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La Fede: aspetti biblici
Formazione Permanente 2008-09
Struttura
• I La terminologia
• II Fede e incredulità
– 1. Aspetti soggettivi della fede:
• a. La fiducia
• b. La fedeltà
• c. L'ascolto/obbedienza
– 2. L'incredulità
• III Deposito della fede
– 1. Atteggiamenti positivi verso il deposito
– 2. Situazioni contrarie alla fede
• IV Gnosi/conoscenza
• V Fede e visione
• VI Fede e opere
– 1. Fede e salvezza
– 2. La giustificazione per fede esige le opere
• VII Dono e ricerca
• Prescindendo dall'ambito profano,
giuridico e puramente religioso, per fede
intendiamo il totale riferirsi a Dio,
conosciuto nella rivelazione, da parte
dell'uomo il quale, nell'analisi delle proprie
dimensioni fondamentali col mondo, la
morte, gli uomini e la storia (Cf. GS 4-22),
si scopre aperto alla trascendenza e
dotato di libertà che si esplicita nella
responsabilità e nella speranza.
La terminologia
• ’mn
• batah, hasah, hakah, jahal, qawah
• Amen
• pistéuō/pístis
’mn
• La radice fondamentale ’mn, presente nella
forma hifil 52 volte, indica stabilità e sicurezza
derivanti dall'appoggiarsi a qualcuno. Ciò
comporta primariamente il senso di abbandono
e fiducia. Fede allora è l’affidarsi a Dio da parte
di Abramo (Gen 15,6) nel momento in cui
sembravano scaduti i tempi di realizzazione
della promessa di una posterità; è l'accettazione
della parola riguardante la sua esperienza con
Jhwh che gli aveva promesso la liberazione.
’mn
• Di fronte a Dio che gli promette una discendenza
numerosa come le stelle del cielo «Abramo credette al
Signore, che glielo accreditò come giustizia» [Gn 15,6].
• L'ebraico usa qui il verbo 'mn nella forma causativa
seguito da be e il nome di persona.
• Traduciamo con credette al o nel Signore; sciolto nel suo
significato più pregnante il verbo dice molto di più: di
fronte a una promessa strabiliante, ma senza indizi
concreti (non ha un figlio e non sa come lo potrà avere),
Abramo decide comunque di dare credito al Signore e
si fida di lui.
• Dunque Abramo è l'uomo del rischio, della scommessa,
che gioca tutta la sua esistenza sul suo Dio.
batah, hasah, jahal, qawah
• Altri termini come batah (confidare), tipico delle
preghiere e degli inni (Sal 13,6; 25,2; 26,1),
hasah (rifugiarsi) come ricerca reale o figurata di
una protezione da parte del singolo (Sal 64,11;
Is 57,13) o della comunità (Sal 2,12; 5,12; 17,7;
18,31), hasah (attendere), jahal (aspettare) con
qawah (sperare), relativi a un auspicato
intervento di Dio, rientrano nel più vasto campo
di 'mn, di cui evidenziano l'aspetto di fiducia e
confidenza.
batah, hasah, hakah, jahal, qawah
• La terminologia veterotestamentaria
descrive pertanto la fede come
conoscenza-riconoscimento di Jhwh, della
sua potenza salvatrice e dominatrice
rivelata nella storia, come fiducia nelle sue
promesse, come obbedienza verso i
comandamenti di Jhwh.
Amen
• Dicendo amen, che è una forma participiale, si
ritiene che quanto esce dalla bocca di Dio è
sicuro da meritare fiducia, vero da essere
creduto e solido da indirizzare bene la vita.
`Amen’ sancisce perciò un impegno solenne,
preciso e irrevocabile, rafforzato dalla
ripetizione, solennizzato dal rinnovamento
dell'alleanza (Ne 8,6) e reso sacro in quell'inizio
del culto a Gerusalemme (1Cr 16,36),
ufficializzato poi nelle singole parti del salterio
(Sal 41,14; 72,19; 89,53; 106,48).
Amen
• Più che un semplice desiderio o un debole
assentire (Ger 28,6), dire amen comporta
una responsabilità giurata (Nm 5,22), un
rinnovo pubblico, comunitario, liturgico
dell'impegno di osservare i comandamenti
(Dt 27,15-26) o di praticare la giustizia
sociale (Ne 5,13). Inscindibile dalla fiducia
l’amen diventa acclamazione liturgica (1Cr
16,36).
pistéuō/pístis
• La varietà di terminologia dell'AT si condensa in un
unico, frequentissimo termine nel NT: pistéuò/pístis
(credere/fede), collegato al miracolo nei sinottici (Mc
2,5; 5,36) che conservano il senso prevalente di
fiducia. Credere è anche riconoscere Gesù come il
messia (Mc 15,32) attraverso la sua morte e
risurrezione (At 2,14-36), così che viene a
qualificare semplicemente il cristiano come "il
credente" (At 2,44; 4,32; 11,21). Collegata
intimamente al mistero della salvezza, la fede - il
vocabolo più usato (242 volte) dopo Dio, Cristo,
Signore, Gesù, Spirito - diventa in Paolo
conoscenza e accettazione del mistero pasquale
(Rm 10,9.14; Cf. 1Pt 1,8.21; Gc 2,5), della persona
di Cristo (Rom 1,17; Gal 2,16; Ef 2,8; Fil 3,9).
pistéuō/pístis
• Si opera così un'evoluzione da un senso
soggettivo (l'atto del credere) a un senso
oggettivo (il contenuto creduto), giungendo ad
identificarsi con il kerygma (Rm 10,8; Gal 1,23;
3,2.5; Ef 4,5), come avviene negli Atti (6,7) e più
ampiamente nelle lettere pastorali (1 Tess. 1,19;
4,1; 6,10.21). Una tale linea di pensiero si ritrova
nel credere giovanneo (usato 98 volte in forma
assoluta o con preposizioni, in contrasto con
l'unica attestazione del sostantivo fede in 1Gv
5,4) come accettazione della persona e della
missione del Figlio.
pistéuō/pístis
• Densa di significato è infine la definizione della fede,
accentuante l'aspetto soggettivo, nella lettera agli Ebrei
(11,1) come certezza dell'invisibile, fiducia nelle
promesse di Dio e impegno di fedeltà dell'uomo: la
limitazione al solo elemento intellettivo privo di fiducia è
la fede insufficiente condannata dalla lettera di Giacomo
(2,14). Pertanto fede è la risposta integrale dell'uomo a
Dio che si rivela come suo salvatore e include
l'accettazione del messaggio salvifico e la fiduciosa
sottomissione alla sua parola. Nella fede
veterotestamentaria l'accento cade sull'aspetto di fiducia;
in quella neotestamentaria risalta l'aspetto di assenso al
messaggio cristiano.
Fede e incredulità
• Essenziale per la fede è la dimensione
soggettiva che si manifesta come fiducia,
fedeltà, ascolto/obbedienza, la cui
mancanza rivela l'incredulità del soggetto.
Fede e incredulità
• La fede è una reazione all'azione primaria
di Dio (A. Weiser). All'interno dell'apertura
totale del proprio essere a Dio, la fede
assume tante componenti quanti sono gli
aspetti di Dio rivelante: timore, riverenza,
culto, obbedienza, amore, confidenza,
fedeltà, speranza, attesa, pazienza,
adesione, riconoscenza, per cui essa «si
assicura in Dio» (cf. J. Pfammatter, 380).
Fede e incredulità
• a. La fiducia - Pur presente in personaggi -
Abele, Enoch, Noè, Giacobbe, Mosè, Giosuè - e
in parti narrative e profetiche, la fede, nella
dimensione soggettiva di abbandono, appoggio
sicuro, affidamento pieno, dedizione illimitata,
slancio, attesa, risalta particolarmente in
Abramo, il padre dei credenti. «Egli credette al
Signore che glielo accreditò a giustizia» (Gen
15,6). Il fidarsi di Dio lo spinge ad attendersi
l'impossibile, un figlio cioè in vecchiaia (Gen
18,14).
Fede e incredulità
• La situazione di morte del suo corpo privo
di vitalità, come il seno di Sara (Eb 11,12),
si trasforma in vita per quel fondarsi sulla
promessa, per quel proiettarsi oltre ogni
speranza umana, per quel non vacillare,
per quel ritenere con ferma, persuasione
che Dio è potente a realizzare quanto ha
promesso, così che Abramo diventa
l'amico di Dio (cf. Rm 4,18-22; Gc 2,25).
Fede e incredulità
• La fiducia in Dio supera i limiti e le
obiezioni della ragione umana,
rinunciando a contare su di sé. Cosciente
della propria incapacità, dell'insufficienza
di qualsiasi garanzia umana, anche
miracolosa - suscettibile sempre di
seducenti spiegazioni razionali - dubita di
sé e si apre all'intervento divino.
Fede e incredulità
• b. La fedeltà - Una fiducia piena conduce alla fedeltà
che è imitazione e partecipazione della fedeltà di Dio.
Venuto più volte incontro all'uomo, Dio è rimasto fedele
all'alleanza (Dt 7,9), alle promesse (2Sam 7,28; Os 2,22;
Sal 132,11; Tb 14,4) e realizza le sue opere nonostante
il peccato: Dio è definito frequentemente 'fedeltà' nel
Deuteronomio, nel Salterio e nei profeti. «La roccia:
perfetta è la sua opera, tutte le sue vie sono giustizia. È
Dio di fedeltà» (Dt 32,4). L'uomo partecipa con la sua
fiducia alla stabilità di Dio e delle sue opere, come Mosè,
fedele nella sua casa (Nm 12,7) - quanto le sue braccia
piene di fedeltà fino al tramonto durante la battaglia
contro Amalek (Es 17,12) - in una comunanza di vedute,
di pensieri e di responsabilità; come il sacerdote fedele
(1Sam 2,35); come Davide (1Sam 22,14) nel suo regno
stabile (2Sam 7,16). Senza la fedeltà l'uomo diventa
vuoto, vanità, niente, simile agli idoli (Is 19,1.3; Ez 30,13;
Ab 2,19; Sal 96,5; 97,7).
Fede e incredulità
• È necessario proclamare la fedeltà di Dio (Sal 36,6),
invocarla (1Re 8,56-58), perché faccia germinare nella
nostra terra la fedeltà a Lui. In una economia
dell'alleanza, Dio esige la nostra fedeltà (Gs 24,14),
anche come condizione per una fedeltà degli uomini
verso gli uomini, che ne sono spesso privi (Ger 9,2-5).
Ad imitazione del servo fedele che porta a termine la sua
missione tra contrasti - tipo di Cristo che dà compimento
alla fedeltà di Dio (2Cor 1,20), quale sacerdote fedele
(Eb 2,17) -, i "fedeli" (At 10,45; 2Cor 6,15; Ef 1,1) si
preoccuperanno di considerare la fedeltà tra i massimi
comandamenti (Mt 23,23), una costante in tutti i momenti
della vita (Lc 16,10-12). Se tale fedeltà comporta una
continua lotta contro il maligno, specialmente negli ultimi
tempi (Ap 13,10; 14,12), ha come premio la gioia del
Signore (Mt 25,21.23) ed è assicurata quale dono dello
Spirito (Gal 5,22) e del sangue di Cristo (Ap 12,11).
Fede e incredulità
• c. L'ascolto/obbedienza
• Al prossimo incontro (ndR)
Fede e incredulità
• L'incredulità è la tentazione continua
dell'uomo destinatario della rivelazione,
come l'idolatria è la condizione
permanente del pagano. Dinanzi a
meraviglie sempre nuove dell'amore di Dio
sottratto ad ogni controllo o verifica, il
credente è posto ogni giorno davanti al
dilemma: fidarsi unicamente di Dio o
cadere nell'incredulità che diventa la
radice di ogni peccato.
Fede e incredulità
• L'incredulità è non prendere Dio come
appoggio, (Sal 78,8.37), è appoggiarsi
sulla propria vita (Cf. Dt 28,66), come fa il
cattivo. È ritenere Jhwh incapace di
comprendere e di liberare dal bisogno
l'uomo, che conseguentemente ‘mormora’
come la generazione del deserto, presa
dalla fame e dalla sete (Es 16,2-3; 17,2-3;
Nm 11,4-5; 20,2-3), dalla paura davanti al
nemico (Nm 14,3).
Fede e incredulità
• È dimenticanza dei prodigi operati nel passato
(Dt 8,14-16; Sal 78,1), è incomprensione dei
segni in ordine a una conversione (Nm 14,11;
Am 4,6ss), è negazione dell'esistenza di un
piano divino. «Si affretti, acceleri l'opera sua
affinché la possiamo vedere, si avvicini, si
realizzi il progetto del Santo d'Israele e lo
riconosceremo» (Is 5,19). È dare l'ultimatum a
Dio perché si decida a compiere le sue
promesse, è l'infantilismo religioso di Acaz (Is
7,12).
Fede e incredulità
• L'incredulità si fa acuta davanti a Gesù,
che chiede verso la propria persona (Mt
11,6) quanto il pio israelita riconosceva a
Jhwh. L'obiezione della razionalità
avanzata da Zaccaria, resa più evidente
dalla fede di Maria (Lc 1,18.38), continua
in quella dei concittadini di Gesù (Mc 6,6),
dei farisei (Mt 15,7), delle città del lago e
dei giudei (Mt 8,10).
Deposito della Fede
• Questa espressione introduce la considerazione
dell'aspetto oggettivo della fede: anche nei
rapporti con Dio, l'atteggiamento essenziale
dell'affidarsi a lui porta conseguentemente
all'affermazione dei contenuti, degli eventi della
rivelazione. Questi sono accettati non perché
l'uomo li comprenda nella loro evidenza
razionale od esperienza diretta, ma per la fiducia
in Chi li propone. La fede in Dio è anche fede di
ciò che egli rivela: il NT parla, accanto a pistis
(pistéuein) eis, di pistéuein hoti, espressioni che
la riflessione teologica tradurrà in fide qua e
fides quae.
Deposito della Fede
• Questo secondo aspetto, già presente
nell'AT nella necessità di riconoscere gli
interventi salvifici di Jhwh nella storia,
riflessi nelle formule di fede, è sottolineato
fino a diventare preminente nel NT. Ciò è
dovuto alla novità dell'evento 'Cristo', che,
dopo aver esigito di ritenere imminente la
venuta del regno, domanda di accettare il
valore messianico della sua persona.
Deposito della Fede
• Il contenuto della fede ha un nucleo attorno al
quale ruota come esplicitazione, sviluppo,
approfondimento e attualizzazione tutto quello
che Dio ha rivelato. Lo si può enunciare come la
volontà assoluta del Padre di salvare ogni uomo
attraverso il Figlio Gesù Cristo nel dono dello
Spirito. Questa volontà si rivela in una
dimensione storica che ha il suo inizio
nell'alleanza veterotestamentaria (Dt 26,5-9; Gs
24,2-13) e il suo compimento nell'incarnazione,
morte e risurrezione di Gesù Cristo.
Deposito della Fede
• Nella sua vita di fede come dialogo
personale con Cristo, in analogia al
continuo dialogo di Gesù col Padre, il
cristiano estende, per il nesso inscindibile,
il suo atto di fede alla chiesa "corpo e
pienezza" di Cristo, istituita quale
«sacramento o segno e strumento
dell'intima unione con Dio e dell'unità di
tutto il genere umano» (LG 1).
Atteggiamenti positivi verso il
deposito della Fede
• Confessione di fede
• Testimonianza/martirio
• Unità nella fede
Confessione di fede
• Confessare la fede, che nell'AT si restringe a
riconoscere Jhwh come «Dio salvatore» (cf. Os
12,10; 13,4; Dt 32,12; Gs 24,16-18), diventa nel
NT confessione (homologhía/homologhéin) di
«Gesù Cristo» (Rm 10,9; 1Cor 12,3), la cui
liberazione tocca tutta l'umanità, riguarda il
nemico più temibile (il peccato), è definitiva: la
confessione di Pietro (Mt 16,16; Gv 6,68-69),
come quella del cieco nato (Gv 9,17.36-38),
ritrova l'origine della fede nel contatto personale
con Gesù.
Testimonianza/martirio
• Quando la confessione della fede è diretta in
primo luogo agli uomini, in forma solenne,
durante un processo o una contestazione,
diventa testimonianza (o martirio: dal greco
martyría/martyrion), creando il testimone (o
martire, dal greco martys). A differenza del
confessare, testimoniare è un concetto
neotestamentario, essendo limitato nell'AT a
Israele «testimone di Jhwh» tra le genti (Is 43,
9.10.12).
Unità nella fede
• Particolare testimonianza a Cristo è data dalla chiesa
quando si trova unita nella fede. La principale unità nella
fede è di tipo esperienziale vissuto: l'essere e rimanere
in Cristo (Gv 15,4) - il quale vive (Gal 2,20), abita (Ef
3,17) nell'uomo che mangia e beve il suo sangue (Gv
6,54) - così da divenire una cosa sola con il Padre e i
fratelli, perché «il mondo creda che tu mi hai mandato»
(Gv 17,21). L'unità di fede, conciliabile con la pluralità di
indirizzi teologici, riguarda soprattutto le verità essenziali:
«Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un
solo Dio e Padre di tutti, che è sopra di tutti, agisce per
mezzo di tutti e dimora in tutti» (Ef 4,5-6), «un solo
pane» (1Cor 10,17), «un solo pastore, un solo gregge»
(Gv 10,16).
Situazioni contrarie alla Fede
• Lo scisma
• L’eresia
• La bestemmia
Lo scisma
• Pur non compromettendo l'unità della fede, lo scisma
rompe la carità, rende la chiesa meno credibile davanti al
mondo (cf. Gv 17,21). Come la separazione del regno
del nord per motivi religiosi (1Re 11,33) produsse
confusioni idolatriche (1Re 12,28.32), impedendo la
forza della testimonianza presso le nazioni, così le
divisioni turbano l'armonia del corpo di Cristo, che è la
chiesa (1Cor 12,25). Esse provengono dalla ‘carne’ (Gal
5,20; cf. 1Cor 3,3-4), sono segno dell'incomprensione
della vera sapienza della croce (1Cor 1,10.18), stanno in
stridente contrasto con il significato della cena (1Cor
11,18) e con l'unità d'origine e di finalità dei carismi
(12,11).
L’eresia
• Più grave dello scisma, che si limita a una incrinatura, a
un crepaccio nella comunione ecclesiale, l'eresia tocca
direttamente la fede coscientemente negata in qualche
verità rivelata. Sconosciuta all'AT per il suo limitato
contenuto intellettuale, l'eresia, già prevista da Gesù (Mt
24,5.11), è delineata negli scritti paolini come
cristallizzazione di tensioni in partiti o sètte analoghi a
quelli giudei (1Cor 11,19); essa attacca la dottrina (Rm
16,17) e viene così caratterizzata negli ultimi scritti
neotestamentari: «Falsi maestri introdurranno eresie
(hairéseis) perniciose e, rinnegando il loro padrone che li
riscattò, attireranno su se stessi una rovina veloce» (2Pt
2,1).
La bestemmia
• L'insulto alla persona di Gesù, come un tempo al nome
di Jhwh (Lv 24,16) attraverso la bestemmia, si oppone
direttamente alla fede. Essa infatti non accetta Gesù
come «Figlio di Dio» (Mt 26,63-65; Mc 15,29; Gv 10,33).
Non si tratta di semplice ignoranza, ma di volontario
rifiuto della rivelazione divina, illustrata dai miracoli:
attribuirli al demonio è una bestemmia contro lo Spirito
Santo (Mt 12,31), irremissibile, perché all'origine di
reazioni a catena che fissano situazioni di totale chiusura
alla parola. Si rifiuta infatti non un Dio lontano, ma già
sperimentato nella sua opera di grazia e di luce: questo
stato di cose si ripeterà nel tempo della chiesa (Ap 2,9).
Gnosi/conoscenza
• La possibilità di confessare o testimoniare, come anche
di limitare il contenuto della fede, deriva dal suo carattere
conoscitivo o di gnosi. Questa parola evoca
spontaneamente la complessa e non del tutto chiarita
corrente spirituale (gnosticismo) fiorente nel II sec. d.C.,
che dalla «conoscenza di sé, cioè dell'uomo in quanto
Dio» (H. Schlier), «reso partecipe della stessa natura
divina, ossia anzitutto dell'immortalità» (R. Bultmann),
pretende di raggiungere la salvezza nel ritorno alle sue
origini. Espressione di un'autosufficienza umana, la
gnosi è negazione della fede e va quindi combattuta in
tutte le iniziali manifestazioni (1Cor 1,17-21; 1Tm 6,20).
Fede e visione
• A differenza del conoscere, usato in parallelo
con credere (Gv 6,69), il vedere ha una vasta
gamma di significati, indicando ora un di meno
ora un di più della fede. C'è infatti un vedere che
non conduce alla fede e aumenta la
responsabilità. Avvicinarsi a Gesù solo
esteriormente (6,2) senza un impegno morale,
costituisce un vedere che non è un credere
(6,36). I segni sono un mezzo per la fede, ma
l'uomo che si limita al loro carattere prodigioso e
spettacolare non merita la fiducia di Gesù che,
conoscendo l'intimo dell'uomo (2,25), avverte la
superficialità del rapporto con lui.
Duccio di Boninsegna
Gesù guarisce il cieco
nato
National Gallery - Londra
Fede e opere
• L'analisi delle varie dimensioni della fede pone
l'interrogativo sui rapporti con le capacità umane, con
l'agire dell'uomo. Tra i vari aspetti di questa
problematica, ci limitiamo a chiederci se Dio è raggiunto
dalla sola fede o se sono necessarie le opere dell'uomo.
Se questi cioè è autosufficiente nei riguardi della
salvezza o si trova in una radicale incapacità a
raggiungerla. Procediamo in due momenti. Innanzitutto
vediamo come la Bibbia colleghi alla fede la conoscenza
e l'acquisizione della salvezza totale quale
autorealizzazione terrena dell'uomo e unione piena con
Dio; poi vedremo come il momento salvifico iniziale o
giustificazione sia impossibile senza la fiducia e
l'obbedienza al Signore: da ciò scaturirà il senso delle
opere dell'uomo.
Fede e salvezza
• Il primo gesto salvifico è colto dalla fede nella
creazione, «formata per una parola di Dio, di
modo che da cose non visibili è derivato ciò che
si vede» (Eb 11,3). Questa prima architettura
(Gb 38,4-7) di Dio, «dal quale tutto proviene»
(1Cor 8,6), svela la tenerezza divina e diventa il
primo segno dell'opera redentrice di Cristo,
«primogenito di tutta la creazione» (Col 1,15),
compimento quale nuovo Adamo (1Cor 15,45) di
quel tutto che è stato fatto attraverso lui (cf. Gv
1,3).
Fede e salvezza
• La salvezza dell'ottavo giorno è vista nella scoperta di un
Dio che provoca e accompagna il peregrinare di Abramo,
vede la miseria del suo popolo in Egitto, lo trae fuori con
mano forte e braccio disteso e lo conduce in un paese
dove scorre latte e miele: la fede fa emergere cioè la
fedeltà divina nell'eleggere, liberare e stabilire nella terra
il suo popolo, nel conservare la dinastia, il tempio e i
profeti. Permette poi ai poveri di Jhwh, dalle confessioni
di Geremia alla contestazione di Giobbe ai salmi degli
‘anawim’, di scoprire nel fallimento un doloroso mezzo di
salvezza, attraverso il grido d'invocazione a Dio che
riempie il vuoto più assoluto. «Buona cosa è attendere, e
in silenzio, la salvezza del Signore... Forse vi è ancora
speranza» (Lam 3,26.29).
Bronzino
Passaggio del Mar Rosso
National Gallery - Londra
Fede e salvezza
• Solo in presenza della fede Gesù opera miracoli: «Non
poté compiere molti prodigi a causa della loro
incredulità» (Mt 13,58); «"Credete che possa fare ciò?".
Gli risposero: "Sì, Signore". Allora toccò loro gli occhi e
disse: "Avvenga a voi secondo la vostra fede"» (Mt 9,28-
29). La fede ottiene anche quella guarigione spirituale
che è la remissione dei peccati: «Vedendo la loro fede,
Gesù disse al paralitico: "Coraggio, figliolo, sono rimessi
i tuoi peccati"» (Mt 9,2); ne beneficiano i samaritani (Lc
17,16), i cananei (Mc 7,26), i pagani. La potenza che
esce da Gesù ha una sola causa: «La tua fede ti ha
salvata» (Mc 5,34; 10,52). Credere infatti alla parola di
Gesù è partecipare alla potenza che proviene dal Padre
e quindi ricevere una salvezza totale che raggiunge il
corpo, l'anima, la natura.
Guarigione del paralitico di Cafarnao
Ravenna – Sant’Apollinare Nuovo
Fede e salvezza
• È Paolo che presenta dalla prima all'ultima lettera la fede
quale condizione indispensabile per la salvezza: «Dio vi
ha scelti fin da principio per la salvezza nella
santificazione dello Spirito e nella fede della verità» (2Ts
2,13). Fin da ora la salvezza comporta la graduale
liberazione dei nostri corpi dalla schiavitù della
corruzione (cf. Rm 8,20) mediante la fede nella
risurrezione di Cristo. «Se crederai nel tuo cuore che Dio
ha risuscitato Gesù da morte sarai salvato. Col cuore
infatti si crede per ottenere la giustificazione, con la
bocca si fa la professione per ottenere la salvezza» (Rm
10,9-10). «Siete stati anche risuscitati in virtù della fede
nella potenza di Dio» (Col 2,12). E una potenza che la
fede attinge dalla 'parola', realtà inseparabile dallo Spirito
(Rm 1,16; 8,11).
La giustificazione e le opere
• È particolarmente nel momento iniziale che l'uomo è
salvato dalla fede. «Pensiamo che l'uomo viene
giustificato per mezzo della fede senza le opere della
legge» (Rm 3,28). L'esclusione non riguarda soltanto
l'operare in conformità alla legge mosaica intesa come
insieme di norme giuridiche, rituali, etiche, ma qualsiasi
azione o desiderio dell'uomo. Pur mancando
materialmente l'aggettivo, il pensiero di Paolo si può
tradurre come giustificazione per la sola fede, come più
chiaramente si trova in Galati: «Sapendo che non è
giustificato alcun uomo per le opere della legge, ma solo
in forza della fede in Gesù Cristo, credemmo anche noi
in Gesù Cristo, appunto per essere giustificati per la fede
di Cristo e non per le opere della legge, poiché per le
opere della legge non sarà giustificato nessun mortale»
(Gal 2,16).
La giustificazione e le opere
• La giustificazione causata dalla fede consiste in una vera
trasformazione interiore dell'uomo, che crea un
dinamismo nuovo, una spinta a «camminare in maniera
degna di Dio» (1Ts 2,12), ad esercitare l'amore fraterno,
a conservare la santità del corpo (1Ts 2,14; 4,1-12; cf.
5,23). Accanto alla fede Paolo nomina spesso la carità e
la speranza (1Ts 1,3; 5,8) e usa formule che uniscono
fede e azione, come quando parla di «opera della vostra
fede» (1Ts 1,3) o di «fede che opera mediante la carità»
(Gal 5,6). La `sola fede’, non certo contraria alle opere,
le esige per essere ritrovati irreprensibili al giorno del
giudizio (1Ts 5,23; cf. Mt 25,34ss). La costante
sottolineatura del valore e dell'esigenza della prassi
avvicina Paolo a Giacomo (cf. Gc 1,22 e Rm 2,13).
La giustificazione e le opere
• L'accordo sostanziale va ricercato nella diversa
prospettiva dei due scrittori. Se Paolo, trattando
sistematicamente della giustificazione, ha ragione di
attribuirla alla fede, Giacomo, partendo da una tradizione
sapienziale sensibile all'esaltazione dell'azione
dell'uomo, da una cristologia al servizio dell'etica, in
presenza forse di certe deviazioni già rigettate da Paolo
(Rm 3,8), si preoccupa giustamente di evitare
l'immobilismo e l'inattività. Anche se persiste una
qualche difficoltà, il fatto che Giacomo per
'giustificazione' intenda non il primo momento della
salvezza, ma il secondo, quello della testimonianza
vissuta, l'accordo sul valore della parola e il vasto campo
della `diversità’ espressiva della fede permettono di
concludere che non siamo nella `contrarietà’, anche se in
`contrapposizione’, in `lotta’.
Dono e ricerca
• Da tutto ciò risulta che la fede è puro dono di
Dio, è grazia. Se Dio non si apre all'uomo
attirandolo a sé, credere rimane impossibile.
Solo se Dio «apre il cuore» (At 16,14) l'uomo
diventa capace di «vincere il mondo» (1 Gv 5,4):
la fede è infatti opera di Dio (Gv 6,29), non
proviene da «carne e sangue» (Mt 16,17).
«Siete salvi per grazia... ciò non proviene da voi,
ma è dono di Dio» (Ef 2,8). Se riducessimo la
fede a un'opera umana, introdurremmo di nuovo
quel `gloriarsi’ che pone un diaframma tra Dio e
l'uomo: solo il riconoscimento della fede quale
dono di Dio permette all'uomo di affermare la
propria radicale incapacità alla salvezza.
Dono e ricerca
• È necessario però che l’uomo si ponga in atteggiamento
di ricerca. Anche se nell'AT soggetto del ricercare è Dio
e nel NT non si parla di una ricerca della fede (cf. At
13,8), Gesù assicura l'uomo che troverà quanto desidera
(Mt 7,7-8), come Zaccheo che riuscì a vederlo (Lc 19,3),
essendo stabilito che gli uomini «cerchino Dio e come a
tastoni si sforzino di trovarlo» (At 17,27), per cercare la
giustificazione in Cristo (Gal 2,17). La ricerca umana
veramente è già una risposta a una precedente azione di
Dio che la purifica, la indirizza verso l'ascolto della
parola, la conversione, l'accoglienza della fede. La
ricerca dell'uomo allora si concretizza nel lasciarsi
ricercare da Dio.

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La Fede

  • 1. La Fede: aspetti biblici Formazione Permanente 2008-09
  • 2. Struttura • I La terminologia • II Fede e incredulità – 1. Aspetti soggettivi della fede: • a. La fiducia • b. La fedeltà • c. L'ascolto/obbedienza – 2. L'incredulità • III Deposito della fede – 1. Atteggiamenti positivi verso il deposito – 2. Situazioni contrarie alla fede • IV Gnosi/conoscenza • V Fede e visione • VI Fede e opere – 1. Fede e salvezza – 2. La giustificazione per fede esige le opere • VII Dono e ricerca
  • 3. • Prescindendo dall'ambito profano, giuridico e puramente religioso, per fede intendiamo il totale riferirsi a Dio, conosciuto nella rivelazione, da parte dell'uomo il quale, nell'analisi delle proprie dimensioni fondamentali col mondo, la morte, gli uomini e la storia (Cf. GS 4-22), si scopre aperto alla trascendenza e dotato di libertà che si esplicita nella responsabilità e nella speranza.
  • 4. La terminologia • ’mn • batah, hasah, hakah, jahal, qawah • Amen • pistéuō/pístis
  • 5. ’mn • La radice fondamentale ’mn, presente nella forma hifil 52 volte, indica stabilità e sicurezza derivanti dall'appoggiarsi a qualcuno. Ciò comporta primariamente il senso di abbandono e fiducia. Fede allora è l’affidarsi a Dio da parte di Abramo (Gen 15,6) nel momento in cui sembravano scaduti i tempi di realizzazione della promessa di una posterità; è l'accettazione della parola riguardante la sua esperienza con Jhwh che gli aveva promesso la liberazione.
  • 6.
  • 7. ’mn • Di fronte a Dio che gli promette una discendenza numerosa come le stelle del cielo «Abramo credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia» [Gn 15,6]. • L'ebraico usa qui il verbo 'mn nella forma causativa seguito da be e il nome di persona. • Traduciamo con credette al o nel Signore; sciolto nel suo significato più pregnante il verbo dice molto di più: di fronte a una promessa strabiliante, ma senza indizi concreti (non ha un figlio e non sa come lo potrà avere), Abramo decide comunque di dare credito al Signore e si fida di lui. • Dunque Abramo è l'uomo del rischio, della scommessa, che gioca tutta la sua esistenza sul suo Dio.
  • 8. batah, hasah, jahal, qawah • Altri termini come batah (confidare), tipico delle preghiere e degli inni (Sal 13,6; 25,2; 26,1), hasah (rifugiarsi) come ricerca reale o figurata di una protezione da parte del singolo (Sal 64,11; Is 57,13) o della comunità (Sal 2,12; 5,12; 17,7; 18,31), hasah (attendere), jahal (aspettare) con qawah (sperare), relativi a un auspicato intervento di Dio, rientrano nel più vasto campo di 'mn, di cui evidenziano l'aspetto di fiducia e confidenza.
  • 9. batah, hasah, hakah, jahal, qawah • La terminologia veterotestamentaria descrive pertanto la fede come conoscenza-riconoscimento di Jhwh, della sua potenza salvatrice e dominatrice rivelata nella storia, come fiducia nelle sue promesse, come obbedienza verso i comandamenti di Jhwh.
  • 10. Amen • Dicendo amen, che è una forma participiale, si ritiene che quanto esce dalla bocca di Dio è sicuro da meritare fiducia, vero da essere creduto e solido da indirizzare bene la vita. `Amen’ sancisce perciò un impegno solenne, preciso e irrevocabile, rafforzato dalla ripetizione, solennizzato dal rinnovamento dell'alleanza (Ne 8,6) e reso sacro in quell'inizio del culto a Gerusalemme (1Cr 16,36), ufficializzato poi nelle singole parti del salterio (Sal 41,14; 72,19; 89,53; 106,48).
  • 11. Amen • Più che un semplice desiderio o un debole assentire (Ger 28,6), dire amen comporta una responsabilità giurata (Nm 5,22), un rinnovo pubblico, comunitario, liturgico dell'impegno di osservare i comandamenti (Dt 27,15-26) o di praticare la giustizia sociale (Ne 5,13). Inscindibile dalla fiducia l’amen diventa acclamazione liturgica (1Cr 16,36).
  • 12. pistéuō/pístis • La varietà di terminologia dell'AT si condensa in un unico, frequentissimo termine nel NT: pistéuò/pístis (credere/fede), collegato al miracolo nei sinottici (Mc 2,5; 5,36) che conservano il senso prevalente di fiducia. Credere è anche riconoscere Gesù come il messia (Mc 15,32) attraverso la sua morte e risurrezione (At 2,14-36), così che viene a qualificare semplicemente il cristiano come "il credente" (At 2,44; 4,32; 11,21). Collegata intimamente al mistero della salvezza, la fede - il vocabolo più usato (242 volte) dopo Dio, Cristo, Signore, Gesù, Spirito - diventa in Paolo conoscenza e accettazione del mistero pasquale (Rm 10,9.14; Cf. 1Pt 1,8.21; Gc 2,5), della persona di Cristo (Rom 1,17; Gal 2,16; Ef 2,8; Fil 3,9).
  • 13. pistéuō/pístis • Si opera così un'evoluzione da un senso soggettivo (l'atto del credere) a un senso oggettivo (il contenuto creduto), giungendo ad identificarsi con il kerygma (Rm 10,8; Gal 1,23; 3,2.5; Ef 4,5), come avviene negli Atti (6,7) e più ampiamente nelle lettere pastorali (1 Tess. 1,19; 4,1; 6,10.21). Una tale linea di pensiero si ritrova nel credere giovanneo (usato 98 volte in forma assoluta o con preposizioni, in contrasto con l'unica attestazione del sostantivo fede in 1Gv 5,4) come accettazione della persona e della missione del Figlio.
  • 14. pistéuō/pístis • Densa di significato è infine la definizione della fede, accentuante l'aspetto soggettivo, nella lettera agli Ebrei (11,1) come certezza dell'invisibile, fiducia nelle promesse di Dio e impegno di fedeltà dell'uomo: la limitazione al solo elemento intellettivo privo di fiducia è la fede insufficiente condannata dalla lettera di Giacomo (2,14). Pertanto fede è la risposta integrale dell'uomo a Dio che si rivela come suo salvatore e include l'accettazione del messaggio salvifico e la fiduciosa sottomissione alla sua parola. Nella fede veterotestamentaria l'accento cade sull'aspetto di fiducia; in quella neotestamentaria risalta l'aspetto di assenso al messaggio cristiano.
  • 15. Fede e incredulità • Essenziale per la fede è la dimensione soggettiva che si manifesta come fiducia, fedeltà, ascolto/obbedienza, la cui mancanza rivela l'incredulità del soggetto.
  • 16. Fede e incredulità • La fede è una reazione all'azione primaria di Dio (A. Weiser). All'interno dell'apertura totale del proprio essere a Dio, la fede assume tante componenti quanti sono gli aspetti di Dio rivelante: timore, riverenza, culto, obbedienza, amore, confidenza, fedeltà, speranza, attesa, pazienza, adesione, riconoscenza, per cui essa «si assicura in Dio» (cf. J. Pfammatter, 380).
  • 17. Fede e incredulità • a. La fiducia - Pur presente in personaggi - Abele, Enoch, Noè, Giacobbe, Mosè, Giosuè - e in parti narrative e profetiche, la fede, nella dimensione soggettiva di abbandono, appoggio sicuro, affidamento pieno, dedizione illimitata, slancio, attesa, risalta particolarmente in Abramo, il padre dei credenti. «Egli credette al Signore che glielo accreditò a giustizia» (Gen 15,6). Il fidarsi di Dio lo spinge ad attendersi l'impossibile, un figlio cioè in vecchiaia (Gen 18,14).
  • 18. Fede e incredulità • La situazione di morte del suo corpo privo di vitalità, come il seno di Sara (Eb 11,12), si trasforma in vita per quel fondarsi sulla promessa, per quel proiettarsi oltre ogni speranza umana, per quel non vacillare, per quel ritenere con ferma, persuasione che Dio è potente a realizzare quanto ha promesso, così che Abramo diventa l'amico di Dio (cf. Rm 4,18-22; Gc 2,25).
  • 19.
  • 20. Fede e incredulità • La fiducia in Dio supera i limiti e le obiezioni della ragione umana, rinunciando a contare su di sé. Cosciente della propria incapacità, dell'insufficienza di qualsiasi garanzia umana, anche miracolosa - suscettibile sempre di seducenti spiegazioni razionali - dubita di sé e si apre all'intervento divino.
  • 21. Fede e incredulità • b. La fedeltà - Una fiducia piena conduce alla fedeltà che è imitazione e partecipazione della fedeltà di Dio. Venuto più volte incontro all'uomo, Dio è rimasto fedele all'alleanza (Dt 7,9), alle promesse (2Sam 7,28; Os 2,22; Sal 132,11; Tb 14,4) e realizza le sue opere nonostante il peccato: Dio è definito frequentemente 'fedeltà' nel Deuteronomio, nel Salterio e nei profeti. «La roccia: perfetta è la sua opera, tutte le sue vie sono giustizia. È Dio di fedeltà» (Dt 32,4). L'uomo partecipa con la sua fiducia alla stabilità di Dio e delle sue opere, come Mosè, fedele nella sua casa (Nm 12,7) - quanto le sue braccia piene di fedeltà fino al tramonto durante la battaglia contro Amalek (Es 17,12) - in una comunanza di vedute, di pensieri e di responsabilità; come il sacerdote fedele (1Sam 2,35); come Davide (1Sam 22,14) nel suo regno stabile (2Sam 7,16). Senza la fedeltà l'uomo diventa vuoto, vanità, niente, simile agli idoli (Is 19,1.3; Ez 30,13; Ab 2,19; Sal 96,5; 97,7).
  • 22. Fede e incredulità • È necessario proclamare la fedeltà di Dio (Sal 36,6), invocarla (1Re 8,56-58), perché faccia germinare nella nostra terra la fedeltà a Lui. In una economia dell'alleanza, Dio esige la nostra fedeltà (Gs 24,14), anche come condizione per una fedeltà degli uomini verso gli uomini, che ne sono spesso privi (Ger 9,2-5). Ad imitazione del servo fedele che porta a termine la sua missione tra contrasti - tipo di Cristo che dà compimento alla fedeltà di Dio (2Cor 1,20), quale sacerdote fedele (Eb 2,17) -, i "fedeli" (At 10,45; 2Cor 6,15; Ef 1,1) si preoccuperanno di considerare la fedeltà tra i massimi comandamenti (Mt 23,23), una costante in tutti i momenti della vita (Lc 16,10-12). Se tale fedeltà comporta una continua lotta contro il maligno, specialmente negli ultimi tempi (Ap 13,10; 14,12), ha come premio la gioia del Signore (Mt 25,21.23) ed è assicurata quale dono dello Spirito (Gal 5,22) e del sangue di Cristo (Ap 12,11).
  • 23. Fede e incredulità • c. L'ascolto/obbedienza • Al prossimo incontro (ndR)
  • 24. Fede e incredulità • L'incredulità è la tentazione continua dell'uomo destinatario della rivelazione, come l'idolatria è la condizione permanente del pagano. Dinanzi a meraviglie sempre nuove dell'amore di Dio sottratto ad ogni controllo o verifica, il credente è posto ogni giorno davanti al dilemma: fidarsi unicamente di Dio o cadere nell'incredulità che diventa la radice di ogni peccato.
  • 25. Fede e incredulità • L'incredulità è non prendere Dio come appoggio, (Sal 78,8.37), è appoggiarsi sulla propria vita (Cf. Dt 28,66), come fa il cattivo. È ritenere Jhwh incapace di comprendere e di liberare dal bisogno l'uomo, che conseguentemente ‘mormora’ come la generazione del deserto, presa dalla fame e dalla sete (Es 16,2-3; 17,2-3; Nm 11,4-5; 20,2-3), dalla paura davanti al nemico (Nm 14,3).
  • 26.
  • 27. Fede e incredulità • È dimenticanza dei prodigi operati nel passato (Dt 8,14-16; Sal 78,1), è incomprensione dei segni in ordine a una conversione (Nm 14,11; Am 4,6ss), è negazione dell'esistenza di un piano divino. «Si affretti, acceleri l'opera sua affinché la possiamo vedere, si avvicini, si realizzi il progetto del Santo d'Israele e lo riconosceremo» (Is 5,19). È dare l'ultimatum a Dio perché si decida a compiere le sue promesse, è l'infantilismo religioso di Acaz (Is 7,12).
  • 28. Fede e incredulità • L'incredulità si fa acuta davanti a Gesù, che chiede verso la propria persona (Mt 11,6) quanto il pio israelita riconosceva a Jhwh. L'obiezione della razionalità avanzata da Zaccaria, resa più evidente dalla fede di Maria (Lc 1,18.38), continua in quella dei concittadini di Gesù (Mc 6,6), dei farisei (Mt 15,7), delle città del lago e dei giudei (Mt 8,10).
  • 29. Deposito della Fede • Questa espressione introduce la considerazione dell'aspetto oggettivo della fede: anche nei rapporti con Dio, l'atteggiamento essenziale dell'affidarsi a lui porta conseguentemente all'affermazione dei contenuti, degli eventi della rivelazione. Questi sono accettati non perché l'uomo li comprenda nella loro evidenza razionale od esperienza diretta, ma per la fiducia in Chi li propone. La fede in Dio è anche fede di ciò che egli rivela: il NT parla, accanto a pistis (pistéuein) eis, di pistéuein hoti, espressioni che la riflessione teologica tradurrà in fide qua e fides quae.
  • 30. Deposito della Fede • Questo secondo aspetto, già presente nell'AT nella necessità di riconoscere gli interventi salvifici di Jhwh nella storia, riflessi nelle formule di fede, è sottolineato fino a diventare preminente nel NT. Ciò è dovuto alla novità dell'evento 'Cristo', che, dopo aver esigito di ritenere imminente la venuta del regno, domanda di accettare il valore messianico della sua persona.
  • 31. Deposito della Fede • Il contenuto della fede ha un nucleo attorno al quale ruota come esplicitazione, sviluppo, approfondimento e attualizzazione tutto quello che Dio ha rivelato. Lo si può enunciare come la volontà assoluta del Padre di salvare ogni uomo attraverso il Figlio Gesù Cristo nel dono dello Spirito. Questa volontà si rivela in una dimensione storica che ha il suo inizio nell'alleanza veterotestamentaria (Dt 26,5-9; Gs 24,2-13) e il suo compimento nell'incarnazione, morte e risurrezione di Gesù Cristo.
  • 32. Deposito della Fede • Nella sua vita di fede come dialogo personale con Cristo, in analogia al continuo dialogo di Gesù col Padre, il cristiano estende, per il nesso inscindibile, il suo atto di fede alla chiesa "corpo e pienezza" di Cristo, istituita quale «sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (LG 1).
  • 33. Atteggiamenti positivi verso il deposito della Fede • Confessione di fede • Testimonianza/martirio • Unità nella fede
  • 34. Confessione di fede • Confessare la fede, che nell'AT si restringe a riconoscere Jhwh come «Dio salvatore» (cf. Os 12,10; 13,4; Dt 32,12; Gs 24,16-18), diventa nel NT confessione (homologhía/homologhéin) di «Gesù Cristo» (Rm 10,9; 1Cor 12,3), la cui liberazione tocca tutta l'umanità, riguarda il nemico più temibile (il peccato), è definitiva: la confessione di Pietro (Mt 16,16; Gv 6,68-69), come quella del cieco nato (Gv 9,17.36-38), ritrova l'origine della fede nel contatto personale con Gesù.
  • 35. Testimonianza/martirio • Quando la confessione della fede è diretta in primo luogo agli uomini, in forma solenne, durante un processo o una contestazione, diventa testimonianza (o martirio: dal greco martyría/martyrion), creando il testimone (o martire, dal greco martys). A differenza del confessare, testimoniare è un concetto neotestamentario, essendo limitato nell'AT a Israele «testimone di Jhwh» tra le genti (Is 43, 9.10.12).
  • 36. Unità nella fede • Particolare testimonianza a Cristo è data dalla chiesa quando si trova unita nella fede. La principale unità nella fede è di tipo esperienziale vissuto: l'essere e rimanere in Cristo (Gv 15,4) - il quale vive (Gal 2,20), abita (Ef 3,17) nell'uomo che mangia e beve il suo sangue (Gv 6,54) - così da divenire una cosa sola con il Padre e i fratelli, perché «il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). L'unità di fede, conciliabile con la pluralità di indirizzi teologici, riguarda soprattutto le verità essenziali: «Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti e dimora in tutti» (Ef 4,5-6), «un solo pane» (1Cor 10,17), «un solo pastore, un solo gregge» (Gv 10,16).
  • 37. Situazioni contrarie alla Fede • Lo scisma • L’eresia • La bestemmia
  • 38. Lo scisma • Pur non compromettendo l'unità della fede, lo scisma rompe la carità, rende la chiesa meno credibile davanti al mondo (cf. Gv 17,21). Come la separazione del regno del nord per motivi religiosi (1Re 11,33) produsse confusioni idolatriche (1Re 12,28.32), impedendo la forza della testimonianza presso le nazioni, così le divisioni turbano l'armonia del corpo di Cristo, che è la chiesa (1Cor 12,25). Esse provengono dalla ‘carne’ (Gal 5,20; cf. 1Cor 3,3-4), sono segno dell'incomprensione della vera sapienza della croce (1Cor 1,10.18), stanno in stridente contrasto con il significato della cena (1Cor 11,18) e con l'unità d'origine e di finalità dei carismi (12,11).
  • 39. L’eresia • Più grave dello scisma, che si limita a una incrinatura, a un crepaccio nella comunione ecclesiale, l'eresia tocca direttamente la fede coscientemente negata in qualche verità rivelata. Sconosciuta all'AT per il suo limitato contenuto intellettuale, l'eresia, già prevista da Gesù (Mt 24,5.11), è delineata negli scritti paolini come cristallizzazione di tensioni in partiti o sètte analoghi a quelli giudei (1Cor 11,19); essa attacca la dottrina (Rm 16,17) e viene così caratterizzata negli ultimi scritti neotestamentari: «Falsi maestri introdurranno eresie (hairéseis) perniciose e, rinnegando il loro padrone che li riscattò, attireranno su se stessi una rovina veloce» (2Pt 2,1).
  • 40. La bestemmia • L'insulto alla persona di Gesù, come un tempo al nome di Jhwh (Lv 24,16) attraverso la bestemmia, si oppone direttamente alla fede. Essa infatti non accetta Gesù come «Figlio di Dio» (Mt 26,63-65; Mc 15,29; Gv 10,33). Non si tratta di semplice ignoranza, ma di volontario rifiuto della rivelazione divina, illustrata dai miracoli: attribuirli al demonio è una bestemmia contro lo Spirito Santo (Mt 12,31), irremissibile, perché all'origine di reazioni a catena che fissano situazioni di totale chiusura alla parola. Si rifiuta infatti non un Dio lontano, ma già sperimentato nella sua opera di grazia e di luce: questo stato di cose si ripeterà nel tempo della chiesa (Ap 2,9).
  • 41. Gnosi/conoscenza • La possibilità di confessare o testimoniare, come anche di limitare il contenuto della fede, deriva dal suo carattere conoscitivo o di gnosi. Questa parola evoca spontaneamente la complessa e non del tutto chiarita corrente spirituale (gnosticismo) fiorente nel II sec. d.C., che dalla «conoscenza di sé, cioè dell'uomo in quanto Dio» (H. Schlier), «reso partecipe della stessa natura divina, ossia anzitutto dell'immortalità» (R. Bultmann), pretende di raggiungere la salvezza nel ritorno alle sue origini. Espressione di un'autosufficienza umana, la gnosi è negazione della fede e va quindi combattuta in tutte le iniziali manifestazioni (1Cor 1,17-21; 1Tm 6,20).
  • 42. Fede e visione • A differenza del conoscere, usato in parallelo con credere (Gv 6,69), il vedere ha una vasta gamma di significati, indicando ora un di meno ora un di più della fede. C'è infatti un vedere che non conduce alla fede e aumenta la responsabilità. Avvicinarsi a Gesù solo esteriormente (6,2) senza un impegno morale, costituisce un vedere che non è un credere (6,36). I segni sono un mezzo per la fede, ma l'uomo che si limita al loro carattere prodigioso e spettacolare non merita la fiducia di Gesù che, conoscendo l'intimo dell'uomo (2,25), avverte la superficialità del rapporto con lui.
  • 43. Duccio di Boninsegna Gesù guarisce il cieco nato National Gallery - Londra
  • 44. Fede e opere • L'analisi delle varie dimensioni della fede pone l'interrogativo sui rapporti con le capacità umane, con l'agire dell'uomo. Tra i vari aspetti di questa problematica, ci limitiamo a chiederci se Dio è raggiunto dalla sola fede o se sono necessarie le opere dell'uomo. Se questi cioè è autosufficiente nei riguardi della salvezza o si trova in una radicale incapacità a raggiungerla. Procediamo in due momenti. Innanzitutto vediamo come la Bibbia colleghi alla fede la conoscenza e l'acquisizione della salvezza totale quale autorealizzazione terrena dell'uomo e unione piena con Dio; poi vedremo come il momento salvifico iniziale o giustificazione sia impossibile senza la fiducia e l'obbedienza al Signore: da ciò scaturirà il senso delle opere dell'uomo.
  • 45. Fede e salvezza • Il primo gesto salvifico è colto dalla fede nella creazione, «formata per una parola di Dio, di modo che da cose non visibili è derivato ciò che si vede» (Eb 11,3). Questa prima architettura (Gb 38,4-7) di Dio, «dal quale tutto proviene» (1Cor 8,6), svela la tenerezza divina e diventa il primo segno dell'opera redentrice di Cristo, «primogenito di tutta la creazione» (Col 1,15), compimento quale nuovo Adamo (1Cor 15,45) di quel tutto che è stato fatto attraverso lui (cf. Gv 1,3).
  • 46.
  • 47. Fede e salvezza • La salvezza dell'ottavo giorno è vista nella scoperta di un Dio che provoca e accompagna il peregrinare di Abramo, vede la miseria del suo popolo in Egitto, lo trae fuori con mano forte e braccio disteso e lo conduce in un paese dove scorre latte e miele: la fede fa emergere cioè la fedeltà divina nell'eleggere, liberare e stabilire nella terra il suo popolo, nel conservare la dinastia, il tempio e i profeti. Permette poi ai poveri di Jhwh, dalle confessioni di Geremia alla contestazione di Giobbe ai salmi degli ‘anawim’, di scoprire nel fallimento un doloroso mezzo di salvezza, attraverso il grido d'invocazione a Dio che riempie il vuoto più assoluto. «Buona cosa è attendere, e in silenzio, la salvezza del Signore... Forse vi è ancora speranza» (Lam 3,26.29).
  • 48. Bronzino Passaggio del Mar Rosso National Gallery - Londra
  • 49. Fede e salvezza • Solo in presenza della fede Gesù opera miracoli: «Non poté compiere molti prodigi a causa della loro incredulità» (Mt 13,58); «"Credete che possa fare ciò?". Gli risposero: "Sì, Signore". Allora toccò loro gli occhi e disse: "Avvenga a voi secondo la vostra fede"» (Mt 9,28- 29). La fede ottiene anche quella guarigione spirituale che è la remissione dei peccati: «Vedendo la loro fede, Gesù disse al paralitico: "Coraggio, figliolo, sono rimessi i tuoi peccati"» (Mt 9,2); ne beneficiano i samaritani (Lc 17,16), i cananei (Mc 7,26), i pagani. La potenza che esce da Gesù ha una sola causa: «La tua fede ti ha salvata» (Mc 5,34; 10,52). Credere infatti alla parola di Gesù è partecipare alla potenza che proviene dal Padre e quindi ricevere una salvezza totale che raggiunge il corpo, l'anima, la natura.
  • 50. Guarigione del paralitico di Cafarnao Ravenna – Sant’Apollinare Nuovo
  • 51. Fede e salvezza • È Paolo che presenta dalla prima all'ultima lettera la fede quale condizione indispensabile per la salvezza: «Dio vi ha scelti fin da principio per la salvezza nella santificazione dello Spirito e nella fede della verità» (2Ts 2,13). Fin da ora la salvezza comporta la graduale liberazione dei nostri corpi dalla schiavitù della corruzione (cf. Rm 8,20) mediante la fede nella risurrezione di Cristo. «Se crederai nel tuo cuore che Dio ha risuscitato Gesù da morte sarai salvato. Col cuore infatti si crede per ottenere la giustificazione, con la bocca si fa la professione per ottenere la salvezza» (Rm 10,9-10). «Siete stati anche risuscitati in virtù della fede nella potenza di Dio» (Col 2,12). E una potenza che la fede attinge dalla 'parola', realtà inseparabile dallo Spirito (Rm 1,16; 8,11).
  • 52. La giustificazione e le opere • È particolarmente nel momento iniziale che l'uomo è salvato dalla fede. «Pensiamo che l'uomo viene giustificato per mezzo della fede senza le opere della legge» (Rm 3,28). L'esclusione non riguarda soltanto l'operare in conformità alla legge mosaica intesa come insieme di norme giuridiche, rituali, etiche, ma qualsiasi azione o desiderio dell'uomo. Pur mancando materialmente l'aggettivo, il pensiero di Paolo si può tradurre come giustificazione per la sola fede, come più chiaramente si trova in Galati: «Sapendo che non è giustificato alcun uomo per le opere della legge, ma solo in forza della fede in Gesù Cristo, credemmo anche noi in Gesù Cristo, appunto per essere giustificati per la fede di Cristo e non per le opere della legge, poiché per le opere della legge non sarà giustificato nessun mortale» (Gal 2,16).
  • 53. La giustificazione e le opere • La giustificazione causata dalla fede consiste in una vera trasformazione interiore dell'uomo, che crea un dinamismo nuovo, una spinta a «camminare in maniera degna di Dio» (1Ts 2,12), ad esercitare l'amore fraterno, a conservare la santità del corpo (1Ts 2,14; 4,1-12; cf. 5,23). Accanto alla fede Paolo nomina spesso la carità e la speranza (1Ts 1,3; 5,8) e usa formule che uniscono fede e azione, come quando parla di «opera della vostra fede» (1Ts 1,3) o di «fede che opera mediante la carità» (Gal 5,6). La `sola fede’, non certo contraria alle opere, le esige per essere ritrovati irreprensibili al giorno del giudizio (1Ts 5,23; cf. Mt 25,34ss). La costante sottolineatura del valore e dell'esigenza della prassi avvicina Paolo a Giacomo (cf. Gc 1,22 e Rm 2,13).
  • 54. La giustificazione e le opere • L'accordo sostanziale va ricercato nella diversa prospettiva dei due scrittori. Se Paolo, trattando sistematicamente della giustificazione, ha ragione di attribuirla alla fede, Giacomo, partendo da una tradizione sapienziale sensibile all'esaltazione dell'azione dell'uomo, da una cristologia al servizio dell'etica, in presenza forse di certe deviazioni già rigettate da Paolo (Rm 3,8), si preoccupa giustamente di evitare l'immobilismo e l'inattività. Anche se persiste una qualche difficoltà, il fatto che Giacomo per 'giustificazione' intenda non il primo momento della salvezza, ma il secondo, quello della testimonianza vissuta, l'accordo sul valore della parola e il vasto campo della `diversità’ espressiva della fede permettono di concludere che non siamo nella `contrarietà’, anche se in `contrapposizione’, in `lotta’.
  • 55. Dono e ricerca • Da tutto ciò risulta che la fede è puro dono di Dio, è grazia. Se Dio non si apre all'uomo attirandolo a sé, credere rimane impossibile. Solo se Dio «apre il cuore» (At 16,14) l'uomo diventa capace di «vincere il mondo» (1 Gv 5,4): la fede è infatti opera di Dio (Gv 6,29), non proviene da «carne e sangue» (Mt 16,17). «Siete salvi per grazia... ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio» (Ef 2,8). Se riducessimo la fede a un'opera umana, introdurremmo di nuovo quel `gloriarsi’ che pone un diaframma tra Dio e l'uomo: solo il riconoscimento della fede quale dono di Dio permette all'uomo di affermare la propria radicale incapacità alla salvezza.
  • 56. Dono e ricerca • È necessario però che l’uomo si ponga in atteggiamento di ricerca. Anche se nell'AT soggetto del ricercare è Dio e nel NT non si parla di una ricerca della fede (cf. At 13,8), Gesù assicura l'uomo che troverà quanto desidera (Mt 7,7-8), come Zaccheo che riuscì a vederlo (Lc 19,3), essendo stabilito che gli uomini «cerchino Dio e come a tastoni si sforzino di trovarlo» (At 17,27), per cercare la giustificazione in Cristo (Gal 2,17). La ricerca umana veramente è già una risposta a una precedente azione di Dio che la purifica, la indirizza verso l'ascolto della parola, la conversione, l'accoglienza della fede. La ricerca dell'uomo allora si concretizza nel lasciarsi ricercare da Dio.