroni della corteccia parietale dei due emisferi entrano in attività soltanto in presenza di numeri e restano sistematicamente silenziosi davanti ad altre parole, quindi, l’intuizione dei numeri è saldamente ancorata nel nostro cervello. In particolare nel bambino la stima numerica, il confronto, il contare, le addizioni e le sottrazioni semplici esistono spontaneamente, senza un’educazione esplicita. Il modello di Dehaene è detto “modello del triplo codice”, vi sono tre diversi codici rappresentati in tre diverse aree cerebrali: Processamento codice arabico (aree occipito-temporali ventrali bilaterali); Codifica verbale dei numeri (aree perisilviane sinistre); Rappresentazione analogica delle quantità (aree intraparietali bilaterali). Inoltre per Dehaene ci sono due rappresentazioni esatte di numerosità: 1) Rappresentazione esatta di numerosità per piccole quantità (subitizing), basato sulla percezione immediata della quantità, che si evolve da 2-3 elementi nei bambini prescolari a 4-5 elementi negli adulti. Non è chiaro se questo sistema venga coinvolto nei processi di enumerazione e calcolo e se sia in relazione con i sistemi simbolici di rappresentazione dei numeri. 2) Rappresentazione approssimata di numerosità anche per grandi quantità, basato sulla rappresentazione della linea dei
  • 55. 54 numeri. Questo sistema viene gradualmente messo in relazione con i sistemi simbolici di rappresentazione dei numeri per l’enumerazione e il calcolo. Quindi, il nostro cervello tratta in maniera diversa gli insiemi contenenti al massimo tre elementi da quelli più grandi. Quando si chiede a soggetti adulti di nominare il numero dei punti disposti a caso in un’immagine mostrata loro, il tempo che impiegano per rispondere è quasi identico nel caso di uno e due punti, ed è solo leggermente superiore per tre punti (poco più di mezzo secondo). Oltre il tre, tuttavia, il tempo richiesto comincia ad aumentare rapidamente. Al crescere del numero dei punti, cresce anche quello degli errori. Dunque tutti ci comportiamo come, la tribù aborigena dei Warlpiris, e cioè considerando solo tre possibilità: uno, due e molti, in un sistema in cui il conteggio termina con il tre, limite oltre il quale l’insieme viene semplicemente definito grande. Il fatto che quando si superano i tre oggetti il nostro comportamento cambi all’improvviso indica che il cervello si serve, nei due casi, di due meccanismi diversi, che Dehaene, nel suo “The Number Sense”, presenta con una serie di esperimenti molto interessanti. La percezione della quantità per i numeri fino a tre è istantanea. Non contiamo ma ne percepiamo immediatamente la presenza. Si tratta di una vera e propria subitizzazione. Anche i nostri 2 e 3 altro non sono che varianti grafiche, rispetto alla notazione araba da cui discendono, di due e tre tratti orizzontali sovrapposti. A partire dal 4, la notazione diventa simbolica e corrisponde ad una capacità quasi esclusivamente umana di superare i limiti della percezione immediata delle quantità numeriche. Il tempo necessario per decidere la numerosità di un insieme aumenta in modo lineare passando da tre a sei. Il fatto che in generale il cervello
  • 56. 55 manipoli gli insiemi contenenti non più di tre elementi mediante un processo immediato, istintivo (e inconscio) trova ulteriori conferme negli studi effettuati su pazienti con particolari lesioni cerebrali. Sebbene le lesioni cerebrali spesso interessino vaste aree del cervello distruggendo diverse facoltà mentali, a volte possono essere ben localizzate e avere uno o due effetti molto specifici. In un caso, descritto da Dehaene, una paziente era stata colpita da una lesione cerebrale che aveva cancellato la sua capacità di contare e perfino di spuntare uno alla volta gli oggetti di una serie. Tuttavia, se le si mostravano non più di tre punti sullo schermo di un computer, la donna era ancora in grado di dire immediatamente quanti fossero. Quindi, più un numero è grande, più diminuisce la precisione della sua rappresentazione mentale, e per indicare questa incertezza usiamo i numeri approssimati. Questi nuovi risultati sperimentali dimostrano che il cervello del bambino, al momento della nascita non è una pagina bianca, come asserivano i costruttivisti, e quindi, l’insegnamento precoce del numero sarebbe dannoso perché il bambino non ne potrebbe comprendere il significato. “Il cervello del bambino non è una spugna – sostiene invece Dehaene – è un organo già strutturato che impara soltanto ciò che è in risonanza con le sue conoscenze anteriori”. Come osservava lo stesso Locke nel 1689: “ Sono molti quelli che sanno che 1+2 fa tre, senza aver mai riflettuto sugli assiomi che lo dimostrano”. “ È inutile dunque bombardare un giovane cervello di assiomi astratti. Mi sembra che la sola strategia ragionevole per insegnare la matematica sia quella che arricchisce progressivamente l’intuizione dei bambini, facendo leva sul loro talento precoce per la manipolazione delle quantità e il conteggio. Si comincerà con lo stuzzicare la loro curiosità con giochetti
  • 57. 56 divertenti; si passerà poi a esporre, a poco a poco, quanto siano utili le scorciatoie che la notazione matematica simbolica permette, senza tuttavia separala mai dall’intuizione quantitativa; infine, si introdurranno i sistemi formali o assiomatici, sempre motivati da un’esigenza di semplicità. Si tratta quasi di tracciare, nel cervello di ciascun allievo, la storia della matematica e delle sue motivazioni” ( Dehaene, pag.268). La teoria di Stanislas Dehaene trova grande approvazione negli studi del neuropsicologo Brian Butterworth e in Keith Devlin, i quali partendo dalla metafora dell’accumulatore di Dehaene elaborano altri concetti. L’interesse di Brian Butterworth per il mondo dei numeri nasce quando cominciò a occuparsi di pazienti un po’ particolari. La loro memoria era normale, così come il linguaggio, ma non riuscivano a contare. Infatti, c’è un’area particolare del cervello che è preposta alla gestione dei numeri, perché i pazienti che hanno difficoltà a gestire i numeri presentano dei danni in un’area della parte sinistra del cervello nota come il lobo parietale; area molto lontana dai centri che si occupano del linguaggio e da quelli che si occupano del ragionamento e della deduzione, processi che avvengono nella parte frontale. Inoltre nella parte del cervello che si occupa dei numeri esistono aree specializzate, ad esempio, una che gestiste la tabella delle moltiplicazioni e un’altra che gestiste il riporto. Vi sono persone che sbagliano soltanto in una di queste aree. Da ciò Butterworth ha dedotto che esiste un’area del cervello specializzata per i numeri, che chiama “Modulo Numerico”. Se il Modulo non funziona bene, il soggetto è gravemente svantaggiato nella vita di tutti i giorni. Il Modulo Numerico è la capacità posseduta dall’uomo di cogliere piccole numerosità senza dover contare, è il nucleo innato delle nostre capacità numeriche ed ha la funzione di classificare il mondo in termini di numerosità, fino a un massimo di 4 o 5; se si desidera andare oltre tale
  • 58. 57 numerosità occorre ricorrere agli strumenti concettuali, perché la capacità di saper usare correttamente gli strumenti matematici ci viene fornita dalla nostra cultura. Gli strumenti concettuali si dividono in quattro categorie principali: Rappresentazioni che fanno uso di parti del corpo (dita delle mani, dei piedi,..); Rappresentazioni linguistiche (vocaboli speciali usati per contare); Simboli numerici (simboli scritti speciali); Rappresentazioni che fanno uso di aiuti esterni (incisioni di tacche, calcolatrici,..). Per Butterworth: “Siamo nati per contare. Abbiamo dei circuiti incorporati che ci permettono di classificare il mondo in termini numerici. Perfino i neonati percepiscono il numero delle cose”. Le capacità numeriche dipendono da tre fattori: il nucleo centrale innato, le conoscenze matematiche della cultura in cui viviamo, e la misura in cui abbiamo acquisito tali conoscenze. La base della matematica è rappresentata dal nostro senso della numerosità e ciò non dipende dall’istruzione. I nostri antenati avevano questa capacità, posseduta anche dagli animali, ma ciò che ci differenzia da loro sono due competenze: 1. Siamo capaci non solo di distinguere la numerosità di un insieme formato da quattro elementi da quella di un insieme di tre, ma siamo in grado di o Sperimentare la qualità astratta dell’essere quattro; o Di riflettere su questa esperienza consapevole. 2. Siamo capaci di contare, ciò ci permette di enumerare oltre il quattro. La combinazione del nostro senso innato con le due competenze è il fondamento dalla matematica moderna.
  • 59. 58 Devlin a differenza di Butterworth e Dehaene affronta il problema dell’innesto e della crescita della matematica simbolica sulla base delle capacità cerebrali matematiche che sono sostanzialmente analogiche. Anche per Devlin il pensiero matematico è un’abilità innata, che abbiamo fin dalla nascita. Il senso dei numeri innato nei neonati è simile a quello osservato nei ratti, nelle scimmie; Mark Hauser e i suoi colleghi dell’Università di Harvard hanno, infatti, ripetuto sulle scimmie gli esperimenti originali di Karen Wynn, ottenendo risultati simili. Ma fra tutte le specie animali, solo gli esseri umani sembrano capaci di servirsi di quest’abilità. L’uomo fin dalla nascita possiede la facoltà cerebrale preposta al pensiero matematico che è la stessa che ci consente di usare il linguaggio. Questa facoltà è il pensiero simbolico, definito da Devlin, pensiero off-line, cioè la capacità che possediamo di formulare i ragionamenti astratti, la capacità di cui abbiamo bisogno quando formuliamo pensieri matematici. Alla nostra capacità di fare matematica contribuiscono nove abilità mentali che non sono tutte indipendenti le une dalle altre. Queste abilità sono: Il senso del numero, insieme ad altre specie di animali gli esseri umani hanno un senso del numero che è innato e non deve essere appreso. Il senso del numero non richiede i numeri e si trova anche nei bambini molto piccoli; infatti, se mettiamo di fronte a un bambino due mucchietti di caramelle, uno piccolo e l’altro più grande, sicuramente egli sceglierà il mucchietto più grande. Il bambino non ha bisogno di contare le caramelle per capire quale dei due mucchietti ne contiene di più. Ma per i bambini, il senso del numero è ancora più sorprendente. Nel 1992 Karen Wynn ha dimostrato che i bambini di cinque mesi, non soltanto hanno il senso del numero, ma sanno che 1+1 fa due, che 3-2 fa uno e conoscono
  • 60. 59 tutta l’aritmetica, l’addizione e la sottrazione, per i numeri 1,2 e 3. In seguito, altri psicologi hanno dimostrato che i neonati di due giorni possiedono la stessa abilità. La capacità numerica, richiede i numeri, soltanto gli esseri umani hanno questa abilità, tranne alcuni casi come gli scimpanzé e le grandi scimmie che dimostrano una certa conoscenza dei numeri. Infatti, se si pone uno scimpanzé di fronte al teatrino delle marionette e gli si fanno vedere le stesse cose, questo si comporta un po’ come il bambino piccolo, proposto da Karen Wynn. Gli animali che sembrano avere il miglior senso del numero, oltre agli esseri umani, sono gli uccelli. I numeri in sé dipendono dal linguaggio, lo psicologo Stanislas Dehaene ha verificato che una persona ricorda i numeri nella lingua in cui li ha imparati. La capacità algoritmica, è una sequenza specifica di passaggi che portano ad un particolare obiettivo, è l’equivalente, per il matematico, della ricetta per cucinare una torta. Le prime tre abilità mentali sono i principali e necessari ingredienti per fare dell’aritmetica. La capacità di destreggiarsi con l’astrazione, è una capacità che il cervello umano ha acquisito quando ha acquisito quella di usare il linguaggio. Quindi, la ragione per cui moltissime persone hanno difficoltà con la matematica è dovuta all’incapacità di applicare quell’abilità alle astrazioni matematiche. La percezione della causa e dell’effetto, abilità acquisita in età precoce che conferisce a chi la possiede un vantaggio in termini di sopravvivenza.
  • 61. 60 La capacità di costruire e seguire una concatenazione causale di fatti o eventi, capacità esclusiva degli esseri umani acquisita dopo i primi anni di vita. La capacità di ragionamento logico, capacità di costruire e seguire un ragionamento logico, collegata alla precedente abilità. La capacità di ragionare in termini di relazioni, gran parte della matematica si fonda sulle relazioni tra oggetti. Il ragionamento sulle relazioni matematiche esistenti tra oggetti matematici non è molto diverso dal ragionamento sulle relazioni interpersonali fra esseri umani. La capacità di ragionamento spaziale, qualunque creatura che si muove deve possedere questa abilità, è essenziale per la sopravvivenza di molte specie. È un’abilità che è alla base della geometria. Le nove abilità descritte sopra combinandosi fra loro ci consentono di fare matematica. Per Devlin la matematica rende visibile ciò che è invisibile; la matematica non è solo ragionamento, ma il più delle volte è creatività e fantasia.
  • 62. 61 CAPITOLO III FASE SPERIMENTALE Premessa I bambini iniziano molto presto a fare esperienze relative ai numeri con funzioni e significati diversi e già nel periodo della scuola dell’infanzia li sanno distinguere, denominare, contare, usare in diversi contesti. Lo scopo dell’insegnante deve essere quello di rendere consapevole l’attività del contare e di far comprendere gradualmente gli usi e le funzioni che il numero può svolgere. Per favorire ciò è necessaria una didattica legata ad esperienze ludiche, perché attraverso i giochi è possibile rilevare le conoscenze e le competenze dei bambini. Il gioco è l’attività principale dei bambini, è grazie adesso che i bambini sviluppano molteplici competenze: imparano a risolvere problemi, a superare ostacoli che via via si presentano, ad orientarsi nello spazio, a mettere in relazione oggetti ed elementi, a fare ipotesi e congetture, ad operare confronti di quantità e a sperimentare tutti gli aspetti del numero (cardinalità, ordinalità, ricorsività, misura). È fondamentale costruire, fin dai primi anni di scuola, un’immagine della matematica positiva e stimolante, per “Suscitare simpatia nei riguardi delle attività a carattere matematico e … favorire una bella immagine di tutto ciò che riguarda la matematica”2 . Grazie al gioco si possono favorire situazioni significative di apprendimento per gli alunni e contribuire all’immagine di una matematica dal volto umano. 2 Bruno D’Amore- Aglì, L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia. Lo spazio, l’ordine, la misura. Milano: Juvenilia.