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BOLLETTINO UFFICIALE
DELL’ARCIDIOCESI METROPOLITANA
       DI PENNE-PESCARA




ANNO LIV                 MMVII - 1
Periodico                                                   Sede Legale:
della diocesi di Pescara                                    Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne
Anno LVIII - N° 2
                                                            Piazza Spirito Santo, 5
Presidente:                                                 65121 PESCARA
S. E. R. Mons. Tommaso VALENTINETTI

Direttore:                                                  Fotocomposizione e Stampa:
Sor Lidia BASTI                                             Tipografia MAX PRINT
sorellalidia@hotmail.it
                                                            65016 MONTESILVANO (PE)
Direttore Responsabile:
Dott. Ernesto GRIPPO
                                                            Rivista Diocesana
Amministratore:                                             C.C.P. n° 16126658
Can. Antonio DI GIULIO                                      Periodico registrato presso il Tribunale di Pescara

Editore:                                                    al n° 11/95 in data 24.05.1995
Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne             Spedizione in abb. postale 50% PESCARA



                                           CURIA METROPOLITANA
                 Piazza Spirito Santo, 5 - 651210 Pescara - Tel. 085-4222571 - Fax 085-4213149

                                              ARCIVESCOVADO
                           Piazza Spirito Santo, 5 - 651210 Pescara - Tel. 085-2058897
SOMMARIO
LA PAROLA DEL PAPA

  Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale .................................................................... pag.                                 6
  Messaggio ai partecipanti al II Congresso Mondiale dei Movimenti Ecclesiali
  e delle nuove comunità ...................................................................................................................... “          9
  Discorso al V Incontro Mondiale delle Famiglie a Valencia (Spagna) ................................... “                                                12
  “Perché si veda che credere è bello” (Intervista alle televisioni tedesche) ............................. “                                             17
  Discorso al Santuario del Volto Santo di Manoppello ................................................................ “                                  31
  Incontro con i Rappresentanti della Scienza a Regensburg (Germania) ................................. “                                                 35
  Discorso ai partecipanti al Convegno di Verona .......................................................................... “                             45

VITA DIOCESANA

  NOMINE e DECRETI
    Economo ........................................................................................................................................ “    58
    Incardinazione ............................................................................................................................... “      60
    Assistente Ecclesiastico dell’Associazione Amici del Presepio
    della Sezione di Penne ................................................................................................................ “             61
    Consulente Ecclesiastico Provinciale di Pescara del Centro Sportivo Italiano ................ “                                                       63
    Parroci e Vicari Parrocchiali ...................................................................................................... “                64

  LETTERE
    Esercizi spirituali per Presbiteri e Diaconi - Aggiornamento pastorale e
    di Programmazione ...................................................................................................................... “            68
    Incontro Regionale ....................................................................................................................... “          72
    Giornata per la Salvaguardia del Creato .................................................................................. “                          73
    Esercizi spirituali a Lourdes ....................................................................................................... “               74
    Le Reliquie di San Tommaso a Pescara ................................................................................... “                            76
    Relazione su Verona .................................................................................................................... “            77

  VARIE
    Convegno Ecclesiale di Verona:
    Relazione dell’Arcidiocesi Metropolitana di Pescara-Penne ............................................... “                                           80
    Gli Insegnanti di Religione per l’anno sc. 2006-2007
          • Di ruolo ............................................................................................................................ “       85
          • Incaricati annuali ............................................................................................................ “             92
    Orario delle Udienze arcivescovili ............................................................................................ “                    101

  AMMINISTRAZIONE
    Rendiconto… (Missioni) ............................................................................................................ “                104
LA PAROLA DEL PAPA
MESSAGGIO PER LA GIORNATA MISSIONARIA
                 MONDIALE 2006
                   “La carità, anima della missione”

Cari fratelli e sorelle!

  1. La Giornata Missionaria Mondiale, che celebreremo domenica 22 otto-
bre p.v., offre l’opportunità di riflettere quest’anno sul tema: “La carità,
anima della missione”. La missione se non è orientata dalla carità, se non
scaturisce cioè da un profondo atto di amore divino, rischia di ridursi a me-
ra attività filantropica e sociale. L’amore che Dio nutre per ogni persona co-
stituisce, infatti, il cuore dell’esperienza e dell’annunzio del Vangelo, e
quanti l’accolgono ne diventano a loro volta testimoni. L’amore di Dio che
dà vita al mondo è l’amore che ci è stato donato in Gesù, Parola di salvezza,
icona perfetta della misericordia del Padre celeste. Il messaggio salvifico si
potrebbe ben sintetizzare allora nelle parole dell’evangelista Giovanni: “In
questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unige-
nito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui” (1 Gv 4,9). Il
mandato di diffondere l’annunzio di questo amore fu affidato da Gesù agli
Apostoli dopo la sua risurrezione, e gli Apostoli, interiormente trasformati
il giorno della Pentecoste dalla potenza dello Spirito Santo, iniziarono a
rendere testimonianza al Signore morto e risorto. Da allora, la Chiesa conti-
nua questa stessa missione, che costituisce per tutti i credenti un impegno
irrinunciabile e permanente.

2. Ogni comunità cristiana è chiamata, dunque, a far conoscere Dio che è
Amore. Su questo mistero fondamentale della nostra fede ho voluto soffer-
marmi a riflettere nell’Enciclica “Deus caritas est”. Del suo amore Dio per-
mea l’intera creazione e la storia umana. All’origine l’uomo uscì dalle mani
del Creatore come frutto di un’iniziativa d’amore. Il peccato offuscò poi in
lui l’impronta divina. Ingannati dal maligno, i progenitori Adamo ed Eva
vennero meno al rapporto di fiducia con il loro Signore, cedendo alla tenta-
zione del maligno che instillò in loro il sospetto che Egli fosse un rivale e
volesse limitarne la libertà. Così all’amore gratuito divino essi preferirono
se stessi, persuasi di affermare in tal modo il loro libero arbitrio. La conse-

                                      6
guenza fu che finirono per perdere l’originale felicità ed assaporarono l’a-
marezza della tristezza del peccato e della morte. Iddio però non li abban-
donò e promise ad essi ed ai loro discendenti la salvezza, preannunciando
l’invio del suo Figlio unigenito, Gesù, che avrebbe rivelato, nella pienezza
dei tempi, il suo amore di Padre, un amore capace di riscattare ogni umana
creatura dalla schiavitù del male e della morte. In Cristo, pertanto, ci è stata
comunicata la vita immortale, la stessa vita della Trinità. Grazie a
Cristo, buon Pastore che non abbandona la pecorella smarrita, è data la pos-
sibilità agli uomini di ogni tempo di entrare nella comunione con Dio, Padre
misericordioso pronto a riaccogliere in casa il figliol prodigo. Segno sor-
prendente di questo amore è la Croce. Nella morte in croce di Cristo - ho
scritto nell’Enciclica Deus caritas est - “si compie quel volgersi di Dio con-
tro se stesso nel quale egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo - amore,
questo, nella sua forma più radicale. E’ lì che questa verità può essere con-
templata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire
da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare”
(n. 12).

3. Alla vigilia della sua passione Gesù lasciò come testamento ai discepoli,
raccolti nel Cenacolo per celebrare la Pasqua, il “comandamento nuovo del-
l’amore – mandatum novum”: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli al-
tri” (Gv 15,17). L’amore fraterno che il Signore chiede ai suoi “amici” ha la
sua sorgente nell’amore paterno di Dio. Osserva l’apostolo Giovanni:
“Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio” (1 Gv 4,7). Dunque, per
amare secondo Dio occorre vivere in Lui e di Lui: è Dio la prima “casa”
dell’uomo e solo chi in Lui dimora arde di un fuoco di divina carità in grado
di “incendiare” il mondo. Non è forse questa la missione della Chiesa in
ogni tempo? Non è allora difficile comprendere che l’autentica sollecitudine
missionaria, primario impegno della Comunità ecclesiale, è legata alla fe-
deltà all’amore divino, e questo vale per ogni singolo cristiano, per ogni co-
munità locale, per le Chiese particolari e per l’intero Popolo di Dio. Proprio
dalla consapevolezza di questa comune missione prende vigore la generosa
disponibilità dei discepoli di Cristo a realizzare opere di promozione umana
e spirituale che testimoniano, come scriveva l’amato Giovanni Paolo II nel-
l’Enciclica Redemptoris missio, “l’anima di tutta l’attività missionaria: l’a-
more che è e resta il movente della missione, ed è anche l’unico criterio se-

                                       7
condo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato. E’ il
principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui essa deve tendere.
Quando si agisce con riguardo alla carità o ispirati dalla carità, nulla è disdi-
cevole e tutto è buono” (n. 60). Essere missionari significa allora amare Dio
con tutto se stessi sino a dare, se necessario, anche la vita per Lui. Quanti
sacerdoti, religiosi, religiose e laici, pure in questi nostri tempi, Gli hanno
reso la suprema testimonianza di amore con il martirio! Essere missionari è
chinarsi, come il buon Samaritano, sulle necessità di tutti, specialmente dei
più poveri e bisognosi, perché chi ama con il cuore di Cristo non cerca il
proprio interesse, ma unicamente la gloria del Padre e il bene del prossimo.
Sta qui il segreto della fecondità apostolica dell’azione missionaria, che tra-
valica le frontiere e le culture, raggiunge i popoli e si diffonde fino agli
estremi confini del mondo.

4. Cari fratelli e sorelle, la Giornata Missionaria Mondiale sia utile occasio-
ne per comprendere sempre meglio che la testimonianza dell’amore, anima
della missione, concerne tutti. Servire il Vangelo non va infatti considerata
un’avventura solitaria, ma impegno condiviso di ogni comunità. Accanto a
coloro che sono in prima linea sulle frontiere dell’evangelizzazione - e pen-
so qui con riconoscenza ai missionari e alle missionarie - molti altri, bambi-
ni, giovani e adulti con la preghiera e la loro cooperazione in diversi modi
contribuiscono alla diffusione del Regno di Dio sulla terra. L’auspicio è che
questa compartecipazione cresca sempre più grazie all’apporto di tutti. Col-
go volentieri questa circostanza per manifestare la mia gratitudine alla Con-
gregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ed alle Pontificie Opere Mis-
sionarie [PP.OO.MM.], che con dedizione coordinano gli sforzi dispiegati in
ogni parte del mondo a sostegno dell’azione di quanti sono in prima linea
alle frontiere missionarie. La Vergine Maria, che con la sua presenza presso
la Croce e la sua preghiera nel Cenacolo ha collaborato attivamente agli ini-
zi della missione ecclesiale, sostenga la loro azione ed aiuti i credenti in
Cristo ad essere sempre più capaci di vero amore, perché in un mondo spiri-
tualmente assetato diventino sorgente di acqua viva. Questo auspicio formu-
lo di cuore, mentre invio a tutti la mia Benedizione.

  29 Aprile 2006

                                       8
MESSAGGIO AI PARTECIPANTI AL II CONGRESSO
    MONDIALE DEI MOVIMENTI ECCLESIALI
         E DELLE NUOVE COMUNITÀ

Cari fratelli e sorelle,

  in attesa dell’incontro previsto per sabato 3 giugno in Piazza San Pietro
con gli aderenti a più di 100 Movimenti ecclesiali e nuove Comunità, sono
lieto di porgere a voi, rappresentanti di tutte queste realtà ecclesiali, riuniti a
Rocca di Papa in Congresso Mondiale, un caloroso saluto con le parole del-
l’Apostolo: «Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede,
perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm
15,13). È ancora vivo, nella mia memoria e nel mio cuore, il ricordo del
precedente Congresso Mondiale dei Movimenti ecclesiali, svoltosi a Roma
dal 26 al 29 maggio 1998, al quale fui invitato a portare il mio contributo,
allora in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede,
con una conferenza concernente la collocazione teologica dei Movimenti.
Quel Congresso ebbe il suo coronamento nel memorabile incontro con l’a-
mato Papa Giovanni Paolo II del 30 maggio 1998 in Piazza San Pietro, du-
rante il quale il mio Predecessore confermò il suo apprezzamento per i Mo-
vimenti ecclesiali e le nuove Comunità, che definì “segni di speranza” per il
bene della Chiesa e degli uomini.

Oggi, consapevole del cammino percorso da allora sul sentiero tracciato dal-
la sollecitudine pastorale, dall’ affetto e dagli insegnamenti di Giovanni Pao-
lo II, vorrei congratularmi con il Pontificio Consiglio per i Laici, nelle perso-
ne del suo Presidente Mons. Stanislao Rylko, del Segretario Mons. Joseph
Clemens e dei loro collaboratori, per l’importante e valida iniziativa di que-
sto Congresso Mondiale, il cui tema - “La bellezza di essere cristiano e la
gioia di comunicarlo” - prende spunto da una mia affermazione nell’omelia
di inizio del ministero petrino. E’ un tema che invita a riflettere su ciò che
caratterizza essenzialmente l’avvenimento cristiano: in esso infatti ci viene
incontro Colui che in carne e sangue, visibilmente, storicamente, ha portato
lo splendore della gloria di Dio sulla terra. A Lui si applicano le parole del
Salmo 44: «Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo». E a Lui, paradossalmen-
te, fanno riferimento anche le parole del profeta: «Non ha apparenza né bel-
lezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere»

                                        9
(Is 53,2). In Cristo s’incontrano la bellezza della verità e la bellezza dell’a-
more; ma l’amore, si sa, implica anche la disponibilità a soffrire, una dispo-
nibilità che può giungere fino al dono della vita per coloro che si amano (cfr
Gv 15,13)! Cristo, che è “la bellezza di ogni bellezza”, come soleva dire san
Bonaventura (Sermones dominicales 1,7), si rende presente nel cuore del-
l’uomo e lo attrae verso la sua vocazione che è l’amore. È grazie a questa
straordinaria forza di attrazione che la ragione è sottratta al suo torpore ed
aperta al Mistero. Si rivela così la bellezza suprema dell’amore misericordio-
so di Dio e, allo stesso tempo, la bellezza dell’uomo che, creato ad immagi-
ne di Dio, è rigenerato dalla grazia e destinato alla gloria eterna.

Nel corso dei secoli, il cristianesimo è stato comunicato e si è diffuso grazie
alla novità di vita di persone e di comunità capaci di rendere una testimo-
nianza incisiva di amore, di unità e di gioia. Proprio questa forza ha messo
tante persone in “movimento” nel succedersi delle generazioni. Non è stata,
forse, la bellezza che la fede ha generato sul volto dei santi a spingere tanti
uomini e donne a seguirne le orme? In fondo, questo vale anche per voi: at-
traverso i fondatori e gli iniziatori dei vostri Movimenti e Comunità avete
intravisto con singolare luminosità il volto di Cristo e vi siete messi in cam-
mino. Anche oggi Cristo continua a far echeggiare nel cuore di tanti quel
“vieni e seguimi” che può decidere del loro destino. Ciò avviene normal-
mente attraverso la testimonianza di chi ha fatto una personale esperienza
della presenza di Cristo. Sul volto e nella parola di queste “creature nuove”
diventa visibile la sua luce e udibile il suo invito.

Dico pertanto a voi, cari amici dei Movimenti: fate in modo che essi siano
sempre scuole di comunione, compagnie in cammino in cui si impara a vi-
vere nella verità e nell’amore che Cristo ci ha rivelato e comunicato per
mezzo della testimonianza degli Apostoli, in seno alla grande famiglia dei
suoi discepoli. Risuoni sempre nel vostro animo l’esortazione di Gesù: «Co-
sì risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre ope-
re buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16). Portate
la luce di Cristo in tutti gli ambienti sociali e culturali in cui vivete. Lo slan-
cio missionario è verifica della radicalità di un’esperienza di fedeltà sempre
rinnovata al proprio carisma, che porta oltre qualsiasi ripiego stanco ed
egoistico su di sé. Illuminate l’oscurità di un mondo frastornato dai messag-
gi contraddittori delle ideologie! Non c’è bellezza che valga se non c’è una
verità da riconoscere e da seguire, se l’amore scade a sentimento passegge-

                                        10
ro, se la felicità diventa miraggio inafferrabile, se la libertà degenera in
istintività. Quanto male è capace di produrre nella vita dell’uomo e delle na-
zioni la smania del potere, del possesso, del piacere! Portate in questo mon-
do turbato la testimonianza della libertà con cui Cristo ci ha liberati (cfr Gal
5,1). La straordinaria fusione tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo ren-
de bella la vita e fa rifiorire il deserto in cui spesso ci ritroviamo a vivere.
Dove la carità si manifesta come passione per la vita e per il destino degli
altri, irradiandosi negli affetti e nel lavoro e diventando forza di costruzione
di un ordine sociale più giusto, lì si costruisce la civiltà capace di fronteg-
giare l’avanzata della barbarie. Diventate costruttori di un mondo migliore
secondo l’ordo amoris in cui si manifesta la bellezza della vita umana.

I Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità sono oggi segno luminoso della
bellezza di Cristo e della Chiesa, sua Sposa. Voi appartenete alla struttura
viva della Chiesa. Essa vi ringrazia per il vostro impegno missionario, per
l’azione formativa che sviluppate in modo crescente sulle famiglie cristiane,
per la promozione delle vocazioni al sacerdozio ministeriale e alla vita con-
sacrata che sviluppate al vostro interno. Vi ringrazia anche per la disponibi-
lità che dimostrate ad accogliere le indicazioni operative non solo del Suc-
cessore di Pietro, ma anche dei Vescovi delle diverse Chiese locali, che so-
no, insieme al Papa, custodi della verità e della carità nell’unità. Confido
nella vostra pronta obbedienza. Al di là dell’affermazione del diritto alla
propria esistenza, deve sempre prevalere, con indiscutibile priorità, l’edifi-
cazione del Corpo di Cristo in mezzo agli uomini. Ogni problema deve es-
sere affrontato dai Movimenti con sentimenti di profonda comunione, in
spirito di adesione ai legittimi Pastori. Vi sostenga la partecipazione alla
preghiera della Chiesa, la cui liturgia è la più alta espressione della bellezza
della gloria di Dio, e costituisce in qualche modo un affacciarsi del Cielo
sulla terra.

Vi affido all’intercessione di Colei che invochiamo come la Tota pulchra, la
“Tutta bella”, un ideale di bellezza che gli artisti hanno cercato sempre di ri-
produrre nelle loro opere, la «Donna vestita di sole» (Ap 12,1) in cui la bel-
lezza umana si incontra con la bellezza di Dio. Con questi sentimenti a tutti
invio, quale pegno di costante affetto, una speciale Benedizione Apostolica.

 22 Maggio 2006


                                      11
DISCORSO AL V INCONTRO MONDIALE
         DELLE FAMIGLIE A VALENCIA (SPAGNA)

Cari fratelli e sorelle,

 Provo una grande gioia nel prendere parte a questo incontro di preghiera,
nel quale si vuole celebrare il dono divino della famiglia. Sono molto vicino
con la preghiera a tutti quelli che recentemente sono stati colpiti dal lutto in
questa città, e con la speranza in Cristo risorto che dà coraggio e luce so-
prattutto nei momenti di maggiore sofferenza umana.

Uniti dalla stessa fede in Cristo, ci siamo raccolti qui, da tante parti del
mondo, come una comunità che ringrazia e rende gioiosa testimonianza che
l’essere umano è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio per amare,
e che si realizza pienamente in sé stesso solo quando fa dono sincero di sé
agli altri. La famiglia è l’ambito privilegiato dove ogni persona impara a da-
re e ricevere amore. Per questo motivo la Chiesa manifesta costantemente la
sua sollecitudine pastorale in questo ambito fondamentale della persona
umana. Così essa insegna nel suo Magistero: “Dio che è amore e che ha
creato l’uomo per amore, l’ha chiamato ad amare. Creando l’uomo e la don-
na, li ha chiamati nel Matrimonio a un’intima comunione di vita e di amore
fra loro, così che non sono più due, ma una carne sola (Mt 19, 6)” (Catechi-
smo della Chiesa Cattolica. Compendio, 337).

Questa è una verità che la Chiesa proclama nel mondo senza stancarsi. Il mio
caro predecessore Giovanni Paolo II, diceva che “L’uomo è divenuto ‘imma-
gine e somiglianza’ di Dio non soltanto attraverso la propria umanità, ma an-
che attraverso la comunione delle persone che l’uomo e la donna formano sin
dall’inizio…L’uomo diventa immagine di Dio non tanto nel momento della
solitudine quanto nel momento della comunione” (Catechesi, 14-XI-1979).
Perciò ho confermato la convocazione di questo V Incontro Mondiale delle
Famiglie in Spagna, e segnatamente a Valencia, ricca nelle sue tradizioni ed
orgogliosa della fede cristiana che si vive e coltiva in tante famiglie.

La famiglia è un’istituzione intermedia tra l’individuo e la società, e niente
può supplirla totalmente. Essa stessa si fonda soprattutto su una profonda
relazione interpersonale tra il marito e la moglie, sostenuta dall’affetto e

                                      12
dalla mutua comprensione. Per ciò riceve l’abbondante aiuto di Dio nel sa-
cramento del matrimonio che comporta una vera vocazione alla santità.
Possano i figli sperimentare più i momenti di armonia e di affetto dei geni-
tori che non quelli di discordia o indifferenza, perché l’amore tra il padre e
la madre offre ai figli una grande sicurezza ed insegna loro la bellezza del-
l’amore fedele e duraturo.

La famiglia è un bene necessario per i popoli, un fondamento indispensabile
per la società ed un grande tesoro degli sposi durante tutta la loro vita. È un
bene insostituibile per i figli che devono essere frutto dell’amore, della do-
nazione totale e generosa dei genitori. Proclamare la verità integrale della
famiglia, fondata nel matrimonio come Chiesa domestica e santuario della
vita, è una grande responsabilità di tutti.

Il padre e la madre si sono promessi davanti Dio un “sì” totale, che costitui-
sce la base del sacramento che li unisce; allo stesso modo, affinché la rela-
zione interna della famiglia sia completa, è necessario che dicano anche un
“sì” di accettazione ai loro figli generati o adottati e che hanno propria per-
sonalità e proprio carattere. Così, questi continueranno a crescere in un cli-
ma di accettazione ed amore, ed è auspicabile che, raggiungendo una matu-
rità sufficiente, vogliano restituire a loro volta un “sì” a chi hanno dato loro
la vita.

Le sfide della società attuale, segnata dalla dispersione che si genera soprat-
tutto nell’ambito urbano, richiedono la garanzia che le famiglie non siano
sole. Un piccolo nucleo familiare può trovare ostacoli difficili da superare
se si sente isolato dal resto dei suoi familiari e amici. Perciò, la comunità
ecclesiale ha la responsabilità di offrire sostegno, stimolo e alimento spiri-
tuale che fortifichi la coesione familiare, soprattutto nelle prove o nei mo-
menti critici. In questo senso, è molto importante il ruolo delle parrocchie,
così come delle diverse associazioni ecclesiali, chiamate a collaborare come
strutture di appoggio e mano vicina della Chiesa per la crescita della fami-
glia nella fede.

Cristo ha rivelato quale è sempre la fonte suprema della vita per tutti e, per-
tanto, anche per la famiglia: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate
gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di
questo: dare la vita per i propri amici.” (Gv 15,12-13). L’amore di Dio stes-

                                      13
so si è riversato su di noi nel battesimo. Per questo le famiglie sono chiama-
te a vivere quella qualità di amore, poichè il Signore è colui si fa garante
che ciò sia possibile per noi attraverso l’amore umano, sensibile, affettuoso
e misericordioso come quello di Cristo.

Insieme alla trasmissione della fede e dell’amore del Signore, uno dei com-
piti più grandi della famiglia è quello di formare persone libere e responsa-
bili. Perciò i genitori devono continuare a restituire ai loro figli la libertà,
della quale per qualche tempo sono garanti. Se questi vedono che i loro ge-
nitori -e in generale gli adulti che li circondano- vivono la vita con gioia ed
entusiasmo, anche nonostante le difficoltà, crescerà più facilmente in essi
quella gioia profonda di vivere che li aiuterà a superare con buon esito i
possibili ostacoli e le contrarietà che comporta la vita umana. Inoltre, quan-
do la famiglia non si chiude in sé stessa, i figli continuano ad imparare che
ogni persona è degna di essere amata, e che c’è una fraternità fondamentale
universale fra tutti gli esseri umani.

Questo V Incontro Mondiale c’invita a riflettere su un tema di particolare
importanza e che comporta una grande responsabilità per noi: “La trasmis-
sione della fede nella famiglia”. Lo esprime molto bene il Catechismo della
Chiesa Cattolica: “Come una madre che insegna ai suoi figli a parlare, e
quindi a comprendere e a comunicare, la Chiesa nostra Madre, ci insegna il
linguaggio della fede per introdurci nell’intelligenza della fede e nella vita
di fede” (n. 171).

Come simbolizzato nella liturgia del battesimo, con la consegna del cero ac-
ceso, i genitori sono associati al mistero della nuova vita come figli di Dio
che si diventa per mezzo dell cqua battesimale.

Trasmettere la fede ai figli, con l’aiuto di altre persone e istituzioni come la
parrocchia, la scuola o le associazioni cattoliche, è una responsabilità che i
genitori non possono dimenticare, trascurare o delegare totalmente. “La fa-
miglia cristiana è chiamata Chiesa domestica, perché manifesta e attua la
natura comunionale e familiare della Chiesa come famiglia di Dio. Ciascun
membro, secondo il proprio ruolo, esercita il sacerdozio battesimale, contri-
buendo a fare della famiglia una comunità di grazia e di preghiera, una
scuola delle virtù umane e cristiane, il luogo del primo annuncio della fede
ai figli” (Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, 350). E inoltre: “I

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genitori, partecipi della paternità divina, sono per i figli i primi responsabili
dell’educazione e i primi annunciatori della fede. Essi hanno il dovere di
amare e di rispettare i figli come persone e come figli di Dio... In particolare
hanno la missione di educarli alla fede cristiana” (ibid., 460).

Il linguaggio della fede si impara nel focolare domestico dove questa fede
cresce e si fortifica attraverso la preghiera e la pratica cristiana. Nella lettura
del Deuteronomio abbiamo ascoltato costantemente la preghiera ripetuta per
il popolo eletto, la Shema Israel, e che Gesù ha ascoltato e ripetuto nella sua
casa di Nazaret. Egli stesso l’ha ricordato durante la sua vita pubblica, come
ci riferisce il Vangelo di Marco (Mc 12,29). Questa è la fede della Chiesa
che viene dall’amore di Dio, per mezzo delle vostre famiglie. Vivere l’inte-
grità di questa fede, nella sua meravigliosa novità, è un grande dono. Ma
nei momenti in cui sembra che si nasconde il volto di Dio, credere è diffici-
le e comporta un grande sforzo.

Questo incontro dà nuovo vigore per continuare ad annunciare il Vangelo del-
la famiglia, riaffermare la sua validità ed identità basata nel matrimonio aper-
to al dono generoso della vita, e dove si accompagna ai figli nella sua crescita
fisica e spirituale. In questo modo si rifiuta un edonismo molto impregnato
che banalizza le relazioni umane e le svuota del suo genuino valore e della
sua bellezza. Promuovere i valori del matrimonio non ostacola la gioia piena
che l’uomo e la donna trovano nel loro mutuo amore. La fede e l’etica cristia-
na, dunque, non pretendono di soffocare l’amore, bensì renderlo più sano,
forte e realmente libero. Perciò, l’amore umano deve essere purificato e deve
maturare per essere pienamente umano e principio di una gioia vera e duratu-
ra (cf. Discorso in san Giovanni in Laterano, 5 giugno 2006).

Invito, dunque, i governanti e i legislatori a riflettere sul bene evidente che i
focolari domestici in pace e in armonia assicurano all’uomo, alla famiglia,
centro nevralgico della società, assicurano le case che vivono nella pace,
nell’armonia, come ricorda la Santa Sede nella Lettera dei Diritti della Fa-
miglia. L’oggetto delle leggi è il bene integrale dell’uomo, la risposta alle
sue necessità e aspirazioni. Questo è un notevole aiuto alla società, del qua-
le non può privarsi, e per i popoli è una salvaguardia e una purificazione.
Inoltre, la famiglia è una scuola di umanesimo, affinché cresca fino a diven-
tare veramente uomo. In questo senso, l’esperienza di essere amati dai geni-

                                        15
tori porta i figli ad avere coscienza della loro dignità di figli.

La creatura concepita deve essere educata nella fede, amata e protetta. I fi-
gli, insieme al fondamentale diritto a nascere e essere educati nella fede,
hanno pure diritto ad una casa che abbia come modello quello di Nazaret e
siano preservati da tutte le insidie e le minacce. Sono il nonno del mondo,
abbiamo ascoltato.

Desidero ora rivolgermi ai nonni, così importanti nelle famiglie. Essi posso-
no essere - e sono tante volte - i garanti dell’affetto e della tenerezza che
ogni essere umano ha bisogno di dare e di ricevere. Essi offrono ai piccoli
la prospettiva del tempo, sono memoria e ricchezza delle famiglie. Mai per
nessuna ragione siano esclusi dall’ambito familiare. Sono un tesoro che non
possiamo strappare alle nuove generazioni, soprattutto quando danno testi-
monianza di fede all’avvicinarsi della morte.

Voglio ora dire una parte della preghiera che avete recitato, chiedendo il
buon esito di questo Incontro Mondiale delle Famiglie:

Oh, Dio, che nella Sacra Famiglia
ci lasciasti un modello perfetto di vita familiare
vissuta nella fede e nell’obbedienza alla tua volontà.
Aiutaci ad essere esempio di fede e amore ai tuoi comandamenti.
Soccorrici nella nostra missione di trasmettere la fede ai nostri figli.
Apri i loro cuori affinché cresca in essi
il seme della fede che hanno ricevuto nel battesimo.
Fortifica la fede dei nostri giovani,
affinché crescano nella conoscenza di Gesù.
Aumenta l’amore e la fedeltà in tutti i matrimoni,
specialmente quelli che attraversano momenti di sofferenza o difficoltà.
(. . .)
Uniti a Giuseppe e Maria,
Te lo chiediamo per Gesù Cristo tuo Figlio, nostro Signore. Amen.

 8 luglio 2006




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“PERCHÉ SI VEDA CHE CREDERE È BELLO”

Intervista integrale alle televisioni tedesche ARD-Bayerischer Rundfunk,
                ZDF, Deutsche Welle, e alla Radio Vaticana


Domanda: Santo Padre, a settembre Lei visiterà la Germania, o più precisa-
mente, naturalmente, la Baviera. “Il Papa ha nostalgia della sua patria”, così
hanno riferito i suoi collaboratori nel corso della preparazione. Quali temi
vorrà in particolare toccare durante la visita, e il concetto di “patria” fa parte
dei valori che Lei vuole specialmente proporre?

Papa Benedetto XVI: Certamente. Il motivo della visita era proprio che io
volevo vedere ancora una volta i luoghi, le persone presso cui sono cresciu-
to, che mi hanno segnato e hanno formato la mia vita; volevo ringraziare
queste persone. E naturalmente volevo anche esprimere un messaggio che
vada al di là della mia terra, come è coerente con il mio ministero. I temi me
li sono lasciati indicare molto semplicemente dalle ricorrenze liturgiche. Il
tema fondamentale è che noi dobbiamo riscoprire Dio e non un Dio qualsia-
si, ma il Dio con un volto umano, poiché quando vediamo Gesù Cristo ve-
diamo Dio. E a partire da questo dobbiamo trovare le vie per incontrarci a
vicenda nella famiglia, fra le generazioni e poi anche fra le culture e i popo-
li, e le vie per la riconciliazione e la convivenza pacifica in questo mondo.
Le vie che conducono verso il futuro non le troviamo se non riceviamo, per
così dire, la luce dall’alto. Non ho quindi scelto dei temi molto specifici, ma
è la liturgia che mi guida a esprimere il messaggio fondamentale della fede,
che naturalmente si inserisce nell’attualità di oggi, in cui vogliamo anzitutto
cercare la collaborazione dei popoli, e le vie possibili verso la riconciliazio-
ne e la pace.

Domanda: Come Papa, Lei è responsabile per la Chiesa nel mondo intero.
Ma naturalmente la sua visita fa rivolgere l’attenzione anche alla situazione
dei cattolici in Germania. Ora, tutti gli osservatori concordano che l’atmo-
sfera è buona, anche grazie alla Sua elezione. Ma naturalmente i problemi
antichi sono rimasti, solo per fare alcuni esempi: sempre meno praticanti,
sempre meno battesimi, in genere sempre meno influsso sulla vita sociale.
Come vede Lei la situazione attuale della Chiesa cattolica in Germania?

                                       17
Papa Benedetto XVI: Io direi anzitutto che la Germania appartiene all’Oc-
cidente, anche se con una sua coloritura caratteristica, e nel mondo occiden-
tale oggi viviamo un’ondata di nuovo drastico illuminismo o laicismo, co-
munque lo si voglia chiamare. Credere è diventato più difficile, poiché il
mondo in cui ci troviamo è fatto completamente da noi stessi e in esso Dio,
per così dire, non compare più direttamente. Non si beve alla fonte, ma da
ciò che, già imbottigliato, ci viene offerto. Gli uomini si sono ricostruiti il
mondo loro stessi, e trovare Lui dietro a questo mondo è diventato difficile.
Questo non è specifico della Germania, ma è qualcosa che si verifica in tut-
to il mondo, in particolare in quello occidentale. D’altra parte l’Occidente
oggi viene toccato fortemente da altre culture, in cui l’elemento religioso
originario è molto forte, e che sono inorridite per la freddezza che riscontra-
no in Occidente nei confronti di Dio. E questa presenza del sacro in altre
culture, anche se velata in molte maniere, tocca nuovamente il mondo occi-
dentale, tocca noi, che ci troviamo al crocevia di tante culture. E anche dal
profondo dell’uomo in Occidente e in Germania sale sempre nuovamente la
domanda di qualcosa “di più grande”. Lo vediamo nella gioventù, nella qua-
le c’è la ricerca di un “più”: in certo modo il fenomeno religione - come si
dice - ritorna, anche se si tratta di un movimento di ricerca spesso piuttosto
indeterminato. Ma con tutto ciò la Chiesa è di nuovo presente, la fede si of-
fre come risposta. E io penso che proprio questa visita, come già quella a
Colonia, sia una opportunità perché si veda che credere è bello, che la gioia
di una grande comunità universale significa un sostegno, che dietro di essa
c’è qualcosa di importante e che quindi insieme ai nuovi movimenti di ri-
cerca vi sono anche nuovi sbocchi alla fede, che ci conducono gli uni verso
gli altri e che sono anche positivi per la società nel suo insieme.

Domanda: Santo Padre, proprio un anno fa Lei era a Colonia con i giovani,
e credo che Lei abbia anche sperimentato che la gioventù è straordinaria-
mente pronta ad accogliere, e che Lei personalmente è stato accolto molto
bene. In questo prossimo viaggio Lei porta forse anche un messaggio spe-
ciale per i giovani?

Papa Benedetto XVI: Io direi anzitutto: sono molto felice che vi siano gio-
vani che vogliono stare insieme, che vogliono stare insieme nella fede, e che
vogliono fare qualcosa di buono. La disponibilità al bene è molto forte nella
gioventù, basti pensare alle molte forme di volontariato. L’impegno per offri-

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re in prima persona un proprio contributo di fronte ai bisogni di questo mon-
do, è una cosa grande. Un primo impulso può essere quindi di incoraggiare in
questo: Andate avanti! Cercate le occasioni per fare il bene! Il mondo ha bi-
sogno di questa volontà, ha bisogno di questo impegno! E poi forse una paro-
la particolare sarebbe questa: il coraggio di decisioni definitive! Nella gio-
ventù c’è molta generosità, ma di fronte al rischio di impegnarsi per una vita
intera, sia nel matrimonio, sia nel sacerdozio, si prova paura. Il mondo è in
movimento in modo drammatico. Continuamente. Posso già fin d’ora dispor-
re della mia vita intera con tutti i suoi imprevedibili eventi futuri? Con una
decisione definitiva non è forse che lego io stesso la mia libertà e che tolgo
qualcosa alla mia flessibilità? Risvegliare il coraggio di osare decisioni defi-
nitive, che in realtà sono le sole che rendono possibile la crescita, il cammino
in avanti e il raggiungimento di qualcosa di grande nella vita, le sole che non
distruggono la libertà, ma le offrono la giusta direzione nello spazio; rischiare
questo, questo salto - per così dire - nel definitivo, e con ciò accogliere piena-
mente la vita, questo è qualcosa che sarei lieto di poter comunicare.

Domanda: Santo Padre, una domanda sulla situazione della politica estera.
La speranza della pace in Medio Oriente, nelle settimane scorse, è di nuovo
diminuita notevolmente. Quali possibilità Lei vede per la Santa Sede in rap-
porto alla situazione attuale? Quale influsso positivo Lei può esercitare sulla
situazione, sugli sviluppi nel Medio Oriente?

Papa Benedetto XVI: Naturalmente non abbiamo alcuna possibilità politi-
ca, e noi non vogliamo alcun potere politico. Ma noi vogliamo appellarci ai
cristiani e a tutti coloro che si sentono in qualche modo uniti alla Santa Sede
ed interpellati da essa, affinché vengano mobilitate tutte le forze che ricono-
scono che la guerra è la peggiore soluzione per tutti. Non porta nulla di buo-
no per nessuno, neppure per gli apparenti vincitori. Noi lo sappiamo molto
bene in Europa, in seguito alle due guerre mondiali. Ciò di cui tutti hanno
bisogno è la pace. E vi è una forte comunità cristiana nel Libano, vi sono
cristiani fra gli arabi, vi sono cristiani in Israele, e cristiani di tutto il mondo
si impegnano per questi paesi cari a tutti noi. Vi sono forze morali che sono
pronte a far comprendere che l’unica soluzione è l’imparare a vivere insie-
me. Queste forze noi vogliamo mobilitare. Tocca ai politici di trovare poi le
strade affinché questo possa avvenire il più presto possibile e soprattutto in
modo durevole.

                                        19
Domanda: Come Vescovo di Roma Lei è successore di San Pietro. Il mini-
stero di Pietro come può mostrarsi in modo appropriato ai tempi d’oggi? E
come vede Lei il rapporto di tensione ed equilibrio fra il primato del Papa
da una parte e la collegialità dei Vescovi dall’altra?

Papa Benedetto XVI: Un rapporto di tensione ed equilibrio naturalmente
c’è, deve anche esserci. Molteplicità e unità devono sempre nuovamente
trovare il loro rapporto reciproco e questo rapporto, nelle mutevoli situazio-
ni del mondo, deve essere ristabilito. Oggi abbiamo una nuova polifonia
delle culture, in cui l’Europa non è più la sola determinante, ma le comunità
cristiane dei diversi continenti stanno acquistando il loro proprio peso, il lo-
ro proprio colore. Dobbiamo imparare sempre nuovamente questa sinergia.
Per questo abbiamo sviluppato diversi strumenti. Le cosiddette “visite ad li-
mina” dei Vescovi, che ci sono sempre state, vengono ora valorizzate molto
di più, per parlare veramente con tutte le istanze della Santa Sede e anche
con me. Io parlo personalmente con ogni singolo Vescovo. Ho già potuto
parlare con quasi tutti i Vescovi dell’Africa e con molti di quelli dell’Asia.
Adesso verranno quelli dell’Europa Centrale, della Germania, della Svizze-
ra e in questi incontri, in cui appunto Centro e Periferia si incontrano in uno
scambio franco, cresce il corretto rapporto reciproco in una tensione equili-
brata. Abbiamo anche altri strumenti, come il Sinodo, il Concistoro, che io
ora terrò regolarmente e che vorrei sviluppare, in cui anche senza un grande
ordine del giorno si possono discutere insieme i problemi attuali e cercare
delle soluzioni. Sappiamo da una parte che il Papa non è affatto un monarca
assoluto, ma che, nell’ascolto collettivo di Cristo, deve - per così dire - per-
sonificare la totalità. Ma la consapevolezza che occorre un’istanza unifica-
trice, che crei anche l’indipendenza dalle forze politiche e garantisca che le
cristianità non si identifichino troppo con le nazionalità, questa consapevo-
lezza appunto, che vi è bisogno di una tale istanza superiore e più ampia,
che crea unità nella integrazione dinamica del tutto, e d’altra parte accoglie,
accetta e promuove la molteplicità, questa consapevolezza è molto forte.
Perciò credo che, in questo senso, vi sia veramente un’adesione intima al
ministero petrino nella volontà di svilupparlo ulteriormente, in modo che ri-
sponda sia alla volontà del Signore, sia ai bisogni dei tempi.

Domanda: La Germania come terra della Riforma è naturalmente segnata
in modo particolare dai rapporti fra le diverse confessioni. I rapporti ecume-

                                      20
nici sono una realtà sensibile, che ogni tanto può trovarsi in difficoltà. Quali
possibilità vede di migliorare il rapporto con la Chiesa evangelica, o quali
difficoltà vede su questa strada?

Papa Benedetto XVI: Forse è importante dire anzitutto che la Chiesa evan-
gelica presenta una notevole varietà. In Germania abbiamo, se non sbaglio,
tre comunità maggiori: Luterani, Riformati, Unione Prussiana. Inoltre oggi
si formano anche numerose Chiese libere (Freikirchen) e, all’interno delle
Chiese classiche, movimenti come la “Chiesa confessante” e così via. Si
tratta quindi anche di un insieme a molte voci, con il quale, rispettando la
molteplicità delle voci, dobbiamo nella ricerca dell’unità entrare in dialogo
e stabilire una collaborazione. La prima cosa da fare è che in questa società
ci preoccupiamo tutti insieme di rendere chiari i grandi orientamenti etici, di
trovarli noi stessi e tradurli, e così garantire la coesione etica della società,
senza la quale essa non può realizzare il fine della politica, che è la giustizia
per tutti, una buona convivenza, la pace. In questo senso si realizzano già
molte cose: di fronte alle grandi sfide morali già ci troviamo ormai vera-
mente uniti a causa del comune fondamento cristiano. Naturalmente poi si
tratta di testimoniare Dio in un mondo che ha difficoltà a trovarLo, come
abbiamo già detto: di rendere visibile il Dio col volto umano di Gesù Cristo,
offrendo così agli uomini l’accesso a quelle fonti, senza le quali la morale si
isterilisce e perde i suoi riferimenti. Si tratta anche di donare la gioia, perché
non siamo isolati in questo mondo. Solo così nasce la gioia davanti alla
grandezza dell’uomo, che non è un prodotto mal riuscito dell’evoluzione,
ma immagine di Dio. Ci dobbiamo muovere su questi due piani - su quello
dei grandi riferimenti etici e su quello che mostra - a partire dall’interno di
tali riferimenti e orientandosi verso di essi - la presenza di Dio, di un Dio
concreto. Se facciamo questo, e se poi soprattutto i singoli raggruppamenti
cercano di non vivere la fede in modo particolaristico, ma sempre a partire
dai suoi fondamenti più profondi, allora, anche se forse non arriveremo così
presto a delle manifestazioni esterne di unità, matureremo però verso un’u-
nità interiore, che se Dio vuole un giorno porterà anche a forme esterne di
unità.

Domanda: Tema: la famiglia. Circa un mese fa Lei era a Valencia per l’In-
contro mondiale delle famiglie. Chi ha ascoltato con attenzione - come ab-

                                       21
biamo cercato di fare alla Radio Vaticana - ha notato che Lei non ha mai
pronunciato la parola “matrimoni omosessuali”, non ha mai parlato di abor-
to, né di contraccezione. Osservatori attenti si sono detti: interessante! Evi-
dentemente la sua intenzione è di annunciare la fede e non di girare il mon-
do come “apostolo della morale”. Può dirci il Suo commento?

Papa Benedetto XVI: Naturalmente sì. Anzitutto bisogna dire che io avevo
in tutto due volte venti minuti di tempo per parlare. E se uno ha così poco
tempo non può subito cominciare con il dire “No”. Bisogna sapere prima
che cosa veramente vogliamo, non è vero? E il cristianesimo, il cattolicesi-
mo, non è un cumulo di proibizioni, ma una opzione positiva. Ed è molto
importante che lo si veda nuovamente, poiché questa consapevolezza oggi è
quasi completamente scomparsa. Si è sentito dire tanto su ciò che non è per-
messo, che ora bisogna dire: Ma noi abbiamo un’idea positiva da proporre:
l’uomo e la donna sono fatti l’uno per l’altra, esiste - per così dire - una sca-
la: sessualità, eros, agape, che sono le dimensioni dell’amore, e così si for-
ma dapprima il matrimonio come incontro colmo di felicità di uomo e don-
na, e poi la famiglia, che garantisce la continuità fra le generazioni, in cui si
realizza la riconciliazione delle generazioni e in cui si possono incontrare
anche le culture. Anzitutto, dunque, è importante mettere in rilievo ciò che
vogliamo. In secondo luogo, si può poi anche vedere, perché certe cose non
le vogliamo. E io credo che occorra riconoscere che non è un’invenzione
cattolica che l’uomo e la donna siano fatti l’uno per l’altra, affinché l’uma-
nità continui a vivere: lo sanno in fondo tutte le culture. Per quanto riguarda
l’aborto, esso non rientra nel sesto, ma nel quinto comandamento: “Non uc-
cidere!”. E questo dovremmo presupporlo come ovvio, ribadendo sempre di
nuovo: la persona umana inizia nel seno materno e rimane persona umana
fino al suo ultimo respiro. Perciò deve sempre essere rispettata come perso-
na umana. Ma ciò diventa più chiaro se prima è stato detto il positivo.

Domanda: Santo Padre, la mia domanda si collega in certo modo a quella
precedente. In tutto il mondo i credenti attendono dalla Chiesa cattolica ri-
sposte ai problemi globali più urgenti, come l’Aids e la sovrappopolazione.
Perché la Chiesa cattolica insiste tanto sulla morale anteponendola ai tenta-
tivi di soluzione concreta per questi problemi cruciali dell’umanità, ad
esempio nel continente africano?

                                       22
Papa Benedetto XVI: Già, questo è il problema: insistiamo veramente tan-
to sulla morale? Io direi - me ne sono convinto sempre più anche nel dialo-
go con i Vescovi africani - che la questione fondamentale, se vogliamo fare
dei passi avanti in questo campo, si chiama educazione, formazione. Il pro-
gresso può essere progresso vero solo se serve alla persona umana e se la
persona umana stessa cresce; se non cresce solo il suo potere tecnico, ma
anche la sua capacità morale. E penso che il vero problema della nostra si-
tuazione storica sia lo squilibrio fra la crescita incredibilmente rapida del
nostro potere tecnico e quella della nostra capacità morale, che non è cre-
sciuta in modo proporzionale. Perciò la formazione della persona umana è
la vera ricetta, la chiave di tutto direi, e questa è anche la nostra via. E que-
sta formazione ha - per dirla in breve - due dimensioni. Anzitutto natural-
mente dobbiamo imparare: acquisire sapere, capacità, know-how come si
suol dire. In questa direzione l’Europa, e l’America negli ultimi decenni,
hanno fatto molto, ed è una cosa importante. Ma se si diffonde solo know-
how, se si insegna solo come si costruiscono e usano le macchine, e come si
impiegano i mezzi di contraccezione, allora non bisogna poi meravigliarsi
che alla fine ci si ritrovi con le guerre e con le epidemie di Aids. Noi abbia-
mo bisogno di due dimensioni: ci vuole allo stesso tempo la formazione del
cuore - se così posso esprimermi - con cui la persona umana acquisisce dei
riferimenti e impara così anche ad usare correttamente la tecnica, che pure
ci vuole. Ed è questo che cerchiamo di fare. In tutta l’Africa e anche in mol-
ti paesi dell’Asia abbiamo una grande rete di scuole di ogni grado, dove an-
zitutto si può imparare, acquisire vera conoscenza, capacità professionale, e
con ciò raggiungere autonomia e libertà. Ma in queste scuole noi cerchiamo
appunto non solo di comunicare know-how, ma di formare persone umane,
che vogliano riconciliarsi, che sappiano che dobbiamo costruire e non di-
struggere, e che abbiano i riferimenti necessari per saper convivere. In gran
parte dell’Africa le relazioni fra musulmani e cristiani sono esemplari. I Ve-
scovi hanno formato comitati comuni insieme con i musulmani per vedere
come creare pace nelle situazioni di conflitto. E questa rete delle scuole,
dell’apprendimento e della formazione umana, che è molto importante, vie-
ne completata da una rete di ospedali e di centri di assistenza, che raggiunge
capillarmente anche i villaggi più remoti. E in molti luoghi, dopo tutte le di-
struzioni della guerra, la Chiesa è rimasta l’ultimo potere intatto - non pote-
re, ma realtà! Una realtà dove si cura, dove si cura anche l’Aids, e dove,

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d’altra parte, si offre un’educazione che aiuta a stabilire i giusti rapporti con
gli altri. Perciò credo che dovrebbe venire corretta l’immagine secondo cui
seminiamo attorno a noi solo dei rigidi “No”. Proprio in Africa si opera
molto, perché le diverse dimensioni della formazione si possano integrare e
così diventi possibile il superamento della violenza e anche delle epidemie,
fra cui bisogna contare anche la malaria e la tubercolosi.

Domanda: Santo Padre, il cristianesimo si è diffuso in tutto il mondo a par-
tire dall’Europa. Ora, molti che si occupano dell’argomento dicono che il
futuro della Chiesa si trova negli altri continenti. È vero? O in altre parole,
che futuro ha il cristianesimo in Europa, dove sembra che esso si stia ridu-
cendo a faccenda privata di una minoranza?

Papa Benedetto XVI: Anzitutto io vorrei introdurre qualche sfumatura. In
verità, come sappiamo, il cristianesimo è sorto nel Vicino Oriente. E per
lungo tempo il suo sviluppo principale è rimasto là e si è diffuso in Asia
molto di più di quanto noi oggi pensiamo dopo i cambiamenti portati dall’I-
slam. D’altra parte, proprio per questo motivo il suo asse si è spostato sensi-
bilmente verso l’Occidente e l’Europa, e l’Europa - ne siamo fieri e ce ne
rallegriamo - ha ulteriormente sviluppato il cristianesimo nelle sue grandi
dimensioni anche intellettuali e culturali. Ma credo che sia importante ricor-
darci dei cristiani d’Oriente, poiché al momento vi è il pericolo che essi, che
sono stati sempre ancora una minoranza importante, adesso emigrino. E vi è
il grande pericolo che proprio questi luoghi d’origine del cristianesimo ri-
mangano privi di cristiani. Penso che dobbiamo aiutare molto perché essi
possano restare. Ma ora veniamo alla Sua domanda. L’Europa è diventata
certamente il centro del cristianesimo e del suo impegno missionario. Oggi
gli altri continenti, le altre culture, entrano con peso uguale nel concerto del-
la storia del mondo. Così cresce il numero delle voci della Chiesa, e questo
è bene. È bene che si possano esprimere i diversi temperamenti, i doni pro-
pri dell’Africa, dell’Asia e dell’America, in particolare anche dell’America
Latina. Tutti naturalmente sono toccati non solo dalla parola del cristianesi-
mo, ma anche dal messaggio secolaristico di questo mondo, che porta anche
negli altri continenti la prova dirompente che noi abbiamo subito in noi
stessi. Tutti i Vescovi delle altre parti del mondo dicono: noi abbiamo anco-
ra bisogno dell’Europa, anche se l’Europa ora è solo una parte di un tutto

                                       24
più grande. Noi abbiamo tuttora una responsabilità al riguardo. Le nostre
esperienze, la scienza teologica che è stata qui sviluppata, tutta la nostra
esperienza liturgica, le nostre tradizioni, anche le esperienze ecumeniche
che abbiamo accumulato: tutto ciò è molto importante anche per gli altri
continenti. Perciò bisogna che noi oggi non capitoliamo dicendo: “Ecco,
siamo solo una minoranza, cerchiamo almeno di conservare il nostro picco-
lo numero!”. Dobbiamo invece conservare vivo il nostro dinamismo, aprire
rapporti di scambio, cosicché di là vengano anche forze nuove per noi. Oggi
vi sono sacerdoti indiani ed africani in Europa, anche in Canada, dove molti
sacerdoti africani lavorano; è interessante. Vi è questo dare e ricevere vicen-
devole. Ma anche se in futuro dovremo essere piuttosto coloro che ricevono,
dovremmo tuttavia rimanere sempre capaci di dare e sviluppare in tal senso
il necessario coraggio e dinamismo.

Domanda: È un argomento che è stato già in parte toccato, Santo Padre. Le
società moderne nelle decisioni importanti riguardo alla politica e alla scien-
za non si orientano secondo i valori cristiani e la Chiesa - lo sappiamo dalle
inchieste - viene considerata per lo più solo come una voce ammonitrice o
addirittura frenante. La Chiesa non dovrebbe uscire da questa posizione di-
fensiva e assumere un atteggiamento più positivo riguardo al futuro e alla
sua costruzione?

Papa Benedetto XVI: Direi che in ogni caso abbiamo il nostro compito di
mettere meglio in rilievo ciò che noi vogliamo di positivo. E questo dobbia-
mo anzitutto farlo nel dialogo con le culture e con le religioni, poiché il con-
tinente africano, l’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcerta-
te di fronte alla freddezza della nostra razionalità. È importante dimostrare
che da noi non c’è solo questo. E reciprocamente è importante che il nostro
mondo laicista si renda conto che proprio la fede cristiana non è un impedi-
mento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto
pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia
un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte
“l’organo religioso” e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con
il quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo
mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale viviamo, la
pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente, ma occorre una raziona-

                                      25
lità più ampia, che vede Dio in armonia con la ragione, dobbiamo mostrare
che la fede cristiana che si è sviluppata in Europa è anche un mezzo per far
confluire ragione e cultura e per tenerle insieme in un’unità comprensiva
anche dell’agire. In questo senso credo che abbiamo un grande compito, di
mostrare cioè che questa Parola, che noi possediamo, non appartiene - per
così dire - ai ciarpami della storia, ma è necessaria proprio oggi.

Domanda: Santo Padre, parliamo dei suoi viaggi. Lei è in Vaticano, forse
Le costa essere un po’ lontano dalla gente e separato dal mondo, anche qui
nel bellissimo ambiente di Castel Gandolfo. Ma Lei fra poco avrà 80 anni.
Lei pensa, con l’aiuto di Dio, di poter fare ancora molti viaggi? Ha un’idea
di quali vorrebbe fare? In Terra Santa, in Brasile? Lo sa già?

Papa Benedetto XVI: A dire il vero non sono così solo. Naturalmente ci
sono - per così dire - le mura che rendono difficile l’accesso, ma c’è una
“famiglia pontificia”, ogni giorno molte visite, in particolare quando sono a
Roma. Vengono i Vescovi, altre persone, ci sono visite di Stato, di persona-
lità che però vogliono parlare con me anche personalmente e non solo di
questioni politiche. In questo senso c’è una molteplicità di incontri che gra-
zie a Dio mi vengono donati continuamente. Ed è anche importante che la
sede del Successore di Pietro sia un luogo di incontro - non è vero? Dal
tempo di Giovanni XXIII, poi, il pendolo si è spostato anche nell’altra dire-
zione: sono i Papi che hanno cominciato a fare visite. Devo dire che io non
mi sento molto forte tanto da mettere in agenda ancora molti grandi viaggi,
ma dove questi permettono di rivolgere un messaggio, dove rispondono a
un vero desiderio, lì vorrei andare, con il “dosaggio” che mi è possibile.
Qualcosa è già previsto: il prossimo anno in Brasile c’è l’incontro del Ce-
lam, il Consiglio Episcopale Latino Americano, e penso che lì la mia pre-
senza sia un passo importante, considerate, da una parte, la vicenda dram-
matica che l’America del Sud sta vivendo e, dall’altra parte, tutta la forza di
speranza che allo stesso tempo è operante in quella regione. Poi vorrei anda-
re nella Terra Santa, e spero di poterla visitare in tempo di pace, e per il re-
sto vedremo che cosa mi riserva la Provvidenza.

Domanda: Mi permetta di insistere. Gli austriaci parlano anche loro tedesco
e La aspettano a Mariazell...

                                      26
Papa Benedetto XVI: Sì, è stato concordato. Io l’ho promesso semplice-
mente, in modo un po’ imprudente. È un posto che mi è piaciuto tanto che
ho detto: Sì, tornerò dalla Magna Mater Austriae. Naturalmente questa è di-
ventata subito una promessa, che io manterrò, e la manterrò volentieri.

Domanda: Insisto ancora. Io La ammiro ogni mercoledì, quando tiene l’u-
dienza generale. Vengono 50.000 persone. Deve essere stancante, molto
stancante. Lei riesce a resistere?

Papa Benedetto XVI: Sì, il Buon Dio mi darà la forza necessaria. E quando
si vede l’accoglienza cordiale, naturalmente si rimane incoraggiati.

Domanda: Santo Padre, Lei ha appena detto di aver fatto una promessa un
po’ imprudente. Vuol dire che nonostante il Suo ministero, nonostante i
molti vincoli protocollari, Lei non si lascia portar via la sua spontaneità?

Papa Benedetto XVI: In ogni caso, io ci provo. Poiché, per quanto le cose
siano fissate, io vorrei cercare di conservare e di realizzare anche qualcosa
di propriamente personale.

Domanda: Santo Padre, le donne sono molto attive in diverse funzioni nella
Chiesa cattolica. Il loro contributo non dovrebbe diventare più chiaramente
visibile, anche in posti di più alta responsabilità nella Chiesa?

Papa Benedetto XVI: Su questo argomento naturalmente si riflette molto.
Come Lei sa, noi riteniamo che la nostra fede, la costituzione del Collegio
degli Apostoli ci impegnino e non ci permettano di conferire l’ordinazione
sacerdotale alle donne. Ma non bisogna neppure pensare che nella Chiesa
l’unica possibilità di avere un qualche ruolo di rilievo sia di essere sacerdote.
Nella storia della Chiesa vi sono moltissimi compiti e funzioni. A comincia-
re dalle sorelle dei Padri della Chiesa, per giungere al medioevo, quando
grandi donne hanno svolto un ruolo molto determinante, e fino all’epoca mo-
derna. Pensiamo a Ildegarda di Bingen, che protestava con forza nei confron-
ti di Vescovi e del Papa; a Caterina da Siena e a Brigida di Svezia. Così an-
che nel tempo moderno le donne devono - e noi con loro - cercare sempre di
nuovo il loro giusto posto. Oggi, esse sono ben presenti nei Dicasteri della

                                       27
Santa Sede. Ma c’è un problema giuridico: quello della giurisdizione, cioè il
fatto che secondo il Diritto Canonico il potere di prendere decisioni giuridi-
camente vincolanti è legato all’Ordine sacro. Da questo punto di vista vi so-
no quindi dei limiti. Ma io credo che le stesse donne, con il loro slancio e la
loro forza, con la loro - per così dire - preponderanza, con la loro “potenza
spirituale”, sapranno farsi il loro spazio. E noi dovremmo cercare di metterci
in ascolto di Dio, per non essere noi ad opporci a Lui, ma anzi ci rallegriamo
che l’elemento femminile ottenga nella Chiesa il posto operativo che gli con-
viene, a cominciare dalla Madre di Dio e da Maria Maddalena.

Domanda: Santo Padre, nei tempi più recenti si parla di un nuovo fascino
del cattolicesimo. Quale è dunque la vitalità e la capacità di futuro di questa
istituzione d’altra parte antichissima?

Papa Benedetto XVI: Direi che già l’intero pontificato di Giovanni Paolo
II ha attirato l’attenzione degli uomini e li ha riuniti. Ciò che è accaduto in
occasione della sua morte rimane qualcosa di storicamente del tutto specia-
le: come centinaia di migliaia di persone accorrevano disciplinatamente ver-
so Piazza San Pietro, stavano in piedi per ore, e mentre avrebbero dovuto
crollare, invece resistevano mosse da una spinta interiore. E poi lo abbiamo
rivissuto in occasione della inaugurazione del mio pontificato e poi a Colo-
nia. È molto bello che l’esperienza della comunità diventi allo stesso tempo
un’esperienza di fede; che si sperimenti la comunione non solamente in un
luogo qualunque, ma che essa diventi più viva proprio là dove sono i luoghi
della fede, facendo risplendere nella sua forza luminosa anche la cattolicità.
Ovviamente ciò deve perdurare anche nella vita quotidiana. Le due cose de-
vono andare insieme. Da una parte i grandi momenti, in cui si sperimenta
che è bello partecipare, che il Signore è presente e che noi formiamo una
grande comunità riconciliata al di là di tutti i confini. Ma poi, naturalmente,
bisogna attingere da questo lo slancio per resistere durante i faticosi pelle-
grinaggi attraverso il quotidiano, affrontandoli a partire da questi punti lu-
minosi ed invitando così anche altri a inserirsi nella comunità in cammino.
Ma vorrei cogliere questa occasione per dire: io mi sento arrossire per tutto
ciò che viene fatto in preparazione della mia visita, per tutto quello che la
gente sta facendo. La mia casa è stata dipinta a nuovo, una scuola professio-
nale ne ha rifatto il recinto. Il professore di religione evangelico ha collabo-

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rato per il mio recinto. E questi sono solo piccoli particolari, ma sono il se-
gno del moltissimo che viene fatto. Io trovo tutto ciò straordinario, e non lo
riferisco a me stesso, ma lo considero come segno di una volontà di apparte-
nere a questa comunità di fede e di servirsi tutti l’un l’altro. Dimostrare que-
sta solidarietà e lasciarci ispirare in questo dal Signore: è qualcosa che mi
tocca e per questo vorrei anche ringraziare di tutto cuore.

Domanda: Santo Padre, Lei ha parlato dell’esperienza della comunità. Lei
verrà ora in Germania già per la seconda volta dopo la Sua elezione. Con la
Giornata Mondiale della Gioventù, e forse anche per altro verso con i cam-
pionati mondiali di calcio, l’atmosfera è in certo senso cambiata. Si ha l’im-
pressione che i tedeschi siano diventati più aperti al mondo, più tolleranti,
più gioiosi. Che cosa si augura Lei ancora da noi tedeschi?

Papa Benedetto XVI: Direi che naturalmente già con la fine della seconda
guerra mondiale è cominciata una trasformazione interiore della società te-
desca, anche della mentalità tedesca, che tale trasformazione è stata ancora
rafforzata dalla riunificazione. Noi ci siamo inseriti molto più profondamen-
te nella società mondiale e ovviamente stiamo in certa misura sotto l’influs-
so della sua mentalità. E così appaiono anche aspetti del carattere tedesco
che prima non ci si aspettava. E forse siamo stati dipinti un po’ troppo come
sempre tutti disciplinati e riservati, cosa che ha anche un certo fondamento.
Ma sono contento se ora emerge di più e si rende visibile a tutti che i tede-
schi non sono solo riservati, puntuali e disciplinati, ma sono anche sponta-
nei, allegri, ospitali. Questo è molto bello. Ed allora il mio augurio che que-
ste virtù si sviluppino ulteriormente, ricevendo ancora slancio e durevolezza
dalla fede cristiana.

Domanda: Santo Padre, il Suo Predecessore ha dichiarato beati e santi un
grandissimo numero di cristiani. Alcuni pensano, perfino un po’ troppi. Qui
la mia domanda: le beatificazioni e le canonizzazioni sono di vantaggio per
la Chiesa solo se queste persone possono essere considerate come veri mo-
delli. La Germania produce relativamente pochi santi e beati in confronto ad
altri paesi. Si può fare qualcosa perché questa dimensione pastorale si svi-
luppi, e perché il bisogno di beatificazioni e canonizzazioni dia un vero frut-
to pastorale?

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Papa Benedetto XVI: All’inizio avevo anch’io un poco l’idea che la gran-
de quantità delle beatificazioni quasi ci schiacciasse e che forse bisognava
scegliere di più: delle figure che entrassero più chiaramente nella nostra co-
scienza. Nel frattempo ho decentralizzato le beatificazioni, per rendere ogni
volta più visibili queste figure nei luoghi specifici a cui esse appartengono.
Forse un santo del Guatemala interessa meno noi in Germania e viceversa
uno di Altötting forse non trova tanto interesse a Los Angeles e così via. In
questo senso credo che questa decentralizzazione, che corrisponde anche al-
la collegialità dell’episcopato, alle sue strutture collegiali, sia una cosa op-
portuna proprio in questo punto. I diversi Paesi hanno le loro proprie figure
che lì possono svolgere la loro efficacia. Ho anche osservato che queste
beatificazioni nei diversi luoghi toccano innumerevoli persone e che la gen-
te dice: “Finalmente, questo è uno di noi!” e va a lui e ne viene ispirata. Il
beato appartiene a loro, e noi siamo contenti che lì ce ne siano molti. E se
gradualmente, con lo sviluppo della società mondiale, anche noi li conosce-
remo meglio, sarà bello. Ma anzitutto è importante che anche in questo
campo vi sia la molteplicità. E in questo senso è importante che anche noi in
Germania impariamo a conoscere le nostre proprie figure e a rallegrarci di
esse. Parallelamente ci sono poi le canonizzazioni delle figure più grandi,
che sono di rilievo per la Chiesa intera. Io direi che le singole Conferenze
Episcopali dovrebbero scegliere, dovrebbero vedere chi è adatto per noi, chi
ci dice veramente qualcosa, e poi dovrebbero rendere visibili queste figure
più significative, imprimendole nella coscienza mediante la catechesi, la
predicazione; forse si potrebbero anche presentare con un film. Potrei im-
maginarmi dei film molto belli. Io naturalmente conosco bene solo i Padri
della Chiesa: fare un film su Agostino, anche uno su Gregorio di Nazianzo e
la sua figura molto particolare (il suo fuggire ripetutamente perché ne aveva
abbastanza, e così via) e dimostrare che non ci sono sempre solo le brutte si-
tuazioni attorno a cui girano tanti nostri film, ma ci sono figure meraviglio-
se della storia, che non sono affatto noiose, ma sono molto attuali. Insomma
bisogna cercare di non caricare eccessivamente la gente, ma di rendere visi-
bili per molti le figure che sono attuali e che ci ispirano.

Domanda: Storie in cui ci sia anche humour? Nel 1989 a Monaco Le è stata
data l’onorificenza del Karl Valentin Orden. Quale ruolo hanno nella vita di
un Papa lo humour e le leggerezza dell’essere?

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Papa Benedetto XVI: (ride) Io non sono un uomo a cui vengano in mente
continuamente delle barzellette. Ma saper vedere anche l’aspetto divertente
della vita e la sua dimensione gioiosa e non prendere tutto così tragicamen-
te, questo lo considero molto importante, e direi che è anche necessario per
il mio ministero. Un qualche scrittore aveva detto che gli angeli possono vo-
lare, perché non si prendono troppo sul serio. E noi forse potremmo anche
volare un po’ di più, se non ci dessimo così tanta importanza.




                DISCORSO AL SANTUARIO
            DEL VOLTO SANTO DI MANOPPELLO

Prima di fare l’ingresso nel Santuario, il Santo Padre ha salutato le mi-
gliaia di fedeli radunati all’esterno:


Cari fratelli e sorelle,

grazie per questo benvenuto così cordiale. Vedo come la Chiesa è una gran-
de famiglia. Dove c’è il Papa la famiglia si riunisce in grande gioia. Per me
è un segno della fede viva, della gioia che ci dà la fede, della comunione,
della pace che crea la fede. E vi sono gratissimo per questo benvenuto. Così
vedo tutta la bellezza di questa Regione d’Italia qui, sui vostri volti.

Un saluto particolare agli ammalati. Sappiamo che il Signore è particolar-
mente vicino a voi, vi aiuta, vi accompagna nelle vostre sofferenze. Siete
nelle nostre preghiere. E pregate anche per noi.

Un saluto speciale ai giovani e ai bambini di Prima Comunione. Grazie per
il vostro entusiasmo, per la vostra fede. Noi tutti, come dicono i Salmi, “cer-
chiamo il Volto del Signore”. E questo è il senso anche di questa mia visita.
Insieme cerchiamo di conoscere sempre meglio il volto del Signore e dal
volto del Signore attingiamo questa forza di amore e di pace che ci mostra
anche la strada della nostra vita.

Grazie e auguri a voi tutti!

                                      31
* * *

Venerato Fratello nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle!

Desidero in primo luogo ringraziare il Signore per l’odierno incontro, sem-
plice e familiare, in un luogo dove possiamo meditare sul mistero dell’amo-
re divino contemplando un’icona del Volto Santo. A voi tutti qui presenti va
il mio grazie più sentito per la vostra cordiale accoglienza e per l’impegno e
la discrezione con cui avete favorito questo mio privato pellegrinaggio. Sa-
luto e ringrazio in particolare il vostro Arcivescovo che si è fatto interprete
dei comuni sentimenti. Grazie per i doni che mi avete offerto e che apprezzo
molto proprio nella loro qualità di “segni”, come li ha chiamati Mons. Forte.
Sono segni, infatti, della comunione affettiva ed effettiva che lega il popolo
di questa cara terra d’Abruzzo al Successore di Pietro. Un saluto speciale ri-
volgo a voi, sacerdoti, religiosi e religiose e seminaristi qui convenuti. Non
essendo possibile incontrare l’intera Comunità diocesana, sono contento che
a rappresentarla ci siate voi, persone già dedite al ministero presbiterale e
alla vita consacrata o incamminate verso il sacerdozio. Persone che mi piace
considerare innamorate di Cristo, attratte da Lui e impegnate a fare della
propria esistenza una continua ricerca del suo Santo Volto. Un grato pensie-
ro rivolgo infine alla comunità dei Padri Cappuccini, che ci ospita, e che da
secoli si prende cura di questo santuario, meta di tanti pellegrini.

Mentre poc’anzi sostavo in preghiera, pensavo ai primi due Apostoli, che,
sollecitati da Giovanni Battista, seguirono Gesù presso il fiume Giordano –
come leggiamo all’inizio del Vangelo di Giovanni (cfr Gv 1,35-37). L’evan-
gelista narra che Gesù si voltò e domandò loro: “Che cercate?”. Essi rispo-
sero: “Rabbi, dove abiti?”. Ed egli: “Venite e vedrete” (cfr Gv 1,38-39).
Quel giorno stesso i due che Lo seguirono fecero un’esperienza indimenti-
cabile, che li portò a dire: “Abbiamo trovato il Messia” (Gv 1,41). Colui che
poche ore prima consideravano un semplice “rabbi”, aveva acquistato una
identità ben precisa, quella del Cristo atteso da secoli. Ma, in realtà, quanta
strada avevano ancora davanti a loro quei discepoli! Non potevano nemme-
no immaginare quanto il mistero di Gesù di Nazaret potesse essere profon-
do; quanto il suo “volto” potesse rivelarsi insondabile, imperscrutabile. Tan-
to che, dopo aver vissuto insieme tre anni, Filippo, uno di loro, si sentirà di-

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re nell’Ultima Cena: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai cono-
sciuto, Filippo?”. E poi quelle parole che esprimono tutta la novità della ri-
velazione di Gesù: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9). Solo dopo
la sua passione, quando lo incontreranno risorto, quando lo Spirito illumi-
nerà le loro menti e i loro cuori, gli Apostoli comprenderanno il significato
delle parole che Gesù aveva detto, e Lo riconosceranno come il Figlio di
Dio, il Messia promesso per la redenzione del mondo. Diventeranno allora
suoi messaggeri infaticabili, testimoni coraggiosi sino al martirio.

“Chi ha visto me ha visto il Padre”. Sì, cari fratelli e sorelle, per “vedere
Dio” bisogna conoscere Cristo e lasciarsi plasmare dal suo Spirito che guida
i credenti “alla verità tutta intera” (cfr Gv 16, 13). Chi incontra Gesù, chi si
lascia da Lui attrarre ed è disposto a seguirlo sino al sacrificio della vita,
sperimenta personalmente, come Egli ha fatto sulla croce, che solo il “chic-
co di grano” che cade nella terra e muore porta “molto frutto” (cfr Gv
12,24). Questa è la via di Cristo, la via dell’amore totale che vince la morte:
chi la percorre e “odia la sua vita in questo mondo, la conserva per la vita
eterna” (Gv 12, 25). Vive cioè in Dio già su questa terra, attratto e trasfor-
mato dal fulgore del suo volto. Questa è l’esperienza dei veri amici di Dio, i
santi, che hanno riconosciuto e amato nei fratelli, specialmente i più poveri
e bisognosi, il volto di quel Dio a lungo contemplato con amore nella pre-
ghiera. Essi sono per noi incoraggianti esempi da imitare; ci assicurano che
se percorriamo con fedeltà questa via, la via dell’amore, anche noi – come
canta il Salmista – ci sazieremo della presenza di Dio (cfr Sal 16[17],15).

“Jesu... quam bonus te quaerentibus! - Quanto sei buono, Gesù, per chi ti
cerca!”: così avete cantato poco fa eseguendo l’antico inno “Jesu, dulcis
memoria”, che qualcuno attribuisce a San Bernardo. E’ un inno che acquista
singolare eloquenza in questo santuario dedicato al Volto Santo e che richia-
ma alla mente il Salmo 23(24): “Ecco la generazione che lo cerca, che cerca
il tuo volto, Dio di Giacobbe” (v. 6). Ma quale è “la generazione” che cerca
il volto di Dio, quale generazione è degna di “salire il monte del Signore”,
di “stare nel suo luogo santo”? Spiega il salmista: sono coloro che hanno
“mani innocenti e cuore puro”, che non pronunciano menzogna, che non
giurano a danno del loro prossimo (cfr vv. 3-4). Dunque, per entrare in co-
munione con Cristo e contemplarne il volto, per riconoscere il volto del Si-
gnore in quello dei fratelli e nelle vicende di ogni giorno, sono necessarie

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“mani innocenti e cuori puri”. Mani innocenti, cioè esistenze illuminate dal-
la verità dell’amore che vince l’indifferenza, il dubbio, la menzogna e l’e-
goismo; ed inoltre sono necessari cuori puri, cuori rapiti dalla bellezza divi-
na, come dice la piccola Teresa di Lisieux nella sua preghiera al Volto San-
to, cuori che portano impresso il volto di Cristo.

Cari sacerdoti, se resta impressa in voi, pastori del gregge di Cristo, la san-
tità del suo Volto, non abbiate timore, anche i fedeli affidati alle vostre cure
ne saranno contagiati e trasformati. E voi, seminaristi, che vi preparate ad
essere guide responsabili del popolo cristiano, non lasciatevi attrarre da nul-
l’altro che da Gesù e dal desiderio di servire la sua Chiesa. Altrettanto vor-
rei dire a voi, religiosi e religiose, perché ogni vostra attività sia un visibile
riflesso della bontà e della misericordia divina. “Il tuo volto, Signore, io cer-
co”: ricercare il volto di Gesù deve essere l’anelito di tutti noi cristiani; sia-
mo infatti noi “la generazione” che in questo tempo cerca il suo volto, il
volto del “Dio di Giacobbe”. Se perseveriamo nel cercare il volto del Signo-
re, al termine del nostro pellegrinaggio terreno sarà Lui, Gesù, il nostro eter-
no gaudio, la nostra ricompensa e gloria per sempre: “Sis Jesu nostrum gau-
dium, / qui es futurus praemium: / sit nostra in te gloria, / per cuncta sem-
per saecula”.

Questa è la certezza che ha animato i santi della vostra regione, tra i quali
mi piace citare particolarmente Gabriele dell’Addolorata e Camillo de Lel-
lis; a loro va il nostro ricordo riverente e la nostra preghiera. Ma un pensiero
di speciale devozione rivolgiamo ora alla “Regina di tutti i santi”, la Vergine
Maria, che voi venerate in diversi santuari e cappelle sparsi nelle valli e sui
monti abruzzesi. La Madonna, nel cui volto più che in ogni altra creatura si
scorgono i lineamenti del Verbo incarnato, vegli sulle famiglie e sulle par-
rocchie, sulle città e sulle nazioni del mondo intero. Ci aiuti la Madre del
Creatore a rispettare anche la natura, grande dono di Dio che qui possiamo
ammirare guardando le stupende montagne che ci circondano. Questo dono,
però, è sempre più esposto a seri rischi di degrado ambientale e va pertanto
difeso e tutelato. Si tratta di un’urgenza che, come notava il vostro Arcive-
scovo, è opportunamente posta in evidenza dalla Giornata di riflessione e di
preghiera per la salvaguardia del creato, che proprio oggi viene celebrata
dalla Chiesa in Italia.

                                       34
Cari fratelli e sorelle, mentre ancora una volta vi ringrazio per la vostra pre-
senza, su tutti voi e sui vostri cari invoco la benedizione di Dio con l’antica
formula biblica: “Vi benedica il Signore e vi protegga. Il Signore faccia bril-
lare il suo volto su di voi e vi sia propizio. Il Signore rivolga su di voi il suo
volto e vi conceda pace” (cfr Nm 6, 24-26). Amen!

 1 settembre 2006




       INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DELLA
              SCIENZA A REGENSBURG

                          Fede, ragione e università.
                            Ricordi e riflessioni.


Eminenze, Magnificenze, Eccellenze,
Illustri Signori, gentili Signore!

È per me un momento emozionante trovarmi ancora una volta nell’univer-
sità e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri, contempora-
neamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo presso l’Istitu-
to superiore di Freising, iniziai la mia attività di insegnante accademico al-
l’università di Bonn. Era – nel 1959 – ancora il tempo della vecchia univer-
sità dei professori ordinari. Per le singole cattedre non esistevano né assi-
stenti né dattilografi, ma in compenso c’era un contatto molto diretto con gli
studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la
lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi
e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una
volta in ogni semestre c’era un cosiddetto dies academicus, in cui professori
di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell’intera università,
rendendo così possibile un’esperienza di universitas – una cosa a cui anche
Lei, Magnifico Rettore, ha accennato poco fa – l’esperienza, cioè del fatto
che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci

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di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell’unica
ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comu-
ne responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava espe-
rienza viva. L’università, senza dubbio, era fiera anche delle sue due facoltà
teologiche. Era chiaro che anch’esse, interrogandosi sulla ragionevolezza
della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del “tutto”
dell’universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fe-
de, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi.
Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata
neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto
che nella nostra università c’era una stranezza: due facoltà che si occupava-
no di una cosa che non esisteva – di Dio. Che anche di fronte ad uno scetti-
cismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per
mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione
della fede cristiana: questo, nell’insieme dell’università, era una convinzio-
ne indiscussa.

Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal
professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore
bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d’inverno del 1391
presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla
verità di ambedue. Fu poi presumibilmente l’imperatore stesso ad annotare,
durante l’assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si
spiega così perché i suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più
dettagliato che non quelli del suo interlocutore persiano. Il dialogo si esten-
de su tutto l’ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel
Corano e si sofferma soprattutto sull’immagine di Dio e dell’uomo, ma ne-
cessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le – come si diceva
– tre “Leggi” o tre “ordini di vita”: Antico Testamento – Nuovo Testamento
– Corano. Di ciò non intendo parlare ora in questa lezione; vorrei toccare
solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura dell’intero dialogo –
che, nel contesto del tema “fede e ragione”, mi ha affascinato e che mi ser-
virà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.

Nel settimo colloquio (controversia) edito dal prof. Khoury, l’imperatore
tocca il tema della jihad, della guerra santa. Sicuramente l’imperatore sape-
va che nella sura 2, 256 si legge: “Nessuna costrizione nelle cose di fede”.

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È una delle sure del periodo iniziale, dicono gli esperti, in cui Maometto
stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l’imperatore
conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel
Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la dif-
ferenza di trattamento tra coloro che possiedono il “Libro” e gli “increduli”,
egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto di stupirci, si ri-
volge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rap-
porto tra religione e violenza in genere, dicendo: “Mostrami pure ciò che
Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e di-
sumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede
che egli predicava”. L’imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così
pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fe-
de mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con
la natura di Dio e la natura dell’anima. “Dio non si compiace del sangue -
egli dice -, non agire secondo ragione, è contrario alla natura di Dio. La fede
è frutto dell’anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla
fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente,
non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un’anima ra-
gionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti
per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una
persona di morte…”

L’affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione
mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di
Dio. L’editore, Theodore Khoury, commenta: per l’imperatore, come bizan-
tino cresciuto nella filosofia greca, quest’affermazione è evidente. Per la
dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua vo-
lontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della
ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un’opera del noto islamista
francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiara-
re che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo
obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l’uomo do-
vrebbe praticare anche l’idolatria.

A questo puntosi apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazio-
ne concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto di-
retto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con

                                      37
la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso?
Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò
che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della
Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo ver-
setto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Van-
gelo con le parole: “In principio era il logos”. È questa proprio la stessa pa-
rola che usa l’imperatore: Dio agisce con logos. Logos significa insieme ra-
gione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, ap-
punto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul
concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose
della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In prin-
cipio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l’evangelista. L’incontro tra il
messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione
di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell’Asia e che, in so-
gno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: “Passa in Macedonia e aiuta-
ci!” (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una “con-
densazione” della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede bibli-
ca e l’interrogarsi greco.

In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il
nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall’in-
sieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo “Io so-
no”, il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale
sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito
stesso. Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all’interno dell’Anti-
co Testamento, una nuova maturità durante l’esilio, dove il Dio d’Israele,
ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della
terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del ro-
veto: “Io sono”. Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una
specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle
divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell’uomo (cfr Sal 115).
Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che
volevano ottenere con la forza l’adeguamento allo stile di vita greco e al lo-
ro culto idolatrico, la fede biblica, durante l’epoca ellenistica, andava inte-
riormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contat-
to vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sa-
pienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell’Antico Testamen-

                                       38
to, realizzata in Alessandria – la “Settanta” –, è più di una semplice (da va-
lutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico:
è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante
passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro
in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha
avuto un significato decisivo. Nel profondo, vi si tratta dell’incontro tra fede
e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall’in-
tima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero gre-
co fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire “con il logos”
è contrario alla natura di Dio.

Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono
sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito
greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo ago-
stiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la
quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all’affermazione che noi
di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esiste-
rebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare
anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano
delle posizioni che, senz’altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e
potrebbero portare fino all’immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato
neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono
accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro
senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possi-
bilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste die-
tro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è
sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito
creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui – come di-
ce il Concilio Lateranense IV nel 1215 –certo le dissomiglianze sono infini-
tamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire
l’analogia e il suo linguaggio. Dio non diventa più divino per il fatto che lo
spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il
Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos
ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l’amore, come dice
Paolo, “sorpassa” la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del
semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l’amore del Dio-Logos,
per cui il latreia“– un culto che culto cristiano è, come dice ancora Paolo
logike concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1).

                                      39
Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la
fede biblica e l’interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato
di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religio-
ni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche
oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo,
nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell’Oriente,
abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Pos-
siamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge
successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l’Europa e rimane
il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa.

Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte inte-
grante della fede cristiana, si oppone la richiesta della deellenizzazione del
cristianesimo – una richiesta che dall’inizio dell’età moderna domina in mo-
do crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare
tre onde nel programma della deellenizzazione: pur collegate tra di loro, es-
se tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente di-
stinte l’una dall’altra.

La deellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati della
Riforma del XVI secolo. Considerando la tradizione delle scuole teologiche,
i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede con-
dizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione
della fede dall’esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da
essa. Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come
elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico. Il sola Scriptura
invece cerca la pura forma primordiale della fede, come essa è presente ori-
ginariamente nella Parola biblica. La metafisica appare come un presuppo-
sto derivante da altra fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare
ad essere totalmente se stessa. Con la sua affermazione di aver dovuto ac-
cantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo
programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli
ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l’accesso
al tutto della realtà.

La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel
programma della deellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf

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von Harnack. Durante il tempo dei miei studi, come nei primi anni della mia
attività accademica, questo programma era fortemente operante anche nella
teologia cattolica. Come punto di partenza era utilizzata la distinzione di Pa-
scal tra il Dio dei filosofi ed il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella mia
prolusione a Bonn, nel 1959, ho cercato di affrontare questo argomento e
non intendo riprendere qui tutto il discorso. Vorrei però tentare di mettere in
luce almeno brevemente la novità che caratterizzava questa seconda onda di
deellenizzazione rispetto alla prima. Come pensiero centrale appare, in Har-
nack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che
verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle elle-
nizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero cul-
mine dello sviluppo religioso dell’umanità. Gesù avrebbe dato un addio al
culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come
padre di un messaggio morale umanitario. Lo scopo di Harnack è in fondo
di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo,
appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esem-
pio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio. In questo senso, l’e-
segesi storico-critica del Nuovo Testamento, nella sua visione, sistema nuo-
vamente la teologia nel cosmo dell’università: teologia, per Harnack, è qual-
cosa di essenzialmente storico e quindi di strettamente scientifico. Ciò che
essa indaga su Gesù mediante la critica è, per così dire, espressione della ra-
gione pratica e di conseguenza anche sostenibile nell’insieme dell’univer-
sità. Nel sottofondo c’è l’autolimitazione moderna della ragione, espressa in
modo classico nelle “critiche” di Kant, nel frattempo però ulteriormente ra-
dicalizzata dal pensiero delle scienze naturali. Questo concetto moderno
della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (carte-
sianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una par-
te si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire
razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua
efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l’elemento
platonico nel concetto moderno della natura. Dall’altra parte, si tratta della
utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibi-
lità di controllare verità o falsità mediante l’esperimento fornisce la certezza
decisiva. Il peso tra i due poli può, a seconda delle circostanze, stare più
dall’una o più dall’altra parte. Un pensatore così strettamente positivista co-
me J. Monod si è dichiarato convinto platonico.

                                       41
Questo comporta due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra que-
stione. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed
empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere
scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che ri-
guardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filo-
sofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importan-
te per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come
tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico
o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del
raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione.

Tornerò ancora su questo argomento. Per il momento basta tener presente
che, in un tentativo alla luce di questa prospettiva di conservare alla teologia
il carattere di disciplina “scientifica”, del cristianesimo resterebbe solo un
misero frammento. Ma dobbiamo dire di più: se la scienza nel suo insieme è
soltanto questo, allora è l’uomo stesso che con ciò subisce una riduzione.
Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del “da dove”
e del “verso dove”, gli interrogativi della religione e dell’ethos, non possono
trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla “scienza” in-
tesa in questo modo e devono essere spostati nell’ambito del soggettivo. Il
soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosa-
mente sostenibile, e la “coscienza” soggettiva diventa in definitiva l’unica
istanza etica. In questo modo, però, l’ethos e la religione perdono la loro
forza di creare una comunità e scadono nell’ambito della discrezionalità
personale. È questa una condizione pericolosa per l’umanità: lo costatiamo
nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che
necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal
punto che le questioni della religione e dell’ethos non la riguardano più. Ciò
che rimane dei tentativi di costruire un’etica partendo dalle regole dell’evo-
luzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente.

 Prima di giungere alle conclusioni alle quali mira tutto questo ragionamen-
to, devo accennare ancora brevemente alla terza onda della deellenizzazione
che si diffonde attualmente. In considerazione dell’incontro con la moltepli-
cità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi
nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovreb-
be vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare in-

                                      42
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  • 1. BOLLETTINO UFFICIALE DELL’ARCIDIOCESI METROPOLITANA DI PENNE-PESCARA ANNO LIV MMVII - 1
  • 2. Periodico Sede Legale: della diocesi di Pescara Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne Anno LVIII - N° 2 Piazza Spirito Santo, 5 Presidente: 65121 PESCARA S. E. R. Mons. Tommaso VALENTINETTI Direttore: Fotocomposizione e Stampa: Sor Lidia BASTI Tipografia MAX PRINT sorellalidia@hotmail.it 65016 MONTESILVANO (PE) Direttore Responsabile: Dott. Ernesto GRIPPO Rivista Diocesana Amministratore: C.C.P. n° 16126658 Can. Antonio DI GIULIO Periodico registrato presso il Tribunale di Pescara Editore: al n° 11/95 in data 24.05.1995 Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne Spedizione in abb. postale 50% PESCARA CURIA METROPOLITANA Piazza Spirito Santo, 5 - 651210 Pescara - Tel. 085-4222571 - Fax 085-4213149 ARCIVESCOVADO Piazza Spirito Santo, 5 - 651210 Pescara - Tel. 085-2058897
  • 3. SOMMARIO LA PAROLA DEL PAPA Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale .................................................................... pag. 6 Messaggio ai partecipanti al II Congresso Mondiale dei Movimenti Ecclesiali e delle nuove comunità ...................................................................................................................... “ 9 Discorso al V Incontro Mondiale delle Famiglie a Valencia (Spagna) ................................... “ 12 “Perché si veda che credere è bello” (Intervista alle televisioni tedesche) ............................. “ 17 Discorso al Santuario del Volto Santo di Manoppello ................................................................ “ 31 Incontro con i Rappresentanti della Scienza a Regensburg (Germania) ................................. “ 35 Discorso ai partecipanti al Convegno di Verona .......................................................................... “ 45 VITA DIOCESANA NOMINE e DECRETI Economo ........................................................................................................................................ “ 58 Incardinazione ............................................................................................................................... “ 60 Assistente Ecclesiastico dell’Associazione Amici del Presepio della Sezione di Penne ................................................................................................................ “ 61 Consulente Ecclesiastico Provinciale di Pescara del Centro Sportivo Italiano ................ “ 63 Parroci e Vicari Parrocchiali ...................................................................................................... “ 64 LETTERE Esercizi spirituali per Presbiteri e Diaconi - Aggiornamento pastorale e di Programmazione ...................................................................................................................... “ 68 Incontro Regionale ....................................................................................................................... “ 72 Giornata per la Salvaguardia del Creato .................................................................................. “ 73 Esercizi spirituali a Lourdes ....................................................................................................... “ 74 Le Reliquie di San Tommaso a Pescara ................................................................................... “ 76 Relazione su Verona .................................................................................................................... “ 77 VARIE Convegno Ecclesiale di Verona: Relazione dell’Arcidiocesi Metropolitana di Pescara-Penne ............................................... “ 80 Gli Insegnanti di Religione per l’anno sc. 2006-2007 • Di ruolo ............................................................................................................................ “ 85 • Incaricati annuali ............................................................................................................ “ 92 Orario delle Udienze arcivescovili ............................................................................................ “ 101 AMMINISTRAZIONE Rendiconto… (Missioni) ............................................................................................................ “ 104
  • 5. MESSAGGIO PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2006 “La carità, anima della missione” Cari fratelli e sorelle! 1. La Giornata Missionaria Mondiale, che celebreremo domenica 22 otto- bre p.v., offre l’opportunità di riflettere quest’anno sul tema: “La carità, anima della missione”. La missione se non è orientata dalla carità, se non scaturisce cioè da un profondo atto di amore divino, rischia di ridursi a me- ra attività filantropica e sociale. L’amore che Dio nutre per ogni persona co- stituisce, infatti, il cuore dell’esperienza e dell’annunzio del Vangelo, e quanti l’accolgono ne diventano a loro volta testimoni. L’amore di Dio che dà vita al mondo è l’amore che ci è stato donato in Gesù, Parola di salvezza, icona perfetta della misericordia del Padre celeste. Il messaggio salvifico si potrebbe ben sintetizzare allora nelle parole dell’evangelista Giovanni: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unige- nito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui” (1 Gv 4,9). Il mandato di diffondere l’annunzio di questo amore fu affidato da Gesù agli Apostoli dopo la sua risurrezione, e gli Apostoli, interiormente trasformati il giorno della Pentecoste dalla potenza dello Spirito Santo, iniziarono a rendere testimonianza al Signore morto e risorto. Da allora, la Chiesa conti- nua questa stessa missione, che costituisce per tutti i credenti un impegno irrinunciabile e permanente. 2. Ogni comunità cristiana è chiamata, dunque, a far conoscere Dio che è Amore. Su questo mistero fondamentale della nostra fede ho voluto soffer- marmi a riflettere nell’Enciclica “Deus caritas est”. Del suo amore Dio per- mea l’intera creazione e la storia umana. All’origine l’uomo uscì dalle mani del Creatore come frutto di un’iniziativa d’amore. Il peccato offuscò poi in lui l’impronta divina. Ingannati dal maligno, i progenitori Adamo ed Eva vennero meno al rapporto di fiducia con il loro Signore, cedendo alla tenta- zione del maligno che instillò in loro il sospetto che Egli fosse un rivale e volesse limitarne la libertà. Così all’amore gratuito divino essi preferirono se stessi, persuasi di affermare in tal modo il loro libero arbitrio. La conse- 6
  • 6. guenza fu che finirono per perdere l’originale felicità ed assaporarono l’a- marezza della tristezza del peccato e della morte. Iddio però non li abban- donò e promise ad essi ed ai loro discendenti la salvezza, preannunciando l’invio del suo Figlio unigenito, Gesù, che avrebbe rivelato, nella pienezza dei tempi, il suo amore di Padre, un amore capace di riscattare ogni umana creatura dalla schiavitù del male e della morte. In Cristo, pertanto, ci è stata comunicata la vita immortale, la stessa vita della Trinità. Grazie a Cristo, buon Pastore che non abbandona la pecorella smarrita, è data la pos- sibilità agli uomini di ogni tempo di entrare nella comunione con Dio, Padre misericordioso pronto a riaccogliere in casa il figliol prodigo. Segno sor- prendente di questo amore è la Croce. Nella morte in croce di Cristo - ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est - “si compie quel volgersi di Dio con- tro se stesso nel quale egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale. E’ lì che questa verità può essere con- templata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare” (n. 12). 3. Alla vigilia della sua passione Gesù lasciò come testamento ai discepoli, raccolti nel Cenacolo per celebrare la Pasqua, il “comandamento nuovo del- l’amore – mandatum novum”: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli al- tri” (Gv 15,17). L’amore fraterno che il Signore chiede ai suoi “amici” ha la sua sorgente nell’amore paterno di Dio. Osserva l’apostolo Giovanni: “Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio” (1 Gv 4,7). Dunque, per amare secondo Dio occorre vivere in Lui e di Lui: è Dio la prima “casa” dell’uomo e solo chi in Lui dimora arde di un fuoco di divina carità in grado di “incendiare” il mondo. Non è forse questa la missione della Chiesa in ogni tempo? Non è allora difficile comprendere che l’autentica sollecitudine missionaria, primario impegno della Comunità ecclesiale, è legata alla fe- deltà all’amore divino, e questo vale per ogni singolo cristiano, per ogni co- munità locale, per le Chiese particolari e per l’intero Popolo di Dio. Proprio dalla consapevolezza di questa comune missione prende vigore la generosa disponibilità dei discepoli di Cristo a realizzare opere di promozione umana e spirituale che testimoniano, come scriveva l’amato Giovanni Paolo II nel- l’Enciclica Redemptoris missio, “l’anima di tutta l’attività missionaria: l’a- more che è e resta il movente della missione, ed è anche l’unico criterio se- 7
  • 7. condo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato. E’ il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui essa deve tendere. Quando si agisce con riguardo alla carità o ispirati dalla carità, nulla è disdi- cevole e tutto è buono” (n. 60). Essere missionari significa allora amare Dio con tutto se stessi sino a dare, se necessario, anche la vita per Lui. Quanti sacerdoti, religiosi, religiose e laici, pure in questi nostri tempi, Gli hanno reso la suprema testimonianza di amore con il martirio! Essere missionari è chinarsi, come il buon Samaritano, sulle necessità di tutti, specialmente dei più poveri e bisognosi, perché chi ama con il cuore di Cristo non cerca il proprio interesse, ma unicamente la gloria del Padre e il bene del prossimo. Sta qui il segreto della fecondità apostolica dell’azione missionaria, che tra- valica le frontiere e le culture, raggiunge i popoli e si diffonde fino agli estremi confini del mondo. 4. Cari fratelli e sorelle, la Giornata Missionaria Mondiale sia utile occasio- ne per comprendere sempre meglio che la testimonianza dell’amore, anima della missione, concerne tutti. Servire il Vangelo non va infatti considerata un’avventura solitaria, ma impegno condiviso di ogni comunità. Accanto a coloro che sono in prima linea sulle frontiere dell’evangelizzazione - e pen- so qui con riconoscenza ai missionari e alle missionarie - molti altri, bambi- ni, giovani e adulti con la preghiera e la loro cooperazione in diversi modi contribuiscono alla diffusione del Regno di Dio sulla terra. L’auspicio è che questa compartecipazione cresca sempre più grazie all’apporto di tutti. Col- go volentieri questa circostanza per manifestare la mia gratitudine alla Con- gregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ed alle Pontificie Opere Mis- sionarie [PP.OO.MM.], che con dedizione coordinano gli sforzi dispiegati in ogni parte del mondo a sostegno dell’azione di quanti sono in prima linea alle frontiere missionarie. La Vergine Maria, che con la sua presenza presso la Croce e la sua preghiera nel Cenacolo ha collaborato attivamente agli ini- zi della missione ecclesiale, sostenga la loro azione ed aiuti i credenti in Cristo ad essere sempre più capaci di vero amore, perché in un mondo spiri- tualmente assetato diventino sorgente di acqua viva. Questo auspicio formu- lo di cuore, mentre invio a tutti la mia Benedizione. 29 Aprile 2006 8
  • 8. MESSAGGIO AI PARTECIPANTI AL II CONGRESSO MONDIALE DEI MOVIMENTI ECCLESIALI E DELLE NUOVE COMUNITÀ Cari fratelli e sorelle, in attesa dell’incontro previsto per sabato 3 giugno in Piazza San Pietro con gli aderenti a più di 100 Movimenti ecclesiali e nuove Comunità, sono lieto di porgere a voi, rappresentanti di tutte queste realtà ecclesiali, riuniti a Rocca di Papa in Congresso Mondiale, un caloroso saluto con le parole del- l’Apostolo: «Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13). È ancora vivo, nella mia memoria e nel mio cuore, il ricordo del precedente Congresso Mondiale dei Movimenti ecclesiali, svoltosi a Roma dal 26 al 29 maggio 1998, al quale fui invitato a portare il mio contributo, allora in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, con una conferenza concernente la collocazione teologica dei Movimenti. Quel Congresso ebbe il suo coronamento nel memorabile incontro con l’a- mato Papa Giovanni Paolo II del 30 maggio 1998 in Piazza San Pietro, du- rante il quale il mio Predecessore confermò il suo apprezzamento per i Mo- vimenti ecclesiali e le nuove Comunità, che definì “segni di speranza” per il bene della Chiesa e degli uomini. Oggi, consapevole del cammino percorso da allora sul sentiero tracciato dal- la sollecitudine pastorale, dall’ affetto e dagli insegnamenti di Giovanni Pao- lo II, vorrei congratularmi con il Pontificio Consiglio per i Laici, nelle perso- ne del suo Presidente Mons. Stanislao Rylko, del Segretario Mons. Joseph Clemens e dei loro collaboratori, per l’importante e valida iniziativa di que- sto Congresso Mondiale, il cui tema - “La bellezza di essere cristiano e la gioia di comunicarlo” - prende spunto da una mia affermazione nell’omelia di inizio del ministero petrino. E’ un tema che invita a riflettere su ciò che caratterizza essenzialmente l’avvenimento cristiano: in esso infatti ci viene incontro Colui che in carne e sangue, visibilmente, storicamente, ha portato lo splendore della gloria di Dio sulla terra. A Lui si applicano le parole del Salmo 44: «Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo». E a Lui, paradossalmen- te, fanno riferimento anche le parole del profeta: «Non ha apparenza né bel- lezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere» 9
  • 9. (Is 53,2). In Cristo s’incontrano la bellezza della verità e la bellezza dell’a- more; ma l’amore, si sa, implica anche la disponibilità a soffrire, una dispo- nibilità che può giungere fino al dono della vita per coloro che si amano (cfr Gv 15,13)! Cristo, che è “la bellezza di ogni bellezza”, come soleva dire san Bonaventura (Sermones dominicales 1,7), si rende presente nel cuore del- l’uomo e lo attrae verso la sua vocazione che è l’amore. È grazie a questa straordinaria forza di attrazione che la ragione è sottratta al suo torpore ed aperta al Mistero. Si rivela così la bellezza suprema dell’amore misericordio- so di Dio e, allo stesso tempo, la bellezza dell’uomo che, creato ad immagi- ne di Dio, è rigenerato dalla grazia e destinato alla gloria eterna. Nel corso dei secoli, il cristianesimo è stato comunicato e si è diffuso grazie alla novità di vita di persone e di comunità capaci di rendere una testimo- nianza incisiva di amore, di unità e di gioia. Proprio questa forza ha messo tante persone in “movimento” nel succedersi delle generazioni. Non è stata, forse, la bellezza che la fede ha generato sul volto dei santi a spingere tanti uomini e donne a seguirne le orme? In fondo, questo vale anche per voi: at- traverso i fondatori e gli iniziatori dei vostri Movimenti e Comunità avete intravisto con singolare luminosità il volto di Cristo e vi siete messi in cam- mino. Anche oggi Cristo continua a far echeggiare nel cuore di tanti quel “vieni e seguimi” che può decidere del loro destino. Ciò avviene normal- mente attraverso la testimonianza di chi ha fatto una personale esperienza della presenza di Cristo. Sul volto e nella parola di queste “creature nuove” diventa visibile la sua luce e udibile il suo invito. Dico pertanto a voi, cari amici dei Movimenti: fate in modo che essi siano sempre scuole di comunione, compagnie in cammino in cui si impara a vi- vere nella verità e nell’amore che Cristo ci ha rivelato e comunicato per mezzo della testimonianza degli Apostoli, in seno alla grande famiglia dei suoi discepoli. Risuoni sempre nel vostro animo l’esortazione di Gesù: «Co- sì risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre ope- re buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16). Portate la luce di Cristo in tutti gli ambienti sociali e culturali in cui vivete. Lo slan- cio missionario è verifica della radicalità di un’esperienza di fedeltà sempre rinnovata al proprio carisma, che porta oltre qualsiasi ripiego stanco ed egoistico su di sé. Illuminate l’oscurità di un mondo frastornato dai messag- gi contraddittori delle ideologie! Non c’è bellezza che valga se non c’è una verità da riconoscere e da seguire, se l’amore scade a sentimento passegge- 10
  • 10. ro, se la felicità diventa miraggio inafferrabile, se la libertà degenera in istintività. Quanto male è capace di produrre nella vita dell’uomo e delle na- zioni la smania del potere, del possesso, del piacere! Portate in questo mon- do turbato la testimonianza della libertà con cui Cristo ci ha liberati (cfr Gal 5,1). La straordinaria fusione tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo ren- de bella la vita e fa rifiorire il deserto in cui spesso ci ritroviamo a vivere. Dove la carità si manifesta come passione per la vita e per il destino degli altri, irradiandosi negli affetti e nel lavoro e diventando forza di costruzione di un ordine sociale più giusto, lì si costruisce la civiltà capace di fronteg- giare l’avanzata della barbarie. Diventate costruttori di un mondo migliore secondo l’ordo amoris in cui si manifesta la bellezza della vita umana. I Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità sono oggi segno luminoso della bellezza di Cristo e della Chiesa, sua Sposa. Voi appartenete alla struttura viva della Chiesa. Essa vi ringrazia per il vostro impegno missionario, per l’azione formativa che sviluppate in modo crescente sulle famiglie cristiane, per la promozione delle vocazioni al sacerdozio ministeriale e alla vita con- sacrata che sviluppate al vostro interno. Vi ringrazia anche per la disponibi- lità che dimostrate ad accogliere le indicazioni operative non solo del Suc- cessore di Pietro, ma anche dei Vescovi delle diverse Chiese locali, che so- no, insieme al Papa, custodi della verità e della carità nell’unità. Confido nella vostra pronta obbedienza. Al di là dell’affermazione del diritto alla propria esistenza, deve sempre prevalere, con indiscutibile priorità, l’edifi- cazione del Corpo di Cristo in mezzo agli uomini. Ogni problema deve es- sere affrontato dai Movimenti con sentimenti di profonda comunione, in spirito di adesione ai legittimi Pastori. Vi sostenga la partecipazione alla preghiera della Chiesa, la cui liturgia è la più alta espressione della bellezza della gloria di Dio, e costituisce in qualche modo un affacciarsi del Cielo sulla terra. Vi affido all’intercessione di Colei che invochiamo come la Tota pulchra, la “Tutta bella”, un ideale di bellezza che gli artisti hanno cercato sempre di ri- produrre nelle loro opere, la «Donna vestita di sole» (Ap 12,1) in cui la bel- lezza umana si incontra con la bellezza di Dio. Con questi sentimenti a tutti invio, quale pegno di costante affetto, una speciale Benedizione Apostolica. 22 Maggio 2006 11
  • 11. DISCORSO AL V INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE A VALENCIA (SPAGNA) Cari fratelli e sorelle, Provo una grande gioia nel prendere parte a questo incontro di preghiera, nel quale si vuole celebrare il dono divino della famiglia. Sono molto vicino con la preghiera a tutti quelli che recentemente sono stati colpiti dal lutto in questa città, e con la speranza in Cristo risorto che dà coraggio e luce so- prattutto nei momenti di maggiore sofferenza umana. Uniti dalla stessa fede in Cristo, ci siamo raccolti qui, da tante parti del mondo, come una comunità che ringrazia e rende gioiosa testimonianza che l’essere umano è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio per amare, e che si realizza pienamente in sé stesso solo quando fa dono sincero di sé agli altri. La famiglia è l’ambito privilegiato dove ogni persona impara a da- re e ricevere amore. Per questo motivo la Chiesa manifesta costantemente la sua sollecitudine pastorale in questo ambito fondamentale della persona umana. Così essa insegna nel suo Magistero: “Dio che è amore e che ha creato l’uomo per amore, l’ha chiamato ad amare. Creando l’uomo e la don- na, li ha chiamati nel Matrimonio a un’intima comunione di vita e di amore fra loro, così che non sono più due, ma una carne sola (Mt 19, 6)” (Catechi- smo della Chiesa Cattolica. Compendio, 337). Questa è una verità che la Chiesa proclama nel mondo senza stancarsi. Il mio caro predecessore Giovanni Paolo II, diceva che “L’uomo è divenuto ‘imma- gine e somiglianza’ di Dio non soltanto attraverso la propria umanità, ma an- che attraverso la comunione delle persone che l’uomo e la donna formano sin dall’inizio…L’uomo diventa immagine di Dio non tanto nel momento della solitudine quanto nel momento della comunione” (Catechesi, 14-XI-1979). Perciò ho confermato la convocazione di questo V Incontro Mondiale delle Famiglie in Spagna, e segnatamente a Valencia, ricca nelle sue tradizioni ed orgogliosa della fede cristiana che si vive e coltiva in tante famiglie. La famiglia è un’istituzione intermedia tra l’individuo e la società, e niente può supplirla totalmente. Essa stessa si fonda soprattutto su una profonda relazione interpersonale tra il marito e la moglie, sostenuta dall’affetto e 12
  • 12. dalla mutua comprensione. Per ciò riceve l’abbondante aiuto di Dio nel sa- cramento del matrimonio che comporta una vera vocazione alla santità. Possano i figli sperimentare più i momenti di armonia e di affetto dei geni- tori che non quelli di discordia o indifferenza, perché l’amore tra il padre e la madre offre ai figli una grande sicurezza ed insegna loro la bellezza del- l’amore fedele e duraturo. La famiglia è un bene necessario per i popoli, un fondamento indispensabile per la società ed un grande tesoro degli sposi durante tutta la loro vita. È un bene insostituibile per i figli che devono essere frutto dell’amore, della do- nazione totale e generosa dei genitori. Proclamare la verità integrale della famiglia, fondata nel matrimonio come Chiesa domestica e santuario della vita, è una grande responsabilità di tutti. Il padre e la madre si sono promessi davanti Dio un “sì” totale, che costitui- sce la base del sacramento che li unisce; allo stesso modo, affinché la rela- zione interna della famiglia sia completa, è necessario che dicano anche un “sì” di accettazione ai loro figli generati o adottati e che hanno propria per- sonalità e proprio carattere. Così, questi continueranno a crescere in un cli- ma di accettazione ed amore, ed è auspicabile che, raggiungendo una matu- rità sufficiente, vogliano restituire a loro volta un “sì” a chi hanno dato loro la vita. Le sfide della società attuale, segnata dalla dispersione che si genera soprat- tutto nell’ambito urbano, richiedono la garanzia che le famiglie non siano sole. Un piccolo nucleo familiare può trovare ostacoli difficili da superare se si sente isolato dal resto dei suoi familiari e amici. Perciò, la comunità ecclesiale ha la responsabilità di offrire sostegno, stimolo e alimento spiri- tuale che fortifichi la coesione familiare, soprattutto nelle prove o nei mo- menti critici. In questo senso, è molto importante il ruolo delle parrocchie, così come delle diverse associazioni ecclesiali, chiamate a collaborare come strutture di appoggio e mano vicina della Chiesa per la crescita della fami- glia nella fede. Cristo ha rivelato quale è sempre la fonte suprema della vita per tutti e, per- tanto, anche per la famiglia: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.” (Gv 15,12-13). L’amore di Dio stes- 13
  • 13. so si è riversato su di noi nel battesimo. Per questo le famiglie sono chiama- te a vivere quella qualità di amore, poichè il Signore è colui si fa garante che ciò sia possibile per noi attraverso l’amore umano, sensibile, affettuoso e misericordioso come quello di Cristo. Insieme alla trasmissione della fede e dell’amore del Signore, uno dei com- piti più grandi della famiglia è quello di formare persone libere e responsa- bili. Perciò i genitori devono continuare a restituire ai loro figli la libertà, della quale per qualche tempo sono garanti. Se questi vedono che i loro ge- nitori -e in generale gli adulti che li circondano- vivono la vita con gioia ed entusiasmo, anche nonostante le difficoltà, crescerà più facilmente in essi quella gioia profonda di vivere che li aiuterà a superare con buon esito i possibili ostacoli e le contrarietà che comporta la vita umana. Inoltre, quan- do la famiglia non si chiude in sé stessa, i figli continuano ad imparare che ogni persona è degna di essere amata, e che c’è una fraternità fondamentale universale fra tutti gli esseri umani. Questo V Incontro Mondiale c’invita a riflettere su un tema di particolare importanza e che comporta una grande responsabilità per noi: “La trasmis- sione della fede nella famiglia”. Lo esprime molto bene il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Come una madre che insegna ai suoi figli a parlare, e quindi a comprendere e a comunicare, la Chiesa nostra Madre, ci insegna il linguaggio della fede per introdurci nell’intelligenza della fede e nella vita di fede” (n. 171). Come simbolizzato nella liturgia del battesimo, con la consegna del cero ac- ceso, i genitori sono associati al mistero della nuova vita come figli di Dio che si diventa per mezzo dell cqua battesimale. Trasmettere la fede ai figli, con l’aiuto di altre persone e istituzioni come la parrocchia, la scuola o le associazioni cattoliche, è una responsabilità che i genitori non possono dimenticare, trascurare o delegare totalmente. “La fa- miglia cristiana è chiamata Chiesa domestica, perché manifesta e attua la natura comunionale e familiare della Chiesa come famiglia di Dio. Ciascun membro, secondo il proprio ruolo, esercita il sacerdozio battesimale, contri- buendo a fare della famiglia una comunità di grazia e di preghiera, una scuola delle virtù umane e cristiane, il luogo del primo annuncio della fede ai figli” (Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, 350). E inoltre: “I 14
  • 14. genitori, partecipi della paternità divina, sono per i figli i primi responsabili dell’educazione e i primi annunciatori della fede. Essi hanno il dovere di amare e di rispettare i figli come persone e come figli di Dio... In particolare hanno la missione di educarli alla fede cristiana” (ibid., 460). Il linguaggio della fede si impara nel focolare domestico dove questa fede cresce e si fortifica attraverso la preghiera e la pratica cristiana. Nella lettura del Deuteronomio abbiamo ascoltato costantemente la preghiera ripetuta per il popolo eletto, la Shema Israel, e che Gesù ha ascoltato e ripetuto nella sua casa di Nazaret. Egli stesso l’ha ricordato durante la sua vita pubblica, come ci riferisce il Vangelo di Marco (Mc 12,29). Questa è la fede della Chiesa che viene dall’amore di Dio, per mezzo delle vostre famiglie. Vivere l’inte- grità di questa fede, nella sua meravigliosa novità, è un grande dono. Ma nei momenti in cui sembra che si nasconde il volto di Dio, credere è diffici- le e comporta un grande sforzo. Questo incontro dà nuovo vigore per continuare ad annunciare il Vangelo del- la famiglia, riaffermare la sua validità ed identità basata nel matrimonio aper- to al dono generoso della vita, e dove si accompagna ai figli nella sua crescita fisica e spirituale. In questo modo si rifiuta un edonismo molto impregnato che banalizza le relazioni umane e le svuota del suo genuino valore e della sua bellezza. Promuovere i valori del matrimonio non ostacola la gioia piena che l’uomo e la donna trovano nel loro mutuo amore. La fede e l’etica cristia- na, dunque, non pretendono di soffocare l’amore, bensì renderlo più sano, forte e realmente libero. Perciò, l’amore umano deve essere purificato e deve maturare per essere pienamente umano e principio di una gioia vera e duratu- ra (cf. Discorso in san Giovanni in Laterano, 5 giugno 2006). Invito, dunque, i governanti e i legislatori a riflettere sul bene evidente che i focolari domestici in pace e in armonia assicurano all’uomo, alla famiglia, centro nevralgico della società, assicurano le case che vivono nella pace, nell’armonia, come ricorda la Santa Sede nella Lettera dei Diritti della Fa- miglia. L’oggetto delle leggi è il bene integrale dell’uomo, la risposta alle sue necessità e aspirazioni. Questo è un notevole aiuto alla società, del qua- le non può privarsi, e per i popoli è una salvaguardia e una purificazione. Inoltre, la famiglia è una scuola di umanesimo, affinché cresca fino a diven- tare veramente uomo. In questo senso, l’esperienza di essere amati dai geni- 15
  • 15. tori porta i figli ad avere coscienza della loro dignità di figli. La creatura concepita deve essere educata nella fede, amata e protetta. I fi- gli, insieme al fondamentale diritto a nascere e essere educati nella fede, hanno pure diritto ad una casa che abbia come modello quello di Nazaret e siano preservati da tutte le insidie e le minacce. Sono il nonno del mondo, abbiamo ascoltato. Desidero ora rivolgermi ai nonni, così importanti nelle famiglie. Essi posso- no essere - e sono tante volte - i garanti dell’affetto e della tenerezza che ogni essere umano ha bisogno di dare e di ricevere. Essi offrono ai piccoli la prospettiva del tempo, sono memoria e ricchezza delle famiglie. Mai per nessuna ragione siano esclusi dall’ambito familiare. Sono un tesoro che non possiamo strappare alle nuove generazioni, soprattutto quando danno testi- monianza di fede all’avvicinarsi della morte. Voglio ora dire una parte della preghiera che avete recitato, chiedendo il buon esito di questo Incontro Mondiale delle Famiglie: Oh, Dio, che nella Sacra Famiglia ci lasciasti un modello perfetto di vita familiare vissuta nella fede e nell’obbedienza alla tua volontà. Aiutaci ad essere esempio di fede e amore ai tuoi comandamenti. Soccorrici nella nostra missione di trasmettere la fede ai nostri figli. Apri i loro cuori affinché cresca in essi il seme della fede che hanno ricevuto nel battesimo. Fortifica la fede dei nostri giovani, affinché crescano nella conoscenza di Gesù. Aumenta l’amore e la fedeltà in tutti i matrimoni, specialmente quelli che attraversano momenti di sofferenza o difficoltà. (. . .) Uniti a Giuseppe e Maria, Te lo chiediamo per Gesù Cristo tuo Figlio, nostro Signore. Amen. 8 luglio 2006 16
  • 16. “PERCHÉ SI VEDA CHE CREDERE È BELLO” Intervista integrale alle televisioni tedesche ARD-Bayerischer Rundfunk, ZDF, Deutsche Welle, e alla Radio Vaticana Domanda: Santo Padre, a settembre Lei visiterà la Germania, o più precisa- mente, naturalmente, la Baviera. “Il Papa ha nostalgia della sua patria”, così hanno riferito i suoi collaboratori nel corso della preparazione. Quali temi vorrà in particolare toccare durante la visita, e il concetto di “patria” fa parte dei valori che Lei vuole specialmente proporre? Papa Benedetto XVI: Certamente. Il motivo della visita era proprio che io volevo vedere ancora una volta i luoghi, le persone presso cui sono cresciu- to, che mi hanno segnato e hanno formato la mia vita; volevo ringraziare queste persone. E naturalmente volevo anche esprimere un messaggio che vada al di là della mia terra, come è coerente con il mio ministero. I temi me li sono lasciati indicare molto semplicemente dalle ricorrenze liturgiche. Il tema fondamentale è che noi dobbiamo riscoprire Dio e non un Dio qualsia- si, ma il Dio con un volto umano, poiché quando vediamo Gesù Cristo ve- diamo Dio. E a partire da questo dobbiamo trovare le vie per incontrarci a vicenda nella famiglia, fra le generazioni e poi anche fra le culture e i popo- li, e le vie per la riconciliazione e la convivenza pacifica in questo mondo. Le vie che conducono verso il futuro non le troviamo se non riceviamo, per così dire, la luce dall’alto. Non ho quindi scelto dei temi molto specifici, ma è la liturgia che mi guida a esprimere il messaggio fondamentale della fede, che naturalmente si inserisce nell’attualità di oggi, in cui vogliamo anzitutto cercare la collaborazione dei popoli, e le vie possibili verso la riconciliazio- ne e la pace. Domanda: Come Papa, Lei è responsabile per la Chiesa nel mondo intero. Ma naturalmente la sua visita fa rivolgere l’attenzione anche alla situazione dei cattolici in Germania. Ora, tutti gli osservatori concordano che l’atmo- sfera è buona, anche grazie alla Sua elezione. Ma naturalmente i problemi antichi sono rimasti, solo per fare alcuni esempi: sempre meno praticanti, sempre meno battesimi, in genere sempre meno influsso sulla vita sociale. Come vede Lei la situazione attuale della Chiesa cattolica in Germania? 17
  • 17. Papa Benedetto XVI: Io direi anzitutto che la Germania appartiene all’Oc- cidente, anche se con una sua coloritura caratteristica, e nel mondo occiden- tale oggi viviamo un’ondata di nuovo drastico illuminismo o laicismo, co- munque lo si voglia chiamare. Credere è diventato più difficile, poiché il mondo in cui ci troviamo è fatto completamente da noi stessi e in esso Dio, per così dire, non compare più direttamente. Non si beve alla fonte, ma da ciò che, già imbottigliato, ci viene offerto. Gli uomini si sono ricostruiti il mondo loro stessi, e trovare Lui dietro a questo mondo è diventato difficile. Questo non è specifico della Germania, ma è qualcosa che si verifica in tut- to il mondo, in particolare in quello occidentale. D’altra parte l’Occidente oggi viene toccato fortemente da altre culture, in cui l’elemento religioso originario è molto forte, e che sono inorridite per la freddezza che riscontra- no in Occidente nei confronti di Dio. E questa presenza del sacro in altre culture, anche se velata in molte maniere, tocca nuovamente il mondo occi- dentale, tocca noi, che ci troviamo al crocevia di tante culture. E anche dal profondo dell’uomo in Occidente e in Germania sale sempre nuovamente la domanda di qualcosa “di più grande”. Lo vediamo nella gioventù, nella qua- le c’è la ricerca di un “più”: in certo modo il fenomeno religione - come si dice - ritorna, anche se si tratta di un movimento di ricerca spesso piuttosto indeterminato. Ma con tutto ciò la Chiesa è di nuovo presente, la fede si of- fre come risposta. E io penso che proprio questa visita, come già quella a Colonia, sia una opportunità perché si veda che credere è bello, che la gioia di una grande comunità universale significa un sostegno, che dietro di essa c’è qualcosa di importante e che quindi insieme ai nuovi movimenti di ri- cerca vi sono anche nuovi sbocchi alla fede, che ci conducono gli uni verso gli altri e che sono anche positivi per la società nel suo insieme. Domanda: Santo Padre, proprio un anno fa Lei era a Colonia con i giovani, e credo che Lei abbia anche sperimentato che la gioventù è straordinaria- mente pronta ad accogliere, e che Lei personalmente è stato accolto molto bene. In questo prossimo viaggio Lei porta forse anche un messaggio spe- ciale per i giovani? Papa Benedetto XVI: Io direi anzitutto: sono molto felice che vi siano gio- vani che vogliono stare insieme, che vogliono stare insieme nella fede, e che vogliono fare qualcosa di buono. La disponibilità al bene è molto forte nella gioventù, basti pensare alle molte forme di volontariato. L’impegno per offri- 18
  • 18. re in prima persona un proprio contributo di fronte ai bisogni di questo mon- do, è una cosa grande. Un primo impulso può essere quindi di incoraggiare in questo: Andate avanti! Cercate le occasioni per fare il bene! Il mondo ha bi- sogno di questa volontà, ha bisogno di questo impegno! E poi forse una paro- la particolare sarebbe questa: il coraggio di decisioni definitive! Nella gio- ventù c’è molta generosità, ma di fronte al rischio di impegnarsi per una vita intera, sia nel matrimonio, sia nel sacerdozio, si prova paura. Il mondo è in movimento in modo drammatico. Continuamente. Posso già fin d’ora dispor- re della mia vita intera con tutti i suoi imprevedibili eventi futuri? Con una decisione definitiva non è forse che lego io stesso la mia libertà e che tolgo qualcosa alla mia flessibilità? Risvegliare il coraggio di osare decisioni defi- nitive, che in realtà sono le sole che rendono possibile la crescita, il cammino in avanti e il raggiungimento di qualcosa di grande nella vita, le sole che non distruggono la libertà, ma le offrono la giusta direzione nello spazio; rischiare questo, questo salto - per così dire - nel definitivo, e con ciò accogliere piena- mente la vita, questo è qualcosa che sarei lieto di poter comunicare. Domanda: Santo Padre, una domanda sulla situazione della politica estera. La speranza della pace in Medio Oriente, nelle settimane scorse, è di nuovo diminuita notevolmente. Quali possibilità Lei vede per la Santa Sede in rap- porto alla situazione attuale? Quale influsso positivo Lei può esercitare sulla situazione, sugli sviluppi nel Medio Oriente? Papa Benedetto XVI: Naturalmente non abbiamo alcuna possibilità politi- ca, e noi non vogliamo alcun potere politico. Ma noi vogliamo appellarci ai cristiani e a tutti coloro che si sentono in qualche modo uniti alla Santa Sede ed interpellati da essa, affinché vengano mobilitate tutte le forze che ricono- scono che la guerra è la peggiore soluzione per tutti. Non porta nulla di buo- no per nessuno, neppure per gli apparenti vincitori. Noi lo sappiamo molto bene in Europa, in seguito alle due guerre mondiali. Ciò di cui tutti hanno bisogno è la pace. E vi è una forte comunità cristiana nel Libano, vi sono cristiani fra gli arabi, vi sono cristiani in Israele, e cristiani di tutto il mondo si impegnano per questi paesi cari a tutti noi. Vi sono forze morali che sono pronte a far comprendere che l’unica soluzione è l’imparare a vivere insie- me. Queste forze noi vogliamo mobilitare. Tocca ai politici di trovare poi le strade affinché questo possa avvenire il più presto possibile e soprattutto in modo durevole. 19
  • 19. Domanda: Come Vescovo di Roma Lei è successore di San Pietro. Il mini- stero di Pietro come può mostrarsi in modo appropriato ai tempi d’oggi? E come vede Lei il rapporto di tensione ed equilibrio fra il primato del Papa da una parte e la collegialità dei Vescovi dall’altra? Papa Benedetto XVI: Un rapporto di tensione ed equilibrio naturalmente c’è, deve anche esserci. Molteplicità e unità devono sempre nuovamente trovare il loro rapporto reciproco e questo rapporto, nelle mutevoli situazio- ni del mondo, deve essere ristabilito. Oggi abbiamo una nuova polifonia delle culture, in cui l’Europa non è più la sola determinante, ma le comunità cristiane dei diversi continenti stanno acquistando il loro proprio peso, il lo- ro proprio colore. Dobbiamo imparare sempre nuovamente questa sinergia. Per questo abbiamo sviluppato diversi strumenti. Le cosiddette “visite ad li- mina” dei Vescovi, che ci sono sempre state, vengono ora valorizzate molto di più, per parlare veramente con tutte le istanze della Santa Sede e anche con me. Io parlo personalmente con ogni singolo Vescovo. Ho già potuto parlare con quasi tutti i Vescovi dell’Africa e con molti di quelli dell’Asia. Adesso verranno quelli dell’Europa Centrale, della Germania, della Svizze- ra e in questi incontri, in cui appunto Centro e Periferia si incontrano in uno scambio franco, cresce il corretto rapporto reciproco in una tensione equili- brata. Abbiamo anche altri strumenti, come il Sinodo, il Concistoro, che io ora terrò regolarmente e che vorrei sviluppare, in cui anche senza un grande ordine del giorno si possono discutere insieme i problemi attuali e cercare delle soluzioni. Sappiamo da una parte che il Papa non è affatto un monarca assoluto, ma che, nell’ascolto collettivo di Cristo, deve - per così dire - per- sonificare la totalità. Ma la consapevolezza che occorre un’istanza unifica- trice, che crei anche l’indipendenza dalle forze politiche e garantisca che le cristianità non si identifichino troppo con le nazionalità, questa consapevo- lezza appunto, che vi è bisogno di una tale istanza superiore e più ampia, che crea unità nella integrazione dinamica del tutto, e d’altra parte accoglie, accetta e promuove la molteplicità, questa consapevolezza è molto forte. Perciò credo che, in questo senso, vi sia veramente un’adesione intima al ministero petrino nella volontà di svilupparlo ulteriormente, in modo che ri- sponda sia alla volontà del Signore, sia ai bisogni dei tempi. Domanda: La Germania come terra della Riforma è naturalmente segnata in modo particolare dai rapporti fra le diverse confessioni. I rapporti ecume- 20
  • 20. nici sono una realtà sensibile, che ogni tanto può trovarsi in difficoltà. Quali possibilità vede di migliorare il rapporto con la Chiesa evangelica, o quali difficoltà vede su questa strada? Papa Benedetto XVI: Forse è importante dire anzitutto che la Chiesa evan- gelica presenta una notevole varietà. In Germania abbiamo, se non sbaglio, tre comunità maggiori: Luterani, Riformati, Unione Prussiana. Inoltre oggi si formano anche numerose Chiese libere (Freikirchen) e, all’interno delle Chiese classiche, movimenti come la “Chiesa confessante” e così via. Si tratta quindi anche di un insieme a molte voci, con il quale, rispettando la molteplicità delle voci, dobbiamo nella ricerca dell’unità entrare in dialogo e stabilire una collaborazione. La prima cosa da fare è che in questa società ci preoccupiamo tutti insieme di rendere chiari i grandi orientamenti etici, di trovarli noi stessi e tradurli, e così garantire la coesione etica della società, senza la quale essa non può realizzare il fine della politica, che è la giustizia per tutti, una buona convivenza, la pace. In questo senso si realizzano già molte cose: di fronte alle grandi sfide morali già ci troviamo ormai vera- mente uniti a causa del comune fondamento cristiano. Naturalmente poi si tratta di testimoniare Dio in un mondo che ha difficoltà a trovarLo, come abbiamo già detto: di rendere visibile il Dio col volto umano di Gesù Cristo, offrendo così agli uomini l’accesso a quelle fonti, senza le quali la morale si isterilisce e perde i suoi riferimenti. Si tratta anche di donare la gioia, perché non siamo isolati in questo mondo. Solo così nasce la gioia davanti alla grandezza dell’uomo, che non è un prodotto mal riuscito dell’evoluzione, ma immagine di Dio. Ci dobbiamo muovere su questi due piani - su quello dei grandi riferimenti etici e su quello che mostra - a partire dall’interno di tali riferimenti e orientandosi verso di essi - la presenza di Dio, di un Dio concreto. Se facciamo questo, e se poi soprattutto i singoli raggruppamenti cercano di non vivere la fede in modo particolaristico, ma sempre a partire dai suoi fondamenti più profondi, allora, anche se forse non arriveremo così presto a delle manifestazioni esterne di unità, matureremo però verso un’u- nità interiore, che se Dio vuole un giorno porterà anche a forme esterne di unità. Domanda: Tema: la famiglia. Circa un mese fa Lei era a Valencia per l’In- contro mondiale delle famiglie. Chi ha ascoltato con attenzione - come ab- 21
  • 21. biamo cercato di fare alla Radio Vaticana - ha notato che Lei non ha mai pronunciato la parola “matrimoni omosessuali”, non ha mai parlato di abor- to, né di contraccezione. Osservatori attenti si sono detti: interessante! Evi- dentemente la sua intenzione è di annunciare la fede e non di girare il mon- do come “apostolo della morale”. Può dirci il Suo commento? Papa Benedetto XVI: Naturalmente sì. Anzitutto bisogna dire che io avevo in tutto due volte venti minuti di tempo per parlare. E se uno ha così poco tempo non può subito cominciare con il dire “No”. Bisogna sapere prima che cosa veramente vogliamo, non è vero? E il cristianesimo, il cattolicesi- mo, non è un cumulo di proibizioni, ma una opzione positiva. Ed è molto importante che lo si veda nuovamente, poiché questa consapevolezza oggi è quasi completamente scomparsa. Si è sentito dire tanto su ciò che non è per- messo, che ora bisogna dire: Ma noi abbiamo un’idea positiva da proporre: l’uomo e la donna sono fatti l’uno per l’altra, esiste - per così dire - una sca- la: sessualità, eros, agape, che sono le dimensioni dell’amore, e così si for- ma dapprima il matrimonio come incontro colmo di felicità di uomo e don- na, e poi la famiglia, che garantisce la continuità fra le generazioni, in cui si realizza la riconciliazione delle generazioni e in cui si possono incontrare anche le culture. Anzitutto, dunque, è importante mettere in rilievo ciò che vogliamo. In secondo luogo, si può poi anche vedere, perché certe cose non le vogliamo. E io credo che occorra riconoscere che non è un’invenzione cattolica che l’uomo e la donna siano fatti l’uno per l’altra, affinché l’uma- nità continui a vivere: lo sanno in fondo tutte le culture. Per quanto riguarda l’aborto, esso non rientra nel sesto, ma nel quinto comandamento: “Non uc- cidere!”. E questo dovremmo presupporlo come ovvio, ribadendo sempre di nuovo: la persona umana inizia nel seno materno e rimane persona umana fino al suo ultimo respiro. Perciò deve sempre essere rispettata come perso- na umana. Ma ciò diventa più chiaro se prima è stato detto il positivo. Domanda: Santo Padre, la mia domanda si collega in certo modo a quella precedente. In tutto il mondo i credenti attendono dalla Chiesa cattolica ri- sposte ai problemi globali più urgenti, come l’Aids e la sovrappopolazione. Perché la Chiesa cattolica insiste tanto sulla morale anteponendola ai tenta- tivi di soluzione concreta per questi problemi cruciali dell’umanità, ad esempio nel continente africano? 22
  • 22. Papa Benedetto XVI: Già, questo è il problema: insistiamo veramente tan- to sulla morale? Io direi - me ne sono convinto sempre più anche nel dialo- go con i Vescovi africani - che la questione fondamentale, se vogliamo fare dei passi avanti in questo campo, si chiama educazione, formazione. Il pro- gresso può essere progresso vero solo se serve alla persona umana e se la persona umana stessa cresce; se non cresce solo il suo potere tecnico, ma anche la sua capacità morale. E penso che il vero problema della nostra si- tuazione storica sia lo squilibrio fra la crescita incredibilmente rapida del nostro potere tecnico e quella della nostra capacità morale, che non è cre- sciuta in modo proporzionale. Perciò la formazione della persona umana è la vera ricetta, la chiave di tutto direi, e questa è anche la nostra via. E que- sta formazione ha - per dirla in breve - due dimensioni. Anzitutto natural- mente dobbiamo imparare: acquisire sapere, capacità, know-how come si suol dire. In questa direzione l’Europa, e l’America negli ultimi decenni, hanno fatto molto, ed è una cosa importante. Ma se si diffonde solo know- how, se si insegna solo come si costruiscono e usano le macchine, e come si impiegano i mezzi di contraccezione, allora non bisogna poi meravigliarsi che alla fine ci si ritrovi con le guerre e con le epidemie di Aids. Noi abbia- mo bisogno di due dimensioni: ci vuole allo stesso tempo la formazione del cuore - se così posso esprimermi - con cui la persona umana acquisisce dei riferimenti e impara così anche ad usare correttamente la tecnica, che pure ci vuole. Ed è questo che cerchiamo di fare. In tutta l’Africa e anche in mol- ti paesi dell’Asia abbiamo una grande rete di scuole di ogni grado, dove an- zitutto si può imparare, acquisire vera conoscenza, capacità professionale, e con ciò raggiungere autonomia e libertà. Ma in queste scuole noi cerchiamo appunto non solo di comunicare know-how, ma di formare persone umane, che vogliano riconciliarsi, che sappiano che dobbiamo costruire e non di- struggere, e che abbiano i riferimenti necessari per saper convivere. In gran parte dell’Africa le relazioni fra musulmani e cristiani sono esemplari. I Ve- scovi hanno formato comitati comuni insieme con i musulmani per vedere come creare pace nelle situazioni di conflitto. E questa rete delle scuole, dell’apprendimento e della formazione umana, che è molto importante, vie- ne completata da una rete di ospedali e di centri di assistenza, che raggiunge capillarmente anche i villaggi più remoti. E in molti luoghi, dopo tutte le di- struzioni della guerra, la Chiesa è rimasta l’ultimo potere intatto - non pote- re, ma realtà! Una realtà dove si cura, dove si cura anche l’Aids, e dove, 23
  • 23. d’altra parte, si offre un’educazione che aiuta a stabilire i giusti rapporti con gli altri. Perciò credo che dovrebbe venire corretta l’immagine secondo cui seminiamo attorno a noi solo dei rigidi “No”. Proprio in Africa si opera molto, perché le diverse dimensioni della formazione si possano integrare e così diventi possibile il superamento della violenza e anche delle epidemie, fra cui bisogna contare anche la malaria e la tubercolosi. Domanda: Santo Padre, il cristianesimo si è diffuso in tutto il mondo a par- tire dall’Europa. Ora, molti che si occupano dell’argomento dicono che il futuro della Chiesa si trova negli altri continenti. È vero? O in altre parole, che futuro ha il cristianesimo in Europa, dove sembra che esso si stia ridu- cendo a faccenda privata di una minoranza? Papa Benedetto XVI: Anzitutto io vorrei introdurre qualche sfumatura. In verità, come sappiamo, il cristianesimo è sorto nel Vicino Oriente. E per lungo tempo il suo sviluppo principale è rimasto là e si è diffuso in Asia molto di più di quanto noi oggi pensiamo dopo i cambiamenti portati dall’I- slam. D’altra parte, proprio per questo motivo il suo asse si è spostato sensi- bilmente verso l’Occidente e l’Europa, e l’Europa - ne siamo fieri e ce ne rallegriamo - ha ulteriormente sviluppato il cristianesimo nelle sue grandi dimensioni anche intellettuali e culturali. Ma credo che sia importante ricor- darci dei cristiani d’Oriente, poiché al momento vi è il pericolo che essi, che sono stati sempre ancora una minoranza importante, adesso emigrino. E vi è il grande pericolo che proprio questi luoghi d’origine del cristianesimo ri- mangano privi di cristiani. Penso che dobbiamo aiutare molto perché essi possano restare. Ma ora veniamo alla Sua domanda. L’Europa è diventata certamente il centro del cristianesimo e del suo impegno missionario. Oggi gli altri continenti, le altre culture, entrano con peso uguale nel concerto del- la storia del mondo. Così cresce il numero delle voci della Chiesa, e questo è bene. È bene che si possano esprimere i diversi temperamenti, i doni pro- pri dell’Africa, dell’Asia e dell’America, in particolare anche dell’America Latina. Tutti naturalmente sono toccati non solo dalla parola del cristianesi- mo, ma anche dal messaggio secolaristico di questo mondo, che porta anche negli altri continenti la prova dirompente che noi abbiamo subito in noi stessi. Tutti i Vescovi delle altre parti del mondo dicono: noi abbiamo anco- ra bisogno dell’Europa, anche se l’Europa ora è solo una parte di un tutto 24
  • 24. più grande. Noi abbiamo tuttora una responsabilità al riguardo. Le nostre esperienze, la scienza teologica che è stata qui sviluppata, tutta la nostra esperienza liturgica, le nostre tradizioni, anche le esperienze ecumeniche che abbiamo accumulato: tutto ciò è molto importante anche per gli altri continenti. Perciò bisogna che noi oggi non capitoliamo dicendo: “Ecco, siamo solo una minoranza, cerchiamo almeno di conservare il nostro picco- lo numero!”. Dobbiamo invece conservare vivo il nostro dinamismo, aprire rapporti di scambio, cosicché di là vengano anche forze nuove per noi. Oggi vi sono sacerdoti indiani ed africani in Europa, anche in Canada, dove molti sacerdoti africani lavorano; è interessante. Vi è questo dare e ricevere vicen- devole. Ma anche se in futuro dovremo essere piuttosto coloro che ricevono, dovremmo tuttavia rimanere sempre capaci di dare e sviluppare in tal senso il necessario coraggio e dinamismo. Domanda: È un argomento che è stato già in parte toccato, Santo Padre. Le società moderne nelle decisioni importanti riguardo alla politica e alla scien- za non si orientano secondo i valori cristiani e la Chiesa - lo sappiamo dalle inchieste - viene considerata per lo più solo come una voce ammonitrice o addirittura frenante. La Chiesa non dovrebbe uscire da questa posizione di- fensiva e assumere un atteggiamento più positivo riguardo al futuro e alla sua costruzione? Papa Benedetto XVI: Direi che in ogni caso abbiamo il nostro compito di mettere meglio in rilievo ciò che noi vogliamo di positivo. E questo dobbia- mo anzitutto farlo nel dialogo con le culture e con le religioni, poiché il con- tinente africano, l’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcerta- te di fronte alla freddezza della nostra razionalità. È importante dimostrare che da noi non c’è solo questo. E reciprocamente è importante che il nostro mondo laicista si renda conto che proprio la fede cristiana non è un impedi- mento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte “l’organo religioso” e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con il quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente, ma occorre una raziona- 25
  • 25. lità più ampia, che vede Dio in armonia con la ragione, dobbiamo mostrare che la fede cristiana che si è sviluppata in Europa è anche un mezzo per far confluire ragione e cultura e per tenerle insieme in un’unità comprensiva anche dell’agire. In questo senso credo che abbiamo un grande compito, di mostrare cioè che questa Parola, che noi possediamo, non appartiene - per così dire - ai ciarpami della storia, ma è necessaria proprio oggi. Domanda: Santo Padre, parliamo dei suoi viaggi. Lei è in Vaticano, forse Le costa essere un po’ lontano dalla gente e separato dal mondo, anche qui nel bellissimo ambiente di Castel Gandolfo. Ma Lei fra poco avrà 80 anni. Lei pensa, con l’aiuto di Dio, di poter fare ancora molti viaggi? Ha un’idea di quali vorrebbe fare? In Terra Santa, in Brasile? Lo sa già? Papa Benedetto XVI: A dire il vero non sono così solo. Naturalmente ci sono - per così dire - le mura che rendono difficile l’accesso, ma c’è una “famiglia pontificia”, ogni giorno molte visite, in particolare quando sono a Roma. Vengono i Vescovi, altre persone, ci sono visite di Stato, di persona- lità che però vogliono parlare con me anche personalmente e non solo di questioni politiche. In questo senso c’è una molteplicità di incontri che gra- zie a Dio mi vengono donati continuamente. Ed è anche importante che la sede del Successore di Pietro sia un luogo di incontro - non è vero? Dal tempo di Giovanni XXIII, poi, il pendolo si è spostato anche nell’altra dire- zione: sono i Papi che hanno cominciato a fare visite. Devo dire che io non mi sento molto forte tanto da mettere in agenda ancora molti grandi viaggi, ma dove questi permettono di rivolgere un messaggio, dove rispondono a un vero desiderio, lì vorrei andare, con il “dosaggio” che mi è possibile. Qualcosa è già previsto: il prossimo anno in Brasile c’è l’incontro del Ce- lam, il Consiglio Episcopale Latino Americano, e penso che lì la mia pre- senza sia un passo importante, considerate, da una parte, la vicenda dram- matica che l’America del Sud sta vivendo e, dall’altra parte, tutta la forza di speranza che allo stesso tempo è operante in quella regione. Poi vorrei anda- re nella Terra Santa, e spero di poterla visitare in tempo di pace, e per il re- sto vedremo che cosa mi riserva la Provvidenza. Domanda: Mi permetta di insistere. Gli austriaci parlano anche loro tedesco e La aspettano a Mariazell... 26
  • 26. Papa Benedetto XVI: Sì, è stato concordato. Io l’ho promesso semplice- mente, in modo un po’ imprudente. È un posto che mi è piaciuto tanto che ho detto: Sì, tornerò dalla Magna Mater Austriae. Naturalmente questa è di- ventata subito una promessa, che io manterrò, e la manterrò volentieri. Domanda: Insisto ancora. Io La ammiro ogni mercoledì, quando tiene l’u- dienza generale. Vengono 50.000 persone. Deve essere stancante, molto stancante. Lei riesce a resistere? Papa Benedetto XVI: Sì, il Buon Dio mi darà la forza necessaria. E quando si vede l’accoglienza cordiale, naturalmente si rimane incoraggiati. Domanda: Santo Padre, Lei ha appena detto di aver fatto una promessa un po’ imprudente. Vuol dire che nonostante il Suo ministero, nonostante i molti vincoli protocollari, Lei non si lascia portar via la sua spontaneità? Papa Benedetto XVI: In ogni caso, io ci provo. Poiché, per quanto le cose siano fissate, io vorrei cercare di conservare e di realizzare anche qualcosa di propriamente personale. Domanda: Santo Padre, le donne sono molto attive in diverse funzioni nella Chiesa cattolica. Il loro contributo non dovrebbe diventare più chiaramente visibile, anche in posti di più alta responsabilità nella Chiesa? Papa Benedetto XVI: Su questo argomento naturalmente si riflette molto. Come Lei sa, noi riteniamo che la nostra fede, la costituzione del Collegio degli Apostoli ci impegnino e non ci permettano di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne. Ma non bisogna neppure pensare che nella Chiesa l’unica possibilità di avere un qualche ruolo di rilievo sia di essere sacerdote. Nella storia della Chiesa vi sono moltissimi compiti e funzioni. A comincia- re dalle sorelle dei Padri della Chiesa, per giungere al medioevo, quando grandi donne hanno svolto un ruolo molto determinante, e fino all’epoca mo- derna. Pensiamo a Ildegarda di Bingen, che protestava con forza nei confron- ti di Vescovi e del Papa; a Caterina da Siena e a Brigida di Svezia. Così an- che nel tempo moderno le donne devono - e noi con loro - cercare sempre di nuovo il loro giusto posto. Oggi, esse sono ben presenti nei Dicasteri della 27
  • 27. Santa Sede. Ma c’è un problema giuridico: quello della giurisdizione, cioè il fatto che secondo il Diritto Canonico il potere di prendere decisioni giuridi- camente vincolanti è legato all’Ordine sacro. Da questo punto di vista vi so- no quindi dei limiti. Ma io credo che le stesse donne, con il loro slancio e la loro forza, con la loro - per così dire - preponderanza, con la loro “potenza spirituale”, sapranno farsi il loro spazio. E noi dovremmo cercare di metterci in ascolto di Dio, per non essere noi ad opporci a Lui, ma anzi ci rallegriamo che l’elemento femminile ottenga nella Chiesa il posto operativo che gli con- viene, a cominciare dalla Madre di Dio e da Maria Maddalena. Domanda: Santo Padre, nei tempi più recenti si parla di un nuovo fascino del cattolicesimo. Quale è dunque la vitalità e la capacità di futuro di questa istituzione d’altra parte antichissima? Papa Benedetto XVI: Direi che già l’intero pontificato di Giovanni Paolo II ha attirato l’attenzione degli uomini e li ha riuniti. Ciò che è accaduto in occasione della sua morte rimane qualcosa di storicamente del tutto specia- le: come centinaia di migliaia di persone accorrevano disciplinatamente ver- so Piazza San Pietro, stavano in piedi per ore, e mentre avrebbero dovuto crollare, invece resistevano mosse da una spinta interiore. E poi lo abbiamo rivissuto in occasione della inaugurazione del mio pontificato e poi a Colo- nia. È molto bello che l’esperienza della comunità diventi allo stesso tempo un’esperienza di fede; che si sperimenti la comunione non solamente in un luogo qualunque, ma che essa diventi più viva proprio là dove sono i luoghi della fede, facendo risplendere nella sua forza luminosa anche la cattolicità. Ovviamente ciò deve perdurare anche nella vita quotidiana. Le due cose de- vono andare insieme. Da una parte i grandi momenti, in cui si sperimenta che è bello partecipare, che il Signore è presente e che noi formiamo una grande comunità riconciliata al di là di tutti i confini. Ma poi, naturalmente, bisogna attingere da questo lo slancio per resistere durante i faticosi pelle- grinaggi attraverso il quotidiano, affrontandoli a partire da questi punti lu- minosi ed invitando così anche altri a inserirsi nella comunità in cammino. Ma vorrei cogliere questa occasione per dire: io mi sento arrossire per tutto ciò che viene fatto in preparazione della mia visita, per tutto quello che la gente sta facendo. La mia casa è stata dipinta a nuovo, una scuola professio- nale ne ha rifatto il recinto. Il professore di religione evangelico ha collabo- 28
  • 28. rato per il mio recinto. E questi sono solo piccoli particolari, ma sono il se- gno del moltissimo che viene fatto. Io trovo tutto ciò straordinario, e non lo riferisco a me stesso, ma lo considero come segno di una volontà di apparte- nere a questa comunità di fede e di servirsi tutti l’un l’altro. Dimostrare que- sta solidarietà e lasciarci ispirare in questo dal Signore: è qualcosa che mi tocca e per questo vorrei anche ringraziare di tutto cuore. Domanda: Santo Padre, Lei ha parlato dell’esperienza della comunità. Lei verrà ora in Germania già per la seconda volta dopo la Sua elezione. Con la Giornata Mondiale della Gioventù, e forse anche per altro verso con i cam- pionati mondiali di calcio, l’atmosfera è in certo senso cambiata. Si ha l’im- pressione che i tedeschi siano diventati più aperti al mondo, più tolleranti, più gioiosi. Che cosa si augura Lei ancora da noi tedeschi? Papa Benedetto XVI: Direi che naturalmente già con la fine della seconda guerra mondiale è cominciata una trasformazione interiore della società te- desca, anche della mentalità tedesca, che tale trasformazione è stata ancora rafforzata dalla riunificazione. Noi ci siamo inseriti molto più profondamen- te nella società mondiale e ovviamente stiamo in certa misura sotto l’influs- so della sua mentalità. E così appaiono anche aspetti del carattere tedesco che prima non ci si aspettava. E forse siamo stati dipinti un po’ troppo come sempre tutti disciplinati e riservati, cosa che ha anche un certo fondamento. Ma sono contento se ora emerge di più e si rende visibile a tutti che i tede- schi non sono solo riservati, puntuali e disciplinati, ma sono anche sponta- nei, allegri, ospitali. Questo è molto bello. Ed allora il mio augurio che que- ste virtù si sviluppino ulteriormente, ricevendo ancora slancio e durevolezza dalla fede cristiana. Domanda: Santo Padre, il Suo Predecessore ha dichiarato beati e santi un grandissimo numero di cristiani. Alcuni pensano, perfino un po’ troppi. Qui la mia domanda: le beatificazioni e le canonizzazioni sono di vantaggio per la Chiesa solo se queste persone possono essere considerate come veri mo- delli. La Germania produce relativamente pochi santi e beati in confronto ad altri paesi. Si può fare qualcosa perché questa dimensione pastorale si svi- luppi, e perché il bisogno di beatificazioni e canonizzazioni dia un vero frut- to pastorale? 29
  • 29. Papa Benedetto XVI: All’inizio avevo anch’io un poco l’idea che la gran- de quantità delle beatificazioni quasi ci schiacciasse e che forse bisognava scegliere di più: delle figure che entrassero più chiaramente nella nostra co- scienza. Nel frattempo ho decentralizzato le beatificazioni, per rendere ogni volta più visibili queste figure nei luoghi specifici a cui esse appartengono. Forse un santo del Guatemala interessa meno noi in Germania e viceversa uno di Altötting forse non trova tanto interesse a Los Angeles e così via. In questo senso credo che questa decentralizzazione, che corrisponde anche al- la collegialità dell’episcopato, alle sue strutture collegiali, sia una cosa op- portuna proprio in questo punto. I diversi Paesi hanno le loro proprie figure che lì possono svolgere la loro efficacia. Ho anche osservato che queste beatificazioni nei diversi luoghi toccano innumerevoli persone e che la gen- te dice: “Finalmente, questo è uno di noi!” e va a lui e ne viene ispirata. Il beato appartiene a loro, e noi siamo contenti che lì ce ne siano molti. E se gradualmente, con lo sviluppo della società mondiale, anche noi li conosce- remo meglio, sarà bello. Ma anzitutto è importante che anche in questo campo vi sia la molteplicità. E in questo senso è importante che anche noi in Germania impariamo a conoscere le nostre proprie figure e a rallegrarci di esse. Parallelamente ci sono poi le canonizzazioni delle figure più grandi, che sono di rilievo per la Chiesa intera. Io direi che le singole Conferenze Episcopali dovrebbero scegliere, dovrebbero vedere chi è adatto per noi, chi ci dice veramente qualcosa, e poi dovrebbero rendere visibili queste figure più significative, imprimendole nella coscienza mediante la catechesi, la predicazione; forse si potrebbero anche presentare con un film. Potrei im- maginarmi dei film molto belli. Io naturalmente conosco bene solo i Padri della Chiesa: fare un film su Agostino, anche uno su Gregorio di Nazianzo e la sua figura molto particolare (il suo fuggire ripetutamente perché ne aveva abbastanza, e così via) e dimostrare che non ci sono sempre solo le brutte si- tuazioni attorno a cui girano tanti nostri film, ma ci sono figure meraviglio- se della storia, che non sono affatto noiose, ma sono molto attuali. Insomma bisogna cercare di non caricare eccessivamente la gente, ma di rendere visi- bili per molti le figure che sono attuali e che ci ispirano. Domanda: Storie in cui ci sia anche humour? Nel 1989 a Monaco Le è stata data l’onorificenza del Karl Valentin Orden. Quale ruolo hanno nella vita di un Papa lo humour e le leggerezza dell’essere? 30
  • 30. Papa Benedetto XVI: (ride) Io non sono un uomo a cui vengano in mente continuamente delle barzellette. Ma saper vedere anche l’aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa e non prendere tutto così tragicamen- te, questo lo considero molto importante, e direi che è anche necessario per il mio ministero. Un qualche scrittore aveva detto che gli angeli possono vo- lare, perché non si prendono troppo sul serio. E noi forse potremmo anche volare un po’ di più, se non ci dessimo così tanta importanza. DISCORSO AL SANTUARIO DEL VOLTO SANTO DI MANOPPELLO Prima di fare l’ingresso nel Santuario, il Santo Padre ha salutato le mi- gliaia di fedeli radunati all’esterno: Cari fratelli e sorelle, grazie per questo benvenuto così cordiale. Vedo come la Chiesa è una gran- de famiglia. Dove c’è il Papa la famiglia si riunisce in grande gioia. Per me è un segno della fede viva, della gioia che ci dà la fede, della comunione, della pace che crea la fede. E vi sono gratissimo per questo benvenuto. Così vedo tutta la bellezza di questa Regione d’Italia qui, sui vostri volti. Un saluto particolare agli ammalati. Sappiamo che il Signore è particolar- mente vicino a voi, vi aiuta, vi accompagna nelle vostre sofferenze. Siete nelle nostre preghiere. E pregate anche per noi. Un saluto speciale ai giovani e ai bambini di Prima Comunione. Grazie per il vostro entusiasmo, per la vostra fede. Noi tutti, come dicono i Salmi, “cer- chiamo il Volto del Signore”. E questo è il senso anche di questa mia visita. Insieme cerchiamo di conoscere sempre meglio il volto del Signore e dal volto del Signore attingiamo questa forza di amore e di pace che ci mostra anche la strada della nostra vita. Grazie e auguri a voi tutti! 31
  • 31. * * * Venerato Fratello nell’Episcopato, cari fratelli e sorelle! Desidero in primo luogo ringraziare il Signore per l’odierno incontro, sem- plice e familiare, in un luogo dove possiamo meditare sul mistero dell’amo- re divino contemplando un’icona del Volto Santo. A voi tutti qui presenti va il mio grazie più sentito per la vostra cordiale accoglienza e per l’impegno e la discrezione con cui avete favorito questo mio privato pellegrinaggio. Sa- luto e ringrazio in particolare il vostro Arcivescovo che si è fatto interprete dei comuni sentimenti. Grazie per i doni che mi avete offerto e che apprezzo molto proprio nella loro qualità di “segni”, come li ha chiamati Mons. Forte. Sono segni, infatti, della comunione affettiva ed effettiva che lega il popolo di questa cara terra d’Abruzzo al Successore di Pietro. Un saluto speciale ri- volgo a voi, sacerdoti, religiosi e religiose e seminaristi qui convenuti. Non essendo possibile incontrare l’intera Comunità diocesana, sono contento che a rappresentarla ci siate voi, persone già dedite al ministero presbiterale e alla vita consacrata o incamminate verso il sacerdozio. Persone che mi piace considerare innamorate di Cristo, attratte da Lui e impegnate a fare della propria esistenza una continua ricerca del suo Santo Volto. Un grato pensie- ro rivolgo infine alla comunità dei Padri Cappuccini, che ci ospita, e che da secoli si prende cura di questo santuario, meta di tanti pellegrini. Mentre poc’anzi sostavo in preghiera, pensavo ai primi due Apostoli, che, sollecitati da Giovanni Battista, seguirono Gesù presso il fiume Giordano – come leggiamo all’inizio del Vangelo di Giovanni (cfr Gv 1,35-37). L’evan- gelista narra che Gesù si voltò e domandò loro: “Che cercate?”. Essi rispo- sero: “Rabbi, dove abiti?”. Ed egli: “Venite e vedrete” (cfr Gv 1,38-39). Quel giorno stesso i due che Lo seguirono fecero un’esperienza indimenti- cabile, che li portò a dire: “Abbiamo trovato il Messia” (Gv 1,41). Colui che poche ore prima consideravano un semplice “rabbi”, aveva acquistato una identità ben precisa, quella del Cristo atteso da secoli. Ma, in realtà, quanta strada avevano ancora davanti a loro quei discepoli! Non potevano nemme- no immaginare quanto il mistero di Gesù di Nazaret potesse essere profon- do; quanto il suo “volto” potesse rivelarsi insondabile, imperscrutabile. Tan- to che, dopo aver vissuto insieme tre anni, Filippo, uno di loro, si sentirà di- 32
  • 32. re nell’Ultima Cena: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai cono- sciuto, Filippo?”. E poi quelle parole che esprimono tutta la novità della ri- velazione di Gesù: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9). Solo dopo la sua passione, quando lo incontreranno risorto, quando lo Spirito illumi- nerà le loro menti e i loro cuori, gli Apostoli comprenderanno il significato delle parole che Gesù aveva detto, e Lo riconosceranno come il Figlio di Dio, il Messia promesso per la redenzione del mondo. Diventeranno allora suoi messaggeri infaticabili, testimoni coraggiosi sino al martirio. “Chi ha visto me ha visto il Padre”. Sì, cari fratelli e sorelle, per “vedere Dio” bisogna conoscere Cristo e lasciarsi plasmare dal suo Spirito che guida i credenti “alla verità tutta intera” (cfr Gv 16, 13). Chi incontra Gesù, chi si lascia da Lui attrarre ed è disposto a seguirlo sino al sacrificio della vita, sperimenta personalmente, come Egli ha fatto sulla croce, che solo il “chic- co di grano” che cade nella terra e muore porta “molto frutto” (cfr Gv 12,24). Questa è la via di Cristo, la via dell’amore totale che vince la morte: chi la percorre e “odia la sua vita in questo mondo, la conserva per la vita eterna” (Gv 12, 25). Vive cioè in Dio già su questa terra, attratto e trasfor- mato dal fulgore del suo volto. Questa è l’esperienza dei veri amici di Dio, i santi, che hanno riconosciuto e amato nei fratelli, specialmente i più poveri e bisognosi, il volto di quel Dio a lungo contemplato con amore nella pre- ghiera. Essi sono per noi incoraggianti esempi da imitare; ci assicurano che se percorriamo con fedeltà questa via, la via dell’amore, anche noi – come canta il Salmista – ci sazieremo della presenza di Dio (cfr Sal 16[17],15). “Jesu... quam bonus te quaerentibus! - Quanto sei buono, Gesù, per chi ti cerca!”: così avete cantato poco fa eseguendo l’antico inno “Jesu, dulcis memoria”, che qualcuno attribuisce a San Bernardo. E’ un inno che acquista singolare eloquenza in questo santuario dedicato al Volto Santo e che richia- ma alla mente il Salmo 23(24): “Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe” (v. 6). Ma quale è “la generazione” che cerca il volto di Dio, quale generazione è degna di “salire il monte del Signore”, di “stare nel suo luogo santo”? Spiega il salmista: sono coloro che hanno “mani innocenti e cuore puro”, che non pronunciano menzogna, che non giurano a danno del loro prossimo (cfr vv. 3-4). Dunque, per entrare in co- munione con Cristo e contemplarne il volto, per riconoscere il volto del Si- gnore in quello dei fratelli e nelle vicende di ogni giorno, sono necessarie 33
  • 33. “mani innocenti e cuori puri”. Mani innocenti, cioè esistenze illuminate dal- la verità dell’amore che vince l’indifferenza, il dubbio, la menzogna e l’e- goismo; ed inoltre sono necessari cuori puri, cuori rapiti dalla bellezza divi- na, come dice la piccola Teresa di Lisieux nella sua preghiera al Volto San- to, cuori che portano impresso il volto di Cristo. Cari sacerdoti, se resta impressa in voi, pastori del gregge di Cristo, la san- tità del suo Volto, non abbiate timore, anche i fedeli affidati alle vostre cure ne saranno contagiati e trasformati. E voi, seminaristi, che vi preparate ad essere guide responsabili del popolo cristiano, non lasciatevi attrarre da nul- l’altro che da Gesù e dal desiderio di servire la sua Chiesa. Altrettanto vor- rei dire a voi, religiosi e religiose, perché ogni vostra attività sia un visibile riflesso della bontà e della misericordia divina. “Il tuo volto, Signore, io cer- co”: ricercare il volto di Gesù deve essere l’anelito di tutti noi cristiani; sia- mo infatti noi “la generazione” che in questo tempo cerca il suo volto, il volto del “Dio di Giacobbe”. Se perseveriamo nel cercare il volto del Signo- re, al termine del nostro pellegrinaggio terreno sarà Lui, Gesù, il nostro eter- no gaudio, la nostra ricompensa e gloria per sempre: “Sis Jesu nostrum gau- dium, / qui es futurus praemium: / sit nostra in te gloria, / per cuncta sem- per saecula”. Questa è la certezza che ha animato i santi della vostra regione, tra i quali mi piace citare particolarmente Gabriele dell’Addolorata e Camillo de Lel- lis; a loro va il nostro ricordo riverente e la nostra preghiera. Ma un pensiero di speciale devozione rivolgiamo ora alla “Regina di tutti i santi”, la Vergine Maria, che voi venerate in diversi santuari e cappelle sparsi nelle valli e sui monti abruzzesi. La Madonna, nel cui volto più che in ogni altra creatura si scorgono i lineamenti del Verbo incarnato, vegli sulle famiglie e sulle par- rocchie, sulle città e sulle nazioni del mondo intero. Ci aiuti la Madre del Creatore a rispettare anche la natura, grande dono di Dio che qui possiamo ammirare guardando le stupende montagne che ci circondano. Questo dono, però, è sempre più esposto a seri rischi di degrado ambientale e va pertanto difeso e tutelato. Si tratta di un’urgenza che, come notava il vostro Arcive- scovo, è opportunamente posta in evidenza dalla Giornata di riflessione e di preghiera per la salvaguardia del creato, che proprio oggi viene celebrata dalla Chiesa in Italia. 34
  • 34. Cari fratelli e sorelle, mentre ancora una volta vi ringrazio per la vostra pre- senza, su tutti voi e sui vostri cari invoco la benedizione di Dio con l’antica formula biblica: “Vi benedica il Signore e vi protegga. Il Signore faccia bril- lare il suo volto su di voi e vi sia propizio. Il Signore rivolga su di voi il suo volto e vi conceda pace” (cfr Nm 6, 24-26). Amen! 1 settembre 2006 INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DELLA SCIENZA A REGENSBURG Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni. Eminenze, Magnificenze, Eccellenze, Illustri Signori, gentili Signore! È per me un momento emozionante trovarmi ancora una volta nell’univer- sità e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri, contempora- neamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo presso l’Istitu- to superiore di Freising, iniziai la mia attività di insegnante accademico al- l’università di Bonn. Era – nel 1959 – ancora il tempo della vecchia univer- sità dei professori ordinari. Per le singole cattedre non esistevano né assi- stenti né dattilografi, ma in compenso c’era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c’era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell’intera università, rendendo così possibile un’esperienza di universitas – una cosa a cui anche Lei, Magnifico Rettore, ha accennato poco fa – l’esperienza, cioè del fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci 35
  • 35. di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell’unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comu- ne responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava espe- rienza viva. L’università, senza dubbio, era fiera anche delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che anch’esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del “tutto” dell’universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fe- de, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c’era una stranezza: due facoltà che si occupava- no di una cosa che non esisteva – di Dio. Che anche di fronte ad uno scetti- cismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell’insieme dell’università, era una convinzio- ne indiscussa. Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d’inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue. Fu poi presumibilmente l’imperatore stesso ad annotare, durante l’assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si spiega così perché i suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non quelli del suo interlocutore persiano. Il dialogo si esten- de su tutto l’ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel Corano e si sofferma soprattutto sull’immagine di Dio e dell’uomo, ma ne- cessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le – come si diceva – tre “Leggi” o tre “ordini di vita”: Antico Testamento – Nuovo Testamento – Corano. Di ciò non intendo parlare ora in questa lezione; vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura dell’intero dialogo – che, nel contesto del tema “fede e ragione”, mi ha affascinato e che mi ser- virà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema. Nel settimo colloquio (controversia) edito dal prof. Khoury, l’imperatore tocca il tema della jihad, della guerra santa. Sicuramente l’imperatore sape- va che nella sura 2, 256 si legge: “Nessuna costrizione nelle cose di fede”. 36
  • 36. È una delle sure del periodo iniziale, dicono gli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l’imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la dif- ferenza di trattamento tra coloro che possiedono il “Libro” e gli “increduli”, egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto di stupirci, si ri- volge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rap- porto tra religione e violenza in genere, dicendo: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e di- sumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”. L’imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fe- de mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima. “Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell’anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un’anima ra- gionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…” L’affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L’editore, Theodore Khoury, commenta: per l’imperatore, come bizan- tino cresciuto nella filosofia greca, quest’affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua vo- lontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un’opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiara- re che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l’uomo do- vrebbe praticare anche l’idolatria. A questo puntosi apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazio- ne concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto di- retto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con 37
  • 37. la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo ver- setto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Van- gelo con le parole: “In principio era il logos”. È questa proprio la stessa pa- rola che usa l’imperatore: Dio agisce con logos. Logos significa insieme ra- gione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, ap- punto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In prin- cipio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l’evangelista. L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell’Asia e che, in so- gno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: “Passa in Macedonia e aiuta- ci!” (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una “con- densazione” della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede bibli- ca e l’interrogarsi greco. In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall’in- sieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo “Io so- no”, il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso. Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all’interno dell’Anti- co Testamento, una nuova maturità durante l’esilio, dove il Dio d’Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del ro- veto: “Io sono”. Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell’uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l’adeguamento allo stile di vita greco e al lo- ro culto idolatrico, la fede biblica, durante l’epoca ellenistica, andava inte- riormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contat- to vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sa- pienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell’Antico Testamen- 38
  • 38. to, realizzata in Alessandria – la “Settanta” –, è più di una semplice (da va- lutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo. Nel profondo, vi si tratta dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall’in- tima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero gre- co fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire “con il logos” è contrario alla natura di Dio. Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo ago- stiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all’affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esiste- rebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz’altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all’immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possi- bilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste die- tro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui – come di- ce il Concilio Lateranense IV nel 1215 –certo le dissomiglianze sono infini- tamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l’analogia e il suo linguaggio. Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l’amore, come dice Paolo, “sorpassa” la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l’amore del Dio-Logos, per cui il latreia“– un culto che culto cristiano è, come dice ancora Paolo logike concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1). 39
  • 39. Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l’interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religio- ni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell’Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Pos- siamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l’Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa. Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte inte- grante della fede cristiana, si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall’inizio dell’età moderna domina in mo- do crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare tre onde nel programma della deellenizzazione: pur collegate tra di loro, es- se tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente di- stinte l’una dall’altra. La deellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati della Riforma del XVI secolo. Considerando la tradizione delle scuole teologiche, i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede con- dizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione della fede dall’esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da essa. Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico. Il sola Scriptura invece cerca la pura forma primordiale della fede, come essa è presente ori- ginariamente nella Parola biblica. La metafisica appare come un presuppo- sto derivante da altra fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare ad essere totalmente se stessa. Con la sua affermazione di aver dovuto ac- cantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l’accesso al tutto della realtà. La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel programma della deellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf 40
  • 40. von Harnack. Durante il tempo dei miei studi, come nei primi anni della mia attività accademica, questo programma era fortemente operante anche nella teologia cattolica. Come punto di partenza era utilizzata la distinzione di Pa- scal tra il Dio dei filosofi ed il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella mia prolusione a Bonn, nel 1959, ho cercato di affrontare questo argomento e non intendo riprendere qui tutto il discorso. Vorrei però tentare di mettere in luce almeno brevemente la novità che caratterizzava questa seconda onda di deellenizzazione rispetto alla prima. Come pensiero centrale appare, in Har- nack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle elle- nizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero cul- mine dello sviluppo religioso dell’umanità. Gesù avrebbe dato un addio al culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come padre di un messaggio morale umanitario. Lo scopo di Harnack è in fondo di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esem- pio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio. In questo senso, l’e- segesi storico-critica del Nuovo Testamento, nella sua visione, sistema nuo- vamente la teologia nel cosmo dell’università: teologia, per Harnack, è qual- cosa di essenzialmente storico e quindi di strettamente scientifico. Ciò che essa indaga su Gesù mediante la critica è, per così dire, espressione della ra- gione pratica e di conseguenza anche sostenibile nell’insieme dell’univer- sità. Nel sottofondo c’è l’autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle “critiche” di Kant, nel frattempo però ulteriormente ra- dicalizzata dal pensiero delle scienze naturali. Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (carte- sianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una par- te si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l’elemento platonico nel concetto moderno della natura. Dall’altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibi- lità di controllare verità o falsità mediante l’esperimento fornisce la certezza decisiva. Il peso tra i due poli può, a seconda delle circostanze, stare più dall’una o più dall’altra parte. Un pensatore così strettamente positivista co- me J. Monod si è dichiarato convinto platonico. 41
  • 41. Questo comporta due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra que- stione. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che ri- guardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filo- sofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importan- te per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione. Tornerò ancora su questo argomento. Per il momento basta tener presente che, in un tentativo alla luce di questa prospettiva di conservare alla teologia il carattere di disciplina “scientifica”, del cristianesimo resterebbe solo un misero frammento. Ma dobbiamo dire di più: se la scienza nel suo insieme è soltanto questo, allora è l’uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del “da dove” e del “verso dove”, gli interrogativi della religione e dell’ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla “scienza” in- tesa in questo modo e devono essere spostati nell’ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosa- mente sostenibile, e la “coscienza” soggettiva diventa in definitiva l’unica istanza etica. In questo modo, però, l’ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell’ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l’umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell’ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un’etica partendo dalle regole dell’evo- luzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente. Prima di giungere alle conclusioni alle quali mira tutto questo ragionamen- to, devo accennare ancora brevemente alla terza onda della deellenizzazione che si diffonde attualmente. In considerazione dell’incontro con la moltepli- cità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovreb- be vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare in- 42