1. La notizia pungente!
Speciale: Tesina di Maturità
Giornalino degli studenti del Liceo scientifico “Galeazzo Alessi” PG
“Dobbiamo andare nel mondo congiuntivo dei mostri, dei demoni e dei clown, della crudeltà e della poesia, per
dare un senso alle nostre vite di ogni giorno, guadagnando il nostro pane quotidiano”
Victor Turner
Editoriale
Serie TV:
Salve a tutti!
Inizio dicendo subito che no,
non è il 23esimo numero de
“La Siringa”. Mi sono preso,
infatti, la libertà di creare questo “numero” per la mia tesina
di maturità. Proprio così! Qui
dentro troverete, dunque,
diversi articoli uniti tra loro da
un filo logico e da un determinato argomento: le serie televisive e come queste influenzino
la vita quotidiana e la cultura.
Ho scelto questo tema in quanto io stesso sono un amante
del cinema e delle serie TV, e
penso che non avrei potuto
scegliere qualcosa che mi rappresentasse meglio. Inoltre,
essendomi sempre interrogato
sul modo in cui la serialità ci
influenzasse e sulla sua importanza e conseguenza storica,
ho colmato, se non totalmente,
almeno in parte la mia curiosità e dato totale libertà al mio
interesse per questo tema al
fine di ottenere i migliori risultati possibili.
Per capire come, appunto, le
serie Tv ci influenzano ho
suddiviso gli articoli in 3 sezioni. Nella prima sezione parlerò
di come le serie tv creino un'illusione e del perchè l'uomo
avverte il bisogno di fare esperienza attraverso di esse. Nella
seconda parte, invece, parlerò
di come esse influenzano la
nostra vita e infine nella terza
ci saranno diversi articoli basati
su dei collegamenti con le
materie scolastiche e sui vari
aspetti di questo mondo cinematografico. Insomma, spero
di essere riuscito a creare qualcosa di bello e interresante, e,
chissà, magari anche utile.
Rusnac Dan V F
Come influenzano la vita quotidiana delle persone?
Nell’ultimo ventennio le
serie tv hanno iniziato
sempre più a monopolizzare le serate e i pomeriggi televisivi. Quasi tutti
oramai hanno almeno
una serie tv preferita, che
sia “Beautiful”, “Dexter”
o “Chuck”, alla quale
difficilmente possono
rinunciare.
Ma perché sentiamo questa necessità di guardare
i telefilm? Perché continuiamo ad immedesimarci in individui che
sappiamo non esistere,
come anche l’intero mondo in cui si trovano ad
agire e a muoversi? Ed
infine, in che modo la
televisione e la serialità
ci influenza nella nostra
vita quotidiana, dalle
scelte più semplici a quelle più complesse?
Joyce and House M.D.
Pasolini e Popper contro
la televisione
La Pop-Art come conseguenza della televisione?
The writers of Tv shows
always need to renew their
cinematic technique to
bring new audience to look
at their products. But
“renew” doesn’t always
means that you have to
create new techniques. In
fact, there are many writers
and directors of …
Continua a pag. 10
La televisione, dal punto di
vista sociologico, è uno dei
mezzi di comunicazione di
massa tra i più diffusi ed
apprezzati e naturalmente
anche tra i più discussi.
Dalla sua invenzione sono
stati in molti a schierarsi
contro e ad esprimere la
loro indignazione...
Continua a pag. 12
Possiamo considerare la
televisione come fattore
chiave nella nascita della
Pop-Art? In che modo l’ha
influenzata?
Prima di rispondere alla
domanda e capire se, appunto, la Pop-Art può essere
considerata come conseguenza della…
Continua a pag. 14
2. Pilot
“Dobbiamo andare nel
e di riappropriazione, in cui
mondo congiuntivo dei
fare i conti con se stessi, la
mostri, dei demoni e dei
propria collettività e il proclown, della crudeltà e
prio destino. La fantasia, la
della poesia, per dare un
narrazion e, il mito,
senso alle nostre vite di
l’espressione artistica, il
ogni giorno, guadagnando
rito… sono tutte forme di
il nostro pane quotidiano”.
accesso a questa dimensioCosi Victor Turner conclude
ne intermedia, che segna
From Ritual to theatre. The
profondamente i modi
Human Seriousness of Play,
dell’esperienza umana, fin
forse una delle sue opere
dai primi passi. Già da bampiù belle, rimarbini, infatti,
cando la necessi- È il luogo della pos- cominciamo
tà, per l’uomo, di sibilità, della simbo- ad
abitare
abitare uno spa- lizzazione, del gioco; uno spazio di
zio potenziale, e diventa un po’ alla tr an sizione
“ c o n g i u n t i v o ” volta terreno di co- tra la fantasia
sospeso tra realtà
e la realtà,
e immaginazio- struzione della no- popolato da
stra identità.
ne, oggettività e
oggetti
e
soggettività, aziopersonaggi
ne e riflessione, in cui poche sono al contempo repetersi sottrarre al fluire incesriti al nostro interno (e dunsante degli eventi, per rigeque richiamabili a volontà e
nerarsi e dare un senso
padroneggiabili, quasi fosseall’esistenza di tutti i giorni.
ro creati da noi stessi) e
Un mondo interstiziale, di
trovati fuori di noi (e duncreatività e di ristrutturazioque dotati di una propria
ne, di perdita
autonomia). È il luogo della
possibilità, della simbolizzazione, del gioco; e diventa
un po’ alla volta terreno di
costruzione della nostra
identità. Si cessa poi di essere bambini, ma questo interstizio vitale tra sé e mondo
resta; e l’intera sfera fantastica, estetica e rituale è
chiamata in causa per riempirlo.
Lo spettacolo - ponendosi al
crocevia tra espressione
artistica, rito, racconto, mito, performance scenica,
gioco - è sempre stato una
delle più fertili “terre di
mezzo” tra vita vissuta e vita
pensata, tra partecipazione
diretta e riflessione. Un
tempo e un luogo di sospensione dalla realtà, e
tuttavia sempre a ridosso di
questa, in cui e attraverso
cui dar senso alle cose.
Un’esperienza intermedia
tra la condizione in cui siamo e quella in cui dobbiamo essere (le necessità della
vita: le regole sociali, i valori
della comunità, ma soprattutto gli accidenti
dell’esistenza, il dolore, la
morte…). Uno spazio in cui
possiamo, anche, crescere,
provando senza sperimentare davvero, simulando senza
vivere in prima persona;
spazio potenziale in cui
rinfrancarci, ma anche prepararci all’azione, farci una
ragione di ciò che sembra
non averla. Il tutto con leggerezza, misura e anche con
piacere. Tra tutte le forme
di spettacolo audiovisivo
dove poter far esperienza di
questa dimensione intermedia, ve n’è una che colpisce
particolarmente, per la sua
piacevolezza, ma anche per
la sua efficacia simbolica. Sa
infatti generare esperienze
forti, intense sotto il profilo
percettivo, cognitivo ed
emotivo, inducendo tuttavia
una sospensione facile, non
impegnativa, gradevole. È la
forma dell’illusione.
Je sais bien, mais quand meme
L’illusione non è semplice
da descrivere e ancor meno
da spiegare, ma è facilissima
da provare. Basta, infatti,
sedersi sul proprio divano,
oppure in un cinema, e
gustarsi un bel film o una
puntata di una serie televisiva. Essere trasportati in un
mondo,collocati nel cuore
delle cose, in posizione di
privilegio. Fare conoscenza
con un personaggio e cominciare a condividere il
suo punto di vista sulle cose
e le sue motivazioni; ad
approvare le sue azioni e a
fare il tifo perché abbiano
successo; a provare le sue
emozioni o , comunque,
a vibrare in sintonia con lui.
Sentirsi a posto se le cose
vanno come secondo noi
devono andare; e viceversa
provare ansia e, talvolta,
paura o tristezza perché
vanno nella direzione opposta. Tutti l’abbiamo provato. E ci siamo divertiti, ci
siamo appassionati, ci siamo
sentiti completamente coinvolti, anche se sapevamo
bene che “non è vero”. Per
qualche tempo abbiamo
vissuto un’altra vita, senza
riserve, pur sapendo che
non è la nostra e che non è
neppure una vita reale.
L’illusione offre appunto
un’esperienza proiettiva e ri
-creativa forte, offrendoci
dei viaggi di prim’ordine, in
cui si sperimentano situazioni immaginarie con
l’evidenza della percezione
reale; occasioni preziose in
cui l’uomo-videns (come lo
definisce Giovanni Sartori
nel libro Homo videns)
3. “Il cinema si è saputo porre nella vita moderna come ciò che
la maggior parte delle altre forme d’arte ha cessato di essere:
non un ornamento, ma una necessità” - Erwin Panofsky
può fare esperienza fuori di
sé e , ancor più, fare esperienza di sé fuori dalla propria vita, traendo da questo
percorso anzitutto piacere;
e poi, anche, risorse importanti per la costruzione della sua identità. Per questo
l’illusione, tra tute le forme
del dominio audiovisivo, è
stato ed è di gran lunga
quella dominante.
Ma che cos’è esattamente
l’illusione? Richard Allen ha
definito l’illusione come
quella esperienza per cui
“mentre sappiamo che stiamo vedendo solo un film,
sperimentiamo tuttavia
quel film come un mondo
pienamente realizzato”.¹ È
illusione, appunto, e come
tale non è l’”allucinazione”
di chi scambia il mondo
convocato con quello reale
o lo sguardo della macchina
da preso con il proprio
sguardo; né la piena coscienza di chi mai per un
attimo dimentica che si trova di fronte a una rappresentazione o a un discorso.
È una condizione intermedia tra abbandono e presenza di sé, adesione e distacco
critico, che - seppur alla
lontana - ricorda il cosiddetto “sogno lucido”²; e, anche,
il gioco dei bambini, nel
quale si dà vita a un mondo
sospeso tra coinvolgimento
emotivo e serenità
del “far finta”. Gioco…
come rivela l’etimologia
stessa di illusione, che deriva dal latino “in-ludere”:
entrare in una dimensione
ludica e fantastica, in cui “si
crede senza credere”, sostando nella terra di mezzo
tra realtà e immaginazione.
In generale, credere a qualcosa significa considerare
tale cosa vera, ma nel contempo accettare la possibilità che non lo sia. Tuttavia,
nel caso dell’illusione succede quasi il contrario: non
consideriamo davvero reali i
mondi e i racconti che ci
vengono proposti sullo
schermo eppure, almeno
per certi aspetti, ci comportiamo come se lo fossero. È
un regime di credenza indubbiamente anomalo e
paradossale, sui cui fondamenti si sono interrogati in
tanti (da Barthes a Metz, da
Arnheim a Mannoni, da
Merleau-Ponty a Morin…),
richiamandosi anche alla
riflessione precedente
sull’esperienza funzionale
tout court (Platone, Aristotele, Hume…).
In effetti, come è possibile
provare emozioni forti per
storie che sappiamo fittizie?
Avvertire paura, ansia, tristezza, gioia, ecc., legate al
destino di personaggi nella
cui esistenza non crediamo?
E, di contro, vivere emozio-
ni cosi vivide, eppure non
reagire, come faremmo nella vita reale (si piange, ma
non ci si addolora; si ha
terrore, ma non si scappa…)? E, addirittura, trarre
piacere dal provare proprio
quegli stati d’animo che
nella realtà più temiamo e
rifuggiamo (la paura, l’ansia,
la tristezza…)!? La tradizione teorica oscilla a riguardo
tra l’idea di una sospensione dei giudizi di realtà e di
verità o, perlomeno, di
quella “incredulità” che
dall’esercizio di tali giudizi
scaturirebbe (la “voluntary
suspension of disbelief” di
Samuel Coleridge) e
l’ipotesi, per certi aspetti
opposta, di un rinforzo della credenza (Metz: “Dietro
ogni finzione ce n’è
un’altra: gli avvenimenti
diegetici sono fittizi, e
questa è la prima finzione; ma tutti fanno finta
di crederli veri, ed è la
seconda finzione; e se ne
può trovare anche una
terza: il rifiuto generale
ad ammettere che, in un
angolo recondito di sé, li
si crede veramente reali”
³). In realtà, sappiamo bene
distinguere tra messa in
scena e documento, tant’è
che non proviamo disgusto
per scene di uccisione di
uomini (perché sappiamo
che sono attori) e invece lo
proviamo per la morte di un
animale che vediamo colpito con tutta evidenza davanti all’obbiettivo della cinepresa. Dunque per quanto
risulti strano e paradossale, siamo di fronte ad
uno stato di coscienza
duplice, in cui convivono
e interagiscono due frame che sembrerebbero
incompatibili sotto il profilo logico e psicologico:
so che non è vero / mi
comporto come se lo fosse; resto consapevole / mi
abbandono completamente; non credo / credo. “Je
sais bien, mais quand meme…” (si loso, eppure…),
secondo la celebre formula
di Octave Mannoni.4 Uno
stato di coscienza ambivalente, in virtù del quale aderiamo di fatto al mondo
convocato, come se…
Ma come può accadere che
la visione di un film o di un
telefilm ci trasporti in un
altro mondo e ci faccia vivere esperienze cosi intense?
Perché la comunicazione
per immagini in movimento, e quella illusiva in particolare, è tanto “potente”?
Tanti sono gli elementi in
gioco.
Innanzitutto i testi audiovisivi d’illusione sanno rendere presente un mondo, perché lo costruiscono come
un universo di esperienza
abitabile e vivibile
dall’interno e in prima
persona. Questa infatti è ciò
che distingue un “mondo”
da una semplice visione.
Ma c’è dell’altro. Se c’è affinità, contiguità, tra esperienza di vita ed esperienza
illusiva non è solo perché i
film assomigliano alla vita,
ma anche perché, in un
certo modo, la vita assomiglia ai film. Nel senso che
per fare davvero esperienza
nella nostra vita e della
nostra vita dobbiamo raccontarcela: mettere in fila
gli accadimenti, non solo
sul piano temporale, ma
anche su quello logico e
causale;ricostruire le intenzionalità dei soggetti in campo e le loro motivazioni;
valutare l’incidenza del caso; considerare quel che
4. abbiamo conseguito, quel
che invece abbiamo dovuto
lasciare, quello che avrebbe
potuto essere o che avremmo potuto fare. Insomma,
per trasformare la sempice
“esposizione” in autentico
“vissuto”, dobbiamo raccontare a noi stessi quella storia, unica e inconfondibile,
in cui siamo noi i protagonisti, decidendo da quale punto di vista vedere le cose,
quali tagli apportare, come
giuntare le parti salienti;
insomma, qual “senso” dare
agli eventi. I film e le serie
tv, sotto questo aspetto,
costituiscono una traccia
sempre più importante:
un ricco repertorio di
strutture narrative, ruoli e
Immagine
tratta dalla
serie-tv
“Doctor Who”
modelli con cui confrontarci e a cui ispirare la
nostra lettura delle cose,
e anche una grammatica,
un insieme di regole,
figure e valori da utilizzare nella vita quotidiana.
Note
1
R. Allen, PProjective Illusion. Film
Spectarship and the Impression of Reality,
Cambridge University Press, 1995, p.4.
2
Il “sogno lucido” è un’esperienza particolare di sogno durante la quale si prende
coscienza del fatto di stare sognando e si è
addirittura in grado di esplorare e modificare i contenuti del sogno.
3
C. Metz, Cinema e psicanalisi. Il significante immaginario, op.cit., p.75.
Dall'Io virtuale a quello reale:
l'esperienza dei film e delle serie tv
Dopo tutto ciò che si è detto, una domanda sorge
spontanea: “Perché proviamo questo continuo bisogno di fare esperienza dei
film e delle serie tv, ed in
particolare dell’illusione?”
Aristotele designò con il
termine catarsi (che significa primariamente purificazione, chiarificazione) un
fenomeno psicologico
complesso - attivato
dall’esperienza estetica,
soprattutto drammaturgica che comporta
un’eccitazione e un successivo rasserenamento; e che
al contempo produce
un’illuminazione, una presa
di coscienza. Questo guadagno non è semplicemente
cognitivo: è proprio attraverso l’esperienza emotiva
che lo spettatore arriva a
conoscere e a ri-conoscere.
Le emozioni, si sa, talvolta
possono sviare e distorcere
il giudizio; ma Aristotele
insiste nel dirci che esse
possono anche metterci in
comunicazione con un livello più vero e più profondo
del nostro io, spesso nascosto sotto le nostre raziona-
lizzazioni difensive e dunque inaccessibile al solo
intelletto. A questo livello, è
per noi possibile fare esperienza di ciò che diversamente resterebbe inevitabilmente fuori dall’orizzonte
esistenziale. Non possiamo
infatti realmente comprendere cosa sia la sofferenza
umana dal solo punto di
vista concettuale; e, dunque, se non la proviamo. È
cosi, attraverso
l’allineamento intenso con il
personaggio ci è dato di
vivere l’esperienza dolorosa
in modo vicario, proiettivo,
sperimentando eleos e fobos che sono il turbamento
per le sorti del protagonista
e la paura che esse tocchino
anche a noi. Dopo tale sommovimento, però, la narrazione ci riporta
all’equilibrio, lasciandoci un
guadagno esperienziale,
piacevole quanto il sollievo
dopo un’emozione forte, un
pericolo scampato, o quanto il ricordo di qualcosa di
doloroso che però, per fortuna, non ha lasciato un
segno troppo marcato. Cosa
abbiamo imparato?
(Aristotele parla appunto di
apprendimento - pathei
mathos - ma, come è chiaro,
non si tratta solo di
un’acquisizione concettuale). Abbiamo imparato che
cos’è il dolore, nell’unico
modo possibile, al di là
dell’esperienza diretta, e
cioè partecipando al dolore
altrui (e anche questa sofferenza purifica, chiarifica,
trasforma). Abbiamo imparato a relativizzare la nostra
condizione individuale,
comprendendola nuovamente grazie al rapporto
con l’altro, che si figura
esemplare. Ancora, abbiamo
imparato a riconoscere il
paradosso della condizione
umana, per il quale siamo al
tempo stesso liberi e condizionati, consapevoli e inconsapevoli, colpevoli e innocenti. E, infine, abbiamo
imparato che, nonostante
tutto, la realtà si mostra
iscritta in una struttura di
significato. Certo, non si
tratta di un significato sempre accessibile, facile da
estrarre dal corso degli eventi; né, quando si palesa
un ordine, è agevole conci-
liarci con esso. Tuttavia
proprio da questo conflitto
traiamo quell’intuizione
dolorosamente sublime e
universale della condizione
umana che dà conforto e
addirittura, secondo la celebre formula di Schiller,
“godimento”.1 Questa la
produttività simbolica della
tragedia, conseguita grazie
all’intreccio e alla performance drammaturgica, nelle
sue componenti formali e
pragmatiche. Esiste del resto anche una produttività
simbolica del comico, e una
sua specifica catarsi, che è
stata ricondotta a disparati
fenomeni psicologici: la
sublimazione del desiderio,
l’esorcismo delle paure, lo
sfogo della tensione, il piacere del sentirsi superiori, la
rivalsa sul limite, sul dolore
e, in ultima analisi, sulla
morte. Anch’essa, come
quella tragica, è esperienza
al tempo stesso concettuale
ed emotiva. Lo stesso discorso può essere fatto per i
film e le serie tv, anche se
questa catarsi è sempre più
debole, dato che
l’evoluzione del cinema ha
5. “Mentre la vita la si vive, non accade nulla. Le scene cambiano, le persone
entrano ed escono: questo è tutto. Non ci sono inizi. I giorni si aggiungono ai
giorni senza capo né copa; è un’addizione interminabile e monotoma. […]
Ma tutto cambia quando la vita la si racconta.” - Jean-Paul Sartre, La nausea
portato alla creazione di un
insieme di film e telefilm
dove non è presente la linearità (ovvero la successione semplice, il ridurre a
una
dimensione
l’opprimente varietà della
vita) che serve al telespettatore per allinearsi al personaggio e fare esperienza del
suo mondo.
L’esperienze dell’illusione
ci consente, inoltre, di appropriarci ulteriormente del
nostro vissuto, allineandoci
a quello di un altro; di entrare nel vivo delle cose ,
ritrovandoci al centro di un
mondo possibile; di “avere”
un’e sp er i enza p ien a,
“facendo” un’esperienza
(solo) mimetica. Questo
“gioco di sponda” non costituisce un inganno o una
fuga: “Il senso è sempre un
effetto d’eco e l’eco un effetto d’abyme. È perché
nulla di umano è dato
all’uomo immediatamente
che l’illusione non è una
menzogna; che bisogna
passare dal falso per andare
alla verità; e proiettarsi negli
altri per entrare in rapporto
con se stessi”.2 E lo schermo, cinematografico o
televisivo, è un dispositivo cruciale per questo
“spostamento”. Lo aveva
scritto tanti anni fa Sigfried
Kracauer: come lo scudo
lucido donatogli da Atena
consente a Perseo di proteggersi, ma anche di guardare
negli occhi Medusa senza
esserne pietrificato, cosi lo
schermo televisivo ci protegge dal reale paralizzante e ci
consente di guardarlo e di
fronteggiarlo. L’impresa
maggiore di Perseo non fu
quella di tagliare la testa
alla Medusa, ma quella di
vincere la paura e di fissare la sua immagine nello
scudo. Grazie al coraggio di
guardare, sia pure un rifles-
so, egli ha reso finalmente
esperibile e agibile il reale.
E allo stesso modo noi,
attraverso le immagini
sullo schermo, possiamo
“redimere” il reale, renderlo nuovamente praticabile. Questo mito non ci
parla dunque del potere
pacificante delle immagini,
ma al contrario del
loro farsi
strumento
di conoscenza, di
esperienza
e di azione. Ed è
proprio
cosi. Grazie
alla
barriera
protettiva
che interpone fra
spettatore
e i mondi
convocati, l’illusione consente di avere a che fare con
ciò che altrimenti ci pietrificherebbe, concedendoci
una straordinaria ampiezza
di escursione esperienziale.
Il dolore vissuto - lo sappiamo - quanto è più vivo, tanto più sopraffa la coscienza.
In modo analogo, la morte,
la sofferenza, lo scacco radicale non possono stare in
scena (o non a lungo)
all’indicativo: troppo duro il
confronto con “l’orrore del
reale” (Lcan). Al congiuntivo, invece, grazie al gioco di
sponda, all’effetto d’eco, al
riflesso della vita che
l’illusione ci consegna, possiamo affrontare anche realtà senza riscatto e senza via
d’uscita, cogliendovi tuttavia
dei punti di attacco.
Tutto ciò assume i tratti di
ciò che Victor Turner chiama “l’immersione sacrificale
nella possibilità”3 e George
Steiner chiama “dimensione
sabbatica” dello spettacolo e
dell’arte:4 non un’evasione,
un ripiegamento, ma una
visione, rinnovata, della
nostra condizione. Per questo continuiamo a descrivere e comprendere le nostre
vite in termini di film e di
telefilm: perché per accedere davvero alla vita che vivia-
mondo esterno, ma anche,
più profondamente, quello
interiore - che offre occasioni di crescita, ma che
nasconde anche insidie;
che riserva momenti di
gioia, ma anche prove e
dolori; e che comunque
può assumere un senso se
si è disposti a camminare
mo, dobbiamo aprire nella
nostra esistenza la dimensione del possibile, riuscire
e sperimentare nuovi inizi,
testare sviluppi alternativi,
inventare fini diversi; e,
soprattutto, fare tutto senza
distogliere lo sguardo dalla
realtà.
La produttività e la necessità
dell’illusione oggigiorno
stanno proprio qui: nel fatto
di costruire uno dei luoghi
residui in cui è possibile
quel lavoro di elaborazione
e riappropriazione, di metabolismo e scambio simbolico, di “trasfigurazione fantasmatica”, senza il quale perdiamo il senso autentico
della realtà.5 E, conseguentemente, nel fatto di essere
uno dei luoghi residui in cui
operare un’autentica negoziazione tra i poli
dell’esperienza.
L’esperienza, in fondo, è
proprio questo: un viaggio
all’interno del mondo - il
senza riserve, a scavare
fino in fondo, a esporsi al
rischio di una perdita;
insomma, a mettersi in
gioco. In-ludere, appunto.
Note
1
Anche E. Martin parla di piacere:
“L’estetica trasfigura la sofferenza e il
male.[…] L’arte permette di estetizzare
il dolore, cioè farcelo sentire nella sua
pienezza, mentre gioiamo della sua
espressione” (E.Morin, La mèthode.
5:L’humanitè del l’humanitè. Tome 1:
L’identitè humaine, Paris, Editions du
Seuil,2001.)
2
R.Debray, “Pourquoi le spectacle?”, in
“Le querelle du spectacle”, Cahiers de
mediologie, n.1, Paris, Gallimard, 1996.
3
V. Turner, Dal rito al teatro, op. cit.,
pp. 43 e 152
4
Il senso, per il critico inglese, non può
che nascere in quella terra di mezzo tra
l’assenza assoluta di significato, il silenzio di fronte agli interrogativi urgenti, il
buio della fede, la disperazione e la
pienezza, la luce, la gioia. (Cfr. G. Steiner, Vere presenze, op. cit., pp. 218-219.)
5
“La tesi fondamentale di Lacan è che
un minimo di interposizione della
cornice fantasmatica attraverso la qiale il
soggetto assume una distanza dal Reale,
è costitutivo del nostro ‘senso di realtà’.
La ‘realtà’ si manifesta sin tanto che il
Reale non è (non diventa) ‘troppo
vicino’” (S.Zizek, “Limmagine tra realtà e
reale”)
6. “ È bello cercare di capire il mondo, ma è anche
bello raccontarlo; cercare insomma di avvicinare
la Terra alla Luna.”
Serie Tv: “buona madre
Abbiamo visto come
l’illusione sia quella condizione intermedia tra abbandono e presenza di sé che ci
permette di fare esperienza
di un mondo “congiuntivo”
aiutandoci a formare il proprio Io e a metterci, in qualche modo, in gioco, sia con
noi stessi che con gli altri.
Ovviamente tutto ciò ha
diverse conseguenze anche
sulla vita reale di ognuno di
noi, influenzandoci consciamente e, in
alcuni casi,
inconsciamente nella maggior parte delle
nostre scelte
quotidiane.
Possiamo analizzare di seguito, dunque,
la maggior parte delle conseguenze che i telefilm provocano sulle persone.
Partiamo subito dicendo
che le conseguenze non
sono tutte positive. Innanzitutto le serie tv possono
generare una familiarità e
una sorta di accettazione
nei confronti di un certo
tipo di linguaggio che una
volta era ritenuto socialmente inaccettabile. Questo può far si che le persone
si abituino sempre di più ad
un linguaggio di livello medio - basso, fino ad arrivare
a consentire, e in alcuni casi
addirittura giustificare, l’uso
di un linguaggio volgare ed
offensivo.
Un altro aspetto negativo
che i telefilm hanno sulle
persone è la cosi detta
“Sindrome da CSI”. Questa
sindrome è dovuta alla famosa serie televisiva statuni-
tense CSI(Crime Scene Investigation), che narra le
“indagini della squadra del
"turno di notte" della polizia scientifica di Las Vegas”
avente come compito quello
di analizzare le “prove per
collegare crimini e loro esecutori, avvalendosi di tutti i
mezzi offerti dalla tecnologia, dalla scienza e dalla razionalità dei singoli componenti.”1 La serie ha ottenuto
cosi tanto successo che, in
America alcuni giudici si
aspettano un maggior numero di perizie medicolegali di quanto sia permesso o necessario, portando
quindi ad un maggior numero di casi di assoluzioni
quando tali prove siano
assenti. In altri casi sono
proprio le squadre della
polizia scientifica che hanno
la fissazione di
poter sempre risolvere
un’indagine grazie a una
tecnologia molto sofisticata,
come accade in CSI, spendendo cosi nella maggior
parte dei casi grandi quantità di denaro senza giungere
a nessuna conclusione
schiacciante. Sul fronte opposto, influenzati a loro
volta dalle fiction, anche i
criminali starebbero cambiando comportamenti e
“modus operandi”: gli investigatori evidenziano che
sono sempre meno le
“tracce” lasciate sulla scena
del crimine, come ad esempio capelli o mozziconi di
sigarette.
Molto discussa è stato
anche il dibattito sulla
troppa violenza presente
all’interno delle fiction.
Comportamenti che rischiano di essere assorbiti, in
particolare dai bambini e
dagli adolescenti. Martin
Luther King diceva che gli
USA sono “i maggiori produttori di violenza nel mondo”, e
le TV rispecchiano ampiamente
questa poco commendevole posizione. Ma, almeno, vi sono serie
critiche entro la
loro stessa società. Uno studio di Charles S.
Clark del 1993 rileva che,
grazie alla televisione, un
bambino americano (ma,
ormai, anche italiano) assiste in media a otto mila
omicidi e a 100 mila atti di
violenza prima di aver terminato le scuole elementari.
Negli ultimi anni sono state
condotte più di tre mila
ricerche in paesi diversi sul
legame tra violenza sul piccolo schermo e violenza
reale. L'aggregato delle ricerche mostra chiaramente
che esiste una correlazione
tra la visione di scene vio-
lente e il comportamento
aggressivo, vale a dire che
coloro che guardano molta
televisione sono più aggressivi di chi ne guarda poca.
Da noi non risultano ricerche specifiche su questo
campo: probabilmente le
nostre università sono restie
a iniziare indagini che non
abbiano il sostegno di qualche sponsor, non basta l'esistenza del – anche grave –
problema in sé. Tuttavia
qualcosa si muove se, durante il governo Prodi, è
stato varato un “Codice di
autoregolamentazione” per
le televisioni italiane. Il codice prevede che, nella
“fascia protetta” tra le 7 e le
22,30, nei Tg non siano
trasmesse
scene
“particolarmente crude o
brutali”, mentre per i film
ogni azienda nominerà un
comitato di autocontrollo
per decidere se lo spettacolo è adatto alla fascia protetta. C'è poi un Comitato di
controllo esterno (una sorta
di Authority) che vigilerà
sull'applicazione del Codice, sanzionando eventuali
trasgressioni.
Ovviamente i bambini non
sono gli unici ad esserne
influenzati. Anche molti
adulti, infatti, grazie alla
tanta violenza in televisione
possono dar sfogo ad una
aggressività latente. Un e-
Immagine tratta
dalla serie-tv
“Dexter”,
Showtime.
7. o cattiva matrigna”?
sempio di ciò può sicuramente essere l’omicidio
avvenuto negli Stati Uniti
dove Andrew Conley, 17
anni, ha ucciso il suo fratellino di 10 ispirandosi al
protagonista della fortunata
serie Tv “Dexter”, la quale
parla appunto di un serial
killer che uccide i criminali
sfuggiti alla giustizia. È lo
stesso Andrew che ha ammesso di essersi non solo
ispirato al protagonista della
serie ma addirittura di sentirsi uguale a lui e di aver
“sempre voluto uccidere
qualcuno".
Bisogna però sottolineare
come noi (telespettatori)
abbiamo un potere enorme:
il telecomando! Infatti, la
televisione propone vari
telefilm, vari film, vari cartoni, vari spettacoli ecc., e
noi abbiamo il totale potere,
in caso lo spettacolo non sia
di nostro gradimento, di
cambiare canale, oppure
guardare un dvd, leggere un
bel libro oppure uscire fuori
con gli amici. Nessuno ci
obbliga a guardare un determinato show, ma siamo noi
che scegliamo di farlo, ben
consapevoli dei contenuti.
Per i bambini il discorso è
un po' diverso, perché essendo meno "maturi", non
sono, da soli, in grado di
valutare se ciò che stanno
guardando in tv è "bene” o
“male", ma la colpa, in caso
il bambino assista a programmi violenti o volgari o
diseducativi per qualunque
motivo, è sicuramente dei
genitori, che lasciano i bambini davanti al televisore per
ore e ore senza nessun controllo. Un bambino, infatti,
deve essere sempre
“controllato”, sia che stia
guardando la televisione, sia
che stia giocando in giardino: invece la maggior parte
dei genitori sono troppo
impegnati a fare cose più
“importanti” che seguire
l’educazione e la crescita dei
loro figli, finendo cosi per
criticare generalmente la
televisione invece di fare il
“mea culpa”.
Molti studi dimostrano come i nuclei della base , un
gruppo di nuclei presenti
dentro il cervello e collegati
con la corteccia celebrare, il
talamo e il tronco encefalico, diventino molto attivi
quando una persona gioca
ai videogiochi o guarda la
televisione. In questi casi il
corpo libera una sostanza
chiamata dopamina2. Allo
stesso modo funzionano
anche il ritalin e la cocaina,
che stimolando i nuclei
della base fanno rilasciare
una grande quantità di dopamina. Molti studiosi sostengono che all’aumentare
della quntità di dopamina
rilasciata, diminuiscono i
neurotrasmettitori disponibili per fare qualsiasi altra
cosa.3 Possiamo dunque
concludere che i telefilm
possono avere su una persona lo stesso effetto della
cocaina o altre sostanze
simili, facendo diventare
cosi la “dipendenza da televisione” non molto differente da qualsiasi altra forma di
tossicodipendenza.
Un altro aspetto negativo
molto importante è la propaganda presente nelle
serie Tv, sia americane che
italiane. Prendiamo ad esempio la multi premiata
serie americana
“Homeland”, che parla di
un soldato americano che
ritorna a casa dopo essere
stato detenuto per anni da
Al-Qaeda come prigioniero
di guerra. Questa fiction,
perfetta in ogni dettaglio, è
l’esempio lampante di propaganda americana. Non
manca mai infatti, almeno
una volta a puntata, una
frecciatina verso la cultura
araba. Dico cultura perché
la serie non attacca l'estremismo terrorista: dovrebbe
essere così, ma l'invettiva
che Homeland lancia sfocia
inesorabilmente verso il
razzismo e la denigrazione
di una cultura estera col
solo fine di aumentare il
patriottismo americano.
Questa serie è quindi la
messa in pratica, o in scena,
di come il governo può
interferire nell'industria
dell'intrattenimento, influenzarla a seconda del
momento politico internazionale, e sfruttarla a proprio favore.
Bisogna sottolineare, inoltre, come le fiction dettino
dei tempi seriali che scandiscono il tempo libero e
organizzano quindi anche la
nostra vita quotidiana.
Se, però, da un lato le serie
Tv scandiscono il nostro
tempo libero, limitando
quindi anche la vita sociale,
dall’altro creano altri legami
attraverso i cosi detti “Social
Tv”, ovvero alla convergenza
tra social network e televisione. “Più precisamente
s'intende per Social TV
l’attività di interagire attraverso i Social Network – ad
esempio pubblicando commenti, opinioni o voti – con
i prodotti fruibili attraverso
la Televisione come trasmiss
i
o
n
i
d’intratten imento ,
talkshow, film o telefilm.“4 In Italia ad esempio sono già tantissimi i social Tv, uno
tra i più famosi ad
esempio è “Italians
subs addicted”, che,
oltre a fornire i sottotitoli per le serie non
italiane, hanno uno
spazio adeguato dove
gli utenti hanno la
possibilità di discutere
dell’andamento delle
loro serie Tv preferite
e non.
La televisione non è sicuramente del tutto “malvagia”.
Oltre alle conseguenze negative dette precedentemente ci sono, infatti, anche
molti aspetti positivi.
Innanzitutto la televisione
può essere molto educatrice
per bambini, se però controllati. Sono infatti centinaia i show televisivi che si
basano sul favorire la crescita,l’educazione, l’informare
e persino formare i piccoli.
8. Alcuni esempi possono essere senza dubbio: I Teletubbies, Melevisione,
L’albero azzurro e Art
Attack. Possiamo quindi
vedere come siano tutti
show televisivi che non con-
tengono nessun tipo di violenza o volgarità, ma che
puntano
tutto
sull’intrattenere ed allo
stesso tempo educare i bambini. E programmi di questo
genere sono tantissimi, basti
pensare al telegiornale per i
ragazzi, a trasmissioni che in
forma documentaristica o
animata trattano temi di
storia, di geografia o di
scienze naturali; ad alcuni
programmi di intrattenimento pomeridiani molto
ben fatti che si propongono
obiettivi cognitivi, logici e
linguistici.
Le serie Tv solo importanti
sul piano didattico non solo
per i bambini, ma anche per
i grandi. Dato che negli
ultimi anni le serie americane ed inglesi hanno avuto
sempre più successo, le
persone di tutto il mondo
cominciano sempre di più a
seguirle. Ma sono in molti
che non riescono ad aspettare i tempi di attesa lunghissimi che ci sono in Italia, a causa dei lunghi tempi
che servono per fare il doppiaggio e altro, decidendo
cosi di vedere le puntate in
streaming direttamente in
lingua originale con il solo
aiuto dei sottotitoli. In que-
sto modo si acquisisce una
certa dimestichezza con la
lingua inglese, dato che gi
show più visti in streaming
sono di origine americana,
migliorando cosi la propria
dizione e la propria cono-
scenza della lingua straniera.
I telefilm influenzano molto
anche la propria decisone
del mestiere che si vuole
fare da grandi. Secondo un
sondaggio di “Telefilm Viewers” del 2012, è emerso
come il 20% di telespettatori
abbiano scoperto la loro
passione per un certo tipo
di mestiere proprio grazie a
determinate serie televisive.
Le serie Tv hanno, anche,
stabilito le varie tendenze
tecnologiche negli anni.
L’innovazione tecnologica,
per quanto riguarda la televisione, è sempre stata dovuta ad una certo tipo di
necessità da parte dello
spettatore. Se, infatti, diversi
anni fa non si riusciva a fare
in tempo a guardare una
puntata del tuo telefilm
preferito non c’era nessun
modo di recuperare
quell’episodio, se non sperando in una replica. Dato
che questo era causa di molti inconvenienti sono nate le
videocassette vhs sulle
quali si potevano registrare
gli show e guardarseli, poi,
in ogni momento. Andando
avanti col tempo la tecnologia si è sempre più rinnovata, fino ad arrivare ai giorni
d’oggi dove la maggior parte degli telespettatori non
seguono più le serie Tv in
televisione ma in streaming, ovvero su siti
internet appositi dove si
possono guardare gli show
in qualsiasi momento lo si
desideri.
I telefilm hanno avuto un
ruolo molto importante
anche nel movimento femminista. In un articolo pubblicato su “TV Guide” nel
1964, Betty Friedan accusò
la televisione di rappresentare, nelle diverse fiction, la
donna americana come
“stupida, poco attraente,
insicura piccola donna di
casa che passa tutti i suoi
stupidi e noiosi giorni a
sognare l’amore della loro
vita […] e complottando
orribili piani per vendicarsi
sul marito”. Cosi non appena le donne iniziarono a
rivoltarsi e protestare per
avere gli stessi diritti degli
uomini, ovvero tra il 1960 e
1970, il problema della stereotipizzazione delle donne
nella televisione del tempo f
u subito affrontato in maniera molto determinata.
Dal 1930 al 2012 la televisione non è cambiata molto.
A dominare la programmazione diurna sono ancora,
infatti, le soap opere e i talk
show. Dal 1950, inoltre, gli
show in prima visione sono
stati ispirati ed interpretati
da uomini. Nel 1952, il 68%
dei personaggi di film e
telefilm da prima visione
erano interpretati da uomini, mentre nel 17% erano
addirittura il 74 %. Nel
1970, quindi , la National
Organization for Women
(NOW) formò una task
force che andò negli studi
televisivi per cambiare la
dispregiativa visione stereotipata della donna nella
televisione.
Come le fiction sono state
importanti nel movimento
femminista allo stesso modo
sono importanti anche per
il movimento per diritti dei
gay. Sono molte infatti le
serie Tv che dipingono i gay
per le persone che sono
realmente, senza le solite
stereopatizzazioni. Anche se
non sempre è stato cosi.
9. Analizziamo meglio la tematica.
Nell'era dei media, infatti,
spesso sono proprio le immagini e le scene viste sui
grandi o piccoli schermi a
cambiare il nostro modo di
percepire la realtà che ci
circonda. Spesso ci chiediamo come mai ancora molti
aspetti della vita umana che
per noi risultano così importanti ancora non siano
mai stati oggetto specifico di
qualche pellicola cinematografica o anche di un telefilm. Un esempio di ciò potrebbe essere l'evoluzione
della figura degli omosessuali all'interno della società. Un'evoluzione che, tuttavia, potrebbe partire non
tanto dal nostro vivere il
reale quanto l'osservare il
virtuale. Se prendiamo come esempio il telefilmmusical di maggior successo
degli ultimi 3 anni quale
Glee, notiamo fin da subito
la quasi centralità dell'omosessualità di alcuni personaggi ai fini della trama. Il
personaggio di Kurt è il
tipico ragazzo desideroso di
fama e, ovviamene, gay. Ciò
si sposa perfettamente con
la politica del telefilm che è
"non giudicare, apprezza le
differenze". Infatti, ben due
stagioni su tre di questo
telefilm trovano tra le stor-
yline principali quelle di
Kurt (il quale passa da vittima di bullismo omofobo a
fidanzato spensierato e più
maturo) e Santana (la quale
all'inizio ignora la sua sessualità ma che alla fine, dopo
molta fatica, riesce ad aprirsi
con gli amici e con i genitori). Ora, l'intento di Glee è
quello di creare una felice e
allegra parodia degli stereotipi. Il tutto però va inevitabilmente ad ottenere una
versione ancora più forte e
radicata dello stereotipo
gay. Kurt infatti è effemminato, appassionato di moda,
voce acuta da usignolo e
canta rigorosamente brani
scritti e cantati da donne.
Per un telefilm che sembra
prefiggersi uno scopo pedagogico è davvero questo il
modo più corretto di affrontare il tema dell'omosessualità? Se passiamo ad un altro
telefilm rivolto ad un pubblico diciamo più
"universitario" o comunque
ad una fascia sopra i 20 anni, troviamo un contesto e
personaggi molto diversi.
Parliamo di "Happy Endings", nel quale si narrano
le bizzarre avventure di un
gruppo di amici molto eterogeneo e all'interno del
quale compare proprio la
figura del gay: Max. Egli
sembra essere proprio l'opposto di Kurt poichè appare interessato al Football
americano, segue
la stessa routine
dei suoi amici
eterosessuali e
anzi sembra provare antipatia per gli
omosessuali troppo "effemminati".
Questi sono solo
due esempi di
tante serie tv che
stanno affrontando il tema omosessualità (quasi tutti
i medical drama
quali Grey's Ana-
tomy, Dr.House, Nurse Jackie).
La figura dell'omosessuale è
ricca di stereotipi e, spesso,
anche di menzogne e di
certo non ci si deve sorprendere che anche il mondo dello spettacolo si nutra
di ciò. Tuttavia è anche rassicurante notare che la pluralità dei telefilm riesca a
farci uscire dalla solita immagine statica e monotona
del gay alla Kurt per passare
magari al gay alla Max.
Inserendo personaggi gay
nelle fiction si è infranto un
tabù che durava da decenni.
È anche grazie a questo,
forse, che gli omosessuali
con il tempo sono stati sempre più accettati all’interno
della società (non dall’intera
società, ovviamente).
Questo dei gay non è però
l’unico tabù infranto dalle
serie televisive, anzi sono
davvero molti. Prendiamo
ad esempio l’incesto. Nei
canali broadcast questo
argomento è più che mai
vietato, mentre alcuni passi
sono stati fatti negli anni
dalle reti via cavo, tradizionalmente più aperte e licenziose. Il primo telefilm a
toccare questo argomento è
stato Twin Peaks, con una
visione terrificante della
media borghesia americana.
Nel 1990, Twin Peaks ha
dato al mondo una visione
da incubo sullo squallore
esistente sotto la patina
placida di una piccola città
americana. Ma, mentre uno
dei molti enigmi presenti
nella storia di Twin Peaks è
stata l’identità dell’assassino
dell’adolescente Laura Palmer (Sheryl Lee), il vero
segreto in agguato al centro
del mistero sono stati
l’incesto e gli abusi subiti da
Laura per mano di suo padre, Leland (Ray Wise) e il
danno psicologico che ha
causato questo segreto a sua
moglie Sarah (Grace Zabri-
skie). E’ stata una rivelazione così orribile, così distruttiva, che i creatori l’hanno
mostrata in termini soprannaturali, facendo possedere
Leland da un’entità demoniaca così da spiegare la
crudeltà e la mancanza di
umanità che un tale crimine
avrebbe richiesto.
“L’atto per cuore nero
dell’assassino ha tinto
l’intero racconto,” ha detto
il co-creatore di Twin Peaks
Mark Frost al Daily Beast.
“L’incesto è un primitivo,
eterno tabù nella cultura
civile, e alcune delle più
grandi tragedie mai scritte
scaturiscono da esso, o conducono ad esso.”
Negli oltre 20 anni dalla
messa in onda di Twin Peaks, l’approccio della televisione all’incesto è cambiato
poco, con pochi spettacoli
che hanno osato sfidare
quel tabù. Tuttavia, soprattutto nell’ultimo anno, le
sceneggiature di alcuni spettacoli televisivi hanno capovolto la loro riluttanza sul
trattare l’incesto. Le reti
Premium via cavo permettono agli sceneggiatori di
spingere i confini
[dell'incesto] con storie che
prima non erano ammesse.
E con l’incesto in primo
piano nel dibattito nazionale si sta fornendo argomento per alcuni degli show
televisivi più audaci e controversi.
Note
1
Da “Wikipedia, l'enciclopedia libera”, alla voce: CSI - Scena del crimine
2
La dopamina è un neurotrasmettitore endogeno della famiglia delle
catecolamine. Essa ha molte funzioni
nel cervello, gioca un ruolo importante in comportamento, cognizione,
movimento volontario, motivazione,
punizione e soddisfazione, nell'inibizione della produzione di prolattina ,
sonno, umore, attenzione, memoria di
lavoro e di apprendimento. Agisce sul
Sistema nervoso simpatico causando
l'accelerazione del battito cardiaco e
l'innalzamento della pressione sanguigna.cocaina
3
ADHD - ADD Videos Games and TV
4
Da “Wikipedia, l'enciclopedia libera”, alla voce: Social Tv.
10. Joyce and House M.D.
The writers of Tv shows
always need to renew their
cinematic technique to
bring new audience to look
at their products. But
“renew” doesn’t always means that you have to create
new techniques. In fact,
there are many writers and
directors of Tv shows who
transform narratives expedients, that has never been
used other than literaly or
that hasn’t been successful
in past, into a cinematic
form.
In my opinion, one of the
best literary device that has
been trasformed into a cinematic form was/is the epiphany of James Joyce one of the best known novelist, short story writer and
poet of the whole Ireland that is “the sudden spiritual
manifestation caused by a
trivial gesture, an external
object or a a banal situation,
which used to lead the character to a sudden selfrealisation abouot himself/
herself or about the reality
surrounding him/her.”1 Joyce used this narrative technique for the first time in
“Dubliners”, a collection of
short stories all about Du-
James
Joyce
blin and Dublin’s life.
We can find an example of
epiphany in Eveline2, a
short story that describes
the life of a nineteen-yearold girl who has the opportunity of changing her everyday life but she is unable to
leave her familiar
community in Dublin. Eveline is like many young women in early twentieth century Ireland. With her mother having passed, she is
expected to take care of her
childhood home. Joyce writes that Eveline struggled to
keep "her promise to keep
the home together as long
as she could," a promise she
made to her mother while
on her deathbed. Taking
care of her home is one
example of Eveline's oppression by the lack of women's
liberation in 1914.
"She had hard work to keep
the house together and to
see that the two young children who had been left to
her charge went to school
regularly and got their meals regularly," Joyce writes.
"It was hard work-a hard
life." It is never clear whom
Eveline is taking care of, but
it is clearly illustrated that
she is unhappy in her
assumed
position of a
housewife
without
a
husband.
In that time
period, women were still
considered as
less than the
worth of men,
unable to vote
or hold positions
of
power, thus
Eveline's father wasn't
proud of her
as he was of
his sons. Eveline's father
also made her give up her
work wages. Consequentially, she was always broke
and was aided by her brother, as her father wouldn't
ever help out, saying Eveline "squandered" his hardearned money.Eveline's
plan is to leave her monotonous life and go to Buenos
Aires with her lover, Frank.
She puts so much of her
proposed future happiness
on Frank's shoulders, and
assumes that leaving her life
as a homemaker is possible
just by marrying him. But
while she was going to met
Fank and leaving Dublin
together, she hear a street
organ playing. Taht
“remind her of the promise
to her mother, her promise
to keep the home together
as long as she could. She
rememebered the last night
of the mother’s illness; she
was again in the close, dark
11. room at the other side of
the hall and outside she
heard a melancholy air of
Italy”. In a first moment she
feel a sudden impulse of
terror, that was driving her
to escape. But in a second
moment she realises that
she can not escape and leave Dublin and her family.
She realises that she has to
miantain the promise that
she made to her mother,
keep “the home together”.
So she change her idea and
decides to remain in Dublin, to return to her inisgnificant life.
So we can find in this passage the epiphany, that is caused by hearing a street organ playing, and the theme
of paralysis, very important
in Joyce.
The most famous case of
epiphany in Tv shows is
certainly the one used in
House M.D., that is an American television medical
drama where the central
character is Dr. Gregory
House (Hugh Laurie), an
unconventional and misanthropic medical genius who
heads a team of diagnosticians at the fictional Princeton-Plainsboro Teaching
Hospital (PPTH) in New
Jersey.
Every episode of House
M.D. has a rigid structure
divided in 4 points:
“Person gets sick. Misanthropic genius insults those
close to him, bullies his
staff, and occasionally breaks a few laws in an effort to
diagnose the patient. Patient
gets better before getting
worse. And eventually an
epiphany pops in and reveals the diagnosis to the
mysterious diagnosis. Some
of these epiphanies came
from logic while others came from the Deus Ex
Machina Express.”3
So we can see that the
“literaly” device of epiphnay
is presnt in almost every
episode of that shows. An
exemple could be the first
episode of the fifth season,
“Dying Changes Everything”:
Patient: Personal assistant
Lou
Lou presents with various
psychiatric as well as physical symptoms. But House
seems more interested in
repairing his friendship with
Wilson in House's
trademark friendly manner.
The word "Idiot" is used.
Probably the only thing
House noticed about Lou is
how she looked 20 for a 37
year old.
Epiphany: While House is
talking about his friendship
with Wilson,he notices a
dying and now older looking Lou. Taking barely a
minute to comment on her
looks, he grabs a syringe
and injects her while telling
her she has diffuse lepromatous leprosy before going
back to talking about Wilson
as if the past minute never
happened, much to Thirteen's chagrin. It was pretty
cool seeing a seemingly
inattentive House still
outperform his underlings.
Note
1
Lit&Lab, From the Early
Romantics to the Present
Age.
2
James Joye (18821941),Dubliners(1914)
3
Memorable Epiphanies of
"House MD", By K. Valentine
Things you may need
to know:
Joyce tried to represnt in
Dubliners (1914) a realistic
portait of the life of ordinary peaple doing ordinary
things and living ordinary
lives. Also, it was the oppressive effects of religious,
political, cultural and economic forces on the lives of
lower-middle-class Dubliners that provided Joyce
with the raw material for a
psychologically realistic
picture of Dubliners as afflicted peaple.
Dubliners consist of fifteen
short stories; they all lack
obvius actions, but they
disclose human situations,
moments of intensity and
lead to a moral, social, or
spiritual revelation. The
opening stories deal with
childhood and youth in
Dublin, the others, advancing in time and expanding
in scope, concern the
mddle years of characters
and thei social, political, or
religious affairs.
What holds all these stories
together is a particolar
structure and the presence
of the same themes,
symbols and narrative techniques.
(Lit&Lab, From the Early
Romantic to the Present
Age)
12. Pasolini e Popper
contro la televisione
«Le parole che vengono
dalla televisione cadono
sempre dall’alto, anche le
più vere. E parlare dal
video è sempre parlare ex
cathedra, anche quando
c’è un mascheramento di
democraticità». (Pier Paolo
Pasolini, 1971)
La televisione, dal punto di
vista sociologico, è uno dei
mezzi di comunicazione di
massa tra i più diffusi ed
apprezzati e
naturalmente
anche tra i più
discussi. Dalla
sua invenzione
sono stati in
molti a schierarsi contro e ad
esprimere la
loro indignazione.
Una critica forte è stata sicuramente quella di Pier Paolo
Pasolini, che si focolizzò in
particolare
sull’inespressività della lingua e sull’omologazione
culturale. L’Italia, infatti, in
coincidenza con il boom
economico riusci a raggiungere una piena unificazione
della lingua parlata, grazie
in
particolare
all’alfabetizzazione svolta
dal mezzo televisivo e
all’allargamento della scolarizzazione.
Pasolini giudicava la televisione, e anche la sua lingua,
con occhi politici, vedendo
in essa l'espressione del
neocapitalismo e della borghesia e facendone notare
in modo ricorrente anche la
volgarità. «Il suo film
(Francesco d'Assisi della
Cavani - 1966) è un prodotto tipicamente televisivo.
[...] San Francesco è divenuto accessibile alla borghesia
italiana (i cosiddetti telespettatori) attraverso la sua
appartenenza a un ambiente
borghese [...]»1, è cosi che
nel ’66 Pasolini critica il
film di Liliana Cavani.
Della lingua
televisiva
Pasolini sottolineava
soprattutto
l'ufficialità,
l'adesione
all'italiano standard e la
mancanza di espressività a
favore di una pura comunicatività. Il linguaggio televisivo «pare avere accantonato
la sua funzione didascalica
in direzione di un bell'italiano, grammaticalmente puro
[...]: ora la funzione didascalica della televisione pare
essere verso una normatività
di grammatica e di lessico
non più purista ma strumentale: la comunicazione
prevale su ogni possibile
espressività»2. Espressività
che, come è noto, Pasolini
giudicava del tutto estranea
alla lingua puramente comunicativa, tecnologica, che
si stava imponendo nella
società neocapitalistica, e
alla quale la letteratura doveva opporre creatività,
espressività, dialettalità.
Per quanto riguarda
l’omologazione culturale
Pasolini scrisse sul “Corriere
della Sera”, del 9 dicembre
1973, che "[...] per mezzo
della televisione, il Centro
ha assimilato a sé l’intero
paese che era così storicamente differenziato e ricco
di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di
ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè i suoi
modelli: che sono i modelli
voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si
accontenta più di un “uomo
che consuma”, ma pretende
che non siano concepibili
altre ideologie che quella
del consumo, [del] nuovo
fenomeno culturale
“omologatore” che è
l’edonismo di massa. [...] È
attraverso lo spirito della
13. “La cosa che più importa all’uomo moderno non
è più il piacere o il dispiacere, ma l’essere eccitato” - Friederich Nietzsche
televisione che si manifesta in concreto lo spirito
del nuovo potere. Non c’è
dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia
autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di
informazione al mondo."
Rileggendo ora le sue parole è impressionante realizzare quanto tutte le sue considerazioni siano molto attuali. La differenza tra la lingua
televisiva di oggi, infatti,
rispetto al modello che emerge dall'osservazione e dalla
riflessione fatta
da Pasolini non
potrebbe essere
più grande. I
programmi televisivi della neotelevisione, a partire dagli anni
Ottanta e poi con
decisione dagli
anni Novanta,
presentano un
quadro linguistico davvero molto
differente da
quello della paleotelevisione: se
questa, infatti,
offriva complessivamente un
modello corretto e vicino
all'italiano standard (come
sottolineava Pasolini), la
televisione di oggi, sotto gli
occhi di tutti, presenta una
varietà linguistica che, se da
un lato rispecchia la variazione sociolinguistica dell'Italia dei nostri giorni,
dall'altro la dilata in una
molteplicità di codici e di
idioletti davvero notevole.
Karl Popper, al contrario di
Pasolini, si è focalizzato per
lo più sull’eccesso di violenza presente in televisione e
sulla sua funzione educatrice.
Com’è noto, Karl R. Popper
fu filosofo della scienza e
studioso di pedagogia, e
fece delle considerazioni
sulla televisione e sulla capacità di questa di influenzare i comportamenti dei
giovani e dei bambini.
Nel suo saggio, intitolato
“Una patente per fare tv”,
Egli descrive le motivazioni
che stanno alla base di un
prodotto televisivo sempre
più scadente. Una di queste
sta nel fatto che è sicuramente difficile trovare per-
sente nei vari programmi,
che induce i più giovani e i
più deboli ad adottare atteggiamenti
antisociali. La televisione, infatti, fa
parte dell’ambiente
che tutti i giorni i
bambini vivono, e
proprio per questo
è in grado di influenzarli. Una scena di violenza vista
in televisione ha la
stessa portata condizionante
sone in grado di creare prodella violenza effettiva che
grammi di qualità accettabipuò essere vissuta realmenle per venti ore al giorno; è
te all’interno delle mura
di gran lunga più semplice
domestiche.
reperire persone capaci solo
Consapevole
di ideare, per un tempo
dell’importanza che la telesimile, un provisione ha
dotto scadente. "Una democrazia non può sullo svilupLa
l e g g e esistere se non si mette po dei bamdell’audience, sotto controllo la televi- bini, Popper
inoltre, spinge sione, o più precisamente p r o p o n e
le varie emit- non può esistere a lungo una soluziotenti a cercare il fino a quando il potere ne: chi fa
sen sazio n al i- della televisione non sarà televisione
smo, e questo pienamente scoperto". deve essere
di rado coincimunito di
Karl R. Popper.
de con la qualiuna patentà.
te, una speLa critica popperiana alla
cie di autorizzazione, che
televisione si incentra sopotrà essere revocata da un
prattutto sulla violenza preorgano competente nel
momento in cui non siano
rispettati certi criteri. La
patente sarebbe concessa ai
produttori
solo dopo un
corso,
che
a v r eb b e
l’obiettivo di
renderli consapevoli del
ruolo di educatori di massa
che essi, anche senza volerlo, assumono. Questa potrebbe
essere più efficace
della censura perchè
la patente porterebbe
chi ne è in possesso
ad essere inserito
nell' educazione di
massa. In conclusione, secondo Popper,
una democrazia non
può esistere se non
si mette sotto controllo la televisione o
più precisamente
non può esistere a
lungo fino a quando
il potere non sarà
pienamente scoperto.
Per Popper il controllo dei mezzi di informazione
è necessario per la sopravvivenza della democrazia.
Afferma infatti: “Credo che
un nuovo Hitler avrebbe,
con la televisione, un potere infinito.” 3
Note
1
Pier Paolo Pasolini,
Contro la televisione,
cit., p. 129.
2
O. Parlangèli, La nuova
questione della lingua,
cit., p. 11.
3
Cattiva maestra televisione, Karl Popper.
14. La Pop-Art come conseguenza della televisione?
Possiamo considerare la
televisione come fattore
chiave nella nascita della
Pop-Art? In che modo l’ha
influenzata?
Prima di rispondere alla
domanda e capire se, appunto, la Pop-Art può essere considerata come conseguenza della televisione,
definiamo il movimento
artistico preso in considerazione.
Negli anni sessanta, dopo
una breve esperienza inglese, matura negli Stati Uniti
una nuova forma d’arte
popolare, la Pop-Art (pop
infatti è l’abbreviazione di
popular, popolare) che
rivolge la propria attenzione
agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della società dei con-
sumi. Bisogna però precisare come l’appellativo popular, non debba essere inteso
come “arte per il popolo”
oppure “arte del popolo”,
ma, più puntualmente, come “arte di massa”, cioè
prodotta in serie. E poiché
la massa non ha volto, l’arte
che la esprime deve essere il
più possibile anonima: solo
cosi potrà essere compresa
e accettata dal maggior numero possibile di individui.
Si passa cosÌ, dunque, dalle
elaboratissime riflessioni sui
significati artisiìtici di materia e gesto, alla proposizione di valori assolutamente
quotidiani e volutamente
banali. Gli artisti pop attingono le loro motivazioni da
tutti i fenonimi come: la
sfrontata mercificazione
dell’uomo moderno,
l’ossessivo martellamento
pubblicitario, il consumismo eletto a sistema di vita
e il fumetto quale unico,
residuo veicolo di comunicazione scritta. Non mancano, però, nella Pop-Art le
icone dello star system cinematografico e musicale, gli
accadimenti di carattere
storico e sociale convertendoli in oggetto di consumo.
La Pop-Art, confrontata con
altri movimenti artistici
(come ad esempio il Dada),
non sembra altro che una
stanca esercitazione di stile,
che graffia e contesta solo
superficialmente, lasciando
intatta la sostanza delle cose
e dando per assolutamente
s c o n t a t a
l’irreversibilità del
modello di sviluppo
consumistico.
Possiamo, dunque,
osservare come le
opere pop ci appaiono spesso più curiose che provocatorie
e il loro impatto con
la realtà sia
senz’altro più ironico che sarcastico. Ed
è per questo che c’è
un grande e quasi
maniacale interesse
per il mondo dei
mezzi di comunicazione di massa,
della persuasione
occulta della pubblicità martellante a fini smaccatamente consumistici, sullo sfondo di una realtà piatta ed
innaturale. La pubblicità
dunque ha un ruolo importantissimo all’interno di
questo movimento artistico
ed eco quindi il primo motivo che ci porta ad affermare
che la Pop-Art sia conseguenza della televisione. È
vero che le pubblicita non
venivano trasmesse solo in
TV ma attraverso qualsiasi
mezzo di comunicazione di
massa, ma è anche vero che
la televisione è, forse, il
mezzo di comunicazione di
massa più importante e più
influente. Ai tempi, infatti, ma forse anche ora- le televisioni, sia pubbliche che
private, erano dei contenitori per vendere pubblicità e
merci, e i cosiddetti palinsesti svolgevano soprattutto
l'utile funzione di riempire
gli spazi tra uno spot pubblicitario e l'altro.
La Pop-Art, inoltre, attinge i
propri
soggetti
dall’universo del quotidiano
e fonda la propria comprensibilità sul fatto che quei
soggetti sono per tutti assolutamente noti e riconoscibili. Quale mezzo migliore,
dunque, della televisione
per rendere riconoscibile
universalmente determinati
soggetti? Ed è anche per
questo che gli artisti pop
15. vivono e lavorano in perfetta simbiosi con il sistema
comunicativo e pubblicitario dal quale traggono i
propri spunti e del quale
finiscono, in definitiva, per
essere una delle infinite
varianti.
Anche nei giorni d’oggi ci
sono ancora artisti pop. Ad
esempio sono di stampo
pop le opere di Shepard
Fairey. Oppure gli originali
e divertenti poster del
designer ed art director
Albert Exergiani, il quale ha
dedicato alla sua passione
telefilmica una serie di poster d’autore. Exergian, infatti, ha da sempre avuto un
debole per le serie tv, siano
esse quelle ormai cult o di
ultima generazione.
L’autore ha quindi deciso di
omaggiare i titoli da lui ritenuti più importanti negli
ultimi 20 anni con ben 40
poster monotematici. Con
uno stile asciutto e pulito -o
in altre parole minimalista-, Exergian ha
realizzato dei manifesti
in
cui
l’omaggio ad un
telefilm è
simboleggiato da
un unico elemento: un simbolo,
un oggetto, la
stilizzazione di
una caratteristica
portante della
serie in questione. Così, dei
canini ricordano
“True Blood”, una graffetta “MacGyver” o un corvo
“Six Feet Under”. Nella
pagina potete vedere alcuni manifesti. Mai come
in questo caso s’è potuto
dire che la tv s’è fatta pop
-art, mezzo di comunicazione attraverso dialoghi
ma anche, ed a volte soprattutto, immagini.
Un’inquadratura
Figura. 1 che per un
secondo indugia su un oggetto
o la presenza
fissa -quasi ossessiva- di un elemento a fianco
dei suoi protagonisti bastano per
dare un secondo
lunguaggio alle
serie tv, ormai
non più semplici
strumenti di intrattenimento,
ma anche fonti
ispiratrici di una
forma d’arte che,
a prescindere dai gusti, resta tale.
Possiamo concludere, dunque, dicendo che, per quanto abbiamo osservato, la
televisione
Figura. 2
è stata sicuramente
una fonte
molto importante
alla quale
gli
artisti
pop hanno
potuto attingere per
Figura. 3
creare le proprie opere, ma
è stata forse ancora più importante di questo, dato che
la telvesione è stata ed è il
mezzo più efficace che i
potenti hanno per creare
una società di massa e consumista.
Note
Figura 1
La guerra, l'immigrazione,
le disuguaglianze sociali, il
razzismo, ma anche personaggi della politica, dello
sport e del costume: sono i
temi delle opere di Shepard
Fairey, l'artista neo pop
americano autore anche
dell'icona più famosa di
Barack Obama. Ora l'America si divide sul processo
che lo oppone l'Associated
Press. Per creare il suo
'Hope' dedicato a Obama
l'artista ha elaborato una
foto dell'agenzia.
(Fonte: L’Espresso)
Figura 2
Albert Exergian, Poster
d’autore della serie televisiva House M.D.
Figura 3
Albert Exergian, Poster
d’autore della serie televisiva Dexter
16. Thanks
To:
Ahhhhhh, è finita! E insieme alla tesina anche il
liceo (si spera). Ringrazio tutti coloro che mi
hanno aiutato e sestenuto durante la stesura
della tesina. Ringrazio, dunque, Dario, Mett e
Irene per la correzione delle bozze. Poi ringrazio la Lalla per le sue importanti e utili osservazioni e suggerimenti. E grazie anche ad Ale, che
mi ha sempre detto: ”Si si, è bella!”.
Un grazie, però, va anche agli insegnanti che
mi hanno portato fino agli esami, nel bene o
nel male, e spero che l’abbiano fatto perché
me lo meritavo e non perché volevano liberarsi
a tutti i costi di me.
L’ultimo ringraziamento, ma non per questo
meno importante, va anche al sito italiansubs.net e ai suoi utenti, che sono stati sempre
gentili e cordiali nell’aiutarmi, offrendomi la
loro piena disponibilità.
Dan Rusnac
Fonti:
Federico di Chio, L’illusione difficile: Cinema e serie Tv nell’età dela disillusione