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Tutti i problemi giornalistici e scientifici del libro sui vaccini di giulia innocenzi il foglio
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Tutti i problemi giornalistici e
scientifici del libro sui vaccini di Giulia
Innocenzi
Ricerca della verità dei fatti o della visibilità delle polemiche?
di Andrea Grignolio 2 Gennaio 2018 alle 11:01
Il libro “VacciNazione” (Baldini&Castoldi, Dicembre 2017) della giornalista Giulia Innocenzi
è una metafora di un recente modo, minoritario, di interpretare il rapporto tra giornalismo e
scienza. E’ per questo che va inquadrato in un contesto più ampio della disamina dei suoi
contenuti, che altri, primo fra tutti il noto virologo Roberto Burioni, hanno già stigmatizzato
per un numero di errori e inesattezze imbarazzante: dai nomi sbagliati degli agenti infettivi
sino a confondere vaccini con altri farmaci (si parla del Tamiflu – un antivirale – come del
“vaccino della Roche”), per tacere del tentativo maldestro di cercare lo scandalo in cerca di
visibilità.
Dopo alcuni anni di studio e numerosi incontri sul territorio nazionale e non sul tema delle
resistenze sociali alle vaccinazioni, credo di poter elencare, con una certa accuratezza, quali
sono oggi i tipici argomenti dei novax.
E’ tipico dei novax – non degli “integralisti”, quelli cioè che la letteratura definisce refusals
perché rifiutano senza eccezioni tutti i vaccini ritenuti il male assoluto – iniziare a discutere
affermando “non sono contro i vaccini ma...” per poi elencare una sfilza di credenze,
inesattezze, irragionevolezze e di “sentito dire”, caratteristico della “cultura marmellata”
come avvertiva il grande psichiatra Jervis, che mettono in dubbio la sicurezza dei vaccini. E'
IRANBERLUSCONICOREA DEL NORDM5S
2. una strategia retorica nota, e piuttosto ingenua, usata da Trump nei suoi tweet novax, che
finge di rifiutare i pregiudizi – si pensi al “non sono razzista ma...” – per poi usare un forte
pregiudizio nello scegliere le fonti in modo selettivo: gli anglosassoni chiamano questa
strategia giornalistica cherry-picking, ovvero del raccoglitore di ciliegie.
Un altro espediente retorico consiste nell’usare strumenti emotivi, in genere racconti di
storie personali commoventi o ansiogene (person centred stories, le chiama la letteratura
scientifica) per esibire casi concreti apparentemente credibili dei rischi dei vaccini, spesso
intervistando “i genitori dei figli danneggiati” o casi che “la scienza spesso ignora” o
dimentica.
A ciò, naturalmente, segue l'argomento complottista, per cui le multinazionali del farmaco e
gran parte dei medici nasconderebbero il numero effettivo di reazioni avverse e lo farebbero
perché il mercato dei vaccini fa fruttare molti soldi.
Non sono antivax ma...
Ebbene, in “VacciNazione” c’è tutto questo. Il libro inizia con “non sono contraria ai vaccini
ma...” per poi descrivere diverse storie, compresa quella del pianto dell’autrice, sui figli di
genitori che li ritengono danneggiati o deceduti a causa dei vaccini. La verità è che non
risultano oggi casi dimostrati dalla scienza di persone decedute per il vaccino, mentre
risultano, e sono diverse decine ogni anno, bimbi deceduti per non essere stati vaccinati, o
perché troppo piccoli per esserlo, o perché figli di genitori che hanno deciso di non
proteggerli con la vaccinazione. E se ciò avviene è anche perché tali genitori si lasciano
influenzare da libri e trasmissioni che gettano discredito sui vaccini. La strategia è quella
usata in alcune trasmissioni che strizzano l’occhiolino alla “controinformazione”, penso a Le
Iene sul caso Stamina o a Report sugli Ogm o sul vaccino Hpv. In apertura si dice di non essere
contrari al tema e di rispettare la scienza, per poi veicolare storie allarmanti e strappalacrime
capaci di coinvolgere la pancia del grande pubblico, si raccontano dati occultati e si allude a
anomalie nelle ricerche rivelate da ricercatori “indipendenti” e marginalizzati, si citano
“documenti riservati” di ex collaboratori che svelano le vere strategie aziendali, e si finisce
con qualche indagine in corso della magistratura o qualche passata sentenza contra
scientiam.
“VacciNazione” dedica ampie parti sulle reazioni avverse, tentando di dimostrare che il
sistema di controllo non funziona o sottostima il loro numero, ma non è vero. Il sistema
italiano funziona benissimo, lo dimostra anche il caso virtuoso dell’anagrafe vaccinale veneta
che registra i casi da un decennio. I numeri delle reazioni avverse sono in primo luogo
3. perfettamente coerenti con il resto del mondo (tutto il mondo è corrotto?), e in secondo
luogo sono i più bassi di tutti i farmaci attualmente in commercio: i vaccini hanno reazione
avverse centinaia di volte inferiori alle aspirine e alle arachidi, tema quest’ultimo che
dovrebbe interessare l’autrice che con il precedente libro si professa vegetariana (a proposito
di dati reali: c’è una forte correlazione tra chi è novax e chi aderisce a quella costellazione di
pensiero naturista che va dal veganesimo alle medicine alternative/olistiche).
Rimestare nella zona grigia
Il libro poi cita una serie di cifre confuse sugli introiti delle case farmaceutiche sui vaccini
facendo credere che si tratti di un ambito rigoglioso, ma anche ciò non è affatto vero, tanto
che negli anni molte hanno abbandonato la ricerca. In Italia i vaccini attraggono solo l’1,4
per cento della spesa del SSN per i farmaci, solo gli antiinfiammatori da banco sono poco più
economici, i farmaci contro il reflusso esofageo o antitumorali costano all’erario 8 volte di
più. Ci sono ricerche comparative internazionali (cfr. Ethgen o Offit) che dimostrano che
nessuno dei maggiori paesi europei supera l’1 per cento del budget del SSN per le
vaccinazioni. E tutto ciò senza considerare quanto ci fanno risparmiare a livello sanitario: il
vaccino anti-tetano costa dieci euro, ma un bambino non vaccinato, come nel recente caso
piemontese, può costare all’erario un mese in cura intensiva a circa 3 mila euro al giorno.
Occorre chiedersi quali libri leggono i genitori novax che si dicono “informati” e chi e con
quale metodo si costruisce tale informazione.
Persino su due delle bufale più pericolose e trite, che i vaccini provochino l’autismo e che
contengano dosi tossiche di alluminio, viene montata una sottile macchina del sospetto.
Certo, si inizia dicendo che la scienza ha escluso l’autismo come effetto della vaccinazione,
ma allora qual è il senso di dar voce alle “mamme che sanno”, a consulenti tecnici di
sentenze poi ribaltate, allo stesso Wakefield e a due medici italiani radiati dall’ordine, uno
dei quali si dice sicuro che “una parte dei bambini autistici sono legati ai vaccini”? Perché, di
grazia, si citano 5 casi di autismo che una multinazionale avrebbe occultato in “documenti
riservati” per omettere che l’incidenza sarebbe “20-50 volte inferiore a quella attualmente
accreditata”? I dati sui profili di sicurezza dell’alluminio nei vaccini sono arcinoti da 70 anni,
perché dunque dopo essersi nascosti dietro le parole di uno scienziato di primordine come
Garattini, che giustamente conferma la sicurezza degli adiuvanti, si gettano dubbi citando
avventori che con ricerche fatte in casa denunciano la presenza dei metalli pesanti nei
vaccini o strampalate sindromi da adiuvanti come l’ASIA di Shoenfeld (la stessa citata da
Report)? Perché, infine, dedicare un paragrafo ai “feti abortiti nei vaccini”, stravolgendo uno
4. strumento fondamentale creato sessant’anni fa come le linee cellulari di derivazione umana
per capire l’insorgenza del cancro, l’invecchiamento cellulare e coltivare virus per lo sviluppo
di vaccini?
Questo non è giornalismo d’inchiesta, semmai è rimestare nella zona grigia, fiutare
l’argomento e l’aria che tira, intervistare persone che “ne sanno un sacco” anziché
individuare gli scienziati esperti, è fare ricerche su Google anziché studiare su testi veri e
valutare le fonti, scivolando inevitabilmente su documenti farlocchi nel tentativo cercare lo
scandalo. Un metodo che verrebbe bocciato da qualsiasi scuola di giornalismo.
Se proprio non si vuole studiare, vi sono degli esempi da imitare per correggere il tiro. Basta
guardare al “giornalismo di precisione” svolto, proprio su Ogm, vaccini e Stamina, da quel
cavallo di razza che è Riccardo Iacona, anch’egli passato dalla scuderia Santoro. A
dimostrazione del fatto che dai maestri non solo ci si può emancipare, ma si possono anche
superare. A patto però di lavorare sodo e analizzare le fonti “basate sulle prove”: quelle che
nell’era post-fattuale creano l’orticaria al populismo mediatico-politico nostrano.
*Sapienza Università di Roma