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ROMA
… l’impressione è di avere mille
occhi addosso, anche se nessuno
in apparenza si cura di noi.
Addormentarsi non è facile …
probabilmente per il muezzim che dal
minareto a cinque metri dalla nostra
finestra invita i fedeli alla preghiera.
Le aerolinee interne ci
planano al di là dell’Atlante
verso il cuore del Sahara. Un
minareto inconfondibile
attraversa gli oblò del 737…
Ghardaià … l’ultimo mercato
prima delle coste
mediterranee per le
carovane che giungevano dal
profondo Sahara con i loro
preziosi carichi di sale e
avorio, schiavi e oro.
Atterriamo a
Tamanrasset (1390m)
dopo mezza giornata
di volo … raggiungiamo
l’Hotel Tahat che fa
da punto di raccolta e
partenza per le
spedizioni … ci sono
divieti di fotografare
quasi ovunque, la
gente è schiva e
irascibile.
Si forma la
spedizione, a noi
cinque si aggiungono
l’Amerikano e i
tuareg: due
guide/autisti, un
cuoco e un ragazzo
di bottega.
Pochi chilometri
fuori da
Tamanrasset il primo
incontro con una
carovana di mehari
(dromedari) che
trasporta legna … si
corre lungo una pista
piana e dritta … ma
non sarà sempre così.
Dopo neanche un’ora un primo
anticipo d’Hoggar, solo e
maestoso ci troviamo di
fronte l’Iharen (1732m) …
Si comincia a salire e il paesaggio
da pianeggiante diventa montano.
Abararror, 2680m
“Ibiàn”, ghirba in pelle
di capra della capacità
di circa 20 litri.
Ci fermiamo per
vedere un piccolo
esempio di incisioni
rupestri raffiguranti
animali e pastori
nomadi, il periodo cui
risalgono è incerto…
La pista incrocia un “uadi” , letto
di fiume fossile, costituito da
una striscia di grandi ciottoli
levigati dall’acqua che migliaia di
anni fa scorreva in questa zona...
…siamo alla “ghelta” di Afilale,
una cisterna naturale che
raccoglie le acque piovane
stagionali difendendole a lungo
dall’assorbimento e dalla
evaporazione.
Homo roccis
con le due
femmine del
branco
Riflessi e riflessioni
Ilaman, 2760m
Clocher du Tazuyeg, 2415m
Nel pomeriggio raggiungiamo le prime cime dell’Atakor , il massiccio
centrale dell’Hoggar che viene descritto come “Le Dolomiti del Sahara”
per la sua bellezza scenografica.
Aruri n Eyhed
2500m
Col Asekrem (2530m ca) è un
valico dove i Tuareg hanno
costruito qualcosa che
ricorda i trading post del
far-west. Una recinzione
quadrata, un paio di bassi
edifici, una cisterna …
Si possono fare tanti errori
quando si viaggia nel Sahara,
uno dei più grandi è
guardare dentro le cisterne
in cui ci si rifornisce
d’acqua. Chissà quante
nuove specie di insetti (vivi e
morti) gli entomologi
avrebbero potuto scoprire in
quel cassone di autobotte.
L’ascesa è faticosa,
ancora non siamo
acclimatati né al nuovo
ambiente, né tantomeno
ai 2500m del valico, lo
sforzo fisico è intenso. Ci
fanno compagnia lungo il
sentiero pietroso tre
asini che in confronto a
noi fanno la figura dei
purosangue.
In cima al Col Asekrem visitiamo
l’eremo di Padre Foucauld
… la fatica della salita è ampiamente ripagata dal panorama che si gode dalla cima.
L’aria secca permette di vedere a grande distanza … il maestoso Atakor è lì di
fronte a noi e sembra quasi di poterlo toccare.
I colori cambiano col passare dei minuti, un prisma celeste scompone la
luce bianca del giorno nei colori dell’iride che la compongono, come se al
calar della notte questi vadano a riposare ciascuno al proprio posto per poi
tornare a comporsi all’alba in un nuovo giorno luminoso.
La luce e il calore che porta con sé vanno rapidamente lasciando spazio al
crepuscolo e al freddo tanto invocati durante il giorno. Ceniamo insieme a
tutti gli ospiti del rifugio in una stanza illuminata da candele, scopriremo le
delizie del cous-cous. Solo ai pochi europei è concesso il lusso delle posate.
L’alba all’Asekrem non è meno
bella del tramonto, ma c’è poco
tempo per i sentimentalismi,
bisogna ripartire prima che arrivi
il caldo.
Il primo incontro della giornata è con una formazione di colonne
basaltiche … sembrano canne di un immenso organo pronto a
suonare il Silenzio, unica sinfonia possibile nel deserto.
La voglia di divertirsi a vent’anni non
manca mai …
… entriamo nel villaggio di
Hirafok che ... trovandosi al
punto di covergenza di un
largo bacino proveniente dalla
zona nord dell’Atakor … è
particolarmente ricco d’acqua.
“La mia è stata una vita piena
di cose (vie substantielle).
Sono felice di essere
sopravvissuto agli orrori
dell’infanzia. Sono felice di
aver potuto evitare di
tormentare i miei figli allo
stesso modo”
…la presenza di gazzelle e giraffe (sempre
rivolte in direzione di un pozzo) può far
datare queste incisioni al periodo più antico
dell’arte rupestre sahariana, quello Bubaliano
o dei Cacciatori (6000-4000 a.C.).
Tracce di verde…
…allestiamo il campo per quella che sarà la
prima notte sotto la protezione delle Pleiadi.
Dopo cena chiediamo ai
Tuareg di parlarci di loro
… è gente dura come
deve esserlo chi vive in
un ambiente limite e si
confronta con la
sopravvivenza ogni
giorno. Sono stati
predoni e mercanti di
schiavi … oggi non
rinunciano a nessuna
delle loro tradizioni …
cantano e recitano
poesie.
… I quattro tuareg si rivolgono verso la
Mecca per ringraziare … quel Dio che
condividiamo. Ci sentiamo piccoli in
confronto a chi avendo quasi nulla ringrazia
Allah cinque volte al giorno …
L’aria è così
limpida che le
stelle
sembrano più
vicine e
luminose. La
Via Lattea ci
indica la
strada di casa.
Nella prima parte della
mattinata ci imbattiamo
in un accampamento
Tuareg. Il campo è
formato da 4-5 tende
(éhan). Ognuna, lunga
circa sei metri, è
composta da un centinaio
di pelli di capra colorate
in rosso ocra.
Siamo fortunati, arriviamo durante la
settimana di festeggiamento di un
matrimonio. Accolti nella tenda dello
sposo ci viene offerto l’immancabile (e
prezioso) tè alla menta …
… se ne bevono tre bicchierini
a persona: il primo “amaro
come la morte”, il secondo
“forte come la vita” e il terzo
“dolce come l’amore”.
“Nel mondo monogamo Tuareg la
successione è matrilineare …
l’educazione, l’insegnamento della
lingua, la trasmissione delle
leggende e della antica cultura sono
poteri irrinunciabili, e attorno alla
figura della mater si consolida
l’unità politica, sociale ed
economica del clan” (CB)
“Uniche fra le popolazioni islamiche le donne Tuareg
partecipano attivamente e liberamente alla scelta del
marito. La richiesta viene formulata dal giovane al padre
della fidanzata, e al momento del consenso segue la
discussione sulla dote che l’uomo dovrà versare, da 1 a 7
dromedari a seconda del rango sociale del marito” (MF)
Al momento di lasciare
l’accampamento veniamo
circondati da bambini che
chiedono qualcosa in regalo
… eravamo preparati alla
evenienza … un ragazzino
tuttavia riesce a
“estorcermi” il berretto con
visiera … non ho idea di come
farò nei giorni a venire.
Poche ore più tardi
passerà nello stesso
campo una coppia di
francesi, i Sechì,
che incontreremo
ancora nel nostro
vagare per l’Hoggar.
Nel pomeriggio ci
fermiamo nel
villaggio di Ideles.
… le tradizionali tuniche
(eressoui) color indaco
(tari), azzurre e bianche
(mahmoudi). Il contrasto di
colori crea il suggestivo
effetto cromatico
descritto in tanta
letteratura sul Sahara.
Riprendiamo la pista
verso sud anziché
far rotta verso
Djanet. Ci
accampiamo in un
uadi appena fuori
del piccolo villaggio
di Tazrouk, il più
alto dell’Hoggar.
All’alba siamo svegliati da un
vociare confuso … improvvisi
appaiono alcuni gruppi di
pellegrini che rientrano dalla
Mecca … l’atteggiamento nei
nostri confronti è
decisamente negativo.
Percorriamo per alcuni
chilometri il letto di un
uadi. Le guide hanno
scelto un posto davvero
suggestivo per questa
notte: la cascata di
Tamengrest
(L’Invalicabile), uno dei
punti d’acqua più
importanti dell’Hoggar.
La giornata trascorre con la lentezza necessaria a
queste latitudini, una piccola emozione ci viene dal
ritrovamento di alcune punte di freccia e di un
pestello di mortaio.
È la nostra ultima notte nel deserto e la malinconia è grande. Nonostante i disagi,
il freddo e le paure che qualsiasi notte porta con sé, a maggior ragione quando
sei all’aperto in un luogo sconosciuto e con gente in cui ha fiducia per contratto,
vorremmo che ce ne fossero ancora tante di notti così.
L’alba ci coglie di sorpresa, fatichiamo ad
alzarci … riprendiamo la pista per
Tamanrasset, direzione sud-ovest.
Ci muoviamo sul reg, terreno piano
coperto di sabbia e piccoli sassi.
Esistono due tipi di dromedari: quelli pregiati
destinati alla cavalcatura, snelli e lanciati, bianchi
col pelo rasato, e quelli da soma più robusti e col
pelo lungo, permalosi e prepotenti.
Riserviamo gli ultimi scorci di Sahara alle
foto con i nostri amici Tuareg verso i quali
proviamo un duplice senso di gratitudine:
per averci condotto con sicurezza e senza
rischi attraverso un ambiente tanto
affascinante quanto pericoloso, e per la
pazienza con cui hanno sopportato il nostro
non saper stare in quello stesso ambiente.
Il pomeriggio viene trascorso a casa di una delle
guide insieme all’addetto governativo al turismo,
una presenza ufficiale stonata che aggiunge poco
alla ricchezza già raccolta in questo viaggio.
Purtroppo non c’è alcuna testimonianza
fotografica di questo ultimo giorno di viaggio.
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Perdiamo del tempo per togliere dai bagagli la sabbia
raccolta in questa settimana … ma insieme alla sabbia del
deserto sentiamo scorrere via tra le dita qualcosa di
prezioso, di unico … dagli oblò dell’aereo guardiamo il
Sahara allontanarsi sotto di noi e, come sempre quando
qualcosa, finisce chi parla è il Silenzio. Si torna al di là del
Mediterraneo da “La Bianca” a “L’Eterna”. Sapere che al
ritorno avremo da raccontare agli amici delle …
… è la sola consolazione che abbiamo.
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grande affetto …
Mio Padre, per aver
pensato e realizzato
questo viaggio. È
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Mia Madre per lo spirito di
adattamento e positività con cui
ha affrontato le molte
scomodità, consapevoli che il
suo modo ideale di viaggiare è
certamente diverso.
Mia Sorella, per lo spirito di
conoscenza e la curiosità con
cui ha affrontato questa
avventura.
Mio Fratello, sempre
pronto a sdramatizzare
con la sua ironia e per
avermi facilitato la
comprensione della
sequenza fotografica.
L’Amerikano, forse più
interessato alla
componente femminile del
gruppo che al paesaggio.
Le Guide, Autisti, Cuochi
ecc.Tuareg che ci hanno
insegnato ad amare il Sahara.
I costruttori dei
fuoristrada perché
“…le intrepide
Toyota, che gli Dei
del Fujiyama le
abbiano in gloria,
sarebbero uscite di
slancio anche dalle
sabbie mobili” (SM).
I Djenoun, spiriti maligni del deserto, per
averci risparmiato l’orrifica avventura di
una tempesta di sabbia.
Closter, Praktica, Kodak, Fujifilm …
Testi: Manfredi Di Giorgio e numerosi
altri autori che hanno scritto dei loro
viaggi nel Sahara.
Fotografie: Famiglia Di Giorgio,
l’Amerikano, i Sechì, AAVV.
(RFR)
Hoggar: sulle piste del Sahara inseguendo l'ombra delle carovane Tuareg

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Hoggar: sulle piste del Sahara inseguendo l'ombra delle carovane Tuareg

  • 1.
  • 2.
  • 4.
  • 5.
  • 6. … l’impressione è di avere mille occhi addosso, anche se nessuno in apparenza si cura di noi. Addormentarsi non è facile … probabilmente per il muezzim che dal minareto a cinque metri dalla nostra finestra invita i fedeli alla preghiera.
  • 7.
  • 8. Le aerolinee interne ci planano al di là dell’Atlante verso il cuore del Sahara. Un minareto inconfondibile attraversa gli oblò del 737… Ghardaià … l’ultimo mercato prima delle coste mediterranee per le carovane che giungevano dal profondo Sahara con i loro preziosi carichi di sale e avorio, schiavi e oro.
  • 9. Atterriamo a Tamanrasset (1390m) dopo mezza giornata di volo … raggiungiamo l’Hotel Tahat che fa da punto di raccolta e partenza per le spedizioni … ci sono divieti di fotografare quasi ovunque, la gente è schiva e irascibile.
  • 10. Si forma la spedizione, a noi cinque si aggiungono l’Amerikano e i tuareg: due guide/autisti, un cuoco e un ragazzo di bottega.
  • 11. Pochi chilometri fuori da Tamanrasset il primo incontro con una carovana di mehari (dromedari) che trasporta legna … si corre lungo una pista piana e dritta … ma non sarà sempre così.
  • 12. Dopo neanche un’ora un primo anticipo d’Hoggar, solo e maestoso ci troviamo di fronte l’Iharen (1732m) …
  • 13. Si comincia a salire e il paesaggio da pianeggiante diventa montano. Abararror, 2680m
  • 14. “Ibiàn”, ghirba in pelle di capra della capacità di circa 20 litri.
  • 15.
  • 16. Ci fermiamo per vedere un piccolo esempio di incisioni rupestri raffiguranti animali e pastori nomadi, il periodo cui risalgono è incerto…
  • 17. La pista incrocia un “uadi” , letto di fiume fossile, costituito da una striscia di grandi ciottoli levigati dall’acqua che migliaia di anni fa scorreva in questa zona... …siamo alla “ghelta” di Afilale, una cisterna naturale che raccoglie le acque piovane stagionali difendendole a lungo dall’assorbimento e dalla evaporazione.
  • 18. Homo roccis con le due femmine del branco Riflessi e riflessioni
  • 19.
  • 21. Clocher du Tazuyeg, 2415m Nel pomeriggio raggiungiamo le prime cime dell’Atakor , il massiccio centrale dell’Hoggar che viene descritto come “Le Dolomiti del Sahara” per la sua bellezza scenografica. Aruri n Eyhed 2500m
  • 22. Col Asekrem (2530m ca) è un valico dove i Tuareg hanno costruito qualcosa che ricorda i trading post del far-west. Una recinzione quadrata, un paio di bassi edifici, una cisterna … Si possono fare tanti errori quando si viaggia nel Sahara, uno dei più grandi è guardare dentro le cisterne in cui ci si rifornisce d’acqua. Chissà quante nuove specie di insetti (vivi e morti) gli entomologi avrebbero potuto scoprire in quel cassone di autobotte.
  • 23. L’ascesa è faticosa, ancora non siamo acclimatati né al nuovo ambiente, né tantomeno ai 2500m del valico, lo sforzo fisico è intenso. Ci fanno compagnia lungo il sentiero pietroso tre asini che in confronto a noi fanno la figura dei purosangue.
  • 24. In cima al Col Asekrem visitiamo l’eremo di Padre Foucauld
  • 25. … la fatica della salita è ampiamente ripagata dal panorama che si gode dalla cima. L’aria secca permette di vedere a grande distanza … il maestoso Atakor è lì di fronte a noi e sembra quasi di poterlo toccare.
  • 26. I colori cambiano col passare dei minuti, un prisma celeste scompone la luce bianca del giorno nei colori dell’iride che la compongono, come se al calar della notte questi vadano a riposare ciascuno al proprio posto per poi tornare a comporsi all’alba in un nuovo giorno luminoso.
  • 27. La luce e il calore che porta con sé vanno rapidamente lasciando spazio al crepuscolo e al freddo tanto invocati durante il giorno. Ceniamo insieme a tutti gli ospiti del rifugio in una stanza illuminata da candele, scopriremo le delizie del cous-cous. Solo ai pochi europei è concesso il lusso delle posate.
  • 28.
  • 29. L’alba all’Asekrem non è meno bella del tramonto, ma c’è poco tempo per i sentimentalismi, bisogna ripartire prima che arrivi il caldo.
  • 30. Il primo incontro della giornata è con una formazione di colonne basaltiche … sembrano canne di un immenso organo pronto a suonare il Silenzio, unica sinfonia possibile nel deserto.
  • 31. La voglia di divertirsi a vent’anni non manca mai …
  • 32. … entriamo nel villaggio di Hirafok che ... trovandosi al punto di covergenza di un largo bacino proveniente dalla zona nord dell’Atakor … è particolarmente ricco d’acqua.
  • 33. “La mia è stata una vita piena di cose (vie substantielle). Sono felice di essere sopravvissuto agli orrori dell’infanzia. Sono felice di aver potuto evitare di tormentare i miei figli allo stesso modo”
  • 34.
  • 35. …la presenza di gazzelle e giraffe (sempre rivolte in direzione di un pozzo) può far datare queste incisioni al periodo più antico dell’arte rupestre sahariana, quello Bubaliano o dei Cacciatori (6000-4000 a.C.). Tracce di verde…
  • 36.
  • 37. …allestiamo il campo per quella che sarà la prima notte sotto la protezione delle Pleiadi.
  • 38. Dopo cena chiediamo ai Tuareg di parlarci di loro … è gente dura come deve esserlo chi vive in un ambiente limite e si confronta con la sopravvivenza ogni giorno. Sono stati predoni e mercanti di schiavi … oggi non rinunciano a nessuna delle loro tradizioni … cantano e recitano poesie. … I quattro tuareg si rivolgono verso la Mecca per ringraziare … quel Dio che condividiamo. Ci sentiamo piccoli in confronto a chi avendo quasi nulla ringrazia Allah cinque volte al giorno …
  • 39.
  • 40. L’aria è così limpida che le stelle sembrano più vicine e luminose. La Via Lattea ci indica la strada di casa.
  • 41.
  • 42. Nella prima parte della mattinata ci imbattiamo in un accampamento Tuareg. Il campo è formato da 4-5 tende (éhan). Ognuna, lunga circa sei metri, è composta da un centinaio di pelli di capra colorate in rosso ocra.
  • 43. Siamo fortunati, arriviamo durante la settimana di festeggiamento di un matrimonio. Accolti nella tenda dello sposo ci viene offerto l’immancabile (e prezioso) tè alla menta …
  • 44. … se ne bevono tre bicchierini a persona: il primo “amaro come la morte”, il secondo “forte come la vita” e il terzo “dolce come l’amore”.
  • 45.
  • 46. “Nel mondo monogamo Tuareg la successione è matrilineare … l’educazione, l’insegnamento della lingua, la trasmissione delle leggende e della antica cultura sono poteri irrinunciabili, e attorno alla figura della mater si consolida l’unità politica, sociale ed economica del clan” (CB) “Uniche fra le popolazioni islamiche le donne Tuareg partecipano attivamente e liberamente alla scelta del marito. La richiesta viene formulata dal giovane al padre della fidanzata, e al momento del consenso segue la discussione sulla dote che l’uomo dovrà versare, da 1 a 7 dromedari a seconda del rango sociale del marito” (MF)
  • 47. Al momento di lasciare l’accampamento veniamo circondati da bambini che chiedono qualcosa in regalo … eravamo preparati alla evenienza … un ragazzino tuttavia riesce a “estorcermi” il berretto con visiera … non ho idea di come farò nei giorni a venire.
  • 48. Poche ore più tardi passerà nello stesso campo una coppia di francesi, i Sechì, che incontreremo ancora nel nostro vagare per l’Hoggar.
  • 49. Nel pomeriggio ci fermiamo nel villaggio di Ideles.
  • 50. … le tradizionali tuniche (eressoui) color indaco (tari), azzurre e bianche (mahmoudi). Il contrasto di colori crea il suggestivo effetto cromatico descritto in tanta letteratura sul Sahara.
  • 51. Riprendiamo la pista verso sud anziché far rotta verso Djanet. Ci accampiamo in un uadi appena fuori del piccolo villaggio di Tazrouk, il più alto dell’Hoggar.
  • 52.
  • 53. All’alba siamo svegliati da un vociare confuso … improvvisi appaiono alcuni gruppi di pellegrini che rientrano dalla Mecca … l’atteggiamento nei nostri confronti è decisamente negativo.
  • 54. Percorriamo per alcuni chilometri il letto di un uadi. Le guide hanno scelto un posto davvero suggestivo per questa notte: la cascata di Tamengrest (L’Invalicabile), uno dei punti d’acqua più importanti dell’Hoggar. La giornata trascorre con la lentezza necessaria a queste latitudini, una piccola emozione ci viene dal ritrovamento di alcune punte di freccia e di un pestello di mortaio.
  • 55. È la nostra ultima notte nel deserto e la malinconia è grande. Nonostante i disagi, il freddo e le paure che qualsiasi notte porta con sé, a maggior ragione quando sei all’aperto in un luogo sconosciuto e con gente in cui ha fiducia per contratto, vorremmo che ce ne fossero ancora tante di notti così.
  • 56.
  • 57. L’alba ci coglie di sorpresa, fatichiamo ad alzarci … riprendiamo la pista per Tamanrasset, direzione sud-ovest.
  • 58. Ci muoviamo sul reg, terreno piano coperto di sabbia e piccoli sassi.
  • 59. Esistono due tipi di dromedari: quelli pregiati destinati alla cavalcatura, snelli e lanciati, bianchi col pelo rasato, e quelli da soma più robusti e col pelo lungo, permalosi e prepotenti.
  • 60.
  • 61. Riserviamo gli ultimi scorci di Sahara alle foto con i nostri amici Tuareg verso i quali proviamo un duplice senso di gratitudine: per averci condotto con sicurezza e senza rischi attraverso un ambiente tanto affascinante quanto pericoloso, e per la pazienza con cui hanno sopportato il nostro non saper stare in quello stesso ambiente. Il pomeriggio viene trascorso a casa di una delle guide insieme all’addetto governativo al turismo, una presenza ufficiale stonata che aggiunge poco alla ricchezza già raccolta in questo viaggio.
  • 62. Purtroppo non c’è alcuna testimonianza fotografica di questo ultimo giorno di viaggio. Rullini terminati o … malinconia?
  • 63. Perdiamo del tempo per togliere dai bagagli la sabbia raccolta in questa settimana … ma insieme alla sabbia del deserto sentiamo scorrere via tra le dita qualcosa di prezioso, di unico … dagli oblò dell’aereo guardiamo il Sahara allontanarsi sotto di noi e, come sempre quando qualcosa, finisce chi parla è il Silenzio. Si torna al di là del Mediterraneo da “La Bianca” a “L’Eterna”. Sapere che al ritorno avremo da raccontare agli amici delle … … è la sola consolazione che abbiamo.
  • 65. Mio Padre, per aver pensato e realizzato questo viaggio. È grazie a lui che so cos’è il mal d’Africa. Mia Madre per lo spirito di adattamento e positività con cui ha affrontato le molte scomodità, consapevoli che il suo modo ideale di viaggiare è certamente diverso.
  • 66. Mia Sorella, per lo spirito di conoscenza e la curiosità con cui ha affrontato questa avventura. Mio Fratello, sempre pronto a sdramatizzare con la sua ironia e per avermi facilitato la comprensione della sequenza fotografica.
  • 67. L’Amerikano, forse più interessato alla componente femminile del gruppo che al paesaggio. Le Guide, Autisti, Cuochi ecc.Tuareg che ci hanno insegnato ad amare il Sahara.
  • 68. I costruttori dei fuoristrada perché “…le intrepide Toyota, che gli Dei del Fujiyama le abbiano in gloria, sarebbero uscite di slancio anche dalle sabbie mobili” (SM). I Djenoun, spiriti maligni del deserto, per averci risparmiato l’orrifica avventura di una tempesta di sabbia. Closter, Praktica, Kodak, Fujifilm …
  • 69. Testi: Manfredi Di Giorgio e numerosi altri autori che hanno scritto dei loro viaggi nel Sahara. Fotografie: Famiglia Di Giorgio, l’Amerikano, i Sechì, AAVV.
  • 70. (RFR)