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ORIGINI DELLE LINGUE E
LETTERATURA ROMANZE
I primi documenti del volgare italiano
Liceo Machiavelli – II B SUM
Dora Sperti (TFA) – lezione del 28 aprile 2015
1
LATINITÀ
2
ROMÀNIA
3
DAL LATINO AI VOLGARI ROMANZI
 Latino Volgare
 Diglossia e Bilinguismo (cfr. “Dalle tracce ai
canzonieri”)
4
Fonte: A. Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, Bologna, il Mulino, 2000.
5
6
DUE ITALIE E DUE CULTURE
7
DUE ITALIE …
Tra il IX e l’XI sec. il Nord mantiene la compattezza dell’antica Langobardia
maior, i cui confini giungevano a comprendere buona parte della
Toscana, anche quando a partire dal 774, diventa regno franco e poi
regno d’Italia (con capitale Pavia);
il centro-sud è parcellizzato tra la Langobardia minor, costituita dai ducati di
Spoleto e Benevento e dal principato di Capua (che restano longobardi
anche dopo la conquista franca del nord), i possedimenti papali, i domini
bizantini della Puglia e della Calabria, e infine la Sicilia, araba dall’827.
A partire dall’XI secolo, nel Nord si ha la nascita dei comuni, abilissimi
nell’ottenere precocemente privilegi e immunità da parte della lontana
autorità imperiale, e il parallelo sviluppo di forme di aggregazione
presignorili che porterà a una frammentazione de facto del territorio. Al
contrario, il Sud verrà precocemente unificato, nella seconda metà
dell’XI secolo, dalla conquista dei Normanni, che, pur importando il
sistema d’organizzazione feudale che avevano accolto e fatto proprio
durante la loro permanenza in territorio francese, evitano di smantellare
la struttura amministrativa e burocratica centralizzata che i bizantini e,
limitatamente alla Sicilia, gli arabi avevano creato.
8
….DUE ITALIE
L’Italia in questo periodo alterna settori in cui continua a manifestare una grave
situazione d’inferiorità – quello letterario ad esempio – a settori in cui passa subito
all’avanguardia, come quello dialettico e giuridico, o, ancor più, politico-teologico.
Disinteresse da parte delle classi emergenti per l’otium letterario: l’Italia laica,
comunale e mercantile, ormai tesa nel suo sforzo di espansione economica, per
molto tempo ha della cultura una visione meramente utilitaristica.
Non a caso, le prime forme embrionali di istituzione universitaria che compaiono a
partire dalla fine dell’XI secolo privilegiano gli insegnamenti di diritto e di retorica
(Bologna e Padova) e di medicina (Salerno).
In questo quadro, manca qualsiasi riferimento a un’incipiente o embrionale cultura che
si esprima nelle diverse varietà dell’italiano.
Per incontrare le prime scritture LETTERARIE occorre arrivare alla fine del XII secolo,
con i tre Ritmi arcaici: quello Laurenziano, di stampo giullaresco, e i due di
contenuto religioso, il Ritmo su Sant’Alessio, vera e propria narrazione
agiografica, e il Ritmo Cassinese, dialogo di tono moralistico. Tutti di area mediana:
area che dal punto di vista linguistico si presenta relativamente unitaria. Da tutti i più
antichi testi appare un orizzonte di cultura piuttosto modesto. Basta ricordare che
mentre alle radici dell’uso scritto del francese ci sono i giuramenti di due sovrani
davanti a due eserciti in armi, alle radici di quello italiano ci sono le dichiarazioni di
una coppia di chierici e di un diacono longobardi …
Le due categorie predominanti nell’insieme delle testimonianze delle nostre origini
sono il pratico (come nel filone notarile) e il popolare.
9
INDOVINELLO VERONESE, Verona, Biblioteca Capitolare, ms. LXXXIX, c.3
r fine VIII secolo
+separebabovesalbaprataliaar
aba&alboversorioteneba&n
egrosemen/seminaba/
+gratiastibiagimusomnip(oten)
ssempiterned(eu)s
- Spingeva innanzi i buoi,
arava bianchi prati, teneva
un bianco aratro, seminava
un nero seme
- Ti rendiamo grazie
onnipotente sempiterno dio
10
INDOVINELLO
Se pareba: da PARARE (con metaplasmo di coniugazione: dalla I alla II, proprio
dell’area veneta), nel significato di ‘spingere innanzi’. Secondo altri da
PARERE, nel significato di ‘parere’ (Contini) e ‘apparire’ (Migliorini): nel
primo caso la soluzione dell’indovinello è: lo scriba, nel secondo: la mano o
le dita
Boves, il mantenimento della –s, non è necessariamente un tratto latino: la -s
finale si è mantenuta a lungo nei dialetti settentrionali ed è tuttora presente in
ladino.
Pratalia: semivolgarismo (in quest’area si avrebbe regolarmente lenizione di t in
d); cfr. it. prataglia.
Araba, come in teneba, caduta della desinenza -t
Negro, con passaggio da I breve a è, e di U breve a o
Albo: forma che non era ancora stata eliminata dal germ. blanco /bianco
Versorio: volgarismo (‘aratro’). Versor è ancora oggi la forma veneta per ‘aratro’.
Da notare che mancano gli articoli (che sono innovazione dei volgari romanzi
rispetto al latino). Farebbe inoltre difficoltà, a parere di molti, il se iniziale, che
andrebbe posposto al verbo (enclisi). Elementi che non depongono per una
piena volgarità del testo, tuttavia rivendicata da un illustre linguista come
Aurelio Roncaglia.
11
DUE LETTURE (TRA LE ALTRE)
Da Castellani Pollidori, che riprende una
proposta poco fortunata di Raffaele Di
Virgilio (1984), riformulandola: tra quadre
la proposta del secondo]
1.“Separe(s) boves pareba
[separe(s) boves habeba (o ageba)]
Alba pratalia araba,
Et albo versorio teneba,
Et negro semen seminaba”
Oppure, invertendo i versi centrali:
“Separe(s) boves pareba
Et albo versorio teneba,
Alba pratalia araba
Et negro semen seminaba”
Dove separ varrebbe ‘spaiati’, ‘dispari’. Ma è
altrettanto probabile il significato di
‘disuguali’, proponendo quindi nel primo
versicolo lo stesso elemento paradossale
nella realtà (adynaton) presente nei
successivi, ma calzanti con il significato
dell’enigma: dita disuguali, carta bianca,
bianco, bianco stilo, inchiostro nero.
Che dà un assetto simmetrico alle due
coordinate sindetiche (et .. et) e dà una
coppia di versi a rima baciata, più
verosimile rispetto a quella a rima
alterna.
La scansione in versetti brevi è anche di
altri studiosi (già Scevola Mariotti 1981).
Ma la questione è irrisolta …
- Di Virgilio suppone un errore di
trasmissione:
separe(s)bovesabebaalba →
separe(s)bovesalba, poi alterata
recuperando un verbo iniziale
inesistente nella filastrocca originaria:
pareba. Il significato sarebbe, secondo il
Di Virgilio, “buoi spaiati”.
- Castellani 1986 riprende e corregge:
separe(s)bovespareba: dove nella
memoria uditiva dello scrivente si
sarebbe prodotto un “salto” e la caduta
per aplologia [scomparsa i una sillaba
per effetto della presenza di un’altra
uguale].
12
INDOVINELLO_ INTERPRETAZIONI
 Quando: fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta dell’VIII secolo. Datazione proposta su basi
paleografiche da Petrucci e Romeo. “Le due scritte sono eseguite ambedue in corsiva nuova,
sono coeve fra loro, ma presentano forti diversità (…)” Sarebbero dunque di mani diverse.
 Dove: né Pisa (localizzazione proposta nel 1992 da Petrucci) né Verona (proposta dalla
maggioranza degli studiosi) risultano confermate dalla nuova expertise paleografica.
Emergono, per diverse ragioni, da una parte l’area della Toscana occidentale nel suo
complesso, dall’altra il Veneto, con indicazioni per Treviso (Petrucci – Romeo, p. 27)
 Chi e perché: Forse il rapporto tra le due scritte non è casuale. Già La Castellani Pollidori
riflettendo sul testo, era giunta alla conclusione che si trattasse di “un non banale prodotto di
scuola, costruito come strofe tetrastica [di quattro versi] a rima baciata, con versicoli
assolutamente armonici tra di loro nella struttura e nella logica”, e che gli autori fossero
studenti che lo composero “sulla falsariga dei numerosi aenigmata [enigmi] propagginati
dall’antica metafora letteraria della scrittura-aratura” (p. 121).
Secondo Petrucci e Romeo, invece, l’ambiente sarebbe quello notarile. Fin dalla scoperta del
reperto ad opera dello Schiaparelli, che per primo lo illustrò (1924), si è in genere parlato dei
due microtesti come di ‘probationes pennae’. Le ‘prove di penna’ possono essere: 1) prove
tecniche dello strumento scrittorio; 2) liberi scarabocchi di scolari; 3) veri e propri esercizi di
scrittura di natura e ambiente didattico 4) ‘prove di scrittura’: cioè “testi mediamente estesi
vergati da scolari avanzati o anche da veri e propri professionisti della penna per provare, a se
stessi o ad altri, la loro abilità grafica”.
La situazione cui pensano i due studiosi è quella di “una specie di gara grafica fra due rogatari
[notai] di alto livello chiamati a confrontarsi fra loro per ottenere o l’incarico stabile di‘scriptor’ di
una istituzione ecclesiastica o quello, occasionale, di redigere in modo elegante e solenne (…)
un documento particolarmente importante (privilegio vescovile, placito o altro)”
13
SCRITTURE ESPOSTE
 Graffito Catacomba di Commodilla
 Basilica di San Clemente
 Tomba di Giratto
Dall’interazione testo scritto/ pittura (o scultura) ci si
aspettava un potenziamento del messaggio
globale, un suo arricchimento ovvero una sua
precisazione.
Distribuzione geografica: le scritture esposte si
dislocano lungo un asse nord-occidentale, che
partendo da Roma si spinge prima a settentrione –
nella Tuscia – poi sale fino a Pisa e infine si
espande dal Piemonte orientale alla zona ovest del
Veneto. 14
BASILICHETTA DI COMMODILLA
Affresco della “basilichetta” di
Commodilla con la Vergine
in trono fra i santi Felice e
Adàutto e la vedova Turtura.
Il graffito si trova(va) in alto a
sinistra.
Adàutto, sulla sinistra di chi
guarda, presenta alla
Madonna la vedova Turtura,
in memoria della quale
l’affresco era stato eseguito.
15
CATACOMBA DI COMMODILLA, PRIMA METÀ IX SEC.
 NON DICE REIL LESE
CRITA ABBOCE
 “Non dicere ille secrita a
bboce”
 “non pronunciare ad alta
voce le secrete”
 Le secrete sono le orazioni
segrete, da pronunciare a
voce bassa o addirittura
mentalmente, secondo l’uso
liturgico di tradizione
gallicana introdotto a Roma
all’inizio del IX secolo.
16
GRAFFITO DI COMMODILLA TRATTI LINGUISTICI (DA SABATINI)
 Dicere: si tratta di forma propria del volgare romanesco medievale,
non latina (come parrebbe a prima vista)
 Ille: forma piena di articolo plurale, dove la i è un fatto solo grafico
che rende una e chiusa, secondo l’uso arcaico “merovingico” (uso
latino precarolingio) trasmesso alla nascente scripta volgare. Lo si
incontra anche nei Giuramenti di Strasburgo.
 Secrita: plurale collettivo, a partire da un sing. femm. la secreta.
Anche qui la i rappresenta una e: secreta.
 A bboce: del romanesco-meridionale il raddopiamento fonosintattico
su betacismo (confusione tra v e b latine), da A(D) VOCE(M). Da
notare però che la seconda B risulta da una giunta, non
necessariamente della stessa mano. Anzi, secondo Petrucci, l’intero
sintagma abboce è stato “aggiunto estemporaneamente per dar
corpo a un premeditato e letteralmente già sufficiente non dicere ille
secrita.
17
GRAFFITO: QUANDO E PERCHÉ
La datazione è proposta su basi storiche e paleografiche: a partire
dall’846 l’area suburbana di Roma era stata a lungo obiettivo di
devastanti incursioni musulmane che avevano provocato
l’abbandono degli edifici di culto ivi situati, compresa la catacomba
di Commodilla, previa rimozione delle reliquie dei santi. Il contenuto
del graffito è un promemoria sull’uso liturgico gallicano di recente
importazione.
L’uso del volgare è intenzionale: è un abbassamento di tono che
proprio nella lingua d’uso ripone le sue maggiori speranze di colpire
l’attenzione del destinatario. La vicinanza del graffito alla figura di
Adàutto sembra creare una situazione comunicativa un po’
ambigua: come se fosse il santo stesso a ingiungere al celebrante
di rispettare la nuova regola.
18
ROMA, BASILICA INFERIORE DI SAN
CLEMENTE 1078/1084 – PITTURA A
FRESCO
Affresco scompartito in più
registri. In quello inferiore è
rappresentato il miracolo
dell’accecamento e
assordamento di Sisinnio:
spinto dalla gelosia segue la
moglie senza sospettare
della sua conversione;
quando la messa finisce
diventa ceco e sordo e si fa
portar fuori dai servi. Nella
parte inferiore si trova una
prima banda rossa con su
scritta la dedica degli
offerenti: EGO BENO DE
RAPIZA CU(M) MARIA
UXOR MEA P(RO) AMORE
D(E)I ET BEATI CLEMENTI
/ PINGERE [FECIT]
19
(ZOCCOLO) FALITE DERETO |
CO LO PALO |
CARVON|CELLE
*DURITIAM CORDIS
VESTRIS SAXA TRAERE
MERUISTIS* ALBERTEL
|TRÀITE * GOSMARI
*SISINIUM* FILI DE LE
PUTE TRÀITE
La scena dipinta sullo zoccolo
rappresenta il tentato arresto di s.
Clemente (in seguito a quello avvenuto
durante la messa). Sisinnio torna a
casa, ancora cieco e sordo. Lo
raggiungono la moglie Teodora e il
Santo. Riacquistati temporaneamente i
sensi, pensa di essere stato ingannato
e ordina ai servi di cacciare via il
santo: ma i servi in realtà legavano e
cercavano di trasportare fuori colonne
pesanti. A questo punto, in un latino
non proprio impeccabile, il santo
spiega a Sisinnio di essere preda dello
stesso miraggio dei servi (“a causa
della durezza del vostro cuore avete
meritato di trascinare delle pietre”). Si
noti duritiam per duritia, vestris per
vestri. Nel seguito della Passio
Sisinnio si converte, e con lui molti
altri: ciò che innescherà
preoccupazioni politiche e la condanna
all’esilio a Cherson, dove sarà
martirizzato. 20
SAN CLEMENTE
Fàlite: fattigli, con inversione dei pronomi atoni rispetto all’ordine attuale (dat. + acc.
invece di acc. + dat.)
Dereto <DE RETRU(M), con dissimilazione e caduta di r
Carvoncelle: nome che rinvia senz’altro all’area romanesca, con passaggio di –rb- >
-rv-; la desinenza –e trova riscontro in antroponimi medievali come Iacovelle,
Tomasselle, ecc., attestati in area umbra e viterbese.
Fili: la l rappresenta in realtà una –gl- (laterale palatale).
Pute: da leggere putte, la scempia è solo un fatto grafico.
Tràite: ‘tirate’.
Gosmari: nome d’origine o impronta germanica, attestato in un documento romano
del 1121
La maggior parte degli studiosi è ormai concorde nell’attribuire tutte le battute a
Sisinnio (rappresentato sulla destra), altri che le prime battute rappresentino un
botta e risposta dei servi e l’ultima una clausola brutale di Sisinnio, facendo
scalare il momento capitale del peccato di Sisinnio a un veniale soprassalto d’ira.
Così come è stata rimessa in discussione l’interpretazione umoristica dell’intero
affresco: a ben vedere, giustificata solo sul piano dell’abbassamento linguistico,
molto meno su quello del contenuto. Anche l’espressione “fili de le pute” non
deve essere intesa come particolarmente insolente, potendo ben essere un non
offensivo anche se “inurbano epiteto allocutorio” (Chiarini, cit. da Petrucci)
21
EPITAFFIO DI GIRATTO – 1174 / 1176 – PISA, CHIESA DI S. PAOLO A
RIPA D’ARNO; ORA NEL CAMPOSANTO MONUMENTALE
22
GIRATTO
Sulla cornice superiore: + BIDUINUS MAISTER FECIT HANC
TU(M)BAM: AD D(OMINU)M GIRATTUM
Sulla cornice inferiore: + H(OM)O KE VAI P(ER) VIA PREGA D(E)O
DELL’ANIMA MIA – SÌ COME TU SÉ EGO FUI – SICUT EGO SU(M)
– TU DEI ESSERE
Maister: volgarismo per magister, è “appellativo tipico dell’artefice,
confermato da esempi d’epoca e area congruenti” (Stussi)
Prega deo dell’anima ‘prega Dio in favore dell’anima mia’: costrutto raro.
Più che un epitaffio vero e proprio, l’iscrizione superiore è una “firma”
apposta al manufatto. Quella inferiore è divisa in due parti.
- nella prima si chiede al passante la carità di una preghiera, in due
segmenti rimati (via:mia)
- nella seconda lo si ammonisce circa il comune destino attraverso un
chiasmo (struttura incrociata): come tu .. io / come io .. tu, che
confronta presente del vivo – passato del defunto / presente del
defunto – futuro del vivo. 23
FILONE NOTARILE -
I PRIMI DOCUMENTI DI UN
LINGUAGGIO CANCELLERESCO.
PLACITO DI CAPUA, MARZO 960
Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene,
trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.
“So che quelle terre, entro quei confini di cui qui si parla, le
possedette trent’anni il monastero di San Benedetto”
Trent’anni: cioè secondo quanto prescriveva un principio
del diritto romano introdotto già dal 668 tra i longobardi,
il tempo necessario perché l’occupazione di un terreno
desse diritto alla proprietà: usucapione.
Tratti linguistici
SAO : ‘so’. Forma campana analogica su altri presenti,
come AO, DAO, STAO
KO: (< QUOD), forma confluita con CA (< QUIA) nell’unica
forma CHE. Si osserva la riduzione del nesso QU del
latino alla sola componente velare (C, rappresentata
con K)
KELLE (< QUELLE < (EC)CU(M) ILLAE): anche qui
riduzione campana di QU (labiovelare) a K (velare
pura).
FINI: plur. Femminile, nel senso tecnico di limite di
proprietà. Forma locale già tecnicizzata nel latino delle
carte (documenti privati notarili).
QUE .. CONTENE: i confini indicati qui, nell’abbreviatura (il
promemoria che le parti hanno concordato tra loro),
tenuta in mano dal testimone, che ne contiene (III
persona con valore impersonale, non concordata col
soggetto) appunto la descrizione. Anche contene è
tecnicismo notarile. 24
.. PLACITO ..
Possette: forma campano-laziale, con caduta del –d-
intervocalico
Parte .. Benedicti: parte è stato interpretato nel senso di
‘parte in causa’ o in quello di ‘possesso, dominio’.
25
Natura della formula:
Di solito la formula appare in latino quando a trasmettercela non è il placito
originale, bensì la sua copia, magari trascritta da un monaco del monastero
interessato, evidentemente libero dagli scrupoli di fedeltà alla testimonianza che
animano invece il notaio (Folena).
Dubbi sulla reale fedeltà delle formule al volgare parlato nella regione di Capua
ha avanzato Benvenuto Terracini: sembrerebbero piuttosto rinviare a una KOINÈ
LINGUISTICA a dominante mediana cui fanno e soprattutto faranno riferimento
nei secoli successivi, testi pratico-religiosi come la Formula confessionale
proveniente da Norcia, posteriore di poco meno di un secolo, e testi di carattere
letterario riconducibili alla cultura benedettino-cassinese, come il Pianto della
Vergine.
Da ricordare che anche per i Giuramenti di Strasburgo si è parlato di una lingua
di koinè: la caratteristica di tali varietà è l’astrattezza che riesce però a dare
l’illusione di una mimesi del parlato. Sia nel caso francese che in quello italiano
saremmo dunque di fronte a una sorte di imitazione, che, pur conservando
alcuni tratti reali, è nel suo insieme una costruzione a tavolino.
(Meneghetti)
26
FILONE NOTARILE
 1151 – Carta Osimana: scarsa consapevolezza di
un’opposizione latino-volgare
 Carte sarde: corpus interamente volgare di
documenti giuridico-notarili di provenienza sarda,
dal Privilegio logudorese del 1080-85 ai numerosi
condaghi (registri che raccolgono gli atti –
compravendite, notazioni, ecc – relativi ai
possedimenti di chiese e monasteri) allestiti dal XII
sec. in avanti
27
POSTILLAAMIATINA1087
ISTA CARTULA
EST DE CAPUT
COCTU
ILLE ADIUVET DE
ILLU REBOTTU
QUI MAL
CONSILIU LI MISE
IN CORPU
28
EFFETTI ESPRESSIONISTICI IN AMBITO NOTARILE.
Reperti in cui campioni esigui di volgare si giustappongono al tessuto latino.
POSTILLA AMIATINA: nota posta in calce al testo di una donazione conservata
nell’Archivio di Stato di Siena.
Gennaio 1087. Due coniugi, Miciarello e Gualdrada, fanno donazione dei loro beni
all’abbazia di San Salvatore sul Monte Amiata. Il notaio Rainiero, che stende l’atto
in un discreto latino, aggiunge alla fine un paio di righe, che si direbbero
latineggianti solo nella forma e che sembrano costituire tre versi
monoassonanzati, benché di struttura metrica abbastanza dubbia:
Ista cartula est de caput coctu
Ille adiuvet de illu rebottu
Qui mal consiliu li mise in corpu.
In questo caso l’abbassamento intenzionale rispetto al tenore ufficiale dell’atto
sembra evidente. Forse il notaio insinua scherzosamente qualche dubbio sulla
sanità mentale del donatore, definito caput coctu, cioè “testa calda” o “testa dura”.
Nel secondo verso si allude al Diavolo, il rebottu [ribaldo] per eccellenza,
malvagio suggeritore di un mal consiliu (la donazione stessa?). Con il rischio di
infirmare in questo modo lo stesso valore dell’atto.
Potrebbe però trattarsi (Monteverdi, Mancini) della fissazione per iscritto di una
formula apotropaica, di uno scongiuro tradizionale che avrebbe il compito di
proteggere donatori e donazione.
29
…. EFFETTI ESPRESSIONISTICI …
“Resta l’indubbio fatto che, per la prima volta nel volgare italiano – ma
forse in tutto il volgare romanzo – constatiamo l’uso intenzionale di un
registro giocoso, quasi un piccolo gesto di sberleffo per rompere la
tensione che ancora a quest’epoca sembra legarsi quasi
ineluttabilmente a qualsiasi ricorso alla parola scritta” (Meneghetti).
 TESTIMONIANZE DI TRAVALE (1158)
Controversia tra il vescovo di Volterra e il conte Ranieri d’Ugolino
Pannocchia circa l’appartenenza di alcuni casolari a una corte – quella
appunto di Travale – piuttosto che a un’altra, quella di Gerfalco (al limite
settentrionale dell’attuale provincia di Grosseto).
Come nei Placiti, vengono prodotti dei testimoni, senza però quella
formularità fissa e quasi dettata. Sono due le dichiarazioni che
contengono frasi in volgare: quella di Enrigolo, che sostiene la
dipendenza da Travale del casolare della Montanina, e quella di Pietro
Poghino, che riferisce le cirocstanze di un certo Malfredo di Casa Magi,
esentato dal prestare servizio di guardia a Travale.
30
… EFFETTI ESPRESSIONISTICI …
Enrigolo: “Io de [cioè dalla Montanina] presi pane e vino per li
maccioni [muratori] a Travale”
Pietro Poghino: “Pogkino, qui Petrus dicitur, […] a […] Ghisolfo
audivit quod Malfredus fecit la guaita a Travale. Sero ascendit
murum et dixit: Guaita, guaita male; non mangiai ma mezo
pane. Et ob id remissum fuit sibi servitium, et amplius non
tornò mai a far guaita, ut ab aliis audivit”.
Guaita: ‘guardia’ (< got. wardja ‘sentinella’, lat. imp.
*guardia(m)); ma: ‘mai’ (< MAGIS)
piano stilistico- formale, la parte in volgare sembra una ripresa
dai canti o richiami di scolte [guardie], come l’incipit dell’alba
provenzale (Gaita be, gaitela del chastel) composta non molti
anni dopo da un trovatore che con l’Italia ebbe molto a che
fare: Raimbaut de Vaqueiras. In ogni caso, la battuta è ironica
e autoironica: in sostanza dice di essere troppo affamato e
malconcio per far bene la guardia e ottiene così l’esenzione
dal pesante compito, come si diceva in giro …
31
L’ITALIA DI DANTE
32
DIALETTI D’ITALIA
33

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  • 1. ORIGINI DELLE LINGUE E LETTERATURA ROMANZE I primi documenti del volgare italiano Liceo Machiavelli – II B SUM Dora Sperti (TFA) – lezione del 28 aprile 2015 1
  • 4. DAL LATINO AI VOLGARI ROMANZI  Latino Volgare  Diglossia e Bilinguismo (cfr. “Dalle tracce ai canzonieri”) 4
  • 5. Fonte: A. Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, Bologna, il Mulino, 2000. 5
  • 6. 6
  • 7. DUE ITALIE E DUE CULTURE 7
  • 8. DUE ITALIE … Tra il IX e l’XI sec. il Nord mantiene la compattezza dell’antica Langobardia maior, i cui confini giungevano a comprendere buona parte della Toscana, anche quando a partire dal 774, diventa regno franco e poi regno d’Italia (con capitale Pavia); il centro-sud è parcellizzato tra la Langobardia minor, costituita dai ducati di Spoleto e Benevento e dal principato di Capua (che restano longobardi anche dopo la conquista franca del nord), i possedimenti papali, i domini bizantini della Puglia e della Calabria, e infine la Sicilia, araba dall’827. A partire dall’XI secolo, nel Nord si ha la nascita dei comuni, abilissimi nell’ottenere precocemente privilegi e immunità da parte della lontana autorità imperiale, e il parallelo sviluppo di forme di aggregazione presignorili che porterà a una frammentazione de facto del territorio. Al contrario, il Sud verrà precocemente unificato, nella seconda metà dell’XI secolo, dalla conquista dei Normanni, che, pur importando il sistema d’organizzazione feudale che avevano accolto e fatto proprio durante la loro permanenza in territorio francese, evitano di smantellare la struttura amministrativa e burocratica centralizzata che i bizantini e, limitatamente alla Sicilia, gli arabi avevano creato. 8
  • 9. ….DUE ITALIE L’Italia in questo periodo alterna settori in cui continua a manifestare una grave situazione d’inferiorità – quello letterario ad esempio – a settori in cui passa subito all’avanguardia, come quello dialettico e giuridico, o, ancor più, politico-teologico. Disinteresse da parte delle classi emergenti per l’otium letterario: l’Italia laica, comunale e mercantile, ormai tesa nel suo sforzo di espansione economica, per molto tempo ha della cultura una visione meramente utilitaristica. Non a caso, le prime forme embrionali di istituzione universitaria che compaiono a partire dalla fine dell’XI secolo privilegiano gli insegnamenti di diritto e di retorica (Bologna e Padova) e di medicina (Salerno). In questo quadro, manca qualsiasi riferimento a un’incipiente o embrionale cultura che si esprima nelle diverse varietà dell’italiano. Per incontrare le prime scritture LETTERARIE occorre arrivare alla fine del XII secolo, con i tre Ritmi arcaici: quello Laurenziano, di stampo giullaresco, e i due di contenuto religioso, il Ritmo su Sant’Alessio, vera e propria narrazione agiografica, e il Ritmo Cassinese, dialogo di tono moralistico. Tutti di area mediana: area che dal punto di vista linguistico si presenta relativamente unitaria. Da tutti i più antichi testi appare un orizzonte di cultura piuttosto modesto. Basta ricordare che mentre alle radici dell’uso scritto del francese ci sono i giuramenti di due sovrani davanti a due eserciti in armi, alle radici di quello italiano ci sono le dichiarazioni di una coppia di chierici e di un diacono longobardi … Le due categorie predominanti nell’insieme delle testimonianze delle nostre origini sono il pratico (come nel filone notarile) e il popolare. 9
  • 10. INDOVINELLO VERONESE, Verona, Biblioteca Capitolare, ms. LXXXIX, c.3 r fine VIII secolo +separebabovesalbaprataliaar aba&alboversorioteneba&n egrosemen/seminaba/ +gratiastibiagimusomnip(oten) ssempiterned(eu)s - Spingeva innanzi i buoi, arava bianchi prati, teneva un bianco aratro, seminava un nero seme - Ti rendiamo grazie onnipotente sempiterno dio 10
  • 11. INDOVINELLO Se pareba: da PARARE (con metaplasmo di coniugazione: dalla I alla II, proprio dell’area veneta), nel significato di ‘spingere innanzi’. Secondo altri da PARERE, nel significato di ‘parere’ (Contini) e ‘apparire’ (Migliorini): nel primo caso la soluzione dell’indovinello è: lo scriba, nel secondo: la mano o le dita Boves, il mantenimento della –s, non è necessariamente un tratto latino: la -s finale si è mantenuta a lungo nei dialetti settentrionali ed è tuttora presente in ladino. Pratalia: semivolgarismo (in quest’area si avrebbe regolarmente lenizione di t in d); cfr. it. prataglia. Araba, come in teneba, caduta della desinenza -t Negro, con passaggio da I breve a è, e di U breve a o Albo: forma che non era ancora stata eliminata dal germ. blanco /bianco Versorio: volgarismo (‘aratro’). Versor è ancora oggi la forma veneta per ‘aratro’. Da notare che mancano gli articoli (che sono innovazione dei volgari romanzi rispetto al latino). Farebbe inoltre difficoltà, a parere di molti, il se iniziale, che andrebbe posposto al verbo (enclisi). Elementi che non depongono per una piena volgarità del testo, tuttavia rivendicata da un illustre linguista come Aurelio Roncaglia. 11
  • 12. DUE LETTURE (TRA LE ALTRE) Da Castellani Pollidori, che riprende una proposta poco fortunata di Raffaele Di Virgilio (1984), riformulandola: tra quadre la proposta del secondo] 1.“Separe(s) boves pareba [separe(s) boves habeba (o ageba)] Alba pratalia araba, Et albo versorio teneba, Et negro semen seminaba” Oppure, invertendo i versi centrali: “Separe(s) boves pareba Et albo versorio teneba, Alba pratalia araba Et negro semen seminaba” Dove separ varrebbe ‘spaiati’, ‘dispari’. Ma è altrettanto probabile il significato di ‘disuguali’, proponendo quindi nel primo versicolo lo stesso elemento paradossale nella realtà (adynaton) presente nei successivi, ma calzanti con il significato dell’enigma: dita disuguali, carta bianca, bianco, bianco stilo, inchiostro nero. Che dà un assetto simmetrico alle due coordinate sindetiche (et .. et) e dà una coppia di versi a rima baciata, più verosimile rispetto a quella a rima alterna. La scansione in versetti brevi è anche di altri studiosi (già Scevola Mariotti 1981). Ma la questione è irrisolta … - Di Virgilio suppone un errore di trasmissione: separe(s)bovesabebaalba → separe(s)bovesalba, poi alterata recuperando un verbo iniziale inesistente nella filastrocca originaria: pareba. Il significato sarebbe, secondo il Di Virgilio, “buoi spaiati”. - Castellani 1986 riprende e corregge: separe(s)bovespareba: dove nella memoria uditiva dello scrivente si sarebbe prodotto un “salto” e la caduta per aplologia [scomparsa i una sillaba per effetto della presenza di un’altra uguale]. 12
  • 13. INDOVINELLO_ INTERPRETAZIONI  Quando: fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta dell’VIII secolo. Datazione proposta su basi paleografiche da Petrucci e Romeo. “Le due scritte sono eseguite ambedue in corsiva nuova, sono coeve fra loro, ma presentano forti diversità (…)” Sarebbero dunque di mani diverse.  Dove: né Pisa (localizzazione proposta nel 1992 da Petrucci) né Verona (proposta dalla maggioranza degli studiosi) risultano confermate dalla nuova expertise paleografica. Emergono, per diverse ragioni, da una parte l’area della Toscana occidentale nel suo complesso, dall’altra il Veneto, con indicazioni per Treviso (Petrucci – Romeo, p. 27)  Chi e perché: Forse il rapporto tra le due scritte non è casuale. Già La Castellani Pollidori riflettendo sul testo, era giunta alla conclusione che si trattasse di “un non banale prodotto di scuola, costruito come strofe tetrastica [di quattro versi] a rima baciata, con versicoli assolutamente armonici tra di loro nella struttura e nella logica”, e che gli autori fossero studenti che lo composero “sulla falsariga dei numerosi aenigmata [enigmi] propagginati dall’antica metafora letteraria della scrittura-aratura” (p. 121). Secondo Petrucci e Romeo, invece, l’ambiente sarebbe quello notarile. Fin dalla scoperta del reperto ad opera dello Schiaparelli, che per primo lo illustrò (1924), si è in genere parlato dei due microtesti come di ‘probationes pennae’. Le ‘prove di penna’ possono essere: 1) prove tecniche dello strumento scrittorio; 2) liberi scarabocchi di scolari; 3) veri e propri esercizi di scrittura di natura e ambiente didattico 4) ‘prove di scrittura’: cioè “testi mediamente estesi vergati da scolari avanzati o anche da veri e propri professionisti della penna per provare, a se stessi o ad altri, la loro abilità grafica”. La situazione cui pensano i due studiosi è quella di “una specie di gara grafica fra due rogatari [notai] di alto livello chiamati a confrontarsi fra loro per ottenere o l’incarico stabile di‘scriptor’ di una istituzione ecclesiastica o quello, occasionale, di redigere in modo elegante e solenne (…) un documento particolarmente importante (privilegio vescovile, placito o altro)” 13
  • 14. SCRITTURE ESPOSTE  Graffito Catacomba di Commodilla  Basilica di San Clemente  Tomba di Giratto Dall’interazione testo scritto/ pittura (o scultura) ci si aspettava un potenziamento del messaggio globale, un suo arricchimento ovvero una sua precisazione. Distribuzione geografica: le scritture esposte si dislocano lungo un asse nord-occidentale, che partendo da Roma si spinge prima a settentrione – nella Tuscia – poi sale fino a Pisa e infine si espande dal Piemonte orientale alla zona ovest del Veneto. 14
  • 15. BASILICHETTA DI COMMODILLA Affresco della “basilichetta” di Commodilla con la Vergine in trono fra i santi Felice e Adàutto e la vedova Turtura. Il graffito si trova(va) in alto a sinistra. Adàutto, sulla sinistra di chi guarda, presenta alla Madonna la vedova Turtura, in memoria della quale l’affresco era stato eseguito. 15
  • 16. CATACOMBA DI COMMODILLA, PRIMA METÀ IX SEC.  NON DICE REIL LESE CRITA ABBOCE  “Non dicere ille secrita a bboce”  “non pronunciare ad alta voce le secrete”  Le secrete sono le orazioni segrete, da pronunciare a voce bassa o addirittura mentalmente, secondo l’uso liturgico di tradizione gallicana introdotto a Roma all’inizio del IX secolo. 16
  • 17. GRAFFITO DI COMMODILLA TRATTI LINGUISTICI (DA SABATINI)  Dicere: si tratta di forma propria del volgare romanesco medievale, non latina (come parrebbe a prima vista)  Ille: forma piena di articolo plurale, dove la i è un fatto solo grafico che rende una e chiusa, secondo l’uso arcaico “merovingico” (uso latino precarolingio) trasmesso alla nascente scripta volgare. Lo si incontra anche nei Giuramenti di Strasburgo.  Secrita: plurale collettivo, a partire da un sing. femm. la secreta. Anche qui la i rappresenta una e: secreta.  A bboce: del romanesco-meridionale il raddopiamento fonosintattico su betacismo (confusione tra v e b latine), da A(D) VOCE(M). Da notare però che la seconda B risulta da una giunta, non necessariamente della stessa mano. Anzi, secondo Petrucci, l’intero sintagma abboce è stato “aggiunto estemporaneamente per dar corpo a un premeditato e letteralmente già sufficiente non dicere ille secrita. 17
  • 18. GRAFFITO: QUANDO E PERCHÉ La datazione è proposta su basi storiche e paleografiche: a partire dall’846 l’area suburbana di Roma era stata a lungo obiettivo di devastanti incursioni musulmane che avevano provocato l’abbandono degli edifici di culto ivi situati, compresa la catacomba di Commodilla, previa rimozione delle reliquie dei santi. Il contenuto del graffito è un promemoria sull’uso liturgico gallicano di recente importazione. L’uso del volgare è intenzionale: è un abbassamento di tono che proprio nella lingua d’uso ripone le sue maggiori speranze di colpire l’attenzione del destinatario. La vicinanza del graffito alla figura di Adàutto sembra creare una situazione comunicativa un po’ ambigua: come se fosse il santo stesso a ingiungere al celebrante di rispettare la nuova regola. 18
  • 19. ROMA, BASILICA INFERIORE DI SAN CLEMENTE 1078/1084 – PITTURA A FRESCO Affresco scompartito in più registri. In quello inferiore è rappresentato il miracolo dell’accecamento e assordamento di Sisinnio: spinto dalla gelosia segue la moglie senza sospettare della sua conversione; quando la messa finisce diventa ceco e sordo e si fa portar fuori dai servi. Nella parte inferiore si trova una prima banda rossa con su scritta la dedica degli offerenti: EGO BENO DE RAPIZA CU(M) MARIA UXOR MEA P(RO) AMORE D(E)I ET BEATI CLEMENTI / PINGERE [FECIT] 19
  • 20. (ZOCCOLO) FALITE DERETO | CO LO PALO | CARVON|CELLE *DURITIAM CORDIS VESTRIS SAXA TRAERE MERUISTIS* ALBERTEL |TRÀITE * GOSMARI *SISINIUM* FILI DE LE PUTE TRÀITE La scena dipinta sullo zoccolo rappresenta il tentato arresto di s. Clemente (in seguito a quello avvenuto durante la messa). Sisinnio torna a casa, ancora cieco e sordo. Lo raggiungono la moglie Teodora e il Santo. Riacquistati temporaneamente i sensi, pensa di essere stato ingannato e ordina ai servi di cacciare via il santo: ma i servi in realtà legavano e cercavano di trasportare fuori colonne pesanti. A questo punto, in un latino non proprio impeccabile, il santo spiega a Sisinnio di essere preda dello stesso miraggio dei servi (“a causa della durezza del vostro cuore avete meritato di trascinare delle pietre”). Si noti duritiam per duritia, vestris per vestri. Nel seguito della Passio Sisinnio si converte, e con lui molti altri: ciò che innescherà preoccupazioni politiche e la condanna all’esilio a Cherson, dove sarà martirizzato. 20
  • 21. SAN CLEMENTE Fàlite: fattigli, con inversione dei pronomi atoni rispetto all’ordine attuale (dat. + acc. invece di acc. + dat.) Dereto <DE RETRU(M), con dissimilazione e caduta di r Carvoncelle: nome che rinvia senz’altro all’area romanesca, con passaggio di –rb- > -rv-; la desinenza –e trova riscontro in antroponimi medievali come Iacovelle, Tomasselle, ecc., attestati in area umbra e viterbese. Fili: la l rappresenta in realtà una –gl- (laterale palatale). Pute: da leggere putte, la scempia è solo un fatto grafico. Tràite: ‘tirate’. Gosmari: nome d’origine o impronta germanica, attestato in un documento romano del 1121 La maggior parte degli studiosi è ormai concorde nell’attribuire tutte le battute a Sisinnio (rappresentato sulla destra), altri che le prime battute rappresentino un botta e risposta dei servi e l’ultima una clausola brutale di Sisinnio, facendo scalare il momento capitale del peccato di Sisinnio a un veniale soprassalto d’ira. Così come è stata rimessa in discussione l’interpretazione umoristica dell’intero affresco: a ben vedere, giustificata solo sul piano dell’abbassamento linguistico, molto meno su quello del contenuto. Anche l’espressione “fili de le pute” non deve essere intesa come particolarmente insolente, potendo ben essere un non offensivo anche se “inurbano epiteto allocutorio” (Chiarini, cit. da Petrucci) 21
  • 22. EPITAFFIO DI GIRATTO – 1174 / 1176 – PISA, CHIESA DI S. PAOLO A RIPA D’ARNO; ORA NEL CAMPOSANTO MONUMENTALE 22
  • 23. GIRATTO Sulla cornice superiore: + BIDUINUS MAISTER FECIT HANC TU(M)BAM: AD D(OMINU)M GIRATTUM Sulla cornice inferiore: + H(OM)O KE VAI P(ER) VIA PREGA D(E)O DELL’ANIMA MIA – SÌ COME TU SÉ EGO FUI – SICUT EGO SU(M) – TU DEI ESSERE Maister: volgarismo per magister, è “appellativo tipico dell’artefice, confermato da esempi d’epoca e area congruenti” (Stussi) Prega deo dell’anima ‘prega Dio in favore dell’anima mia’: costrutto raro. Più che un epitaffio vero e proprio, l’iscrizione superiore è una “firma” apposta al manufatto. Quella inferiore è divisa in due parti. - nella prima si chiede al passante la carità di una preghiera, in due segmenti rimati (via:mia) - nella seconda lo si ammonisce circa il comune destino attraverso un chiasmo (struttura incrociata): come tu .. io / come io .. tu, che confronta presente del vivo – passato del defunto / presente del defunto – futuro del vivo. 23
  • 24. FILONE NOTARILE - I PRIMI DOCUMENTI DI UN LINGUAGGIO CANCELLERESCO. PLACITO DI CAPUA, MARZO 960 Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti. “So che quelle terre, entro quei confini di cui qui si parla, le possedette trent’anni il monastero di San Benedetto” Trent’anni: cioè secondo quanto prescriveva un principio del diritto romano introdotto già dal 668 tra i longobardi, il tempo necessario perché l’occupazione di un terreno desse diritto alla proprietà: usucapione. Tratti linguistici SAO : ‘so’. Forma campana analogica su altri presenti, come AO, DAO, STAO KO: (< QUOD), forma confluita con CA (< QUIA) nell’unica forma CHE. Si osserva la riduzione del nesso QU del latino alla sola componente velare (C, rappresentata con K) KELLE (< QUELLE < (EC)CU(M) ILLAE): anche qui riduzione campana di QU (labiovelare) a K (velare pura). FINI: plur. Femminile, nel senso tecnico di limite di proprietà. Forma locale già tecnicizzata nel latino delle carte (documenti privati notarili). QUE .. CONTENE: i confini indicati qui, nell’abbreviatura (il promemoria che le parti hanno concordato tra loro), tenuta in mano dal testimone, che ne contiene (III persona con valore impersonale, non concordata col soggetto) appunto la descrizione. Anche contene è tecnicismo notarile. 24
  • 25. .. PLACITO .. Possette: forma campano-laziale, con caduta del –d- intervocalico Parte .. Benedicti: parte è stato interpretato nel senso di ‘parte in causa’ o in quello di ‘possesso, dominio’. 25
  • 26. Natura della formula: Di solito la formula appare in latino quando a trasmettercela non è il placito originale, bensì la sua copia, magari trascritta da un monaco del monastero interessato, evidentemente libero dagli scrupoli di fedeltà alla testimonianza che animano invece il notaio (Folena). Dubbi sulla reale fedeltà delle formule al volgare parlato nella regione di Capua ha avanzato Benvenuto Terracini: sembrerebbero piuttosto rinviare a una KOINÈ LINGUISTICA a dominante mediana cui fanno e soprattutto faranno riferimento nei secoli successivi, testi pratico-religiosi come la Formula confessionale proveniente da Norcia, posteriore di poco meno di un secolo, e testi di carattere letterario riconducibili alla cultura benedettino-cassinese, come il Pianto della Vergine. Da ricordare che anche per i Giuramenti di Strasburgo si è parlato di una lingua di koinè: la caratteristica di tali varietà è l’astrattezza che riesce però a dare l’illusione di una mimesi del parlato. Sia nel caso francese che in quello italiano saremmo dunque di fronte a una sorte di imitazione, che, pur conservando alcuni tratti reali, è nel suo insieme una costruzione a tavolino. (Meneghetti) 26
  • 27. FILONE NOTARILE  1151 – Carta Osimana: scarsa consapevolezza di un’opposizione latino-volgare  Carte sarde: corpus interamente volgare di documenti giuridico-notarili di provenienza sarda, dal Privilegio logudorese del 1080-85 ai numerosi condaghi (registri che raccolgono gli atti – compravendite, notazioni, ecc – relativi ai possedimenti di chiese e monasteri) allestiti dal XII sec. in avanti 27
  • 28. POSTILLAAMIATINA1087 ISTA CARTULA EST DE CAPUT COCTU ILLE ADIUVET DE ILLU REBOTTU QUI MAL CONSILIU LI MISE IN CORPU 28
  • 29. EFFETTI ESPRESSIONISTICI IN AMBITO NOTARILE. Reperti in cui campioni esigui di volgare si giustappongono al tessuto latino. POSTILLA AMIATINA: nota posta in calce al testo di una donazione conservata nell’Archivio di Stato di Siena. Gennaio 1087. Due coniugi, Miciarello e Gualdrada, fanno donazione dei loro beni all’abbazia di San Salvatore sul Monte Amiata. Il notaio Rainiero, che stende l’atto in un discreto latino, aggiunge alla fine un paio di righe, che si direbbero latineggianti solo nella forma e che sembrano costituire tre versi monoassonanzati, benché di struttura metrica abbastanza dubbia: Ista cartula est de caput coctu Ille adiuvet de illu rebottu Qui mal consiliu li mise in corpu. In questo caso l’abbassamento intenzionale rispetto al tenore ufficiale dell’atto sembra evidente. Forse il notaio insinua scherzosamente qualche dubbio sulla sanità mentale del donatore, definito caput coctu, cioè “testa calda” o “testa dura”. Nel secondo verso si allude al Diavolo, il rebottu [ribaldo] per eccellenza, malvagio suggeritore di un mal consiliu (la donazione stessa?). Con il rischio di infirmare in questo modo lo stesso valore dell’atto. Potrebbe però trattarsi (Monteverdi, Mancini) della fissazione per iscritto di una formula apotropaica, di uno scongiuro tradizionale che avrebbe il compito di proteggere donatori e donazione. 29
  • 30. …. EFFETTI ESPRESSIONISTICI … “Resta l’indubbio fatto che, per la prima volta nel volgare italiano – ma forse in tutto il volgare romanzo – constatiamo l’uso intenzionale di un registro giocoso, quasi un piccolo gesto di sberleffo per rompere la tensione che ancora a quest’epoca sembra legarsi quasi ineluttabilmente a qualsiasi ricorso alla parola scritta” (Meneghetti).  TESTIMONIANZE DI TRAVALE (1158) Controversia tra il vescovo di Volterra e il conte Ranieri d’Ugolino Pannocchia circa l’appartenenza di alcuni casolari a una corte – quella appunto di Travale – piuttosto che a un’altra, quella di Gerfalco (al limite settentrionale dell’attuale provincia di Grosseto). Come nei Placiti, vengono prodotti dei testimoni, senza però quella formularità fissa e quasi dettata. Sono due le dichiarazioni che contengono frasi in volgare: quella di Enrigolo, che sostiene la dipendenza da Travale del casolare della Montanina, e quella di Pietro Poghino, che riferisce le cirocstanze di un certo Malfredo di Casa Magi, esentato dal prestare servizio di guardia a Travale. 30
  • 31. … EFFETTI ESPRESSIONISTICI … Enrigolo: “Io de [cioè dalla Montanina] presi pane e vino per li maccioni [muratori] a Travale” Pietro Poghino: “Pogkino, qui Petrus dicitur, […] a […] Ghisolfo audivit quod Malfredus fecit la guaita a Travale. Sero ascendit murum et dixit: Guaita, guaita male; non mangiai ma mezo pane. Et ob id remissum fuit sibi servitium, et amplius non tornò mai a far guaita, ut ab aliis audivit”. Guaita: ‘guardia’ (< got. wardja ‘sentinella’, lat. imp. *guardia(m)); ma: ‘mai’ (< MAGIS) piano stilistico- formale, la parte in volgare sembra una ripresa dai canti o richiami di scolte [guardie], come l’incipit dell’alba provenzale (Gaita be, gaitela del chastel) composta non molti anni dopo da un trovatore che con l’Italia ebbe molto a che fare: Raimbaut de Vaqueiras. In ogni caso, la battuta è ironica e autoironica: in sostanza dice di essere troppo affamato e malconcio per far bene la guardia e ottiene così l’esenzione dal pesante compito, come si diceva in giro … 31

Notas do Editor

  1. fonti: Maria Luisa Meneghetti, Le origini delle letterature medievali romanze, Bari, 1997; Livio Petrucci, Alle origini dell’epigrafia in volgare, Plus, 2010; Antonelli, Le Origini; Castellani Pollidori, Sull’iscrizione di S. Clemente; Petrucci – Romeo 1998, L’orazionale visigotico di Verona, in “Scrittura e Civiltà”, 1998.
  2. La correzione del Di Virgilio, seguita in parte dalla Castellani Pollidori, risponde all’esigenza di spiegare il se atono iniziale in it. ant. non si trova in posizione iniziale assoluta (traccia di questa norma si ha nell’ancora attuale “cercasi”, “vendesi” ecc.). Ci si attenderebbe pertanto un “parebasi”. Ma forse è eccessivo far risalire questa legge (Tobler-Mussafia: dal nome dei linguisti che l’hanno formulata) all’altezza di un’epoca in cui si hanno così scarse testimonianze del volgare, e tutte peraltro mediate dalla scripta latina (cfr. Migliorini e Monteverdi, che pensano che la legge dell’enclisi non fosse ancora operativa. Altri hanno ovviato spiegando diversamente (se tonico, se con valore di congiunzione introduttiva di protasi [periodo ipotetico], riflessivo enfatico, e quindi tonico, come tratto volgare del friulano, SE da SIC lat., con il valore di ‘ecco’, ecc.)
  3. La conservazione davvero eccezionale di un graffito su intonaco di epoca antichissima la dobbiamo al fatto che la cripta è rimasta inaccessibile fino agli scavi del 1903 – 1904. Finché nel 1971 in seguito a un tentativo di furto dell’intero affresco ha subito danni irreparabili: ci si basa sulle foto procurate dal Sabatini nella sua edizione del testo.
  4. Nella Passio Sancti Clementis, la frase latina del santo è: “Duritia cordis tui in saxa conversa est, et cum saxa deos aestimas, saxa trahere meruisti” (La durezza del tuo cuore è mutata in pietra, e, dato che consideri le pietre dèi, hai meritato di trascinare pietre)
  5. I nomi dei personaggi dei servi non sono presenti nella Passio: il che depone (insieme ad altre discordanze) per una quanto meno dubbia dipendenza dell’affresco dalla fonte scritta che ci è pervenuta (cfr. Gianluca Lauta 2007: Ancora sull’iscrizione; Antonelli 1972; Raffaelli 1987: Il volgare nelle chiese di Roma). Altri hanno un po’ frettolosamente interpretato le differenze come rimaneggiamenti dovuti al gusto realistico dello scrittore.