Il valore di un oggetto non è solamente quello funzionale o materiale, infatti ogni oggetto può assumere un valore affettivo e sentimentale che rievoca in noi ricordi o situazioni; in questo senso ogni oggetto che ci appartiene fa parte di noi e della nostra storia. Proprio per questo motivo gettare degli oggetti apparentemente inutili ci risulta difficile a volte. Per la maggior parte delle persone questo tipo di difficoltà viene associata ad una cerchia ristretta di oggetti e ciò non comporta nessun tipo di disagio; mentre per altri la difficoltà a disfarsi degli oggetti, l’attaccamento ad essi ed altre convinzioni riguardanti gli oggetti diventano un problema tale da creare un disturbo mentale che compromette la qualità della vita in termini di rapporti sociali, difficoltà finanziarie e attività lavorativa. Da pochi anni è stata inserita nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – quinta edizione (DSM-5; American Psychiatric Association - APA, 2013) una categoria diagnostica che racchiude nei suoi criteri proprio questo problema: il Disturbo da Accumulo.
In questo lavoro si indaga la relazione tra questo disturbo e un costrutto multidimensionale chiamato disregolazione emozionale, che riguarda in breve la difficoltà nella gestione delle proprie emozioni. Questo costrutto rappresenta secondo il modello cognitivo-comportamentale un fattore determinante nel mantenere il Disturbo da Accumulo. Alcuni studi hanno già confermato l’esistenza di questa relazione, ma la ricerca qui esposta aggiunge all’indagine dei costrutti cognitivi ed emotivi associati ai sintomi di Disturbo da Accumulo anche un compito di tipo comportamentale: infatti, è stato chiesto ai partecipanti di lasciare in laboratorio un oggetto che per loro ha un valore significativo per una settimana, ricreando in loro quei comportamenti e quei pensieri che possono nascere nel momento in cui un loro oggetto viene davvero gettato via; grazie a dei test self-report vengono indagati la gravità dei sintomi e la presenza del costrutto di disregolazione emozionale, e grazie a delle schede di auto- monitoraggio vengono poi registrati i loro pensieri e le loro emozioni durante la settimana di lontananza dall’oggetto. Infine, confrontando i dati tra gli individui con caratteristiche simili al Disturbo da Accumulo con quelli di individui che non hanno queste caratteristiche, possiamo indagare le differenze che emergono da questo compito.
Per approfondire:
www.disposons.it
www.facebook.com/DispoSons
Disregolazione emozionale nel Disturbo da Accumulo - di Giada Gallo
1. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI PSICOLOGIA GENERALE
Corso di Laurea in Psicologia Clinica
Tesi di laurea magistrale
Il ruolo della disregolazione emozionale nel Disturbo da Accumulo: una ricerca
sperimentale
The role of emotional dysregulation related to the Hoarding Disorder: an
experimental research
Relatrice:
Prof.ssa Caterina Novara
Correlatrice:
Dott.ssa Susanna Pardini Laureanda: Giada Gallo
Matricola: 1152794
Anno Accademico 2017/2018
www.DispoSons.it
2.
3. INDICE
INTRODUZIONE ........................................................................................................................ 1
CAPITOLO 1. IL DISTURBO DA ACCUMULO.................................................................... 3
1.1 Definizione e criteri diagnostici del Disturbo da Accumulo............................... 3
1.2 Studi epidemiologici e caratteristiche demografiche.......................................... 9
1.3 Comorbidità nel Disturbo da Accumulo................................................................ 10
1.4 La complessità del Disturbo da Accumulo: il modello cognitivo-
comportamentale ............................................................................................................... 11
1.4.1 DEFICIT NELL’ELABORAZIONE DI INFORMAZIONI..................................... 11
1.4.2 PROCESSI EMOTIVI COINVOLTI...................................................................... 15
1.4.3 CREDENZE ERRONEE SUGLI OGGETTI........................................................ 16
CAPITOLO 2. LA DISREGOLAZIONE EMOZIONALE..................................................... 21
2.1 Definire il costrutto di emozione ............................................................................. 21
2.2 La regolazione emozionale ....................................................................................... 22
2.2.1 GLI ANTENATI DELLA REGOLAZIONE EMOZIONALE................................. 22
2.2.2 DEFINIRE LA REGOLAZIONE EMOZIONALE................................................. 23
2.2.3 I PROCESSI COINVOLTI NELLA REGOLAZIONE EMOZIONALE .............. 24
2.3 La disregolazione emozionale e disturbi mentali associati ............................. 30
2.3.1 LA DISREGOLAZIONE EMOZIONALE E IL DISTURBO DA ACCUMULO.. 33
CAPITOLO 3. LA RICERCA.................................................................................................. 39
3.1 Ipotesi e scopi della ricerca...................................................................................... 39
3.2 Partecipanti ................................................................................................................... 40
3.3 Materiali.......................................................................................................................... 40
3.4 Procedura ...................................................................................................................... 48
3.5 Analisi statistiche........................................................................................................ 50
3.6 Risultati .......................................................................................................................... 50
3.6.1 ANALISI DESCRITTIVE........................................................................................ 50
3.6.2 CONFRONTO TRA I DUE GRUPPI NEI TEST SELF-REPORT.................... 53
3.6.3 CORRELAZIONI..................................................................................................... 63
4. 3.6.4 DIFFERENZE T1 E T2: MISURE DI STATO ..................................................... 80
3.6.5 SCHEDE DI AUTOMONITORAGGIO................................................................. 83
CAPITOLO 4. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI................................................................ 87
BIBLIOGRAFIA........................................................................................................................ 94
5. 1
INTRODUZIONE
Il valore di un oggetto non è solamente quello funzionale o materiale, infatti ogni
oggetto può assumere un valore affettivo e sentimentale che rievoca in noi ricordi
o situazioni; in questo senso ogni oggetto che ci appartiene fa parte di noi e della
nostra storia. Proprio per questo motivo gettare degli oggetti apparentemente
inutili ci risulta difficile a volte. Per la maggior parte delle persone questo tipo di
difficoltà viene associata ad una cerchia ristretta di oggetti e ciò non comporta
nessun tipo di disagio; mentre per altri la difficoltà a disfarsi degli oggetti,
l’attaccamento ad essi ed altre convinzioni riguardanti gli oggetti diventano un
problema tale da creare un disturbo mentale che compromette la qualità della
vita in termini di rapporti sociali, difficoltà finanziarie e attività lavorativa. Da pochi
anni è stata inserita nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali –
quinta edizione (DSM-5; American Psychiatric Association - APA, 2013) una
categoria diagnostica che racchiude nei suoi criteri proprio questo problema: il
Disturbo da Accumulo.
In questo lavoro si indaga la relazione tra questo disturbo e un costrutto
multidimensionale chiamato disregolazione emozionale, che riguarda in breve la
difficoltà nella gestione delle proprie emozioni. Questo costrutto rappresenta
secondo il modello cognitivo-comportamentale un fattore determinante nel
mantenere il Disturbo da Accumulo. Alcuni studi hanno già confermato
l’esistenza di questa relazione, ma la ricerca qui esposta aggiunge all’indagine
dei costrutti cognitivi ed emotivi associati ai sintomi di Disturbo da Accumulo
anche un compito di tipo comportamentale: infatti, è stato chiesto ai partecipanti
di lasciare in laboratorio un oggetto che per loro ha un valore significativo per una
settimana, ricreando in loro quei comportamenti e quei pensieri che possono
nascere nel momento in cui un loro oggetto viene davvero gettato via; grazie a
dei test self-report vengono indagati la gravità dei sintomi e la presenza del
costrutto di disregolazione emozionale, e grazie a delle schede di auto-
monitoraggio vengono poi registrati i loro pensieri e le loro emozioni durante la
settimana di lontananza dall’oggetto. Infine, confrontando i dati tra gli individui
con caratteristiche simili al Disturbo da Accumulo con quelli di individui che non
6. 2
hanno queste caratteristiche, possiamo indagare le differenze che emergono da
questo compito.
I primi due capitoli spiegano in modo dettagliato le basi teoriche su cui si colloca
la presente ricerca: nel primo, partendo dalla definizione di Disturbo da
Accumulo, si arriva poi alla spiegazione del modello cognitivo-comportamentale
del disturbo, affrontando i vari fattori coinvolti tramite un’analisi della letteratura
esistente sul tema. Il secondo capitolo comprende una spiegazione esaustiva del
costrutto multidimensionale della disregolazione emozionale, e della sua
relazione con i disturbi mentali e in particolare con il Disturbo da Accumulo. Infine,
nel terzo capitolo, viene esposta la ricerca sperimentale e i risultati ottenuti.
7. 3
CAPITOLO 1. IL DISTURBO DA ACCUMULO
1.1 Definizione e criteri diagnostici del Disturbo da Accumulo
Il Disturbo da Accumulo (DA) è caratterizzato da una tendenza disfunzionale e
patologica ad accumulare oggetti e dalla persistente difficoltà a gettare via o a
separarsi da essi a prescindere dal loro reale valore; questo porta ad una
condizione di disordine tale da compromettere l’uso funzionale degli spazi vitali,
creando un disagio sociale, economico e lavorativo (Tolin, Frost, Steketee, Fitch,
2008). Inoltre, questo problema rischia di sviluppare nell’individuo che ne è
vittima delle condizioni mentali e mediche che mettono a rischio la sua incolumità
fisica e psichica (Tolin, Frost, Steketee, Gray, Fitch, 2008). La prima definizione
del disturbo venne data da Frost e Hartl nel 1996, specificandone le tre
caratteristiche principali:
1. L’acquisizione di un grande numero di oggetti senza una vera e propria
utilità, o comunque di limitato valore e l’incapacità di gettarli.
2. Spazi vitali talmente disordinati da precludere le attività designate per
quegli spazi.
3. Distress o una riduzione significativa nella funzionalità causata dal
comportamento di accumulo.
Inizialmente la prima caratteristica è stata indagata solo nel contesto del disturbo
del controllo degli impulsi (ICD) come acquisto compulsivo (Black, Repertinger,
Gaffney, & Gabel, 1998). Successivamente gli è stato dato un significato più
ampio che includeva anche l’acquisire oggetti gratuitamente, perciò si avvicinò al
costrutto di accumulo compulsivo. L’incapacità di liberarsi dagli oggetti
essenzialmente inutili suggerisce che essi hanno un valore molto più grande per
queste persone rispetto a quello reale (Frost, Hartl, Christian, & Williams, 1995);
questi comportamenti diventano patologici quando sono accompagnati da un
disordine e accumulo estremo che porta la persona a vivere in condizioni di
scarsa igiene e compromette la vita quotidiana e lavorativa, creando disagi di
vario genere (Steketee, & Frost, 2003).
Gli studi si concentrarono anche sulla relazione tra accumulo compulsivo e
Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC), poiché si trovò che nel campione clinico
8. 4
di adulti con disturbo ossessivo-compulsivo era presente un comportamento di
accumulo tra il 18% e il 33% degli individui (Frost, Krause, & Steketee, 1996).
Inoltre, il comportamento d’accumulo è stato messo in relazione con il DOC per
l’eccessivo dubitare, controllare e la ricerca di rassicurazioni nel momento in cui
si getta l’oggetto, che possono essere collegati ai riti compulsivi del DOC
(Rasmussen & Eisen, 1992). In seguito, nonostante le preoccupazioni riguardanti
gli oggetti possano assomigliare a delle ossessioni e gli impulsi di conservare
oggetti sembrino compulsioni, questo accostamento tra il DOC e il
comportamento da accumulo è stato messo in discussione per vari motivi: i
pensieri associati al comportamento d’accumulo non sono percepiti come
intrusivi e non sono ripetitivi al contrario delle ossessioni del DOC; inoltre non
sono spiacevoli, infatti il disagio percepito da un accumulatore è dovuto alla
conseguenza del suo comportamento e non ai pensieri stessi (Steketee, Frost, &
Kyrios, 2003). I sintomi del comportamento di accumulo sono di tipo ego-
sintonico mentre i sintomi del DOC sono ego-distonici e nel comportamento di
accumulo vi è una netta mancanza di insight, che non è presente nei pazienti con
DOC; infatti, nei pazienti con accumulo compulsivo, la conservazione e
l’acquisizione di oggetti sono associate a emozioni positive di piacevolezza e
euforia, perciò non sono consapevoli della compromissione dovuta a tali sintomi
(Steketee, & Frost, 2003). Infine, il comportamento d’accumulo non è presente
solo negli individui con DOC, ma in molti altri disturbi come nel disturbo
depressivo maggiore e nei disturbi d’ansia (Frost, Steketee, & Tolin, 2011); e i
trattamenti che hanno dimostrato un’efficacia per altri sottotipi di DOC non sono
efficaci per i sintomi di accumulo (Black, Monahan, Gable, Blum, Clancy, 1998).
Per questi motivi, il comportamento da accumulo non poteva più essere
considerato solamente un sottotipo del DOC.
Criteri Diagnostici
Nel 2013, il disturbo da accumulo venne inserito come disturbo autonomo nel
DSM-5 (American Psychiatric Association - APA, 2013) all’interno della categoria
“Disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi correlati” e definito come disturbo
caratterizzato dalla difficoltà a buttare determinati oggetti, indipendentemente dal
loro valore; espressione di un intenso bisogno di conservarli e di un forte disagio
all’idea di separarsene (DSM-5, APA, 2013). I criteri diagnostici sono i seguenti:
9. 5
1. Persistente difficoltà ad eliminare o separarsi dai propri beni, a
prescindere dal loro reale valore.
La difficoltà a gettare via gli oggetti di questo primo criterio si riferisce anche a
vendere, regalare o riciclare gli oggetti. Le ragioni principali date per queste
difficoltà sono: l’utilità percepita, il valore estetico degli oggetti, il forte
attaccamento sentimentale. Alcuni individui si sentono responsabili per il destino
dei loro oggetti e si sentono obbligati a trovare un uso per ogni oggetto (Steketee
& Frost, 2003). La paura di perdere informazioni importanti è molto comune:
infatti, gli oggetti più comunemente conservati sono giornali, riviste, vestiti, libri,
borse, mail, ma in linea teorica tutto può essere conservato (Pertusa, Fullana, &
Singh, 2008). Molti individui collezionano e conservano un ampio numero di
oggetti anche di valore, che spesso vengono posizionati in pile e mescolati ad
altri oggetti senza valore (Frost & Hartl, 1996).
2. Tale difficoltà è dovuta ad un forte bisogno di conservare tali beni e/o al
disagio associato alla loro eliminazione.
Infatti, gli individui con DA conservano intenzionalmente gli oggetti e provano
angoscia nel momento in cui si trovano di fronte alla prospettiva di gettarli.
3. I sintomi risultano nell’accumulo di un gran numero di beni che
progressivamente ingombrano zone della casa o del posto di lavoro fino
al punto in cui la loro destinazione d’uso non è più possibile. Se tali aree
tornano ad essere sgombre è dovuto ad interventi di terzi (ad esempio,
familiari, imprese di pulizie, autorità).
In questo criterio viene evidenziato che gli individui con DA accumulano così
tante cose da riempire e mettere in disordine gli spazi vitali rendendoli non più
utilizzabili: ad esempio, non è più possibile cucinare in cucina, dormire nel
proprio letto, sedersi in una sedia. Inoltre, si enfatizza il fatto che le aree
impraticabili siano quelle principali e più utilizzate, piuttosto che quelle
periferiche come garage o mansarde, che generalmente anche individui
senza DA possono avere in disordine; anche se spesso le persone con DA
hanno altre aree periferiche piene di oggetti e disordinate, come le automobili,
il giardino, l’ufficio. Il DA è differente dal normale collezionismo, che è
10. 6
organizzato e sistematico e non produce disordine, angoscia o le difficoltà
tipiche del DA (Nordsletten & Mataix-Cols, 2012).
4. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione
nell’area sociale, lavorativa, o in altre importanti aree di funzionamento
(incluso il mantenimento di un ambiente sicuro per sé e per gli altri).
In alcuni casi, specialmente quando c’è una scarsa consapevolezza, gli
individui possono non riportare distress, tuttavia ogni tentativo di gettare via
gli oggetti di una terza persona risulta in alti livelli di distress per l’individuo
con DA.
5. I sintomi di accumulo non sono dovuti a una condizione medica generale
(per esempio, danno cerebrale, malattia cerebrovascolare).
6. I sintomi di accumulo non sono ascrivibili ad altro disturbo mentale (per
esempio, accumulo a causa di ossessioni dovute a Disturbo Ossessivo-
Compulsivo, diminuzione di energia dovuta a Disturbo Depressivo
Maggiore, deliri nella Schizofrenia o altro Disturbo Psicotico, deficit
cognitivi nella Demenza, interessi ristretti nei disturbi dello Spettro
Autistico, accumulo di alimenti nella sindrome di Prader-Willi).
Specificatori
Inoltre, tramite degli specificatori, viene richiesto di precisare se sono presenti
anche condotte di acquisizione eccessiva (acquisto/raccolta di beni) e il grado di
consapevolezza del problema su una scala a tre livelli. In aggiunta vengono
definiti i casi in cui il Disturbo da Accumulo può essere diagnosticato come
sintomo di Disturbo Ossessivo-Compulsivo, ossia: quando il comportamento di
accumulo è guidato dalla paura di contaminazione o da pensieri superstiziosi;
quando il comportamento di accumulo è indesiderato o altamente angosciante;
quando l’individuo non mostra interesse per gli oggetti accumulati; quando
l’acquisizione eccessiva si presenta solo in relazione ad una categoria
determinata di oggetti legati ad ossessione specifica. Altre caratteristiche tipiche
del DA includono: indecisione, perfezionismo, evitamento, procrastinazione,
difficoltà nella pianificazione e nell’organizzazione, e distraibilità (Frost & Hartl,
1996; Frost et al., 2011; Steketee & Frost, 2003). Alcune persone con DA vivono
in condizioni sanitarie pessime che possono essere la conseguenza di spazi
11. 7
gravemente in disordine (Snowdon, Pertusa, & Mataix-Cols, 2012). Frost e Gross
(1993) trovarono che gli individui con DA avevano meno possibilità di essere
sposati rispetto al gruppo di controllo, forse dovuto ad un peggiore funzionamento
sociale (Frost et al., 2000). Inoltre, a causa della difficoltà nel prendere decisioni
e delle abilità organizzative carenti, i problemi a livello lavorativo sono molto più
significativi per chi soffre di DA (Frost & Hartl, 1996). Tutto ciò spiega la
complessità e la gravità di questo disturbo che porta all’isolamento sociale non
solo chi ne soffre ma anche i familiari, rendendo difficile ricevere un aiuto
immediato ed efficace. I fattori di rischio sono: l’indecisione come caratteristica
sia degli individui con DA sia dei parenti di primo grado (Samuels, Bienvenu,
Pinto, Fyer, McCraken, Rauch, & Piacentini, 2007); eventi di vita stressanti o
traumatici precedenti all’esordio del DA (Grisham, Frost, Steketee, Kim, & Hood,
2006; Landau, Iervolino, Pertusa, 2011); la familiarità, il 50% degli individui con
DA hanno un familiare che accumula (Pertusa, Frost, & Fullana, 2010). Le
conseguenze del DA possono essere di vario tipo: ad esempio, il disordine può
portare all’incapacità di fare attività di base come muoversi tra le stanze della
casa, cucinare, pulire, l’igiene personale, e anche dormire. Gli elettrodomestici
possono essere rotti e i servizi pubblici, come acqua e elettricità possono essere
disconnessi; la qualità della vita è spesso compromessa (Saxena, Ayers,
Maidmen, Vapnik, Wetherell, Bystritsky, 2011). In casi gravi, il DA può portare
l’individuo a rischio di licenziamento e mancanza di igiene. Infatti, il DA è
associato a ridotta capacità lavorativa, scarsa salute fisica e spesso all’intervento
dei servizi sociali; inoltre, le relazioni familiari, con i vicini di casa e con le autorità
sono molte volte conflittuali (DSM-5; APA, 2013).
Diagnosi Differenziale
Il Disturbo da Accumulo è spesso in comorbidità con altri disturbi, perciò alcuni
suoi sintomi possono ritrovarsi in altre problematiche. È necessario quindi
condurre una diagnosi differenziale con le seguenti categorie (DSM-5; APA,
2013):
Altre condizioni mediche: il DA non viene diagnosticato se i sintomi sono
la conseguenza diretta di altre condizioni mediche, come un trauma
cranico, una resezione chirurgica, un disturbo cardiovascolare,
un’infezione al sistema nervoso centrale o condizioni neurogenetiche
12. 8
(sindrome di Prader-Willi) (Mataix-Cols, Frost, Pertusa, Clark, Saxena, &
Leckman, 2010). Il danno alla corteccia prefrontale ventro-mediale e
cingolata è stata associata ad un eccessivo accumulo di oggetti
(Anderson, Damasio, & Damasio, 2005; Mataix-Cols, Pertusa, &
Snowdon, 2011). In questi individui il comportamento di accumulo non è
presente prima del danno cerebrale e appare subito dopo il danno
(Anderson et al., 2005).
Disturbi del neurosviluppo: il DA non viene diagnosticato quando
l’accumulo di oggetti è la diretta conseguenza di disturbi del
neurosviluppo, come il disturbo dello spettro autistico o il disturbo dello
sviluppo intellettivo.
Disturbo dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici: il DA non
viene diagnosticato quando l’accumulo di oggetti è la diretta conseguenza
di allucinazioni o sintomi negativi del disturbo dello spettro della
schizofrenia o altri disturbi psicotici (Mataix-Cols et al., 2010; Pertusa et
al., 2010).
Episodio di depressione maggiore: il DA non viene diagnosticato se
l’accumulo di oggetti è la diretta conseguenza di ritardo psicomotorio,
affaticamento, o perdita di energia durante un episodio di depressione
maggiore.
Disturbo ossessivo-compulsivo (DOC): il DA non viene diagnosticato se i
sintomi sono la diretta conseguenza di ossessioni tipiche o compulsioni,
come i timori di contaminazione, danno, o sentimenti di incompiutezza nel
disturbo ossessivo-compulsivo. L’accumulo di oggetti può essere il
risultato sia di questi sentimenti di incompiutezza sia del persistente
evitamento di rituali onerosi (Mataix-Cols et al., 2010; Pertusa et al.,2010).
In OCD il comportamento non è voluto e altamente disturbante e spesso
gli oggetti accumulati sono bizzarri come spazzatura, feci, urine, unghie,
capelli, pannolini usati, o cibo andato a male (Pertusa et al., 2008).
Disturbi neurocognitivi: Il DA non viene diagnosticato se l’accumulo di
oggetti è la diretta conseguenza di un disturbo degenerativo, come il
disturbo neurocognitivo associato alla degenerazione del lobo fronto-
temporale o Alzheimer. Il comportamento di accumulo è graduale e segue
l’esordio del disturbo neurocognitivo; inoltre può essere accompagnato da
13. 9
mancata cura di sé, disinibizione, gioco d’azzardo, rituali, tic, e
comportamenti auto-lesivi (Snowdon et al., 2012).
Collezionismo: studi empirici hanno dimostrato che la maggioranza degli
individui che collezionano non sviluppano i criteri per la diagnosi di DA
(Mataix-Cols et al., 2013; Nordsletten, & Mataix-Cols, 2012); infatti, i
collezionisti possiedono tanti oggetti, ma della stessa categoria e inoltre
hanno un alto livello di organizzazione e non presentano nessun tipo di
disagio (Nordsletten, & Mataix-Cols, 2012).
1.2 Studi epidemiologici e caratteristiche demografiche
Studi epidemiologici ci mostrano come il DA sia un fenomeno ampiamente
diffuso: infatti, molte ricerche su questo tema hanno rilevato che il 5,8% della
popolazione soffre di questo disturbo (Timpano, Exner; Glaesmer, Rief,
Keshaviah, Brahler et al., 2011); mentre uno studio italiano ha trovato una
prevalenza tra il 3,7% e il 6% in un campione non clinico (Bulli, Melli, Carraresi,
Stopani, Pertusa, & Frost, 2014). Per quanto riguarda l’esordio, dalle ricerche
sembra che avvenga attorno ai vent’anni, ma che non raggiunga un livello di
gravità significativo fino a 8 anni successivi (Grisham et al., 2006). Inoltre, rispetto
al problema di acquisire un elevato numero di oggetti, l’esordio è generalmente
più lento e arriva più tardi rispetto al disordine e alla difficoltà a gettare oggetti. In
assenza di un intervento, l’andamento del disturbo è tendenzialmente cronico;
infatti non vi sono miglioramenti tra il momento di esordio dei sintomi e il loro
sviluppo patologico (Steketee, & Frost, 2003). Per quanto riguarda invece la
familiarità del disturbo, uno studio mostrò che tre quarti del campione di
accumulatori riportava di avere almeno un accumulatore tra i parenti di primo
grado (Frost, & Gross, 1993); altri studi confermarono questi risultati (Samuels,
Bienvenu, Riddle, Cullen, Grados et al., 2002). Ciò potrebbe suggerire che c’è
una componente genetica in alcune caratteristiche di questo disturbo. Un altro
elemento significativo del Disturbo da Accumulo è la mancanza di
consapevolezza che rende le persone che ne soffrono incapaci di reagire al
problema che, pur provocando danni enormi allo stile di vita, per loro non è affatto
un problema (Frost, & Gross, 1993; Frost, Steketee, Williams, & Warren 2000).
Purtroppo, questa mancanza di insight porta i familiari di chi è affetto da questo
disturbo a sopportare anni di disordine e accumulo: infatti la maggior parte delle
segnalazioni vengono fatte proprio da loro, esasperati dalle condizioni in cui
14. 10
devono vivere a causa di un disturbo del familiare (Frost, Steketee, Youngren, &
Mallya, 1999).
1.3 Comorbidità nel Disturbo da Accumulo
Secondo il DSM-5 (APA, 2013) circa il 75% degli individui con DA ha un disturbo
di ansia o di umore in comorbidità, tra questi i più comuni sono il disturbo
depressivo maggiore, il disturbo d’ansia sociale e il disturbo d’ansia
generalizzata; inoltre solo il 20% degli individui presenta sintomi di DOC (DSM-
5; APA, 2013). Infatti, la maggior parte degli studi sulla comorbidità del DA ha
riportato un alto grado di depressione spesso molto più grande rispetto a quanto
riportato nei gruppi con pazienti con DOC (Samuels et al., 2007; Wheaton,
Timpano, Lasalle-Ricci, & Murphy, 2008; Landau et al., 2011). Alcuni hanno
riportato che questa comorbidità avviene in più del 50% dei casi (Lochner,
Kinnear, Hemmings, Seller, Niehaus, Knowles et al., 2005; Samuels et al., 2002;
Seedat & Stein, 2002). Mentre, per quanto riguarda i disturbi d’ansia, il disturbo
di ansia generalizzata sembra essere più frequente negli individui con DOC,
invece la fobia sociale sembra essere più frequente in quelli con DA (Tolin,
Meunier, Frost & Steketee, 2011). Uno studio condotto da Frost et al. (2011) ha
confermato questi dati, infatti, è stata trovata una comorbidità del DA con altri
disturbi molto elevata: tra i disturbi maggiormente associati ci sono il disturbo
depressivo maggiore e i disturbi del controllo degli impulsi legati all’aspetto di
acquisire (come l’acquisto compulsivo e la cleptomania); inoltre, anche se meno
frequente, quasi un quarto degli individui con DA presentava disturbi di ansia
generalizzata e di ansia sociale (Frost et al., 2011). Anche secondo uno studio di
Tolin et al. (2011) la presenza di sintomi di DA è associata ad alti livelli di sintomi
ansiosi e depressivi; e inoltre è associata a una più alta gravità di sintomi, a una
maggiore compromissione lavorativa, sociale e familiare (Tolin et al., 2011).
Invece meno del 20% dei partecipanti con DA raggiungevano i criteri per la
diagnosi di DOC: il numero di partecipanti con questo tipo di comorbidità era più
elevato negli uomini che nelle donne (Frost et al., 2011). Infine, il disturbo da
deficit di attenzione/iperattività è stato diagnosticato nel 28% dei partecipanti con
DA (Frost et al., 2011). Tolin e Villavicencio (2011) hanno riportato che i sintomi
di inattenzione, ma non quelli di iperattività predicono la gravità di DA. Inoltre,
uno studio di Frost et al., (2010) ha esaminato la comorbidità di un campione di
217 individui con sintomi d’accumulo e i risultati rivelarono un’alta prevalenza di
15. 11
condizioni di comorbidità incluse il DOC (18%), la depressione maggiore (53%),
disturbo d’ansia generalizzata (24%) e la fobia sociale (24%). Per quanto
riguarda i disturbi di personalità, in uno studio di Frost, et al. (2000) è emerso che
gli individui con comportamento di accumulo avevano più sintomi del disturbo
dipendente di personalità rispetto a tutti gli altri campioni con disturbi d’ansia e di
controllo, questo è coerente col fatto che gli individui con DA presentano problemi
di decision-making (Frost & Gross, 1993), come accade nel disturbo dipendente
di personalità; e comparati al solo campione di controllo mostravano più sintomi
di disturbo di personalità ossessivo-compulsivo, evitante, paranoide, schizoide,
schizo-tipico, borderline e narcisistico, proprio come gli individui con altri tipi di
disturbi d’ansia. Il DA è stato molto spesso associato al disturbo ossessivo-
compulsivo di personalità (Samuels et al., 2007; Samuels, Bienvenu, Pinto,
Murphy, Piacentini et al., 2008) probabilmente a causa delle caratteristiche di
perfezionismo che posseggono entrambi.
1.4 La complessità del Disturbo da Accumulo: il modello cognitivo-
comportamentale
Il comportamento da accumulo è visto come un problema multi-sfaccettato che
include: deficit nell’elaborazione di informazioni, problemi nell’attaccamento
emotivo, comportamenti di evitamento, credenze erronee sulla natura degli
oggetti personali (Steketee, & Frost, 2003; Steketee, Frost, & Kyrios, 2003; Frost
& Hartl, 1996). Di seguito, vengono spiegati singolarmente questi elementi, che
compongono il modello cognitivo-comportamentale del DA (Steketee, & Frost,
2003, 2006)
1.4.1 DEFICIT NELL’ELABORAZIONE DI INFORMAZIONI
Per quanto riguarda i deficit nell’elaborazione di informazioni, il Disturbo da
Accumulo è maggiormente associato a tre tipi di deficit che appartengono a
questa categoria: la difficoltà nel prendere decisioni, il deficit nel categorizzare o
organizzare e le difficoltà nelle funzioni mnestiche (Frost, & Hartl, 1996).
DIFFICOLTÀ NEL PROCESSO DI DECISON-MAKING
L’indecisione è una caratteristica tipica di chi soffre di questo disturbo: Warren e
Ostrom (1988) trovarono che la tendenza ad evitare o posporre decisioni fosse
dovuta alla paura di commettere errori; il fatto di conservare ogni cosa potrebbe
essere un modo per evitare la decisione di doverle gettare. Frost e Gross (1993)
16. 12
ipotizzarono che questa incapacità di decidere di separarsi dall’oggetto derivasse
da una sottostante indecisione e dal perfezionismo che portano alla
preoccupazione di sbagliare nel momento in cui stanno per gettare via quell’
oggetto. Inoltre, ci sono varie caratteristiche nel processo di prendere una
decisione che vanno esaminate per comprendere appieno cosa accade nel
momento in cui si sta per gettare qualcosa. Infatti, questa decisione è basata
sulla stima del valore che si dà a quel determinato oggetto: in vari studi è stato
trovato che coloro che hanno un comportamento da accumulo conservano
oggetti a cui danno un valore strumentale principalmente, credendo che in futuro
quell’oggetto potrebbe servire; ma anche il valore sentimentale è predominante
(Frost, & Gross, 1993). Gli stessi motivi portano anche chi non ha un
comportamento da accumulo a conservare i propri oggetti, ciò che veramente fa
la differenza è la quantità di oggetti conservati e non le motivazioni sottostanti
(Frost & Gross, 1993). Da tutto questo si può dedurre che chi ha un
comportamento di accumulo considera la probabilità che quell’oggetto possa
servire in futuro molto più alta di chi invece non ha quel tipo di problema; oppure
che la persona con comportamento di accumulo veda la conseguenza di non
possedere qualcosa di cui ha bisogno come qualcosa di negativo e dannoso
rispetto a chi non soffre di questo disturbo. Un’altra alternativa potrebbe essere il
fatto che chi soffre di comportamento di accumulo considera il valore dell’oggetto
mutabile nel tempo, per questo un oggetto che ora non ha un valore strumentale,
potrebbe averlo tra una settimana; di conseguenza è meglio conservare tutto ciò
che potrebbe diventare utile in futuro. La responsabilità del danno che può
provocare il separarsi dall’oggetto a sé stessi e all’oggetto stesso è un altro dei
tanti fattori che si ipotizzano coinvolti in questo disturbo (Rachman, 1993): questo
senso di responsabilità deriva dalla credenza che quel determinato oggetto sia
unico e irripetibile e se questo viene danneggiato non si potrà quindi averne un
sostituto. Tutto ciò appesantisce la difficoltà nel prendere una decisione
caratteristica di chi ha un comportamento da accumulo (Steketee, Frost & Kyrios,
2003). Fino a ora, solo pochi studi hanno utilizzato compiti comportamentali che
consistevano nel decidere se disfarsi o meno di oggetti personali, e hanno trovato
che gli individui con DA mostrano pattern diversi di attività neurale quando
devono prendere la decisione di disfarsi dei loro oggetti rispetto agli individui di
controllo (Tolin, Kiehl, Worhunsky, Book, & Maltby, 2009; Tolin, Stevens, Nave,
17. 13
Villavicencio, & Morrison, 2012). Futuri studi che implicano questo tipo di compiti
comportamentali potrebbero aiutare la comprensione dei processi cognitivi che
mantengono i comportamenti di accumulo (Frost et al., 1995).
I DEFICIT NELLA CATEGORIZZAZIONE E ORGANIZZAZIONE
I pazienti con comportamento di accumulo mostrano problemi nel raggruppare in
categorie i loro oggetti (Frost & Hartl, 1996), questo provoca la disorganizzazione
e il disordine tipico dell’ambiente circostante di chi soffre di questo problema.
Loro trattano i loro oggetti come se fossero pezzi unici, così creano tantissime
categorie quando ne basterebbero poche (Wincze, Steketee, et Frost, 2007). Le
difficoltà nella categorizzazione degli oggetti sembrano derivare da difficoltà
nell’elaborazione di informazioni (Frost & Hartl, 1996): infatti una buona capacità
di organizzazione coinvolge varie abilità tra cui la pianificazione, strategie per
raggruppare al meglio gli oggetti, attenzione sostenuta, un controllo degli impulsi
adeguato; ad esempio per organizzare qualsiasi cosa bisogna innanzitutto
considerare diverse alternative, analizzare i pro e i contro di queste e fare una
scelta. Sembra che tutte queste abilità siano deficitarie negli individui con
Disturbo da Accumulo (Grisham, Norberg, Williams, Certoma, et Kadib, 2010).
Wincze et al. (2007) trovarono che l’indecisione espressa dai partecipanti con
comportamento di accumulo era correlata positivamente con il numero di
categorie create e con i livelli di ansia. Grisham et al. (2010) analizzarono tramite
un compito di categorizzazione un gruppo di individui con comportamento di
accumulo comparandolo con altri due gruppi di controllo: i risultati mostrarono
che il campione con comportamento di accumulo creava un maggior numero di
categorie, impiegava un tempo maggiore per crearle e provava un livello
maggiore d’ansia sia prima che dopo il compito di categorizzazione rispetto ai
due gruppi di controllo; inoltre trovarono che la difficoltà nel categorizzare era
maggiore per gli oggetti personali rispetto ad altri tipi di oggetti.
I DEFICIT DI MEMORIA E ATTENZIONE
Frost e Hartl (1996) proposero diversi tipi di problemi di memoria che potevano
essere coinvolti nel comportamento di accumulo, ma la maggior parte di essi
riguardavano più deficit metacognitivi che di memoria; per esempio suggerirono
18. 14
che gli individui con comportamento di accumulo erano eccessivamente coinvolti
nello scegliere ciò che è importante ricordare, soprattutto quando era presente
anche il fattore perfezionismo. Le ricerche successive mostrano che i partecipanti
con comportamento di accumulo manifestavano una minore fiducia nella propria
memoria e esprimevano una forte convinzione sull’importanza del ricordare dove
sono stati lasciati gli oggetti e nel bisogno di avere un contatto visivo con gli
oggetti per ricordarlo immediatamente (Hartl, Duffany, Allen, Steketee, & Frost,
2005; Steketee et al., 2003). Molte ricerche esaminarono l’apprendimento visuo-
spaziale e la prova di memoria tramite il test Rey-Osterrieth Complex Figure
(Osterrieth, 1944): i risultati dimostrarono che anche se i partecipanti con
comportamento di accumulo non mostrano nessuna differenza con gli altri
campioni nella copia della figura (Hartl et al., 2004), due studi hanno riportato che
il gruppo con Disturbo da Accumulo riporta la figura in maniera meno accurata
rispetto al gruppo di controllo non clinico (Hartl et al., 2004) e al gruppo di
controllo clinico (Testa, Pantellis, & Fontenelle, 2011). Tramite un altro test, il
Serial Reaction Time Task, che misura la memoria implicita, Blom, Samuels,
Grados, Chen, Bienvenu et Riddle (2011) dimostrarono che il gruppo con
Disturbo da Accumulo aveva una performance peggiore rispetto ai gruppi di
controllo. Per quanto riguarda la memoria di lavoro e l’attenzione sono state
prodotte numerose ricerche che coinvolgevano partecipanti con Disturbo da
Accumulo. Innanzitutto, Hartl e Frost notarono che molti pazienti con
comportamento di accumulo avevano ottenuto in precedenza una diagnosi di
disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), oppure presentavano
caratteristiche simili, come difficoltà nell’attenzione sostenuta, disorganizzazione,
procrastinazione, difficoltà nel completare dei compiti (Hartl et al., 2005). Test
focalizzati sull’attenzione sostenuta hanno dato risultati contrastanti: alcuni non
trovarono nessuna differenza (Grisham et al., 2007; Testa et al., 2011); altri
trovarono una forte differenza tra il gruppo con Disturbo da Accumulo e quelli di
controllo (Mackin, Arean, Delucchi, & Mathews, 2011). Anche nei test di memoria
di lavoro e attenzione spaziale sono riportati risultati contrastanti: Grisham,
Brown, Savage, Steketee, e Barlow (2007) trovarono che il gruppo di partecipanti
con comportamento di accumulo avesse una peggiore performance rispetto ai
gruppi di controllo; Testa et al. (2011) non trovarono invece nessuna differenza.
Hallion, Diefenbach et Tolin (2015), su questo argomento provarono ad unire la
19. 15
scarsa fiducia nelle capacità di memoria con i deficit di attenzione e le
problematiche che caratterizzavano il Disturbo da Accumulo; suggerirono che un
individuo con una lunga storia di sintomi di deficit di attenzione può avere una
scarsa fiducia nelle sue abilità di ricordare e questo porta a cercare strategie
compensative, come l’accumulo di oggetti per ricordarsi informazioni, che infine
portano ad una maggiore compromissione. Questo modello è perfettamente in
linea con il modello cognitivo-comportamentale del Disturbo da Accumulo
(Steketee & Frost, 2003, 2006).
1.4.2 PROCESSI EMOTIVI COINVOLTI
Frost e Hartl (1996) affermarono che gli accumulatori vedono la maggior parte
dei loro oggetti come estensione di loro stessi; inoltre danno agli oggetti
caratteristiche umane e quando altre persone toccano o spostano i loro oggetti
si sentono violati, sentono di perdere il controllo del loro ambiente (Frost et al.,
1995). Frost e Gross (1993) trovarono che gli accumulatori riportavano
maggiormente motivi sentimentali per conservare gli oggetti e un più alto livello
di attaccamento emotivo rispetto al campione di controllo. Inoltre, Frost et al.
(1995) trovarono due tipi di attaccamento emotivo: uno associato al fatto di
sentire l’oggetto come parte di sé e perderlo sarebbe come perdere un caro
amico; l’altro tipo associato al sentimento di sicurezza e comfort, come se i propri
oggetti rappresentassero un ambiente sicuro. Frost e Hartl (1996) associarono al
problema dell’eccessivo attaccamento emotivo il comportamento di evitamento,
infatti nel momento in cui un oggetto viene gettato la persona con comportamento
di accumulo prova intense emozioni negative e per evitare questo stato emotivo
evita di gettare via qualsiasi cosa. Secondo il modello cognitivo-comportamentale
del DA, le emozioni positive e negative sono coinvolte nell’eziologia e nel
processo di mantenimento del disturbo (Steketee & Frost, 2003, 2014). Al fine di
evitare il distress e le emozioni negative associate al gettare via gli oggetti, gli
individui con DA evitano di gettare via, così da rinforzare negativamente il fatto di
conservare e mantenere il disordine; allo stesso modo, il fatto di conservare
oggetti è un modo per non affrontare il fatto di prendere una decisione e evitare
le emozioni negative associate (Taylor, Moulding, & Nedelijkovic, 2018). Questa
relazione tra emozioni e DA viene approfondita nel capitolo 2, quando verrà
20. 16
spiegato in maniera esaustiva il costrutto di regolazione emozionale e la relazione
con il DA.
1.4.3 CREDENZE ERRONEE SUGLI OGGETTI
Ciò che differenzia un accumulatore da un non accumulatore sono le credenze
sul significato degli oggetti. Frost e Hartl (1996) osservarono tre tipi di credenze:
la necessità di mantenere il controllo sui propri oggetti, la responsabilità verso i
propri oggetti e la necessità di perfezione. Trovarono che gli accumulatori
avevano un esagerato desiderio di controllo sui loro oggetti; infatti in uno studio
videro che chi accumulava era meno disposto a condividere o a far toccare i
propri oggetti ad altre persone (Frost et al., 1995). Questo potrebbe essere
correlato all’attaccamento emotivo, poiché il fatto che altri abbiano il controllo
dell’oggetto è come se avessero il controllo di loro stessi in persona; oppure
potrebbe essere correlato al valore di segnale di sicurezza dato all’oggetto, quindi
nel momento in cui l’oggetto viene manipolato da altri perde il suo valore di
sicurezza diventando imprevedibile; o ancora potrebbe essere associato al senso
di responsabilità verso l’oggetto (Frost & Hartl, 1996). Frost e Hartl (1996)
proposero due significati del concetto di responsabilità: il primo senso riguardava
il fatto di essere preparati nel momento in cui ci sia un bisogno futuro da
soddisfare, ovvero anche se l’oggetto al momento non è utile o necessario in una
futura situazione lo potrebbe essere quindi viene conservato. Il secondo senso
riguardava la convinzione di dover proteggere l’oggetto da qualsiasi tipo di danno,
ciò deriva dall’attaccamento emotivo che fa vedere agli accumulatori gli oggetti
come se fossero persone, come se proteggendo l’oggetto da qualsiasi danno,
proteggessero loro stessi. Perciò alcune caratteristiche del Disturbo da Accumulo
sembrano riflettere le sottostanti convinzioni riguardanti gli oggetti. Ricerche
seguenti indicarono che credenze specifiche riguardanti la memoria,
l’attaccamento, il controllo e la responsabilità potevano essere importanti nello
sviluppo e nel mantenimento del comportamento d’accumulo (Steketee et al.,
2003). Per quanto riguarda la credenza sulla memoria si ritenne che gli
accumulatori sovrastimino l’importanza del ricordare o del prendere nota di
informazioni e la mancanza di fiducia nelle loro capacità di ricordare informazioni
importanti (Steketee et al., 2003). Per quanto riguarda la credenza di controllo
Furby (1978) suggerì che gli accumulatori acquistassero o ottenessero oggetti
21. 17
perché convinti di dover controllarli, in modo tale da controllare il loro ambiente.
L’idea di responsabilità è molto vicina a questa credenza di controllo, poiché il
senso di responsabilità riguarda l’uso appropriato e il benessere dell’oggetto
(Furby, 1978). Guidano e Liotti (1983) proposero che la credenza
sull’attaccamento emotivo giocasse un ruolo importante nel determinare il
comportamento ossessivo-compulsivo, di cui il comportamento di accumulo
faceva parte. Alcuni studi dimostrarono che le persone che accumulano avevano
difficoltà a creare o mantenere delle relazioni interpersonali (Frost et al., 2000),
ma non ci sono abbastanza studi sullo stile di attaccamento associato al
comportamento di accumulo. Seaman, Oldfield, Gordon, Forrester e Salkovskis
(2010) hanno ipotizzato che una precoce deprivazione materiale potrebbe essere
associata allo sviluppo delle credenze che portano al comportamento di
accumulo: l’esperienza di perdita massiccia di beni è collegata al senso di timore
che possa succedere ancora, perciò gli oggetti vengono acquisiti e conservati in
modo tale che non si possa verificare di nuovo quell’esperienza. Pertusa et al.
(2008) trovarono che il gruppo di accumulatori riportava un fortissimo
attaccamento o attribuzione di un alto valore intrinseco agli oggetti rispetto al
gruppo con disturbo ossessivo-compulsivo. L’attaccamento emotivo agli oggetti
implica la credenza sul comfort emotivo dato agli oggetti, sul valore di essi e sul
sentimento di perdita (Taylor et al., 2018). Le ricerche supportano che gli individui
che accumulano hanno punteggi maggiori alle misure di attaccamento rispetto
agli altri gruppi di controllo (Grisham, Steketee, & Frost, 2008). Inoltre, gli individui
con comportamento d’accumulo conservano maggiormente i loro oggetti per
ragioni sentimentali rispetto ai non accumulatori, ed è più probabile che vedano
gli oggetti come estensione di loro stessi (Taylor et al., 2018). La connessione
emotiva con il passato è una delle motivazioni più importanti per conservare e
per non volere gettare via i propri oggetti (Cherrier & Ponnor, 2010) e questo può
essere collegato alla tendenza degli accumulatori di dare caratteristiche umane
agli oggetti (Timpano & Shaw, 2013).
Il Modello Cognitivo-Comportamentale
Il modello cognitivo-comportamentale del Disturbo da Accumulo è il risultato di
una concettualizzazione globale e multi-sfaccettata dei fattori che contribuiscono
alla vulnerabilità e al mantenimento del disturbo. Esso propone una complessa
22. 18
interazione tra variabili biologiche, cognitive e di funzionamento esecutivo, che
insieme contribuiscono ai principali sintomi del comportamento di accumulo
(Frost & Hartl, 1996). Benché il modello incorpori fattori di vulnerabilità distanti
tra loro, come esperienze di storia familiare, eventi di vita traumatici, fattori
genetici, l’enfasi è più sui fattori prossimali che si crede siano direttamente
coinvolti nei sintomi del DA. Il modello suggerisce che le difficoltà nel gettare via
gli oggetti, l’acquisizione eccessiva e il disordine risultino dai deficit visti nel
paragrafo precedente, ossia: difficoltà nell’elaborazione di informazioni, credenze
sugli oggetti e attaccamento emotivo, risposte emotive disadattive e pattern
comportamentali disadattivi (Wheaton, 2016). Nella figura 1 viene esposta
l’interazione tra i diversi fattori.
Figura 1. Modello cognitivo-comportamentale del Disturbo da Accumulo (Wheaton, 2016)
Come si può vedere dalla figura i fattori di vulnerabilità, come eventi traumatici,
fattori genetici e storia familiare, contribuiscono alla generazione di credenze
disadattive riguardanti gli oggetti. Questi, secondo il modello, hanno un ruolo
23. 19
fondamentale nella formazione dei sintomi del DA: infatti, producono delle
emozioni intense sia positive che negative che portano ai sintomi del disturbo
(Wheaton, 2016). Quando gli individui con DA stanno per disfarsi di un oggetto,
le credenze su questo innescano sentimenti di ansia, colpa e tristezza che
riescono a placare solo conservandolo; questo comportamento di evitamento
porta ad un rinforzo negativo, poiché nel momento in cui l’oggetto viene
conservato, l’individuo con DA prova meno distress. Quando un individuo con DA
fa un acquisto, le interpretazioni su questo (ad esempio, il fatto che quell’oggetto
sia unico o che l’individuo si senta responsabile di trovare un uso per questo)
portano a emozioni positive, perciò rinforza positivamente il comportamento di
acquisire. Inoltre i deficit di elaborazione delle informazioni dovuti a vulnerabilità
preesistenti portano ad un accumulo disorganizzato: l’indecisione e il
perfezionismo, caratteristiche tipiche degli individui con DA, rendono quasi
impossibile il disfarsi di un oggetto, a causa del timore di fare la scelta sbagliata;
inoltre, i problemi con la categorizzazione e l’organizzazione portano alla
creazione di cumuli ammassati di oggetti che appartengono a categorie diverse,
non riuscendo più a distinguere oggetti utili da quelli inutili; in aggiunta, i problemi
di attenzione rendono incapaci gli individui con DA di mantenere la
concentrazione sul compito, interferendo con i tentativi di ridurre il disordine
eccessivo (Hartl et al., 2005). Infine, i deficit di memoria, dovuti principalmente
alla scarsa fiducia che questi individui hanno sulla propria memoria, sono legati
alla tendenza degli individui con DA di posizionare i loro oggetti in vista, in modo
da evitare di dimenticarsene (Frost & Hartl, 1996); e questo rende ancora più
difficile l’organizzazione degli oggetti. Tutto ciò porta al sintomo del disordine
eccessivo del DA (Wheaton, 2016; Steketee, & Frost, 2006; Steketee, & Frost
2003; Frost, & Hartl, 1996). Il modello cognitivo-comportamentale del DA è in
continua evoluzione, infatti il concetto di evitamento delle emozioni negative ha
un ruolo fondamentale in questo modello anche se non è stato ancora
esplicitamente inserito (Wheaton, 2016). Inoltre, in uno studio, Phung, Moulding,
Taylor, & Nedeljkovic (2015) riscontrarono che le credenze relative
all’attaccamento emotivo agli oggetti fungono da mediatore tra la disregolazione
emozionale e i sintomi del DA, dando così un ruolo alla disregolazione
emozionale come fattore di rischio nel modello cognitivo-comportamentale;
secondo gli autori la sensibilità all’ansia, la tolleranza al distress e l’impulsività,
24. 20
tramite le convinzioni erronee sugli oggetti, portano allo sviluppo e al
mantenimento dei sintomi di DA (Phung et al., 2015). Future ricerche potranno
concentrarsi su questo aspetto.
25. 21
CAPITOLO 2. LA DISREGOLAZIONE EMOZIONALE
2.1 Definire il costrutto di emozione
Per comprendere la regolazione emozionale e quindi la disregolazione
emozionale si deve prima prendere in considerazione il concetto di emozioni e
come esse si generino. James (1894) considerava le emozioni come
predisposizioni di risposte comportamentali e fisiologiche adattive che risultano
da situazioni evolutivamente significative. Anche Levenson (1994) affermò che le
emozioni fossero dei brevi fenomeni psicologici e fisiologici che rappresentano
delle modalità efficienti di adattamento alle mutevoli richieste ambientali.
Psicologicamente, le emozioni modificano l’attenzione, certi comportamenti e
attivano reti di memoria appropriate; fisiologicamente, le emozioni organizzano
rapidamente le risposte di sistemi biologici differenti, come l’espressione facciale,
il tono muscolare, il tono della voce, l’attività del sistema nervoso autonomo e del
sistema endocrino per produrre una risposta corporale ottimale (Levenson,
1994). Dalla letteratura sul tema emerge, inoltre, che: le emozioni sono risposte
legate a stimoli esterni o rappresentazioni interne che coinvolgono cambiamenti
in vari sistemi, ad esempio, quello comportamentale, fisiologico, esperienziale
(Cacioppo, Berntson, Larsen, 2000); esiste una distinzione tra emozioni e stati
d’animo, secondo cui le emozioni, oltre ad essere fenomeni brevi rispetto agli
stati d’animo, hanno degli scopi specifici e nascono da situazioni rilevanti per
questi scopi (Frijda, 1993; Gross, 1998; Lazarus, 1991); le emozioni possono
essere sia risposte a stimoli con proprietà affettive intrinseche, sia risposte
condizionate a stimoli con valore emotivo acquisito in precedenza; e possono,
inoltre, comprendere molti tipi di valutazione cognitiva che uniscono il significato
dello stimolo agli obiettivi attuali (Scherer, Schorr, & Johnstone, 2001). Infine, le
emozioni possono facilitare l’adattamento all’ambiente favorendo la preparazione
di risposte rapide, la presa di decisioni, i processi cognitivi e attentivi, la
registrazione in memoria di eventi significativi e fornendo informazioni della
relazione tra individuo e ambiente (Schwarz & Clore, 2003). Tutto ciò porta alla
consolidazione di un modello a quattro step che riguardava la generazione di
risposte emotive (figura 2): nel primo passaggio, viene percepito uno stimolo di
qualsiasi tipo (come un pensiero, o una sensazione oppure un’azione o un evento
esterno) in uno specifico contesto; nel secondo step, l’individuo presta attenzione
26. 22
a qualcuno di questi stimoli o a delle caratteristiche di essi; nel terzo passaggio
viene compiuta una valutazione cognitiva del significato dello stimolo tenendo in
considerazione i propri obiettivi, desideri o bisogni; infine, l’ultimo step
comprende il trasformare le valutazioni del terzo step in cambiamenti
nell’esperienza, nei comportamenti emotivi-espressivi e cambiamenti fisiologici
(Ochsner, Silvers, & Buhle, 2012) questi tipi di risposta possono, inoltre,
modificare la situazione iniziale (Gross, 2013).
STIMOLO NEL CONTESTO ATTENZIONE VALUTAZIONE COGNITIVA RISPOSTA
• • • •
Figura 2. Modello cognitivo della generazione delle emozioni (Gross, 2013; Ochsner et al., 2012)
Da questo modello di generazione delle emozioni possiamo ora prendere in
considerazione i processi di regolazione emozionale.
2.2 La regolazione emozionale
2.2.1 GLI ANTENATI DELLA REGOLAZIONE EMOZIONALE
I primi predecessori della ricerca sulla regolazione emozionale furono gli studi
psicodinamici sui meccanismi di difesa, compiuti da Freud quasi un secolo fa:
tramite descrizioni cliniche, esaminarono la regolazione dell’ansia e di altre
emozioni negative (Gross, 1998). Il secondo predecessore fu la Stress and
Coping Tradition con il lavoro di Cannon (1914) e Selye che rese noto il concetto
che gli organismi producono simili risposte di stress a diversi tipi di sfide (Selye,
1956). Lo studio psicologico sullo stress portò ad enfatizzare i processi cognitivi
richiesti per trasformare un evento esterno in qualcosa di adattivo per l’individuo
(Lazarus, 1966). Perciò lo stress venne definito come una relazione tra l’individuo
e l’ambiente che viene valutato dalla persona come rilevante per il proprio
benessere e in cui le proprie risorse vengono messe alla prova e il coping venne
definito come gli sforzi cognitivi e comportamentali per gestire una relazione
27. 23
individuo-ambiente tormentata (Folkman, & Lazarus, 1985). In seguito, Selye
(1974) distinse tra eutress, una forma di stress associato a sentimenti positivi, e
distress, una forma di stress associato a sentimenti negativi; inoltre, altri studi
differenziarono il coping focalizzato sui problemi, con l’obiettivo di risolvere
problematiche, e il coping focalizzato sulle emozioni, che aveva l’obiettivo di
diminuire le emozioni negative (Gross, 1998); ed è proprio da quest’ultimo
costrutto che nacquero le basi per la regolazione emozionale. Le ricerche
contemporanee si basano su questi fondamenti per descrivere quando, come e
con quali conseguenze gli individui regolano le loro emozioni, utilizzando metodi
neuroscientifici, cognitivi e comportamentali (Ochsner, & Gross, 2005).
2.2.2 DEFINIRE LA REGOLAZIONE EMOZIONALE
Ora bisogna chiarire cosa si intende per regolazione emozionale: Thompson
(1990) sosteneva che la regolazione emozionale consistesse nei processi
responsabili del monitoraggio, della valutazione e della modifica di reazioni
emotive, specialmente la loro intensità e le loro caratteristiche temporali, in modo
da realizzare obiettivi personali; Gross (1998) affermava che la regolazione
emozionale rappresentasse il plasmare le proprie emozioni nel momento in cui
compaiono e modellare l’esperienza o l’espressione di esse. La regolazione
emozionale è definita anche dal mettere in atto un comportamento finalizzato a
modificare il processo di generazione dell’emozione attuando processi che lo
influenzino (Gross, Sheppes, Urry, 2011). Da queste definizioni si evidenzia che
l’obiettivo della regolazione può essere sia le proprie emozioni sia le emozioni di
qualcun altro: in questo caso si distingue da regolazione emozionale intrinseca
(che riguarda le proprie emozioni) o estrinseca (che riguarda le emozioni di altre
persone); a volte questi due tipi di regolazione avvengono insieme, ad esempio
quando la regolazione dell’emozioni di un’altra persona, regola le proprie
emozioni (Gross, 2013). Gross (2013) cita un’altra distinzione, ossia quella tra
regolazione esplicita e implicita: quando l’obiettivo è intenzionale e il processo
viene percepito coscientemente si tratta di regolazione esplicita; mentre la
regolazione emozionale implicita può essere definita come un processo che
opera senza bisogno di una supervisione conscia o di intenzioni esplicite (Koole,
& Rothermund, 2011). La regolazione emozionale implicita risulta molto utile nel
bilanciare l’impatto delle risposte emotive che vengono generate
automaticamente dagli eventi ambientali, senza il bisogno di un controllo
28. 24
cosciente (Koole, & Rothermund, 2011). Tuttavia, può essere più utile pensare
ad un continuum che va dalla regolazione esplicita, cosciente, che richiede uno
sforzo a quella implicita e automatica (Gyurak, Gross, & Etkin, 2011). Inoltre,
dagli studi emerge che gli individui mostrano delle variazioni nell’intensità, nella
persistenza, nella modulazione, nell’insorgenza e nei tempi di aumento, nella
precarietà e nel recupero dalle risposte emotive che vanno a definire quella che
viene chiamata “dinamica emotiva”, costituita da quei parametri che vengono
influenzati dalla regolazione emozionale (Thompson, 1990; Thompson, 1994). La
regolazione emotiva diventa necessaria nel momento in cui le risposte emotive
non sono appropriate alla situazione che ci si presenta, questo accade perché
l’ambiente di oggi è molto diverso rispetto a quello che formò le nostre emozioni;
perciò le risposte emotive che furono molto utili ai nostri antenati non sono adatte
alle esigenze moderne (Gross, 1998). Una questione importante riguarda la
differenza tra il concetto di emozione e quello di regolazione emozionale. Gross
(2013) dà una chiara spiegazione su questo tema: la differenza esiste dal punto
di vista funzionale, ossia l’emozione nasce quando un individuo presta attenzione
ad una situazione che ritiene rilevante per i suoi obiettivi, la regolazione
emozionale avviene quando la valutazione di quella determinata emozione
elicitata dalla situazione porta all’attivazione di un obiettivo raggiungibile solo
cambiando la traiettoria di quella risposta emotiva.
2.2.3 I PROCESSI COINVOLTI NELLA REGOLAZIONE EMOZIONALE
Dalla teorizzazione del modello di generazione delle emozioni possiamo
comprendere i processi della regolazione emozionale: essa, infatti, comporta
l’alterazione della risposta emotiva attraverso l’utilizzo di processi regolatori che
possono essere sia impliciti che espliciti (Ochsner et al., 2012). Gross (1998)
distinse cinque fasi della regolazione emozionale: la selezione della situazione,
la modificazione della situazione, l’uso dell’attenzione, il cambiamento cognitivo
e la modulazione della risposta. Le prime due strategie comprendono il
cambiamento della natura dello stimolo all’interno della generazione delle
emozioni: nella selezione della situazione, l’individuo si tiene lontano dagli stimoli
che elicitano emozioni indesiderate e si avvicina a situazioni con stimoli che
invece favoriscono emozioni volute; nella modificazione della situazione,
l’individuo si trova nella situazione in cui si presenta uno stimolo che genera
emozioni indesiderate e modifica qualcosa della situazione per alterare l’impatto
29. 25
che ha su di lui (Ochsner et al. 2012). La distribuzione dell’attenzione consiste
nello spostare l’attenzione da uno stimolo indesiderato ad un altro stimolo in
modo da alterare la risposta emotiva; Gross (1998) espone tre tipi di questa
strategia, ossia la distrazione, la concentrazione e la ruminazione. La prima
avviene quando un individuo focalizza l’attenzione su aspetti non emotivi della
situazione (Nix, Watson, Pyszczynski, & Greenberg, 1995), oppure quando viene
spostata totalmente l’attenzione dalla situazione immediata (Derryberry &
Rothbart, 1988), o infine quando il focus interno viene modificato (McIntosh,
1996). La concentrazione ha la capacità di assorbire le risorse cognitive (Erber,
& Tesser, 1992) e può essere usata per richiamare l’attenzione a stimoli emotivi.
Infine, la ruminazione dirige l’attenzione verso i sentimenti e le loro conseguenze
(Gross, 1998). Ochsner e Gross (2005) hanno studiato due tipi di distribuzione
dell’attenzione: l’attenzione selettiva, che sposta il focus dell’attenzione da uno
stimolo ad un altro, e la distrazione che limita l’attenzione ad uno stimolo esterno
focalizzandosi internamente su informazioni contenute nella memoria di lavoro. I
risultati di questi studi hanno mostrato che limitare l’attenzione a stimoli emotivi
può limitare le risposte del sistema di valutazione, ma il contesto in cui agisce e i
meccanismi che governano questo effetto regolatorio non sono chiari (Ochsner,
& Gross, 2005). Per quanto riguarda il cambiamento cognitivo, ciò che cambia è
il modo di valutare il significato dello stimolo: esso è una delle strategie più
complesse dal punto di vista cognitivo, poiché racchiude in sé diversi processi
sia necessari per cambiare il significato allo stimolo, come il linguaggio, la
memoria, sia che supportano altre strategie, come l’attenzione e la selezione
della risposta (Ochsner et al., 2012). Degli esempi sono la tendenza di
interpretare gli eventi in modo più positivo rispetto a ciò che è realmente (Taylor
& Armor, 1996) e il confronto sociale al ribasso, ossia comparare la propria
situazione con una più sfortunata (Taylor, & Lobel, 1989). Una forma di controllo
cognitivo che ha ricevuto particolare attenzione è detta reappraisal: essa consiste
nel cambiamento del modo con cui la persona pensa e valuta la situazione al fine
di modificarne l’impatto emotivo (Gross, 1998; Gross, & Thompson, 2007).
Ochsner et al. (2012) espongono due modi per implementare questa strategia: la
reinterpretazione, che consiste nel cambiamento dell’interpretazione di elementi
della situazione o dello stimolo che elicitano un’emozione (per esempio, una foto
di un uomo malato in un ospedale che elicita un sentimento di tristezza, può
30. 26
essere reinterpretata pensando che quell’uomo starà meglio in futuro,
diminuendo l’intensità dell’emozione); l’altra tattica viene chiamata
allontanamento e consiste nel modificare la propria connessione allo stimolo che
elicita un’emozione o la distanza psicologica da questo (per esempio, pensando
che la foto dell’esempio precedente sia stata fatta molto tempo fa o in un posto
molto lontano). Infine, l’ultima strategia di regolazione emozionale è la
modulazione della risposta che influenza direttamente la risposta fisiologica,
comportamentale ed esperienziale (Gross, 1998): il tipo di strategia più studiata
in questo contesto è stata la repressione, che implica la soppressione delle
espressioni facciali in modo da non far trasparire le emozioni provate in quel
momento (Ochsner et al., 2012). In uno studio in cui venivano comparati il
reappraisal e la soppressione, Gross, Richards e John (2006) trovarono che il
reappraisal era efficace nel far diminuire l’esperienza e il comportamento
espressivo in un contesto che elicitava emozioni negative, senza costi cognitivi,
fisiologici o sociali; mentre la strategia della soppressione era efficace nella
regolazione del comportamento espressivo, ma non portava ad un sollievo dal
punto di vista soggettivo e in più aveva dei costi a livello cognitivo e fisiologico
(Gross et al., 2006). Come si può notare da quanto detto i processi di regolazione
emozionale sono strettamente connessi con quelli della generazione di emozioni
(Gross, 1998): la figura 3 mostra questa interazione.
STIMOLO NEL CONTESTO ATTENZIONE VALUTAZIONE COGNITIVA RISPOSTA EMOTIVA
• • • •
Figura 3. Processi della regolazione emozionale nella generazione delle risposte emotive (Gross,1998)
Cole, Michel e Teti (1994) aggiunsero che la regolazione emozionale non è
soltanto il controllo delle emozioni, ma anche la capacità di riconoscere ed
esprimere le proprie emozioni in coordinazione con le emozioni altrui; in questo
Selezione della
situazione
Modifica della
situazione
Distribuzione
dell’attenzione
Cambiamento
cognitivo
Modulazione
della risposta
31. 27
modo viene enfatizzata la natura funzionale delle emozioni siano esse positive o
negative (Cole et al., 1994). Inoltre, Gratz e Roemer (2004) affermarono che la
conoscenza di specifiche strategie di regolazione emozionale usate da un
individuo, senza nessuna informazione sul contesto in cui vengono usate, non ci
aiutano a capire se questo individuo è abile nella regolazione delle emozioni.
Perciò proposero un modello di regolazione emozionale multidimensionale che
comprendeva l’identificazione e la comprensione delle emozioni, l’accettazione
di esse, l’accesso a strategie di regolazioni efficaci e l’abilità di continuare a
perseguire un comportamento finalizzato e inibire il comportamento impulsivo nel
momento in cui si provano emozioni negative (Gratz, & Roemer, 2004). Il modello
di Gratz e Roemer e quello di Gross condividono alcune caratteristiche come il
fatto che una regolazione emozionale coinvolga una consapevolezza delle
emozioni e l’importanza del contesto e degli obiettivi individuali, invece
differiscono per il loro punto centrale: mentre Gross enfatizza le differenze
individuali nell’uso delle strategie cognitive e comportamentali per modulare le
esperienze emotive, Gratz e Roemer non danno importanza all’applicazione di
specifiche strategie e enfatizzano le differenze individuali nella consapevolezza
emotiva, nella capacità percepita di gestire le emozioni e nella valutazione delle
emozioni (Johnson, 2013).
Reattività Emozionale
Uno dei costrutti che predispongono gli individui ad avere dei problemi con la
regolazione emozionale è la reattività emozionale che si riferisce alla sensibilità
di un individuo alla presenza di uno stimolo emotivo (Nock, Wedig, Holmberg, &
Hooley, 2008). Gli individui possono presentare diversi pattern di reattività
emozionale nelle emozioni positive rispetto a quelle negative; inoltre, possono
anche differire nel grado di intensità dell’emozione provata, nella vastità di stimoli
emotivi che innescano una reazione emotiva e nella quantità di tempo che
trascorre dall’inizio della reazione emozionale fino al ritorno a livello base; perciò
le tre caratteristiche principali di questo costrutto sono: la durata, l’intensità e la
vastità di stimoli che elicitano una reazione emotiva (Becerra, & Campitelli, 2013).
La reattività emozionale è un costrutto importante anche per il fatto che spiega
perché e come i problemi comportamentali sono sviluppati e mantenuti. Ad
esempio, alcuni problemi comportamentali possono rappresentare degli sforzi
32. 28
per evitare esperienze di reattività emozionale intensa (Hayes, Wilson, Gifford,
Follette, & Strosahl, 1996). Esiste una reciproca connessione tra la reattività
emotiva e l’abilità di regolare efficacemente le emozioni: se le emozioni sono
percepite più intensamente, risulta più difficile la loro regolazione e il loro
controllo; e una scarsa capacità di regolazione contribuisce ad ottenere risposte
emotive più intense e persistenti (Gross, 2015; Gross & Barret, 2011).
Tolleranza al Distress
Un altro costrutto che si manifesta in diversi aspetti della regolazione delle
emozioni e del comportamento, è la tolleranza al distress (Simons, & Gaher,
2005). Questo costrutto è definito come la capacità di sperimentare e resistere
agli stati psicologici negativi, e comprende: l’intolleranza, il coinvolgimento
psicologico, la valutazione negativa delle situazioni stressanti e il bisogno di
regolare il distress associato alle emozioni negative (Simons, & Gaher, 2005). La
letteratura sul tema ha dimostrato, inoltre, che esiste un collegamento tra le
convinzioni riguardanti l’inadeguatezza ad affrontare le situazioni di distress e
l’evitamento (Clen, Mennin, & Fresco, 2011). L’attenzione scientifica si è
focalizzata sempre di più sulla tolleranza al distress a causa del suo potenziale
ruolo nello sviluppo e nel mantenimento di diverse forme psicopatologiche
(Leyro, Zvolensky, & Bernstein, 2010; Zvolensky, Bernstein, & Vujanovic, 2011;
Zvolensky & Otto, 2007; Zvolensky, Vujanovic, Bernstein, & Leyro, 2010). Gli
individui con bassi livelli di tolleranza al distress possono essere propensi a
rispondere al distress in modo disadattivo; al contrario le persone con alti livelli di
tolleranza al distress possono essere più capaci di rispondere adattivamente al
distress. Teoricamente, la tolleranza al distress può riguardare vari processi
coinvolti nella regolazione, inclusi l’attenzione, le valutazioni cognitive degli stati
fisici e emozionali stressanti e le risposte emotive e comportamentali al distress;
inoltre, le differenze individuali nell’esperienza delle emozioni possono essere
influenzate dalla tolleranza al distress (Zvolensky et al., 2010). Infatti, la
percezione della tolleranza al distress può essere collegata sia a processi
precedenti alla regolazione emozionale (ad esempio, le aspettative che
determinano i processi di regolazione emozionale) sia ad atti comportamentali di
tolleranza collegati alla risposta della regolazione emozionale a seguito di una
situazione di stress (Brandt, Zvolensky, & Bonn-Miller, 2013).
33. 29
Sensibilità all’ansia
La sensibilità all’ansia (SA) è la paura delle sensazioni di ansia, che nasce dalla
convinzione che queste sensazioni abbiano conseguenze somatiche,
psicologiche o sociali avverse e dannose (Reiss, 1987, 1991; Reiss & McNally,
1985). Perciò, una persona con alti livelli di SA può preoccuparsi del battito
cardiaco rapido, credendo che questo sia un segno di un imminente attacco
cardiaco, o preoccuparsi dell’incapacità a concentrarsi, credendo che questo sia
un segno di una malattia mentale, o preoccuparsi di apparire nervoso, credendo
che questo possa provocare dei problemi nell’ambiente sociale (Taylor, Koch,
Woody, & MacLean, 1996). Mentre gli individui con bassi livelli di SA sentono
queste sensazioni come spiacevoli ma non minacciose o pericolose (Schmidt,
Lerew, & Jackson, 1997). Reiss (1991) affermò che la SA fosse unidimensionale,
concettualizzandola come una paura in generale. Invece, Telch, Shermis e Lucas
(1989) sostennero che la SA fosse multidimensionale e che le dimensioni
corrispondessero ai diversi settori di sintomi, come le paure dei sintomi
cardiopolmonari o gastrointestinali. In linea con le teorie cognitive dell’ansia, la
SA presenta un errore nella valutazione cognitiva che risulta cruciale per la
generazione dell’ansia (Schmidt et al. 1997). Infatti, la SA è considerata un
amplificatore dell’ansia, quando gli individui con alti livelli di SA diventano ansiosi,
si allarmano per le sensazioni di attivazione e di conseguenza intensificano la
loro ansia (Taylor, Zvolensky, Cox, Deacon, Heimberg et al., 2007). Per questo
elevati livelli di SA sono stati associati a disturbi d’ansia in particolare al disturbo
di panico (Zvolensky, Schmidt, Bernstein, & Keough, 2006). Secondo Kashdan,
Zvolensky e McLeish (2008), la SA può portare all’utilizzo di strategie cognitive e
comportamentali per evitare le sensazioni interne. Studi recenti suggeriscono che
il fatto che la SA porti allo sviluppo dei disturbi d’ansia dipende, almeno in parte,
da come gli individui regolano le loro emozioni (Cisler, Olatunji, Feldner, &
Forsyth, 2010). In linea con quest’idea, Kashdan et al. (2008) trovarono che tra
gli individui con alti livelli di SA, l’attivazione ansiosa e la preoccupazione erano
intensificate con la presenza di una minore accettazione del distress emotivo; e
che l’attivazione ansiosa, la preoccupazione e i pensieri agorafobici erano
intensificati dalla presenza di una più alta espressività delle emozioni. Anche lo
studio di Feldner, Zvolensky, Stickle, Bonn-Miller, & Leen-Feldner (2006)
34. 30
suggerirono che le conseguenze affettive della soppressione emozionale
dipendevano, almeno in parte, dai livelli di SA.
2.3 La disregolazione emozionale e disturbi mentali associati
Molti autori hanno dato la loro definizione di disregolazione emozionale: alcuni
l’hanno definita come un’interferenza nell’elaborazione di informazioni e eventi
(Plutchik, 1980; Dodge, 1991), oppure come difficoltà nell’integrare flessibilmente
le emozioni con altri processi (Cicchetti, Ganiban, & Barnett, 1991; Katz &
Gottman, 1991), altri, invece, come uno scarso controllo sull’esperienza e
sull’espressione emotiva (Izard, 1977; Lazarus, 1966). Cole et al. (1994)
affermarono che la disregolazione non è la mancanza di regolazione, ma un
normale processo regolatorio compiuto in maniera disfunzionale. Questo
approccio suggerì che i deficit nella capacità di esperire o differenziare le
emozioni e nelle risposte emotive possono essere tanto disadattive quanto i
deficit nella capacità di attenuare e modulare emozioni intense (Cole et al., 1994).
La disregolazione emozionale è una dimensione comune alla maggior parte dei
disturbi mentali (Cole et al, 1994). Essa può essere considerata un fattore
transdiagnostico rilevante per lo sviluppo, il mantenimento e il trattamento di
diversi disturbi mentali (Berking, & Wupperman, 2012). Uno dei lavori più ampi
riguardanti il ruolo della disregolazione emozionale nel contesto di un disturbo
clinico è stato quello di Linehan sullo sviluppo del disturbo borderline di
personalità (Gratz, & Roemer, 2004). Linehan (2014) affermò che la
disregolazione emozionale è una delle caratteristiche principali di questo
disturbo, definendola come l’inabilità di cambiare e regolare gli input, le
esperienze, le azioni e le risposte verbali o non verbali dell’emozione in condizioni
normali. Inoltre, aggiunse che la disregolazione emozionale pervasiva avviene
quando l’incapacità di regolare le emozioni riguarda un ampio range di emozioni
e problemi di adattamento in molti contesti. Le caratteristiche della disregolazione
emozionale includono un eccesso di esperienze emotive dolorose, l’incapacità di
regolare emozioni intense, problemi nel togliere l’attenzione da stimoli emotivi,
distorsioni cognitive e insuccesso nell’elaborazione di informazioni, controllo
insufficiente dei comportamenti impulsivi legati a forti emozioni positive e
negative, difficoltà nell’organizzare e coordinare attività per raggiungere un
obiettivo durante uno stato emotivo intenso e la tendenza a dissociare in una
35. 31
situazione di forte stress (Linehan, 2014). Il disturbo borderline di personalità è
associato a una minore consapevolezza e chiarezza emozionale (Leible, & Snell,
2004); una minore abilità nel tollerare il distress (Gratz, Rosenthal, Tull, 2006);
l’utilizzo di autolesionismo come strategia di regolazione emozionale in risposta
a situazioni stressanti (Wuppermann, Neumann, Withman, Axelrod, 2009); e
deficit nella capacità di utilizzare il reappraisal per regolare le emozioni (Schulze,
Domes, Kruger, 2011).
Per quanto riguarda i disturbi dell’umore molte ricerche mostrano che la
depressione è ampiamente concettualizzata come conseguente alla
disregolazione emozionale (Gross, & Munoz, 1995; Kring, & Werner, 2004).
Infatti, ricerche hanno dimostrato che gli individui depressi hanno difficoltà
nell’identificazione delle emozioni (Rude, & McCarthy, 2003); nell’accettare e
tollerare le emozioni negative (Campbell-Sills, Barlow, Brown, & Hofmann, 2006);
e nell’utilizzo di tecniche adattive di regolazione emozionale (Ehring, Fischer,
Schnulle, Bosterling, & Tuschen-Caffier, 2008). Infatti, studi hanno trovato che è
caratterizzata da un maggiore uso di ruminazione come strategia rispetto all’uso
di reappraisal e che l’uso di questa strategia potrebbe essere un fattore di rischio
per l’esordio del disturbo depressivo maggiore (Joormann, & Siemer, 2014).
Anche per quanto riguarda il disturbo bipolare l’utilizzo della strategia di
ruminazione è maggiore, ma questa volta sia in risposta a emozioni negative
durante episodi depressivi, sia positive durante episodi ipomaniacali e maniacali,
diventando perciò causa dell’esordio di questi episodi (Johnson, 2005). Studi
hanno trovato che gli individui con disturbi d’umore presentano deficit nel
controllo cognitivo e questo può portare a esperire stati emotivi molto intensi
(Joormann & Gotlib, 2008, 2010; Power, Dalgleish, Claudio, Tata, and Kentish,
2000).
Uno dei fattori principali nell’uso di alcol e droghe è la difficoltà ad affrontare le
emozioni negative (Baker, Piper, McCarthy, 2004); l’abuso di queste sostanze è
stato associato a uno sforzo per regolare o evitare le emozioni negative (Berking,
Margraf, Ebert, Wupperman, Hofmann, & Junghanns, 2011; Baker et al, 2004;
Cooper, Frone, Russell, & Mudar, 1995). I disturbi correlati all’uso di sostanze
spesso sono in comorbidità con altri disturbi mentali, soprattutto disturbi d’ansia
e dell’umore, ossia disturbi che presentano difficoltà nella regolazione
36. 32
emozionale (Kober, & Bolling, 2014). Dagli studi è emerso, inoltre, che le abilità
nella regolazione emozionale ha un ruolo importante nell’eziologia e nel
mantenimento di questi disturbi: Mischel, Ayduk, Berman, Casey, Gotlib (2011)
hanno suggerito che le differenze individuali nella regolazione emozionale che si
manifestano all’inizio dell’età prescolare può anticipare lo sviluppo di disturbi
legati all’uso di sostanze, la disregolazione può quindi essere considerato un
fattore di rischio.
Per quanto riguarda i disturbi alimentari alcuni studi hanno suggerito che i sintomi
rappresentano dei tentativi disfunzionali di regolare o sopprimere le emozioni
negative (Fairburn, Cooper, & Shafran, 2003; Smyth, Wonderlich, Heron,
Sliwinski, Crosby, et al., 2007). Nella maggior parte di questi disturbi sono emerse
delle difficoltà con la consapevolezza emotiva (Svaldi, Caffier, & Tuschen-Caffier,
2010), la tendenza ad evitare le emozioni e una scarsa abilità nell’accettazione e
gestione delle emozioni (Corstorphine, Mountford, Tomlinson, Waller, & Meyer
2007).
Per quanto riguarda la relazione tra disregolazione emozionale e disturbi d’ansia,
gli studi hanno trovato che gli individui con disturbi d’ansia sono caratterizzati da
pattern disadattivi di regolazione emozionale (Cisler et al., 2010). Gli studi su
questa relazione si sono concentrati maggiormente sul disturbo d’ansia
generalizzata (DAG) (Amstadter, 2008). Secondo il modello di Mennin, Turk,
Heimberg, & Carmin (2004) gli individui con questo disturbo provano le emozioni
in modo rapido, semplice e con un’alta intensità, perciò questa reattività
emozionale porta a una difficoltà nel regolare le emozioni, aggravata dalla
difficoltà che hanno questi individui nell’identificare e comprendere le emozioni.
Kashdan et al. (2008) trovarono che la non accettazione delle emozioni e il
limitato accesso alle strategie di regolazione emozionale controlla l’effetto della
sensibilità all’ansia sull’attivazione ansiosa, la preoccupazione e le cognizioni
agorafobiche. Altri studi si sono concentrati sulla regolazione emozionale
disfunzionale nel disturbo di panico, trovando che la paura delle sensazioni
corporee anticipava l’evitamento esperienziale, la non accettazione e la
mancanza di chiarezza delle emozioni (Tull, Rodman, & Roemer, 2008). In
alcune ricerche è emerso che gli individui con ansia sociale hanno dei deficit
nell’identificazione delle emozioni e nel descriverle (Cox, Swinson, Schulman, &
37. 33
Bourdeau, 1995). Inoltre, gli individui con ansia sociale si impegnano nel tentativo
di sopprimere l’espressione delle emozioni positive, probabilmente come
strategia per evitare di essere al centro dell’attenzione o per proteggersi dal
sentirsi feriti se i loro sentimenti non venissero ricambiati dagli altri (Turk,
Heimberg, Luterek, Mennin, & Fresco, 2005). In uno studio di Fergus e Bardeen
(2014) emerse che i sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo fossero associati
a soppressione espressiva, difficoltà a inibire comportamenti impulsivi quando
sono presenti emozioni negative e mancanza di chiarezza sulle emozioni. Gli
autori di questo studio suggerirono che la regolazione emozionale potesse
incidere sul grado in cui i pensieri intrusivi causano stati emotivi negativi
prolungati (Fergus, & Bardeen, 2014). Cisler et al. (2010) hanno spiegato che
l’utilizzo di strategie disadattive cronico e non flessibile porta a uno stato
permanente di paura/ansia nel tempo e che l’evitamento cronico porta ad una
compromissione funzionale caratteristica dei disturbi d’ansia.
2.3.1 LA DISREGOLAZIONE EMOZIONALE E IL DISTURBO DA ACCUMULO
Le ricerche hanno dimostrato che disturbi che spesso sono in comorbidità con il
DA sono associati all’uso di strategie non adattive come la soppressione
espressiva (Taylor et al., 2018). Ad esempio, Fergus e Bardeen (2014) hanno
trovato che i sintomi del DOC si associano a questa strategia e D’Avanzato,
Joormann, Siemer, & Gotlib (2013) hanno trovato che gli individui depressi
utilizzano più frequentemente questa strategia rispetto al reappraisal. Nonostante
ciò, osservazioni cliniche hanno suggerito che l’atto di conservare oggetti è un
modo di posporre l’atto di prendere decisioni e di evitare le emozioni negative
associate a queste decisioni (Frost & Hartl, 1996). La differenza tra individui non
clinici e individui con DA sembra essere nell’avversione percepita dell’esperienza
emotiva, suggerendo che gli individui con DA hanno maggiori difficoltà nel
comprendere e regolare le emozioni (Phung, Moulding, Taylor, & Nedeljkovic,
2015). Infatti, Fernandez De la Cruz, Landau, Iervolino, Santo, Pertusa e Mataix-
Cols (2013) trovarono che gli individui con DA avevano alti livelli di difficoltà nella
regolazione delle emozioni rispetto al gruppo di controllo. Timpano, Shaw,
Cougle, e Fitch, (2014) hanno esaminato per la prima volta le percezioni e i
pensieri che riguardano le emozioni negative in relazione al DA: i risultati hanno
portato numerose conferme alle ricerche che vedevano gli accumulatori come
meno tolleranti verso le situazioni di stress rispetto ai gruppi di controllo; inoltre
38. 34
hanno trovato che gli accumulatori vedono le emozioni come più pericolose e
minacciose rispetto al gruppo di controllo e che essi usano l’evitamento non per
la paura di certe emozioni, ma per la percezione che hanno di non riuscire a
tollerare tali emozioni. Per questo motivo, i costrutti relativi alla regolazione
emozionale nel campo del DA che sono stati studiati finora sono quelli relativi
all’abilità di tollerare le emozioni, ossia la SA, la tolleranza al distress, l’impulsività
negativa e la reattività emotiva (Coles, Frost, Heimberg, & Steketee, 2003;
Timpano et al., 2014; Shaw, Timpano, Steketee, Tolin & Frost, 2015). Coles et
al. (2003) trovarono una forte relazione tra il DA e la SA, in un campione non
clinico di 563 studenti universitari: loro evidenziarono come il costrutto di SA
poteva contribuire alla difficoltà nel disfarsi degli oggetti causata dell’evitamento
delle emozioni negative associate. Infatti, in questo studio viene dimostrato che
gli alti livelli di SA possono essere un fattore che contribuisce all’evitamento nel
disfarsi degli oggetti presente negli individui con DA. Inoltre, da questo studio è
risultato che alti livelli di SA renderebbero l’evitamento di uno stato emotivo
spiacevole un rinforzo più potente; perciò, la SA può essere considerata un
fattore di vulnerabilità per il comportamento d’accumulo (Coles et al., 2003). Gli
stessi autori affermano che osservazioni cliniche hanno rivelato che, nel
momento in cui gettano degli oggetti, gli individui con comportamento d’accumulo
spesso esibiscono reazioni di dispiacere e sentimenti di perdita, che
probabilmente producono delle sensazioni di sconforto e forse stimolano il timore
di perdere il controllo (Coles et al., 2003). Anche Timpano, Buckner, Richey,
Murphy, & Schmidt (2009) trovarono, con tre studi basati su un campione non
clinico di studenti universitari, che la sensibilità all’ansia era un indicatore di
gravità dei sintomi di DA ed era maggiormente associata alla difficoltà a gettare
via gli oggetti. Nel complesso, questi studi avevano l’obiettivo di trovare un
supporto per l’ipotesi che alti livelli di SA e bassi livelli di tolleranza al distress
possono essere degli importanti fattori di vulnerabilità per i comportamenti
disadattivi di accumulo. Per prima cosa, nel primo studio gli autori hanno replicato
i risultati dello studio di Coles et al. (2003), ossia che la SA e i comportamenti
d’accumulo sono in relazione considerando un campione di studenti. Inoltre, i loro
risultati indicarono che la relazione tra SA e sintomi ossessivi-compulsivi senza
la presenza di hoarding non era significativa, dimostrando che la SA è una
caratteristica propria del comportamento d’accumulo (Timpano et al., 2009).
39. 35
Anche Medley, Capron, Korte e Schmidt (2013) trovarono un’associazione tra
sensibilità all’ansia e DA, in particolare tra il disturbo e il fattore del costrutto
riguardante le preoccupazioni fisiche in un campione di 279 studenti e 210
individui clinici. Inoltre, esaminando la relazione tra SA e specifici aspetti di
hoarding, i risultati hanno indicato che la difficoltà a disfarsi degli oggetti era la
componente più associata alla SA (Medley et al., 2013).
Un’altra relazione tra regolazione emozionale e DA è rappresentata dal costrutto
di reattività emotiva, che raggruppa in sé la sensibilità agli stimoli emotivi,
l’intensità delle emozioni, e la durata dello stato emotivo (Nock et al., 2008): Shaw
et al. (2015) hanno messo in relazione fattori cognitivi e reattività emozionale e
hanno trovato che sia la paura di prendere una decisione, sia la scarsa fiducia
nella propria memoria interagiscono con la reattività emotiva, portando ad un
peggioramento dei sintomi del DA. Questo studio ha utilizzato un nuovo modello
immaginativo chiedendo agli individui di immaginare come si sentono quando si
disfano di certi oggetti e misurando le reazioni emotive di questi, con l’obiettivo di
esaminare la relazione tra i sintomi di DA e le reazioni emotive sia generali che
relative al costrutto di hoarding e di analizzare l’interazione tra i livelli di reattività
emozionale e la paura nel prendere una decisione e la fiducia nella propria
memoria. Infatti, è il primo studio che considera come la reattività emozionale
interagisce con i fattori cognitivi implicati nell’hoarding nel portare a specifici
sintomi (Shaw et al., 2015). Tenendo in considerazione le emozioni negative,
reazioni emozionali più intense erano associate a una maggiore difficoltà a
disfarsi degli oggetti e a una maggiore acquisizione, ma non a un maggiore
disordine (Shaw et al., 2015). Questi autori trovarono che la paura nel prendere
decisioni interagiva con la reattività emozionale anticipando i sintomi di hoarding;
inoltre, trovarono che la reattività emozionale interagiva con la fiducia nella
propria memoria portando a un’eccessiva acquisizione ma non a difficoltà nel
disfarsi degli oggetti (Shaw et al., 2015). Questo studio a confermato quello di
Timpano et al., (2014) che, tramite uno studio di un ampio campione non clinico
di studenti universitari, hanno esaminato l’intensità delle emozioni e la tolleranza
a queste mostrando una serie di clip con contenuto emotivo e, in seguito, facendo
completare un compito comportamentale computerizzato di tolleranza al distress
ai partecipanti. Gli autori trovarono che la componente di acquisizione era
collegata a una più grande intensità emozionale di tristezza, disgusto,
40. 36
frustrazione, ansia e irritazione; al contrario, la difficoltà nel disfarsi degli oggetti
era collegata a un più alto livello di paura e ansia (Timpano et al., 2014).
Lo stesso studio ha dimostrato che la tolleranza al distress poteva essere una
variabile aggiuntiva che agisce come fattore di vulnerabilità per i comportamenti
di DA. Timpano et al. (2014) studiando la relazione tra tolleranza al distress e
DA, trovarono che l’hoarding era consistentemente associato alle difficoltà nel
provare e tollerare emozioni negative. Questi risultati erano particolarmente
evidenti quando si comparava gruppi con alti livelli di hoarding con quelli con
bassi livelli (Timpano et al., 2014). Inoltre, gli autori trovarono che l’hoarding era
associato alla valutazione delle emozioni come pericolose e minacciose. Questi
risultati suggerirono che l’evitamento nell’hoarding può non essere collegato solo
alla paura di certe emozioni ma anche alla percezione di non essere in grado di
tollerare tali emozioni (Timpano et al., 2014). Questo risultato è in linea con altri
studi sulla tolleranza al distress che hanno dimostrato un collegamento tra
convinzioni di non avere abbastanza capacità nell’affrontare situazioni stressanti
e l’evitamento (Clen, Mennin, & Fresco, 2011; Leyro et al., 2010). Nonostante le
misure comportamentali di tolleranza al distress non rivelarono nessuna
associazione tra hoarding e compito di tolleranza al distress, questo risultato
potrebbe essere dovuto a una percezione di bassa tolleranza al distress senza
alcun deficit comportamentale reale; oppure potrebbe essere dovuto al fatto che
quello specifico campione non ha trovato il compito troppo stressante; oppure al
fatto che la difficoltà comportamentale di tolleranza al distress è dominio-
specifica e emerge solo se gli individui completano un compito legato all’hoarding
(Timpano et al., 2014). Lo studio di Timpano et al. (2014) replicò i risultati riportati
precedentemente dallo studio di Timpano et al. (2009), ossia che gli individui con
più sintomi di hoarding ottenevano più bassi livelli di tolleranza al distress
(Timpano et al., 2009). Quest’ultimo studio è il primo a esaminare la relazione tra
tolleranza al distress e comportamento di accumulo. Da questo studio emerse
che la componente di coinvolgimento, relativa alla tolleranza al distress, era
associata molto di più all’hoarding che ai sintomi di depressione, ansia e DOC
senza hoarding: il coinvolgimento si riferisce a quando un individuo si sente
completamente sopraffatto e assorto nell’esperienza di distress; alti livelli di
coinvolgimento implicano che l’individuo non può focalizzarsi su qualcosa al di
fuori della situazione stressante (Timpano et al., 2009). Perciò, secondo questo
41. 37
studio, l’hoarding può rappresentare una modalità di affrontare l’intolleranza al
distress, ossia il conservare e, in particolare, i comportamenti di acquisizione
sono un tentativo di regolare le emozioni stressanti. In questo senso, l’hoarding
è una forma di disregolazione emozionale (Timpano et al., 2009). Nel loro terzo
studio trovarono che gli individui con alti livelli di SA e bassa tolleranza al distress
dimostravano un più alto grado di comportamenti di accumulo, dimostrando che
probabilmente la componente di intolleranza al distress potrebbe essere solo un
fattore di vulnerabilità dell’hoarding (Timpano et al., 2009).
Un altro costrutto collegato al DA è l’impulsività negativa che riguarda la tendenza
a compiere azioni avventate e riprovevoli al fine di alleviare gli stati emotivi
negativi (Whiteside, & Lynam, 2001). Questo costrutto è una delle cinque
dimensioni che sono state identificate nel concetto di impulsività (Whiteside &
Lynam, 2001); le altre dimensioni sono: la tendenza a compiere comportamenti
impulsivi durante esperienze emotive positive, mancanza di premeditazione,
mancanza di perseveranza e ricerca di sensazioni forti. Tuttavia, la dimensione
di impulsività negativa è considerata quella più vicina al costrutto di regolazione
emozionale (Taylor et al., 2018). Diversi studi hanno dimostrato che negli
individui con DA sono presenti deficit nell’auto-controllo e comportamenti
impulsivi avventati (Fitch & Cougle, 2013; Timpano & Schmidt, 2010, 2013).
Inoltre, Timpano, Rasmussen, Exner, Rief, Schmidt e Wilhelm (2013) trovarono
che l’impulsività negativa e la mancanza di perseveranza erano associate
positivamente con i punteggi relativi al DA. Phung et al. (2015), tramite uno studio
su campione non clinico, trovarono un’associazione positiva moderata tra sintomi
di DA e impulsività negativa e una correlazione moderata tra questo costrutto e
le credenze relative all’attaccamento emotivo degli oggetti. Alti livelli di impulsività
negativa possono essere visti come l’aspetto attivo della scarsa regolazione
emozionale nel DA, portando quindi alla connessione tra intolleranza alle
emozioni e evitamento: quando un individuo non è in grado di affrontare le
emozioni negative associate alla decisione di gettare via un oggetto, alti livelli di
impulsività negativa possono portare al bisogno di agire, aumentando la
tendenza a evitare il compito di gettare via e focalizzandosi su altre attività
(Phung et al., 2015). In questo studio, Phung et al. (2015) trovarono che alti livelli
di SA erano associati a sintomi più gravi di hoarding; mentre per quanto riguarda
la tolleranza al distress non è stata trovata un’associazione significativa in questo
42. 38
studio, ma è possibile che il contributo della tolleranza al distress sia compreso
nel costrutto di impulsività negativa (che include l’intolleranza agli stati emotivi
negativi) e al costrutto di SA (l’ansia potrebbe essere una forma di distress). In
conclusione, le credenze relative all’attaccamento emotivo agli oggetti fanno da
mediatore tra la regolazione emozionale, con i costrutti legati ad essa di
sensibilità all’ansia, tolleranza al distress e impulsività negativa, e i sintomi del
DA (Phung et al. 2015).
Infine, tutti i tre sintomi del DA e le credenze legate a questo disturbo sono
positivamente associate alle difficoltà nella regolazione emozionale, suggerendo
che maggiore è la disregolazione emozionale, maggiore è la difficoltà a gettare
via gli oggetti, l’acquisizione eccessiva e maggiori sono i livelli di disordine (Taylor
et al., 2018).
43. 39
CAPITOLO 3. LA RICERCA
3.1 Ipotesi e scopi della ricerca
La presente ricerca si è posta come obiettivo generale di analizzare se fosse
presente la relazione tra le caratteristiche del costrutto multidimensionale della
disregolazione emozionale e il DA, mettendo a confronto due gruppi divisi per la
presenza o assenza di caratteristiche del DA. Perciò gli obiettivi specifici di
questa ricerca erano:
1. Confrontare le risposte emotive e cognitive, di due gruppi che si
distinguono per la presenza o l’assenza di caratteristiche appartenenti al
DA, a test che indagano il costrutto di hoarding, disregolazione
emozionale, le componenti di ansia, depressione e sintomi ossessivo-
compulsivi.
2. Analizzare la relazione tra le caratteristiche del DA, i livelli di reattività
emozionale, il livello di tolleranza al distress emotivo, la capacità di
regolazione emozionale e le credenze relative agli oggetti.
3. Confrontare l’intensità di stati d’ansia ed emozioni negative nei due
gruppi, tramite l’utilizzo di strumenti self-report.
4. Analizzare l’andamento degli stati d’ansia e delle emozioni negative
nell’arco di una settimana tramite questionari di stato e schede di auto-
monitoraggio.
Sulla base dei dati presenti in letteratura sono state avanzate le seguenti ipotesi:
Ipotesi 1. La presenza di maggiori caratteristiche di hoarding, disregolazione
emozionale e componenti d’ansia e depressione nel gruppo di individui con
sintomi di DA, rispetto all’altro gruppo.
Ipotesi 2. Una diminuzione della tolleranza al distress e della capacità di
regolazione emozionale, un aumento del livello di reattività emozionale e delle
credenze disfunzionali riguardanti gli oggetti, in relazione all’aumento dei sintomi
di DA, riscontrabile attraverso questionari self-report.
Ipotesi 3. Una maggiore intensità di stati d’ansia e di emozioni negative nel
gruppo di individui con caratteristiche di DA, rispetto all’altro gruppo.
Ipotesi 4. L’esperienza di emozioni negative decresce in entrambi i gruppi nel
corso di una settimana, successivamente all’essersi disfatti dell’oggetto
44. 40
3.2 Partecipanti
Hanno partecipato volontariamente a questa ricerca 373 partecipanti con età
compresa tra i 25 e i 60 anni, reclutati tramite annunci cartacei e modalità snow-
ball; tra questi sono stati selezionati in base al punteggio ottenuto al test Saving
Inventory-Revised (High-Hoarding Disorder; H-HD >36 punti; Low-Hoarding
Disorder; L-HD < 6 punti) 40 individui per la seconda fase con età media di
34,83 anni (deviazione standard; DS= 11,85) e frequenza scolastica media di
15,47 anni (DS= 3,37), di cui: 21 (52,5%) maschi e 19 (47,5%) femmine; 19
(47,5%) occupati a tempo pieno, 5 (12,5%) a tempo parziale, 8 (20%) studenti,
5 (12,5%) precari, 2 (5%) casalinghi, 1 (2,5%) altro; 23 (57,5%) single/non
conviventi, 16 (40%) sposati/conviventi, 1 (2,5%) separato; 8 (20%) hanno
ottenuto una consulenza per un problema psicologico; tutti di nazionalità italiana
e di madrelingua italiana. Nelle analisi descrittive verranno esposte le frequenze
e le percentuali dei due campioni per quanto riguarda il genere, l’occupazione,
lo stato civile. Per quanto riguarda i problemi psicologici: 2 individui del gruppo
L-HD affermano di averne fatto esperienza, mentre nel gruppo H-HD 6 individui.
Un solo individuo prende farmaci antistaminici regolarmente.
3.3 Materiali
Saving Inventory – Revised (SI-R; Frost, Steketee & Grisham, 2004; ed.
italiana a cura di Novara, Bottesi, Dorz, Pastore, 2013): Il Saving Inventory-
Revised (Frost et al., 2004; versione italiana a cura di Novara et al., 2013) è uno
strumento utile a valutare i sintomi dell’accumulo compulsivo sia in campioni
clinici che non clinici. Esso è composto da 23 item su una scala Likert a 5 punti
(0- Nessuno; 1-Un poco; 2-Abbastanza; 3-Molto; 4-Quasi tutto); dall’analisi
fattoriale sono stati identificati 3 fattori: Ingombro (9 item), Difficoltà a disfarsi degli
oggetti (7 item) e Acquisizione (7 item). Il primo fattore rappresenta l’incapacità
di tenere sotto controllo il disordine negli spazi vitali, un esempio di item è:
“quanto spesso non fa uso di alcune parti della sua casa perché ingombrate dalle
cose che ha accumulato?”; il secondo fattore esprime l’incapacità di disfarsi degli
oggetti, un esempio di item è: “quanto disagio le causa buttare via qualcosa?” il
terzo fattore ritrae l’impulso di acquisire nuovi oggetti, un esempio di item è:
“quanto forte è l’impulso di comprare o impossessarsi di cose di cui non ha un
45. 41
immediato bisogno”. La validità di costrutto, convergente e discriminante, è molto
buona e la consistenza interna della versione ridotta è molto alta (α=0.92), inoltre
i coefficienti alpha di Cronbach per le tre sottoscale eccedono lo 0.87 (Frost et
al., 2002). La versione italiana presenta anch’essa una buona validità di costrutto
e convergente (indice di correlazione r = da 0.50 a 0.75 con test che misurano lo
stesso costrutto) e una buona coerenza interna sia della scala totale (α=0.88) sia
delle sottoscale: Ingombro (α=0.83); Difficoltà a disfarsi degli oggetti (α=0.80) e
Acquisizione (α=0.79). L’affidabilità test-retest a due settimane è risultata nel
complesso buona (Totale r=0.81; Ingombro r=0.74; Difficoltà a disfarsi degli
oggetti r=0.79; Acquisizione r=0.82) (Novara et al., 2013). Sulla base del
campione considerato in questa ricerca è emerso un coefficiente di affidabilità
interna α di Cronbach= 0.98 per il punteggio totale, mentre per le sottoscale:
Ingombro, α=0.95; Difficoltà a disfarsi degli oggetti, α=0.97; Acquisizione, α=0.92.
Hoarding Rating Scale (HRS; Tolin, Frost & Steketee, 2010): per questa
ricerca è stata utilizzata la Hoarding Rating Scale (Tolin, Frost & Steketee, 2010)
nella versione self-report; essa misura le caratteristiche di accumulo (ingombro,
difficoltà a disfarsi degli oggetti, acquisizione, distress e livello di
compromissione) con 5 item su scala Likert a 9 punti (da 0 a 8). Ogni item
rappresenta una sotto-scala. L’Hoarding Rating Scale – Self Report è uno
strumento breve e veloce con un’alta consistenza interna (α=0.97) e una buona
affidabilità test-retest (r=0.85-0.94 per ogni item; r=0.96 per il punteggio totale)
che permette di misurare la presenza e la gravità del comportamento di accumulo
(Tolin et al, 2010); inoltre ha un’ottima validità convergente (con indice di
correlazione r tra 0.54 e 0.94 con misure che indagano il costrutto di hoarding) e
discrimina tra individui con o senza disturbo da accumulo. Un esempio di item è:
“in che misura ha difficoltà a liberarsi di cose o di oggetti comuni (anche
riciclando, vendendo o regalando) di cui altre persone di sbarazzerebbero?”.
Sulla base del campione considerato è emerso un coefficiente di affidabilità
interna α=0.93. range di validità
Saving Cognitions Inventory (SCI; Steketee, Frost & Kyrios, 2003): questo
strumento è stato sviluppato per esaminare le convinzioni sottostanti al
comportamento di accumulo (Steketee, Frost & Kyrios, 2003). L’analisi fattoriale
ha prodotto 4 fattori che formano le seguenti sottoscale: Emotional Attachment