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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO.
Con sentenza del 19 luglio 2018 il Tribunale di Roma tn compos1z1onc
monocratica ha condannato ìvfarco Travaglio alla pena di euro 400,00 di multa, con
il beneficio della sospensione condizionale della pena e previo riconoscimento delle
attenuanti generiche, oltre al pagamento delle spese processuali, per il reato di cui
all'art. 595 c.p., commesso in data 4 luglio 2010 per avere, quale autore dell'articolo
pubblicato sul "Fatto Quotidiano" in data 4.7.10 dal titolo "TGl, la Minzolina di
complemento", offeso la reputazione di Grazia Graziadei, giornalista del TG 1,
affennando che il TG1, nel corso della trasmissione del 3.7.1O in cui la stessa
Graziadei aveva letto la notizia in tema di intercettazioni telefoniche, aveva
"sparato cifre a casaccio spacciandole per dati ufficiali del Niinistero della
Giustizia". Con la stessa sentenza è stata disposta la pubblicazione della sentenza a
spese dell'imputato che è stato condannato al risarcimento dei danni in favore della
parte civile costituita, Grazia Graziadei, liquidati equitativamente e definitivamente
in euro 30.000 cd alla rifusione, in favore della medesima, delle spese di
costituzione e difesa. Infine il Tribunale ha pronunciato sentenza di assoluzione nei
confronti dell'imputato dalla residua imputazione, nonché nei confronti di Antonio
Padellarn, quale direttore responsabile del giornale, dal delitto a lui ascritto perché
il fatto non sussiste.
La vicenda prende le mosse dall'articolo televisivo redatto dalla parte offesa
Graziadei e trasmesso durante la edizione serale del tgl del 3.7.10 in cui si
assumeva, in tema di intercettazione, che "il numero dei cd bersagli veri e propri di
intercettazioni telefoniche cd ambientali nel 2009 è stato 130.000. La fonte è il
Ministero della Giustizia. 130.00 persone sono state messe sotto controllo, una
minima parte del dato si riferisce alle cimici ambientali e chi ha parlato con quei
130.000 .certamente è stato anche lui ascoltato. Quindi il numero degli spiati deve
essere moltiplicato più volte , si parla di milioni di italiani ... ". Il 4.7.201Osul Fatto
Quotidiano veniva pubblicato l'articolo a firma dell'imputato con il titolo sopra
citato, in cui si affermava che la Graziadei, nel corso del TG1, per supportare le
2
balle del Banana al TG4 sulle intercettazioni, ha sparato cifre a casacc10
spacciandole per dati ufficiali del Ministero dello Giustizia, aggiungendo "ceco il
dato farlocco: i bersagli messi sotto controllo ogni anno sono 130.000 e chi ha
parlato con questi è stato anche egli ascoltato. Dunque i 130.000 devono essere
moltiplicati e si arriva a milioni di italiani". Nel corso dello stesso articolo s1
affermava anche "balle sesquipedali: i 130.000 bersagli non corrispondono al
numero degli utenti ma al numero delle utenze intercettate (ciascun italiano
possiede diversi apparecchi e schede) e non basta: ogni utenza può essere ascoltata
per 20 giorni al massimo, poi per proseguire occorrono le proroghe. Dunque i
130.000 vanno divisi per il numero delle utenze e delle proroghe, si arriva così a 15-
20 mila persone intercettate l'anno. Altro che milioni". Il Tribunale ha osservato
che i dati diffusi dalla parte lesa erano tre, ossia il numero di 130.000 dei bersagli di
intercettazione telefoniche, il dato che equipara detti bersagli al numero delle
persone intercettate cd il numero delle persone effettivamente intercettate indicato
in milioni. Dopo avere reputato non veritieri il secondo ed il terzo dato fornito
dalla parte lesa, ossia la coincidenza del numero di 130.000 con le persone invece
che con le utenze e quello del numero delle persone effettivamente intercettate
indicate in milioni, il Tribunale ha però ritenuto veritiero il primo dato fornito,
ossia quello del numero di 130.000 dei bersagli di intercettazioni telefoniche. Ciò
premesso il Tribunale, dopo avere ricordato che su questa vicenda si era
pronunciata per ben tre volte la Corte di Cassazione, ha fondato la pronuncia sul
principio di diritto affermato con la sentenza della Corte di Cassazione n. 40930/13
che aveva annullato la sentenza di proscioglimento del Gup. H~ quindi, osservato
che l'imputato aveva "criticato e bollato come falso" un dato vero, ossia il numero
delle utenze intercettate, fornito dal Ministero della Giustizia. Pertanto, essendo
stato criticato e dichiarato come falso un dato che invece era vero, ha escluso la
possibilità di invocare la esimente del diritto di critica in senso oggettivo.
Conseguentemente ha ritenuto diffamatorie le espressioni adoperate al riguardo
dall'imputato laddove ha scritto "la Graziadei ha sparato cifre a casacc10
spacciandole per dati ufficiali del Ministero della Giustizia", per poi aggiungere
3
"ceco il dato farlocco", il tutto accompagnato dal titolo denigratorio "La IVIinzolina
di complemento". Ha inoltre escluso di poter applicare la scriminante dell'art. 51
c.p. nel suo aspetto putativo, posto che i dati del Ministero erano stati diffusi
almeno tre giorni prima, come dallo stesso imputato ammesso. Il Tribunale ha
ritenuto anche coperto dal giudicato il giudizio "truffaldino" espresso dall'imputato
a proposito dei costi indicati dalla Graziadei nelle spese sostenute per le
intercettazioni, alla luce della sentenza n. 40930 della Cassazione che ha ritenuto
indenne da censure la sentenza di proscioglimento del Gup su tale punto. Il
Tribunale, tuttavia, ha escluso ogni valenza diffamatoria per quanto riguarda gli
ulteriori giudizi espressi dall'imputato con riferimento agli altri due dati forniti dalla
parte lesa, reputati dal Tribunale inesatti e non veritieri.
Avverso la sentenza ha proposto appello il difensore dell'imputato,
chiedendone l'assoluzione e deducendo in primo luogo che il Tribunale aveva
ignorato il contesto storico-politico in cui era maturata la pubblicazione dell'articolo
in cui era acceso il dibattito sulla riforma delle intercettazioni. Si deduce anche che
con l'articolo in questione non si intendeva offendere la professionalità della
giornalista, quanto piuttosto criticare la politicizzazione del servizio pubblico
televisivo, sicchè si trattava di una critica che rifletteva il dibattito politico che
investiva il problcma della indipendenza delle redazioni giornalistiche della RAI . In
tale contesto, dunque, secondo il difensore, si inscriva l'articolo scritto
dall'imputato con cui si irrideva la linea editoriale del TG1 con riguardo al modo
distorto e mistificatorio con cui aveva affrontato il problema delle intercettazioni.
Quanto poi alle espressioni criticate in sentenza cd al "dato farlocco", questo si
riferiva alla confusione che era stata effettuata tra il dato delle utenze intercettate
con quello del numero delle persone controllate. Il difensore, poi, ha anche dedotto
che la critica era stata espressa in tono sferzante ma continente e che il titolo la
"IYiinzolina di complemento" non era denigratorio posto che alludeva alla
posizione di effettiva subordinazione, sotto il profilo lavorativo, della parte lesa
all'allora direttore del TGl ~finzolini; ha comunque anche valorizzato la
circostanza che il titolo è di creazione redazionale e attribuibile, sotto il profilo della
4
responsabilità penale al direttore e non già all'autore dell'articolo, evidenziando
come il Padellaro fosse stato assolto dal medesimo reato con la stessa sentenza,
ormai irrevocabile sul punto perchè non impugnata. Ha inoltre osservato che
l'articolo è stata anche espressione del diritto di satira. Infine, ha chiesto la revoca
del beneficio della sospensione condizionale della pena.
All'udienza di trattazione, la parte civile depositava una memona scritta
sostenendo le argomentazioni già addotte nella sentenza di primo grado e le parti
formulavano le loro conclusioni; l'imputato, peraltro, rinunciava alla prescrizione
tramite il proprio difensore munito di procura speciale a tale fine conferita; la
Corte, quindi, pronunciava sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte osserva che nel caso di specie l'appello e fondato e merita
accoglimento.
Occorre prelimina1mente osservare che nell'ambito di questa vicenda la
Corte di Cassazione è già intervenuta per ben tre volte annullando le tre sentenze di
non luogo a procedere pronunciate dal Gup, affermando con la sentenza n.40930 il
principio di diritto secondo cui "in tema di diffamazione a mezzo stampa l'esercizio del
diritto di critica richiede la verità del fatto attribuito ed assunto a presupposto delle espressioni
critiche in quanto non può essere consentito ascrivere ad un soggetto spel?°fùi comportamenti mai
tenuti o eJpressioni maipronunciate, _perpoi esporlo a critica come se queifatti o quelle espressioni
Jòssero ~flèttivamente a lui nfe-n.bilz~· pertanto, limitatamente alla verità delJàtto, non sussiste una
sostanzjale dffferenza tra l'esimente del diritto di critica e quella del diritto di cronaca, costituendo
per entrambe presupposto di operativita'. Con la stessa sentenza ha anche affermato che
"la critica che si manijèsti attraverso la esposizione di una personale intepretazjone ha valore di
esimente, nella ricorrenza degli altri requisiti, senza che possa pretendersi la verità oggettiva di
quanto sostenuto, ma da tale requisito non può prescindersz~ viceversa, quando - come nel caso di
specie - 1mjàtto obiettivo sia_posto afondamento della elaborazione critica".
5
Ciò premesso, solo nel corso del dibattimento vemva reperito sul sito
internet fornito dalla difesa e quindi trascritto il testo dell'articolo di cui era stata
data lettura dalla Grazìadei nel corso del TGl, dal titolo "Chissà quanti di noi
intercetta!/'; in tale articolo si affermava "Cnissà quanti di noi, ignari, sono stati captati
mentre parlavano al telefòno con persone oggetto di indagini ed intercettate. Il numero dei cd
bersagli veri epropri di intercettaz/oni telefoniche ed ambientali è stato di 130.000. Lafonte è il
Ministero della Giustizia. 130.000 persone sono state messe sotto controllo. Una minima parte
del dato si rijèn'.rce alla cimùi ambientali e chi ha parlato con qttei 130.000 certamente è stato
anche !tti ascoltato. Quindi il numero degli Jpiati deve essere moltiplicato più volte, si parla di
milioni di italiani. Nel 2009, circa 270 milioni di euro il costo delle intercettazioni ed in passato
i costi oscillavano vertiginosamente da una Procura all'altra, da quattro a ventitré euro algiorno.
L'unità di monitoraggio e controllo della Jpesa istituita dai Lif.inistero del Giustizia ha abbattuto i
costi di circa il 30% ma resta l'enorme debito acmmulato negli anni, tra i 400 ed i 600 milioni di
euro, debito verso le società telejòniche e quelle che noleggiano gli strumentiper registrare. La cifra
tiene conto anche della stima di spese per le inchieste ancora aperte in Italia. Nel 95% dei casi i .
GIP hanno detto si alla richiesta di intercettazjone fatta dalla Procura. L'intercettazione è un
importante strumento di indagine e contro la criminalità sebbene, da via Arenula jànno sapere,
siano stati pochi i processi in materia di mqfta basati esdusivamente sttlle intercettazioni
telefoniche".
L'articolo televisivo in questione commentava i dati numerici forniti dal
Ministero della Giustizia relativi alle intercettazioni telefoniche e non, per gli anni
2003 -2009 diffusi nel giugno del 2010, dati che indicavano in 132.384 il totale non
già delle persone, ma dei bersagli intercettati nel corso del 2009, dato comprensivo
di utenze telefoniche, ambientali cd alt!! tipologie.
A seguito della lettura del predetto articolo, il giorno successivo l'imputato
pubblicava sul "Patto Quotidiano" un articolo a sua fi1ma, dal titolo "TG1, la
''Minzolina di complemento", testualmente scrivendo "Grazja Grazjadez: la Minzolina di
complemento che l'altro giorno aveva tra.iformato la condanna di Dell'Utriper mafia in un trionfo
del senatore e dei suoi dffensori ein ttna debacle della_procttra, ha colpito ancora. Ieri sera al TG1,
per suppot1are le balle del Bancma al TG4 sulle intercettazioni: ha Jparato cifre a casaccio
6
spacciandole per "dati uffìciali del ministero della Giustizia': L'attacco del servizjo è di quelli che
spaventano: "Chissà quanto di noi sono stati intercettati in questi anni ... " Poi ecco il dato
farlocco: ''I bersagli messi sotto controllo ogni anno sono 130.000 e chi ha parlato con questi è
stato anche egli ascoltato. Dunque i 130.000 devono essere moltiplicati e si arriva a milioni di
italiani': Baffe sesquipedali: i 130.000 bersagli non corrispondono al numero degli utenti ma al
numero delle utenze intercettate (ciascun italiano possiede diversi apparecchi e schede) e non basta:
ogni utenzapuò essere ascoltata_per 20 giorni al massimo, poiperproseguire occorrono leproroghe.
Dunque i 130.000 vanno divisiper il nttmero delle utenze e de!fe proroghe, si arriva così a 15-20
mila persone intercettate l'anno. Altro che milioni. Tnçfjàldine anche le cifre sulle spese per
intercettare (170 milioni all'anno, 4-6 milioni di debiti con le società telefoniche e con quelle
addette alle intercettazioni): basterebbe che lo 5fato imponesse alfe compagnie di svolgere il servizio
gratis (come in Francia e in Germania) e acquistasse le apparecchiature in proprio anziché
noleggiarle da_privati, per spendere quasi zero. Ridicolopoi l'ultimo "dato" della Grazjadei: 'Via
Arenula fa sapere che sono pochissime le inchieste di mcifìa basate su intercettazioni': Sarebbe
interessante sapere quante sarebbero finite nel nulla se non si fossero avvalse "anche" di
intercettazjoni Ma, per saperlo, d vorrebbe un telegiornale. Pretesa assurda, trattandosi del
TG1".
Il Tribunale nella sentenza impugnata ha ritenuto l'imputato responsabile del
delitto ascrittogli limitatamente al fatto di avere criticato e bollato come falso un
dato vero, ossia quello del numero delle utenze intercettate, numero fornito dal
Ministero della Giustizia. Il primo giudice, infatti, ha analizzato il testo dell'articolo
televisivo letto dalla Graziadei nel corso del TG1 osservando che nello stesso erano
stati forniti tre dati, quello dei 130.000 bersagli di intercettazioni telefoniche, quello
che equipara il numero dei bersagli al numero delle persone intercettate e quello
delle persone effettivamente ascoltate, indicato in "milioni". Ha, quindi, giudicato
inesatto il secondo dato perchè 130.000 non erano le persone intercettate ma le
utenze, non veritiero l'ultimo dato, ma veritiero il primo. Conseguentemente, ha
reputato offensive le espressioni utilizzate dal giornalista scrivendo che la Graziadei
aveva "sparato cifre a casaccio spacciandole per dati ufficiali", nonché utilizzando
7
l'espressione "ecco il dato farlocco", il tutto accompagnato dal titolo "la ltiinzolina
di complemento".
Orbene, così delineato l'ambito di valutazione, alla luce dei principi affermati
dalla Cassazione e del profilo penalmente rilevante ritenuto dal Tribunale, si
osserva che proprio dalla lettura dell'articolo della Graziadei, integralmente
trascritto solo nel corso della istruttoria dibattimentale, risulta che sebbene la
giornalista abbia parlato di 130.000 cd bersagli, indicando come fonte il Ministero
della Giustizia, la stessa ha immediatamente ed erroneamente abbinato al dato
numerico dei 130.000 bersagli quello delle 130.000 persone intercettate.
Dalla lettura dell'articolo della Graziadei si evince, infatti, che la stessa subito
dopo avere fornito il dato numerico dei "130.000 bersagli" ha immediatamente
abbinato al termine "bersaglio" quello delle persone, non parlando mai di utenze,
facendo così credere a chi ascoltava la trasmissione del TG1 in cui era stata data
lettura all'articolo che quel numero fosse riferito alle persone intercettate e non già
alle utenze, diversamente da quanto riportato nei dati ufficiali del Ministero della
Giustizia, dove quel numero era riferito alle tipologie di bersagli, ossia utenze
telefoniche cd ambientali, non già alle persone.
Il dato erroneo fornito dalla parte lesa, dunque, non fu tanto nell'elemento
asettico del numero "130.00", effettivamente fornito dal Ministero, quanto
nell'immediato cd erroneo abbinamento di quel numero con quello delle persone
intercettate, dato questo, invece, mai fornito dal Ministero delle Giustizia.
A ciò si aggiunga che su questo dato, sulla base di un fantomatico e non
meglio precisato moltiplicatore, la giornalista era pervenuta alla conclusione che
milioni sarebbero stati gli italiani "spiati".
Pertanto, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, non costituisce
un presupposto falso il fatto che la parte lesa nel proprio articolo fornì dati non
corretti, citando in modo erroneo la fonte ufficiale, attraverso un automatico cd
arbitrario abbinamento del dato numerico dei 130.000 bersagli, fornito dal
Ministero, con quello delle persone intercettate.
8
Il predetto dato erroneo, peraltro, costituì anche il presupposto del
ragionamento della parte lesa, da cui ~scaturì l'ulteriore dato numerico errato, ossia et,.
quello dei milioni di italiani spiati.
Dopo la edizione del TG1, in cui era stata data lettura del predetto articolo
televisivo, l'imputato pubblicò sul 'Tatto Quotidiano" il suo articolo oggi
incriminato, criticando, con toni certamente asp1i e sferzanti, il dato erroneo
fornito nel corso del TG1, ossia la automatica cd arbitraria coincidenza dei 130.000
bersagli con il numero delle persone intercettate e, quindi, il numero complessivo
degli italiani ascoltati.
L'imputato, quindi, ha c1iticato il dato fornito, effettivamente erroneo, da
cui peraltro era scaturita la ulteriore erronea conseguenza che milioni di italiani
sarebbero stati spiati, utilizzando certamente espressioni aspre quali "ecco il dato
farlocco", o "cifre sparate a casaccio", che costituiscono però una espressione del
diritto di c1itica alla notizia erronea fornita nel corso del predetto TG1.
Egli, infatti, ha posto a fondamento della propria elaborazione critica il fatto
oggettivo della sostanziale erroneità del dato fornito dalla parte lesa, così come dalla
stessa letto, nella arbitraria sovrapposizione e coincidenza del dato numerico dei
bersagli di intercettazione con quello delle persone intercettate, da cui poi scaturiva
l'ulteriore erroneo dato numerico del numero delle persone ascoltate.
Dalla lettura dell'intero articolo dell'imputato, che non può essere
vivisezionato ma valutato nella sua portata complessiva, il dato criticato dal
giornalista non è il dato numerico cd asettico di 130.000 bersagli, ma quello erroneo
e non corrispondente al vero della coincidenza di quel numero con le persone
intercettate. Del resto lo stesso imputato nel corso dell'articolo prende in
considerazione prop1io quello stesso numero dei cd 130.000 bersagli per confutare
che ci sarebbero state milioni di persone "spiate", diversamente da quanto
affermato durante il TG1.
Il diritto di critica esercitato dall'imputato, quindi, è stato fondato su un fatto
vero, ossia la inesattezza dei dati forniti dalla giornalista.
9
Quanto alle censurate espressioni sopra indicate cd utilizzate nell'articolo, a
prescindere dal personale stile di scrittura sferzante dell'imputato, che certo non
può costituire una autonoma ed individuale esimente, dette espressioni, benchè
usate in toni aspri cd ironici, certamente non hanno superato i limiti della
continenza.
Peraltro, le frasi censurate erano finalizzate a criticare la erroneità di tutti i
dati forniti nel corso del TG1, erroneità o inesattezza 1itenuta in parte pure dal
Tribunale, sicchè le stesse non possono essere riferite solo al singolo dato dei
130.000 bersagli. Dal tenore stesso della intera frase, in cui l'imputato ha espresso il
suo giudizio di "dato farlocco", si evince che la critica era rivolta al dato finale dei
milioni di italiani ascoltati, dato ottenuto sulla base di un meglio precisato
moltiplicatore e reputato inesatto pure dal Tribunale.
Quanto poi alla critica di avere sparato cifre a casaccio spacciandole per dati
ufficiali del ministerpo, anche qui si critica che il dato fornito dal ministero era stato
erroneamente letto dalla giornalista riferendolo non già alla utenze, ma alle persone,
giungendo poi, sulla base di non meglio precisati calcoli, alla cifra di milioni di
italiani spiati.
Quanto alla espressione "la Minzolina di complemento", sebbene certamente
l'imputato non risponda dei titoli degli articoli da lui redatti, tuttavia detta
espressione effettivamente è stata riportata anche nello stesso articolo, quasi come
suo incipit, come critica complessiva all'intero contenuto dell'articolo televisivo
della Graziadei, sicchè della stessa deve essere valutata anche la sua portata
diffamatoria.
Tuttavia detta esprcss10ne m sé, oggettivamente valutata, non può avere
alcuna valenza diffamato1ia, avendo accostato la persona della Graziadei a
Niinzolini, all'epoca direttore del Tgl, giornalista di stimata fama. Né poi la
"aggettivizzazionc" del cognome al femminile può evocare espressioni offensive
quali "olgettina" o "velina", mai usate dal giornalista. Anche la ulteriore espressione
"di complemento", allude evidentemente alla posizione subordinata dal punto di
vista lavorativo della parte lesa, all'epoca giornalista del TG1 diretto dal Minzolini,
fatto questo in sé privo di valenza diffamatoria.
Ed infatti "in tema di diflamazjone, nella valutazione del requisito della continenza,
necessario ai fini del legittimo esercizjo del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo
contesto dialettico i11 mi si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur se
aspri, forti e sprezzanti non siano meramente grahtiti, ma siano, invece, pertinenti al tema in
discussione eproporzionati alfatto narrato ed al concetto da esprimere" (Cass. Scz. 5 n.32027
del 23..3.18). Se certamente l'imputato usò la predetta espressione in tono
sarcastico, ciò avvenne sempre nell'ambito del diritto di critica, alludendo al fatto
che la parte offesa curò quale giornalista della edizione serale del TG diretto da
l,finzolini la redazione dell'articolo, dall'imputato criticato per i dati erronei forniti,
criticando nel contempo la linea editoriale di tutto il TG1 per il modo in cui era
stato affrontato l'argomento delle intercettazioni. La citata frase, dunque,
nell'ambito della espressione del diritto di critica, non può ritenersi oggettivamente
offensiva e, comunque, non può ritenersi esulante dal requisito della continenza.
Così delineati i fatti, pertanto, l'articolo redatto dall'imputato Travaglio e
pubblicato sul quotidiano "Il Fatto Quotidiano" non integra gli estremi del delitto
contestato dall'accusa, posto che il contenuto dello stesso deve intendersi come
espressione del diritto di critica che, per sua natura, si fonda su una interpretazione
soggettiva di fatti e comportamenti. Ciò che rileva, perché possa essere invocato il
diritto di critica, è sia la verità dei fatti e comportamenti descritti e criticati, verità
sussistente nella fattispecie in esame posto che è risultato vero che i dati forrùti
dalla Graziadei erano inesatti, nella loro complessiva lettura, sia la continenza del
giudizio, anche questo sussistente per le motivazioni sopra addotte, e sia la
pertinenza all'interesse dell'opinione pubblica e sociale della critica medesima. Sotto
tale ultimo profilo, è indiscutibile che, in relazione alla materia trattata, all'epoca
oggetto di acceso dibattito sulla stampa, tale giudizio risponda a detto requisito.
Per tali ragiorù, dunque, l'imputato deve essere assolto dal reato a lui ascritto
con conseguente riforma della impugnata sentenza del Tribunale di Roma.
11
P.Q.M.
Visto l'art. 605 c.p.p.
IN RIFORMA
della sentenza del Tribunale di Roma in data 19 luglio 2018, appellata da
Travaglio ìviarco, assolve l'imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non
costituisce reato.
fissa in giorni novanta il te1minc per il deposito della sentenza.
Roma, 14 dicembre 2020

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Sentenza di assoluzione della Corte di Appello di Roma

  • 1. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. Con sentenza del 19 luglio 2018 il Tribunale di Roma tn compos1z1onc monocratica ha condannato ìvfarco Travaglio alla pena di euro 400,00 di multa, con il beneficio della sospensione condizionale della pena e previo riconoscimento delle attenuanti generiche, oltre al pagamento delle spese processuali, per il reato di cui all'art. 595 c.p., commesso in data 4 luglio 2010 per avere, quale autore dell'articolo pubblicato sul "Fatto Quotidiano" in data 4.7.10 dal titolo "TGl, la Minzolina di complemento", offeso la reputazione di Grazia Graziadei, giornalista del TG 1, affennando che il TG1, nel corso della trasmissione del 3.7.1O in cui la stessa Graziadei aveva letto la notizia in tema di intercettazioni telefoniche, aveva "sparato cifre a casaccio spacciandole per dati ufficiali del Niinistero della Giustizia". Con la stessa sentenza è stata disposta la pubblicazione della sentenza a spese dell'imputato che è stato condannato al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, Grazia Graziadei, liquidati equitativamente e definitivamente in euro 30.000 cd alla rifusione, in favore della medesima, delle spese di costituzione e difesa. Infine il Tribunale ha pronunciato sentenza di assoluzione nei confronti dell'imputato dalla residua imputazione, nonché nei confronti di Antonio Padellarn, quale direttore responsabile del giornale, dal delitto a lui ascritto perché il fatto non sussiste. La vicenda prende le mosse dall'articolo televisivo redatto dalla parte offesa Graziadei e trasmesso durante la edizione serale del tgl del 3.7.10 in cui si assumeva, in tema di intercettazione, che "il numero dei cd bersagli veri e propri di intercettazioni telefoniche cd ambientali nel 2009 è stato 130.000. La fonte è il Ministero della Giustizia. 130.00 persone sono state messe sotto controllo, una minima parte del dato si riferisce alle cimici ambientali e chi ha parlato con quei 130.000 .certamente è stato anche lui ascoltato. Quindi il numero degli spiati deve essere moltiplicato più volte , si parla di milioni di italiani ... ". Il 4.7.201Osul Fatto Quotidiano veniva pubblicato l'articolo a firma dell'imputato con il titolo sopra citato, in cui si affermava che la Graziadei, nel corso del TG1, per supportare le
  • 2. 2 balle del Banana al TG4 sulle intercettazioni, ha sparato cifre a casacc10 spacciandole per dati ufficiali del Ministero dello Giustizia, aggiungendo "ceco il dato farlocco: i bersagli messi sotto controllo ogni anno sono 130.000 e chi ha parlato con questi è stato anche egli ascoltato. Dunque i 130.000 devono essere moltiplicati e si arriva a milioni di italiani". Nel corso dello stesso articolo s1 affermava anche "balle sesquipedali: i 130.000 bersagli non corrispondono al numero degli utenti ma al numero delle utenze intercettate (ciascun italiano possiede diversi apparecchi e schede) e non basta: ogni utenza può essere ascoltata per 20 giorni al massimo, poi per proseguire occorrono le proroghe. Dunque i 130.000 vanno divisi per il numero delle utenze e delle proroghe, si arriva così a 15- 20 mila persone intercettate l'anno. Altro che milioni". Il Tribunale ha osservato che i dati diffusi dalla parte lesa erano tre, ossia il numero di 130.000 dei bersagli di intercettazione telefoniche, il dato che equipara detti bersagli al numero delle persone intercettate cd il numero delle persone effettivamente intercettate indicato in milioni. Dopo avere reputato non veritieri il secondo ed il terzo dato fornito dalla parte lesa, ossia la coincidenza del numero di 130.000 con le persone invece che con le utenze e quello del numero delle persone effettivamente intercettate indicate in milioni, il Tribunale ha però ritenuto veritiero il primo dato fornito, ossia quello del numero di 130.000 dei bersagli di intercettazioni telefoniche. Ciò premesso il Tribunale, dopo avere ricordato che su questa vicenda si era pronunciata per ben tre volte la Corte di Cassazione, ha fondato la pronuncia sul principio di diritto affermato con la sentenza della Corte di Cassazione n. 40930/13 che aveva annullato la sentenza di proscioglimento del Gup. H~ quindi, osservato che l'imputato aveva "criticato e bollato come falso" un dato vero, ossia il numero delle utenze intercettate, fornito dal Ministero della Giustizia. Pertanto, essendo stato criticato e dichiarato come falso un dato che invece era vero, ha escluso la possibilità di invocare la esimente del diritto di critica in senso oggettivo. Conseguentemente ha ritenuto diffamatorie le espressioni adoperate al riguardo dall'imputato laddove ha scritto "la Graziadei ha sparato cifre a casacc10 spacciandole per dati ufficiali del Ministero della Giustizia", per poi aggiungere
  • 3. 3 "ceco il dato farlocco", il tutto accompagnato dal titolo denigratorio "La IVIinzolina di complemento". Ha inoltre escluso di poter applicare la scriminante dell'art. 51 c.p. nel suo aspetto putativo, posto che i dati del Ministero erano stati diffusi almeno tre giorni prima, come dallo stesso imputato ammesso. Il Tribunale ha ritenuto anche coperto dal giudicato il giudizio "truffaldino" espresso dall'imputato a proposito dei costi indicati dalla Graziadei nelle spese sostenute per le intercettazioni, alla luce della sentenza n. 40930 della Cassazione che ha ritenuto indenne da censure la sentenza di proscioglimento del Gup su tale punto. Il Tribunale, tuttavia, ha escluso ogni valenza diffamatoria per quanto riguarda gli ulteriori giudizi espressi dall'imputato con riferimento agli altri due dati forniti dalla parte lesa, reputati dal Tribunale inesatti e non veritieri. Avverso la sentenza ha proposto appello il difensore dell'imputato, chiedendone l'assoluzione e deducendo in primo luogo che il Tribunale aveva ignorato il contesto storico-politico in cui era maturata la pubblicazione dell'articolo in cui era acceso il dibattito sulla riforma delle intercettazioni. Si deduce anche che con l'articolo in questione non si intendeva offendere la professionalità della giornalista, quanto piuttosto criticare la politicizzazione del servizio pubblico televisivo, sicchè si trattava di una critica che rifletteva il dibattito politico che investiva il problcma della indipendenza delle redazioni giornalistiche della RAI . In tale contesto, dunque, secondo il difensore, si inscriva l'articolo scritto dall'imputato con cui si irrideva la linea editoriale del TG1 con riguardo al modo distorto e mistificatorio con cui aveva affrontato il problema delle intercettazioni. Quanto poi alle espressioni criticate in sentenza cd al "dato farlocco", questo si riferiva alla confusione che era stata effettuata tra il dato delle utenze intercettate con quello del numero delle persone controllate. Il difensore, poi, ha anche dedotto che la critica era stata espressa in tono sferzante ma continente e che il titolo la "IYiinzolina di complemento" non era denigratorio posto che alludeva alla posizione di effettiva subordinazione, sotto il profilo lavorativo, della parte lesa all'allora direttore del TGl ~finzolini; ha comunque anche valorizzato la circostanza che il titolo è di creazione redazionale e attribuibile, sotto il profilo della
  • 4. 4 responsabilità penale al direttore e non già all'autore dell'articolo, evidenziando come il Padellaro fosse stato assolto dal medesimo reato con la stessa sentenza, ormai irrevocabile sul punto perchè non impugnata. Ha inoltre osservato che l'articolo è stata anche espressione del diritto di satira. Infine, ha chiesto la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena. All'udienza di trattazione, la parte civile depositava una memona scritta sostenendo le argomentazioni già addotte nella sentenza di primo grado e le parti formulavano le loro conclusioni; l'imputato, peraltro, rinunciava alla prescrizione tramite il proprio difensore munito di procura speciale a tale fine conferita; la Corte, quindi, pronunciava sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE La Corte osserva che nel caso di specie l'appello e fondato e merita accoglimento. Occorre prelimina1mente osservare che nell'ambito di questa vicenda la Corte di Cassazione è già intervenuta per ben tre volte annullando le tre sentenze di non luogo a procedere pronunciate dal Gup, affermando con la sentenza n.40930 il principio di diritto secondo cui "in tema di diffamazione a mezzo stampa l'esercizio del diritto di critica richiede la verità del fatto attribuito ed assunto a presupposto delle espressioni critiche in quanto non può essere consentito ascrivere ad un soggetto spel?°fùi comportamenti mai tenuti o eJpressioni maipronunciate, _perpoi esporlo a critica come se queifatti o quelle espressioni Jòssero ~flèttivamente a lui nfe-n.bilz~· pertanto, limitatamente alla verità delJàtto, non sussiste una sostanzjale dffferenza tra l'esimente del diritto di critica e quella del diritto di cronaca, costituendo per entrambe presupposto di operativita'. Con la stessa sentenza ha anche affermato che "la critica che si manijèsti attraverso la esposizione di una personale intepretazjone ha valore di esimente, nella ricorrenza degli altri requisiti, senza che possa pretendersi la verità oggettiva di quanto sostenuto, ma da tale requisito non può prescindersz~ viceversa, quando - come nel caso di specie - 1mjàtto obiettivo sia_posto afondamento della elaborazione critica".
  • 5. 5 Ciò premesso, solo nel corso del dibattimento vemva reperito sul sito internet fornito dalla difesa e quindi trascritto il testo dell'articolo di cui era stata data lettura dalla Grazìadei nel corso del TGl, dal titolo "Chissà quanti di noi intercetta!/'; in tale articolo si affermava "Cnissà quanti di noi, ignari, sono stati captati mentre parlavano al telefòno con persone oggetto di indagini ed intercettate. Il numero dei cd bersagli veri epropri di intercettaz/oni telefoniche ed ambientali è stato di 130.000. Lafonte è il Ministero della Giustizia. 130.000 persone sono state messe sotto controllo. Una minima parte del dato si rijèn'.rce alla cimùi ambientali e chi ha parlato con qttei 130.000 certamente è stato anche !tti ascoltato. Quindi il numero degli Jpiati deve essere moltiplicato più volte, si parla di milioni di italiani. Nel 2009, circa 270 milioni di euro il costo delle intercettazioni ed in passato i costi oscillavano vertiginosamente da una Procura all'altra, da quattro a ventitré euro algiorno. L'unità di monitoraggio e controllo della Jpesa istituita dai Lif.inistero del Giustizia ha abbattuto i costi di circa il 30% ma resta l'enorme debito acmmulato negli anni, tra i 400 ed i 600 milioni di euro, debito verso le società telejòniche e quelle che noleggiano gli strumentiper registrare. La cifra tiene conto anche della stima di spese per le inchieste ancora aperte in Italia. Nel 95% dei casi i . GIP hanno detto si alla richiesta di intercettazjone fatta dalla Procura. L'intercettazione è un importante strumento di indagine e contro la criminalità sebbene, da via Arenula jànno sapere, siano stati pochi i processi in materia di mqfta basati esdusivamente sttlle intercettazioni telefoniche". L'articolo televisivo in questione commentava i dati numerici forniti dal Ministero della Giustizia relativi alle intercettazioni telefoniche e non, per gli anni 2003 -2009 diffusi nel giugno del 2010, dati che indicavano in 132.384 il totale non già delle persone, ma dei bersagli intercettati nel corso del 2009, dato comprensivo di utenze telefoniche, ambientali cd alt!! tipologie. A seguito della lettura del predetto articolo, il giorno successivo l'imputato pubblicava sul "Patto Quotidiano" un articolo a sua fi1ma, dal titolo "TG1, la ''Minzolina di complemento", testualmente scrivendo "Grazja Grazjadez: la Minzolina di complemento che l'altro giorno aveva tra.iformato la condanna di Dell'Utriper mafia in un trionfo del senatore e dei suoi dffensori ein ttna debacle della_procttra, ha colpito ancora. Ieri sera al TG1, per suppot1are le balle del Bancma al TG4 sulle intercettazioni: ha Jparato cifre a casaccio
  • 6. 6 spacciandole per "dati uffìciali del ministero della Giustizia': L'attacco del servizjo è di quelli che spaventano: "Chissà quanto di noi sono stati intercettati in questi anni ... " Poi ecco il dato farlocco: ''I bersagli messi sotto controllo ogni anno sono 130.000 e chi ha parlato con questi è stato anche egli ascoltato. Dunque i 130.000 devono essere moltiplicati e si arriva a milioni di italiani': Baffe sesquipedali: i 130.000 bersagli non corrispondono al numero degli utenti ma al numero delle utenze intercettate (ciascun italiano possiede diversi apparecchi e schede) e non basta: ogni utenzapuò essere ascoltata_per 20 giorni al massimo, poiperproseguire occorrono leproroghe. Dunque i 130.000 vanno divisiper il nttmero delle utenze e de!fe proroghe, si arriva così a 15-20 mila persone intercettate l'anno. Altro che milioni. Tnçfjàldine anche le cifre sulle spese per intercettare (170 milioni all'anno, 4-6 milioni di debiti con le società telefoniche e con quelle addette alle intercettazioni): basterebbe che lo 5fato imponesse alfe compagnie di svolgere il servizio gratis (come in Francia e in Germania) e acquistasse le apparecchiature in proprio anziché noleggiarle da_privati, per spendere quasi zero. Ridicolopoi l'ultimo "dato" della Grazjadei: 'Via Arenula fa sapere che sono pochissime le inchieste di mcifìa basate su intercettazioni': Sarebbe interessante sapere quante sarebbero finite nel nulla se non si fossero avvalse "anche" di intercettazjoni Ma, per saperlo, d vorrebbe un telegiornale. Pretesa assurda, trattandosi del TG1". Il Tribunale nella sentenza impugnata ha ritenuto l'imputato responsabile del delitto ascrittogli limitatamente al fatto di avere criticato e bollato come falso un dato vero, ossia quello del numero delle utenze intercettate, numero fornito dal Ministero della Giustizia. Il primo giudice, infatti, ha analizzato il testo dell'articolo televisivo letto dalla Graziadei nel corso del TG1 osservando che nello stesso erano stati forniti tre dati, quello dei 130.000 bersagli di intercettazioni telefoniche, quello che equipara il numero dei bersagli al numero delle persone intercettate e quello delle persone effettivamente ascoltate, indicato in "milioni". Ha, quindi, giudicato inesatto il secondo dato perchè 130.000 non erano le persone intercettate ma le utenze, non veritiero l'ultimo dato, ma veritiero il primo. Conseguentemente, ha reputato offensive le espressioni utilizzate dal giornalista scrivendo che la Graziadei aveva "sparato cifre a casaccio spacciandole per dati ufficiali", nonché utilizzando
  • 7. 7 l'espressione "ecco il dato farlocco", il tutto accompagnato dal titolo "la ltiinzolina di complemento". Orbene, così delineato l'ambito di valutazione, alla luce dei principi affermati dalla Cassazione e del profilo penalmente rilevante ritenuto dal Tribunale, si osserva che proprio dalla lettura dell'articolo della Graziadei, integralmente trascritto solo nel corso della istruttoria dibattimentale, risulta che sebbene la giornalista abbia parlato di 130.000 cd bersagli, indicando come fonte il Ministero della Giustizia, la stessa ha immediatamente ed erroneamente abbinato al dato numerico dei 130.000 bersagli quello delle 130.000 persone intercettate. Dalla lettura dell'articolo della Graziadei si evince, infatti, che la stessa subito dopo avere fornito il dato numerico dei "130.000 bersagli" ha immediatamente abbinato al termine "bersaglio" quello delle persone, non parlando mai di utenze, facendo così credere a chi ascoltava la trasmissione del TG1 in cui era stata data lettura all'articolo che quel numero fosse riferito alle persone intercettate e non già alle utenze, diversamente da quanto riportato nei dati ufficiali del Ministero della Giustizia, dove quel numero era riferito alle tipologie di bersagli, ossia utenze telefoniche cd ambientali, non già alle persone. Il dato erroneo fornito dalla parte lesa, dunque, non fu tanto nell'elemento asettico del numero "130.00", effettivamente fornito dal Ministero, quanto nell'immediato cd erroneo abbinamento di quel numero con quello delle persone intercettate, dato questo, invece, mai fornito dal Ministero delle Giustizia. A ciò si aggiunga che su questo dato, sulla base di un fantomatico e non meglio precisato moltiplicatore, la giornalista era pervenuta alla conclusione che milioni sarebbero stati gli italiani "spiati". Pertanto, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, non costituisce un presupposto falso il fatto che la parte lesa nel proprio articolo fornì dati non corretti, citando in modo erroneo la fonte ufficiale, attraverso un automatico cd arbitrario abbinamento del dato numerico dei 130.000 bersagli, fornito dal Ministero, con quello delle persone intercettate.
  • 8. 8 Il predetto dato erroneo, peraltro, costituì anche il presupposto del ragionamento della parte lesa, da cui ~scaturì l'ulteriore dato numerico errato, ossia et,. quello dei milioni di italiani spiati. Dopo la edizione del TG1, in cui era stata data lettura del predetto articolo televisivo, l'imputato pubblicò sul 'Tatto Quotidiano" il suo articolo oggi incriminato, criticando, con toni certamente asp1i e sferzanti, il dato erroneo fornito nel corso del TG1, ossia la automatica cd arbitraria coincidenza dei 130.000 bersagli con il numero delle persone intercettate e, quindi, il numero complessivo degli italiani ascoltati. L'imputato, quindi, ha c1iticato il dato fornito, effettivamente erroneo, da cui peraltro era scaturita la ulteriore erronea conseguenza che milioni di italiani sarebbero stati spiati, utilizzando certamente espressioni aspre quali "ecco il dato farlocco", o "cifre sparate a casaccio", che costituiscono però una espressione del diritto di c1itica alla notizia erronea fornita nel corso del predetto TG1. Egli, infatti, ha posto a fondamento della propria elaborazione critica il fatto oggettivo della sostanziale erroneità del dato fornito dalla parte lesa, così come dalla stessa letto, nella arbitraria sovrapposizione e coincidenza del dato numerico dei bersagli di intercettazione con quello delle persone intercettate, da cui poi scaturiva l'ulteriore erroneo dato numerico del numero delle persone ascoltate. Dalla lettura dell'intero articolo dell'imputato, che non può essere vivisezionato ma valutato nella sua portata complessiva, il dato criticato dal giornalista non è il dato numerico cd asettico di 130.000 bersagli, ma quello erroneo e non corrispondente al vero della coincidenza di quel numero con le persone intercettate. Del resto lo stesso imputato nel corso dell'articolo prende in considerazione prop1io quello stesso numero dei cd 130.000 bersagli per confutare che ci sarebbero state milioni di persone "spiate", diversamente da quanto affermato durante il TG1. Il diritto di critica esercitato dall'imputato, quindi, è stato fondato su un fatto vero, ossia la inesattezza dei dati forniti dalla giornalista.
  • 9. 9 Quanto alle censurate espressioni sopra indicate cd utilizzate nell'articolo, a prescindere dal personale stile di scrittura sferzante dell'imputato, che certo non può costituire una autonoma ed individuale esimente, dette espressioni, benchè usate in toni aspri cd ironici, certamente non hanno superato i limiti della continenza. Peraltro, le frasi censurate erano finalizzate a criticare la erroneità di tutti i dati forniti nel corso del TG1, erroneità o inesattezza 1itenuta in parte pure dal Tribunale, sicchè le stesse non possono essere riferite solo al singolo dato dei 130.000 bersagli. Dal tenore stesso della intera frase, in cui l'imputato ha espresso il suo giudizio di "dato farlocco", si evince che la critica era rivolta al dato finale dei milioni di italiani ascoltati, dato ottenuto sulla base di un meglio precisato moltiplicatore e reputato inesatto pure dal Tribunale. Quanto poi alla critica di avere sparato cifre a casaccio spacciandole per dati ufficiali del ministerpo, anche qui si critica che il dato fornito dal ministero era stato erroneamente letto dalla giornalista riferendolo non già alla utenze, ma alle persone, giungendo poi, sulla base di non meglio precisati calcoli, alla cifra di milioni di italiani spiati. Quanto alla espressione "la Minzolina di complemento", sebbene certamente l'imputato non risponda dei titoli degli articoli da lui redatti, tuttavia detta espressione effettivamente è stata riportata anche nello stesso articolo, quasi come suo incipit, come critica complessiva all'intero contenuto dell'articolo televisivo della Graziadei, sicchè della stessa deve essere valutata anche la sua portata diffamatoria. Tuttavia detta esprcss10ne m sé, oggettivamente valutata, non può avere alcuna valenza diffamato1ia, avendo accostato la persona della Graziadei a Niinzolini, all'epoca direttore del Tgl, giornalista di stimata fama. Né poi la "aggettivizzazionc" del cognome al femminile può evocare espressioni offensive quali "olgettina" o "velina", mai usate dal giornalista. Anche la ulteriore espressione "di complemento", allude evidentemente alla posizione subordinata dal punto di
  • 10. vista lavorativo della parte lesa, all'epoca giornalista del TG1 diretto dal Minzolini, fatto questo in sé privo di valenza diffamatoria. Ed infatti "in tema di diflamazjone, nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizjo del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico i11 mi si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur se aspri, forti e sprezzanti non siano meramente grahtiti, ma siano, invece, pertinenti al tema in discussione eproporzionati alfatto narrato ed al concetto da esprimere" (Cass. Scz. 5 n.32027 del 23..3.18). Se certamente l'imputato usò la predetta espressione in tono sarcastico, ciò avvenne sempre nell'ambito del diritto di critica, alludendo al fatto che la parte offesa curò quale giornalista della edizione serale del TG diretto da l,finzolini la redazione dell'articolo, dall'imputato criticato per i dati erronei forniti, criticando nel contempo la linea editoriale di tutto il TG1 per il modo in cui era stato affrontato l'argomento delle intercettazioni. La citata frase, dunque, nell'ambito della espressione del diritto di critica, non può ritenersi oggettivamente offensiva e, comunque, non può ritenersi esulante dal requisito della continenza. Così delineati i fatti, pertanto, l'articolo redatto dall'imputato Travaglio e pubblicato sul quotidiano "Il Fatto Quotidiano" non integra gli estremi del delitto contestato dall'accusa, posto che il contenuto dello stesso deve intendersi come espressione del diritto di critica che, per sua natura, si fonda su una interpretazione soggettiva di fatti e comportamenti. Ciò che rileva, perché possa essere invocato il diritto di critica, è sia la verità dei fatti e comportamenti descritti e criticati, verità sussistente nella fattispecie in esame posto che è risultato vero che i dati forrùti dalla Graziadei erano inesatti, nella loro complessiva lettura, sia la continenza del giudizio, anche questo sussistente per le motivazioni sopra addotte, e sia la pertinenza all'interesse dell'opinione pubblica e sociale della critica medesima. Sotto tale ultimo profilo, è indiscutibile che, in relazione alla materia trattata, all'epoca oggetto di acceso dibattito sulla stampa, tale giudizio risponda a detto requisito. Per tali ragiorù, dunque, l'imputato deve essere assolto dal reato a lui ascritto con conseguente riforma della impugnata sentenza del Tribunale di Roma.
  • 11. 11 P.Q.M. Visto l'art. 605 c.p.p. IN RIFORMA della sentenza del Tribunale di Roma in data 19 luglio 2018, appellata da Travaglio ìviarco, assolve l'imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato. fissa in giorni novanta il te1minc per il deposito della sentenza. Roma, 14 dicembre 2020