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Una nuova assistenza
a domicilio
in Lombardia
10 proposte
proposte promosse dalle sezioni lombarde di:
FORUM DEL TERZO SETTORE - SPI CGIL - FNP CISL – ACLI APS
Legacoop - Confcooperative – Federsolidarietà - AUSER - ANTEAS
Ordine degli assistenti sociali - CISL Medici - UNEBA - Centri di servizio per il volontariato (CSV)
2
Una nuova assistenza a domicilio in Lombardia:
10 proposte1
Una rete di cure territoriali robusta, diffusa, competente: i mesi dell’emergenza
sanitaria, che ora si rinnova con la seconda ondata epidemica, ne dimostrano
l’importanza, ma siamo ancora lontani dal raggiungerla.
Oggi si è aperta la strada per costruirla. La revisione della legge regionale 23/2015,
in scadenza, offre la possibilità di un ripensamento e una riorganizzazione delle cure
domiciliari, tassello fondamentale dell’assistenza territoriale. La legge 77/2020 (ex
dl Rilancio) aumenta le risorse previste per i servizi di Assistenza domiciliare
integrata (ADI), stanziando 734 milioni per le cure domiciliari. Si tratta di occasioni
importanti per superare i limiti attuali.
L’attuale finestra di opportunità e il principale progetto
Questo documento si colloca dunque nel quadro della revisione della legge
regionale 23/2015 e di nuove risorse, più sopra richiamate, nonché nella direzione
di una nuova legge quadro nazionale sulla non autosufficienza, a lungo auspicata.
Cogliendo queste opportunità, siamo convinti sia questo il momento per avviare
un percorso di adeguamento dell’attuale rete di interventi domiciliari, più capace di
affrontare le sfide, sociali e demografiche, che ci attendono domani. Se le nuove
risorse si limitassero ad aggiungersi all’esistente, lasciando le cose come stanno,
verrebbe sprecata un’occasione unica.
L’ADI offre prestazioni di natura prevalentemente medico-infermieristiche e di
durata limitata: si conta una media di 25 ore all’anno per utente. I bisogni delle
persone fragili (persone con disabilità, persone non autosufficienti) sono invece
continuativi nel tempo e riguardano, sempre più, sostegni e tutele anche “sociali”.
Crediamo allora urgente un ripensamento complessivo, sul lato sanitario e su
quello sociale seguendo le direzioni che indichiamo in queste pagine. Esse
riguardano l’intero Paese: qui iniziamo a declinarle sulla Lombardia, la regione più
popolosa e, com’è noto, più colpita dalla pandemia.
➢ La nostra proposta principale è quella di avviare una ridefinizione delle cure
domiciliari che superi la separazione tra ASST e Comuni ed estenda il campo
degli aiuti possibili attraverso una sperimentazione regionale, che ponga le
basi per un modello integrato di cure sociosanitarie e tutelari.
1
Nato nell’ambito del progetto “Time to Care”, questo documento è stato coordinato da Sergio Pasquinelli,
presidente dell’ Associazione per la Ricerca Sociale di Milano.
3
1. Livelli essenziali di assistenza
Anzitutto, ci preme sottolineare l’importanza di rendere diritto esigibile l’assistenza
domiciliare. Questo oggi non accade: essa è fruibile nei limiti delle risorse
disponibili, in particolare sul lato “sociale”, e questo genera iniquità. I livelli
essenziali di assistenza (LEA) relativi alle cure domiciliari devono essere definiti a
livello nazionale, così come accade per altre prestazioni pubbliche universalmente
garantite. Per esempio, il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) già copre, come previsto
dai LEA, parte dei costi della residenzialità (RSA) per i non autosufficienti. Perché
tale copertura non è assicurata anche per l’assistenza a domicilio?
➢ Le cure domiciliari devono rientrare nel quadro dei LEA - livelli essenziali di
assistenza garantiti nei confronti della popolazione fragile: persone con
disabilità e anziani non autosufficienti.
➢ Questo significa che i binari, oggi paralleli, di ADI e servizi domiciliari dei
comuni (SAD), dovranno trovare punti di convergenza, superando la dicotomia
tra la gratuità dell’ADI e la compartecipazione ai costi dei SAD.
2. Accesso
Le cure domiciliari delle ASST e dei Comuni oggi raggiungono una quota largamente
minoritaria del bisogno potenziale. In Lombardia si contano 2,2 milioni di anziani,
un numero che cresce al ritmo di 40-50.000 unità all’anno: solo meno del 5% di
questa popolazione usufruisce di servizi domiciliari pubblici.
Dobbiamo ridurre la distanza tra bisogni e servizi. E’ impressionante la quota di
famiglie che non conoscono i servizi pubblici o che addirittura non sono interessate
a usarli. Per ridurre questa distanza occorre lavorare su luoghi fisici concreti,
capaci di attivare una presa in carico vera da parte delle istituzioni.
➢ Vanno coinvolti e sensibilizzati i Medici di medicina generale e più
complessivamente l’insieme delle Cure primarie nei confronti di cure
domiciliari da considerarsi come opportunità di sostegno non episodico.
➢ Vanno realizzati i Presst (Presidi Socio Sanitari Territoriali). Previsti dalla
legge regionale 23/2015, questi servizi non sono mai decollati. I distretti
sociosanitari negli anni non hanno avuto in questa regione i sostegni che
necessitavano. Serve una messa a terra di questi Presidi in una logica di
prossimità fisica con il bisogno e di dialogo tra ASST e Comuni.
➢ La logica dev’essere quella del “One stop shop”, del luogo fisico che ricompone
tutte le risorse di aiuto di un territorio, che semplifica i percorsi di accesso e
assicura una informazione aggiornata. In questa logica andranno utilizzati
anche i finanziamenti previsti dalla legge 77/2020 per la prevista
sperimentazione biennale di “Strutture di Prossimità”.
4
3. Una nuova missione dei servizi
Come uscire dalla nicchia? Come estendere la platea di famiglie aiutate dai servizi?
Possiamo farlo se concepiamo servizi che facilitano, valorizzano le risorse di cura
dei territori e delle famiglie (enable) e non semplicemente che erogano (provide)
prestazioni. Aiutare e facilitare richiede una forte personalizzazione degli
interventi, da ritagliare e finalizzare caso per caso, e una reale presa in carico. Se
oggi la domanda si adatta all’offerta disponibile, la logica deve ribaltarsi. E questo
richiede un lavoro diverso dei servizi: di connessione, alleanza, promozione del
territorio e delle risorse familiari.
➢ L’organizzazione e lo sviluppo di comunità offrono possibili strumenti per
indirizzare l’assistenza a domicilio verso modalità di intervento non più e non
solo “prestazionali”. Si tratta infatti di interventi di rete volti a connettere,
facilitare relazioni, valorizzare, organizzare e integrare le risorse esistenti,
formali e informali.
➢ Serve investire sulla formazione di figure professionali capaci di gestire e
muoversi nella rete: dai network manager agli assistenti sociali e infermieri di
comunità. Vanno sviluppate capacità nuove, volte alla capacitazione e non solo
alla gestione di prestazioni.
➢ Serve co-progettazione tra Enti pubblici e Terzo settore. Il Covid-19 ha
mostrato come là dove questa co-progettazione è avvenuta, le risposte
all’emergenza sono state migliori. Il ruolo strategico del Terzo settore nel
rispondere ai bisogni delle categorie più fragili deve essere valorizzato
attraverso una regia pubblica forte.
4. Un diverso perimetro dell’aiuto a domicilio
È (solo) di più ADI ciò di cui abbiamo veramente bisogno?
A fronte di un ADI che offre prestazioni molto standardizzate, poco personalizzate e
di durata limitata, i bisogni delle persone fragili non sono solo sanitari,
infermieristici, riabilitativi, ma riguardano sostegni e tutele sociali, legate agli atti
della vita quotidiana, sia all’interno che al di là delle mura domestiche. Ciò di cui c’è
bisogno è allora un ventaglio più ampio di supporti che guardino a soggetti
diversi (non solo la persona fragile, “utente”, ma anche il suo contesto), e a diversi
gradi di fragilità, anche moderata, mentre i servizi attuali intervengono solo nelle
fasi più acute (ADI) o nelle fragilità conclamate ed economicamente più deboli
(SAD).
➢ Serve riprogettare i servizi di assistenza domiciliare: interventi quali visite
mediche, prestazioni infermieristiche, somministrazione di medicine
dovrebbero essere accompagnati da aiuti orientati a supportare la
domiciliarità nelle sue diverse sfaccettature: dalla mobilità (domestica e extra
domestica) ai bisogni personali (es: igiene, vestizione, alimentazione) agli
accompagnamenti sul territorio (es: piccole commissioni, accompagnamento a
centri e luoghi di aggregazione).
➢ Non solo. L’aiuto dovrebbe estendersi anche al nucleo familiare: non solo
la persona fragile ma i familiari, i caregiver tante volte fragili a loro volta,
5
attraverso informazioni, formazione, aiuti di vario genere. Ed eventualmente
anche all’assistente familiare: la sua scelta, il suo percorso lavorativo.
➢ La riprogettazione dei servizi di assistenza domiciliare dovrà poi tenere conto
delle diverse linee (misure B1 e B2, ProVI, legge 112/2016 sul Dopo di Noi,
voucher anziani e disabili), in una logica ricompositiva. Il progetto di legge
regionale per il diritto alla vita indipendente delle persone con disabilità va
in questa direzione e offre strumenti di intervento che possono essere applicati
nell’ambito delle cure domiciliari.
➢ Elemento fondamentale affinché un nuovo perimetro dell’aiuto a domicilio
possa concretizzarsi è infine il tema dell’abitare. Vivere a domicilio dev’essere
un diritto e la realizzazione di tale diritto passa per alloggi adeguati e politiche
capaci di saper leggere i diversi contesti territoriali, agendo sia a livello di
barriere architettoniche sia di organizzazione attenta dei luoghi.
➢ I dispositivi digitali e le nuove tecnologie, anche quelle che prevedono
diagnosi e assistenza da remoto come la telemedicina, configurano dispositivi
complementari all’aiuto in presenza, per una domiciliarità più agile e in grado
di raggiungere più persone.
5. Caregiver
L’auto-risposta poggia sulle fragili gambe dei caregiver familiari, in Italia se ne
contano più di cinque milioni. In Lombardia sono più di mezzo milione. Un numero
destinato, per ragioni demografiche e per i processi di trasformazione dei nuclei
familiari, a diminuire negli anni, così come sono destinati ad aumentare gli anziani
fragili e isolati.
Una realtà silente, poco considerata, intergenerazionale, lontana dai servizi pubblici.
E tuttavia, questi mesi hanno rivelato un fatto nuovo. La ricerca che abbiamo
realizzato ad aprile su un campione nazionale non probabilistico di mille caregiver
l’abbiamo intitolata “L’Italia che aiuta chiede servizi” perché solitamente, al primo
posto tra ciò che si desidera, le famiglie chiedono aiuti economici. E invece qui è
emersa per prima la richiesta di informazioni, aiuti diretti, insomma servizi che le
sostengano nei compiti di cura.
➢ Serve sviluppare una serie di interventi a sostegno dei caregiver:
dall’istituzione di luoghi di supporto e incontro (es: punti di incontro) ad azioni
di sensibilizzazione sul ruolo dei caregiver rivolte al sistema dei servizi, alla
formazione degli operatori che si occupano di accompagnare e assistere le
persone fragili e le loro famiglie.
➢ In questa direzione va la proposta di legge regionale di iniziativa popolare
#iosonocaregiver che auspichiamo possa presto intraprendere il suo iter
istituzionale.
6
6. Assistenti familiari
Secondo nostre stime le badanti in Lombardia sono circa 160.000, di cui meno della
metà (62.000) regolarmente assunte. Persone che vengono impiegate dalle famiglie,
direttamente e privatamente, secondo una logica di “welfare fai-da-te”. Nei mesi di
lockdown è avvenuta un’ondata di chiusure dei rapporti di lavoro, per paura di un
contagio: complessivamente il settore ne sta uscendo più fragile e impoverito. Di
badanti, però, avremo sempre più bisogno e il nuovo contratto colf, appena siglato
tra le parti sociali, aiuterà ad un uso più appropriato di questa risorsa. Ma non basta:
➢ Serve dare piena attuazione alla legge regionale 15/2015 sugli assistenti
familiari, superando i limiti finora riscontrati riguardo all’implementazione
degli Sportelli informativi per l’assistenza familiare – che ancora non sono
presenti omogeneamente sui territori - e dei relativi Registri.
➢ Immaginiamo un nuovo sistema di cure domiciliari territoriali che si
interfaccino con la realtà delle badanti, e che aiutino a superare la doppia
solitudine, quella delle famiglie e quella delle badanti stesse, supportandone
rispettive esigenze e percorsi di cura.
7. Una nuova governance delle cure domiciliari
Di integrazione sociosanitaria si parla da tanti anni.
Si raggiunge integrazione nella misura in cui si riesce a creare una nuova
governance che faccia sintesi tra i due soggetti istituzionali coinvolti: Comuni
e ASST. Occorre unificare gli accessi, i percorsi di valutazione del bisogno, i piani di
assistenza e, punto cruciale, le risorse investite. Una vera integrazione si realizza con
un impianto condiviso di governo e gestione anche delle risorse e degli investimenti.
Un disegno delle cure domiciliari che deve poi coinvolgere il Terzo settore su un
piano paritetico e non come semplice subfornitore di servizi.
Iniziare questo tipo di cambiamento in Lombardia richiede una governance
condivisa già a livello regionale. La presenza di tre assessorati di riferimento (al
Welfare, al Sociale e alla Famiglia) non aiuta l’integrazione, vanno potenziati i
meccanismi di coordinamento già prefigurati dalle bozze del nuovo Piano
sociosanitario. Va inoltre individuata una responsabilità per la long term care che
sfrutti tale integrazione, nelle specificità che caratterizzano quest’area di assistenza.
Nelle cure domiciliari il Terzo settore deve trovare uno spazio nuovo, non
compresso sulla mera erogazione di servizi, ma che valorizzi in una logica di
coprogettazione tutta la sua esperienza per la costruzione di un nuovo modello di
servizio e di rete territoriale.
➢ Va avviato un Tavolo di lavoro regionale che convochi Regione, Anci, Parti
sociali e Terzo settore, per sviluppare contenuti e procedure per un nuovo
sistema di cure domiciliari come qui prefigurato: più integrato, più versatile in
termini di azioni svolte, più esteso in termini di domanda coperta.
7
8. Servizi domiciliari nelle Cure primarie
Sul territorio serve investire nelle cure primarie, negli anni depotenziate in questa
regione. La sofferenza nella quale si trovano molti lombardi non autosufficienti,
disabili o con disturbi mentali e le loro famiglie, da anni non trova adeguate risposte
ed è aggravata dall’isolamento sociale. Servono risorse dedicate ai singoli ambiti
distrettuali e serve dialogo, collaborazione, lavoro di equipe nell’identificazione dei
bisogni prioritari e nella progettazione delle cure tra servizi sociali, sociosanitari e
sanitari.
➢ Servono strutture territoriali stabili di raccordo tra Comuni, Distretti,
Dipartimenti delle cure primarie delle ATS, che sovraintendano gli
investimenti nella medicina preventiva e l’attuazione delle aggregazioni
funzionali e delle Unità complesse dei medici delle cure primarie.
➢ Nel sistema delle cure domiciliari che immaginiamo, non più separato tra
Comuni e ATS e ASST, i medici di medicina generale devono assumere una
funzione cruciale di prevenzione, diagnosi e presa in carico, anche in regime di
telemedicina quando possibile, in collaborazione con gli infermieri di
famiglia, figura introdotta dalla legge 77/2020 e che anche la Lombardia
dovrà introdurre, secondo le linee guida recentemente approvate nella
Conferenza delle Regioni.
➢ Le risorse messe in campo dal Terzo settore e dai Comuni sono indispensabili
per programmare insieme ad ATS e ad ASST interventi che possano
raggiungere capillarmente a domicilio anche i soggetti più fragili.
9. Il finanziamento delle cure
Gli investimenti sulla domiciliarità in Lombardia, rispetto alla risposta residenziale,
continuano a rimanere limitati. Il potenziamento della spesa riservata alla
domiciliarità dovrà quindi essere mantenuto, anche in periodi non emergenziali.
Affrontare il tema delle risorse non è però una questione solo quantitativa. Al
contrario, centrale è proprio il tema della frammentazione delle risorse: le misure
sono troppe e troppo complesse da gestire. Rimane poi il fatto che, anche
aumentando la spesa pubblica, non avremo mai tutte le risorse necessarie per
rispondere a tutti i bisogni, soprattutto se di tipo “sociale”, e la domiciliarità di
domani dovrà considerare di far leva anche su una diversa gestione delle risorse,
facendo pooling tra quelle pubbliche e quelle familiari.
➢ L’utilizzo dei Budget di Salute rappresenta uno sviluppo molto interessante in
questa direzione. La logica è quella della ricomposizione delle risorse - pubbliche e
private, umane, professionali ed economiche - in un unico budget personalizzato,
base per lo sviluppo di progetti individuali, o progetti di vita, a loro volta
personalizzati.
➢ L’andamento demografico e l’inevitabile aumento della domanda di assistenza
necessita di un’approfondita riflessione sull’istituzione di Fondi di scopo
finalizzati ad una vera presa in carico “multidimensionale” delle fragilità sia sul
piano dell’equità sociale, sia su quello della sostenibilità nel medio e lungo periodo.
8
10. Una “messa a terra” consapevole
Il ridisegno di una nuova rete di aiuti dovrà essere attentamente accompagnato,
monitorato e valutato. Nessuno di noi ha la ricetta pronta e sappiamo che
apprendere dall’esperienza è una virtù che ha bisogno di informazioni di ritorno
sugli interventi posti in essere. Produrre uno sforzo anche in questa direzione
permetterebbe di investire senza disperdere le energie. Una valutazione
continuativa dei servizi domiciliari, centrata sul loro impatto sociale, aiuterà
la “messa a terra” delle proposte qui presentate. Molti dati già raccolti e prodotti da
diversi soggetti dovrebbero essere più accessibili, leggibili, condivisi in modo da
consentire lo sviluppo di un know-how e una complessiva crescita di competenze
delle comunità di cura.
Anci Lombardia ha espresso un sostegno “convinto e determinato”
nei confronti dei contenuti qui espressi.
Milano, novembre 2020

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Assistenza domiciliare in Lombardia

  • 1. 1 Una nuova assistenza a domicilio in Lombardia 10 proposte proposte promosse dalle sezioni lombarde di: FORUM DEL TERZO SETTORE - SPI CGIL - FNP CISL – ACLI APS Legacoop - Confcooperative – Federsolidarietà - AUSER - ANTEAS Ordine degli assistenti sociali - CISL Medici - UNEBA - Centri di servizio per il volontariato (CSV)
  • 2. 2 Una nuova assistenza a domicilio in Lombardia: 10 proposte1 Una rete di cure territoriali robusta, diffusa, competente: i mesi dell’emergenza sanitaria, che ora si rinnova con la seconda ondata epidemica, ne dimostrano l’importanza, ma siamo ancora lontani dal raggiungerla. Oggi si è aperta la strada per costruirla. La revisione della legge regionale 23/2015, in scadenza, offre la possibilità di un ripensamento e una riorganizzazione delle cure domiciliari, tassello fondamentale dell’assistenza territoriale. La legge 77/2020 (ex dl Rilancio) aumenta le risorse previste per i servizi di Assistenza domiciliare integrata (ADI), stanziando 734 milioni per le cure domiciliari. Si tratta di occasioni importanti per superare i limiti attuali. L’attuale finestra di opportunità e il principale progetto Questo documento si colloca dunque nel quadro della revisione della legge regionale 23/2015 e di nuove risorse, più sopra richiamate, nonché nella direzione di una nuova legge quadro nazionale sulla non autosufficienza, a lungo auspicata. Cogliendo queste opportunità, siamo convinti sia questo il momento per avviare un percorso di adeguamento dell’attuale rete di interventi domiciliari, più capace di affrontare le sfide, sociali e demografiche, che ci attendono domani. Se le nuove risorse si limitassero ad aggiungersi all’esistente, lasciando le cose come stanno, verrebbe sprecata un’occasione unica. L’ADI offre prestazioni di natura prevalentemente medico-infermieristiche e di durata limitata: si conta una media di 25 ore all’anno per utente. I bisogni delle persone fragili (persone con disabilità, persone non autosufficienti) sono invece continuativi nel tempo e riguardano, sempre più, sostegni e tutele anche “sociali”. Crediamo allora urgente un ripensamento complessivo, sul lato sanitario e su quello sociale seguendo le direzioni che indichiamo in queste pagine. Esse riguardano l’intero Paese: qui iniziamo a declinarle sulla Lombardia, la regione più popolosa e, com’è noto, più colpita dalla pandemia. ➢ La nostra proposta principale è quella di avviare una ridefinizione delle cure domiciliari che superi la separazione tra ASST e Comuni ed estenda il campo degli aiuti possibili attraverso una sperimentazione regionale, che ponga le basi per un modello integrato di cure sociosanitarie e tutelari. 1 Nato nell’ambito del progetto “Time to Care”, questo documento è stato coordinato da Sergio Pasquinelli, presidente dell’ Associazione per la Ricerca Sociale di Milano.
  • 3. 3 1. Livelli essenziali di assistenza Anzitutto, ci preme sottolineare l’importanza di rendere diritto esigibile l’assistenza domiciliare. Questo oggi non accade: essa è fruibile nei limiti delle risorse disponibili, in particolare sul lato “sociale”, e questo genera iniquità. I livelli essenziali di assistenza (LEA) relativi alle cure domiciliari devono essere definiti a livello nazionale, così come accade per altre prestazioni pubbliche universalmente garantite. Per esempio, il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) già copre, come previsto dai LEA, parte dei costi della residenzialità (RSA) per i non autosufficienti. Perché tale copertura non è assicurata anche per l’assistenza a domicilio? ➢ Le cure domiciliari devono rientrare nel quadro dei LEA - livelli essenziali di assistenza garantiti nei confronti della popolazione fragile: persone con disabilità e anziani non autosufficienti. ➢ Questo significa che i binari, oggi paralleli, di ADI e servizi domiciliari dei comuni (SAD), dovranno trovare punti di convergenza, superando la dicotomia tra la gratuità dell’ADI e la compartecipazione ai costi dei SAD. 2. Accesso Le cure domiciliari delle ASST e dei Comuni oggi raggiungono una quota largamente minoritaria del bisogno potenziale. In Lombardia si contano 2,2 milioni di anziani, un numero che cresce al ritmo di 40-50.000 unità all’anno: solo meno del 5% di questa popolazione usufruisce di servizi domiciliari pubblici. Dobbiamo ridurre la distanza tra bisogni e servizi. E’ impressionante la quota di famiglie che non conoscono i servizi pubblici o che addirittura non sono interessate a usarli. Per ridurre questa distanza occorre lavorare su luoghi fisici concreti, capaci di attivare una presa in carico vera da parte delle istituzioni. ➢ Vanno coinvolti e sensibilizzati i Medici di medicina generale e più complessivamente l’insieme delle Cure primarie nei confronti di cure domiciliari da considerarsi come opportunità di sostegno non episodico. ➢ Vanno realizzati i Presst (Presidi Socio Sanitari Territoriali). Previsti dalla legge regionale 23/2015, questi servizi non sono mai decollati. I distretti sociosanitari negli anni non hanno avuto in questa regione i sostegni che necessitavano. Serve una messa a terra di questi Presidi in una logica di prossimità fisica con il bisogno e di dialogo tra ASST e Comuni. ➢ La logica dev’essere quella del “One stop shop”, del luogo fisico che ricompone tutte le risorse di aiuto di un territorio, che semplifica i percorsi di accesso e assicura una informazione aggiornata. In questa logica andranno utilizzati anche i finanziamenti previsti dalla legge 77/2020 per la prevista sperimentazione biennale di “Strutture di Prossimità”.
  • 4. 4 3. Una nuova missione dei servizi Come uscire dalla nicchia? Come estendere la platea di famiglie aiutate dai servizi? Possiamo farlo se concepiamo servizi che facilitano, valorizzano le risorse di cura dei territori e delle famiglie (enable) e non semplicemente che erogano (provide) prestazioni. Aiutare e facilitare richiede una forte personalizzazione degli interventi, da ritagliare e finalizzare caso per caso, e una reale presa in carico. Se oggi la domanda si adatta all’offerta disponibile, la logica deve ribaltarsi. E questo richiede un lavoro diverso dei servizi: di connessione, alleanza, promozione del territorio e delle risorse familiari. ➢ L’organizzazione e lo sviluppo di comunità offrono possibili strumenti per indirizzare l’assistenza a domicilio verso modalità di intervento non più e non solo “prestazionali”. Si tratta infatti di interventi di rete volti a connettere, facilitare relazioni, valorizzare, organizzare e integrare le risorse esistenti, formali e informali. ➢ Serve investire sulla formazione di figure professionali capaci di gestire e muoversi nella rete: dai network manager agli assistenti sociali e infermieri di comunità. Vanno sviluppate capacità nuove, volte alla capacitazione e non solo alla gestione di prestazioni. ➢ Serve co-progettazione tra Enti pubblici e Terzo settore. Il Covid-19 ha mostrato come là dove questa co-progettazione è avvenuta, le risposte all’emergenza sono state migliori. Il ruolo strategico del Terzo settore nel rispondere ai bisogni delle categorie più fragili deve essere valorizzato attraverso una regia pubblica forte. 4. Un diverso perimetro dell’aiuto a domicilio È (solo) di più ADI ciò di cui abbiamo veramente bisogno? A fronte di un ADI che offre prestazioni molto standardizzate, poco personalizzate e di durata limitata, i bisogni delle persone fragili non sono solo sanitari, infermieristici, riabilitativi, ma riguardano sostegni e tutele sociali, legate agli atti della vita quotidiana, sia all’interno che al di là delle mura domestiche. Ciò di cui c’è bisogno è allora un ventaglio più ampio di supporti che guardino a soggetti diversi (non solo la persona fragile, “utente”, ma anche il suo contesto), e a diversi gradi di fragilità, anche moderata, mentre i servizi attuali intervengono solo nelle fasi più acute (ADI) o nelle fragilità conclamate ed economicamente più deboli (SAD). ➢ Serve riprogettare i servizi di assistenza domiciliare: interventi quali visite mediche, prestazioni infermieristiche, somministrazione di medicine dovrebbero essere accompagnati da aiuti orientati a supportare la domiciliarità nelle sue diverse sfaccettature: dalla mobilità (domestica e extra domestica) ai bisogni personali (es: igiene, vestizione, alimentazione) agli accompagnamenti sul territorio (es: piccole commissioni, accompagnamento a centri e luoghi di aggregazione). ➢ Non solo. L’aiuto dovrebbe estendersi anche al nucleo familiare: non solo la persona fragile ma i familiari, i caregiver tante volte fragili a loro volta,
  • 5. 5 attraverso informazioni, formazione, aiuti di vario genere. Ed eventualmente anche all’assistente familiare: la sua scelta, il suo percorso lavorativo. ➢ La riprogettazione dei servizi di assistenza domiciliare dovrà poi tenere conto delle diverse linee (misure B1 e B2, ProVI, legge 112/2016 sul Dopo di Noi, voucher anziani e disabili), in una logica ricompositiva. Il progetto di legge regionale per il diritto alla vita indipendente delle persone con disabilità va in questa direzione e offre strumenti di intervento che possono essere applicati nell’ambito delle cure domiciliari. ➢ Elemento fondamentale affinché un nuovo perimetro dell’aiuto a domicilio possa concretizzarsi è infine il tema dell’abitare. Vivere a domicilio dev’essere un diritto e la realizzazione di tale diritto passa per alloggi adeguati e politiche capaci di saper leggere i diversi contesti territoriali, agendo sia a livello di barriere architettoniche sia di organizzazione attenta dei luoghi. ➢ I dispositivi digitali e le nuove tecnologie, anche quelle che prevedono diagnosi e assistenza da remoto come la telemedicina, configurano dispositivi complementari all’aiuto in presenza, per una domiciliarità più agile e in grado di raggiungere più persone. 5. Caregiver L’auto-risposta poggia sulle fragili gambe dei caregiver familiari, in Italia se ne contano più di cinque milioni. In Lombardia sono più di mezzo milione. Un numero destinato, per ragioni demografiche e per i processi di trasformazione dei nuclei familiari, a diminuire negli anni, così come sono destinati ad aumentare gli anziani fragili e isolati. Una realtà silente, poco considerata, intergenerazionale, lontana dai servizi pubblici. E tuttavia, questi mesi hanno rivelato un fatto nuovo. La ricerca che abbiamo realizzato ad aprile su un campione nazionale non probabilistico di mille caregiver l’abbiamo intitolata “L’Italia che aiuta chiede servizi” perché solitamente, al primo posto tra ciò che si desidera, le famiglie chiedono aiuti economici. E invece qui è emersa per prima la richiesta di informazioni, aiuti diretti, insomma servizi che le sostengano nei compiti di cura. ➢ Serve sviluppare una serie di interventi a sostegno dei caregiver: dall’istituzione di luoghi di supporto e incontro (es: punti di incontro) ad azioni di sensibilizzazione sul ruolo dei caregiver rivolte al sistema dei servizi, alla formazione degli operatori che si occupano di accompagnare e assistere le persone fragili e le loro famiglie. ➢ In questa direzione va la proposta di legge regionale di iniziativa popolare #iosonocaregiver che auspichiamo possa presto intraprendere il suo iter istituzionale.
  • 6. 6 6. Assistenti familiari Secondo nostre stime le badanti in Lombardia sono circa 160.000, di cui meno della metà (62.000) regolarmente assunte. Persone che vengono impiegate dalle famiglie, direttamente e privatamente, secondo una logica di “welfare fai-da-te”. Nei mesi di lockdown è avvenuta un’ondata di chiusure dei rapporti di lavoro, per paura di un contagio: complessivamente il settore ne sta uscendo più fragile e impoverito. Di badanti, però, avremo sempre più bisogno e il nuovo contratto colf, appena siglato tra le parti sociali, aiuterà ad un uso più appropriato di questa risorsa. Ma non basta: ➢ Serve dare piena attuazione alla legge regionale 15/2015 sugli assistenti familiari, superando i limiti finora riscontrati riguardo all’implementazione degli Sportelli informativi per l’assistenza familiare – che ancora non sono presenti omogeneamente sui territori - e dei relativi Registri. ➢ Immaginiamo un nuovo sistema di cure domiciliari territoriali che si interfaccino con la realtà delle badanti, e che aiutino a superare la doppia solitudine, quella delle famiglie e quella delle badanti stesse, supportandone rispettive esigenze e percorsi di cura. 7. Una nuova governance delle cure domiciliari Di integrazione sociosanitaria si parla da tanti anni. Si raggiunge integrazione nella misura in cui si riesce a creare una nuova governance che faccia sintesi tra i due soggetti istituzionali coinvolti: Comuni e ASST. Occorre unificare gli accessi, i percorsi di valutazione del bisogno, i piani di assistenza e, punto cruciale, le risorse investite. Una vera integrazione si realizza con un impianto condiviso di governo e gestione anche delle risorse e degli investimenti. Un disegno delle cure domiciliari che deve poi coinvolgere il Terzo settore su un piano paritetico e non come semplice subfornitore di servizi. Iniziare questo tipo di cambiamento in Lombardia richiede una governance condivisa già a livello regionale. La presenza di tre assessorati di riferimento (al Welfare, al Sociale e alla Famiglia) non aiuta l’integrazione, vanno potenziati i meccanismi di coordinamento già prefigurati dalle bozze del nuovo Piano sociosanitario. Va inoltre individuata una responsabilità per la long term care che sfrutti tale integrazione, nelle specificità che caratterizzano quest’area di assistenza. Nelle cure domiciliari il Terzo settore deve trovare uno spazio nuovo, non compresso sulla mera erogazione di servizi, ma che valorizzi in una logica di coprogettazione tutta la sua esperienza per la costruzione di un nuovo modello di servizio e di rete territoriale. ➢ Va avviato un Tavolo di lavoro regionale che convochi Regione, Anci, Parti sociali e Terzo settore, per sviluppare contenuti e procedure per un nuovo sistema di cure domiciliari come qui prefigurato: più integrato, più versatile in termini di azioni svolte, più esteso in termini di domanda coperta.
  • 7. 7 8. Servizi domiciliari nelle Cure primarie Sul territorio serve investire nelle cure primarie, negli anni depotenziate in questa regione. La sofferenza nella quale si trovano molti lombardi non autosufficienti, disabili o con disturbi mentali e le loro famiglie, da anni non trova adeguate risposte ed è aggravata dall’isolamento sociale. Servono risorse dedicate ai singoli ambiti distrettuali e serve dialogo, collaborazione, lavoro di equipe nell’identificazione dei bisogni prioritari e nella progettazione delle cure tra servizi sociali, sociosanitari e sanitari. ➢ Servono strutture territoriali stabili di raccordo tra Comuni, Distretti, Dipartimenti delle cure primarie delle ATS, che sovraintendano gli investimenti nella medicina preventiva e l’attuazione delle aggregazioni funzionali e delle Unità complesse dei medici delle cure primarie. ➢ Nel sistema delle cure domiciliari che immaginiamo, non più separato tra Comuni e ATS e ASST, i medici di medicina generale devono assumere una funzione cruciale di prevenzione, diagnosi e presa in carico, anche in regime di telemedicina quando possibile, in collaborazione con gli infermieri di famiglia, figura introdotta dalla legge 77/2020 e che anche la Lombardia dovrà introdurre, secondo le linee guida recentemente approvate nella Conferenza delle Regioni. ➢ Le risorse messe in campo dal Terzo settore e dai Comuni sono indispensabili per programmare insieme ad ATS e ad ASST interventi che possano raggiungere capillarmente a domicilio anche i soggetti più fragili. 9. Il finanziamento delle cure Gli investimenti sulla domiciliarità in Lombardia, rispetto alla risposta residenziale, continuano a rimanere limitati. Il potenziamento della spesa riservata alla domiciliarità dovrà quindi essere mantenuto, anche in periodi non emergenziali. Affrontare il tema delle risorse non è però una questione solo quantitativa. Al contrario, centrale è proprio il tema della frammentazione delle risorse: le misure sono troppe e troppo complesse da gestire. Rimane poi il fatto che, anche aumentando la spesa pubblica, non avremo mai tutte le risorse necessarie per rispondere a tutti i bisogni, soprattutto se di tipo “sociale”, e la domiciliarità di domani dovrà considerare di far leva anche su una diversa gestione delle risorse, facendo pooling tra quelle pubbliche e quelle familiari. ➢ L’utilizzo dei Budget di Salute rappresenta uno sviluppo molto interessante in questa direzione. La logica è quella della ricomposizione delle risorse - pubbliche e private, umane, professionali ed economiche - in un unico budget personalizzato, base per lo sviluppo di progetti individuali, o progetti di vita, a loro volta personalizzati. ➢ L’andamento demografico e l’inevitabile aumento della domanda di assistenza necessita di un’approfondita riflessione sull’istituzione di Fondi di scopo finalizzati ad una vera presa in carico “multidimensionale” delle fragilità sia sul piano dell’equità sociale, sia su quello della sostenibilità nel medio e lungo periodo.
  • 8. 8 10. Una “messa a terra” consapevole Il ridisegno di una nuova rete di aiuti dovrà essere attentamente accompagnato, monitorato e valutato. Nessuno di noi ha la ricetta pronta e sappiamo che apprendere dall’esperienza è una virtù che ha bisogno di informazioni di ritorno sugli interventi posti in essere. Produrre uno sforzo anche in questa direzione permetterebbe di investire senza disperdere le energie. Una valutazione continuativa dei servizi domiciliari, centrata sul loro impatto sociale, aiuterà la “messa a terra” delle proposte qui presentate. Molti dati già raccolti e prodotti da diversi soggetti dovrebbero essere più accessibili, leggibili, condivisi in modo da consentire lo sviluppo di un know-how e una complessiva crescita di competenze delle comunità di cura. Anci Lombardia ha espresso un sostegno “convinto e determinato” nei confronti dei contenuti qui espressi. Milano, novembre 2020