1. Per la fonderia.
Premessa
Nel contributo in discussione viene stabilito un rapporto diretto tra rigidità
(presunta) del nostro mercato del lavoro, produttività e competitività. Troppa
rigidità nel rapporto di lavoro per alcune categorie avrebbe portato all'aumento
della precarietà incidendo negativamente sulla produttività e
conseguentemente sulla competitività del nostro sistema produttivo.
Cercherò di evidenziare le criticità di questa analisi della flessibilità,
essenzialmente mutuata dalla tesi di Boeri (Boeri, Garibaldi 2008), proponendo
una alternativa che tiene conto di alcuni presupposti a mio avviso ineludibili.
Prima di chiarire le ragioni che mi spingono a non condividere la proposta di
Boeri o comunque a non ritenerla risolutiva dei problemi che affliggono il
mercato del lavoro voglio soffermarmi su alcune premesse di carattere storico
che rappresentano una cornice importante per comprendere il fenomeno della
precarietà nel nostro paese. I dati citati nelle slide sono ovviamente
incontestabili. Da questi emerge come il nostro paese abbia un serio problema
di competitività e allo stesso tempo di occupazione: vero infatti che la seconda
cresce solo con contratti precari, quando cresce.
A mio avviso la causa di questi due problemi non è da individuare nella rigidità
eccessiva dello statuto protettivo dei lavoratori standard e dall'alto costo del
lavoro ma dalla caratteristiche del nostro sistema produttivo1. La soluzione alla
precarietà , pertanto, richiede l'utilizzo di strumenti diversi e compositi. Non
esiste una one best way per superarla.
1 Le flessibilità e la precarietà.
Prima di tutto si deve chiarire che l'approccio utilizzato nel contributo in
discussione tiene conto di una sola delle diverse forme di flessibilità, quella che
in gergo giuridico si chiama flessibilita’ tipologica, riferita al contratto
individuale di lavoro.
Non è l'unica flessibilità possibile.
Osservando dall’interno l’organizzazione del lavoro, si può osservare come le
normative finalizzate “ a rimuovere i vincoli” per rispondere in tempo reale alla
domanda del mercato e in alcuni casi per anticiparla rispondono ad una idea di
flessibilità che non è accolta da tutte le imprese allo stesso modo. Le scelte
aziendali di “flessibilità” si polarizzano, tendenzialmente, intorno a due
manovre tipiche che, schematizzando, chiameremo manovre ricche e manovre
povere (Campagna, Pero 2003). Le manovre povere (ad oggi maggiormente
diffuse nel nostro paese) sono quelle più semplici, che puntano
prevalentemente alla variazione del flusso produttivo col risparmio dei costi. La
flessibilità ricca invece, basata sull’uso integrato di tutte le leve è finalizzata a
cogliere un risultato di medio lungo periodo. Le manovre di questo tipo hanno
al centro l’innovazione interna, di prodotto e/o di processo e lo sviluppo della
professionalità delle risorse umane attraverso la formazione, tutti investimenti
a redditività differita. In questo caso l’impresa acquisisce una capacità di
modificarsi e imparare dall’andamento del mercato. Il punto è cosa
produciamo.
1
Ricordiamo inoltre che il costo del lavoro è determinato da molti fattori e, su tutti, da un
elemento contributivo che sostiene oltre al sistema previdenziale anche l'unica assicurazione
contro la disoccupazione involontaria che esiste nel nostro paese ovvero la cig, senza
considerare il peso del fisco.
2. 2 Il Contesto specifico del nostro paese
Nel contributo si evidenzia la sostanziale stagnazione della crescita economica
nel nostro paese, la scarsa produttività e l'altrettanto scarsa competitività. E'
bene però capire le ragioni che si celano dietro questi dati.
Com'è noto l'andamento della produttività nel nostro paese segue una
traiettoria ascendente dagli anni '50 fino alla prima metà degli anni '70 per poi
iniziare a scendere finendo col precipitare dalla seconda metà degli anni '90 in
avanti . Nello stesso periodo i tassi di crescita delle retribuzioni reali per unità
di lavoro hanno seguito una linea di tendenza negativa e, in particolare dalla
prima metà degli anni '90 in poi, sono aumentati i contratti precari .
Dobbiamo ricordare che la nostra economia aveva corso moltissimo negli anni
'50 e '60 e in parte negli anni '70 per diverse ragioni. Nell'ordine:
A) Il modello autoritario di regolazione delle relazioni di lavoro di quel periodo
che consentiva incrementi della produttività dovuti all'impiego intensivo della
forza lavoro in un panorama di bassi salari, disoccupazione di massa, debolezza
contrattuale (Farina F. 2008).
B) La disponibilità della mano d'opera dovuta allo spopolamento delle
campagne e allo storico squilibrio nord sud, l'utilizzo degli spazi per gli
insediamenti e per le attività senza alcun vincolo e tutela ambientale, la
tecnologia importata e ammortizzata dal basso costo del lavoro e la
standardizzazione dei prodotti.
C) una moneta debole che ha sempre aiutato le nostre esportazioni.
Questi presupposti sono venuti progressivamente meno.
Pesa in particolare l'aumento della difficoltà delle nostre imprese
maggiormente esposte alla concorrenza internazionale in seguito
all'introduzione prima dello SME (sistema monetario europeo) poi della moneta
unica e lo sbarramento competitivo per il capitalismo occidentale sulla
produzione di massa dovuto all'industrializzazione di tipo classico da parte dei
paesi Asiatici e dell'est europeo.
Altri cambiamenti rilevanti hanno interessato tutti i paesi a capitalismo
avanzato ad iniziare dall'affermarsi progressivo di un modello produttivo
sempre più lontano da quello taylorista: meno gerarchico e più capace di di
mettere a valore (rectius profitto) l'intelligenza dei singoli, quindi per certi
aspetti la loro autonomia e capacità di scelta discrezionale (Rullani 1998).
Insomma una vera rivoluzione che avrebbe richiesto scelte di politica
industriale orientate a spostare le nostre produzioni sempre più su beni di
fascia media o medio alta investendo nell'innovazione e utilizzando quelle che
sono state definite manovre di flessibilità ricca.
Ciò non è avvenuto.
Al contrario dalla prima metà degli anni '90 in poi ci siamo trovati di fronte ad
una fuga progressiva dal lavoro subordinato a tempo indeterminato - che è
anche l'unico tutelato - con l'obiettivo di sostituire il vantaggio della
svalutazione competitiva con la compressione del costo del lavoro. Così è
esplosa la precarietà.
3 La proposta di Boeri.
La soluzione alla precarietà nella proposta Boeri, ripresa nel contributo in
discussione, passerebbe per l'indebolimento in varia misura (esistono infatti
3. almeno 3 disegni di legge simili) della stabilità reale, cioè la tutela prevista
dall'articolo 18 della legge 300 del '70 2. Per i primi anni di lavoro si è licenziabili
con facilità. Poi con il tempo e con il presupposto accrescersi della fiducia nei
confronti del lavoratore da parte del datore di lavoro aumenterebbero le tutele.
La proposta mira a superare la precarietà garantendo nel contempo alle
imprese margini elevati di flessibilità. In sostanza si potrebbe dire
precarizziamo tutti un po' per superare l'attuale dualismo del mercato del
lavoro.
Quest'idea che definirei licenziocentrica parte dall'assunto che il maggior
deterrente all'attivazione di contratti standard è il vincolo alla reintegrazione
nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa e più in
generale la difficoltà di licenziare.
Diversamente da B. ritengo che la natura della precarietà nostrana non risieda
nell'assenza di vincoli al licenziamento ma nel costo inferiore della
maggioranza dei contratti non standard.
A conferma di questo, i dati disponibili indicano che i rapporti di lavoro precari
sono concentrati nelle imprese con meno di 9 occupati, ossia le unità
produttive che non sono sottoposte alla disciplina dell'articolo 18 mentre
diminuiscono al crescere della dimensione occupazionale dell'impresa.
Insomma le imprese adottano contratti precari anche quando sono “gia’ libere
di licenziare”.
4 Una realtà molto complessa.
I contratti diversi dal lavoro subordinato a tempo indeterminato sono ormai
moltissimi. Tuttavia le “collaborazioni a progetto” (nel pubblico definite ancora
“coordinate e continuative”) e le cosidette partita Iva rappresentano la fetta
più ampia di lavoro non subordinato a tempo indeterminato. Tutte varianti
diverse di un unico genere: il lavoro autonomo 3. Il menu è in verità ancora più
2
Alcune informazioni di base.
Il recesso del datore di lavoro è stato oggetto di molti interventi normativi che negli anni hanno
teso a rafforzare la tutela del lavoratore. Tali interventi hanno un preciso fondamento
costituzionale negli articoli 3 comma II 4 e 41. E' infatti accolta nella nostra carta fondamentale
l'idea che l'asimmetria di potere tra datori di lavoro e lavoratori debba essere corretta
attraverso interventi del legislatore oltre che attraverso la tutela sindacale.
Il primo intervento normativo è la legge 604 del 1966 che ha introdotto il limite del giustificato
motivo o della giusta causa estendendo a tutti i settori una normativa che l'autonomia
collettiva aveva già introdotto nell'industria. Nella storia del diritto del lavoro le tutele più
importanti sono state conquistate prima nei contratti collettivi e poi assunte dalla legge.
Questo è uno di quei casi.
Nell'ipotesi di licenziamento ingiustificato il datore di lavoro era obbligato al pagamento di una
penale o alla riassunzione del lavoratore: la tutela obbligatoria. Fino al 1966 era possibile
licenziare ad nutum ossia con un cenno del capo. Il livello di ricattabilità nel mondo del lavoro
era enorme quindi la capacità stessa di far affermare anche diritti fondamentali fortemente
compromessa alla radice. Se rischi di perdere il posto di lavoro in ogni momento sei
debolissimo. Lo statuto dei lavoratori legge 300 del 1970 ha segnato un ulteriore passo in
avanti dal punto di vista della effettività della tutela prevedendo la reintegrazione nel posto di
lavoro oltre al risarcimento del danno per le aziende sopra i 15 dipendenti. Tutela reale.
Il licenziamento ad nutum sopravvive nel caso dei lavoratori in prova e per i dirigenti.
3
Non esiste una definizione dettagliata della collaborazione coordinata e continuativa ad
eccezione del richiamo contenuto all’ art. 409, comma 3 del codice di procedura civile che estende il processo del
lavoro anche a: “ … rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata,
prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”. La prestazione d’opera disciplinata agli
articoli 2222 e seguenti del codice civile consiste in un’opera o un servizio svolto
personalmente e senza vincolo di subordinazione. Viene cioè descritta per differenza rispetto al
4. ricco componendosi delle varie forme di part time, del lavoro a chiamata, dello
staff leasing, dell'apprendistato e della somministrazione. La flessibilità
tipologica a disposizione delle imprese è quindi enorme nel nostro
ordinamento.
La stragrande maggioranza dei contratti di lavoro autonomo in realtà
maschera una attività di lavoro subordinato standard. Non a caso il
90% dei collaboratori lavora per un singolo committente. Perchè?
Si è già detto della convenienza economica: costano mediamente il 35/40% in
meno di un contratto di lavoro subordinato (sia esso a tempo indeterminato
che a termine). Esiste però un'altra ragione che merita di essere richiamata: la
difficoltà della nozione lavoro subordinato o meglio della sua interpretazione
prevalente di leggere l'attuale realtà dell'impresa 4. Questi contratti diventano
lavoro subordinato. Non è questa la sede per approfondire la complessa e dibattuta discussione
sulla natura della subordinazione ci limiteremo a dire, richiamando la giurisprudenza più
recente della corte di Cassazione, che quest’ultima consiste nella sottoposizione al potere
direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro
La collaborazione coordinata e continuativa o a progetto è una prestazione d’opera con alcuni
elementi in più che ne rafforzano l’inserimento nell’organizzazione del lavoro pur non
comportando l’esercizio del potere direttivo ma un più blando coordinamento.
In mancanza di una legislazione organica è stata la giurisprudenza, cioè le sentenze della
magistratura giudicante, a specificare gran parte delle caratteristiche di questo contratto
interpretando il significato dei pochi riferimenti normativi.
La continuità : il rapporto di lavoro ha una durata nel tempo apprezzabile cioè non è saltuario
Il coordinamento : l’attività lavorativa nel suo svolgimento, modalità, orari e obiettivi è frutto di
un accordo tra lavoratore e committente “alla pari”. Il committente esercita un potere di
controllo ma non interferisce con l’autonomia organizzativa del collaboratore. Rispetto al lavoro
subordinato non esistono potere direttivo e potere disciplinare.
La personalità della prestazione: il lavoro è svolto prevalentemente dalla persona che stipula il
contratto, il ruolo di eventuali suoi collaboratori o eventuali mezzi di lavoro è marginale
altrimenti si ricadrebbe nella forma impresa e il contratto non sarebbe di lavoro autonomo ma
di appalto.
L’ambigua normativa ha fatto sì che negli anni venisse utilizzato sempre di più per mascherare
rapporti di lavoro subordinato pur essendo un contratto di lavoro autonomo.
Bisogna ricordare che fino al 1995 (anno della riforma pensionistica targata Dini) le
collaborazioni coordinate e continuative non erano soggette ad alcuna contribuzione
pensionistica, da quell’anno in poi l’aliquota contributiva, introdotta all’inizio nella misura del 10%, è
progressivamente cresciuta fino a raggiungere oggi un’aliquota complessiva del 26,72% ma resta comunque sempre
molto al di sotto dei contributi previsti per i lavoratori dipendenti (33%). Inoltre, per questo rapporto di lavoro il datore
committente paga solamente i due terzi di tale aliquota, mentre il terzo restante è a carico del lavoratore .Oltre a ciò
sono ridotti i costi e assenti le tutele conseguenti alla regolamentazione normativa e/o contrattuale che non trova
applicazione per questo rapporto di lavoro considerato appunto autonomo in particolare: minimo salariale, trattamento
di fine rapporto, permessi, ferie, tutela per il licenziamento senza giusta causa.
4
Nel nostro ordinamento la subordinazione ha una forte valenza politica perché da essa
dipende il riconoscimento delle tutele e dei diritti che garantiscono la cittadinanza. Ricordiamo
che il contratto di lavoro subordinato disciplinato dall'articolo 2094 c.c. rappresenta nel nostro
ordinamento il contratto di lavoro di chi dipende da terzi. L'altra fattispecie è quella dell'articolo
2222 c.c che disciplina il lavoro autonomo. La nozione di lavoro subordinato è la norma
generale prevista dal codice per regolare il lavoro integrato in una attività altrui sia essa di
natura pubblica che privata. La presunta crisi della nozione di pari passo con l’espansione del
lavoro autonomo coincide con il tramonto di un prototipo (lavoro operaio in fabbrica) che si
vuole vedere sott’inteso ad dato normativo e che nella legislazione sociale successiva al codice
del '42 senza dubbio è stato a tratti egemone ma che non è. Questa realtà sociologica travolte
dal post fordismo non riassumibile nel dato tecnico giuridico che al contrario per la sua natura
intreclassista si è sempre prestato a leggere fenomeni compositi e diversi. La disciplina
codicistica ha una capacità espansiva certificata dati alla mano. Forse il problema è proprio
questo.
5. improvvisamente disponibili perchè l'organizzazione del lavoro nell'impresa da
gerarchica muta in orizzontale e l'autonomia del lavoratore, che sembra
limitatissima nella definizione codicistica si afferma come tratto diffuso. E' una
delle maggiori problematiche del diritto del lavoro, completamente ignorata da
Boeri.
I giudici che oggi si trovano a pronunciarsi sulla natura del rapporto di lavoro
attuano criteri discretivi ancorati ad una nozione di subordinazione modellata
sulla vecchia fabbrica taylor fordista e conseguentemente lontana dalle attuali
forme di lavoro caratterizzate da una elevata autonomia.
In realtà da moltissimi anni anche delle tradizionali fabbriche i tratti di
autonomia nel lavoro sono molto accentuati ma la giurisprudenza ha faticato
non poco per arrivare ad una interpretazione della fattispecie adeguata al
tempo presente (Alleva 1996, Bologna e Fumagalli 1997 D’Antona , 1996,
Ferraro G.1998 Pedrazzoli 1998).
5 Superare la precarietà senza ideologia.
L'idea che per superare la dualità nel nostro mercato del lavoro si debba offrire
in contropartita alle imprese l'indebolimento dell'articolo 18 ovvero del diritto
ad essere reintegrati a fronte di un licenziamento ingiusto non mi sembra
pertanto condivisibile. La realtà è molto più complessa chiamando in causa
interventi di natura diversa.
Come si è detto, il problema della diffusione delle collaborazioni a progetto
finte nasce dalla crisi della lettura tradizionale e prevalente del lavoro
subordinato e dal costo basso di questi contratti. La cancellazione della
stabilità reale (diritto ad essere reintegrati a fronte di un licenziamento
ingiusto) è ininfluente su questo piano. Non produrrebbe effetti sui contratti a
collaborazione che vengono attivati per ragioni diverse della libertà di
licenziamento.
Esistono a mio avviso proposte più convincenti di quella Boeri.
E' possibile riportare la flessibilità contrattuale ad una quota
fisiologica e cioè quella necessaria per consentire alle imprese di
rispondere alle fluttuazioni della domanda senza aumentare i costi?
Questa domanda, latente nel ragionamento proposto nelle slides, è fallace. Si
deve leggere il fenomeno con una lente diversa.
La flessibilità nel momento in cui si trasforma in occasione per ridurre il costo
del lavoro diviene evidentemente un elemento distorsivo che deve essere
corretto nell'interesse dei lavoratori ma anche del sistema produttivo. Alcune
rigidità sono indispensabili perchè costringono le imprese a
concentrare gli investimenti nell'innovazione di prodotto e di
processo. Il costo del lavoro è un alibi permanente nel nostro paese.
Il punto vero è modificare la specializzazione produttiva e ridefinire
contestualmente lo statuto del lavoro costruendo un sistema di diritti
legati alla cittadinanza prima ancora che alla prestazione lavorativa.
La formula del codice ( è lavoratore subordinato colui che opera alle dipendenze e sotto la
direzione dell'imprenditore ) decisamente sovrabbondante, frutto di diverse ideologie,
specifica l’oggetto dell’obbligazione nell’impegno a collaborare alle dipendenze e sotto la
direzione dell'imprenditore.
6. Nell'immediato serve quindi un mix di interventi alternativi alla proposta Boeri
ed oggetto di un acceso dibattito (vedi in particolare il documento proposto dal
stefano fassina per la conferenza del lavoro del PD “sviluppo lavoro e welfare la
proposta del pd per il diritto unico del lavoro. Sul dibattito nel pd vedi gli
interventi di Luisa Corazza, Marco Leonardi, Massimo Pallini e Giuseppe
Ciccarone sulla rivista on line nel merito. Com).
Innanzitutto:
- Costruire un welfare più ancorato alla cittadinanza che al lavoro
spostando il costo di alcune tutele sulla fiscalità generale e sganciandole dalla
subordinazione. Ci sono moltissimi lavoratori autonomi fasulli ma quelli “veri”
che svolgono la loro attività per committenti diversi devono essere tutelati.
- Garantire continuità di reddito in caso di disoccupazione involontaria
e maternità a tutti i lavoratori. - Allineare il cuneo contributivo diminuendo
progressivamente gli oneri sociali del lavoro subordinato e continuando ad
aumentare quelli da lavoro autonomo spostando in prospettiva i costi delle
tutele legate al reddito sulla fiscalità generale. Per fare ciò è necessaria una
riforma della cassa integrazione spesso abusata dalla imprese e gravante
sulla spesa previdenziale. –
- Fissare un minimo salariale per tutti coloro che sono esclusi dalla copertura
della contrattazione collettiva. In prospettiva spostare il carico fiscale dai
redditi da lavoro a quelli da capitale.
- Rendere più onerosa la flessibilità aumentandone il costo soprattutto in
relazione all'indennità di disoccupazione.
- Riportare le causali dei contratti a termine oggi attivabili per qualunque
motivo alle esigenze stagionali e ai picchi produttivi.
6 Un nuovo modello produttivo
Gli interventi nel mercato del lavoro tuttavia non saranno mai sufficienti se non
modifichiamo la nostra specializzazione produttiva.
Lo specifico italiano del basso costo del lavoro unito ad una moneta debole che
ha sostenuto la grande corsa della nostra economia fino all'inizio degli anni '90
deve essere superato.
La crescita dell’occupazione nella seconda metà degli anni '90 in poi è stata
garantita dalla possibilità di comprimere il costo del lavoro e i diritti attraverso
il ricorso indiscriminato a contratti di lavoro presentati come flessibili ma in
realtà precari. Oggi facciamo i conti con l’ubriacatura ideologica della
flessibilità della seconda metà degli anni ’90. Esattamente come negli anni
d’oro del 900’ il pensiero progressista maggioritario era innamorato del
taylorismo all'inizio del nuovo secolo si è innamorato della flessibilità. Senza
una decisa virata verso prodotti di qualità medio alta l'unica flessibilità
possibile sarà quella che abbiamo visto fino ad oggi. Il rapporto tra produttività
e qualità – contrariamente alla relazione con l'intensità del lavoro nell'unità di
prodotto per la quantità da produrre - modifica profondamente le priorità nel
rendimento del lavoro. La qualità del prodotto oggi deriva dalla qualità del
lavoro e la qualità del lavoro è in gran parte intelligenza delle persone nel
lavoro. Gli standard di qualità dipendono dagli investimenti in competenza
professionale da parte delle imprese.
Solo nuove specializzazioni produttive e un investimento crescente da parte
delle imprese nella ricerca potrà salvarci dal declino. E' nel tipo di prodotti che
realizzano le nostre imprese l'origine della nostra crisi oggi. E' nella speranza di
7. ridurre il costo del lavoro invece che di puntare sull'aumento della qualità dei
prodotti che risiede la causa della perdita progressiva di competitività del
sistema Italia. La flessibilità tipologica non porta necessariamente alla crescita
economica. Il mercato del lavoro Usa ha tassi di disoccupazione a due cifre ed è
il più flessibile del mondo occidentale perchè è venuto meno il driver
fondamentale della crescita cioè il debito delle famiglie che sosteneva la
domanda interna. Quindi paradosso: negli Usa hanno diminuito i salari,
disintegrato le tutele nel lavoro e spostato il sostegno alla domanda interna sul
debito privato. Un capolavoro di cui chicago boys et similia dovrebbero
rispondere davanti al tribunale penale internazionale se fosse riconosciuto dagli
Stati Uniti. Ma questa è una storia diversa.
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“sviluppo lavoro e welfare la proposta del pd per il diritto unico del lavoro.
Sul dibattito nel pd vedi gli interventi di Luisa Corazza, Marco Leonardi,
Massimo Pallini e Giuseppe Ciccarone sulla rivista on line nel merito. Com
http://www.nelmerito.com/index.php?
option=com_content&task=blogcategory&id=24&Itemid=67&limit=12&limitstart=24