1. Cosa vuol dire essere malato La malattia è un evento stressante nei confronti del quale l’individuo reagisce utilizzando uno o più “meccanismi di difesa” che, minimizzando, negando o rimuovendo la realtà , gli rendono possibile tollerare la situazione che altrimenti rischierebbe di annientarlo. Va detto per inciso che la malattia è per le persone quasi sempre accompagnata dal terrore della disgregazione, cioè della morte. Non a caso molte “malattie” sono considerati solo “malanni”, ad esempio i reumatismi che non sono considerati delle malattie vere perché non portano a morte, mentre altre, come il mal di cuore, sono alternativamente considerate “malattia” o “malanno”.
2. I meccanismi di difesa Prenderemo ora in considerazione quattro possibili meccanismi di difesa che appaiono riassuntivi di tutti gli altri. I meccanismi di difesa, infatti, possono essere molti, presentarsi anche intrecciati fra di loro o essere tipici del singolo individuo. Sta all’operatore sanitario riconoscere come essi appaiono nel singolo individuo in modo da trovare il modo di utilizzarli per aiutare la persona malata .
3. 1. La regressione nasce dal fatto di dover dipendere dagli altri durante la malattia. Il malato in questo caso diventa come un bambino e se è forse anche giusto incoraggiare nei primi periodi questo aspetto, perché così il malato può accettare il nuovo stato di dipendenza, in seguito l’operatore dovrà riuscire a far recedere la persona da questa condizione, pena la difficoltà di ripresa dello stato di salute. E’ il caso, ad esempio, di molte persone anziane che stentano a riprendersi dopo cadute o fratture, che non vogliono più alzarsi, che passano il tempo a dormire.
4. 2. La formazione reattiva nasce dal senso di persecuzione originato dal fatto di dover dipendere dagli altri durante la malattia. Il senso di persecuzione rende aggressive le persone nei confronti di chi sta loro intorno. E’ il caso del malato che diventa polemico, mai contento, esigente e che colpevolizza tutti per il suo male.
5. 3. La proiezione consiste nell’attribuire ad altri i propri pensieri, sentimenti o paure. Le persone che utilizzano questo meccanismo sostengono in genere di esser stati costretti dalle ingiustificate paure degli altri a farsi visitare, a mettersi a letto, a entrare in ospedale. Sono soprattutto quelli che dichiarano di aver fatto tutto per far felici gli altri, per farli star zitti perché si tranquillizzassero. Oppure sono coloro che possono attribuire i loro sintomi ad altri preoccupandosi per quei poveretti che stanno “tanto peggio di loro” anche se ciò non è assolutamente vero.
6. 4. La negazione consiste nel negare o aspetti della malattia o addirittura la malattia stessa. Le persone che utilizzano questo meccanismo sono in genere persone assai informate sui loro mali di cui parlano con tono dotto e distaccato.
7. Oltre a utilizzare i meccanismi di difesa le persone possono reagire allo stress della malattia con uno “stile personale”. In particolare esse possono:
8. Minimizzare la malattia e quindi letteralmente non ascoltare ciò che l’operatore dice loro perché non credono o non possono credere alla reale gravità della m alattia , ciò fa anche parte della paura di dover rispondere alla domanda: “ perché proprio a me?”. In questo caso si cercheranno rassicurazioni più che spiegazioni, e l’ammalato, pur non avendo ascoltato l’operatore, anzi per tagliar corto a ogni spiegazione ulteriore, seguirà alla lettera le prescrizioni senza chiedersi nulla in proposito.
9. Al contrario, può capitare che essi vogliono sapere tutto, che siano “vigili” nei confronti delle parole e delle azioni degli operatori, che sospettino continuamente di venire ingannati, quasi volessero con la loro solerzia tenere tutto sotto controllo e riuscire così ad arginare il male.
10. E’ interessante notare che alcune ricerche tendenti a collegare il decorso post-operatorio, la degenza successiva, i tempi di ripresa delle persone con meccanismi difensivi da loro adottati nei confronti della prospettiva di un’operazione hanno mostrato che le persone più terrorizzate o, al contrario, quelle che non mostravano alcun segno di preoccupazione (vale a dire negavano il problema) erano anche quelle che si riprendevano peggio dopo l’operazione stessa. Mentre reagivano meglio coloro che prima dell’operazione dimostravano di essere “moderatamente preoccupati”.
11. Ciò dovrebbe far riflettere gli operatori sulla possibilità ch e rassicurare il paziente o minimizzare i problemi può contribuire ad incoraggiare nel paziente la negazione delle preoccupazioni. Tale pratica che, apparentemente, semplifica il lavoro dell’operatore stesso che non si trova continuamente bersagliato da domande, richieste e manifestazioni di ansia che possono rendere il suo lavoro più faticoso ed angosciante, in realtà finisce col ricadere su lui stesso perché il malato farà più fatica a riprendersi. Adattato da S.Kani t za, Pedagogia ospedaliera. L’operatore sanitario e l’assistenza al malato , La Nuova Italia scientifica, Roma,1992, pp. 55-56.