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La notizia pungente!
Speciale: Tesina di Maturità
Giornalino degli studenti del Liceo scientifico “Galeazzo Alessi” PG

“Dobbiamo andare nel mondo congiuntivo dei mostri, dei demoni e dei clown, della crudeltà e della poesia, per
dare un senso alle nostre vite di ogni giorno, guadagnando il nostro pane quotidiano”
Victor Turner

Editoriale

Serie TV:

Salve a tutti!
Inizio dicendo subito che no,
non è il 23esimo numero de
“La Siringa”. Mi sono preso,
infatti, la libertà di creare questo “numero” per la mia tesina
di maturità. Proprio così! Qui
dentro troverete, dunque,
diversi articoli uniti tra loro da
un filo logico e da un determinato argomento: le serie televisive e come queste influenzino
la vita quotidiana e la cultura.
Ho scelto questo tema in quanto io stesso sono un amante
del cinema e delle serie TV, e
penso che non avrei potuto
scegliere qualcosa che mi rappresentasse meglio. Inoltre,
essendomi sempre interrogato
sul modo in cui la serialità ci
influenzasse e sulla sua importanza e conseguenza storica,
ho colmato, se non totalmente,
almeno in parte la mia curiosità e dato totale libertà al mio
interesse per questo tema al
fine di ottenere i migliori risultati possibili.
Per capire come, appunto, le
serie Tv ci influenzano ho
suddiviso gli articoli in 3 sezioni. Nella prima sezione parlerò
di come le serie tv creino un'illusione e del perchè l'uomo
avverte il bisogno di fare esperienza attraverso di esse. Nella
seconda parte, invece, parlerò
di come esse influenzano la
nostra vita e infine nella terza
ci saranno diversi articoli basati
su dei collegamenti con le
materie scolastiche e sui vari
aspetti di questo mondo cinematografico. Insomma, spero
di essere riuscito a creare qualcosa di bello e interresante, e,
chissà, magari anche utile.
Rusnac Dan V F

Come influenzano la vita quotidiana delle persone?
Nell’ultimo ventennio le
serie tv hanno iniziato
sempre più a monopolizzare le serate e i pomeriggi televisivi. Quasi tutti
oramai hanno almeno
una serie tv preferita, che
sia “Beautiful”, “Dexter”
o “Chuck”, alla quale
difficilmente possono
rinunciare.
Ma perché sentiamo questa necessità di guardare
i telefilm? Perché continuiamo ad immedesimarci in individui che
sappiamo non esistere,
come anche l’intero mondo in cui si trovano ad
agire e a muoversi? Ed
infine, in che modo la
televisione e la serialità
ci influenza nella nostra
vita quotidiana, dalle
scelte più semplici a quelle più complesse?

Joyce and House M.D.

Pasolini e Popper contro
la televisione

La Pop-Art come conseguenza della televisione?

The writers of Tv shows
always need to renew their
cinematic technique to
bring new audience to look
at their products. But
“renew” doesn’t always
means that you have to
create new techniques. In
fact, there are many writers
and directors of …
Continua a pag. 10

La televisione, dal punto di
vista sociologico, è uno dei
mezzi di comunicazione di
massa tra i più diffusi ed
apprezzati e naturalmente
anche tra i più discussi.
Dalla sua invenzione sono
stati in molti a schierarsi
contro e ad esprimere la
loro indignazione...
Continua a pag. 12

Possiamo considerare la
televisione come fattore
chiave nella nascita della
Pop-Art? In che modo l’ha
influenzata?
Prima di rispondere alla
domanda e capire se, appunto, la Pop-Art può essere
considerata come conseguenza della…
Continua a pag. 14
Pilot

“Dobbiamo andare nel
e di riappropriazione, in cui
mondo congiuntivo dei
fare i conti con se stessi, la
mostri, dei demoni e dei
propria collettività e il proclown, della crudeltà e
prio destino. La fantasia, la
della poesia, per dare un
narrazion e, il mito,
senso alle nostre vite di
l’espressione artistica, il
ogni giorno, guadagnando
rito… sono tutte forme di
il nostro pane quotidiano”.
accesso a questa dimensioCosi Victor Turner conclude
ne intermedia, che segna
From Ritual to theatre. The
profondamente i modi
Human Seriousness of Play,
dell’esperienza umana, fin
forse una delle sue opere
dai primi passi. Già da bampiù belle, rimarbini, infatti,
cando la necessi- È il luogo della pos- cominciamo
tà, per l’uomo, di sibilità, della simbo- ad
abitare
abitare uno spa- lizzazione, del gioco; uno spazio di
zio potenziale, e diventa un po’ alla tr an sizione
“ c o n g i u n t i v o ” volta terreno di co- tra la fantasia
sospeso tra realtà
e la realtà,
e immaginazio- struzione della no- popolato da
stra identità.
ne, oggettività e
oggetti
e
soggettività, aziopersonaggi
ne e riflessione, in cui poche sono al contempo repetersi sottrarre al fluire incesriti al nostro interno (e dunsante degli eventi, per rigeque richiamabili a volontà e
nerarsi e dare un senso
padroneggiabili, quasi fosseall’esistenza di tutti i giorni.
ro creati da noi stessi) e
Un mondo interstiziale, di
trovati fuori di noi (e duncreatività e di ristrutturazioque dotati di una propria
ne, di perdita
autonomia). È il luogo della

possibilità, della simbolizzazione, del gioco; e diventa
un po’ alla volta terreno di
costruzione della nostra
identità. Si cessa poi di essere bambini, ma questo interstizio vitale tra sé e mondo
resta; e l’intera sfera fantastica, estetica e rituale è
chiamata in causa per riempirlo.
Lo spettacolo - ponendosi al
crocevia tra espressione
artistica, rito, racconto, mito, performance scenica,
gioco - è sempre stato una
delle più fertili “terre di
mezzo” tra vita vissuta e vita
pensata, tra partecipazione
diretta e riflessione. Un
tempo e un luogo di sospensione dalla realtà, e
tuttavia sempre a ridosso di
questa, in cui e attraverso
cui dar senso alle cose.
Un’esperienza intermedia
tra la condizione in cui siamo e quella in cui dobbiamo essere (le necessità della
vita: le regole sociali, i valori

della comunità, ma soprattutto gli accidenti
dell’esistenza, il dolore, la
morte…). Uno spazio in cui
possiamo, anche, crescere,
provando senza sperimentare davvero, simulando senza
vivere in prima persona;
spazio potenziale in cui
rinfrancarci, ma anche prepararci all’azione, farci una
ragione di ciò che sembra
non averla. Il tutto con leggerezza, misura e anche con
piacere. Tra tutte le forme
di spettacolo audiovisivo
dove poter far esperienza di
questa dimensione intermedia, ve n’è una che colpisce
particolarmente, per la sua
piacevolezza, ma anche per
la sua efficacia simbolica. Sa
infatti generare esperienze
forti, intense sotto il profilo
percettivo, cognitivo ed
emotivo, inducendo tuttavia
una sospensione facile, non
impegnativa, gradevole. È la
forma dell’illusione.

Je sais bien, mais quand meme
L’illusione non è semplice
da descrivere e ancor meno
da spiegare, ma è facilissima
da provare. Basta, infatti,
sedersi sul proprio divano,
oppure in un cinema, e
gustarsi un bel film o una
puntata di una serie televisiva. Essere trasportati in un
mondo,collocati nel cuore
delle cose, in posizione di
privilegio. Fare conoscenza
con un personaggio e cominciare a condividere il
suo punto di vista sulle cose
e le sue motivazioni; ad
approvare le sue azioni e a
fare il tifo perché abbiano
successo; a provare le sue
emozioni o , comunque,

a vibrare in sintonia con lui.
Sentirsi a posto se le cose
vanno come secondo noi
devono andare; e viceversa
provare ansia e, talvolta,
paura o tristezza perché
vanno nella direzione opposta. Tutti l’abbiamo provato. E ci siamo divertiti, ci
siamo appassionati, ci siamo
sentiti completamente coinvolti, anche se sapevamo
bene che “non è vero”. Per
qualche tempo abbiamo
vissuto un’altra vita, senza
riserve, pur sapendo che
non è la nostra e che non è
neppure una vita reale.
L’illusione offre appunto

un’esperienza proiettiva e ri
-creativa forte, offrendoci
dei viaggi di prim’ordine, in
cui si sperimentano situazioni immaginarie con

l’evidenza della percezione
reale; occasioni preziose in
cui l’uomo-videns (come lo
definisce Giovanni Sartori
nel libro Homo videns)
“Il cinema si è saputo porre nella vita moderna come ciò che
la maggior parte delle altre forme d’arte ha cessato di essere:
non un ornamento, ma una necessità” - Erwin Panofsky

può fare esperienza fuori di
sé e , ancor più, fare esperienza di sé fuori dalla propria vita, traendo da questo
percorso anzitutto piacere;
e poi, anche, risorse importanti per la costruzione della sua identità. Per questo
l’illusione, tra tute le forme
del dominio audiovisivo, è
stato ed è di gran lunga
quella dominante.
Ma che cos’è esattamente
l’illusione? Richard Allen ha
definito l’illusione come
quella esperienza per cui
“mentre sappiamo che stiamo vedendo solo un film,
sperimentiamo tuttavia
quel film come un mondo
pienamente realizzato”.¹ È
illusione, appunto, e come
tale non è l’”allucinazione”
di chi scambia il mondo
convocato con quello reale
o lo sguardo della macchina
da preso con il proprio
sguardo; né la piena coscienza di chi mai per un
attimo dimentica che si trova di fronte a una rappresentazione o a un discorso.
È una condizione intermedia tra abbandono e presenza di sé, adesione e distacco
critico, che - seppur alla
lontana - ricorda il cosiddetto “sogno lucido”²; e, anche,
il gioco dei bambini, nel
quale si dà vita a un mondo
sospeso tra coinvolgimento
emotivo e serenità

del “far finta”. Gioco…
come rivela l’etimologia
stessa di illusione, che deriva dal latino “in-ludere”:
entrare in una dimensione
ludica e fantastica, in cui “si
crede senza credere”, sostando nella terra di mezzo
tra realtà e immaginazione.
In generale, credere a qualcosa significa considerare
tale cosa vera, ma nel contempo accettare la possibilità che non lo sia. Tuttavia,
nel caso dell’illusione succede quasi il contrario: non
consideriamo davvero reali i
mondi e i racconti che ci
vengono proposti sullo
schermo eppure, almeno
per certi aspetti, ci comportiamo come se lo fossero. È
un regime di credenza indubbiamente anomalo e
paradossale, sui cui fondamenti si sono interrogati in
tanti (da Barthes a Metz, da
Arnheim a Mannoni, da
Merleau-Ponty a Morin…),
richiamandosi anche alla
riflessione precedente
sull’esperienza funzionale
tout court (Platone, Aristotele, Hume…).
In effetti, come è possibile
provare emozioni forti per
storie che sappiamo fittizie?
Avvertire paura, ansia, tristezza, gioia, ecc., legate al
destino di personaggi nella
cui esistenza non crediamo?
E, di contro, vivere emozio-

ni cosi vivide, eppure non
reagire, come faremmo nella vita reale (si piange, ma
non ci si addolora; si ha
terrore, ma non si scappa…)? E, addirittura, trarre
piacere dal provare proprio
quegli stati d’animo che
nella realtà più temiamo e
rifuggiamo (la paura, l’ansia,
la tristezza…)!? La tradizione teorica oscilla a riguardo
tra l’idea di una sospensione dei giudizi di realtà e di
verità o, perlomeno, di
quella “incredulità” che
dall’esercizio di tali giudizi
scaturirebbe (la “voluntary
suspension of disbelief” di
Samuel Coleridge) e
l’ipotesi, per certi aspetti
opposta, di un rinforzo della credenza (Metz: “Dietro
ogni finzione ce n’è
un’altra: gli avvenimenti
diegetici sono fittizi, e
questa è la prima finzione; ma tutti fanno finta
di crederli veri, ed è la
seconda finzione; e se ne
può trovare anche una
terza: il rifiuto generale
ad ammettere che, in un
angolo recondito di sé, li
si crede veramente reali”
³). In realtà, sappiamo bene
distinguere tra messa in
scena e documento, tant’è
che non proviamo disgusto
per scene di uccisione di
uomini (perché sappiamo
che sono attori) e invece lo
proviamo per la morte di un
animale che vediamo colpito con tutta evidenza davanti all’obbiettivo della cinepresa. Dunque per quanto
risulti strano e paradossale, siamo di fronte ad
uno stato di coscienza
duplice, in cui convivono
e interagiscono due frame che sembrerebbero
incompatibili sotto il profilo logico e psicologico:

so che non è vero / mi
comporto come se lo fosse; resto consapevole / mi
abbandono completamente; non credo / credo. “Je
sais bien, mais quand meme…” (si loso, eppure…),
secondo la celebre formula
di Octave Mannoni.4 Uno
stato di coscienza ambivalente, in virtù del quale aderiamo di fatto al mondo
convocato, come se…
Ma come può accadere che
la visione di un film o di un
telefilm ci trasporti in un
altro mondo e ci faccia vivere esperienze cosi intense?
Perché la comunicazione
per immagini in movimento, e quella illusiva in particolare, è tanto “potente”?
Tanti sono gli elementi in
gioco.
Innanzitutto i testi audiovisivi d’illusione sanno rendere presente un mondo, perché lo costruiscono come
un universo di esperienza
abitabile e vivibile
dall’interno e in prima
persona. Questa infatti è ciò
che distingue un “mondo”
da una semplice visione.
Ma c’è dell’altro. Se c’è affinità, contiguità, tra esperienza di vita ed esperienza
illusiva non è solo perché i
film assomigliano alla vita,
ma anche perché, in un
certo modo, la vita assomiglia ai film. Nel senso che
per fare davvero esperienza
nella nostra vita e della
nostra vita dobbiamo raccontarcela: mettere in fila
gli accadimenti, non solo
sul piano temporale, ma
anche su quello logico e
causale;ricostruire le intenzionalità dei soggetti in campo e le loro motivazioni;
valutare l’incidenza del caso; considerare quel che
abbiamo conseguito, quel
che invece abbiamo dovuto
lasciare, quello che avrebbe
potuto essere o che avremmo potuto fare. Insomma,
per trasformare la sempice
“esposizione” in autentico
“vissuto”, dobbiamo raccontare a noi stessi quella storia, unica e inconfondibile,
in cui siamo noi i protagonisti, decidendo da quale punto di vista vedere le cose,
quali tagli apportare, come
giuntare le parti salienti;
insomma, qual “senso” dare

agli eventi. I film e le serie
tv, sotto questo aspetto,
costituiscono una traccia

sempre più importante:
un ricco repertorio di
strutture narrative, ruoli e
Immagine
tratta dalla
serie-tv
“Doctor Who”

modelli con cui confrontarci e a cui ispirare la
nostra lettura delle cose,
e anche una grammatica,
un insieme di regole,
figure e valori da utilizzare nella vita quotidiana.
Note
1

R. Allen, PProjective Illusion. Film
Spectarship and the Impression of Reality,
Cambridge University Press, 1995, p.4.
2

Il “sogno lucido” è un’esperienza particolare di sogno durante la quale si prende
coscienza del fatto di stare sognando e si è
addirittura in grado di esplorare e modificare i contenuti del sogno.
3

C. Metz, Cinema e psicanalisi. Il significante immaginario, op.cit., p.75.

Dall'Io virtuale a quello reale:
l'esperienza dei film e delle serie tv
Dopo tutto ciò che si è detto, una domanda sorge
spontanea: “Perché proviamo questo continuo bisogno di fare esperienza dei
film e delle serie tv, ed in
particolare dell’illusione?”
Aristotele designò con il
termine catarsi (che significa primariamente purificazione, chiarificazione) un
fenomeno psicologico
complesso - attivato
dall’esperienza estetica,
soprattutto drammaturgica che comporta
un’eccitazione e un successivo rasserenamento; e che
al contempo produce
un’illuminazione, una presa
di coscienza. Questo guadagno non è semplicemente
cognitivo: è proprio attraverso l’esperienza emotiva
che lo spettatore arriva a
conoscere e a ri-conoscere.
Le emozioni, si sa, talvolta
possono sviare e distorcere
il giudizio; ma Aristotele
insiste nel dirci che esse
possono anche metterci in
comunicazione con un livello più vero e più profondo
del nostro io, spesso nascosto sotto le nostre raziona-

lizzazioni difensive e dunque inaccessibile al solo
intelletto. A questo livello, è
per noi possibile fare esperienza di ciò che diversamente resterebbe inevitabilmente fuori dall’orizzonte
esistenziale. Non possiamo
infatti realmente comprendere cosa sia la sofferenza
umana dal solo punto di
vista concettuale; e, dunque, se non la proviamo. È
cosi, attraverso
l’allineamento intenso con il
personaggio ci è dato di
vivere l’esperienza dolorosa
in modo vicario, proiettivo,
sperimentando eleos e fobos che sono il turbamento
per le sorti del protagonista
e la paura che esse tocchino
anche a noi. Dopo tale sommovimento, però, la narrazione ci riporta
all’equilibrio, lasciandoci un
guadagno esperienziale,
piacevole quanto il sollievo
dopo un’emozione forte, un
pericolo scampato, o quanto il ricordo di qualcosa di
doloroso che però, per fortuna, non ha lasciato un
segno troppo marcato. Cosa
abbiamo imparato?

(Aristotele parla appunto di
apprendimento - pathei
mathos - ma, come è chiaro,
non si tratta solo di
un’acquisizione concettuale). Abbiamo imparato che
cos’è il dolore, nell’unico
modo possibile, al di là
dell’esperienza diretta, e
cioè partecipando al dolore
altrui (e anche questa sofferenza purifica, chiarifica,
trasforma). Abbiamo imparato a relativizzare la nostra
condizione individuale,
comprendendola nuovamente grazie al rapporto
con l’altro, che si figura
esemplare. Ancora, abbiamo
imparato a riconoscere il
paradosso della condizione
umana, per il quale siamo al
tempo stesso liberi e condizionati, consapevoli e inconsapevoli, colpevoli e innocenti. E, infine, abbiamo
imparato che, nonostante
tutto, la realtà si mostra
iscritta in una struttura di
significato. Certo, non si
tratta di un significato sempre accessibile, facile da
estrarre dal corso degli eventi; né, quando si palesa
un ordine, è agevole conci-

liarci con esso. Tuttavia
proprio da questo conflitto
traiamo quell’intuizione
dolorosamente sublime e
universale della condizione
umana che dà conforto e
addirittura, secondo la celebre formula di Schiller,
“godimento”.1 Questa la
produttività simbolica della
tragedia, conseguita grazie
all’intreccio e alla performance drammaturgica, nelle
sue componenti formali e
pragmatiche. Esiste del resto anche una produttività
simbolica del comico, e una
sua specifica catarsi, che è
stata ricondotta a disparati
fenomeni psicologici: la
sublimazione del desiderio,
l’esorcismo delle paure, lo
sfogo della tensione, il piacere del sentirsi superiori, la
rivalsa sul limite, sul dolore
e, in ultima analisi, sulla
morte. Anch’essa, come
quella tragica, è esperienza
al tempo stesso concettuale
ed emotiva. Lo stesso discorso può essere fatto per i
film e le serie tv, anche se
questa catarsi è sempre più
debole, dato che
l’evoluzione del cinema ha
“Mentre la vita la si vive, non accade nulla. Le scene cambiano, le persone
entrano ed escono: questo è tutto. Non ci sono inizi. I giorni si aggiungono ai
giorni senza capo né copa; è un’addizione interminabile e monotoma. […]
Ma tutto cambia quando la vita la si racconta.” - Jean-Paul Sartre, La nausea

portato alla creazione di un
insieme di film e telefilm
dove non è presente la linearità (ovvero la successione semplice, il ridurre a
una
dimensione
l’opprimente varietà della
vita) che serve al telespettatore per allinearsi al personaggio e fare esperienza del
suo mondo.
L’esperienze dell’illusione
ci consente, inoltre, di appropriarci ulteriormente del
nostro vissuto, allineandoci
a quello di un altro; di entrare nel vivo delle cose ,
ritrovandoci al centro di un
mondo possibile; di “avere”
un’e sp er i enza p ien a,
“facendo” un’esperienza
(solo) mimetica. Questo
“gioco di sponda” non costituisce un inganno o una
fuga: “Il senso è sempre un
effetto d’eco e l’eco un effetto d’abyme. È perché
nulla di umano è dato
all’uomo immediatamente
che l’illusione non è una
menzogna; che bisogna
passare dal falso per andare
alla verità; e proiettarsi negli
altri per entrare in rapporto
con se stessi”.2 E lo schermo, cinematografico o
televisivo, è un dispositivo cruciale per questo
“spostamento”. Lo aveva
scritto tanti anni fa Sigfried
Kracauer: come lo scudo
lucido donatogli da Atena
consente a Perseo di proteggersi, ma anche di guardare
negli occhi Medusa senza
esserne pietrificato, cosi lo
schermo televisivo ci protegge dal reale paralizzante e ci
consente di guardarlo e di
fronteggiarlo. L’impresa
maggiore di Perseo non fu
quella di tagliare la testa
alla Medusa, ma quella di
vincere la paura e di fissare la sua immagine nello
scudo. Grazie al coraggio di
guardare, sia pure un rifles-

so, egli ha reso finalmente
esperibile e agibile il reale.
E allo stesso modo noi,
attraverso le immagini
sullo schermo, possiamo
“redimere” il reale, renderlo nuovamente praticabile. Questo mito non ci
parla dunque del potere
pacificante delle immagini,
ma al contrario del
loro farsi
strumento
di conoscenza, di
esperienza
e di azione. Ed è
proprio
cosi. Grazie
alla
barriera
protettiva
che interpone fra
spettatore
e i mondi
convocati, l’illusione consente di avere a che fare con
ciò che altrimenti ci pietrificherebbe, concedendoci
una straordinaria ampiezza
di escursione esperienziale.
Il dolore vissuto - lo sappiamo - quanto è più vivo, tanto più sopraffa la coscienza.
In modo analogo, la morte,
la sofferenza, lo scacco radicale non possono stare in
scena (o non a lungo)
all’indicativo: troppo duro il
confronto con “l’orrore del
reale” (Lcan). Al congiuntivo, invece, grazie al gioco di
sponda, all’effetto d’eco, al
riflesso della vita che
l’illusione ci consegna, possiamo affrontare anche realtà senza riscatto e senza via
d’uscita, cogliendovi tuttavia
dei punti di attacco.
Tutto ciò assume i tratti di
ciò che Victor Turner chiama “l’immersione sacrificale
nella possibilità”3 e George
Steiner chiama “dimensione

sabbatica” dello spettacolo e
dell’arte:4 non un’evasione,
un ripiegamento, ma una
visione, rinnovata, della
nostra condizione. Per questo continuiamo a descrivere e comprendere le nostre
vite in termini di film e di
telefilm: perché per accedere davvero alla vita che vivia-

mondo esterno, ma anche,
più profondamente, quello
interiore - che offre occasioni di crescita, ma che
nasconde anche insidie;
che riserva momenti di
gioia, ma anche prove e
dolori; e che comunque
può assumere un senso se
si è disposti a camminare

mo, dobbiamo aprire nella
nostra esistenza la dimensione del possibile, riuscire
e sperimentare nuovi inizi,
testare sviluppi alternativi,
inventare fini diversi; e,
soprattutto, fare tutto senza
distogliere lo sguardo dalla
realtà.
La produttività e la necessità
dell’illusione oggigiorno
stanno proprio qui: nel fatto
di costruire uno dei luoghi
residui in cui è possibile
quel lavoro di elaborazione
e riappropriazione, di metabolismo e scambio simbolico, di “trasfigurazione fantasmatica”, senza il quale perdiamo il senso autentico
della realtà.5 E, conseguentemente, nel fatto di essere
uno dei luoghi residui in cui
operare un’autentica negoziazione tra i poli
dell’esperienza.
L’esperienza, in fondo, è
proprio questo: un viaggio
all’interno del mondo - il

senza riserve, a scavare
fino in fondo, a esporsi al
rischio di una perdita;
insomma, a mettersi in
gioco. In-ludere, appunto.
Note
1

Anche E. Martin parla di piacere:
“L’estetica trasfigura la sofferenza e il
male.[…] L’arte permette di estetizzare
il dolore, cioè farcelo sentire nella sua
pienezza, mentre gioiamo della sua
espressione” (E.Morin, La mèthode.
5:L’humanitè del l’humanitè. Tome 1:
L’identitè humaine, Paris, Editions du
Seuil,2001.)
2

R.Debray, “Pourquoi le spectacle?”, in
“Le querelle du spectacle”, Cahiers de
mediologie, n.1, Paris, Gallimard, 1996.
3

V. Turner, Dal rito al teatro, op. cit.,
pp. 43 e 152
4

Il senso, per il critico inglese, non può
che nascere in quella terra di mezzo tra
l’assenza assoluta di significato, il silenzio di fronte agli interrogativi urgenti, il
buio della fede, la disperazione e la
pienezza, la luce, la gioia. (Cfr. G. Steiner, Vere presenze, op. cit., pp. 218-219.)
5

“La tesi fondamentale di Lacan è che
un minimo di interposizione della
cornice fantasmatica attraverso la qiale il
soggetto assume una distanza dal Reale,
è costitutivo del nostro ‘senso di realtà’.
La ‘realtà’ si manifesta sin tanto che il
Reale non è (non diventa) ‘troppo
vicino’” (S.Zizek, “Limmagine tra realtà e
reale”)
“ È bello cercare di capire il mondo, ma è anche
bello raccontarlo; cercare insomma di avvicinare
la Terra alla Luna.”

Serie Tv: “buona madre
Abbiamo visto come
l’illusione sia quella condizione intermedia tra abbandono e presenza di sé che ci
permette di fare esperienza
di un mondo “congiuntivo”
aiutandoci a formare il proprio Io e a metterci, in qualche modo, in gioco, sia con
noi stessi che con gli altri.
Ovviamente tutto ciò ha
diverse conseguenze anche
sulla vita reale di ognuno di
noi, influenzandoci consciamente e, in
alcuni casi,
inconsciamente nella maggior parte delle
nostre scelte
quotidiane.
Possiamo analizzare di seguito, dunque,
la maggior parte delle conseguenze che i telefilm provocano sulle persone.
Partiamo subito dicendo
che le conseguenze non
sono tutte positive. Innanzitutto le serie tv possono
generare una familiarità e
una sorta di accettazione
nei confronti di un certo
tipo di linguaggio che una
volta era ritenuto socialmente inaccettabile. Questo può far si che le persone
si abituino sempre di più ad
un linguaggio di livello medio - basso, fino ad arrivare
a consentire, e in alcuni casi
addirittura giustificare, l’uso
di un linguaggio volgare ed
offensivo.
Un altro aspetto negativo
che i telefilm hanno sulle
persone è la cosi detta
“Sindrome da CSI”. Questa
sindrome è dovuta alla famosa serie televisiva statuni-

tense CSI(Crime Scene Investigation), che narra le
“indagini della squadra del
"turno di notte" della polizia scientifica di Las Vegas”
avente come compito quello
di analizzare le “prove per
collegare crimini e loro esecutori, avvalendosi di tutti i
mezzi offerti dalla tecnologia, dalla scienza e dalla razionalità dei singoli componenti.”1 La serie ha ottenuto
cosi tanto successo che, in

America alcuni giudici si
aspettano un maggior numero di perizie medicolegali di quanto sia permesso o necessario, portando
quindi ad un maggior numero di casi di assoluzioni
quando tali prove siano
assenti. In altri casi sono
proprio le squadre della
polizia scientifica che hanno
la fissazione di
poter sempre risolvere
un’indagine grazie a una
tecnologia molto sofisticata,
come accade in CSI, spendendo cosi nella maggior
parte dei casi grandi quantità di denaro senza giungere
a nessuna conclusione
schiacciante. Sul fronte opposto, influenzati a loro
volta dalle fiction, anche i
criminali starebbero cambiando comportamenti e
“modus operandi”: gli investigatori evidenziano che
sono sempre meno le
“tracce” lasciate sulla scena

del crimine, come ad esempio capelli o mozziconi di
sigarette.
Molto discussa è stato
anche il dibattito sulla
troppa violenza presente
all’interno delle fiction.
Comportamenti che rischiano di essere assorbiti, in
particolare dai bambini e
dagli adolescenti. Martin
Luther King diceva che gli
USA sono “i maggiori produttori di violenza nel mondo”, e
le TV rispecchiano ampiamente
questa poco commendevole posizione. Ma, almeno, vi sono serie
critiche entro la
loro stessa società. Uno studio di Charles S.
Clark del 1993 rileva che,
grazie alla televisione, un
bambino americano (ma,
ormai, anche italiano) assiste in media a otto mila
omicidi e a 100 mila atti di
violenza prima di aver terminato le scuole elementari.
Negli ultimi anni sono state
condotte più di tre mila
ricerche in paesi diversi sul
legame tra violenza sul piccolo schermo e violenza
reale. L'aggregato delle ricerche mostra chiaramente
che esiste una correlazione
tra la visione di scene vio-

lente e il comportamento
aggressivo, vale a dire che
coloro che guardano molta
televisione sono più aggressivi di chi ne guarda poca.
Da noi non risultano ricerche specifiche su questo
campo: probabilmente le
nostre università sono restie
a iniziare indagini che non
abbiano il sostegno di qualche sponsor, non basta l'esistenza del – anche grave –
problema in sé. Tuttavia
qualcosa si muove se, durante il governo Prodi, è
stato varato un “Codice di
autoregolamentazione” per
le televisioni italiane. Il codice prevede che, nella
“fascia protetta” tra le 7 e le
22,30, nei Tg non siano
trasmesse
scene
“particolarmente crude o
brutali”, mentre per i film
ogni azienda nominerà un
comitato di autocontrollo
per decidere se lo spettacolo è adatto alla fascia protetta. C'è poi un Comitato di
controllo esterno (una sorta
di Authority) che vigilerà
sull'applicazione del Codice, sanzionando eventuali
trasgressioni.
Ovviamente i bambini non
sono gli unici ad esserne
influenzati. Anche molti
adulti, infatti, grazie alla
tanta violenza in televisione
possono dar sfogo ad una
aggressività latente. Un e-

Immagine tratta
dalla serie-tv
“Dexter”,
Showtime.
o cattiva matrigna”?
sempio di ciò può sicuramente essere l’omicidio
avvenuto negli Stati Uniti
dove Andrew Conley, 17
anni, ha ucciso il suo fratellino di 10 ispirandosi al
protagonista della fortunata
serie Tv “Dexter”, la quale
parla appunto di un serial
killer che uccide i criminali
sfuggiti alla giustizia. È lo
stesso Andrew che ha ammesso di essersi non solo
ispirato al protagonista della
serie ma addirittura di sentirsi uguale a lui e di aver
“sempre voluto uccidere
qualcuno".
Bisogna però sottolineare
come noi (telespettatori)
abbiamo un potere enorme:
il telecomando! Infatti, la
televisione propone vari
telefilm, vari film, vari cartoni, vari spettacoli ecc., e
noi abbiamo il totale potere,
in caso lo spettacolo non sia
di nostro gradimento, di
cambiare canale, oppure
guardare un dvd, leggere un
bel libro oppure uscire fuori
con gli amici. Nessuno ci
obbliga a guardare un determinato show, ma siamo noi
che scegliamo di farlo, ben
consapevoli dei contenuti.
Per i bambini il discorso è
un po' diverso, perché essendo meno "maturi", non
sono, da soli, in grado di
valutare se ciò che stanno
guardando in tv è "bene” o
“male", ma la colpa, in caso
il bambino assista a programmi violenti o volgari o
diseducativi per qualunque
motivo, è sicuramente dei
genitori, che lasciano i bambini davanti al televisore per
ore e ore senza nessun controllo. Un bambino, infatti,
deve essere sempre
“controllato”, sia che stia

guardando la televisione, sia
che stia giocando in giardino: invece la maggior parte
dei genitori sono troppo
impegnati a fare cose più
“importanti” che seguire
l’educazione e la crescita dei
loro figli, finendo cosi per
criticare generalmente la
televisione invece di fare il
“mea culpa”.
Molti studi dimostrano come i nuclei della base , un
gruppo di nuclei presenti
dentro il cervello e collegati
con la corteccia celebrare, il
talamo e il tronco encefalico, diventino molto attivi
quando una persona gioca
ai videogiochi o guarda la
televisione. In questi casi il
corpo libera una sostanza
chiamata dopamina2. Allo
stesso modo funzionano
anche il ritalin e la cocaina,
che stimolando i nuclei
della base fanno rilasciare
una grande quantità di dopamina. Molti studiosi sostengono che all’aumentare
della quntità di dopamina
rilasciata, diminuiscono i
neurotrasmettitori disponibili per fare qualsiasi altra
cosa.3 Possiamo dunque
concludere che i telefilm
possono avere su una persona lo stesso effetto della
cocaina o altre sostanze
simili, facendo diventare
cosi la “dipendenza da televisione” non molto differente da qualsiasi altra forma di
tossicodipendenza.
Un altro aspetto negativo
molto importante è la propaganda presente nelle
serie Tv, sia americane che
italiane. Prendiamo ad esempio la multi premiata

serie americana
“Homeland”, che parla di
un soldato americano che
ritorna a casa dopo essere
stato detenuto per anni da
Al-Qaeda come prigioniero
di guerra. Questa fiction,
perfetta in ogni dettaglio, è
l’esempio lampante di propaganda americana. Non
manca mai infatti, almeno
una volta a puntata, una
frecciatina verso la cultura
araba. Dico cultura perché
la serie non attacca l'estremismo terrorista: dovrebbe
essere così, ma l'invettiva
che Homeland lancia sfocia
inesorabilmente verso il
razzismo e la denigrazione

di una cultura estera col
solo fine di aumentare il
patriottismo americano.
Questa serie è quindi la
messa in pratica, o in scena,
di come il governo può
interferire nell'industria
dell'intrattenimento, influenzarla a seconda del
momento politico internazionale, e sfruttarla a proprio favore.
Bisogna sottolineare, inoltre, come le fiction dettino

dei tempi seriali che scandiscono il tempo libero e
organizzano quindi anche la
nostra vita quotidiana.
Se, però, da un lato le serie
Tv scandiscono il nostro
tempo libero, limitando
quindi anche la vita sociale,
dall’altro creano altri legami
attraverso i cosi detti “Social
Tv”, ovvero alla convergenza
tra social network e televisione. “Più precisamente
s'intende per Social TV
l’attività di interagire attraverso i Social Network – ad
esempio pubblicando commenti, opinioni o voti – con
i prodotti fruibili attraverso
la Televisione come trasmiss
i
o
n
i
d’intratten imento ,
talkshow, film o telefilm.“4 In Italia ad esempio sono già tantissimi i social Tv, uno
tra i più famosi ad
esempio è “Italians
subs addicted”, che,
oltre a fornire i sottotitoli per le serie non
italiane, hanno uno
spazio adeguato dove
gli utenti hanno la
possibilità di discutere
dell’andamento delle
loro serie Tv preferite
e non.
La televisione non è sicuramente del tutto “malvagia”.
Oltre alle conseguenze negative dette precedentemente ci sono, infatti, anche
molti aspetti positivi.
Innanzitutto la televisione
può essere molto educatrice
per bambini, se però controllati. Sono infatti centinaia i show televisivi che si
basano sul favorire la crescita,l’educazione, l’informare
e persino formare i piccoli.
Alcuni esempi possono essere senza dubbio: I Teletubbies, Melevisione,
L’albero azzurro e Art
Attack. Possiamo quindi
vedere come siano tutti
show televisivi che non con-

tengono nessun tipo di violenza o volgarità, ma che
puntano
tutto
sull’intrattenere ed allo
stesso tempo educare i bambini. E programmi di questo
genere sono tantissimi, basti
pensare al telegiornale per i
ragazzi, a trasmissioni che in
forma documentaristica o
animata trattano temi di
storia, di geografia o di
scienze naturali; ad alcuni
programmi di intrattenimento pomeridiani molto
ben fatti che si propongono
obiettivi cognitivi, logici e
linguistici.
Le serie Tv solo importanti
sul piano didattico non solo
per i bambini, ma anche per
i grandi. Dato che negli
ultimi anni le serie americane ed inglesi hanno avuto
sempre più successo, le
persone di tutto il mondo
cominciano sempre di più a
seguirle. Ma sono in molti
che non riescono ad aspettare i tempi di attesa lunghissimi che ci sono in Italia, a causa dei lunghi tempi
che servono per fare il doppiaggio e altro, decidendo
cosi di vedere le puntate in
streaming direttamente in
lingua originale con il solo
aiuto dei sottotitoli. In que-

sto modo si acquisisce una
certa dimestichezza con la
lingua inglese, dato che gi
show più visti in streaming
sono di origine americana,
migliorando cosi la propria
dizione e la propria cono-

scenza della lingua straniera.
I telefilm influenzano molto
anche la propria decisone
del mestiere che si vuole
fare da grandi. Secondo un
sondaggio di “Telefilm Viewers” del 2012, è emerso
come il 20% di telespettatori
abbiano scoperto la loro
passione per un certo tipo
di mestiere proprio grazie a
determinate serie televisive.
Le serie Tv hanno, anche,
stabilito le varie tendenze
tecnologiche negli anni.
L’innovazione tecnologica,
per quanto riguarda la televisione, è sempre stata dovuta ad una certo tipo di
necessità da parte dello
spettatore. Se, infatti, diversi
anni fa non si riusciva a fare
in tempo a guardare una
puntata del tuo telefilm
preferito non c’era nessun
modo di recuperare
quell’episodio, se non sperando in una replica. Dato
che questo era causa di molti inconvenienti sono nate le
videocassette vhs sulle
quali si potevano registrare
gli show e guardarseli, poi,
in ogni momento. Andando
avanti col tempo la tecnologia si è sempre più rinnovata, fino ad arrivare ai giorni

d’oggi dove la maggior parte degli telespettatori non
seguono più le serie Tv in
televisione ma in streaming, ovvero su siti
internet appositi dove si
possono guardare gli show
in qualsiasi momento lo si
desideri.
I telefilm hanno avuto un
ruolo molto importante
anche nel movimento femminista. In un articolo pubblicato su “TV Guide” nel
1964, Betty Friedan accusò
la televisione di rappresentare, nelle diverse fiction, la
donna americana come
“stupida, poco attraente,
insicura piccola donna di
casa che passa tutti i suoi
stupidi e noiosi giorni a
sognare l’amore della loro
vita […] e complottando
orribili piani per vendicarsi
sul marito”. Cosi non appena le donne iniziarono a
rivoltarsi e protestare per
avere gli stessi diritti degli
uomini, ovvero tra il 1960 e
1970, il problema della stereotipizzazione delle donne
nella televisione del tempo f

u subito affrontato in maniera molto determinata.
Dal 1930 al 2012 la televisione non è cambiata molto.
A dominare la programmazione diurna sono ancora,
infatti, le soap opere e i talk
show. Dal 1950, inoltre, gli
show in prima visione sono
stati ispirati ed interpretati
da uomini. Nel 1952, il 68%
dei personaggi di film e
telefilm da prima visione
erano interpretati da uomini, mentre nel 17% erano
addirittura il 74 %. Nel
1970, quindi , la National
Organization for Women
(NOW) formò una task
force che andò negli studi
televisivi per cambiare la
dispregiativa visione stereotipata della donna nella
televisione.
Come le fiction sono state
importanti nel movimento
femminista allo stesso modo
sono importanti anche per
il movimento per diritti dei
gay. Sono molte infatti le
serie Tv che dipingono i gay
per le persone che sono
realmente, senza le solite
stereopatizzazioni. Anche se
non sempre è stato cosi.
Analizziamo meglio la tematica.
Nell'era dei media, infatti,
spesso sono proprio le immagini e le scene viste sui
grandi o piccoli schermi a
cambiare il nostro modo di
percepire la realtà che ci
circonda. Spesso ci chiediamo come mai ancora molti
aspetti della vita umana che
per noi risultano così importanti ancora non siano
mai stati oggetto specifico di
qualche pellicola cinematografica o anche di un telefilm. Un esempio di ciò potrebbe essere l'evoluzione
della figura degli omosessuali all'interno della società. Un'evoluzione che, tuttavia, potrebbe partire non
tanto dal nostro vivere il
reale quanto l'osservare il
virtuale. Se prendiamo come esempio il telefilmmusical di maggior successo
degli ultimi 3 anni quale
Glee, notiamo fin da subito
la quasi centralità dell'omosessualità di alcuni personaggi ai fini della trama. Il
personaggio di Kurt è il
tipico ragazzo desideroso di
fama e, ovviamene, gay. Ciò
si sposa perfettamente con
la politica del telefilm che è
"non giudicare, apprezza le
differenze". Infatti, ben due
stagioni su tre di questo
telefilm trovano tra le stor-

yline principali quelle di
Kurt (il quale passa da vittima di bullismo omofobo a
fidanzato spensierato e più
maturo) e Santana (la quale
all'inizio ignora la sua sessualità ma che alla fine, dopo
molta fatica, riesce ad aprirsi
con gli amici e con i genitori). Ora, l'intento di Glee è
quello di creare una felice e
allegra parodia degli stereotipi. Il tutto però va inevitabilmente ad ottenere una
versione ancora più forte e
radicata dello stereotipo
gay. Kurt infatti è effemminato, appassionato di moda,
voce acuta da usignolo e
canta rigorosamente brani
scritti e cantati da donne.
Per un telefilm che sembra
prefiggersi uno scopo pedagogico è davvero questo il
modo più corretto di affrontare il tema dell'omosessualità? Se passiamo ad un altro
telefilm rivolto ad un pubblico diciamo più
"universitario" o comunque
ad una fascia sopra i 20 anni, troviamo un contesto e
personaggi molto diversi.
Parliamo di "Happy Endings", nel quale si narrano
le bizzarre avventure di un
gruppo di amici molto eterogeneo e all'interno del
quale compare proprio la
figura del gay: Max. Egli
sembra essere proprio l'opposto di Kurt poichè appare interessato al Football
americano, segue
la stessa routine
dei suoi amici
eterosessuali e
anzi sembra provare antipatia per gli
omosessuali troppo "effemminati".
Questi sono solo
due esempi di
tante serie tv che
stanno affrontando il tema omosessualità (quasi tutti
i medical drama
quali Grey's Ana-

tomy, Dr.House, Nurse Jackie).
La figura dell'omosessuale è
ricca di stereotipi e, spesso,
anche di menzogne e di
certo non ci si deve sorprendere che anche il mondo dello spettacolo si nutra
di ciò. Tuttavia è anche rassicurante notare che la pluralità dei telefilm riesca a
farci uscire dalla solita immagine statica e monotona
del gay alla Kurt per passare
magari al gay alla Max.
Inserendo personaggi gay
nelle fiction si è infranto un
tabù che durava da decenni.
È anche grazie a questo,
forse, che gli omosessuali
con il tempo sono stati sempre più accettati all’interno
della società (non dall’intera
società, ovviamente).
Questo dei gay non è però
l’unico tabù infranto dalle
serie televisive, anzi sono
davvero molti. Prendiamo
ad esempio l’incesto. Nei
canali broadcast questo
argomento è più che mai
vietato, mentre alcuni passi
sono stati fatti negli anni
dalle reti via cavo, tradizionalmente più aperte e licenziose. Il primo telefilm a
toccare questo argomento è
stato Twin Peaks, con una
visione terrificante della
media borghesia americana.
Nel 1990, Twin Peaks ha
dato al mondo una visione
da incubo sullo squallore
esistente sotto la patina
placida di una piccola città
americana. Ma, mentre uno
dei molti enigmi presenti
nella storia di Twin Peaks è
stata l’identità dell’assassino
dell’adolescente Laura Palmer (Sheryl Lee), il vero
segreto in agguato al centro
del mistero sono stati
l’incesto e gli abusi subiti da
Laura per mano di suo padre, Leland (Ray Wise) e il
danno psicologico che ha
causato questo segreto a sua
moglie Sarah (Grace Zabri-

skie). E’ stata una rivelazione così orribile, così distruttiva, che i creatori l’hanno
mostrata in termini soprannaturali, facendo possedere
Leland da un’entità demoniaca così da spiegare la
crudeltà e la mancanza di
umanità che un tale crimine
avrebbe richiesto.
“L’atto per cuore nero
dell’assassino ha tinto
l’intero racconto,” ha detto
il co-creatore di Twin Peaks
Mark Frost al Daily Beast.
“L’incesto è un primitivo,
eterno tabù nella cultura
civile, e alcune delle più
grandi tragedie mai scritte
scaturiscono da esso, o conducono ad esso.”
Negli oltre 20 anni dalla
messa in onda di Twin Peaks, l’approccio della televisione all’incesto è cambiato
poco, con pochi spettacoli
che hanno osato sfidare
quel tabù. Tuttavia, soprattutto nell’ultimo anno, le
sceneggiature di alcuni spettacoli televisivi hanno capovolto la loro riluttanza sul
trattare l’incesto. Le reti
Premium via cavo permettono agli sceneggiatori di
spingere i confini
[dell'incesto] con storie che
prima non erano ammesse.
E con l’incesto in primo
piano nel dibattito nazionale si sta fornendo argomento per alcuni degli show
televisivi più audaci e controversi.
Note
1

Da “Wikipedia, l'enciclopedia libera”, alla voce: CSI - Scena del crimine
2
La dopamina è un neurotrasmettitore endogeno della famiglia delle
catecolamine. Essa ha molte funzioni
nel cervello, gioca un ruolo importante in comportamento, cognizione,
movimento volontario, motivazione,
punizione e soddisfazione, nell'inibizione della produzione di prolattina ,
sonno, umore, attenzione, memoria di
lavoro e di apprendimento. Agisce sul
Sistema nervoso simpatico causando
l'accelerazione del battito cardiaco e
l'innalzamento della pressione sanguigna.cocaina
3
ADHD - ADD Videos Games and TV
4
Da “Wikipedia, l'enciclopedia libera”, alla voce: Social Tv.
Joyce and House M.D.
The writers of Tv shows
always need to renew their
cinematic technique to
bring new audience to look
at their products. But
“renew” doesn’t always means that you have to create
new techniques. In fact,
there are many writers and
directors of Tv shows who
transform narratives expedients, that has never been
used other than literaly or
that hasn’t been successful
in past, into a cinematic
form.
In my opinion, one of the
best literary device that has
been trasformed into a cinematic form was/is the epiphany of James Joyce one of the best known novelist, short story writer and
poet of the whole Ireland that is “the sudden spiritual
manifestation caused by a
trivial gesture, an external
object or a a banal situation,
which used to lead the character to a sudden selfrealisation abouot himself/
herself or about the reality
surrounding him/her.”1 Joyce used this narrative technique for the first time in
“Dubliners”, a collection of
short stories all about Du-

James
Joyce

blin and Dublin’s life.
We can find an example of
epiphany in Eveline2, a
short story that describes
the life of a nineteen-yearold girl who has the opportunity of changing her everyday life but she is unable to
leave her familiar
community in Dublin. Eveline is like many young women in early twentieth century Ireland. With her mother having passed, she is
expected to take care of her
childhood home. Joyce writes that Eveline struggled to
keep "her promise to keep
the home together as long
as she could," a promise she
made to her mother while
on her deathbed. Taking
care of her home is one
example of Eveline's oppression by the lack of women's
liberation in 1914.
"She had hard work to keep
the house together and to
see that the two young children who had been left to
her charge went to school
regularly and got their meals regularly," Joyce writes.
"It was hard work-a hard
life." It is never clear whom
Eveline is taking care of, but
it is clearly illustrated that

she is unhappy in her
assumed
position of a
housewife
without
a
husband.
In that time
period, women were still
considered as
less than the
worth of men,
unable to vote
or hold positions
of
power, thus
Eveline's father wasn't
proud of her
as he was of
his sons. Eveline's father
also made her give up her
work wages. Consequentially, she was always broke
and was aided by her brother, as her father wouldn't
ever help out, saying Eveline "squandered" his hardearned money.Eveline's
plan is to leave her monotonous life and go to Buenos
Aires with her lover, Frank.
She puts so much of her
proposed future happiness
on Frank's shoulders, and

assumes that leaving her life
as a homemaker is possible
just by marrying him. But
while she was going to met
Fank and leaving Dublin
together, she hear a street
organ playing. Taht
“remind her of the promise
to her mother, her promise
to keep the home together
as long as she could. She
rememebered the last night
of the mother’s illness; she
was again in the close, dark
room at the other side of
the hall and outside she
heard a melancholy air of
Italy”. In a first moment she
feel a sudden impulse of
terror, that was driving her
to escape. But in a second
moment she realises that
she can not escape and leave Dublin and her family.
She realises that she has to
miantain the promise that
she made to her mother,
keep “the home together”.
So she change her idea and
decides to remain in Dublin, to return to her inisgnificant life.
So we can find in this passage the epiphany, that is caused by hearing a street organ playing, and the theme
of paralysis, very important
in Joyce.
The most famous case of
epiphany in Tv shows is
certainly the one used in
House M.D., that is an American television medical
drama where the central
character is Dr. Gregory
House (Hugh Laurie), an
unconventional and misanthropic medical genius who
heads a team of diagnosticians at the fictional Princeton-Plainsboro Teaching
Hospital (PPTH) in New
Jersey.
Every episode of House
M.D. has a rigid structure
divided in 4 points:
“Person gets sick. Misanthropic genius insults those
close to him, bullies his
staff, and occasionally breaks a few laws in an effort to
diagnose the patient. Patient
gets better before getting
worse. And eventually an
epiphany pops in and reveals the diagnosis to the
mysterious diagnosis. Some
of these epiphanies came

from logic while others came from the Deus Ex
Machina Express.”3
So we can see that the
“literaly” device of epiphnay
is presnt in almost every
episode of that shows. An
exemple could be the first
episode of the fifth season,
“Dying Changes Everything”:
Patient: Personal assistant
Lou
Lou presents with various
psychiatric as well as physical symptoms. But House
seems more interested in
repairing his friendship with
Wilson in House's
trademark friendly manner.

The word "Idiot" is used.
Probably the only thing
House noticed about Lou is
how she looked 20 for a 37
year old.
Epiphany: While House is
talking about his friendship
with Wilson,he notices a
dying and now older looking Lou. Taking barely a
minute to comment on her
looks, he grabs a syringe
and injects her while telling
her she has diffuse lepromatous leprosy before going
back to talking about Wilson
as if the past minute never
happened, much to Thirteen's chagrin. It was pretty
cool seeing a seemingly
inattentive House still

outperform his underlings.

Note
1

Lit&Lab, From the Early
Romantics to the Present
Age.
2
James Joye (18821941),Dubliners(1914)
3
Memorable Epiphanies of
"House MD", By K. Valentine

Things you may need
to know:
Joyce tried to represnt in
Dubliners (1914) a realistic
portait of the life of ordinary peaple doing ordinary
things and living ordinary
lives. Also, it was the oppressive effects of religious,
political, cultural and economic forces on the lives of
lower-middle-class Dubliners that provided Joyce
with the raw material for a
psychologically realistic
picture of Dubliners as afflicted peaple.
Dubliners consist of fifteen
short stories; they all lack
obvius actions, but they
disclose human situations,
moments of intensity and
lead to a moral, social, or
spiritual revelation. The
opening stories deal with
childhood and youth in
Dublin, the others, advancing in time and expanding
in scope, concern the
mddle years of characters
and thei social, political, or
religious affairs.
What holds all these stories
together is a particolar
structure and the presence
of the same themes,
symbols and narrative techniques.
(Lit&Lab, From the Early
Romantic to the Present
Age)
Pasolini e Popper
contro la televisione
«Le parole che vengono
dalla televisione cadono
sempre dall’alto, anche le
più vere. E parlare dal
video è sempre parlare ex
cathedra, anche quando
c’è un mascheramento di
democraticità». (Pier Paolo
Pasolini, 1971)
La televisione, dal punto di
vista sociologico, è uno dei
mezzi di comunicazione di
massa tra i più diffusi ed
apprezzati e
naturalmente
anche tra i più
discussi. Dalla
sua invenzione
sono stati in
molti a schierarsi contro e ad
esprimere la
loro indignazione.
Una critica forte è stata sicuramente quella di Pier Paolo
Pasolini, che si focolizzò in
particolare
sull’inespressività della lingua e sull’omologazione
culturale. L’Italia, infatti, in
coincidenza con il boom
economico riusci a raggiungere una piena unificazione
della lingua parlata, grazie
in
particolare
all’alfabetizzazione svolta
dal mezzo televisivo e
all’allargamento della scolarizzazione.
Pasolini giudicava la televisione, e anche la sua lingua,
con occhi politici, vedendo
in essa l'espressione del

neocapitalismo e della borghesia e facendone notare
in modo ricorrente anche la
volgarità. «Il suo film
(Francesco d'Assisi della
Cavani - 1966) è un prodotto tipicamente televisivo.
[...] San Francesco è divenuto accessibile alla borghesia
italiana (i cosiddetti telespettatori) attraverso la sua
appartenenza a un ambiente
borghese [...]»1, è cosi che
nel ’66 Pasolini critica il
film di Liliana Cavani.
Della lingua
televisiva
Pasolini sottolineava
soprattutto
l'ufficialità,
l'adesione
all'italiano standard e la

mancanza di espressività a
favore di una pura comunicatività. Il linguaggio televisivo «pare avere accantonato
la sua funzione didascalica
in direzione di un bell'italiano, grammaticalmente puro
[...]: ora la funzione didascalica della televisione pare
essere verso una normatività
di grammatica e di lessico
non più purista ma strumentale: la comunicazione
prevale su ogni possibile
espressività»2. Espressività
che, come è noto, Pasolini
giudicava del tutto estranea
alla lingua puramente comunicativa, tecnologica, che
si stava imponendo nella
società neocapitalistica, e
alla quale la letteratura doveva opporre creatività,
espressività, dialettalità.
Per quanto riguarda

l’omologazione culturale
Pasolini scrisse sul “Corriere
della Sera”, del 9 dicembre
1973, che "[...] per mezzo
della televisione, il Centro
ha assimilato a sé l’intero
paese che era così storicamente differenziato e ricco
di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di
ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè i suoi
modelli: che sono i modelli
voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si
accontenta più di un “uomo
che consuma”, ma pretende
che non siano concepibili
altre ideologie che quella
del consumo, [del] nuovo
fenomeno culturale
“omologatore” che è
l’edonismo di massa. [...] È
attraverso lo spirito della
“La cosa che più importa all’uomo moderno non
è più il piacere o il dispiacere, ma l’essere eccitato” - Friederich Nietzsche

televisione che si manifesta in concreto lo spirito
del nuovo potere. Non c’è
dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia
autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di
informazione al mondo."
Rileggendo ora le sue parole è impressionante realizzare quanto tutte le sue considerazioni siano molto attuali. La differenza tra la lingua
televisiva di oggi, infatti,
rispetto al modello che emerge dall'osservazione e dalla
riflessione fatta
da Pasolini non
potrebbe essere
più grande. I
programmi televisivi della neotelevisione, a partire dagli anni
Ottanta e poi con
decisione dagli
anni Novanta,
presentano un
quadro linguistico davvero molto
differente da
quello della paleotelevisione: se
questa, infatti,
offriva complessivamente un
modello corretto e vicino
all'italiano standard (come
sottolineava Pasolini), la
televisione di oggi, sotto gli
occhi di tutti, presenta una
varietà linguistica che, se da
un lato rispecchia la variazione sociolinguistica dell'Italia dei nostri giorni,
dall'altro la dilata in una
molteplicità di codici e di
idioletti davvero notevole.
Karl Popper, al contrario di
Pasolini, si è focalizzato per
lo più sull’eccesso di violenza presente in televisione e
sulla sua funzione educatrice.
Com’è noto, Karl R. Popper

fu filosofo della scienza e
studioso di pedagogia, e
fece delle considerazioni
sulla televisione e sulla capacità di questa di influenzare i comportamenti dei
giovani e dei bambini.
Nel suo saggio, intitolato
“Una patente per fare tv”,
Egli descrive le motivazioni
che stanno alla base di un
prodotto televisivo sempre
più scadente. Una di queste
sta nel fatto che è sicuramente difficile trovare per-

sente nei vari programmi,
che induce i più giovani e i
più deboli ad adottare atteggiamenti
antisociali. La televisione, infatti, fa
parte dell’ambiente
che tutti i giorni i
bambini vivono, e
proprio per questo
è in grado di influenzarli. Una scena di violenza vista
in televisione ha la
stessa portata condizionante

sone in grado di creare prodella violenza effettiva che
grammi di qualità accettabipuò essere vissuta realmenle per venti ore al giorno; è
te all’interno delle mura
di gran lunga più semplice
domestiche.
reperire persone capaci solo
Consapevole
di ideare, per un tempo
dell’importanza che la telesimile, un provisione ha
dotto scadente. "Una democrazia non può sullo svilupLa
l e g g e esistere se non si mette po dei bamdell’audience, sotto controllo la televi- bini, Popper
inoltre, spinge sione, o più precisamente p r o p o n e
le varie emit- non può esistere a lungo una soluziotenti a cercare il fino a quando il potere ne: chi fa
sen sazio n al i- della televisione non sarà televisione
smo, e questo pienamente scoperto". deve essere
di rado coincimunito di
Karl R. Popper.
de con la qualiuna patentà.
te, una speLa critica popperiana alla
cie di autorizzazione, che
televisione si incentra sopotrà essere revocata da un
prattutto sulla violenza preorgano competente nel

momento in cui non siano
rispettati certi criteri. La
patente sarebbe concessa ai
produttori
solo dopo un
corso,
che
a v r eb b e
l’obiettivo di
renderli consapevoli del
ruolo di educatori di massa
che essi, anche senza volerlo, assumono. Questa potrebbe
essere più efficace
della censura perchè
la patente porterebbe
chi ne è in possesso
ad essere inserito
nell' educazione di
massa. In conclusione, secondo Popper,
una democrazia non
può esistere se non
si mette sotto controllo la televisione o
più precisamente
non può esistere a
lungo fino a quando
il potere non sarà
pienamente scoperto.
Per Popper il controllo dei mezzi di informazione
è necessario per la sopravvivenza della democrazia.
Afferma infatti: “Credo che
un nuovo Hitler avrebbe,
con la televisione, un potere infinito.” 3

Note
1

Pier Paolo Pasolini,
Contro la televisione,
cit., p. 129.
2
O. Parlangèli, La nuova
questione della lingua,
cit., p. 11.
3
Cattiva maestra televisione, Karl Popper.
La Pop-Art come conseguenza della televisione?
Possiamo considerare la
televisione come fattore
chiave nella nascita della
Pop-Art? In che modo l’ha
influenzata?
Prima di rispondere alla
domanda e capire se, appunto, la Pop-Art può essere considerata come conseguenza della televisione,
definiamo il movimento
artistico preso in considerazione.
Negli anni sessanta, dopo
una breve esperienza inglese, matura negli Stati Uniti
una nuova forma d’arte
popolare, la Pop-Art (pop
infatti è l’abbreviazione di
popular, popolare) che
rivolge la propria attenzione
agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della società dei con-

sumi. Bisogna però precisare come l’appellativo popular, non debba essere inteso
come “arte per il popolo”
oppure “arte del popolo”,
ma, più puntualmente, come “arte di massa”, cioè
prodotta in serie. E poiché
la massa non ha volto, l’arte
che la esprime deve essere il
più possibile anonima: solo
cosi potrà essere compresa
e accettata dal maggior numero possibile di individui.
Si passa cosÌ, dunque, dalle
elaboratissime riflessioni sui
significati artisiìtici di materia e gesto, alla proposizione di valori assolutamente
quotidiani e volutamente
banali. Gli artisti pop attingono le loro motivazioni da
tutti i fenonimi come: la

sfrontata mercificazione
dell’uomo moderno,
l’ossessivo martellamento
pubblicitario, il consumismo eletto a sistema di vita
e il fumetto quale unico,
residuo veicolo di comunicazione scritta. Non mancano, però, nella Pop-Art le
icone dello star system cinematografico e musicale, gli
accadimenti di carattere
storico e sociale convertendoli in oggetto di consumo.
La Pop-Art, confrontata con
altri movimenti artistici
(come ad esempio il Dada),
non sembra altro che una
stanca esercitazione di stile,
che graffia e contesta solo
superficialmente, lasciando
intatta la sostanza delle cose
e dando per assolutamente
s c o n t a t a
l’irreversibilità del
modello di sviluppo
consumistico.
Possiamo, dunque,
osservare come le
opere pop ci appaiono spesso più curiose che provocatorie
e il loro impatto con
la realtà sia
senz’altro più ironico che sarcastico. Ed
è per questo che c’è
un grande e quasi
maniacale interesse
per il mondo dei
mezzi di comunicazione di massa,
della persuasione

occulta della pubblicità martellante a fini smaccatamente consumistici, sullo sfondo di una realtà piatta ed
innaturale. La pubblicità
dunque ha un ruolo importantissimo all’interno di
questo movimento artistico
ed eco quindi il primo motivo che ci porta ad affermare
che la Pop-Art sia conseguenza della televisione. È
vero che le pubblicita non
venivano trasmesse solo in
TV ma attraverso qualsiasi
mezzo di comunicazione di
massa, ma è anche vero che
la televisione è, forse, il
mezzo di comunicazione di
massa più importante e più
influente. Ai tempi, infatti, ma forse anche ora- le televisioni, sia pubbliche che
private, erano dei contenitori per vendere pubblicità e
merci, e i cosiddetti palinsesti svolgevano soprattutto
l'utile funzione di riempire
gli spazi tra uno spot pubblicitario e l'altro.
La Pop-Art, inoltre, attinge i
propri
soggetti
dall’universo del quotidiano
e fonda la propria comprensibilità sul fatto che quei
soggetti sono per tutti assolutamente noti e riconoscibili. Quale mezzo migliore,
dunque, della televisione
per rendere riconoscibile
universalmente determinati
soggetti? Ed è anche per
questo che gli artisti pop
vivono e lavorano in perfetta simbiosi con il sistema
comunicativo e pubblicitario dal quale traggono i
propri spunti e del quale
finiscono, in definitiva, per
essere una delle infinite
varianti.
Anche nei giorni d’oggi ci
sono ancora artisti pop. Ad
esempio sono di stampo
pop le opere di Shepard

Fairey. Oppure gli originali
e divertenti poster del
designer ed art director
Albert Exergiani, il quale ha
dedicato alla sua passione
telefilmica una serie di poster d’autore. Exergian, infatti, ha da sempre avuto un
debole per le serie tv, siano
esse quelle ormai cult o di

ultima generazione.
L’autore ha quindi deciso di
omaggiare i titoli da lui ritenuti più importanti negli
ultimi 20 anni con ben 40
poster monotematici. Con
uno stile asciutto e pulito -o

in altre parole minimalista-, Exergian ha
realizzato dei manifesti
in
cui
l’omaggio ad un
telefilm è
simboleggiato da
un unico elemento: un simbolo,
un oggetto, la
stilizzazione di
una caratteristica
portante della
serie in questione. Così, dei
canini ricordano

“True Blood”, una graffetta “MacGyver” o un corvo
“Six Feet Under”. Nella
pagina potete vedere alcuni manifesti. Mai come
in questo caso s’è potuto
dire che la tv s’è fatta pop
-art, mezzo di comunicazione attraverso dialoghi
ma anche, ed a volte soprattutto, immagini.
Un’inquadratura
Figura. 1 che per un
secondo indugia su un oggetto
o la presenza
fissa -quasi ossessiva- di un elemento a fianco
dei suoi protagonisti bastano per
dare un secondo
lunguaggio alle
serie tv, ormai
non più semplici
strumenti di intrattenimento,
ma anche fonti
ispiratrici di una
forma d’arte che,
a prescindere dai gusti, resta tale.
Possiamo concludere, dunque, dicendo che, per quanto abbiamo osservato, la
televisione
Figura. 2
è stata sicuramente
una fonte
molto importante
alla quale
gli
artisti
pop hanno
potuto attingere per

Figura. 3

creare le proprie opere, ma
è stata forse ancora più importante di questo, dato che
la telvesione è stata ed è il
mezzo più efficace che i
potenti hanno per creare
una società di massa e consumista.

Note
Figura 1
La guerra, l'immigrazione,
le disuguaglianze sociali, il
razzismo, ma anche personaggi della politica, dello
sport e del costume: sono i
temi delle opere di Shepard
Fairey, l'artista neo pop
americano autore anche
dell'icona più famosa di
Barack Obama. Ora l'America si divide sul processo
che lo oppone l'Associated
Press. Per creare il suo
'Hope' dedicato a Obama
l'artista ha elaborato una
foto dell'agenzia.
(Fonte: L’Espresso)
Figura 2
Albert Exergian, Poster
d’autore della serie televisiva House M.D.
Figura 3
Albert Exergian, Poster
d’autore della serie televisiva Dexter
Thanks

To:

Ahhhhhh, è finita! E insieme alla tesina anche il
liceo (si spera). Ringrazio tutti coloro che mi
hanno aiutato e sestenuto durante la stesura
della tesina. Ringrazio, dunque, Dario, Mett e
Irene per la correzione delle bozze. Poi ringrazio la Lalla per le sue importanti e utili osservazioni e suggerimenti. E grazie anche ad Ale, che
mi ha sempre detto: ”Si si, è bella!”.
Un grazie, però, va anche agli insegnanti che
mi hanno portato fino agli esami, nel bene o
nel male, e spero che l’abbiano fatto perché
me lo meritavo e non perché volevano liberarsi
a tutti i costi di me.
L’ultimo ringraziamento, ma non per questo
meno importante, va anche al sito italiansubs.net e ai suoi utenti, che sono stati sempre
gentili e cordiali nell’aiutarmi, offrendomi la
loro piena disponibilità.
Dan Rusnac

Fonti:
Federico di Chio, L’illusione difficile: Cinema e serie Tv nell’età dela disillusione

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  • 1. La notizia pungente! Speciale: Tesina di Maturità Giornalino degli studenti del Liceo scientifico “Galeazzo Alessi” PG “Dobbiamo andare nel mondo congiuntivo dei mostri, dei demoni e dei clown, della crudeltà e della poesia, per dare un senso alle nostre vite di ogni giorno, guadagnando il nostro pane quotidiano” Victor Turner Editoriale Serie TV: Salve a tutti! Inizio dicendo subito che no, non è il 23esimo numero de “La Siringa”. Mi sono preso, infatti, la libertà di creare questo “numero” per la mia tesina di maturità. Proprio così! Qui dentro troverete, dunque, diversi articoli uniti tra loro da un filo logico e da un determinato argomento: le serie televisive e come queste influenzino la vita quotidiana e la cultura. Ho scelto questo tema in quanto io stesso sono un amante del cinema e delle serie TV, e penso che non avrei potuto scegliere qualcosa che mi rappresentasse meglio. Inoltre, essendomi sempre interrogato sul modo in cui la serialità ci influenzasse e sulla sua importanza e conseguenza storica, ho colmato, se non totalmente, almeno in parte la mia curiosità e dato totale libertà al mio interesse per questo tema al fine di ottenere i migliori risultati possibili. Per capire come, appunto, le serie Tv ci influenzano ho suddiviso gli articoli in 3 sezioni. Nella prima sezione parlerò di come le serie tv creino un'illusione e del perchè l'uomo avverte il bisogno di fare esperienza attraverso di esse. Nella seconda parte, invece, parlerò di come esse influenzano la nostra vita e infine nella terza ci saranno diversi articoli basati su dei collegamenti con le materie scolastiche e sui vari aspetti di questo mondo cinematografico. Insomma, spero di essere riuscito a creare qualcosa di bello e interresante, e, chissà, magari anche utile. Rusnac Dan V F Come influenzano la vita quotidiana delle persone? Nell’ultimo ventennio le serie tv hanno iniziato sempre più a monopolizzare le serate e i pomeriggi televisivi. Quasi tutti oramai hanno almeno una serie tv preferita, che sia “Beautiful”, “Dexter” o “Chuck”, alla quale difficilmente possono rinunciare. Ma perché sentiamo questa necessità di guardare i telefilm? Perché continuiamo ad immedesimarci in individui che sappiamo non esistere, come anche l’intero mondo in cui si trovano ad agire e a muoversi? Ed infine, in che modo la televisione e la serialità ci influenza nella nostra vita quotidiana, dalle scelte più semplici a quelle più complesse? Joyce and House M.D. Pasolini e Popper contro la televisione La Pop-Art come conseguenza della televisione? The writers of Tv shows always need to renew their cinematic technique to bring new audience to look at their products. But “renew” doesn’t always means that you have to create new techniques. In fact, there are many writers and directors of … Continua a pag. 10 La televisione, dal punto di vista sociologico, è uno dei mezzi di comunicazione di massa tra i più diffusi ed apprezzati e naturalmente anche tra i più discussi. Dalla sua invenzione sono stati in molti a schierarsi contro e ad esprimere la loro indignazione... Continua a pag. 12 Possiamo considerare la televisione come fattore chiave nella nascita della Pop-Art? In che modo l’ha influenzata? Prima di rispondere alla domanda e capire se, appunto, la Pop-Art può essere considerata come conseguenza della… Continua a pag. 14
  • 2. Pilot “Dobbiamo andare nel e di riappropriazione, in cui mondo congiuntivo dei fare i conti con se stessi, la mostri, dei demoni e dei propria collettività e il proclown, della crudeltà e prio destino. La fantasia, la della poesia, per dare un narrazion e, il mito, senso alle nostre vite di l’espressione artistica, il ogni giorno, guadagnando rito… sono tutte forme di il nostro pane quotidiano”. accesso a questa dimensioCosi Victor Turner conclude ne intermedia, che segna From Ritual to theatre. The profondamente i modi Human Seriousness of Play, dell’esperienza umana, fin forse una delle sue opere dai primi passi. Già da bampiù belle, rimarbini, infatti, cando la necessi- È il luogo della pos- cominciamo tà, per l’uomo, di sibilità, della simbo- ad abitare abitare uno spa- lizzazione, del gioco; uno spazio di zio potenziale, e diventa un po’ alla tr an sizione “ c o n g i u n t i v o ” volta terreno di co- tra la fantasia sospeso tra realtà e la realtà, e immaginazio- struzione della no- popolato da stra identità. ne, oggettività e oggetti e soggettività, aziopersonaggi ne e riflessione, in cui poche sono al contempo repetersi sottrarre al fluire incesriti al nostro interno (e dunsante degli eventi, per rigeque richiamabili a volontà e nerarsi e dare un senso padroneggiabili, quasi fosseall’esistenza di tutti i giorni. ro creati da noi stessi) e Un mondo interstiziale, di trovati fuori di noi (e duncreatività e di ristrutturazioque dotati di una propria ne, di perdita autonomia). È il luogo della possibilità, della simbolizzazione, del gioco; e diventa un po’ alla volta terreno di costruzione della nostra identità. Si cessa poi di essere bambini, ma questo interstizio vitale tra sé e mondo resta; e l’intera sfera fantastica, estetica e rituale è chiamata in causa per riempirlo. Lo spettacolo - ponendosi al crocevia tra espressione artistica, rito, racconto, mito, performance scenica, gioco - è sempre stato una delle più fertili “terre di mezzo” tra vita vissuta e vita pensata, tra partecipazione diretta e riflessione. Un tempo e un luogo di sospensione dalla realtà, e tuttavia sempre a ridosso di questa, in cui e attraverso cui dar senso alle cose. Un’esperienza intermedia tra la condizione in cui siamo e quella in cui dobbiamo essere (le necessità della vita: le regole sociali, i valori della comunità, ma soprattutto gli accidenti dell’esistenza, il dolore, la morte…). Uno spazio in cui possiamo, anche, crescere, provando senza sperimentare davvero, simulando senza vivere in prima persona; spazio potenziale in cui rinfrancarci, ma anche prepararci all’azione, farci una ragione di ciò che sembra non averla. Il tutto con leggerezza, misura e anche con piacere. Tra tutte le forme di spettacolo audiovisivo dove poter far esperienza di questa dimensione intermedia, ve n’è una che colpisce particolarmente, per la sua piacevolezza, ma anche per la sua efficacia simbolica. Sa infatti generare esperienze forti, intense sotto il profilo percettivo, cognitivo ed emotivo, inducendo tuttavia una sospensione facile, non impegnativa, gradevole. È la forma dell’illusione. Je sais bien, mais quand meme L’illusione non è semplice da descrivere e ancor meno da spiegare, ma è facilissima da provare. Basta, infatti, sedersi sul proprio divano, oppure in un cinema, e gustarsi un bel film o una puntata di una serie televisiva. Essere trasportati in un mondo,collocati nel cuore delle cose, in posizione di privilegio. Fare conoscenza con un personaggio e cominciare a condividere il suo punto di vista sulle cose e le sue motivazioni; ad approvare le sue azioni e a fare il tifo perché abbiano successo; a provare le sue emozioni o , comunque, a vibrare in sintonia con lui. Sentirsi a posto se le cose vanno come secondo noi devono andare; e viceversa provare ansia e, talvolta, paura o tristezza perché vanno nella direzione opposta. Tutti l’abbiamo provato. E ci siamo divertiti, ci siamo appassionati, ci siamo sentiti completamente coinvolti, anche se sapevamo bene che “non è vero”. Per qualche tempo abbiamo vissuto un’altra vita, senza riserve, pur sapendo che non è la nostra e che non è neppure una vita reale. L’illusione offre appunto un’esperienza proiettiva e ri -creativa forte, offrendoci dei viaggi di prim’ordine, in cui si sperimentano situazioni immaginarie con l’evidenza della percezione reale; occasioni preziose in cui l’uomo-videns (come lo definisce Giovanni Sartori nel libro Homo videns)
  • 3. “Il cinema si è saputo porre nella vita moderna come ciò che la maggior parte delle altre forme d’arte ha cessato di essere: non un ornamento, ma una necessità” - Erwin Panofsky può fare esperienza fuori di sé e , ancor più, fare esperienza di sé fuori dalla propria vita, traendo da questo percorso anzitutto piacere; e poi, anche, risorse importanti per la costruzione della sua identità. Per questo l’illusione, tra tute le forme del dominio audiovisivo, è stato ed è di gran lunga quella dominante. Ma che cos’è esattamente l’illusione? Richard Allen ha definito l’illusione come quella esperienza per cui “mentre sappiamo che stiamo vedendo solo un film, sperimentiamo tuttavia quel film come un mondo pienamente realizzato”.¹ È illusione, appunto, e come tale non è l’”allucinazione” di chi scambia il mondo convocato con quello reale o lo sguardo della macchina da preso con il proprio sguardo; né la piena coscienza di chi mai per un attimo dimentica che si trova di fronte a una rappresentazione o a un discorso. È una condizione intermedia tra abbandono e presenza di sé, adesione e distacco critico, che - seppur alla lontana - ricorda il cosiddetto “sogno lucido”²; e, anche, il gioco dei bambini, nel quale si dà vita a un mondo sospeso tra coinvolgimento emotivo e serenità del “far finta”. Gioco… come rivela l’etimologia stessa di illusione, che deriva dal latino “in-ludere”: entrare in una dimensione ludica e fantastica, in cui “si crede senza credere”, sostando nella terra di mezzo tra realtà e immaginazione. In generale, credere a qualcosa significa considerare tale cosa vera, ma nel contempo accettare la possibilità che non lo sia. Tuttavia, nel caso dell’illusione succede quasi il contrario: non consideriamo davvero reali i mondi e i racconti che ci vengono proposti sullo schermo eppure, almeno per certi aspetti, ci comportiamo come se lo fossero. È un regime di credenza indubbiamente anomalo e paradossale, sui cui fondamenti si sono interrogati in tanti (da Barthes a Metz, da Arnheim a Mannoni, da Merleau-Ponty a Morin…), richiamandosi anche alla riflessione precedente sull’esperienza funzionale tout court (Platone, Aristotele, Hume…). In effetti, come è possibile provare emozioni forti per storie che sappiamo fittizie? Avvertire paura, ansia, tristezza, gioia, ecc., legate al destino di personaggi nella cui esistenza non crediamo? E, di contro, vivere emozio- ni cosi vivide, eppure non reagire, come faremmo nella vita reale (si piange, ma non ci si addolora; si ha terrore, ma non si scappa…)? E, addirittura, trarre piacere dal provare proprio quegli stati d’animo che nella realtà più temiamo e rifuggiamo (la paura, l’ansia, la tristezza…)!? La tradizione teorica oscilla a riguardo tra l’idea di una sospensione dei giudizi di realtà e di verità o, perlomeno, di quella “incredulità” che dall’esercizio di tali giudizi scaturirebbe (la “voluntary suspension of disbelief” di Samuel Coleridge) e l’ipotesi, per certi aspetti opposta, di un rinforzo della credenza (Metz: “Dietro ogni finzione ce n’è un’altra: gli avvenimenti diegetici sono fittizi, e questa è la prima finzione; ma tutti fanno finta di crederli veri, ed è la seconda finzione; e se ne può trovare anche una terza: il rifiuto generale ad ammettere che, in un angolo recondito di sé, li si crede veramente reali” ³). In realtà, sappiamo bene distinguere tra messa in scena e documento, tant’è che non proviamo disgusto per scene di uccisione di uomini (perché sappiamo che sono attori) e invece lo proviamo per la morte di un animale che vediamo colpito con tutta evidenza davanti all’obbiettivo della cinepresa. Dunque per quanto risulti strano e paradossale, siamo di fronte ad uno stato di coscienza duplice, in cui convivono e interagiscono due frame che sembrerebbero incompatibili sotto il profilo logico e psicologico: so che non è vero / mi comporto come se lo fosse; resto consapevole / mi abbandono completamente; non credo / credo. “Je sais bien, mais quand meme…” (si loso, eppure…), secondo la celebre formula di Octave Mannoni.4 Uno stato di coscienza ambivalente, in virtù del quale aderiamo di fatto al mondo convocato, come se… Ma come può accadere che la visione di un film o di un telefilm ci trasporti in un altro mondo e ci faccia vivere esperienze cosi intense? Perché la comunicazione per immagini in movimento, e quella illusiva in particolare, è tanto “potente”? Tanti sono gli elementi in gioco. Innanzitutto i testi audiovisivi d’illusione sanno rendere presente un mondo, perché lo costruiscono come un universo di esperienza abitabile e vivibile dall’interno e in prima persona. Questa infatti è ciò che distingue un “mondo” da una semplice visione. Ma c’è dell’altro. Se c’è affinità, contiguità, tra esperienza di vita ed esperienza illusiva non è solo perché i film assomigliano alla vita, ma anche perché, in un certo modo, la vita assomiglia ai film. Nel senso che per fare davvero esperienza nella nostra vita e della nostra vita dobbiamo raccontarcela: mettere in fila gli accadimenti, non solo sul piano temporale, ma anche su quello logico e causale;ricostruire le intenzionalità dei soggetti in campo e le loro motivazioni; valutare l’incidenza del caso; considerare quel che
  • 4. abbiamo conseguito, quel che invece abbiamo dovuto lasciare, quello che avrebbe potuto essere o che avremmo potuto fare. Insomma, per trasformare la sempice “esposizione” in autentico “vissuto”, dobbiamo raccontare a noi stessi quella storia, unica e inconfondibile, in cui siamo noi i protagonisti, decidendo da quale punto di vista vedere le cose, quali tagli apportare, come giuntare le parti salienti; insomma, qual “senso” dare agli eventi. I film e le serie tv, sotto questo aspetto, costituiscono una traccia sempre più importante: un ricco repertorio di strutture narrative, ruoli e Immagine tratta dalla serie-tv “Doctor Who” modelli con cui confrontarci e a cui ispirare la nostra lettura delle cose, e anche una grammatica, un insieme di regole, figure e valori da utilizzare nella vita quotidiana. Note 1 R. Allen, PProjective Illusion. Film Spectarship and the Impression of Reality, Cambridge University Press, 1995, p.4. 2 Il “sogno lucido” è un’esperienza particolare di sogno durante la quale si prende coscienza del fatto di stare sognando e si è addirittura in grado di esplorare e modificare i contenuti del sogno. 3 C. Metz, Cinema e psicanalisi. Il significante immaginario, op.cit., p.75. Dall'Io virtuale a quello reale: l'esperienza dei film e delle serie tv Dopo tutto ciò che si è detto, una domanda sorge spontanea: “Perché proviamo questo continuo bisogno di fare esperienza dei film e delle serie tv, ed in particolare dell’illusione?” Aristotele designò con il termine catarsi (che significa primariamente purificazione, chiarificazione) un fenomeno psicologico complesso - attivato dall’esperienza estetica, soprattutto drammaturgica che comporta un’eccitazione e un successivo rasserenamento; e che al contempo produce un’illuminazione, una presa di coscienza. Questo guadagno non è semplicemente cognitivo: è proprio attraverso l’esperienza emotiva che lo spettatore arriva a conoscere e a ri-conoscere. Le emozioni, si sa, talvolta possono sviare e distorcere il giudizio; ma Aristotele insiste nel dirci che esse possono anche metterci in comunicazione con un livello più vero e più profondo del nostro io, spesso nascosto sotto le nostre raziona- lizzazioni difensive e dunque inaccessibile al solo intelletto. A questo livello, è per noi possibile fare esperienza di ciò che diversamente resterebbe inevitabilmente fuori dall’orizzonte esistenziale. Non possiamo infatti realmente comprendere cosa sia la sofferenza umana dal solo punto di vista concettuale; e, dunque, se non la proviamo. È cosi, attraverso l’allineamento intenso con il personaggio ci è dato di vivere l’esperienza dolorosa in modo vicario, proiettivo, sperimentando eleos e fobos che sono il turbamento per le sorti del protagonista e la paura che esse tocchino anche a noi. Dopo tale sommovimento, però, la narrazione ci riporta all’equilibrio, lasciandoci un guadagno esperienziale, piacevole quanto il sollievo dopo un’emozione forte, un pericolo scampato, o quanto il ricordo di qualcosa di doloroso che però, per fortuna, non ha lasciato un segno troppo marcato. Cosa abbiamo imparato? (Aristotele parla appunto di apprendimento - pathei mathos - ma, come è chiaro, non si tratta solo di un’acquisizione concettuale). Abbiamo imparato che cos’è il dolore, nell’unico modo possibile, al di là dell’esperienza diretta, e cioè partecipando al dolore altrui (e anche questa sofferenza purifica, chiarifica, trasforma). Abbiamo imparato a relativizzare la nostra condizione individuale, comprendendola nuovamente grazie al rapporto con l’altro, che si figura esemplare. Ancora, abbiamo imparato a riconoscere il paradosso della condizione umana, per il quale siamo al tempo stesso liberi e condizionati, consapevoli e inconsapevoli, colpevoli e innocenti. E, infine, abbiamo imparato che, nonostante tutto, la realtà si mostra iscritta in una struttura di significato. Certo, non si tratta di un significato sempre accessibile, facile da estrarre dal corso degli eventi; né, quando si palesa un ordine, è agevole conci- liarci con esso. Tuttavia proprio da questo conflitto traiamo quell’intuizione dolorosamente sublime e universale della condizione umana che dà conforto e addirittura, secondo la celebre formula di Schiller, “godimento”.1 Questa la produttività simbolica della tragedia, conseguita grazie all’intreccio e alla performance drammaturgica, nelle sue componenti formali e pragmatiche. Esiste del resto anche una produttività simbolica del comico, e una sua specifica catarsi, che è stata ricondotta a disparati fenomeni psicologici: la sublimazione del desiderio, l’esorcismo delle paure, lo sfogo della tensione, il piacere del sentirsi superiori, la rivalsa sul limite, sul dolore e, in ultima analisi, sulla morte. Anch’essa, come quella tragica, è esperienza al tempo stesso concettuale ed emotiva. Lo stesso discorso può essere fatto per i film e le serie tv, anche se questa catarsi è sempre più debole, dato che l’evoluzione del cinema ha
  • 5. “Mentre la vita la si vive, non accade nulla. Le scene cambiano, le persone entrano ed escono: questo è tutto. Non ci sono inizi. I giorni si aggiungono ai giorni senza capo né copa; è un’addizione interminabile e monotoma. […] Ma tutto cambia quando la vita la si racconta.” - Jean-Paul Sartre, La nausea portato alla creazione di un insieme di film e telefilm dove non è presente la linearità (ovvero la successione semplice, il ridurre a una dimensione l’opprimente varietà della vita) che serve al telespettatore per allinearsi al personaggio e fare esperienza del suo mondo. L’esperienze dell’illusione ci consente, inoltre, di appropriarci ulteriormente del nostro vissuto, allineandoci a quello di un altro; di entrare nel vivo delle cose , ritrovandoci al centro di un mondo possibile; di “avere” un’e sp er i enza p ien a, “facendo” un’esperienza (solo) mimetica. Questo “gioco di sponda” non costituisce un inganno o una fuga: “Il senso è sempre un effetto d’eco e l’eco un effetto d’abyme. È perché nulla di umano è dato all’uomo immediatamente che l’illusione non è una menzogna; che bisogna passare dal falso per andare alla verità; e proiettarsi negli altri per entrare in rapporto con se stessi”.2 E lo schermo, cinematografico o televisivo, è un dispositivo cruciale per questo “spostamento”. Lo aveva scritto tanti anni fa Sigfried Kracauer: come lo scudo lucido donatogli da Atena consente a Perseo di proteggersi, ma anche di guardare negli occhi Medusa senza esserne pietrificato, cosi lo schermo televisivo ci protegge dal reale paralizzante e ci consente di guardarlo e di fronteggiarlo. L’impresa maggiore di Perseo non fu quella di tagliare la testa alla Medusa, ma quella di vincere la paura e di fissare la sua immagine nello scudo. Grazie al coraggio di guardare, sia pure un rifles- so, egli ha reso finalmente esperibile e agibile il reale. E allo stesso modo noi, attraverso le immagini sullo schermo, possiamo “redimere” il reale, renderlo nuovamente praticabile. Questo mito non ci parla dunque del potere pacificante delle immagini, ma al contrario del loro farsi strumento di conoscenza, di esperienza e di azione. Ed è proprio cosi. Grazie alla barriera protettiva che interpone fra spettatore e i mondi convocati, l’illusione consente di avere a che fare con ciò che altrimenti ci pietrificherebbe, concedendoci una straordinaria ampiezza di escursione esperienziale. Il dolore vissuto - lo sappiamo - quanto è più vivo, tanto più sopraffa la coscienza. In modo analogo, la morte, la sofferenza, lo scacco radicale non possono stare in scena (o non a lungo) all’indicativo: troppo duro il confronto con “l’orrore del reale” (Lcan). Al congiuntivo, invece, grazie al gioco di sponda, all’effetto d’eco, al riflesso della vita che l’illusione ci consegna, possiamo affrontare anche realtà senza riscatto e senza via d’uscita, cogliendovi tuttavia dei punti di attacco. Tutto ciò assume i tratti di ciò che Victor Turner chiama “l’immersione sacrificale nella possibilità”3 e George Steiner chiama “dimensione sabbatica” dello spettacolo e dell’arte:4 non un’evasione, un ripiegamento, ma una visione, rinnovata, della nostra condizione. Per questo continuiamo a descrivere e comprendere le nostre vite in termini di film e di telefilm: perché per accedere davvero alla vita che vivia- mondo esterno, ma anche, più profondamente, quello interiore - che offre occasioni di crescita, ma che nasconde anche insidie; che riserva momenti di gioia, ma anche prove e dolori; e che comunque può assumere un senso se si è disposti a camminare mo, dobbiamo aprire nella nostra esistenza la dimensione del possibile, riuscire e sperimentare nuovi inizi, testare sviluppi alternativi, inventare fini diversi; e, soprattutto, fare tutto senza distogliere lo sguardo dalla realtà. La produttività e la necessità dell’illusione oggigiorno stanno proprio qui: nel fatto di costruire uno dei luoghi residui in cui è possibile quel lavoro di elaborazione e riappropriazione, di metabolismo e scambio simbolico, di “trasfigurazione fantasmatica”, senza il quale perdiamo il senso autentico della realtà.5 E, conseguentemente, nel fatto di essere uno dei luoghi residui in cui operare un’autentica negoziazione tra i poli dell’esperienza. L’esperienza, in fondo, è proprio questo: un viaggio all’interno del mondo - il senza riserve, a scavare fino in fondo, a esporsi al rischio di una perdita; insomma, a mettersi in gioco. In-ludere, appunto. Note 1 Anche E. Martin parla di piacere: “L’estetica trasfigura la sofferenza e il male.[…] L’arte permette di estetizzare il dolore, cioè farcelo sentire nella sua pienezza, mentre gioiamo della sua espressione” (E.Morin, La mèthode. 5:L’humanitè del l’humanitè. Tome 1: L’identitè humaine, Paris, Editions du Seuil,2001.) 2 R.Debray, “Pourquoi le spectacle?”, in “Le querelle du spectacle”, Cahiers de mediologie, n.1, Paris, Gallimard, 1996. 3 V. Turner, Dal rito al teatro, op. cit., pp. 43 e 152 4 Il senso, per il critico inglese, non può che nascere in quella terra di mezzo tra l’assenza assoluta di significato, il silenzio di fronte agli interrogativi urgenti, il buio della fede, la disperazione e la pienezza, la luce, la gioia. (Cfr. G. Steiner, Vere presenze, op. cit., pp. 218-219.) 5 “La tesi fondamentale di Lacan è che un minimo di interposizione della cornice fantasmatica attraverso la qiale il soggetto assume una distanza dal Reale, è costitutivo del nostro ‘senso di realtà’. La ‘realtà’ si manifesta sin tanto che il Reale non è (non diventa) ‘troppo vicino’” (S.Zizek, “Limmagine tra realtà e reale”)
  • 6. “ È bello cercare di capire il mondo, ma è anche bello raccontarlo; cercare insomma di avvicinare la Terra alla Luna.” Serie Tv: “buona madre Abbiamo visto come l’illusione sia quella condizione intermedia tra abbandono e presenza di sé che ci permette di fare esperienza di un mondo “congiuntivo” aiutandoci a formare il proprio Io e a metterci, in qualche modo, in gioco, sia con noi stessi che con gli altri. Ovviamente tutto ciò ha diverse conseguenze anche sulla vita reale di ognuno di noi, influenzandoci consciamente e, in alcuni casi, inconsciamente nella maggior parte delle nostre scelte quotidiane. Possiamo analizzare di seguito, dunque, la maggior parte delle conseguenze che i telefilm provocano sulle persone. Partiamo subito dicendo che le conseguenze non sono tutte positive. Innanzitutto le serie tv possono generare una familiarità e una sorta di accettazione nei confronti di un certo tipo di linguaggio che una volta era ritenuto socialmente inaccettabile. Questo può far si che le persone si abituino sempre di più ad un linguaggio di livello medio - basso, fino ad arrivare a consentire, e in alcuni casi addirittura giustificare, l’uso di un linguaggio volgare ed offensivo. Un altro aspetto negativo che i telefilm hanno sulle persone è la cosi detta “Sindrome da CSI”. Questa sindrome è dovuta alla famosa serie televisiva statuni- tense CSI(Crime Scene Investigation), che narra le “indagini della squadra del "turno di notte" della polizia scientifica di Las Vegas” avente come compito quello di analizzare le “prove per collegare crimini e loro esecutori, avvalendosi di tutti i mezzi offerti dalla tecnologia, dalla scienza e dalla razionalità dei singoli componenti.”1 La serie ha ottenuto cosi tanto successo che, in America alcuni giudici si aspettano un maggior numero di perizie medicolegali di quanto sia permesso o necessario, portando quindi ad un maggior numero di casi di assoluzioni quando tali prove siano assenti. In altri casi sono proprio le squadre della polizia scientifica che hanno la fissazione di poter sempre risolvere un’indagine grazie a una tecnologia molto sofisticata, come accade in CSI, spendendo cosi nella maggior parte dei casi grandi quantità di denaro senza giungere a nessuna conclusione schiacciante. Sul fronte opposto, influenzati a loro volta dalle fiction, anche i criminali starebbero cambiando comportamenti e “modus operandi”: gli investigatori evidenziano che sono sempre meno le “tracce” lasciate sulla scena del crimine, come ad esempio capelli o mozziconi di sigarette. Molto discussa è stato anche il dibattito sulla troppa violenza presente all’interno delle fiction. Comportamenti che rischiano di essere assorbiti, in particolare dai bambini e dagli adolescenti. Martin Luther King diceva che gli USA sono “i maggiori produttori di violenza nel mondo”, e le TV rispecchiano ampiamente questa poco commendevole posizione. Ma, almeno, vi sono serie critiche entro la loro stessa società. Uno studio di Charles S. Clark del 1993 rileva che, grazie alla televisione, un bambino americano (ma, ormai, anche italiano) assiste in media a otto mila omicidi e a 100 mila atti di violenza prima di aver terminato le scuole elementari. Negli ultimi anni sono state condotte più di tre mila ricerche in paesi diversi sul legame tra violenza sul piccolo schermo e violenza reale. L'aggregato delle ricerche mostra chiaramente che esiste una correlazione tra la visione di scene vio- lente e il comportamento aggressivo, vale a dire che coloro che guardano molta televisione sono più aggressivi di chi ne guarda poca. Da noi non risultano ricerche specifiche su questo campo: probabilmente le nostre università sono restie a iniziare indagini che non abbiano il sostegno di qualche sponsor, non basta l'esistenza del – anche grave – problema in sé. Tuttavia qualcosa si muove se, durante il governo Prodi, è stato varato un “Codice di autoregolamentazione” per le televisioni italiane. Il codice prevede che, nella “fascia protetta” tra le 7 e le 22,30, nei Tg non siano trasmesse scene “particolarmente crude o brutali”, mentre per i film ogni azienda nominerà un comitato di autocontrollo per decidere se lo spettacolo è adatto alla fascia protetta. C'è poi un Comitato di controllo esterno (una sorta di Authority) che vigilerà sull'applicazione del Codice, sanzionando eventuali trasgressioni. Ovviamente i bambini non sono gli unici ad esserne influenzati. Anche molti adulti, infatti, grazie alla tanta violenza in televisione possono dar sfogo ad una aggressività latente. Un e- Immagine tratta dalla serie-tv “Dexter”, Showtime.
  • 7. o cattiva matrigna”? sempio di ciò può sicuramente essere l’omicidio avvenuto negli Stati Uniti dove Andrew Conley, 17 anni, ha ucciso il suo fratellino di 10 ispirandosi al protagonista della fortunata serie Tv “Dexter”, la quale parla appunto di un serial killer che uccide i criminali sfuggiti alla giustizia. È lo stesso Andrew che ha ammesso di essersi non solo ispirato al protagonista della serie ma addirittura di sentirsi uguale a lui e di aver “sempre voluto uccidere qualcuno". Bisogna però sottolineare come noi (telespettatori) abbiamo un potere enorme: il telecomando! Infatti, la televisione propone vari telefilm, vari film, vari cartoni, vari spettacoli ecc., e noi abbiamo il totale potere, in caso lo spettacolo non sia di nostro gradimento, di cambiare canale, oppure guardare un dvd, leggere un bel libro oppure uscire fuori con gli amici. Nessuno ci obbliga a guardare un determinato show, ma siamo noi che scegliamo di farlo, ben consapevoli dei contenuti. Per i bambini il discorso è un po' diverso, perché essendo meno "maturi", non sono, da soli, in grado di valutare se ciò che stanno guardando in tv è "bene” o “male", ma la colpa, in caso il bambino assista a programmi violenti o volgari o diseducativi per qualunque motivo, è sicuramente dei genitori, che lasciano i bambini davanti al televisore per ore e ore senza nessun controllo. Un bambino, infatti, deve essere sempre “controllato”, sia che stia guardando la televisione, sia che stia giocando in giardino: invece la maggior parte dei genitori sono troppo impegnati a fare cose più “importanti” che seguire l’educazione e la crescita dei loro figli, finendo cosi per criticare generalmente la televisione invece di fare il “mea culpa”. Molti studi dimostrano come i nuclei della base , un gruppo di nuclei presenti dentro il cervello e collegati con la corteccia celebrare, il talamo e il tronco encefalico, diventino molto attivi quando una persona gioca ai videogiochi o guarda la televisione. In questi casi il corpo libera una sostanza chiamata dopamina2. Allo stesso modo funzionano anche il ritalin e la cocaina, che stimolando i nuclei della base fanno rilasciare una grande quantità di dopamina. Molti studiosi sostengono che all’aumentare della quntità di dopamina rilasciata, diminuiscono i neurotrasmettitori disponibili per fare qualsiasi altra cosa.3 Possiamo dunque concludere che i telefilm possono avere su una persona lo stesso effetto della cocaina o altre sostanze simili, facendo diventare cosi la “dipendenza da televisione” non molto differente da qualsiasi altra forma di tossicodipendenza. Un altro aspetto negativo molto importante è la propaganda presente nelle serie Tv, sia americane che italiane. Prendiamo ad esempio la multi premiata serie americana “Homeland”, che parla di un soldato americano che ritorna a casa dopo essere stato detenuto per anni da Al-Qaeda come prigioniero di guerra. Questa fiction, perfetta in ogni dettaglio, è l’esempio lampante di propaganda americana. Non manca mai infatti, almeno una volta a puntata, una frecciatina verso la cultura araba. Dico cultura perché la serie non attacca l'estremismo terrorista: dovrebbe essere così, ma l'invettiva che Homeland lancia sfocia inesorabilmente verso il razzismo e la denigrazione di una cultura estera col solo fine di aumentare il patriottismo americano. Questa serie è quindi la messa in pratica, o in scena, di come il governo può interferire nell'industria dell'intrattenimento, influenzarla a seconda del momento politico internazionale, e sfruttarla a proprio favore. Bisogna sottolineare, inoltre, come le fiction dettino dei tempi seriali che scandiscono il tempo libero e organizzano quindi anche la nostra vita quotidiana. Se, però, da un lato le serie Tv scandiscono il nostro tempo libero, limitando quindi anche la vita sociale, dall’altro creano altri legami attraverso i cosi detti “Social Tv”, ovvero alla convergenza tra social network e televisione. “Più precisamente s'intende per Social TV l’attività di interagire attraverso i Social Network – ad esempio pubblicando commenti, opinioni o voti – con i prodotti fruibili attraverso la Televisione come trasmiss i o n i d’intratten imento , talkshow, film o telefilm.“4 In Italia ad esempio sono già tantissimi i social Tv, uno tra i più famosi ad esempio è “Italians subs addicted”, che, oltre a fornire i sottotitoli per le serie non italiane, hanno uno spazio adeguato dove gli utenti hanno la possibilità di discutere dell’andamento delle loro serie Tv preferite e non. La televisione non è sicuramente del tutto “malvagia”. Oltre alle conseguenze negative dette precedentemente ci sono, infatti, anche molti aspetti positivi. Innanzitutto la televisione può essere molto educatrice per bambini, se però controllati. Sono infatti centinaia i show televisivi che si basano sul favorire la crescita,l’educazione, l’informare e persino formare i piccoli.
  • 8. Alcuni esempi possono essere senza dubbio: I Teletubbies, Melevisione, L’albero azzurro e Art Attack. Possiamo quindi vedere come siano tutti show televisivi che non con- tengono nessun tipo di violenza o volgarità, ma che puntano tutto sull’intrattenere ed allo stesso tempo educare i bambini. E programmi di questo genere sono tantissimi, basti pensare al telegiornale per i ragazzi, a trasmissioni che in forma documentaristica o animata trattano temi di storia, di geografia o di scienze naturali; ad alcuni programmi di intrattenimento pomeridiani molto ben fatti che si propongono obiettivi cognitivi, logici e linguistici. Le serie Tv solo importanti sul piano didattico non solo per i bambini, ma anche per i grandi. Dato che negli ultimi anni le serie americane ed inglesi hanno avuto sempre più successo, le persone di tutto il mondo cominciano sempre di più a seguirle. Ma sono in molti che non riescono ad aspettare i tempi di attesa lunghissimi che ci sono in Italia, a causa dei lunghi tempi che servono per fare il doppiaggio e altro, decidendo cosi di vedere le puntate in streaming direttamente in lingua originale con il solo aiuto dei sottotitoli. In que- sto modo si acquisisce una certa dimestichezza con la lingua inglese, dato che gi show più visti in streaming sono di origine americana, migliorando cosi la propria dizione e la propria cono- scenza della lingua straniera. I telefilm influenzano molto anche la propria decisone del mestiere che si vuole fare da grandi. Secondo un sondaggio di “Telefilm Viewers” del 2012, è emerso come il 20% di telespettatori abbiano scoperto la loro passione per un certo tipo di mestiere proprio grazie a determinate serie televisive. Le serie Tv hanno, anche, stabilito le varie tendenze tecnologiche negli anni. L’innovazione tecnologica, per quanto riguarda la televisione, è sempre stata dovuta ad una certo tipo di necessità da parte dello spettatore. Se, infatti, diversi anni fa non si riusciva a fare in tempo a guardare una puntata del tuo telefilm preferito non c’era nessun modo di recuperare quell’episodio, se non sperando in una replica. Dato che questo era causa di molti inconvenienti sono nate le videocassette vhs sulle quali si potevano registrare gli show e guardarseli, poi, in ogni momento. Andando avanti col tempo la tecnologia si è sempre più rinnovata, fino ad arrivare ai giorni d’oggi dove la maggior parte degli telespettatori non seguono più le serie Tv in televisione ma in streaming, ovvero su siti internet appositi dove si possono guardare gli show in qualsiasi momento lo si desideri. I telefilm hanno avuto un ruolo molto importante anche nel movimento femminista. In un articolo pubblicato su “TV Guide” nel 1964, Betty Friedan accusò la televisione di rappresentare, nelle diverse fiction, la donna americana come “stupida, poco attraente, insicura piccola donna di casa che passa tutti i suoi stupidi e noiosi giorni a sognare l’amore della loro vita […] e complottando orribili piani per vendicarsi sul marito”. Cosi non appena le donne iniziarono a rivoltarsi e protestare per avere gli stessi diritti degli uomini, ovvero tra il 1960 e 1970, il problema della stereotipizzazione delle donne nella televisione del tempo f u subito affrontato in maniera molto determinata. Dal 1930 al 2012 la televisione non è cambiata molto. A dominare la programmazione diurna sono ancora, infatti, le soap opere e i talk show. Dal 1950, inoltre, gli show in prima visione sono stati ispirati ed interpretati da uomini. Nel 1952, il 68% dei personaggi di film e telefilm da prima visione erano interpretati da uomini, mentre nel 17% erano addirittura il 74 %. Nel 1970, quindi , la National Organization for Women (NOW) formò una task force che andò negli studi televisivi per cambiare la dispregiativa visione stereotipata della donna nella televisione. Come le fiction sono state importanti nel movimento femminista allo stesso modo sono importanti anche per il movimento per diritti dei gay. Sono molte infatti le serie Tv che dipingono i gay per le persone che sono realmente, senza le solite stereopatizzazioni. Anche se non sempre è stato cosi.
  • 9. Analizziamo meglio la tematica. Nell'era dei media, infatti, spesso sono proprio le immagini e le scene viste sui grandi o piccoli schermi a cambiare il nostro modo di percepire la realtà che ci circonda. Spesso ci chiediamo come mai ancora molti aspetti della vita umana che per noi risultano così importanti ancora non siano mai stati oggetto specifico di qualche pellicola cinematografica o anche di un telefilm. Un esempio di ciò potrebbe essere l'evoluzione della figura degli omosessuali all'interno della società. Un'evoluzione che, tuttavia, potrebbe partire non tanto dal nostro vivere il reale quanto l'osservare il virtuale. Se prendiamo come esempio il telefilmmusical di maggior successo degli ultimi 3 anni quale Glee, notiamo fin da subito la quasi centralità dell'omosessualità di alcuni personaggi ai fini della trama. Il personaggio di Kurt è il tipico ragazzo desideroso di fama e, ovviamene, gay. Ciò si sposa perfettamente con la politica del telefilm che è "non giudicare, apprezza le differenze". Infatti, ben due stagioni su tre di questo telefilm trovano tra le stor- yline principali quelle di Kurt (il quale passa da vittima di bullismo omofobo a fidanzato spensierato e più maturo) e Santana (la quale all'inizio ignora la sua sessualità ma che alla fine, dopo molta fatica, riesce ad aprirsi con gli amici e con i genitori). Ora, l'intento di Glee è quello di creare una felice e allegra parodia degli stereotipi. Il tutto però va inevitabilmente ad ottenere una versione ancora più forte e radicata dello stereotipo gay. Kurt infatti è effemminato, appassionato di moda, voce acuta da usignolo e canta rigorosamente brani scritti e cantati da donne. Per un telefilm che sembra prefiggersi uno scopo pedagogico è davvero questo il modo più corretto di affrontare il tema dell'omosessualità? Se passiamo ad un altro telefilm rivolto ad un pubblico diciamo più "universitario" o comunque ad una fascia sopra i 20 anni, troviamo un contesto e personaggi molto diversi. Parliamo di "Happy Endings", nel quale si narrano le bizzarre avventure di un gruppo di amici molto eterogeneo e all'interno del quale compare proprio la figura del gay: Max. Egli sembra essere proprio l'opposto di Kurt poichè appare interessato al Football americano, segue la stessa routine dei suoi amici eterosessuali e anzi sembra provare antipatia per gli omosessuali troppo "effemminati". Questi sono solo due esempi di tante serie tv che stanno affrontando il tema omosessualità (quasi tutti i medical drama quali Grey's Ana- tomy, Dr.House, Nurse Jackie). La figura dell'omosessuale è ricca di stereotipi e, spesso, anche di menzogne e di certo non ci si deve sorprendere che anche il mondo dello spettacolo si nutra di ciò. Tuttavia è anche rassicurante notare che la pluralità dei telefilm riesca a farci uscire dalla solita immagine statica e monotona del gay alla Kurt per passare magari al gay alla Max. Inserendo personaggi gay nelle fiction si è infranto un tabù che durava da decenni. È anche grazie a questo, forse, che gli omosessuali con il tempo sono stati sempre più accettati all’interno della società (non dall’intera società, ovviamente). Questo dei gay non è però l’unico tabù infranto dalle serie televisive, anzi sono davvero molti. Prendiamo ad esempio l’incesto. Nei canali broadcast questo argomento è più che mai vietato, mentre alcuni passi sono stati fatti negli anni dalle reti via cavo, tradizionalmente più aperte e licenziose. Il primo telefilm a toccare questo argomento è stato Twin Peaks, con una visione terrificante della media borghesia americana. Nel 1990, Twin Peaks ha dato al mondo una visione da incubo sullo squallore esistente sotto la patina placida di una piccola città americana. Ma, mentre uno dei molti enigmi presenti nella storia di Twin Peaks è stata l’identità dell’assassino dell’adolescente Laura Palmer (Sheryl Lee), il vero segreto in agguato al centro del mistero sono stati l’incesto e gli abusi subiti da Laura per mano di suo padre, Leland (Ray Wise) e il danno psicologico che ha causato questo segreto a sua moglie Sarah (Grace Zabri- skie). E’ stata una rivelazione così orribile, così distruttiva, che i creatori l’hanno mostrata in termini soprannaturali, facendo possedere Leland da un’entità demoniaca così da spiegare la crudeltà e la mancanza di umanità che un tale crimine avrebbe richiesto. “L’atto per cuore nero dell’assassino ha tinto l’intero racconto,” ha detto il co-creatore di Twin Peaks Mark Frost al Daily Beast. “L’incesto è un primitivo, eterno tabù nella cultura civile, e alcune delle più grandi tragedie mai scritte scaturiscono da esso, o conducono ad esso.” Negli oltre 20 anni dalla messa in onda di Twin Peaks, l’approccio della televisione all’incesto è cambiato poco, con pochi spettacoli che hanno osato sfidare quel tabù. Tuttavia, soprattutto nell’ultimo anno, le sceneggiature di alcuni spettacoli televisivi hanno capovolto la loro riluttanza sul trattare l’incesto. Le reti Premium via cavo permettono agli sceneggiatori di spingere i confini [dell'incesto] con storie che prima non erano ammesse. E con l’incesto in primo piano nel dibattito nazionale si sta fornendo argomento per alcuni degli show televisivi più audaci e controversi. Note 1 Da “Wikipedia, l'enciclopedia libera”, alla voce: CSI - Scena del crimine 2 La dopamina è un neurotrasmettitore endogeno della famiglia delle catecolamine. Essa ha molte funzioni nel cervello, gioca un ruolo importante in comportamento, cognizione, movimento volontario, motivazione, punizione e soddisfazione, nell'inibizione della produzione di prolattina , sonno, umore, attenzione, memoria di lavoro e di apprendimento. Agisce sul Sistema nervoso simpatico causando l'accelerazione del battito cardiaco e l'innalzamento della pressione sanguigna.cocaina 3 ADHD - ADD Videos Games and TV 4 Da “Wikipedia, l'enciclopedia libera”, alla voce: Social Tv.
  • 10. Joyce and House M.D. The writers of Tv shows always need to renew their cinematic technique to bring new audience to look at their products. But “renew” doesn’t always means that you have to create new techniques. In fact, there are many writers and directors of Tv shows who transform narratives expedients, that has never been used other than literaly or that hasn’t been successful in past, into a cinematic form. In my opinion, one of the best literary device that has been trasformed into a cinematic form was/is the epiphany of James Joyce one of the best known novelist, short story writer and poet of the whole Ireland that is “the sudden spiritual manifestation caused by a trivial gesture, an external object or a a banal situation, which used to lead the character to a sudden selfrealisation abouot himself/ herself or about the reality surrounding him/her.”1 Joyce used this narrative technique for the first time in “Dubliners”, a collection of short stories all about Du- James Joyce blin and Dublin’s life. We can find an example of epiphany in Eveline2, a short story that describes the life of a nineteen-yearold girl who has the opportunity of changing her everyday life but she is unable to leave her familiar community in Dublin. Eveline is like many young women in early twentieth century Ireland. With her mother having passed, she is expected to take care of her childhood home. Joyce writes that Eveline struggled to keep "her promise to keep the home together as long as she could," a promise she made to her mother while on her deathbed. Taking care of her home is one example of Eveline's oppression by the lack of women's liberation in 1914. "She had hard work to keep the house together and to see that the two young children who had been left to her charge went to school regularly and got their meals regularly," Joyce writes. "It was hard work-a hard life." It is never clear whom Eveline is taking care of, but it is clearly illustrated that she is unhappy in her assumed position of a housewife without a husband. In that time period, women were still considered as less than the worth of men, unable to vote or hold positions of power, thus Eveline's father wasn't proud of her as he was of his sons. Eveline's father also made her give up her work wages. Consequentially, she was always broke and was aided by her brother, as her father wouldn't ever help out, saying Eveline "squandered" his hardearned money.Eveline's plan is to leave her monotonous life and go to Buenos Aires with her lover, Frank. She puts so much of her proposed future happiness on Frank's shoulders, and assumes that leaving her life as a homemaker is possible just by marrying him. But while she was going to met Fank and leaving Dublin together, she hear a street organ playing. Taht “remind her of the promise to her mother, her promise to keep the home together as long as she could. She rememebered the last night of the mother’s illness; she was again in the close, dark
  • 11. room at the other side of the hall and outside she heard a melancholy air of Italy”. In a first moment she feel a sudden impulse of terror, that was driving her to escape. But in a second moment she realises that she can not escape and leave Dublin and her family. She realises that she has to miantain the promise that she made to her mother, keep “the home together”. So she change her idea and decides to remain in Dublin, to return to her inisgnificant life. So we can find in this passage the epiphany, that is caused by hearing a street organ playing, and the theme of paralysis, very important in Joyce. The most famous case of epiphany in Tv shows is certainly the one used in House M.D., that is an American television medical drama where the central character is Dr. Gregory House (Hugh Laurie), an unconventional and misanthropic medical genius who heads a team of diagnosticians at the fictional Princeton-Plainsboro Teaching Hospital (PPTH) in New Jersey. Every episode of House M.D. has a rigid structure divided in 4 points: “Person gets sick. Misanthropic genius insults those close to him, bullies his staff, and occasionally breaks a few laws in an effort to diagnose the patient. Patient gets better before getting worse. And eventually an epiphany pops in and reveals the diagnosis to the mysterious diagnosis. Some of these epiphanies came from logic while others came from the Deus Ex Machina Express.”3 So we can see that the “literaly” device of epiphnay is presnt in almost every episode of that shows. An exemple could be the first episode of the fifth season, “Dying Changes Everything”: Patient: Personal assistant Lou Lou presents with various psychiatric as well as physical symptoms. But House seems more interested in repairing his friendship with Wilson in House's trademark friendly manner. The word "Idiot" is used. Probably the only thing House noticed about Lou is how she looked 20 for a 37 year old. Epiphany: While House is talking about his friendship with Wilson,he notices a dying and now older looking Lou. Taking barely a minute to comment on her looks, he grabs a syringe and injects her while telling her she has diffuse lepromatous leprosy before going back to talking about Wilson as if the past minute never happened, much to Thirteen's chagrin. It was pretty cool seeing a seemingly inattentive House still outperform his underlings. Note 1 Lit&Lab, From the Early Romantics to the Present Age. 2 James Joye (18821941),Dubliners(1914) 3 Memorable Epiphanies of "House MD", By K. Valentine Things you may need to know: Joyce tried to represnt in Dubliners (1914) a realistic portait of the life of ordinary peaple doing ordinary things and living ordinary lives. Also, it was the oppressive effects of religious, political, cultural and economic forces on the lives of lower-middle-class Dubliners that provided Joyce with the raw material for a psychologically realistic picture of Dubliners as afflicted peaple. Dubliners consist of fifteen short stories; they all lack obvius actions, but they disclose human situations, moments of intensity and lead to a moral, social, or spiritual revelation. The opening stories deal with childhood and youth in Dublin, the others, advancing in time and expanding in scope, concern the mddle years of characters and thei social, political, or religious affairs. What holds all these stories together is a particolar structure and the presence of the same themes, symbols and narrative techniques. (Lit&Lab, From the Early Romantic to the Present Age)
  • 12. Pasolini e Popper contro la televisione «Le parole che vengono dalla televisione cadono sempre dall’alto, anche le più vere. E parlare dal video è sempre parlare ex cathedra, anche quando c’è un mascheramento di democraticità». (Pier Paolo Pasolini, 1971) La televisione, dal punto di vista sociologico, è uno dei mezzi di comunicazione di massa tra i più diffusi ed apprezzati e naturalmente anche tra i più discussi. Dalla sua invenzione sono stati in molti a schierarsi contro e ad esprimere la loro indignazione. Una critica forte è stata sicuramente quella di Pier Paolo Pasolini, che si focolizzò in particolare sull’inespressività della lingua e sull’omologazione culturale. L’Italia, infatti, in coincidenza con il boom economico riusci a raggiungere una piena unificazione della lingua parlata, grazie in particolare all’alfabetizzazione svolta dal mezzo televisivo e all’allargamento della scolarizzazione. Pasolini giudicava la televisione, e anche la sua lingua, con occhi politici, vedendo in essa l'espressione del neocapitalismo e della borghesia e facendone notare in modo ricorrente anche la volgarità. «Il suo film (Francesco d'Assisi della Cavani - 1966) è un prodotto tipicamente televisivo. [...] San Francesco è divenuto accessibile alla borghesia italiana (i cosiddetti telespettatori) attraverso la sua appartenenza a un ambiente borghese [...]»1, è cosi che nel ’66 Pasolini critica il film di Liliana Cavani. Della lingua televisiva Pasolini sottolineava soprattutto l'ufficialità, l'adesione all'italiano standard e la mancanza di espressività a favore di una pura comunicatività. Il linguaggio televisivo «pare avere accantonato la sua funzione didascalica in direzione di un bell'italiano, grammaticalmente puro [...]: ora la funzione didascalica della televisione pare essere verso una normatività di grammatica e di lessico non più purista ma strumentale: la comunicazione prevale su ogni possibile espressività»2. Espressività che, come è noto, Pasolini giudicava del tutto estranea alla lingua puramente comunicativa, tecnologica, che si stava imponendo nella società neocapitalistica, e alla quale la letteratura doveva opporre creatività, espressività, dialettalità. Per quanto riguarda l’omologazione culturale Pasolini scrisse sul “Corriere della Sera”, del 9 dicembre 1973, che "[...] per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo, [del] nuovo fenomeno culturale “omologatore” che è l’edonismo di massa. [...] È attraverso lo spirito della
  • 13. “La cosa che più importa all’uomo moderno non è più il piacere o il dispiacere, ma l’essere eccitato” - Friederich Nietzsche televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo." Rileggendo ora le sue parole è impressionante realizzare quanto tutte le sue considerazioni siano molto attuali. La differenza tra la lingua televisiva di oggi, infatti, rispetto al modello che emerge dall'osservazione e dalla riflessione fatta da Pasolini non potrebbe essere più grande. I programmi televisivi della neotelevisione, a partire dagli anni Ottanta e poi con decisione dagli anni Novanta, presentano un quadro linguistico davvero molto differente da quello della paleotelevisione: se questa, infatti, offriva complessivamente un modello corretto e vicino all'italiano standard (come sottolineava Pasolini), la televisione di oggi, sotto gli occhi di tutti, presenta una varietà linguistica che, se da un lato rispecchia la variazione sociolinguistica dell'Italia dei nostri giorni, dall'altro la dilata in una molteplicità di codici e di idioletti davvero notevole. Karl Popper, al contrario di Pasolini, si è focalizzato per lo più sull’eccesso di violenza presente in televisione e sulla sua funzione educatrice. Com’è noto, Karl R. Popper fu filosofo della scienza e studioso di pedagogia, e fece delle considerazioni sulla televisione e sulla capacità di questa di influenzare i comportamenti dei giovani e dei bambini. Nel suo saggio, intitolato “Una patente per fare tv”, Egli descrive le motivazioni che stanno alla base di un prodotto televisivo sempre più scadente. Una di queste sta nel fatto che è sicuramente difficile trovare per- sente nei vari programmi, che induce i più giovani e i più deboli ad adottare atteggiamenti antisociali. La televisione, infatti, fa parte dell’ambiente che tutti i giorni i bambini vivono, e proprio per questo è in grado di influenzarli. Una scena di violenza vista in televisione ha la stessa portata condizionante sone in grado di creare prodella violenza effettiva che grammi di qualità accettabipuò essere vissuta realmenle per venti ore al giorno; è te all’interno delle mura di gran lunga più semplice domestiche. reperire persone capaci solo Consapevole di ideare, per un tempo dell’importanza che la telesimile, un provisione ha dotto scadente. "Una democrazia non può sullo svilupLa l e g g e esistere se non si mette po dei bamdell’audience, sotto controllo la televi- bini, Popper inoltre, spinge sione, o più precisamente p r o p o n e le varie emit- non può esistere a lungo una soluziotenti a cercare il fino a quando il potere ne: chi fa sen sazio n al i- della televisione non sarà televisione smo, e questo pienamente scoperto". deve essere di rado coincimunito di Karl R. Popper. de con la qualiuna patentà. te, una speLa critica popperiana alla cie di autorizzazione, che televisione si incentra sopotrà essere revocata da un prattutto sulla violenza preorgano competente nel momento in cui non siano rispettati certi criteri. La patente sarebbe concessa ai produttori solo dopo un corso, che a v r eb b e l’obiettivo di renderli consapevoli del ruolo di educatori di massa che essi, anche senza volerlo, assumono. Questa potrebbe essere più efficace della censura perchè la patente porterebbe chi ne è in possesso ad essere inserito nell' educazione di massa. In conclusione, secondo Popper, una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere non sarà pienamente scoperto. Per Popper il controllo dei mezzi di informazione è necessario per la sopravvivenza della democrazia. Afferma infatti: “Credo che un nuovo Hitler avrebbe, con la televisione, un potere infinito.” 3 Note 1 Pier Paolo Pasolini, Contro la televisione, cit., p. 129. 2 O. Parlangèli, La nuova questione della lingua, cit., p. 11. 3 Cattiva maestra televisione, Karl Popper.
  • 14. La Pop-Art come conseguenza della televisione? Possiamo considerare la televisione come fattore chiave nella nascita della Pop-Art? In che modo l’ha influenzata? Prima di rispondere alla domanda e capire se, appunto, la Pop-Art può essere considerata come conseguenza della televisione, definiamo il movimento artistico preso in considerazione. Negli anni sessanta, dopo una breve esperienza inglese, matura negli Stati Uniti una nuova forma d’arte popolare, la Pop-Art (pop infatti è l’abbreviazione di popular, popolare) che rivolge la propria attenzione agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della società dei con- sumi. Bisogna però precisare come l’appellativo popular, non debba essere inteso come “arte per il popolo” oppure “arte del popolo”, ma, più puntualmente, come “arte di massa”, cioè prodotta in serie. E poiché la massa non ha volto, l’arte che la esprime deve essere il più possibile anonima: solo cosi potrà essere compresa e accettata dal maggior numero possibile di individui. Si passa cosÌ, dunque, dalle elaboratissime riflessioni sui significati artisiìtici di materia e gesto, alla proposizione di valori assolutamente quotidiani e volutamente banali. Gli artisti pop attingono le loro motivazioni da tutti i fenonimi come: la sfrontata mercificazione dell’uomo moderno, l’ossessivo martellamento pubblicitario, il consumismo eletto a sistema di vita e il fumetto quale unico, residuo veicolo di comunicazione scritta. Non mancano, però, nella Pop-Art le icone dello star system cinematografico e musicale, gli accadimenti di carattere storico e sociale convertendoli in oggetto di consumo. La Pop-Art, confrontata con altri movimenti artistici (come ad esempio il Dada), non sembra altro che una stanca esercitazione di stile, che graffia e contesta solo superficialmente, lasciando intatta la sostanza delle cose e dando per assolutamente s c o n t a t a l’irreversibilità del modello di sviluppo consumistico. Possiamo, dunque, osservare come le opere pop ci appaiono spesso più curiose che provocatorie e il loro impatto con la realtà sia senz’altro più ironico che sarcastico. Ed è per questo che c’è un grande e quasi maniacale interesse per il mondo dei mezzi di comunicazione di massa, della persuasione occulta della pubblicità martellante a fini smaccatamente consumistici, sullo sfondo di una realtà piatta ed innaturale. La pubblicità dunque ha un ruolo importantissimo all’interno di questo movimento artistico ed eco quindi il primo motivo che ci porta ad affermare che la Pop-Art sia conseguenza della televisione. È vero che le pubblicita non venivano trasmesse solo in TV ma attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione di massa, ma è anche vero che la televisione è, forse, il mezzo di comunicazione di massa più importante e più influente. Ai tempi, infatti, ma forse anche ora- le televisioni, sia pubbliche che private, erano dei contenitori per vendere pubblicità e merci, e i cosiddetti palinsesti svolgevano soprattutto l'utile funzione di riempire gli spazi tra uno spot pubblicitario e l'altro. La Pop-Art, inoltre, attinge i propri soggetti dall’universo del quotidiano e fonda la propria comprensibilità sul fatto che quei soggetti sono per tutti assolutamente noti e riconoscibili. Quale mezzo migliore, dunque, della televisione per rendere riconoscibile universalmente determinati soggetti? Ed è anche per questo che gli artisti pop
  • 15. vivono e lavorano in perfetta simbiosi con il sistema comunicativo e pubblicitario dal quale traggono i propri spunti e del quale finiscono, in definitiva, per essere una delle infinite varianti. Anche nei giorni d’oggi ci sono ancora artisti pop. Ad esempio sono di stampo pop le opere di Shepard Fairey. Oppure gli originali e divertenti poster del designer ed art director Albert Exergiani, il quale ha dedicato alla sua passione telefilmica una serie di poster d’autore. Exergian, infatti, ha da sempre avuto un debole per le serie tv, siano esse quelle ormai cult o di ultima generazione. L’autore ha quindi deciso di omaggiare i titoli da lui ritenuti più importanti negli ultimi 20 anni con ben 40 poster monotematici. Con uno stile asciutto e pulito -o in altre parole minimalista-, Exergian ha realizzato dei manifesti in cui l’omaggio ad un telefilm è simboleggiato da un unico elemento: un simbolo, un oggetto, la stilizzazione di una caratteristica portante della serie in questione. Così, dei canini ricordano “True Blood”, una graffetta “MacGyver” o un corvo “Six Feet Under”. Nella pagina potete vedere alcuni manifesti. Mai come in questo caso s’è potuto dire che la tv s’è fatta pop -art, mezzo di comunicazione attraverso dialoghi ma anche, ed a volte soprattutto, immagini. Un’inquadratura Figura. 1 che per un secondo indugia su un oggetto o la presenza fissa -quasi ossessiva- di un elemento a fianco dei suoi protagonisti bastano per dare un secondo lunguaggio alle serie tv, ormai non più semplici strumenti di intrattenimento, ma anche fonti ispiratrici di una forma d’arte che, a prescindere dai gusti, resta tale. Possiamo concludere, dunque, dicendo che, per quanto abbiamo osservato, la televisione Figura. 2 è stata sicuramente una fonte molto importante alla quale gli artisti pop hanno potuto attingere per Figura. 3 creare le proprie opere, ma è stata forse ancora più importante di questo, dato che la telvesione è stata ed è il mezzo più efficace che i potenti hanno per creare una società di massa e consumista. Note Figura 1 La guerra, l'immigrazione, le disuguaglianze sociali, il razzismo, ma anche personaggi della politica, dello sport e del costume: sono i temi delle opere di Shepard Fairey, l'artista neo pop americano autore anche dell'icona più famosa di Barack Obama. Ora l'America si divide sul processo che lo oppone l'Associated Press. Per creare il suo 'Hope' dedicato a Obama l'artista ha elaborato una foto dell'agenzia. (Fonte: L’Espresso) Figura 2 Albert Exergian, Poster d’autore della serie televisiva House M.D. Figura 3 Albert Exergian, Poster d’autore della serie televisiva Dexter
  • 16. Thanks To: Ahhhhhh, è finita! E insieme alla tesina anche il liceo (si spera). Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato e sestenuto durante la stesura della tesina. Ringrazio, dunque, Dario, Mett e Irene per la correzione delle bozze. Poi ringrazio la Lalla per le sue importanti e utili osservazioni e suggerimenti. E grazie anche ad Ale, che mi ha sempre detto: ”Si si, è bella!”. Un grazie, però, va anche agli insegnanti che mi hanno portato fino agli esami, nel bene o nel male, e spero che l’abbiano fatto perché me lo meritavo e non perché volevano liberarsi a tutti i costi di me. L’ultimo ringraziamento, ma non per questo meno importante, va anche al sito italiansubs.net e ai suoi utenti, che sono stati sempre gentili e cordiali nell’aiutarmi, offrendomi la loro piena disponibilità. Dan Rusnac Fonti: Federico di Chio, L’illusione difficile: Cinema e serie Tv nell’età dela disillusione