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PROTEZIONE CIVILE NAZIONALE




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INTRODUZIONE
Con "Protezione Civile" si intendono tutte le strutture e le attività messe in campo
dallo Stato per tutelare l'integrità dell‘uomo, dei beni, degli insediamenti e dell'am-
biente, dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e
da altri eventi calamitosi.
Con la legge del 24 febbraio 1992, n.225 l'Italia ha organizzato la Protezione Civile
come "Servizio nazionale", coordinato dal Presidente del Consiglio dei Ministri e
composto, come dice il primo articolo della legge, dalle Amministrazioni dello Stato,
centrali e periferiche, dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni, dagli Enti Pubblici
Nazionali e Territoriali e da ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e priva-
ta presente sul territorio nazionale. Al coordinamento del Servizio Nazionale e alla
promozione delle attività di Protezione Civile, provvede il Presidente del Consiglio
dei Ministri attraverso il Dipartimento della Protezione Civile.




LA STORIA
Nel corso degli anni, con leggi sempre più specifiche, la Protezione Civile si svincola
dal concetto di Difesa Civile, che ha come presupposto non una calamità naturale, ma
bensì un evento bellicoso o parabellico (attualmente le strutture organizzative di Di-
fesa Civile sussistono a livello di gruppi di staff al Ministero della Difesa e degli In-
terni, e con possibili funzioni operative preassegnate al Corpo Militare della Croce
Rossa Italiana ed ad altre componenti del Sistema di Protezione Civile). Con la legge
473/1925 il soccorso alle popolazioni colpite da eventi calamitosi viene delegato al
Ministro dei Lavori Pubblici ed al suo braccio operativo rappresentato dal Genio Ci-
vile, con il concorso delle strutture sanitarie.
Negli anni 1950, 1962 e 1967 vengono inefficacemente presentati progetti di legge
specifici.


                                                                           |Pagina     1
La prima vera svolta si ha nel 1970; infatti, viene emanata la Legge 996/70 che ha per
titolo ―Norme sul soccorso e l‘assistenza alle popolazioni colpite da calamità‖. Si
hanno, così, per la prima volta, disposizioni di carattere generale che prevedono
un‘articolata organizzazione di Protezione Civile.
Rovinosi terremoti avevano colpito e devastato nel 1976 il Friuli e nel 1980 vaste zo-
ne della Campania e della Basilicata. In tali occasioni il governo, per far fronte
all‘emergenza, nominò un Commissario Straordinario, Giuseppe Zamberletti, come
previsto dalla legge 996/70. Zamberletti viene giustamente considerato come il "pa-
dre fondatore" dell'attuale Sistema della Protezione Civile italiana, e la sua intensa
opera organizzativa e di supporto politico alla nascita di un moderno apparato di Pro-
tezione Civile nel nostro paese non deve mai essere dimenticato.
Con il D.L. n°57 del 22 febbraio 1982, convertito nella legge 187/82, Zamberletti
viene nominato Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile, che nella sua
attività si avvarrà del Dipartimento della Protezione Civile, istituito con DPCM del
22 giugno 1982.
La Legge 24 febbraio 1992 n. 225 costituisce una pietra miliare nella storia della Pro-
tezione Civile Italiana. Dopo 22 anni dalla Legge n° 996 del 1970 nasce il ―Servizio
Nazionale della Protezione Civile‖ con la cui istituzione,la struttura di P.C. del paese
subisce una profonda riorganizzazione, realizzando molte delle anticipazioni di Zam-
berletti e dei suoi tecnici.
Con il Decreto Legislativo n° 112 del 31 marzo 1998 vengono ridefinite, suddivise
per ambiti di intervento, le attività e le funzioni che in vari campi sono mantenute
dallo Stato ed attribuite alle Regioni ed alle Amministrazioni Provinciali. A seguito
del trasferimento di funzioni disposto con tale Decreto legislativo,( che prevede,fra
l‘altro, che le funzioni in materia di volontariato siano ripartite fra Stato, Regioni e
Comuni ),è stato pubblicato il D.P.R. n°194/2001, che abroga il n°613/94 e detta di-
sposizioni in ordine alla partecipazione delle organizzazioni di volontariato di Prote-
zione Civile, per quanto attiene alla sfera di competenza statale.


                                                                          |Pagina      2
Il ciclo si chiude con la riforma del titolo V° della Costituzione (L. costituzionale
n°3/2001), che ha inserito la Protezione Civile fra le materie a legislazione concorren-
te.


LA STRUTTURA
Nella maggioranza dei Paesi europei, la Protezione Civile è un compito assegnato ad
una sola istituzione o a poche strutture pubbliche. In Italia, invece, è coinvolta in que-
sta funzione tutta l'organizzazione dello Stato, centrale e periferica, l‘intero sistema
degli Enti Locali, ed anche la società civile partecipa a pieno titolo al Servizio Nazio-
nale della Protezione Civile, attraverso le organizzazioni di volontariato. Questo per-
mette di garantire un livello di coordinamento centrale unito ad una forte flessibilità
operativa sul territorio e un coinvolgimento esplicito degli Enti Locali che già gesti-
scono il territorio anche "in tempo di pace". La forte enfasi sul volontariato (formato,
qualificato e inquadrato) permette inoltre di utilizzare nel comparto della Protezione
Civile, in caso di necessità, molte risorse professionali e umane della società civile.
A livello qualitativo, negli ultimi anni si è registrata una sempre maggiore crescita
formativa e maggiori tipologie di equipaggiamento fornite in dotazione ai gruppi di
Volontari; a livello quantitativo, in Italia si stimano in circa 300.000 i Volontari ope-
rativi di Protezione Civile, suddivisi ed organizzati in circa 2.500 gruppi distribuiti su
tutto il territorio nazionale. L'organizzazione è quindi, nel suo complesso, orientata su
principi di decentralizzazione territoriale e funzionamento "sistemico", fattori che ne
aumentano la flessibilità operativa, l‘immediatezza degli interventi e l'adattabilità ai
diversi ambiti territoriali proposti.
L'organismo che coordina la Protezione Civile in Italia, come già detto, è il Diparti-
mento della Protezione Civile, alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio
dei Ministri; ciò lo situa in una posizione "superiore" rispetto ai Dipartimenti diretta-
mente dipendenti da un "semplice" Ministero, facilitando così il coordinamento delle
risorse dello Stato - e di tutti gli altri Ministeri - in caso di emergenza.


                                                                               |Pagina    3
L'attuale Capo Dipartimento Nazionale è il medico Guido Bertolaso. Il Responsabile
della Protezione Civile in un Comune è il Sindaco nella sua funzione di Autorità di
Pubblica Sicurezza.
I componenti effettivi del sistema di Protezione Civile sono:
      Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco;
      Forze Armate;
      Forze di Polizia;
      Polizia Locale;
      Corpo Forestale dello Stato;
      Servizio Sanitario Nazionale;
      Croce Rossa Italiana;
      Servizi tecnici nazionali;
      Gruppi nazionali di ricerca scientifica;
      Istituto Nazionale di Geofisica;
      Corpo Nazionale Soccorso Alpino;
      Organizzazioni Regionali e Gruppi Regionali Volontari;
      Organizzazioni Provinciali e Gruppi Provinciali Volontari;
      Organizzazioni Comunali e Nuclei Comunali Volontari;
      Organizzazioni Umanitarie e di Volontariato (ONLUS).
Il coordinamento di tali componenti avviene, ai vari livelli territoriali e funzionali, at-
traverso il cosiddetto "Metodo Augustus", che permette ai rappresentanti di ogni
"funzione operativa" (Sanità, Volontariato, Telecomunicazioni, etc.) di interagire di-
rettamente tra loro ai diversi "tavoli decisionali" e nelle sale operative dei vari livelli
(COC, COM, DICOMAC, etc.), avviando così in tempo reale processi decisionali
collaborativi. Con COC si intende il Centro Operativo Comunale (responsabile delle
attività a livello di Comune); il COM è il Centro Operativo Misto, normalmente isti-
tuito a livello intercomunale o di Comunità Montana (si usa il termine CCS - Centro
Coordinamento Soccorsi per i COM di livello provinciale, spesso coordinati dal Pre-
fetto); la DICOMAC è la Direzione di Comando e Controllo, organo decisionale di

                                                                             |Pagina      4
livello nazionale attivato nelle grandi calamità. Esistono, a livello intermedio tra
COM/CCS e DICOMAC, Sale Operative Regionali (anche se la maggior parte delle
funzioni di coordinamento diretto sul territorio sono svolte a livello COM/CCS). O-
gnuno di questi tipi di Centro, ai vari livelli, è solitamente costituito su una sezione
"Strategia" (con i responsabili di funzione) ed una "Operativa" (con operatori e sup-
porti logistici necessari per garantire i collegamenti, la continuità operativa, il suppor-
to alle funzioni decisionali, etc.). Il Metodo Augustus (dal nome dell'Imperatore Au-
gusto, che era il primo ad aver costituito "tavoli consultivi" tra i suoi collaboratori) ha
già dimostrato la sua ottima funzionalità in occasione delle più recenti calamità che
hanno colpito il nostro paese.
Il Servizio Nazionale della Protezione Civile è un sistema fondato sul principio di
sussidiarietà cioè integrato alle esigenze dei cittadini.
Il primo responsabile della Protezione Civile in ogni Comune è il Sindaco, che orga-
nizza le risorse comunali secondo piani prestabiliti per fronteggiare i rischi specifici
del suo territorio. Quando si verifica un evento calamitoso, il Servizio Nazionale del-
la Protezione Civile è in grado, in tempi brevissimi, di definire la portata dell'evento e
valutare se le risorse locali siano sufficienti a farvi fronte.
In caso contrario si mobilitano immediatamente i livelli provinciali, regionali e, nelle
situazioni più gravi, anche il livello nazionale, integrando le forze disponibili in loco
con gli uomini e i mezzi necessari. Ma soprattutto si identificano da subito le autorità
che devono assumere la direzione delle operazioni: è infatti evidente che una situa-
zione di emergenza richiede in primo luogo che sia chiaro chi decide, chi sceglie, chi
si assume la responsabilità degli interventi da mettere in atto. Nei casi di emergenza
nazionale questo ruolo compete al Dipartimento della Protezione Civile, mentre la re-
sponsabilità politica è assunta direttamente dal Presidente del Consiglio dei Mini-
stri.




                                                                             |Pagina      5
IL DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE
Il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri è
il braccio operativo del Presidente del Consiglio, quando si tratta di affrontare i pro-
blemi della tutela delle persone e dei beni del Paese, sottoposti a particolari minacce e
pericoli che derivano da condizione di rischio naturale o ambientale.
Il Dipartimento, oggi organizzato in 8 uffici generali e 43 servizi, costituisce il fulcro
del servizio nazionale della Protezione Civile, con compiti di promozione e coordi-
namento dell'intero sistema; di intervento diretto in caso di calamità nazionali; di de-
finizione di procedure di intervento ed azione comuni a tutto il sistema; di orienta-
mento della legislazione relativa alla prevenzione dei rischi; di sostegno alle strutture
periferiche del sistema, specie le più deboli e meno dotate di risorse proprie; di pro-
mozione e sostegno alle attività di formazione e alla crescita dell'associazionismo di
Protezione Civile; di informazione dell'opinione pubblica e di promozione della cul-
tura della Protezione Civile specie nei confronti delle giovani generazioni; di regia
nella costruzione e nella gestione delle reti informative indispensabili per la preven-
zione dei rischi; di produzione e gestione delle normative eccezionali e derogatorie -
le ordinanze - indispensabili per accelerare gli interventi di emergenza e far fronte al-
le calamità, al fine di ridurre al minimo il danno alle persone e alle cose.
La specializzazione del personale del Dipartimento nell'area del governo delle emer-
genze, sia sotto il profilo amministrativo che tecnico-operativo, ha portato il Governo
a richiederne l'intervento in tutte le situazioni, anche atipiche, in cui siano necessari
capacità organizzativa e gestionale di operazioni complesse, il coordinamento effica-
ce ed autorevole di numerose amministrazioni ed istituzioni, come nel caso dei
"grandi eventi" o, più di recente, nell'affrontare i rischi nuovi che si presentano all'Ita-
lia dal versante del terrorismo internazionale, o da quello della diffusione di pericolo-
se epidemie.
Il Dipartimento della Protezione Civile garantisce e coordina sul territorio nazionale,
attraverso l‘Ufficio Gestione delle Emergenze – COAU (Centro Operativo Aereo U-
nificato), anche le attività di spegnimento degli incendi boschivi con la flotta aerea

                                                                               |Pagina    6
antincendio dello Stato, assicurandone l'efficacia operativa in coordinamento con le
Regioni.
Le Regioni inviano al Dipartimento (COAU) l‘elenco degli obiettivi prioritari da di-
fendere, per consentire allo stesso di definire il più opportuno schieramento e, sul pi-
ano tattico, stabilire le priorità di invio dei mezzi aerei.
Il Dipartimento della Protezione Civile definisce in particolare le procedure operative
concernenti:
   - la richiesta, da parte delle Regioni, per il tramite delle Sale Operative Unificate
       Permanenti (SOUP/COR), del concorso della flotta aerea dello Stato;
   - gli elementi di principio per l‘assegnazione di vettori e la condotta delle opera-
       zioni di spegnimento da parte del COAU.




La Protezione Civile si avvale dei Volontari Antincendi Boschivi (A.I.B.) che dispo-
ne di mezzi aerei ad ala fissa o rotante, messi a disposizione dallo Stato e dalle Re-
gioni, la cui gestione, pur nella totale autonomia, deve ispirarsi a principi e procedure
che consentano di ottenere la massima efficacia.
I mezzi aerei che fanno parte della flotta dello Stato (caratteristiche in All. ―A‖) sono
gli aeromobili:
   - di proprietà del Dipartimento (ed affidati in gestione a Società di lavoro aereo);
   - appartenenti ad altre Amministrazioni dello Stato quali, l‘Esercito Italiano, la
       Marina Militare, l‘Aeronautica Militare, il Corpo Forestale dello Stato ed il
       Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco, assegnati temporaneamente al Diparti-
       mento o appositamente noleggiati .
I mezzi aerei di proprietà dello Stato, sia civili che militari, operanti per la gestione
degli incendi boschivi sono velivoli di Stato.
I mezzi aerei noleggiati dal Dipartimento al fine di contrastare il fenomeno degli in-
cendi boschivi sono assimilati a velivoli di Stato.


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Lo schieramento base della flotta dello Stato sul territorio è stabilito in ragione dei
seguenti elementi:
- obiettivi prioritari da difendere;
- numero di vettori disponibili;
- caratteristiche degli aeromobili e delle linee di supporto logistico-tecnico;
- indicatori statistici ed indice stagionale di pericolo incendi sul territorio nazionale;
- caratteristiche orografiche del territorio da proteggere e le capacità territoriali
nell‘affrontare il rischio incendi boschivi.
Per obiettivi prioritari da difendere (anche indicati dalle Regioni) si intendono quelli
risultanti dal livello di protezione del territorio, in relazione al suo valore ambientale,
e/o alla presenza di aree urbanizzate che richiedono il primario impegno di salva-
guardia della vita umana.
La flotta A.I.B. dello Stato è impiegata a favore delle Regioni e delle Province Auto-
nome di Trento e Bolzano, che ne facciano richiesta al COAU attraverso le compe-
tenti SOUP/COR. Nella lotta attiva agli incendi boschivi taluni velivoli potranno es-
sere impiegati anche con funzioni di ricognizione, sorveglianza e/o comando e con-
trollo nei casi in cui la situazione e l‘entità dell‘incendio dovesse
richiederlo.
Nell‘ambito della propria competenza, ogni Regione che utilizzi propri aeromobili
per la lotta A.I.B. dovrà, tenendo conto delle loro limitate capacità, far sì che gli stes-
si interagiscano con i mezzi aerei resi disponibili dallo Stato. Allo scopo di consentire
al Dipartimento una corretta pianificazione, tutte le Regioni dovranno fornire, prima
dell‘inizio di ogni campagna antincendio, le necessarie informazioni in ordine al pro-
prio dispositivo aereo previsto nel piano A.I.B. attraverso un documento che illustri
in particolare i seguenti elementi:
• numero e tipologie di aeromobili disponibili;
• decorrenza e durata dei contratti di noleggio dei mezzi (periodo di disponibilità);
• dislocazione logistica dei mezzi in fase operativa e prontezza operativa quotidiana;
• compiti assegnati (ricognizione, avvistamento, trasporto personale, ecc.);

                                                                              |Pagina        8
• ogni altra informazione ritenuta significativa.
Ogni mezzo aereo opererà sotto il controllo della rispettiva SOUP/COR regionale e,
nell‘area dell‘incendio, sotto la direzione tattica del Coordinatore delle operazioni a
terra.




  IL NUOVO ORGANIGRAMMA DEL DIPARTIMENTO DELLA PROTE-
                                   ZIONE CIVILE




     Decreto PCM 12 dicembre 2001 pubblicato nella G.U. del 20 dicembre 2001




                                                                         |Pagina      9
L'ATTIVITÀ DEL DIPARTIMENTO


Sin dalla sua istituzione, il Dipartimento della Protezione Civile si è occupato di ge-
stione del rischio idrogeologico, uno dei principali rischi che affligge il Paese.
Le calamità che hanno colpito il territorio nazionale hanno insegnato che, per proteg-
gere in modo efficiente la vita dei cittadini e l‘integrità delle infrastrutture, occorre
prefigurare gli eventi possibili in un‘area, individuando quali potrebbero essere i dan-
ni e le attività da porre in essere prima, durante e dopo un‘emergenza: proprio per
questo motivo le attività di previsione e prevenzione hanno acquisito maggiore rilievo
rispetto a quanto avveniva in un pur recente passato.
Le attività di previsione e prevenzione si basano su un collegamento sempre più stret-
to tra Protezione Civile ed il mondo della ricerca scientifica, con nuovi sistemi tecno-
logici di raccolta ed elaborazione delle informazioni, con centri di elaborazione dei
dati in grado di segnalare con il massimo anticipo possibile le probabilità che si veri-
fichino eventi catastrofici, con l‘elaborazione di sofisticate ed efficienti cartografie di
rischio, con la promozione di strumenti normativi e tecnici finalizzati alla prevenzio-
ne ed mitigazione dei danni.
I Centri funzionali, il piano radar, il monitoraggio idropluviometrico, le reti di tra-
smissione dei dati, che di seguito vengono sommariamente presentati, sono solo alcu-
ni degli strumenti che la Protezione Civile sta mettendo in campo al fine di meglio
assolvere ai propri compiti istituzionali.


I COMPITI
Si pensa spesso che la Protezione Civile si limiti ad intervenire in caso di disastri e
calamità per portare soccorso ma questa affermazione non è del tutto esatta in quanto
la gran parte delle attività è destinata anche alla previsione e prevenzione degli eventi
calamitosi. La Legge n°225/92,infatti, prevede espressamente che le competenze del-
la Protezione Civile si articolino in maniera complessa non solo nella semplice "ge-
stione del post-emergenza", ma in una serie integrata di attività che coprono tutte le

                                                                             | P a g i n a 10
fasi del "prima e del dopo", secondo i quattro versanti della Previsione - Prevenzione
- Soccorso - Ripristino.
Gli studi, le ricerche, la formazione rivolta agli addetti del sistema (professionisti e
volontari), l‘attività di informazione rivolta alla popolazione, la pianificazione della
risposta all‘emergenza e le attività di esercitazione costituiscono la gran parte del la-
voro della Protezione Civile.
Comunque, il nucleo centrale dell'attività di Protezione Civile rimane tradizionalmen-
te costituito dalla "gestione dell'emergenza", e cioè dai cosiddetti compiti di assisten-
za e soccorso delle popolazioni colpite da calamità, anche se queste attività "eclatan-
ti" e di alta visibilità sono solo la punta dell'iceberg del lavoro di Protezione Civile.
Quando un Ente Locale chiede e ottiene dal Governo la dichiarazione dello stato di
emergenza (ovvero, si riscontra una situazione in cui le capacità di risposta dell'Ente
stesso non sono in grado di far fronte ai problemi che si sono presentati, e quindi bi-
sogna ricorrere alle risorse proprie dell'ordinamento territoriale superiore), chi gesti-
sce i fondi per l'emergenza può agire in deroga alle normative comunitarie e alla leg-
ge italiana in materia d'appalto, oltre ad avere la possibilità di emettere ordinanze
straordinarie (sempre rispettando i principi generali dell'ordinamento giuridico). Per
cause di forza maggiore (l'urgenza dell'intervento) viene sospesa la procedura di ag-
giudicazione delle opere pubbliche mediante gara d'appalto che ha tempistiche lun-
ghe; chi gestisce i fondi può affidare i lavori a ditte scelte a sua discrezione. Queste
facoltà si possono però esercitare solo nel caso delle cosiddette "Emergenze di Tipo
C", che sono le più gravi (il Tipo A si riferisce alle emergenze locali, gestibili su sca-
la comunale; quelle di Tipo B alle emergenze che richiedono una risposta e risorse su
scala provinciale o regionale; quelle di Tipo C alle emergenze di rilievo nazionale,
per estensione e/o gravità).
La dichiarazione dello stato d'emergenza comporta solitamente anche lo stanziamento
di fondi speciali da parte del Governo che vengono gestiti, fra gli altri soggetti, in
gran parte dalla Protezione Civile.


                                                                              | P a g i n a 11
LE ATTIVITA' DEL SERVIZIO NAZIONALE DELLA PROTEZIONE CIVI-
LE:


Le emergenze
E' fondamentale che la Protezione Civile sia una "macchina di intervento in emergen-
za" bene organizzata, in grado di ridurre al minimo il tempo che intercorre tra un e-
vento calamitoso e i primi soccorsi e interventi. A questo obiettivo sono dedicati il
lavoro di definizione dei "piani di emergenza", elaborati a livello nazionale e locale;
il continuo aggiornamento delle procedure di emergenza, indispensabili per far sì che
al momento del bisogno tutti coloro che devono intervenire sappiano già cosa fare e
come farlo; lo scambio regolare di informazioni tra tutti i livelli del sistema; le attivi-
tà di formazione del personale e le esercitazioni di tutte le componenti che interven-
gono nella Protezione Civile; il potenziamento dei mezzi tecnici a disposizione.
Grazie a questo lavoro sistematico e all'iniziativa delle strutture decentrate soprattutto
a livello regionale, negli ultimi anni gli interventi di Protezione Civile hanno visto i
tempi medi del soccorso ridursi notevolmente proprio per la maggiore conoscenza
delle azioni necessarie e le capacità di operare per ridurre il danno alle persone, alle
cose, al patrimonio artistico e ai beni culturali e per i tempi del ripristino delle norma-
li condizioni di vita nelle zone disastrate.




Previsione
La storia delle grandi catastrofi che hanno colpito il nostro Paese negli ultimi decenni
ci ha insegnato che, per proteggere con efficacia la vita dei cittadini e il patrimonio
delle comunità, non bisogna puntare solo su soccorsi tempestivi, ma occorre dedicare
energie e risorse importanti alla previsione e alla prevenzione delle calamità. L'attivi-
tà di previsione è assicurata da un sistema di reti che collegano la Protezione Civile ai
centri nazionali di ricerca scientifica, a sistemi tecnologici di raccolta ed elaborazione
di informazioni sui diversi tipi di rischio e sulle condizioni che possono aumentare le

                                                                             | P a g i n a 12
probabilità di pericolo per la collettività, a centri di elaborazione delle informazioni in
grado di segnalare con il massimo anticipo possibile le probabilità che si verifichino
eventi catastrofici.
Questo insieme di attività tecnico-scientifiche, che vanno dalla raccolta di informa-
zioni del territorio, fino all‘ interpretazione dei dati raccolti, permette alla Protezione
Civile di valutare le situazioni di possibile rischio, affinché venga attuato un possibile
intervento con il massimo anticipo utile, e di fornire alle autorità preposte gli elemen-
ti necessari che possono apportare decisioni ragionate e tempestive.
E' questo il lavoro continuo, poco visibile, ma di fondamentale importanza, dei nuclei
di previsione della Protezione Civile, che si sta trasformando in una rete di "Centri
funzionali" organizzati a livello nazionale e regionale.
La conoscenza precisa e puntuale del territorio e dei possibili fenomeni all'origine
delle catastrofi, l'utilizzo di reti tecnologicamente avanzate, la rete nazionale dei si-
smografi, i sofisticati sistemi di monitoraggio dell'attività dei vulcani, e delle migliori
competenze scientifiche e professionali disponibili ha consentito alla Protezione Civi-
le italiana di intervenire con tempestività e, quando possibile, con misure preventive
come l'evacuazione delle aree a rischio.
Un esempio recente di attività di previsione riguarda l'evacuazione preventiva delle
aree a rischio per l‘ inondazione che ha colpito il Piemonte nel 2002 e che ha evitato
che vi fossero delle vittime, mentre un analogo evento verificatosi solo due anni pri-
ma si era rivelato fatale per decine di persone.


Prevenzione
La conoscenza del territorio e delle soglie di pericolo per i vari rischi costituisce la
base, oltre che per le attività di previsione necessarie a rendere efficiente la macchina
dei soccorsi, anche per individuare gli indirizzi e le linee dei vari tipi di interventi di
prevenzione possibili.
E' compito della Protezione Civile individuare e segnalare alle autorità competenti gli
interventi utili a ridurre, entro soglie accettabili, la probabilità che si verifichino even-

                                                                              | P a g i n a 13
ti disastrosi, o almeno a limitare il possibile danno; in questo contesto si inquadra la
recente revisione della carta sismica nazionale. Come è noto, la scienza non è in gra-
do, ad oggi, di prevedere il verificarsi di un terremoto.
Tuttavia, sono disponibili informazioni rigorose e scientificamente verificate sulla di-
versa esposizione al rischio sismico delle aree del territorio nazionale, che permetto-
no di individuare in quali comuni sia necessario ricorrere a tecniche edilizie idonee ad
aumentare la resistenza dei manufatti in caso di terremoto, in modo da ridurre i crolli
e soprattutto il numero delle possibili vittime.
Oltre al rischio sismico, il sistema della Protezione Civile tiene sotto controllo in mo-
do sempre più accurato i vari tipi di rischi idrogeologici, la mappa delle aree più sog-
gette agli incendi boschivi, le aree dove più probabili sono i rischi legati all'alto livel-
lo di industrializzazione.


Le relazioni internazionali
Il Dipartimento opera anche a livello internazionale, in accordo con le analoghe isti-
tuzioni di altri Paesi e nel quadro delle istituzioni internazionali a livello mondiale e
soprattutto europeo, e partecipa ad interventi di Protezione Civile all'estero, che rap-
presentano un segno della solidarietà internazionale dell'Italia e della capacità opera-
tiva, tecnica ed umana degli uomini della nostra Protezione Civile. Il Dipartimento
punta molto, oggi, anche allo sviluppo di relazioni internazionali a livello tecnico-
scientifico, nella consapevolezza che spesso i rischi ambientali sono legati a fattori
che vanno ben al di là dei confini nazionali. A livello di prevenzione a medio e lungo
termine, soprattutto in campo idrogeologico, si è dimostrato utile lo sviluppo interna-
zionale delle reti di informazione e monitoraggio, lo scambio di informazioni e di
metodologie, l'avvio di relazioni permanenti con centri di ricerca, specialisti e struttu-
re organizzate dalla Protezione Civile degli altri Paesi europei. Questa nascente coo-
perazione internazionale permette all'Italia di verificare e valutare metodi, procedure,
tecniche operative e modelli organizzativi alla luce delle esperienze compiute in altri
Paesi, ma anche di esportare fuori dei confini nazionali il know how del nostro siste-

                                                                             | P a g i n a 14
ma di Protezione Civile, con particolare riguardo all'esperienza del volontariato ita-
liano, unica nel panorama europeo per estensione e organizzazione.


Il problema sismico in Italia
Il terremoto, per la severità e la globalità del suo impatto, è senza dubbio l‘evento di
origine naturale più disastroso che caratterizza il territorio nazionale. L‘Italia è, infat-
ti, un paese ad elevata sismicità, per la frequenza degli eventi che hanno interessato il
suo territorio e per l‘intensità che alcuni di essi hanno storicamente raggiunto, deter-
minando un rilevante impatto sociale ed economico.
Alcuni numeri consentono di delineare le dimensioni di ciò che possiamo definire il
problema sismico in Italia: 2.500 terremoti con intensità Mercalli maggiore del V
grado hanno colpito il nostro territorio nell‘ultimo millennio, 200 dei quali distruttivi,
120.000 vittime nell‘ultimo secolo (85.000 delle quali dovute al terremoto di Reggio
Calabria e di Messina del 1908), 20 terremoti con intensità superiore od uguale al IX
grado della scala Mercalli dal 1900 ad oggi, un terremoto disastroso in media ogni 4
anni, ed un danno economico, valutato per gli ultimi venticinque anni in circa 75 mi-
liardi di euro (145.000 miliardi delle vecchie lire), impiegati per il ripristino e la rico-
struzione post-evento. A ciò si devono aggiungere le conseguenze che si avrebbero
sul patrimonio storico, artistico, monumentale del nostro paese che è fortemente
esposto agli effetti del terremoto.
Considerando alcuni dei più recenti e maggiori terremoti avvenuti nel mondo, si può
notare che, eventi di energia (magnitudo) equivalente fra di loro, hanno determinato
vittime e danni molto diversi in funzione delle caratteristiche del patrimonio abitativo
(età, tipologia edilizia, uso), della distribuzione dei centri abitati, della densità di po-
polazione, delle vie di comunicazione, della presenza e dislocazione dei centri opera-
tivi di pronto intervento, delle attività produttive, delle industrie a rischio, etc.
In Italia il rapporto tra i danni prodotti dai terremoti e l‘energia rilasciata nel corso
degli eventi è molto più alto rispetto a quello che si verifica normalmente in altri pae-
si ad elevata sismicità, quali la California o il Giappone. Ad esempio, il terremoto ve-

                                                                               | P a g i n a 15
rificatosi in Umbria e nelle Marche nel 1997, malgrado fosse caratterizzato da
un‘energia circa 30 volte inferiore, ha prodotto un quadro di danneggiamento (senza
tetto: 32.000, danno economico: 5 miliardi di Euro attualizzabili al 2002) confronta-
bile con quello della California del 1989 (14.5 miliardi di $ USA). Ciò è dovuto prin-
cipalmente al fatto che il nostro patrimonio edilizio è caratterizzato da una notevole
fragilità, a causa soprattutto della sua vetustà e cioè delle sue caratteristiche tipologi-
che e costruttive e per lo scadente stato di manutenzione.


Cosa fa la Protezione Civile?
                               Il Dipartimento della Protezione Civile, direttamente o in
                           collaborazione con altri enti facenti parte del sistema na-
                           zionale di Protezione Civile, svolge anche attività volte a
                           mitigare il rischio vulcanico sul territorio italiano, adottan-
                           do le misure opportune per ridurre le perdite di vite umane e
di beni in caso di eruzione.
Tali attività si possono suddividere in:
 - sorveglianza dei vulcani e previsione delle eruzioni;
                                  - prevenzione dal rischio vulcanico;
                                  -difesa dalle eruzioni e gestione delle   emergenze;
                                  - ripristino delle normali condizioni di vita.
                                  Per quanto riguarda la sorveglianza dei vulcani e la
                                  previsione delle eruzioni, occorre notare che
                                  prevedere un'eruzione vulcanica significa dove e
quando avverrà e di che tipo sarà. Per rispondere alle prime due domande (dove e
quando) è necessario installare delle reti di monitoraggio che rilevano una serie di pa-
rametri fisico- chimici indicativi dello stato del sistema vulcanico e ogni loro eventu-
ale variazione rispetto al livello di base individuato.




                                                                               | P a g i n a 16
La previsione a breve - medio termine si basa infatti sul riconoscimento e sulla misu-
ra dei fenomeni che accompagnano la risalita del magma verso la superficie, che
vengono detti fenomeni precursori.
I principali fenomeni precursori consistono nell'innesco di fratture (terremoti) causato
dall'induzione di tensioni meccaniche nelle rocce, nel rigonfiamento o cambiamento
di forma dell'edificio vulcanico provocato dall'intrusione del magma, nelle variazioni
del campo gravimetrico e magnetico nell'intorno dell'edificio vulcanico, nell'incre-
mento e cambiamento di composizione delle emanazioni gassose dai crateri e dal
suolo, nelle variazioni delle caratteristiche fisico chimiche delle acque di falda.
Questi fenomeni, che accompagnano la risalita del magma, possono essere rilevati da
opportune reti strumentali fisse, in acquisizione 24 ore al giorno, oppure attraverso la
reiterazione periodica di campagne di misura.
La sorveglianza dei vulcani italiani è condotta e coordinata dall'Istituto Nazionale di
Geofisica e Vulcanologia, che opera in convenzione con il Dipartimento della Prote-
zione Civile, attraverso le proprie sezioni preposte al monitoraggio vulcanico (Sezio-
ne di Napoli , Sezione di Catania, Sezione di Palermo).
Per prevedere invece di che tipo sarà la prossima eruzione (previsione dei possibili
scenari eruttivi futuri) occorre effettuare studi sulla storia eruttiva del vulcano in og-
getto ed estrapolare al futuro il suo comportamento passato. Un altro importante con-
tributo è dato dagli studi geofisici (gravimetrici e di tomografia sismica) volti a defi-
nire quale sia la struttura profonda del vulcano e il suo stato attuale.
                                Per quanto riguarda le attività di prevenzione del ri-
                                schio vulcanico si possono annoverare :
                                · Studi di pericolosità; ricostruendo la storia eruttiva
                                del vulcano in oggetto e tenendo conto dello stato in
                                cui il vulcano si trova attualmente, è possibile fare pre-
                                visioni sul tipo di eruzione attesa più probabile.
· Definizione degli scenari di riferimento ed elaborazione di mappe di pericolosità e
rischio; una volta individuato il tipo di eruzione più probabile, è possibile predisporre

                                                                             | P a g i n a 17
degli scenari eruttivi (anche attraverso lo sviluppo di modelli di simulazione fisico-
matematici) ed elaborare delle mappe di pericolosità e rischio.
· Pianificazione d'emergenza; i piani di emergenza, redatti sulla base di uno o più
scenari eruttivi e delle corrispondenti mappe di pericolosità, prevedono tutte le azioni
da intraprendere in caso di crisi e generalmente contemplano l'evacuazione della po-
polazione dalle aree esposte a pericolo. Sono stati elaborati i piani nazionali di emer-
genza vulcanica per il Vesuvio e i Campi Flegrei (attualmente in fase di aggiorna-
mento), mentre altri piani analoghi sono in corso di stesura per i vulcani siciliani. Esi-
stono inoltre una serie di piani comunali redatti in accordo con i piani nazionali. E‘
importante che il rischio vulcanico sia tenuto in debita considerazione nella pianifica-
zione del territorio, al fine di evitare nuove costruzioni nelle aree esposte.


· Riduzione della vulnerabilità; è in fase di studio la possibilità di ridurre la vulnera-
bilità delle costruzioni sottoposte ad alcune fenomenologie vulcaniche di minore im-
patto (es. caduta e accumulo di ceneri).


· Attività di educazione e informazione delle popolazioni esposte al rischio; il Dipar-
timento della Protezione Civile promuove lo sviluppo di iniziative educative, soprat-
tutto nelle scuole, volte a incrementare la conoscenza dei rischi, dei piani di emergen-
za, delle norme di comportamento da osservare in caso di crisi e a far crescere la cul-
tura della Protezione Civile. Inoltre, supporta la creazione di "centri visitatori" presso
i vulcani italiani.
Per quanto riguarda la difesa dalle eruzioni e gestione delle emergenze ,
in caso di eruzione dei vulcani italiani, il Dipartimento della Protezione Civile inter-
viene con propri uomini e mezzi sui territori interessati dai fenomeni vulcanici, per
attuare i piani di emergenza, soccorrere le popolazioni esposte e mitigare gli effetti
dannosi, attivando e coordinando iniziative di difesa attiva (es. deviazione delle cola-
te laviche) o passiva (es. evacuazione pianificata, raccolta e smaltimento ceneri, di-
stribuzione di dispositivi di autoprotezione per la caduta di ceneri).

                                                                             | P a g i n a 18
Per quanto riguarda il ripristino delle normali condizioni di vita, bisogna osservare
che, a seguito di eruzioni vulcaniche, come di ogni altro evento calamitoso per il qua-
le viene dichiarato lo stato di emergenza, il Dipartimento della Protezione Civile con-
corre al ripristino delle normali condizioni di vita, prevedendo lo stanziamento di
fondi appositi e promuovendo una serie di iniziative contenute in specifiche ordinan-
ze o altri atti legislativi. La gestione delle fasi di ricostruzione viene poi usualmente
affidata ad un commissario delegato.


Valutazioni di rischio sismico per il patrimonio abitativo e la popolazione
Il Dipartimento della Protezione Civile (DPC) presenta alcuni risultati della collabo-
razione con l‘Istat durante il biennio 2002-2003. La collaborazione, tra Istat e DPC -
formalizzata da un Protocollo d‘intesa firmato il 10 dicembre 2001 - nasce per soddi-
sfare l‘esigenza di aggiornare e migliorare le mappe di rischio sismico relative
all‘intero territorio nazionale e di aggiornare la base dati utilizzata per la produzione
degli scenari post-evento del DPC, tramite l‘utilizzo di alcuni dati derivanti dai cen-
simenti.
I dati di principale interesse ai fini dell‘aggiornamento delle mappe di rischio sismico
sono quelli sulle caratteristiche degli edifici e sulla popolazione residente in ciascuna
sezione di censimento. Per la realizzazione delle mappe di rischio e l‘aggiornamento
delle basi dati sugli scenari di danno, sono state effettuate delle elaborazioni, appli-
cando specifiche metodologie, su alcune caratteristiche degli edifici; tipo: materiale
usato per la struttura portante, epoca di costruzione, contiguità, numero dei piani fuori
terra, numero di interni, numero di abitazioni, superficie, popolazione residente. Sono
stati, inoltre, effettuati confronti con i dati rilevati nel 1991, a suo tempo elaborati
congiuntamente dall‘Istat e dal DPC.
Le procedure per il calcolo dei parametri di rischio sono quelle utilizzate per la pro-
duzione delle statistiche sul rischio sismico pubblicate sulle Statistiche ambientali e
gli Annuari statistici dell‘Istat. Tali procedure sono state messe a punto nel 1996 da
un gruppo di lavoro sul rischio sismico, istituito dal DPC, con il compito di predi-

                                                                           | P a g i n a 19
sporre in tempi brevissimi una cartografia dettagliata del rischio sismico sul territorio
nazionale riferito alla popolazione e alle abitazioni. Il gruppo di lavoro, composto da
esperti del Gruppo nazionale per la difesa dai terremoti (GNDT), del Servizio Sanita-
rio Nazionale (SSN) e dell‘Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), si
basò sui dati del censimento ISTAT 1991 e terminò i suoi lavori ad agosto dello stes-
so anno con la presentazione di un rapporto e di tabelle relative a tutti i comuni italia-
ni.
Nelle tabelle, qui aggiornate sulla base dei dati del censimento 2001, vengono presen-
tati alcuni risultati di valutazione del rischio espresso in termini di perdite annue atte-
se al patrimonio edilizio abitativo ed alla popolazione a causa degli eventi sismici. La
perdita del patrimonio include solo i costi diretti derivanti dal danno subito dalle abi-
tazioni. Le perdite relative alla popolazione sono espresse in termini di persone resi-
denti nelle abitazioni che subiscono i danni più gravi (crolli) e che quindi sono più
correlabili al rischio per la vita.
Nelle figure le perdite sono riferite ad un periodo di 100 anni, per una migliore lettura
dei risultati. Si evidenzia che i risultati sono stati ottenuti utilizzando dati e metodo-
logie in massima parte già disponibili, al fine di ottimizzare le conoscenze già conso-
lidate. La pericolosità sismica è stata valutata a partire dai dati utilizzati dal gruppo di
lavoro del 1996, per consentire un confronto omogeneo fra dati del patrimonio abita-
tivo del 1991 e del 2001.




                                                                             | P a g i n a 20
Rischio sismico in Italia




Figura 1 – Valore atteso di abitazioni crollate per comune. Percentuale media in 100 anni (dati sulle
                                  abitazioni del censimento 1991)




                                                                                     | P a g i n a 21
Figura 2 – Valore atteso di abitazioni crollate per comune. Percentuale media in 100 anni (dati sulle
                                  abitazioni del censimento 2001)




                                                                                     | P a g i n a 22
Il rischio vulcanico


Il rischio viene definito come il danno possibile atteso dovuti al verificarsi di un e-
vento di una data intensità, in una particolare area, in un determinato periodo di tem-
po.




Quanto maggiore è la probabilità di eruzione, tanto maggiore è il rischio; così pure,
quanto maggiori sono i beni e la popolazione esposta, tanto maggiore è il danno che
ne potrebbe derivare e quindi il rischio. Per fare un esempio, il rischio è molto minore
per i vulcani dell'Alaska, che si trovano in zone a bassa densità di popolazione, piut-
tosto che al Vesuvio, nei cui dintorni vivono circa 600 mila persone.




                                                                          | P a g i n a 23
La situazione in Italia




Mediamente in Italia l'uso del territorio vicino ai vulcani, non ha tenuto conto della
loro pericolosità, permettendo l'instaurarsi di situazioni di alto rischio. Naturalmente
non tutti i vulcani italiani presentano lo stesso livello di rischio che, come abbiamo
detto, dipende da vari fattori.
      In Italia esistono numerosi vulcani, sia estinti, sia quiescenti, sia attivi. Sebbe-
      ne alcuni studiosi ritengono che non si possa mai considerare del tutto estinto
      un vulcano, la comunità scientifica internazionale ha adottato dei criteri per
      classificare i vulcani rispetto al loro stato di attività: Vulcani estinti: quelli la
      cui ultima eruzione risale ad oltre 10.000 anni fa. I principali vulcani italiani
      che rientrano in questa categoria sono: Monte Amiata, Vulsini, Cimini, Vico,
      Sabatini, Isole Pontine, Roccamonfina, Vulture.
      Vulcani quiescenti: sono vulcani attivi che hanno dato eruzioni negli ultimi
      10.000 anni, ma si trovano attualmente in una fase di riposo da tempo più o
      meno lungo. Secondo una definizione più rigorosa, si considerano quiescenti
      quei vulcani il cui tempo di riposo attuale è inferiore al più lungo periodo di ri-
      sposo registrato in precedenza.

                                                                            | P a g i n a 24
In Italia si trovano in questa situazione: Colli Albani, Campi Flegrei, Ischia,
   Vesuvio, Salina, Lipari, Vulcano, Isola Ferdinandea, Pantelleria.
   Vulcani attivi: quelli che hanno dato eruzioni negli ultimi anni. In Italia: Etna e
   Stromboli.




Vulcano                                  Ultima eruzione

Stromboli                                Attività persistente

Etna                                     2002-2003

Vesuvio                                  1944

Pantelleria                              1891

Vulcano                                  1888-1890

Isola Ferdinandea                        1831

Campi Flegrei                            1538

Ischia                                   1302

Lipari                                   VI - VII secolo d.C.




                                                                        | P a g i n a 25
La legge 8/12/1970 n°966 ha previsto le ―Norme sul soccorso e sull'assistenza alle
popolazioni colpite da calamità naturali‖.
Queste norme regolano tutte le procedure di assistenza alle popolazioni colpite dalle
calamità naturali.
Gli articoli più importanti sono gli artt. 5 e 6.
L‘articolo 5 prevede che: Alla dichiarazione di catastrofe o di calamità naturale, salvo
i casi di evento non particolarmente grave cui provvedono gli organi locali elettivi e
gli organi ordinari della Protezione Civile, si provvede con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per l'interno, anche su richiesta degli
organi della regione o degli enti locali.Al Ministro per l'interno fanno capo tutti i ser-
vizi e gli interventi delle pubbliche amministrazioni, civili e militari-centrali e perife-
riche di enti pubblici e di privati, onde assicurarne la maggiore tempestività ed il più
coordinato ed armonico impiego.Con il decreto di cui al primo comma si provvede
alla nomina di un commissario, che può anche essere scelto tra membri del Governo e
del Parlamento, esperti o tecnici estranei alla pubblica amministrazione, amministra-
tori regionali o di enti locali.Il commissario assume sul posto, ai fini della necessaria
unità, la direzione dei servizi di soccorso, ed attua le direttive generali ed il coordi-
namento dei servizi, avvalendosi comunque della collaborazione degli organi regio-
nali e degli enti locali interessati.Per quanto concerne i servizi e gli interventi delle
forze armate, che potranno essere impiegate anche in unità organiche elementari, essi
saranno richiesti, in occasione di calamità naturali o catastrofe, dal Ministro per l'in-
terno o dal commissario nominato al Ministro per la difesa o alla autorità da esso de-
legata.
Articolo 6
Il Ministero dell'interno:
a) predispone ed attua i provvedimenti necessari per assicurare in caso di calamità na-
turale o catastrofe i seguenti servizi:
1) interventi tecnici urgenti;
2) assistenza di primo soccorso alle popolazioni colpite.

                                                                             | P a g i n a 26
Per l'esecuzione dei compiti di cui al precedente numero 1) il Ministero dell'interno
provvede mediante il Corpo nazionale dei vigili del fuoco nella cui organizzazione
sono costituiti reparti mobili di immediato impiego specialmente attrezzati e nuclei
elicotteri e sommozzatori. Per i compiti di cui al numero 2) si provvede mediante re-
parti di soccorso pubblico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e centri assisten-
ziali di pronto intervento per il primo aiuto alle popolazioni;
b) cura la realizzazione delle opere di urgente necessità e delle attrezzature occorrenti
per la protezione della popolazione civile;
c) cura, tramite il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, l'istruzione, l'addestramento e
l'equipaggiamento in materia di Protezione Civile di cittadini che volontariamente of-
frono la prestazione della loro opera nei servizi di Protezione Civile.
Per le volontarie prestazioni di cui alla lettera c) nessun rapporto si instaura con l'amministrazione
la quale è peraltro tenuta ad assumere a proprio carico oneri assicurativi che garantiscano prestazio-
ni pari a quelle previste per il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.


La situazione in Italia


Le frane sono molto diffuse nel nostro Paese a causa delle condizioni orografiche e
della conformazione geologica del territorio, per frana s‘intende un ―movimento di
una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante‖.
L‘impatto socio-economico dei fenomeni franosi in Italia è rilevantissimo e fa sì che
il nostro paese sia tra i primi al mondo nella classifica dei danni in termini economici
e, soprattutto, in termini di perdita di vite umane.
Inoltre un rapporto del Ministero dell‘Ambiente e della Tutela del Territorio e
dell‘Unione delle Province d‘Italia indica come in Italia le aree a rischio elevato e
molto elevato di frana siano diverse migliaia e coprano una superficie di 13.760 kmq,
pari a ben il 4,5 % del territorio italiano.




                                                                                        | P a g i n a 27
Alluvioni


Le alluvioni sono tra le manifestazioni più tipiche del dissesto idrogeologico e sono
causate da un corso d‘acqua che, arricchitosi con una portata superiore a quella previ-
sta, rompe le arginature oppure tracima sopra di esse, invadendo la zona circostante
ed arrecando danni ad edifici, insediamenti industriali, vie di comunicazione, zone
agricole, etc.
Le alluvioni più importanti che hanno interessato l‘Italia e che hanno comportato un
pesante bilancio sia in termini di vite umane che di danni, sono state quelle del Po nel
Polesine (1951), dell‘Arno (1966) e del Po nel Nord Italia (1994 e 2000).
I fenomeni alluvionali censiti nella Banca dati del Progetto AVI (Aree Vulnerate Ita-
liane), realizzata dal GNDCI-CNR per conto del Dipartimento, sono state nel periodo
tra il 1918 e il 1994 oltre 28.000 ed hanno interessato più di 15.000 località.




Inoltre, in un rapporto del Ministero dell‘Ambiente e della Tutela del Territorio e
dell‘Unione delle Province d‘Italia viene riportato che in Italia le aree a rischio eleva-
to e molto elevato di alluvione sono diverse migliaia e coprono una superficie di
7.774 kmq, pari al 2,6 % della superficie nazionale. Il territorio italiano è interessato,
con frequenza sempre maggiore, da alluvioni che avvengono con precipitazioni che
possono anche non avere carattere di eccezionalità. Tra le cause dell‘aumento della
frequenza dei fenomeni vi sono senza dubbio l‘elevata antropizzazione e la diffusa
                                                                            | P a g i n a 28
impermeabilizzazione del territorio, che impedendo l‘infiltrazione della pioggia nel
terreno, aumentano i quantitativi e le velocità dell‘acqua che defluisce verso i fiumi, e
la mancata pulizia dei fiumi che rende meno efficienti dal punto di vista idraulico gli
alvei dei corsi d‘acqua.
Molti bacini idrografici, presenti soprattutto in Liguria e Calabria, sono caratterizzati
da tempi di sviluppo delle piene dell‘ordine di qualche ora; per tale motivo, è fonda-
mentale allertare gli organi istituzionali presenti sul territorio con il maggior anticipo
possibile, al fine di ridurre l‘esposizione delle persone agli eventi e limitare i danni al
territorio.
Una efficiente difesa dalle alluvioni si basa sia su interventi strutturali quali, per e-
sempio, argini, invasi di ritenuta, canali scolmatori, drizzagni, etc., sia su interventi
non strutturali, ovvero quelli relativi alla gestione del territorio, come i provvedimenti
di limitazione della edificabilità, oppure quelli relativi alla gestione delle emergenze,
come la predisposizione dei modelli di previsione collegati ad una rete di monitorag-
gio, la stesura dei piani di emergenza, la realizzazione di un efficiente sistema di co-
ordinamento delle attività previste in tali piani. Le norme di comportamento da mette-
re in atto prima, durante e dopo una alluvione.


Erosioni costiere e mareggiate
In un paese costiero ed al tempo stesso industrializzato come il nostro, il problema
dell‘erosione costiera è molto diffuso. Negli ultimi decenni, a causa dei prelievi indi-
scriminati di ghiaia e di sabbia lungo l‘alveo di molti fiumi italiani, è diminuito
l‘apporto del trasporto solido fluviale recapitato alle spiagge. Per tale motivo, in nu-
merosi litorali la linea di costa è vistosamente arretrata, portandosi a ridosso di infra-
strutture viarie, edifici, insediamenti industriali, minacciandone la stessa esistenza e
costringendo talvolta la popolazione ad evacuare l‘area.




                                                                             | P a g i n a 29
Il problema è stato inoltre aggravato dalle mareggiate che, con frequenza variabile, si
abbattono sulle coste e modificano, in modo anche sostanziale, la morfologia della li-
nea di costa.
Per contrastare tali fenomeni, la Protezione Civile ha attuato vari piani di prevenzio-
ne, che consistono nella costruzione di numerose opere di difesa, sia trasversali alla
riva (pennelli), longitudinali (frangiflutti), che radenti (muri di sponda, paratie, etc.).
Nei casi in cui l‘arretramento sia stato talmente cospicuo da erodere gran parte della
spiaggia, sono stati attuati interventi più drastici, quali – per esempio - il ripascimento
artificiale, consistente nell‘alimentazione di una spiaggia, mediante idoneo materiale
di riporto, estratto da cave di prestito.


Subsidenze e sprofondamenti


La subsidenza consiste in un lento processo di abbassamento del suolo, che può coin-
volgere territori di estensione variabile. Tale fenomeno è generalmente causato da
fattori geologici, ma negli ultimi decenni è stato localmente aggravato dall‘azione
dell‘uomo ed ha raggiunto dimensioni superiori a quelle di origine naturale.
Le subsidenze prodotte o aggravate da azioni antropiche possono essere date da e-
mungimento di acque dal sottosuolo, estrazione di gas o petrolio, carico di grandi
manufatti, estrazione di solidi, etc: in questo caso i valori totali possono essere anche
di qualche metro.
La subsidenza naturale è causata da molteplici fattori: movimenti tettonici, raffred-
damento di magmi all‘interno della crosta terrestre, costipamento di sedimenti, etc.; i

                                                                             | P a g i n a 30
movimenti verticali di tipo naturale possono raggiungere valori di qualche millimetro
l‘anno.
In Italia i fenomeni di lenta subsidenza si sono verificati lungo la fascia costiera a-
driatica da Rimini a Venezia (dove questo fenomeno è particolarmente noto), spe-
cialmente nei pressi del Delta del Po, ma anche nei dintorni di agglomerati urbani
come Milano, Bologna e Modena, in questi casi soprattutto per l‘estrazione di acqua
dal sottosuolo. Casi più recenti sono stati segnalati in Puglia, nella Piana di Sibari e
nella Pianura Pontina.
I provvedimenti da attuare a fini preventivi consistono essenzialmente in una corretta
gestione delle risorse idriche, evitando di ricorrere in modo eccessivo al prelievo dal-
le falde, ed in una rigorosa pianificazione delle attività estrattive.




Un problema solo per alcuni versi affine a quello della subsidenza, ma che ha, al con-
trario del primo, importanti ricadute di Protezione Civile, è quello degli sprofonda-
menti rapidi (sinkholes). Tali fenomeni sono dovuti sia a cavità naturali presenti nel
sottosuolo che a cavità realizzate dall‘uomo fin dall‘antichità (cave in sotterraneo,
ambienti di vario uso, depositi, acquedotti, fognature, drenaggi ecc).
In Italia i fenomeni di dissesto provocati da cavità sotterranee sono frequenti ed han-
no determinato spesso ingenti danni materiali e, in molti casi, anche la perdita di vite
umane.


                                                                          | P a g i n a 31
Relativamente agli aspetti di Protezione Civile si sottolinea che il rischio legato alle
cavità sotterranee è particolarmente diffuso nelle aree urbane dove l‘azione
dell‘uomo ha portato alla creazione di vuoti nel sottosuolo per la maggior parte dei
quali si è persa la consapevolezza dell‘esistenza, a causa soprattutto della incontrolla-
ta crescita urbanistica degli ultimi decenni.
In considerazione delle oggettive difficoltà che si incontrano in tali aree per addiveni-
re ad una corretta analisi della pericolosità, il Dipartimento della Protezione Civile ha
avviato un progetto finalizzato alla definizione dei criteri tecnico-scientifici per
l‘individuazione delle cavità, per l‘analisi della loro pericolosità e per la definizione
degli interventi più efficaci da realizzare sia in fase di emergenza che in fase di pre-
venzione a medio e lungo termine.


Valanghe


Le valanghe (o slavine) sono costituite da masse nevose che si distaccano in modo
improvviso e repentino dai pendii di un rilievo, precipitando verso valle ed accre-
scendosi di volume durante il percorso. Il pericolo delle valanghe è fortemente legato
alla presenza turistica in montagna e quindi alle maggiori esposizioni di rischio delle
persone, degli edifici e delle infrastrutture .




                                                                           | P a g i n a 32
La classificazione delle valanghe non è delle più semplici a causa delle notevoli va-
riabili che entrano in gioco (tipo di distacco, tipo di neve, posizione del piano di scor-
rimento, etc.).
Secondo la terminologia adottata in recenti pubblicazioni dell‘AINEVA (Associazio-
ne Interregionale Neve e Valanghe), con riferimento al tipo di distacco, si parla di di-
stacco puntiforme, che genera una valanga di neve a bassa coesione oppure di distac-
co lineare che dà luogo ad una valanga a lastroni.
E‘ molto importante, per le valanghe (che possono essere sia spontanee che innesca-
te), determinare se si tratti di valanghe di superficie o di fondo: se la rottura avviene
all‘interno del manto nevoso, si ha una valanga di superficie, mentre se avviene a li-
vello del terreno, la valanga è detta di fondo. Le valanghe possono essere poi radenti
(a contatto con la superficie) o nubiformi (queste ultime sono dette anche polverose e
possono essere costituite di neve asciutta).
Prevedere la caduta di una valanga non è un compito semplice, in quanto spesso la lo-
ro caduta non è preceduta da alcun precursore; pur tuttavia sono note con una certa
precisione quali sono le aree a rischio di valanghe e vengono segnalate situazioni di
pericolo mediante i cosiddetti ―bollettini delle valanghe‖.
Le cause della valanghe possono essere diverse ma in ogni caso riferibili alla diminu-
zione della coesione della massa nevosa, che ne determina il distacco. A questo pro-
posito, aspetti di una certa rilevanza sono la lunga permanenza di uno strato di neve
in superficie, il riscaldamento primaverile e l‘azione di piogge di una certa consisten-
za.
Per quanto riguarda gli incidenti da valanga, i dati raccolti dall‘AINEVA indicano
che sulle Alpi in questi ultimi 25 anni sono morte in valanga mediamente una ventina
di persone sul versante italiano.
I provvedimenti da attuare nel caso di rischio valanghe consistono innanzitutto nel
conoscere quali sono le aree dove tali fenomeni si generano: in generale, infatti, le
valanghe prendono origine quasi sempre dagli stessi luoghi, tipicamente aree di alta


                                                                            | P a g i n a 33
montagna, con terreni rocciosi nudi, tra i 2.000 ed i 3.000 metri, prive per lo più di
copertura vegetale.
In questo caso un provvedimento da adottare consiste senz‘altro nell‘evitare queste
aree,   soprattutto   in   periodi   molto   pericolosi   (inizio primavera),        quando
l‘innalzamento delle temperature può essere tale da provocare lo scioglimento repen-
tino delle masse nevose.
In caso di incidente, è essenziale che ogni escursionista non sia mai solo, sia adegua-
tamente equipaggiato, al fine di rendere possibile l‘autosoccorso da parte degli altri
escursionisti in un arco di tempo sufficientemente ridotto. E‘ necessario dunque di-
sporre di un apparecchio di ricerca per la rapida localizzazione in valanga (ARVA)
che, posto in trasmissione all‘inizio dell‘escursione, viene commutato in modalità di
ricerca nel caso di incidente. Gli altri materiali per l‘autosoccorso sono costituiti da
una sonda leggera per l‘individuazione del punto esatto in cui si trova la persona se-
polta ed una pala per poter liberare il più velocemente possibile una persona sepolta:
in genere la profondità di seppellimento si aggira intorno al metro. Nel caso in cui
non si sia in grado di effettuare l‘autosoccorso, o anche semplicemente per avere bi-
sogno di aiuto, occorre chiedere immediatamente soccorso telefonando al 118. In
questo caso scatta il cosiddetto ―soccorso organizzato‖ organizzato appunto dal Soc-
corso Alpino con l‘ausilio di elicotteri, cani da valanga e tecnici specializzati.
Come prevenire il rischio di valanghe e cosa fare nel caso di caduta di una valanga.


Crisi idriche


In un sistema di approvvigionamento idrico si verifica una situazione di deficienza
idrica quando l‘ordinaria richiesta d‘acqua da parte degli utenti non può più essere
corrisposta, sia per eventi di siccità, inquinamento o errata gestione delle fonti di ali-
mentazione, sia per carenza negli impianti (D.P.C.M. 4 marzo 1996).
Negli ultimi decenni, si è venuta a delineare in Italia una situazione meteo-climatica
caratterizzata da una generalizzata diminuzione delle precipitazioni. In particolare,

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negli ultimi tre anni sono stati registrati prolungati periodi di scarse precipitazioni che
hanno determinato situazioni di emergenza idrica in gran parte del territorio nazionale
aggravando altresì situazioni già precedentemente in stato di crisi.
Va ricordata tra i fattori che contribuiscono al determinarsi delle crisi idriche,
l‘inadeguatezza della rete acquedottistica che in Italia presenta una perdita dell‘acqua
addotta pari al 27%, con punte anche del 40%.




Le emergenze idriche più gravi verificatesi recentemente in Italia sono state registrate
nell‘estate 2002, soprattutto al Centro Sud, e nell‘estate 2003 (in particolar modo le
regioni settentrionali). In queste situazioni, la carenza idrica ha determinato forti li-
mitazioni non solo nel settore civile ma anche in quelli agricolo ed industriale. Il Di-
partimento della Protezione Civile è intervenuto, d‘intesa con i Ministeri competenti
e con le Regioni interessate, con la dichiarazione dello stato di emergenza da parte
del Consiglio dei ministri e per mezzo di ordinanze che hanno conferito ai Presidenti
delle Regioni, nominati Commissari Straordinari, i poteri e gli strumenti necessari
per fronteggiare l‘emergenza nel settore dell‘approvvigionamento idrico e del servi-
zio idrico integrato.
Durante la crisi idrica dell‘estate 2003 che ha interessato tutto il bacino del Po, al fine
di prevenire il determinarsi di ulteriori situazioni emergenziali, il Dipartimento della

                                                                             | P a g i n a 35
Protezione Civile, attraverso strumenti ordinari e disponibili nell‘ambito della legi-
slazione vigente, si è fatto promotore di un‘intesa stipulata con l‘Autorità di bacino,
le Regioni Valle D‘Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna,
l‘Agenzia Interregionale per il fiume Po (AIPO), il Gestore della Rete di Trasmissio-
ne Nazionale (GRTN), i Consorzi regolatori dei laghi, l‘Associazione Nazionale Bo-
nifiche, Irrigazione e Miglioramenti Fondiari (ANBI), le società di produzione di e-
nergia elettrica presenti nel bacino.
Al fine di evitare l‘acuirsi di crisi idriche, è opportuno mettere in atto una serie di
provvedimenti, anche individuali, per poter preservare e gestire nel modo più oppor-
tuno il patrimonio idrico nazionale.
Tali provvedimenti consistono nella gestione oculata e razionale delle falde acquifere,
nella riduzione dei consumi, in interventi di riparazione o di rifacimento delle condot-
te, nell‘adozione di reti di adduzione e distribuzione ―duali‖ che consentono cioè
l‘utilizzo di acqua pregiata per fini potabili e di acqua depurata per alcuni usi compa-
tibili.




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Premessa

Con "Protezione Civile" si intendono tutte le strutture e le attività messe in campo
dallo Stato per tutelare l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai
danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri e-
venti calamitosi. Con la legge del 24 febbraio 1992, n.225 l'Italia ha organizzato la
Protezione Civile.

Nella maggioranza dei Paesi europei, la Protezione Civile è un compito assegnato ad
una sola istituzione o a poche strutture pubbliche.

In Italia, invece, è coinvolta in questa funzione tutta l'organizzazione dello Stato, al
centro e in periferia, dai Ministeri al più piccolo comune, ed anche la società civile
partecipa a pieno titolo al Servizio nazionale della Protezione Civile, soprattutto at-
traverso le organizzazioni di volontariato. Le ragioni di questa scelta, che caratterizza
la struttura della Protezione Civile italiana, si possono individuare nell'incontro tra
una motivazione istituzionale ed una esigenza operativa legata alle caratteristiche del
nostro territorio.




                                                                            | P a g i n a 37
Dal punto di vista dell'ordinamento amministrativo, è in corso da anni un processo
di riforma orientato ad aumentare il peso, le competenze e le responsabilità delle isti-
tuzioni regionali e locali, attuando e sviluppando in forme adeguate alle esigenze di
oggi gli orientamenti al regionalismo e alla valorizzazione delle istituzioni locali già
presenti nella Carta costituzionale. La Protezione Civile non poteva essere estranea a
questo processo, che spiega l'importanza crescente che stanno assumendo nella strut-
tura del sistema nazionale della Protezione Civile le Regioni e le amministrazioni lo-
cali, l'aumento delle responsabilità e delle competenze loro affidate, l'articolazione
dei livelli di decisione e di intervento, la complessità delle esigenze di direzione e co-
ordinamento del sistema ai vari livelli.




                 Breve storia della normativa di Protezione Civile

Fino al XVII secolo le calamità e i disastri non avevano una spiegazione scientifica,
ma venivano interpretati come castighi divini. Bisognerà aspettare il '700 perchè essi
siano studiati e accettati per quello che sono: fenomeni naturali o prodotti dell'attività
umana. A questa presa di coscienza consegue, nel tempo, l'intervento legislativo nel
campo della Protezione Civile. Per comodità di esposizione, ma con qualche arbitrio,
abbiamo periodizzato in tre fasi l‘arco di tempo entro il quale ha preso avvio e si è
sviluppato l‘intervento normativo nel campo della Protezione Civile: una prima fase
contraddistinta da una legislazione disorganica; una seconda, da una normativa orga-
nica entro un quadro di riferimento accentrato ed accentratore; la terza ed ultima, in
attuazione dei principi di ― integrazione‖ e ―sussidiarietà‖, caratterizzata da un forte
decentramento e dal conseguente trasferimento di competenze alle autonomie locali.

PRIMA FASE: Legislazione disorganica

SECONDA FASE: Legislazione organica all'insegna dell'accentramento

TERZA FASE: Legislazione organica all'insegna del decentramento
                                                                            | P a g i n a 38
Nella prima fase tralasciando la legislazione preunitaria (che pure ha prodotto norme
significative) e partendo dall‘Unità d‘Italia, assistiamo ad un‘intensa attività legislati-
va. Vedono così la luce numerose ed eterogenee disposizioni di carattere generale ac-
compagnate da legislazione ad hoc adottate a seguito di particolari calamità.

Prefetti e Sindaci intervengono in situazioni di emergenza, limitando e requisendo, se
del caso, anche la proprietà privata e lo fanno utilizzando il generale potere di ordi-
nanza assegnatogli dalla legge 2359 del 1865. Si tratta di uno strumento tuttora lar-
gamente utilizzato.

Nei primi anni del ‗900 vengono varate alcune significative leggi. E‘ il caso, nel
1906, di disposizioni particolari aventi per oggetto alluvioni, mareggiate e uragani.
Nel 1908, a seguito del terremoto di Messina, viene introdotta la classificazione si-
smica del territorio e diventa vigente la prima normativa antisismica.

Si tratta di norme che si trovano ad esplicare i propri effetti entro un quadro normati-
vo disorganico e scollegato che non consente di affrontare seriamente, né tanto meno
di prevenire il rischio indotto dai fenomeni naturali. Bisognerà attendere il 1925 per-
ché sia varata la prima normativa organica. Si giunge così alla Seconda Fase dove si
hanno interventi più consistenti che rivelano una certa logica.

Con la legge 473/1925 il soccorso alle popolazioni colpite da eventi calamitosi viene
delegato al Ministro dei LL.PP e al suo braccio operativo rappresentato dal genio ci-
vile, con il concorso delle strutture sanitarie.

Il R.D.L 9.12.1926, n°2389, convertito nella legge 15.3.1928, n°833, precisò meglio
l‘organizzazione pubblica destinata ad intervenire, mantenendo al ministero dei
LL.PP, che allora era l‘unico che disponesse di mezzi tecnici organizzati, il potere di
dirigere e coordinare gli interventi anche delle altre amministrazioni dello Stato. La
legge di conversione n° 833 ha affidato ai prefetti, rappresentanti del governo nella
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provincia, il compito di attuare tale azione di coordinamento, dando a questi ultimi il
potere di gestire gli interventi immediati necessari subito dopo il verificarsi di un e-
vento calamitoso; tali poteri cessavano allorché il Ministro o un sottosegretario ai
LL.PP assumevano direttamente sul posto l‘incarico della direzione delle operazioni.
La stessa legge prevedeva eguali compiti per i sindaci con riferimento al territorio
comunale: essi, appena venuti a conoscenza dell‘evento, dovevano inviare sul luogo i
pompieri e il personale a loro disposizione, dandone immediata notizia al prefetto. Le
competenze del sindaco si esaurivano a questi due adempimenti, peraltro essenziali
nella prima emergenza. (cfr Padoin – La Protezione Civile in Italia - 1988).

E‘ in questi anni che l‘organizzazione del servizio antincendio inizia a mutare pro-
fondamente. Dal XVIII secolo fino al 1926 tale servizio era strutturato unicamente su
base comunale. A partire da quest‘anno e fino al 1938, attraverso varie disposizioni
legislative , si operò una profonda ristrutturazione di questa funzione. Infatti, con il
R.D.L 16.6.1938, n°1021, i pompieri assunsero la moderna denominazione di ―Vigili
del Fuoco‖, e con successivo R.D.L 27.2.1939, n°333, venne ridefinito il ―corpo na-
zionale dei Vigili del Fuoco‖ e istituita, in seno al ministero dell‘interno, l‘apposita
Direzione generale dei Servizi Antincendio‖.

Il processo di organizzazione dei VVdF si completa nel 1961 con la legge 469. Con
essa viene completamente devoluta al Ministero dell‘interno la materia relativa agli
studi, all‘attività sperimentale tecnica e all‘organizzazione centrale e periferica dei
servizi antincendi. Furono soppressi i corpi provinciali dei VVdF e fu precisato il ca-
rattere civile del corpo nazionale. Tutto ciò comportò la completa statalizzazione dei
servizi antincendi (cfr Padoin – La Protezione Civile in Italia - 1988).

Non si poteva ancora parlare di vera e propria Protezione Civile e di organi operativi
appositi, ma, soprattutto con questi ultimi provvedimenti, ci si riferiva già a precisi
aggregati pubblici (forze armate, pompieri, ecc) per lo svolgimento di attività di p.c.
(cfr Padoin – La Protezione Civile in Italia - 1988).

                                                                           | P a g i n a 40
E si arriva così al dopoguerra, dove, nel clima di rinnovamento seguito al secondo
conflitto mondiale, si hanno tentativi per arrivare ad una legislazione organica di p.c..

Negli anni 1950,1962 e 1967 vengono infruttuosamente presentati progetti di legge
specifici. Nel frattempo alcuni eventi calamitosi particolarmente gravi, come la cata-
strofe del Vajont nel 1962, le alluvioni del 1966, la frana di Agrigento nello stesso
anno e il tragico terremoto nella Sicilia orientale nel 1968 accelerarono la predisposi-
zione e l‘approvazione di nuovi strumenti legislativi più idonei.

La 1^ vera svolta si ha nel 1970. Infatti, con la legge n° 996 ―Norme sul soccorso e
l‘assistenza alle popolazioni colpite da calamità‖, si hanno per la prima volta, dispo-
sizioni di carattere generale che prevedono un‘articolata organizzazione di Protezione
Civile. Con questa legge si recepisce, per la prima volta nel nostro ordinamento, il
concetto di Protezione Civile, definendola come ―l‘attività intesa alla predisposizione
concertata, in tempo di normalità, dei servizi di emergenza, di soccorso e di assisten-
za, e a predisporre, al verificarsi della calamità, in forma coordinata ed unitaria, tutti
gli interventi delle amministrazioni dello Stato, delle Regioni, degli enti locali territo-
riali e degli altri enti pubblici istituzionali‖.

E‘ stata inoltre precisata, per la prima volta, la nozione di calamità naturale e di cata-
strofe, definite come ―l‘insorgenza di situazioni che comportino grave danno e peri-
colo di danno all‘incolumità delle persone e dei beni, e che per la loro natura ed e-
stensione debbano essere fronteggiate con interventi tecnici straordinari‖.

Siamo dunque in presenza di un nuovo concetto di Protezione Civile, intesa come
predisposizione e coordinamento degli interventi, e a tal fine giustamente si indivi-
duavano i compiti fondamentali demandati agli organi della Protezione Civile, po-
nendo in primo piano l‘esigenza della pianificazione a livello nazionale, regionale e
provinciale, e della più razionale organizzazione degli interventi, a calamità avvenuta.
(cfr Padoin – La Protezione Civile in Italia - 1988).


                                                                             | P a g i n a 41
L‘Organismo a cui è dedicata gran parte della legge è il Corpo nazionale dei vigili del
fuoco.

La legge ritaglia un ruolo centrale al Ministero dell‘Interno cui è affidato il compito
di soccorso tecnico urgente e di assistenza.

La legge n° 996, in linea con le concezioni culturali del tempo, privilegia il momento
dell‘emergenza; pur anticipando le nuove future linee guida della p.c in senso globa-
le, organizza il solo momento operativo che coincide con il disastro con il soccorso
da attuare un attimo dopo sia avvenuto il fatto.

Il regolamento d‘esecuzione della legge in questione fu approvato solo dopo 11 anni,
mentre nel frattempo rovinosi terremoti avevano colpito e devastato nel 1976 il Friuli
e nel 1980 vaste zone della Campania e della Basilicata. In tali occasioni il governo
per far fronte all‘emergenza, nominò un commissario straordinario, come previsto
dalla legge 996/70.

Anche a seguito di quest‘ultima esperienza (gestione commissariale) cominciò a farsi
strada l‘idea della necessità di prevedere stabilmente l‘istituzione di un Alto Commis-
sario per il coordinamento degli interventi di p.c..

Si hanno, quindi, norme che danno corpo e contenuto a questa impostazione. Con il
DL 22 febbraio 1982, n° 57 convertito nella legge 187/82 viene nominato un Ministro
per il coordinamento della P.C. che nella sua attività si avvarrà del Dipartimento della
Protezione Civile, istituito con DPCM del 22 giugno 1982.

Con la legge 938 del 23.12.1982 viene formalizzata la figura del Ministro per il coor-
dinamento della p.c. come autonoma figura di coordinamento.

Con la legge n°180 del 1983 viene conferito al nuovo Ministro il potere di emanare,
in situazioni di emergenza, provvedimenti immediatamente esecutivi in deroga alla
normativa vigente.

                                                                          | P a g i n a 42
Si passa così alla terza fase quando di fronte alle catastrofi, ai morti, al patrimonio e-
dilizio e paesaggistico devastato, l‘intervento immediato dell‘uomo non basta più, ma
bisogna attuare una politica di prevenzione

Si fa strada l‘idea che i disastri vadano affrontati dopo averli immaginati, descritti
prima, vissuti prima e che occorra sì dimensionare le strutture d‘intervento , ma oc-
corre farlo tenendo conto di scenari già elaborati e di misure di prevenzione già poste
in atto. La Protezione Civile, nella mente di chi sino a quel momento ha avuto come
obiettivo il soccorso, diventa anche previsione, prevenzione e ricostruzione.

I tempi sono oramai maturi per un cambiamento radicale.

Finalmente viene promulgata la legge 24 febbraio 1992, n°225. Dopo 22 anni dalla
legge n° 996 del 1970 nasce il ―Servizio nazionale della p.c.‖ con la cui istituzione la
struttura   di    p.c.   del    paese      subisce    una    profonda      riorganizzazione.
La legge 24 febbraio 1992, n. 225, istituisce il Servizio Nazionale della Protezione
Civile, con l'importante compito di "tutelare la integrità della vita, i beni, gli insedia-
menti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da
catastrofi e da altri eventi calamitosi"

Tale legge disciplina la Protezione Civile come sistema coordinato di competenze al
quale concorrono le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Provincie, i Comuni e
gli altri enti locali, gli enti pubblici, la comunità scientifica, il volontariato, gli ordini
e i collegi professionali e ogni altra istituzione anche privata.

Un tale complesso sistema di competenze trova il suo punto di collegamento nell'af-
fidamento delle funzioni di impulso e coordinamento al Presidente del Consiglio dei
ministri.

La nuova filosofia della p.c. è ora saldamente impostata su quattro linee fondamenta-
li: previsione; prevenzione; soccorso; superamento dell‘emergenza.


                                                                               | P a g i n a 43
Collocare questa legge nella fase decentrata non è propriamente corretto in quanto si-
gnificative competenze vengono mantenute in capo allo Stato ed alla sua Ammini-
strazione periferica. Essa più propriamente può essere definita una legge che rappre-
senta un momento di passaggio fra la fase accentrata e quella decentrata in quanto, se
è vero che, con particolare riferimento alle competenze operative, essa continua ad
imperniarsi sull‘amministrazione centrale e periferica dello Stato, è altrettanto vero
che per la prima volta, soprattutto per ciò che riguarda previsione e prevenzione, essa
aumenta notevolmente il peso di Regioni, Province e Comuni.

In questa fase, per così dire di passaggio, si collocano anche la legge n° 183 del 1989
sulla ―difesa del suolo‖ e la legge del 8 giugno 1990 n° 142 <<Ordinamento delle au-
tonomie locali>> in seguito più volte modificata e, recentemente, trasformatasi nel
dlgs n° 267 del 2000 (Testo unico). Questa legge , oltre a dettare i principi generali
dell‘ordinamento delle Province e dei Comuni, ne determina funzioni e compiti alcu-
ni dei quali, direttamente od indirettamente afferiscono all‘ambito della Protezione
Civile

A partire dagli anni novanta il Governo, il Parlamento e quasi tutte le forze politiche
si accordano su un consistente trasferimento delle competenze, dal centro alla perife-
ria, sulla base dei principi di ―sussidiarietà‖ed ―integrazione‖, in modo da avvicinare
la soluzione dei problemi ai cittadini e ai rappresentanti dei cittadini. Ne consegue
che funzioni statali passano alle Regioni e agli Enti locali, funzioni regionali passano
agli enti locali.

In questo contesto viene ridefinita anche la materia della Protezione Civile. Il Dlgs n°
112 (cd. Bassanini) del 1998 ha in tre articoli rideterminato l‘assetto della Protezione
Civile a livello delle competenze, da una parte trasferendo notevolissime competenze
alle Autonomie locali, stavolta anche di tipo operativo, dall‘altra prefigurando una
profonda ristrutturazione anche per ciò che riguarda le residue competenze statali. Il
quadro di riferimento ―ideologico‖ resta però la 225/92 che disciplina la Protezione

                                                                          | P a g i n a 44
Civile come servizio e, soprattutto, identifica le categorie degli eventi e delle attività
di Protezione Civile.

Il ciclo si chiude con la riforma del titolo V° della Costituzione (L.costituzionale
3/2001) che ha inserito la Protezione Civile fra le materie a legislazione concorrente.

La Regione Sicilia ha poi recepito la nuova riforma costituzionale e successivi decreti
attuativi, ha ribadito un‘impostazione fortemente ancorata ai valori del decentramen-
to, dell‘integrazione e della sussidiarietà.




                Intervento della p.c. nel monitorare l‘ attivitá vulcanica dell‘ Etna




                                                                                        | P a g i n a 45
Dipartimento della Protezione Civile siciliana


La struttura organizzativa è prevista dal D.D.G. n. 374 del 12/12/2001 e suc-
cessive modifiche ed integrazioni, ed è così articolata:
DIREZIONE: si occupa del Sistema Informativo, Rete informatica e banche
dati del Dipartimento. Gestione sito web e coordinamento redazionale - Atti-
vazione e interventi in emergenza; Segreteria della Direzione Generale (con
competenze ed articolazione di cui al D.D.G. n. 374 del 12/12/2001) - Attiva-
zione e interventi in emergenza; Comunicazione tecnologica ed audiovisiva,
promozione e divulgazione. Attivazione ed interventi in emergenza.


AREA AFFARI GENERALI E GESTIONE DEL PERSONALE: gesti-
sce L‘Unità per l'esercizio delle funzioni strumentali e serventi del Diparti-
mento. Attende alle gare ed ai contratti, cura il contenzioso, studia e promuo-
ve proposte normative, propone l'emanazione di circolari e ne cura la divul-
gazione, provvede all'organizzazione logistica, non che all'approvvigiona-
mento del materiale di consumo ed alla manutenzione dei beni mobili ed
immobili. Cura il servizio prevenzione e previsione per la sicurezza sul posto
di lavoro; l‘ Unità per le funzioni connesse alla gestione del personale, del
suo stato giuridico, dei rapporti contrattuali collettivi e del trattamento eco-
nomico. Cura i rapporti con le Organizzazioni sindacali, la contrattazione de-
centrata e l'attuazione degli accordi aziendali.




SERVIZIO FINANZIARIO: cura le problematiche d'interesse del Diparti-
mento relative alla programmazione ed al bilancio. Provvede alla gestione
delle risorse finanziarie ed ai pagamenti. Svolge i compiti di Segreteria per il
Comitato Regionale di Protezione Civile.

                                                                      | P a g i n a 46
SERVIZIO EMERGENZA: si occupa della gestione ed attivazione della
Sala Operativa Regionale Integrata Siciliana h 24. Riceve e valuta le notizie
riguardanti gli eventi calamitosi e risolve direttamente, ove possibile, i pro-
blemi inerenti i primi soccorsi; coordina la pianificazione dell'emergenza su
tutto il territorio regionale, anche per mezzo della divulgazione di Linee Gui-
da. Attiva le procedure di allertamento. Cura i rapporti con gli organi
N.A.T.O.. E' di supporto all'intervento dei mezzi aerei del C.O.A.U. (Centro
Operativo Aereo Unificato) per l'ottimizzazione dell'impiego degli aeromobi-
li.


SERVIZIO VOLONTARIATO E FORMAZIONE: coordina la pianifica-
zione dell'emergenza su tutto il territorio regionale, anche per mezzo della
divulgazione di Linee Guida. Attiva le procedure di allertamento. Cura i rap-
porti con gli organi N.A.T.O.. E' di supporto all'intervento dei mezzi aerei del
C.O.A.U. (Centro Operativo Aereo Unificato) per l'ottimizzazione dell'im-
piego degli aeromobili; Promuove e provvede all'aggiornamento ed alla for-
mazione professionale del personale dipendente dal Dipartimento e delle As-
sociazioni di volontariato iscritte nel Registro regionale.


SERVIZIO RISCHI IDROGEOLOGICI, SANITARI E AMBIENTALI:
ha funzione di Previsione e prevenzione del rischio idrogeologico - Compe-
tenze regionali derivanti dal nuovo sistema nazionale di allerta metereologica
e di gestione dell'emergenza - Formazione specialistica dei tecnici funzionari
in materia di rischio idrogeologico ; Supporto alla pianificazione di emergen-
za e Linee Guida - Attivazione e interventi in emergenza ; Previsione e pre-
venzione dei rischi industriale, antropico, sanitario ed ambientale - Supporto
alla pianificazione di emergenza e Linee Guida - Attivazione e interventi in


                                                                      | P a g i n a 47
emergenza.


SERVIZIO SISMICO REGIONALE: ha funzione di Individuazione, for-
mazione ed aggiornamento elenco zone sismiche e classificazione sismica
regionale. Indirizzi e linee guida per gli studi di pericolosità e di microzona-
zione sismica. Reti di monitoraggio sismico e per maremoto - Attivazione e
interventi in emergenza ; Censimento e programmazione verifiche di sicurez-
za sismica ed interventi su edifici ed opere infrastrutturali di interesse strate-
gico e rilevanti ai fini di Protezione Civile. Linee guida per le verifiche si-
smiche e gli interventi. Promozione informazione e supporto specialistico ai
tecnici - Attivazione e interventi in emergenza ; Indirizzi e linee guida per i
piani di emergenza sismica. Scenari di danno e di rischio per gli eventi si-
smici e da maremoto. Formazione specialistica dei tecnici funzionari in mate-
ria di rischio sismico. Rapporti con il Dipartimento Nazionale per predisposi-
zione intese su schemi ordinanze; atti per dichiarazioni calamità e stati emer-
genza - Attivazione e interventi in emergenza.




                                                                        | P a g i n a 48
Protezione Civile europea




                      | P a g i n a 49
INTRODUZIONE


Dal momento che l‘Italia fa parte dell‘Unione europea, nasce l‘esigenza di trattare la
Protezione Civile anche a livello europeo. L‘Europa, infatti, viene regolarmente col-
pita da gravi catastrofi naturali, quali inondazioni e incendi boschivi, nonché da inci-
denti tecnologici, come esplosioni in impianti industriali e fuoriuscite di sostanze
chimiche. In alcuni casi, i Paesi colpiti riescono ad affrontare autonomamente cata-
strofi di simili proporzioni; spesso, però, necessitano l‘invio di soccorsi dall‘estero in
tempi brevi, ed è in questi casi che interviene la strategia di cooperazione comunitaria
nel settore della Protezione Civile.
Il tipo di disastri che i paesi europei devono affrontare dipende in una certa misura
dalla loro collocazione geografica e dal clima. Per esempio, molti Stati meridionali
membri dell‘Unione europea sono particolarmente soggetti a terremoti e incendi bo-
schivi, mentre negli Stati settentrionali è maggiore la probabilità di incidenti tecnolo-
gici minori come esplosioni in impianti industriali o sinistri marittimi. Di conseguen-
za, i vari Stati membri hanno sviluppato, in caso di calamità, competenze specifiche
di intervento in settori diversi; un aspetto che rende la cooperazione a livello co-
munitario particolarmente importante.
Tramite lo scambio di opinioni e di esperienze, gli esperti della Protezione Civile di
tutta l‘Unione possono trarre insegnamenti dalle rispettive migliori pratiche e poten-
ziare la capacità complessiva dell‘Europa di far fronte alle catastrofi. Resta comun-
que il dato di fatto che la Protezione Civile in ambito europeo rimane attualmente un
argomento di neoformazione e pertanto il materiale raccolto risulta esiguo .




                                                                            | P a g i n a 50
CENNI STORICI

Nel corso degli ultimi anni, numerosi eventi hanno evidenziato la necessità di
un‘azione a livello europeo, come ad esempio il naufragio della Prestige, gli incendi
nelle foreste del 2003 e le esondazioni nel sud della Francia alla fine del 2003. Que-
sti, ed altri eventi hanno visto convergere l‘aiuto di numerosi Stati membri ed hanno
mostrato la necessità di una preparazione comune e di un‘informazione reciproca. Al
fine di promuovere la cooperazione, lo scambio e la reciproca assistenza tra i servizi
della Protezione Civile degli Stati membri, numerose Decisioni del Consiglio europeo
hanno promosso attività e progetti finalizzati alla previsione e alla prevenzione dai ri-
schi naturali, alla gestione delle situazioni di crisi e alla creazione di reti comuni tra i
diversi sistemi nazionali di Protezione Civile. La Decisione fondamentale che ha ap-
provato il Consiglio è sicuramente la 2001/792/EC, Euratom; poi altre decisioni sono
seguite per dare attuazione alla norma fondamentale. Anche in ambito europeo, la le-
gislazione in materia di Protezione Civile ha subito, specie nel corso degli ultimi an-
ni, numerose modifiche e aggiornamenti. Il Consiglio europeo, attraverso il proprio
strumento legislativo (Decisione), ha promosso diverse iniziative e programmi volti
alla cooperazione tra gli Stati membri, alla formazione di personale qualificato, alla
predisposizione di una banca-dati omogenea, alla creazione di una task-force pronta
ad intervenire, in tempi rapidi, in situazioni di "maxi" emergenze che coinvolgono
uno Stato in difficoltà oppure più Stati (come ad esempio l‘esondazione del Reno).
Non c‘e dubbio che ciascun membro appartenente alla Commissione europea si con-
fronta quotidianamente con specifiche problematiche di varia natura relative al pro-
prio territorio e, conseguentemente, ciascuno Stato affronta le emergenze sulla base
della propria esperienza, in relazione al proprio assetto normativo e funzionale e sulla
base del proprio Sistema nazionale di Protezione Civile. Di qui la necessità di uni-
formare, attraverso linee guida ed indirizzi operativi, i linguaggi e le procedure al fine
di creare una struttura in grado di dialogare specialmente in situazioni "di emergen-
za". La struttura europea di Protezione Civile nasce con l‘intento di mettere a con-
fronto i diversi sistemi nazionali di Protezione Civile e le diverse strategie messe in
                                                                             | P a g i n a 51
atto per mitigare le conseguenze di eventi calamitosi. A partire dal disastro nucleare
verificatosi nella ex Unione Sovietica, ci si è resi conto che alcune maxi emergenze
possono travalicare i confini nazionali e richiedere un istantaneo coordinamento degli
apparati di sicurezza di una pluralità di paesi. Vi è, al fondo, l‘esigenza di concordare
forme e modalità, quanto più sollecite, di scambio di informazioni e di notizie sia nel-
le fasi preventive sia, a maggior ragione, nella gestione degli eventi emergenziali. Nel
recente passato, si rammentano solo la devastante esplosione dell‘impianto chimico
AZF di Tolosa (Francia) che ha causato 29 morti nonché ingenti danni; la fuoriuscita
di cianuro dalla miniera di Baia Mare (Romania) che ha contaminato parte del Danu-
bio; i terremoti cha hanno colpito la Grecia e la Turchia provocando oltre 17.000 vit-
time e le devastanti inondazioni che hanno interessato la Germania e la Francia. Pe-
raltro, alcune Nazioni hanno una specifica struttura preposta alla gestione delle emer-
genze: l‘Italia, per effetto delle condizioni geomorfologiche e meteoclimatiche del
proprio territorio, ha sviluppato specifiche e qualificate competenze per determinare
tipologie di rischi. A tal fine appare indispensabile che si accresca il livello di inter-
scambio di Protezione Civile culturale e di esperienza fra i paesi europei al fine di
mettere a fattor comune le pratiche di eccellenza e omogeneizzare il più possibile la
risposta continentale di Protezione Civile ed uniformare i linguaggi per la gestione
delle emergenze.




                                                                            | P a g i n a 52
Catastrofi avvenute in Europa




Terremoti
1999 Grecia e Turchia oltre 17 000 vittime
1980 Italia 2739 vittime
1976 Italia 977 vittime
Inondazioni
2002 Francia, Germania, Regno Unito, Repubblica ceca, Ungheria
2001 Polonia, Regno Unito, Romania, Ungheria
2000 Francia, Italia, Regno Unito, Spagna
Frane
1998 Italia 159 vittime
1976 Regno Unito 144 vittime
1963 Italia 1 759 vittime
Incendi forestali
Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia: ogni anno
Incidenti tecnologici
2001 Francia esplosione nella fabbrica AZF 29 vittime
2000 Romania, Ungheria fuoriuscita di sostanze chimiche a Baia Mare
2000 Paesi Bassi esplosione in una fabbrica di fuochi
artificiali a Enschede 20 vittime
Inquinamento marino dovuto a cause accidentali
1999 Francia incidente dell‘Erika con fuoriuscita di petrolio
1996 Costa del Galles Sea Empress
1993 Shetland Braer

                                                                      | P a g i n a 53
STRUTTURA E ORGANIZZAZIONE INTERNA

I governi dell‘UE hanno concordato formalmente per la prima volta di coordinare le
strategie di Protezione Civile in una riunione ministeriale svoltasi a Roma nel 1985.
Tali governi tra il 1985 e il 1994 hanno approvato varie iniziative preliminari che
hanno gettato le basi di quello che è oggi un approccio coordinato di ampia portata
per affrontare gravi disastri e pianificare i soccorsi.
Tutte le iniziative di Protezione Civile a livello comunitario sono attuate sulla base
del principio di sussidiarietà, il quale prevede che in settori di competenza condivisa
fra l‘UE e gli Stati membri, la Comunità intervenga solo quando la sua azione è con-
siderata più efficace di quella intrapresa a livello nazionale, regionale o locale.
Nel 1997 il Consiglio dell‘Unione europea ha compiuto un importante passo avanti
con l‘approvazione di un vasto programma di azione per la Protezione Civile valido
dal 1 gennaio 1998 al 31 dicembre 1999. Questo primo programma di azione è stato
seguito da un secondo programma nel 1999, basato su uno schema più ampio, entrato
in vigore il 1 gennaio 2000 e valido fino al 31 dicembre 2004.
Il nuovo programma è finalizzato a sostenere e integrare gli sforzi degli Stati membri
dell‘UE nel settore della Protezione Civile a livello nazionale, regionale e locale, ol-
tre che ad agevolare gli scambi tra gli specialisti europei del settore.
In base all‘art. 3 della decisione del Consiglio del 9 dicembre 1999, che istituisce un
programma d‘azione comunitario a favore della Protezione Civile, le singole azioni
da intraprendere sono individuate prevalentemente sulla base di alcuni criteri:


- devono contribuire alla prevenzione di rischi e danni alle
  persone, o ai beni materiali e in tal modo, all'ambiente, in
  caso di calamità naturale o di catastrofe tecnologica;

- devono contribuire a potenziare il livello di preparazione
  delle squadre di Protezione Civile negli Stati membri, affinandone
   la capacità di reazione in caso di emergenza;

- devono contribuire ad individuare e studiare le cause delle
  Catastrofi;
                                                                            | P a g i n a 54
- devono contribuire a perfezionare gli strumenti e le metodologie
  di previsione, le tecniche e metodologie di reazione
  e immediata assistenza successiva alle emergenze

- devono contribuire all'informazione, all'educazione ed alla
  sensibilizzazione dell'opinione pubblica, mettendo i cittadini
  europei in condizione di proteggere se stessi con maggiore
  efficacia.

Ognuna di queste azioni è condotta in stretta cooperazione con gli Stati membri e
quest‘ultimi dovrebbero mirare a:

- incorporare gli obiettivi di Protezione Civile nelle altre politiche
  ed azioni della Comunità e degli Stati membri, in
  particolare includendo la valutazione dei rischi nella valutazione
  dell'impatto di impianti ed attività;

- contribuire alla coerenza di questo programma con altre
  azioni comunitarie.



I progetti sono rivolti a ridurre al minimo il rischio di numerose catastrofi naturali e
tecnologiche e a contenerne l‘impatto qualora esse si verifichino. La loro finalità è,
tra l‘altro, l‘elaborazione di principi e orientamenti chiari per la prevenzione di cata-
strofi naturali e gravi incidenti tecnologici. Oltre ad affrontare questioni generali con-
nesse alla prevenzione dei disastri, questi progetti si concentrano in particolare sui ri-
schi rappresentati da inondazioni, cedimenti di dighe e incendi. Il principio alla base
di questi progetti è assicurare che i cittadini comunitari abbiano accesso a informa-
zioni adeguate quando necessario, nella loro lingua, in caso di emergenza o di cata-
strofe, in modo da potersi proteggere con maggiore efficacia.
Quando si viaggia, si lavora o si studia in uno Stato membro, deve essere possibile
comprendere le informazioni fornite tramite segnali, cartelli, indicazioni e altri stru-
menti. In caso di pericolo, le persone devono capire quello che le autorità in tutti gli
Stati membri dell‘UE cercano di comunicare in modo da poter provvedere a se stesse
e a chi dipende da loro.

                                                                            | P a g i n a 55
Protezione civile nazionale
Protezione civile nazionale
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Protezione civile nazionale

  • 2. INTRODUZIONE Con "Protezione Civile" si intendono tutte le strutture e le attività messe in campo dallo Stato per tutelare l'integrità dell‘uomo, dei beni, degli insediamenti e dell'am- biente, dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi. Con la legge del 24 febbraio 1992, n.225 l'Italia ha organizzato la Protezione Civile come "Servizio nazionale", coordinato dal Presidente del Consiglio dei Ministri e composto, come dice il primo articolo della legge, dalle Amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni, dagli Enti Pubblici Nazionali e Territoriali e da ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e priva- ta presente sul territorio nazionale. Al coordinamento del Servizio Nazionale e alla promozione delle attività di Protezione Civile, provvede il Presidente del Consiglio dei Ministri attraverso il Dipartimento della Protezione Civile. LA STORIA Nel corso degli anni, con leggi sempre più specifiche, la Protezione Civile si svincola dal concetto di Difesa Civile, che ha come presupposto non una calamità naturale, ma bensì un evento bellicoso o parabellico (attualmente le strutture organizzative di Di- fesa Civile sussistono a livello di gruppi di staff al Ministero della Difesa e degli In- terni, e con possibili funzioni operative preassegnate al Corpo Militare della Croce Rossa Italiana ed ad altre componenti del Sistema di Protezione Civile). Con la legge 473/1925 il soccorso alle popolazioni colpite da eventi calamitosi viene delegato al Ministro dei Lavori Pubblici ed al suo braccio operativo rappresentato dal Genio Ci- vile, con il concorso delle strutture sanitarie. Negli anni 1950, 1962 e 1967 vengono inefficacemente presentati progetti di legge specifici. |Pagina 1
  • 3. La prima vera svolta si ha nel 1970; infatti, viene emanata la Legge 996/70 che ha per titolo ―Norme sul soccorso e l‘assistenza alle popolazioni colpite da calamità‖. Si hanno, così, per la prima volta, disposizioni di carattere generale che prevedono un‘articolata organizzazione di Protezione Civile. Rovinosi terremoti avevano colpito e devastato nel 1976 il Friuli e nel 1980 vaste zo- ne della Campania e della Basilicata. In tali occasioni il governo, per far fronte all‘emergenza, nominò un Commissario Straordinario, Giuseppe Zamberletti, come previsto dalla legge 996/70. Zamberletti viene giustamente considerato come il "pa- dre fondatore" dell'attuale Sistema della Protezione Civile italiana, e la sua intensa opera organizzativa e di supporto politico alla nascita di un moderno apparato di Pro- tezione Civile nel nostro paese non deve mai essere dimenticato. Con il D.L. n°57 del 22 febbraio 1982, convertito nella legge 187/82, Zamberletti viene nominato Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile, che nella sua attività si avvarrà del Dipartimento della Protezione Civile, istituito con DPCM del 22 giugno 1982. La Legge 24 febbraio 1992 n. 225 costituisce una pietra miliare nella storia della Pro- tezione Civile Italiana. Dopo 22 anni dalla Legge n° 996 del 1970 nasce il ―Servizio Nazionale della Protezione Civile‖ con la cui istituzione,la struttura di P.C. del paese subisce una profonda riorganizzazione, realizzando molte delle anticipazioni di Zam- berletti e dei suoi tecnici. Con il Decreto Legislativo n° 112 del 31 marzo 1998 vengono ridefinite, suddivise per ambiti di intervento, le attività e le funzioni che in vari campi sono mantenute dallo Stato ed attribuite alle Regioni ed alle Amministrazioni Provinciali. A seguito del trasferimento di funzioni disposto con tale Decreto legislativo,( che prevede,fra l‘altro, che le funzioni in materia di volontariato siano ripartite fra Stato, Regioni e Comuni ),è stato pubblicato il D.P.R. n°194/2001, che abroga il n°613/94 e detta di- sposizioni in ordine alla partecipazione delle organizzazioni di volontariato di Prote- zione Civile, per quanto attiene alla sfera di competenza statale. |Pagina 2
  • 4. Il ciclo si chiude con la riforma del titolo V° della Costituzione (L. costituzionale n°3/2001), che ha inserito la Protezione Civile fra le materie a legislazione concorren- te. LA STRUTTURA Nella maggioranza dei Paesi europei, la Protezione Civile è un compito assegnato ad una sola istituzione o a poche strutture pubbliche. In Italia, invece, è coinvolta in que- sta funzione tutta l'organizzazione dello Stato, centrale e periferica, l‘intero sistema degli Enti Locali, ed anche la società civile partecipa a pieno titolo al Servizio Nazio- nale della Protezione Civile, attraverso le organizzazioni di volontariato. Questo per- mette di garantire un livello di coordinamento centrale unito ad una forte flessibilità operativa sul territorio e un coinvolgimento esplicito degli Enti Locali che già gesti- scono il territorio anche "in tempo di pace". La forte enfasi sul volontariato (formato, qualificato e inquadrato) permette inoltre di utilizzare nel comparto della Protezione Civile, in caso di necessità, molte risorse professionali e umane della società civile. A livello qualitativo, negli ultimi anni si è registrata una sempre maggiore crescita formativa e maggiori tipologie di equipaggiamento fornite in dotazione ai gruppi di Volontari; a livello quantitativo, in Italia si stimano in circa 300.000 i Volontari ope- rativi di Protezione Civile, suddivisi ed organizzati in circa 2.500 gruppi distribuiti su tutto il territorio nazionale. L'organizzazione è quindi, nel suo complesso, orientata su principi di decentralizzazione territoriale e funzionamento "sistemico", fattori che ne aumentano la flessibilità operativa, l‘immediatezza degli interventi e l'adattabilità ai diversi ambiti territoriali proposti. L'organismo che coordina la Protezione Civile in Italia, come già detto, è il Diparti- mento della Protezione Civile, alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri; ciò lo situa in una posizione "superiore" rispetto ai Dipartimenti diretta- mente dipendenti da un "semplice" Ministero, facilitando così il coordinamento delle risorse dello Stato - e di tutti gli altri Ministeri - in caso di emergenza. |Pagina 3
  • 5. L'attuale Capo Dipartimento Nazionale è il medico Guido Bertolaso. Il Responsabile della Protezione Civile in un Comune è il Sindaco nella sua funzione di Autorità di Pubblica Sicurezza. I componenti effettivi del sistema di Protezione Civile sono: Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco; Forze Armate; Forze di Polizia; Polizia Locale; Corpo Forestale dello Stato; Servizio Sanitario Nazionale; Croce Rossa Italiana; Servizi tecnici nazionali; Gruppi nazionali di ricerca scientifica; Istituto Nazionale di Geofisica; Corpo Nazionale Soccorso Alpino; Organizzazioni Regionali e Gruppi Regionali Volontari; Organizzazioni Provinciali e Gruppi Provinciali Volontari; Organizzazioni Comunali e Nuclei Comunali Volontari; Organizzazioni Umanitarie e di Volontariato (ONLUS). Il coordinamento di tali componenti avviene, ai vari livelli territoriali e funzionali, at- traverso il cosiddetto "Metodo Augustus", che permette ai rappresentanti di ogni "funzione operativa" (Sanità, Volontariato, Telecomunicazioni, etc.) di interagire di- rettamente tra loro ai diversi "tavoli decisionali" e nelle sale operative dei vari livelli (COC, COM, DICOMAC, etc.), avviando così in tempo reale processi decisionali collaborativi. Con COC si intende il Centro Operativo Comunale (responsabile delle attività a livello di Comune); il COM è il Centro Operativo Misto, normalmente isti- tuito a livello intercomunale o di Comunità Montana (si usa il termine CCS - Centro Coordinamento Soccorsi per i COM di livello provinciale, spesso coordinati dal Pre- fetto); la DICOMAC è la Direzione di Comando e Controllo, organo decisionale di |Pagina 4
  • 6. livello nazionale attivato nelle grandi calamità. Esistono, a livello intermedio tra COM/CCS e DICOMAC, Sale Operative Regionali (anche se la maggior parte delle funzioni di coordinamento diretto sul territorio sono svolte a livello COM/CCS). O- gnuno di questi tipi di Centro, ai vari livelli, è solitamente costituito su una sezione "Strategia" (con i responsabili di funzione) ed una "Operativa" (con operatori e sup- porti logistici necessari per garantire i collegamenti, la continuità operativa, il suppor- to alle funzioni decisionali, etc.). Il Metodo Augustus (dal nome dell'Imperatore Au- gusto, che era il primo ad aver costituito "tavoli consultivi" tra i suoi collaboratori) ha già dimostrato la sua ottima funzionalità in occasione delle più recenti calamità che hanno colpito il nostro paese. Il Servizio Nazionale della Protezione Civile è un sistema fondato sul principio di sussidiarietà cioè integrato alle esigenze dei cittadini. Il primo responsabile della Protezione Civile in ogni Comune è il Sindaco, che orga- nizza le risorse comunali secondo piani prestabiliti per fronteggiare i rischi specifici del suo territorio. Quando si verifica un evento calamitoso, il Servizio Nazionale del- la Protezione Civile è in grado, in tempi brevissimi, di definire la portata dell'evento e valutare se le risorse locali siano sufficienti a farvi fronte. In caso contrario si mobilitano immediatamente i livelli provinciali, regionali e, nelle situazioni più gravi, anche il livello nazionale, integrando le forze disponibili in loco con gli uomini e i mezzi necessari. Ma soprattutto si identificano da subito le autorità che devono assumere la direzione delle operazioni: è infatti evidente che una situa- zione di emergenza richiede in primo luogo che sia chiaro chi decide, chi sceglie, chi si assume la responsabilità degli interventi da mettere in atto. Nei casi di emergenza nazionale questo ruolo compete al Dipartimento della Protezione Civile, mentre la re- sponsabilità politica è assunta direttamente dal Presidente del Consiglio dei Mini- stri. |Pagina 5
  • 7. IL DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE Il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri è il braccio operativo del Presidente del Consiglio, quando si tratta di affrontare i pro- blemi della tutela delle persone e dei beni del Paese, sottoposti a particolari minacce e pericoli che derivano da condizione di rischio naturale o ambientale. Il Dipartimento, oggi organizzato in 8 uffici generali e 43 servizi, costituisce il fulcro del servizio nazionale della Protezione Civile, con compiti di promozione e coordi- namento dell'intero sistema; di intervento diretto in caso di calamità nazionali; di de- finizione di procedure di intervento ed azione comuni a tutto il sistema; di orienta- mento della legislazione relativa alla prevenzione dei rischi; di sostegno alle strutture periferiche del sistema, specie le più deboli e meno dotate di risorse proprie; di pro- mozione e sostegno alle attività di formazione e alla crescita dell'associazionismo di Protezione Civile; di informazione dell'opinione pubblica e di promozione della cul- tura della Protezione Civile specie nei confronti delle giovani generazioni; di regia nella costruzione e nella gestione delle reti informative indispensabili per la preven- zione dei rischi; di produzione e gestione delle normative eccezionali e derogatorie - le ordinanze - indispensabili per accelerare gli interventi di emergenza e far fronte al- le calamità, al fine di ridurre al minimo il danno alle persone e alle cose. La specializzazione del personale del Dipartimento nell'area del governo delle emer- genze, sia sotto il profilo amministrativo che tecnico-operativo, ha portato il Governo a richiederne l'intervento in tutte le situazioni, anche atipiche, in cui siano necessari capacità organizzativa e gestionale di operazioni complesse, il coordinamento effica- ce ed autorevole di numerose amministrazioni ed istituzioni, come nel caso dei "grandi eventi" o, più di recente, nell'affrontare i rischi nuovi che si presentano all'Ita- lia dal versante del terrorismo internazionale, o da quello della diffusione di pericolo- se epidemie. Il Dipartimento della Protezione Civile garantisce e coordina sul territorio nazionale, attraverso l‘Ufficio Gestione delle Emergenze – COAU (Centro Operativo Aereo U- nificato), anche le attività di spegnimento degli incendi boschivi con la flotta aerea |Pagina 6
  • 8. antincendio dello Stato, assicurandone l'efficacia operativa in coordinamento con le Regioni. Le Regioni inviano al Dipartimento (COAU) l‘elenco degli obiettivi prioritari da di- fendere, per consentire allo stesso di definire il più opportuno schieramento e, sul pi- ano tattico, stabilire le priorità di invio dei mezzi aerei. Il Dipartimento della Protezione Civile definisce in particolare le procedure operative concernenti: - la richiesta, da parte delle Regioni, per il tramite delle Sale Operative Unificate Permanenti (SOUP/COR), del concorso della flotta aerea dello Stato; - gli elementi di principio per l‘assegnazione di vettori e la condotta delle opera- zioni di spegnimento da parte del COAU. La Protezione Civile si avvale dei Volontari Antincendi Boschivi (A.I.B.) che dispo- ne di mezzi aerei ad ala fissa o rotante, messi a disposizione dallo Stato e dalle Re- gioni, la cui gestione, pur nella totale autonomia, deve ispirarsi a principi e procedure che consentano di ottenere la massima efficacia. I mezzi aerei che fanno parte della flotta dello Stato (caratteristiche in All. ―A‖) sono gli aeromobili: - di proprietà del Dipartimento (ed affidati in gestione a Società di lavoro aereo); - appartenenti ad altre Amministrazioni dello Stato quali, l‘Esercito Italiano, la Marina Militare, l‘Aeronautica Militare, il Corpo Forestale dello Stato ed il Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco, assegnati temporaneamente al Diparti- mento o appositamente noleggiati . I mezzi aerei di proprietà dello Stato, sia civili che militari, operanti per la gestione degli incendi boschivi sono velivoli di Stato. I mezzi aerei noleggiati dal Dipartimento al fine di contrastare il fenomeno degli in- cendi boschivi sono assimilati a velivoli di Stato. |Pagina 7
  • 9. Lo schieramento base della flotta dello Stato sul territorio è stabilito in ragione dei seguenti elementi: - obiettivi prioritari da difendere; - numero di vettori disponibili; - caratteristiche degli aeromobili e delle linee di supporto logistico-tecnico; - indicatori statistici ed indice stagionale di pericolo incendi sul territorio nazionale; - caratteristiche orografiche del territorio da proteggere e le capacità territoriali nell‘affrontare il rischio incendi boschivi. Per obiettivi prioritari da difendere (anche indicati dalle Regioni) si intendono quelli risultanti dal livello di protezione del territorio, in relazione al suo valore ambientale, e/o alla presenza di aree urbanizzate che richiedono il primario impegno di salva- guardia della vita umana. La flotta A.I.B. dello Stato è impiegata a favore delle Regioni e delle Province Auto- nome di Trento e Bolzano, che ne facciano richiesta al COAU attraverso le compe- tenti SOUP/COR. Nella lotta attiva agli incendi boschivi taluni velivoli potranno es- sere impiegati anche con funzioni di ricognizione, sorveglianza e/o comando e con- trollo nei casi in cui la situazione e l‘entità dell‘incendio dovesse richiederlo. Nell‘ambito della propria competenza, ogni Regione che utilizzi propri aeromobili per la lotta A.I.B. dovrà, tenendo conto delle loro limitate capacità, far sì che gli stes- si interagiscano con i mezzi aerei resi disponibili dallo Stato. Allo scopo di consentire al Dipartimento una corretta pianificazione, tutte le Regioni dovranno fornire, prima dell‘inizio di ogni campagna antincendio, le necessarie informazioni in ordine al pro- prio dispositivo aereo previsto nel piano A.I.B. attraverso un documento che illustri in particolare i seguenti elementi: • numero e tipologie di aeromobili disponibili; • decorrenza e durata dei contratti di noleggio dei mezzi (periodo di disponibilità); • dislocazione logistica dei mezzi in fase operativa e prontezza operativa quotidiana; • compiti assegnati (ricognizione, avvistamento, trasporto personale, ecc.); |Pagina 8
  • 10. • ogni altra informazione ritenuta significativa. Ogni mezzo aereo opererà sotto il controllo della rispettiva SOUP/COR regionale e, nell‘area dell‘incendio, sotto la direzione tattica del Coordinatore delle operazioni a terra. IL NUOVO ORGANIGRAMMA DEL DIPARTIMENTO DELLA PROTE- ZIONE CIVILE Decreto PCM 12 dicembre 2001 pubblicato nella G.U. del 20 dicembre 2001 |Pagina 9
  • 11. L'ATTIVITÀ DEL DIPARTIMENTO Sin dalla sua istituzione, il Dipartimento della Protezione Civile si è occupato di ge- stione del rischio idrogeologico, uno dei principali rischi che affligge il Paese. Le calamità che hanno colpito il territorio nazionale hanno insegnato che, per proteg- gere in modo efficiente la vita dei cittadini e l‘integrità delle infrastrutture, occorre prefigurare gli eventi possibili in un‘area, individuando quali potrebbero essere i dan- ni e le attività da porre in essere prima, durante e dopo un‘emergenza: proprio per questo motivo le attività di previsione e prevenzione hanno acquisito maggiore rilievo rispetto a quanto avveniva in un pur recente passato. Le attività di previsione e prevenzione si basano su un collegamento sempre più stret- to tra Protezione Civile ed il mondo della ricerca scientifica, con nuovi sistemi tecno- logici di raccolta ed elaborazione delle informazioni, con centri di elaborazione dei dati in grado di segnalare con il massimo anticipo possibile le probabilità che si veri- fichino eventi catastrofici, con l‘elaborazione di sofisticate ed efficienti cartografie di rischio, con la promozione di strumenti normativi e tecnici finalizzati alla prevenzio- ne ed mitigazione dei danni. I Centri funzionali, il piano radar, il monitoraggio idropluviometrico, le reti di tra- smissione dei dati, che di seguito vengono sommariamente presentati, sono solo alcu- ni degli strumenti che la Protezione Civile sta mettendo in campo al fine di meglio assolvere ai propri compiti istituzionali. I COMPITI Si pensa spesso che la Protezione Civile si limiti ad intervenire in caso di disastri e calamità per portare soccorso ma questa affermazione non è del tutto esatta in quanto la gran parte delle attività è destinata anche alla previsione e prevenzione degli eventi calamitosi. La Legge n°225/92,infatti, prevede espressamente che le competenze del- la Protezione Civile si articolino in maniera complessa non solo nella semplice "ge- stione del post-emergenza", ma in una serie integrata di attività che coprono tutte le | P a g i n a 10
  • 12. fasi del "prima e del dopo", secondo i quattro versanti della Previsione - Prevenzione - Soccorso - Ripristino. Gli studi, le ricerche, la formazione rivolta agli addetti del sistema (professionisti e volontari), l‘attività di informazione rivolta alla popolazione, la pianificazione della risposta all‘emergenza e le attività di esercitazione costituiscono la gran parte del la- voro della Protezione Civile. Comunque, il nucleo centrale dell'attività di Protezione Civile rimane tradizionalmen- te costituito dalla "gestione dell'emergenza", e cioè dai cosiddetti compiti di assisten- za e soccorso delle popolazioni colpite da calamità, anche se queste attività "eclatan- ti" e di alta visibilità sono solo la punta dell'iceberg del lavoro di Protezione Civile. Quando un Ente Locale chiede e ottiene dal Governo la dichiarazione dello stato di emergenza (ovvero, si riscontra una situazione in cui le capacità di risposta dell'Ente stesso non sono in grado di far fronte ai problemi che si sono presentati, e quindi bi- sogna ricorrere alle risorse proprie dell'ordinamento territoriale superiore), chi gesti- sce i fondi per l'emergenza può agire in deroga alle normative comunitarie e alla leg- ge italiana in materia d'appalto, oltre ad avere la possibilità di emettere ordinanze straordinarie (sempre rispettando i principi generali dell'ordinamento giuridico). Per cause di forza maggiore (l'urgenza dell'intervento) viene sospesa la procedura di ag- giudicazione delle opere pubbliche mediante gara d'appalto che ha tempistiche lun- ghe; chi gestisce i fondi può affidare i lavori a ditte scelte a sua discrezione. Queste facoltà si possono però esercitare solo nel caso delle cosiddette "Emergenze di Tipo C", che sono le più gravi (il Tipo A si riferisce alle emergenze locali, gestibili su sca- la comunale; quelle di Tipo B alle emergenze che richiedono una risposta e risorse su scala provinciale o regionale; quelle di Tipo C alle emergenze di rilievo nazionale, per estensione e/o gravità). La dichiarazione dello stato d'emergenza comporta solitamente anche lo stanziamento di fondi speciali da parte del Governo che vengono gestiti, fra gli altri soggetti, in gran parte dalla Protezione Civile. | P a g i n a 11
  • 13. LE ATTIVITA' DEL SERVIZIO NAZIONALE DELLA PROTEZIONE CIVI- LE: Le emergenze E' fondamentale che la Protezione Civile sia una "macchina di intervento in emergen- za" bene organizzata, in grado di ridurre al minimo il tempo che intercorre tra un e- vento calamitoso e i primi soccorsi e interventi. A questo obiettivo sono dedicati il lavoro di definizione dei "piani di emergenza", elaborati a livello nazionale e locale; il continuo aggiornamento delle procedure di emergenza, indispensabili per far sì che al momento del bisogno tutti coloro che devono intervenire sappiano già cosa fare e come farlo; lo scambio regolare di informazioni tra tutti i livelli del sistema; le attivi- tà di formazione del personale e le esercitazioni di tutte le componenti che interven- gono nella Protezione Civile; il potenziamento dei mezzi tecnici a disposizione. Grazie a questo lavoro sistematico e all'iniziativa delle strutture decentrate soprattutto a livello regionale, negli ultimi anni gli interventi di Protezione Civile hanno visto i tempi medi del soccorso ridursi notevolmente proprio per la maggiore conoscenza delle azioni necessarie e le capacità di operare per ridurre il danno alle persone, alle cose, al patrimonio artistico e ai beni culturali e per i tempi del ripristino delle norma- li condizioni di vita nelle zone disastrate. Previsione La storia delle grandi catastrofi che hanno colpito il nostro Paese negli ultimi decenni ci ha insegnato che, per proteggere con efficacia la vita dei cittadini e il patrimonio delle comunità, non bisogna puntare solo su soccorsi tempestivi, ma occorre dedicare energie e risorse importanti alla previsione e alla prevenzione delle calamità. L'attivi- tà di previsione è assicurata da un sistema di reti che collegano la Protezione Civile ai centri nazionali di ricerca scientifica, a sistemi tecnologici di raccolta ed elaborazione di informazioni sui diversi tipi di rischio e sulle condizioni che possono aumentare le | P a g i n a 12
  • 14. probabilità di pericolo per la collettività, a centri di elaborazione delle informazioni in grado di segnalare con il massimo anticipo possibile le probabilità che si verifichino eventi catastrofici. Questo insieme di attività tecnico-scientifiche, che vanno dalla raccolta di informa- zioni del territorio, fino all‘ interpretazione dei dati raccolti, permette alla Protezione Civile di valutare le situazioni di possibile rischio, affinché venga attuato un possibile intervento con il massimo anticipo utile, e di fornire alle autorità preposte gli elemen- ti necessari che possono apportare decisioni ragionate e tempestive. E' questo il lavoro continuo, poco visibile, ma di fondamentale importanza, dei nuclei di previsione della Protezione Civile, che si sta trasformando in una rete di "Centri funzionali" organizzati a livello nazionale e regionale. La conoscenza precisa e puntuale del territorio e dei possibili fenomeni all'origine delle catastrofi, l'utilizzo di reti tecnologicamente avanzate, la rete nazionale dei si- smografi, i sofisticati sistemi di monitoraggio dell'attività dei vulcani, e delle migliori competenze scientifiche e professionali disponibili ha consentito alla Protezione Civi- le italiana di intervenire con tempestività e, quando possibile, con misure preventive come l'evacuazione delle aree a rischio. Un esempio recente di attività di previsione riguarda l'evacuazione preventiva delle aree a rischio per l‘ inondazione che ha colpito il Piemonte nel 2002 e che ha evitato che vi fossero delle vittime, mentre un analogo evento verificatosi solo due anni pri- ma si era rivelato fatale per decine di persone. Prevenzione La conoscenza del territorio e delle soglie di pericolo per i vari rischi costituisce la base, oltre che per le attività di previsione necessarie a rendere efficiente la macchina dei soccorsi, anche per individuare gli indirizzi e le linee dei vari tipi di interventi di prevenzione possibili. E' compito della Protezione Civile individuare e segnalare alle autorità competenti gli interventi utili a ridurre, entro soglie accettabili, la probabilità che si verifichino even- | P a g i n a 13
  • 15. ti disastrosi, o almeno a limitare il possibile danno; in questo contesto si inquadra la recente revisione della carta sismica nazionale. Come è noto, la scienza non è in gra- do, ad oggi, di prevedere il verificarsi di un terremoto. Tuttavia, sono disponibili informazioni rigorose e scientificamente verificate sulla di- versa esposizione al rischio sismico delle aree del territorio nazionale, che permetto- no di individuare in quali comuni sia necessario ricorrere a tecniche edilizie idonee ad aumentare la resistenza dei manufatti in caso di terremoto, in modo da ridurre i crolli e soprattutto il numero delle possibili vittime. Oltre al rischio sismico, il sistema della Protezione Civile tiene sotto controllo in mo- do sempre più accurato i vari tipi di rischi idrogeologici, la mappa delle aree più sog- gette agli incendi boschivi, le aree dove più probabili sono i rischi legati all'alto livel- lo di industrializzazione. Le relazioni internazionali Il Dipartimento opera anche a livello internazionale, in accordo con le analoghe isti- tuzioni di altri Paesi e nel quadro delle istituzioni internazionali a livello mondiale e soprattutto europeo, e partecipa ad interventi di Protezione Civile all'estero, che rap- presentano un segno della solidarietà internazionale dell'Italia e della capacità opera- tiva, tecnica ed umana degli uomini della nostra Protezione Civile. Il Dipartimento punta molto, oggi, anche allo sviluppo di relazioni internazionali a livello tecnico- scientifico, nella consapevolezza che spesso i rischi ambientali sono legati a fattori che vanno ben al di là dei confini nazionali. A livello di prevenzione a medio e lungo termine, soprattutto in campo idrogeologico, si è dimostrato utile lo sviluppo interna- zionale delle reti di informazione e monitoraggio, lo scambio di informazioni e di metodologie, l'avvio di relazioni permanenti con centri di ricerca, specialisti e struttu- re organizzate dalla Protezione Civile degli altri Paesi europei. Questa nascente coo- perazione internazionale permette all'Italia di verificare e valutare metodi, procedure, tecniche operative e modelli organizzativi alla luce delle esperienze compiute in altri Paesi, ma anche di esportare fuori dei confini nazionali il know how del nostro siste- | P a g i n a 14
  • 16. ma di Protezione Civile, con particolare riguardo all'esperienza del volontariato ita- liano, unica nel panorama europeo per estensione e organizzazione. Il problema sismico in Italia Il terremoto, per la severità e la globalità del suo impatto, è senza dubbio l‘evento di origine naturale più disastroso che caratterizza il territorio nazionale. L‘Italia è, infat- ti, un paese ad elevata sismicità, per la frequenza degli eventi che hanno interessato il suo territorio e per l‘intensità che alcuni di essi hanno storicamente raggiunto, deter- minando un rilevante impatto sociale ed economico. Alcuni numeri consentono di delineare le dimensioni di ciò che possiamo definire il problema sismico in Italia: 2.500 terremoti con intensità Mercalli maggiore del V grado hanno colpito il nostro territorio nell‘ultimo millennio, 200 dei quali distruttivi, 120.000 vittime nell‘ultimo secolo (85.000 delle quali dovute al terremoto di Reggio Calabria e di Messina del 1908), 20 terremoti con intensità superiore od uguale al IX grado della scala Mercalli dal 1900 ad oggi, un terremoto disastroso in media ogni 4 anni, ed un danno economico, valutato per gli ultimi venticinque anni in circa 75 mi- liardi di euro (145.000 miliardi delle vecchie lire), impiegati per il ripristino e la rico- struzione post-evento. A ciò si devono aggiungere le conseguenze che si avrebbero sul patrimonio storico, artistico, monumentale del nostro paese che è fortemente esposto agli effetti del terremoto. Considerando alcuni dei più recenti e maggiori terremoti avvenuti nel mondo, si può notare che, eventi di energia (magnitudo) equivalente fra di loro, hanno determinato vittime e danni molto diversi in funzione delle caratteristiche del patrimonio abitativo (età, tipologia edilizia, uso), della distribuzione dei centri abitati, della densità di po- polazione, delle vie di comunicazione, della presenza e dislocazione dei centri opera- tivi di pronto intervento, delle attività produttive, delle industrie a rischio, etc. In Italia il rapporto tra i danni prodotti dai terremoti e l‘energia rilasciata nel corso degli eventi è molto più alto rispetto a quello che si verifica normalmente in altri pae- si ad elevata sismicità, quali la California o il Giappone. Ad esempio, il terremoto ve- | P a g i n a 15
  • 17. rificatosi in Umbria e nelle Marche nel 1997, malgrado fosse caratterizzato da un‘energia circa 30 volte inferiore, ha prodotto un quadro di danneggiamento (senza tetto: 32.000, danno economico: 5 miliardi di Euro attualizzabili al 2002) confronta- bile con quello della California del 1989 (14.5 miliardi di $ USA). Ciò è dovuto prin- cipalmente al fatto che il nostro patrimonio edilizio è caratterizzato da una notevole fragilità, a causa soprattutto della sua vetustà e cioè delle sue caratteristiche tipologi- che e costruttive e per lo scadente stato di manutenzione. Cosa fa la Protezione Civile? Il Dipartimento della Protezione Civile, direttamente o in collaborazione con altri enti facenti parte del sistema na- zionale di Protezione Civile, svolge anche attività volte a mitigare il rischio vulcanico sul territorio italiano, adottan- do le misure opportune per ridurre le perdite di vite umane e di beni in caso di eruzione. Tali attività si possono suddividere in: - sorveglianza dei vulcani e previsione delle eruzioni; - prevenzione dal rischio vulcanico; -difesa dalle eruzioni e gestione delle emergenze; - ripristino delle normali condizioni di vita. Per quanto riguarda la sorveglianza dei vulcani e la previsione delle eruzioni, occorre notare che prevedere un'eruzione vulcanica significa dove e quando avverrà e di che tipo sarà. Per rispondere alle prime due domande (dove e quando) è necessario installare delle reti di monitoraggio che rilevano una serie di pa- rametri fisico- chimici indicativi dello stato del sistema vulcanico e ogni loro eventu- ale variazione rispetto al livello di base individuato. | P a g i n a 16
  • 18. La previsione a breve - medio termine si basa infatti sul riconoscimento e sulla misu- ra dei fenomeni che accompagnano la risalita del magma verso la superficie, che vengono detti fenomeni precursori. I principali fenomeni precursori consistono nell'innesco di fratture (terremoti) causato dall'induzione di tensioni meccaniche nelle rocce, nel rigonfiamento o cambiamento di forma dell'edificio vulcanico provocato dall'intrusione del magma, nelle variazioni del campo gravimetrico e magnetico nell'intorno dell'edificio vulcanico, nell'incre- mento e cambiamento di composizione delle emanazioni gassose dai crateri e dal suolo, nelle variazioni delle caratteristiche fisico chimiche delle acque di falda. Questi fenomeni, che accompagnano la risalita del magma, possono essere rilevati da opportune reti strumentali fisse, in acquisizione 24 ore al giorno, oppure attraverso la reiterazione periodica di campagne di misura. La sorveglianza dei vulcani italiani è condotta e coordinata dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che opera in convenzione con il Dipartimento della Prote- zione Civile, attraverso le proprie sezioni preposte al monitoraggio vulcanico (Sezio- ne di Napoli , Sezione di Catania, Sezione di Palermo). Per prevedere invece di che tipo sarà la prossima eruzione (previsione dei possibili scenari eruttivi futuri) occorre effettuare studi sulla storia eruttiva del vulcano in og- getto ed estrapolare al futuro il suo comportamento passato. Un altro importante con- tributo è dato dagli studi geofisici (gravimetrici e di tomografia sismica) volti a defi- nire quale sia la struttura profonda del vulcano e il suo stato attuale. Per quanto riguarda le attività di prevenzione del ri- schio vulcanico si possono annoverare : · Studi di pericolosità; ricostruendo la storia eruttiva del vulcano in oggetto e tenendo conto dello stato in cui il vulcano si trova attualmente, è possibile fare pre- visioni sul tipo di eruzione attesa più probabile. · Definizione degli scenari di riferimento ed elaborazione di mappe di pericolosità e rischio; una volta individuato il tipo di eruzione più probabile, è possibile predisporre | P a g i n a 17
  • 19. degli scenari eruttivi (anche attraverso lo sviluppo di modelli di simulazione fisico- matematici) ed elaborare delle mappe di pericolosità e rischio. · Pianificazione d'emergenza; i piani di emergenza, redatti sulla base di uno o più scenari eruttivi e delle corrispondenti mappe di pericolosità, prevedono tutte le azioni da intraprendere in caso di crisi e generalmente contemplano l'evacuazione della po- polazione dalle aree esposte a pericolo. Sono stati elaborati i piani nazionali di emer- genza vulcanica per il Vesuvio e i Campi Flegrei (attualmente in fase di aggiorna- mento), mentre altri piani analoghi sono in corso di stesura per i vulcani siciliani. Esi- stono inoltre una serie di piani comunali redatti in accordo con i piani nazionali. E‘ importante che il rischio vulcanico sia tenuto in debita considerazione nella pianifica- zione del territorio, al fine di evitare nuove costruzioni nelle aree esposte. · Riduzione della vulnerabilità; è in fase di studio la possibilità di ridurre la vulnera- bilità delle costruzioni sottoposte ad alcune fenomenologie vulcaniche di minore im- patto (es. caduta e accumulo di ceneri). · Attività di educazione e informazione delle popolazioni esposte al rischio; il Dipar- timento della Protezione Civile promuove lo sviluppo di iniziative educative, soprat- tutto nelle scuole, volte a incrementare la conoscenza dei rischi, dei piani di emergen- za, delle norme di comportamento da osservare in caso di crisi e a far crescere la cul- tura della Protezione Civile. Inoltre, supporta la creazione di "centri visitatori" presso i vulcani italiani. Per quanto riguarda la difesa dalle eruzioni e gestione delle emergenze , in caso di eruzione dei vulcani italiani, il Dipartimento della Protezione Civile inter- viene con propri uomini e mezzi sui territori interessati dai fenomeni vulcanici, per attuare i piani di emergenza, soccorrere le popolazioni esposte e mitigare gli effetti dannosi, attivando e coordinando iniziative di difesa attiva (es. deviazione delle cola- te laviche) o passiva (es. evacuazione pianificata, raccolta e smaltimento ceneri, di- stribuzione di dispositivi di autoprotezione per la caduta di ceneri). | P a g i n a 18
  • 20. Per quanto riguarda il ripristino delle normali condizioni di vita, bisogna osservare che, a seguito di eruzioni vulcaniche, come di ogni altro evento calamitoso per il qua- le viene dichiarato lo stato di emergenza, il Dipartimento della Protezione Civile con- corre al ripristino delle normali condizioni di vita, prevedendo lo stanziamento di fondi appositi e promuovendo una serie di iniziative contenute in specifiche ordinan- ze o altri atti legislativi. La gestione delle fasi di ricostruzione viene poi usualmente affidata ad un commissario delegato. Valutazioni di rischio sismico per il patrimonio abitativo e la popolazione Il Dipartimento della Protezione Civile (DPC) presenta alcuni risultati della collabo- razione con l‘Istat durante il biennio 2002-2003. La collaborazione, tra Istat e DPC - formalizzata da un Protocollo d‘intesa firmato il 10 dicembre 2001 - nasce per soddi- sfare l‘esigenza di aggiornare e migliorare le mappe di rischio sismico relative all‘intero territorio nazionale e di aggiornare la base dati utilizzata per la produzione degli scenari post-evento del DPC, tramite l‘utilizzo di alcuni dati derivanti dai cen- simenti. I dati di principale interesse ai fini dell‘aggiornamento delle mappe di rischio sismico sono quelli sulle caratteristiche degli edifici e sulla popolazione residente in ciascuna sezione di censimento. Per la realizzazione delle mappe di rischio e l‘aggiornamento delle basi dati sugli scenari di danno, sono state effettuate delle elaborazioni, appli- cando specifiche metodologie, su alcune caratteristiche degli edifici; tipo: materiale usato per la struttura portante, epoca di costruzione, contiguità, numero dei piani fuori terra, numero di interni, numero di abitazioni, superficie, popolazione residente. Sono stati, inoltre, effettuati confronti con i dati rilevati nel 1991, a suo tempo elaborati congiuntamente dall‘Istat e dal DPC. Le procedure per il calcolo dei parametri di rischio sono quelle utilizzate per la pro- duzione delle statistiche sul rischio sismico pubblicate sulle Statistiche ambientali e gli Annuari statistici dell‘Istat. Tali procedure sono state messe a punto nel 1996 da un gruppo di lavoro sul rischio sismico, istituito dal DPC, con il compito di predi- | P a g i n a 19
  • 21. sporre in tempi brevissimi una cartografia dettagliata del rischio sismico sul territorio nazionale riferito alla popolazione e alle abitazioni. Il gruppo di lavoro, composto da esperti del Gruppo nazionale per la difesa dai terremoti (GNDT), del Servizio Sanita- rio Nazionale (SSN) e dell‘Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), si basò sui dati del censimento ISTAT 1991 e terminò i suoi lavori ad agosto dello stes- so anno con la presentazione di un rapporto e di tabelle relative a tutti i comuni italia- ni. Nelle tabelle, qui aggiornate sulla base dei dati del censimento 2001, vengono presen- tati alcuni risultati di valutazione del rischio espresso in termini di perdite annue atte- se al patrimonio edilizio abitativo ed alla popolazione a causa degli eventi sismici. La perdita del patrimonio include solo i costi diretti derivanti dal danno subito dalle abi- tazioni. Le perdite relative alla popolazione sono espresse in termini di persone resi- denti nelle abitazioni che subiscono i danni più gravi (crolli) e che quindi sono più correlabili al rischio per la vita. Nelle figure le perdite sono riferite ad un periodo di 100 anni, per una migliore lettura dei risultati. Si evidenzia che i risultati sono stati ottenuti utilizzando dati e metodo- logie in massima parte già disponibili, al fine di ottimizzare le conoscenze già conso- lidate. La pericolosità sismica è stata valutata a partire dai dati utilizzati dal gruppo di lavoro del 1996, per consentire un confronto omogeneo fra dati del patrimonio abita- tivo del 1991 e del 2001. | P a g i n a 20
  • 22. Rischio sismico in Italia Figura 1 – Valore atteso di abitazioni crollate per comune. Percentuale media in 100 anni (dati sulle abitazioni del censimento 1991) | P a g i n a 21
  • 23. Figura 2 – Valore atteso di abitazioni crollate per comune. Percentuale media in 100 anni (dati sulle abitazioni del censimento 2001) | P a g i n a 22
  • 24. Il rischio vulcanico Il rischio viene definito come il danno possibile atteso dovuti al verificarsi di un e- vento di una data intensità, in una particolare area, in un determinato periodo di tem- po. Quanto maggiore è la probabilità di eruzione, tanto maggiore è il rischio; così pure, quanto maggiori sono i beni e la popolazione esposta, tanto maggiore è il danno che ne potrebbe derivare e quindi il rischio. Per fare un esempio, il rischio è molto minore per i vulcani dell'Alaska, che si trovano in zone a bassa densità di popolazione, piut- tosto che al Vesuvio, nei cui dintorni vivono circa 600 mila persone. | P a g i n a 23
  • 25. La situazione in Italia Mediamente in Italia l'uso del territorio vicino ai vulcani, non ha tenuto conto della loro pericolosità, permettendo l'instaurarsi di situazioni di alto rischio. Naturalmente non tutti i vulcani italiani presentano lo stesso livello di rischio che, come abbiamo detto, dipende da vari fattori. In Italia esistono numerosi vulcani, sia estinti, sia quiescenti, sia attivi. Sebbe- ne alcuni studiosi ritengono che non si possa mai considerare del tutto estinto un vulcano, la comunità scientifica internazionale ha adottato dei criteri per classificare i vulcani rispetto al loro stato di attività: Vulcani estinti: quelli la cui ultima eruzione risale ad oltre 10.000 anni fa. I principali vulcani italiani che rientrano in questa categoria sono: Monte Amiata, Vulsini, Cimini, Vico, Sabatini, Isole Pontine, Roccamonfina, Vulture. Vulcani quiescenti: sono vulcani attivi che hanno dato eruzioni negli ultimi 10.000 anni, ma si trovano attualmente in una fase di riposo da tempo più o meno lungo. Secondo una definizione più rigorosa, si considerano quiescenti quei vulcani il cui tempo di riposo attuale è inferiore al più lungo periodo di ri- sposo registrato in precedenza. | P a g i n a 24
  • 26. In Italia si trovano in questa situazione: Colli Albani, Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Salina, Lipari, Vulcano, Isola Ferdinandea, Pantelleria. Vulcani attivi: quelli che hanno dato eruzioni negli ultimi anni. In Italia: Etna e Stromboli. Vulcano Ultima eruzione Stromboli Attività persistente Etna 2002-2003 Vesuvio 1944 Pantelleria 1891 Vulcano 1888-1890 Isola Ferdinandea 1831 Campi Flegrei 1538 Ischia 1302 Lipari VI - VII secolo d.C. | P a g i n a 25
  • 27. La legge 8/12/1970 n°966 ha previsto le ―Norme sul soccorso e sull'assistenza alle popolazioni colpite da calamità naturali‖. Queste norme regolano tutte le procedure di assistenza alle popolazioni colpite dalle calamità naturali. Gli articoli più importanti sono gli artt. 5 e 6. L‘articolo 5 prevede che: Alla dichiarazione di catastrofe o di calamità naturale, salvo i casi di evento non particolarmente grave cui provvedono gli organi locali elettivi e gli organi ordinari della Protezione Civile, si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per l'interno, anche su richiesta degli organi della regione o degli enti locali.Al Ministro per l'interno fanno capo tutti i ser- vizi e gli interventi delle pubbliche amministrazioni, civili e militari-centrali e perife- riche di enti pubblici e di privati, onde assicurarne la maggiore tempestività ed il più coordinato ed armonico impiego.Con il decreto di cui al primo comma si provvede alla nomina di un commissario, che può anche essere scelto tra membri del Governo e del Parlamento, esperti o tecnici estranei alla pubblica amministrazione, amministra- tori regionali o di enti locali.Il commissario assume sul posto, ai fini della necessaria unità, la direzione dei servizi di soccorso, ed attua le direttive generali ed il coordi- namento dei servizi, avvalendosi comunque della collaborazione degli organi regio- nali e degli enti locali interessati.Per quanto concerne i servizi e gli interventi delle forze armate, che potranno essere impiegate anche in unità organiche elementari, essi saranno richiesti, in occasione di calamità naturali o catastrofe, dal Ministro per l'in- terno o dal commissario nominato al Ministro per la difesa o alla autorità da esso de- legata. Articolo 6 Il Ministero dell'interno: a) predispone ed attua i provvedimenti necessari per assicurare in caso di calamità na- turale o catastrofe i seguenti servizi: 1) interventi tecnici urgenti; 2) assistenza di primo soccorso alle popolazioni colpite. | P a g i n a 26
  • 28. Per l'esecuzione dei compiti di cui al precedente numero 1) il Ministero dell'interno provvede mediante il Corpo nazionale dei vigili del fuoco nella cui organizzazione sono costituiti reparti mobili di immediato impiego specialmente attrezzati e nuclei elicotteri e sommozzatori. Per i compiti di cui al numero 2) si provvede mediante re- parti di soccorso pubblico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e centri assisten- ziali di pronto intervento per il primo aiuto alle popolazioni; b) cura la realizzazione delle opere di urgente necessità e delle attrezzature occorrenti per la protezione della popolazione civile; c) cura, tramite il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, l'istruzione, l'addestramento e l'equipaggiamento in materia di Protezione Civile di cittadini che volontariamente of- frono la prestazione della loro opera nei servizi di Protezione Civile. Per le volontarie prestazioni di cui alla lettera c) nessun rapporto si instaura con l'amministrazione la quale è peraltro tenuta ad assumere a proprio carico oneri assicurativi che garantiscano prestazio- ni pari a quelle previste per il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. La situazione in Italia Le frane sono molto diffuse nel nostro Paese a causa delle condizioni orografiche e della conformazione geologica del territorio, per frana s‘intende un ―movimento di una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante‖. L‘impatto socio-economico dei fenomeni franosi in Italia è rilevantissimo e fa sì che il nostro paese sia tra i primi al mondo nella classifica dei danni in termini economici e, soprattutto, in termini di perdita di vite umane. Inoltre un rapporto del Ministero dell‘Ambiente e della Tutela del Territorio e dell‘Unione delle Province d‘Italia indica come in Italia le aree a rischio elevato e molto elevato di frana siano diverse migliaia e coprano una superficie di 13.760 kmq, pari a ben il 4,5 % del territorio italiano. | P a g i n a 27
  • 29. Alluvioni Le alluvioni sono tra le manifestazioni più tipiche del dissesto idrogeologico e sono causate da un corso d‘acqua che, arricchitosi con una portata superiore a quella previ- sta, rompe le arginature oppure tracima sopra di esse, invadendo la zona circostante ed arrecando danni ad edifici, insediamenti industriali, vie di comunicazione, zone agricole, etc. Le alluvioni più importanti che hanno interessato l‘Italia e che hanno comportato un pesante bilancio sia in termini di vite umane che di danni, sono state quelle del Po nel Polesine (1951), dell‘Arno (1966) e del Po nel Nord Italia (1994 e 2000). I fenomeni alluvionali censiti nella Banca dati del Progetto AVI (Aree Vulnerate Ita- liane), realizzata dal GNDCI-CNR per conto del Dipartimento, sono state nel periodo tra il 1918 e il 1994 oltre 28.000 ed hanno interessato più di 15.000 località. Inoltre, in un rapporto del Ministero dell‘Ambiente e della Tutela del Territorio e dell‘Unione delle Province d‘Italia viene riportato che in Italia le aree a rischio eleva- to e molto elevato di alluvione sono diverse migliaia e coprono una superficie di 7.774 kmq, pari al 2,6 % della superficie nazionale. Il territorio italiano è interessato, con frequenza sempre maggiore, da alluvioni che avvengono con precipitazioni che possono anche non avere carattere di eccezionalità. Tra le cause dell‘aumento della frequenza dei fenomeni vi sono senza dubbio l‘elevata antropizzazione e la diffusa | P a g i n a 28
  • 30. impermeabilizzazione del territorio, che impedendo l‘infiltrazione della pioggia nel terreno, aumentano i quantitativi e le velocità dell‘acqua che defluisce verso i fiumi, e la mancata pulizia dei fiumi che rende meno efficienti dal punto di vista idraulico gli alvei dei corsi d‘acqua. Molti bacini idrografici, presenti soprattutto in Liguria e Calabria, sono caratterizzati da tempi di sviluppo delle piene dell‘ordine di qualche ora; per tale motivo, è fonda- mentale allertare gli organi istituzionali presenti sul territorio con il maggior anticipo possibile, al fine di ridurre l‘esposizione delle persone agli eventi e limitare i danni al territorio. Una efficiente difesa dalle alluvioni si basa sia su interventi strutturali quali, per e- sempio, argini, invasi di ritenuta, canali scolmatori, drizzagni, etc., sia su interventi non strutturali, ovvero quelli relativi alla gestione del territorio, come i provvedimenti di limitazione della edificabilità, oppure quelli relativi alla gestione delle emergenze, come la predisposizione dei modelli di previsione collegati ad una rete di monitorag- gio, la stesura dei piani di emergenza, la realizzazione di un efficiente sistema di co- ordinamento delle attività previste in tali piani. Le norme di comportamento da mette- re in atto prima, durante e dopo una alluvione. Erosioni costiere e mareggiate In un paese costiero ed al tempo stesso industrializzato come il nostro, il problema dell‘erosione costiera è molto diffuso. Negli ultimi decenni, a causa dei prelievi indi- scriminati di ghiaia e di sabbia lungo l‘alveo di molti fiumi italiani, è diminuito l‘apporto del trasporto solido fluviale recapitato alle spiagge. Per tale motivo, in nu- merosi litorali la linea di costa è vistosamente arretrata, portandosi a ridosso di infra- strutture viarie, edifici, insediamenti industriali, minacciandone la stessa esistenza e costringendo talvolta la popolazione ad evacuare l‘area. | P a g i n a 29
  • 31. Il problema è stato inoltre aggravato dalle mareggiate che, con frequenza variabile, si abbattono sulle coste e modificano, in modo anche sostanziale, la morfologia della li- nea di costa. Per contrastare tali fenomeni, la Protezione Civile ha attuato vari piani di prevenzio- ne, che consistono nella costruzione di numerose opere di difesa, sia trasversali alla riva (pennelli), longitudinali (frangiflutti), che radenti (muri di sponda, paratie, etc.). Nei casi in cui l‘arretramento sia stato talmente cospicuo da erodere gran parte della spiaggia, sono stati attuati interventi più drastici, quali – per esempio - il ripascimento artificiale, consistente nell‘alimentazione di una spiaggia, mediante idoneo materiale di riporto, estratto da cave di prestito. Subsidenze e sprofondamenti La subsidenza consiste in un lento processo di abbassamento del suolo, che può coin- volgere territori di estensione variabile. Tale fenomeno è generalmente causato da fattori geologici, ma negli ultimi decenni è stato localmente aggravato dall‘azione dell‘uomo ed ha raggiunto dimensioni superiori a quelle di origine naturale. Le subsidenze prodotte o aggravate da azioni antropiche possono essere date da e- mungimento di acque dal sottosuolo, estrazione di gas o petrolio, carico di grandi manufatti, estrazione di solidi, etc: in questo caso i valori totali possono essere anche di qualche metro. La subsidenza naturale è causata da molteplici fattori: movimenti tettonici, raffred- damento di magmi all‘interno della crosta terrestre, costipamento di sedimenti, etc.; i | P a g i n a 30
  • 32. movimenti verticali di tipo naturale possono raggiungere valori di qualche millimetro l‘anno. In Italia i fenomeni di lenta subsidenza si sono verificati lungo la fascia costiera a- driatica da Rimini a Venezia (dove questo fenomeno è particolarmente noto), spe- cialmente nei pressi del Delta del Po, ma anche nei dintorni di agglomerati urbani come Milano, Bologna e Modena, in questi casi soprattutto per l‘estrazione di acqua dal sottosuolo. Casi più recenti sono stati segnalati in Puglia, nella Piana di Sibari e nella Pianura Pontina. I provvedimenti da attuare a fini preventivi consistono essenzialmente in una corretta gestione delle risorse idriche, evitando di ricorrere in modo eccessivo al prelievo dal- le falde, ed in una rigorosa pianificazione delle attività estrattive. Un problema solo per alcuni versi affine a quello della subsidenza, ma che ha, al con- trario del primo, importanti ricadute di Protezione Civile, è quello degli sprofonda- menti rapidi (sinkholes). Tali fenomeni sono dovuti sia a cavità naturali presenti nel sottosuolo che a cavità realizzate dall‘uomo fin dall‘antichità (cave in sotterraneo, ambienti di vario uso, depositi, acquedotti, fognature, drenaggi ecc). In Italia i fenomeni di dissesto provocati da cavità sotterranee sono frequenti ed han- no determinato spesso ingenti danni materiali e, in molti casi, anche la perdita di vite umane. | P a g i n a 31
  • 33. Relativamente agli aspetti di Protezione Civile si sottolinea che il rischio legato alle cavità sotterranee è particolarmente diffuso nelle aree urbane dove l‘azione dell‘uomo ha portato alla creazione di vuoti nel sottosuolo per la maggior parte dei quali si è persa la consapevolezza dell‘esistenza, a causa soprattutto della incontrolla- ta crescita urbanistica degli ultimi decenni. In considerazione delle oggettive difficoltà che si incontrano in tali aree per addiveni- re ad una corretta analisi della pericolosità, il Dipartimento della Protezione Civile ha avviato un progetto finalizzato alla definizione dei criteri tecnico-scientifici per l‘individuazione delle cavità, per l‘analisi della loro pericolosità e per la definizione degli interventi più efficaci da realizzare sia in fase di emergenza che in fase di pre- venzione a medio e lungo termine. Valanghe Le valanghe (o slavine) sono costituite da masse nevose che si distaccano in modo improvviso e repentino dai pendii di un rilievo, precipitando verso valle ed accre- scendosi di volume durante il percorso. Il pericolo delle valanghe è fortemente legato alla presenza turistica in montagna e quindi alle maggiori esposizioni di rischio delle persone, degli edifici e delle infrastrutture . | P a g i n a 32
  • 34. La classificazione delle valanghe non è delle più semplici a causa delle notevoli va- riabili che entrano in gioco (tipo di distacco, tipo di neve, posizione del piano di scor- rimento, etc.). Secondo la terminologia adottata in recenti pubblicazioni dell‘AINEVA (Associazio- ne Interregionale Neve e Valanghe), con riferimento al tipo di distacco, si parla di di- stacco puntiforme, che genera una valanga di neve a bassa coesione oppure di distac- co lineare che dà luogo ad una valanga a lastroni. E‘ molto importante, per le valanghe (che possono essere sia spontanee che innesca- te), determinare se si tratti di valanghe di superficie o di fondo: se la rottura avviene all‘interno del manto nevoso, si ha una valanga di superficie, mentre se avviene a li- vello del terreno, la valanga è detta di fondo. Le valanghe possono essere poi radenti (a contatto con la superficie) o nubiformi (queste ultime sono dette anche polverose e possono essere costituite di neve asciutta). Prevedere la caduta di una valanga non è un compito semplice, in quanto spesso la lo- ro caduta non è preceduta da alcun precursore; pur tuttavia sono note con una certa precisione quali sono le aree a rischio di valanghe e vengono segnalate situazioni di pericolo mediante i cosiddetti ―bollettini delle valanghe‖. Le cause della valanghe possono essere diverse ma in ogni caso riferibili alla diminu- zione della coesione della massa nevosa, che ne determina il distacco. A questo pro- posito, aspetti di una certa rilevanza sono la lunga permanenza di uno strato di neve in superficie, il riscaldamento primaverile e l‘azione di piogge di una certa consisten- za. Per quanto riguarda gli incidenti da valanga, i dati raccolti dall‘AINEVA indicano che sulle Alpi in questi ultimi 25 anni sono morte in valanga mediamente una ventina di persone sul versante italiano. I provvedimenti da attuare nel caso di rischio valanghe consistono innanzitutto nel conoscere quali sono le aree dove tali fenomeni si generano: in generale, infatti, le valanghe prendono origine quasi sempre dagli stessi luoghi, tipicamente aree di alta | P a g i n a 33
  • 35. montagna, con terreni rocciosi nudi, tra i 2.000 ed i 3.000 metri, prive per lo più di copertura vegetale. In questo caso un provvedimento da adottare consiste senz‘altro nell‘evitare queste aree, soprattutto in periodi molto pericolosi (inizio primavera), quando l‘innalzamento delle temperature può essere tale da provocare lo scioglimento repen- tino delle masse nevose. In caso di incidente, è essenziale che ogni escursionista non sia mai solo, sia adegua- tamente equipaggiato, al fine di rendere possibile l‘autosoccorso da parte degli altri escursionisti in un arco di tempo sufficientemente ridotto. E‘ necessario dunque di- sporre di un apparecchio di ricerca per la rapida localizzazione in valanga (ARVA) che, posto in trasmissione all‘inizio dell‘escursione, viene commutato in modalità di ricerca nel caso di incidente. Gli altri materiali per l‘autosoccorso sono costituiti da una sonda leggera per l‘individuazione del punto esatto in cui si trova la persona se- polta ed una pala per poter liberare il più velocemente possibile una persona sepolta: in genere la profondità di seppellimento si aggira intorno al metro. Nel caso in cui non si sia in grado di effettuare l‘autosoccorso, o anche semplicemente per avere bi- sogno di aiuto, occorre chiedere immediatamente soccorso telefonando al 118. In questo caso scatta il cosiddetto ―soccorso organizzato‖ organizzato appunto dal Soc- corso Alpino con l‘ausilio di elicotteri, cani da valanga e tecnici specializzati. Come prevenire il rischio di valanghe e cosa fare nel caso di caduta di una valanga. Crisi idriche In un sistema di approvvigionamento idrico si verifica una situazione di deficienza idrica quando l‘ordinaria richiesta d‘acqua da parte degli utenti non può più essere corrisposta, sia per eventi di siccità, inquinamento o errata gestione delle fonti di ali- mentazione, sia per carenza negli impianti (D.P.C.M. 4 marzo 1996). Negli ultimi decenni, si è venuta a delineare in Italia una situazione meteo-climatica caratterizzata da una generalizzata diminuzione delle precipitazioni. In particolare, | P a g i n a 34
  • 36. negli ultimi tre anni sono stati registrati prolungati periodi di scarse precipitazioni che hanno determinato situazioni di emergenza idrica in gran parte del territorio nazionale aggravando altresì situazioni già precedentemente in stato di crisi. Va ricordata tra i fattori che contribuiscono al determinarsi delle crisi idriche, l‘inadeguatezza della rete acquedottistica che in Italia presenta una perdita dell‘acqua addotta pari al 27%, con punte anche del 40%. Le emergenze idriche più gravi verificatesi recentemente in Italia sono state registrate nell‘estate 2002, soprattutto al Centro Sud, e nell‘estate 2003 (in particolar modo le regioni settentrionali). In queste situazioni, la carenza idrica ha determinato forti li- mitazioni non solo nel settore civile ma anche in quelli agricolo ed industriale. Il Di- partimento della Protezione Civile è intervenuto, d‘intesa con i Ministeri competenti e con le Regioni interessate, con la dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri e per mezzo di ordinanze che hanno conferito ai Presidenti delle Regioni, nominati Commissari Straordinari, i poteri e gli strumenti necessari per fronteggiare l‘emergenza nel settore dell‘approvvigionamento idrico e del servi- zio idrico integrato. Durante la crisi idrica dell‘estate 2003 che ha interessato tutto il bacino del Po, al fine di prevenire il determinarsi di ulteriori situazioni emergenziali, il Dipartimento della | P a g i n a 35
  • 37. Protezione Civile, attraverso strumenti ordinari e disponibili nell‘ambito della legi- slazione vigente, si è fatto promotore di un‘intesa stipulata con l‘Autorità di bacino, le Regioni Valle D‘Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, l‘Agenzia Interregionale per il fiume Po (AIPO), il Gestore della Rete di Trasmissio- ne Nazionale (GRTN), i Consorzi regolatori dei laghi, l‘Associazione Nazionale Bo- nifiche, Irrigazione e Miglioramenti Fondiari (ANBI), le società di produzione di e- nergia elettrica presenti nel bacino. Al fine di evitare l‘acuirsi di crisi idriche, è opportuno mettere in atto una serie di provvedimenti, anche individuali, per poter preservare e gestire nel modo più oppor- tuno il patrimonio idrico nazionale. Tali provvedimenti consistono nella gestione oculata e razionale delle falde acquifere, nella riduzione dei consumi, in interventi di riparazione o di rifacimento delle condot- te, nell‘adozione di reti di adduzione e distribuzione ―duali‖ che consentono cioè l‘utilizzo di acqua pregiata per fini potabili e di acqua depurata per alcuni usi compa- tibili. | P a g i n a 36
  • 38. Premessa Con "Protezione Civile" si intendono tutte le strutture e le attività messe in campo dallo Stato per tutelare l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri e- venti calamitosi. Con la legge del 24 febbraio 1992, n.225 l'Italia ha organizzato la Protezione Civile. Nella maggioranza dei Paesi europei, la Protezione Civile è un compito assegnato ad una sola istituzione o a poche strutture pubbliche. In Italia, invece, è coinvolta in questa funzione tutta l'organizzazione dello Stato, al centro e in periferia, dai Ministeri al più piccolo comune, ed anche la società civile partecipa a pieno titolo al Servizio nazionale della Protezione Civile, soprattutto at- traverso le organizzazioni di volontariato. Le ragioni di questa scelta, che caratterizza la struttura della Protezione Civile italiana, si possono individuare nell'incontro tra una motivazione istituzionale ed una esigenza operativa legata alle caratteristiche del nostro territorio. | P a g i n a 37
  • 39. Dal punto di vista dell'ordinamento amministrativo, è in corso da anni un processo di riforma orientato ad aumentare il peso, le competenze e le responsabilità delle isti- tuzioni regionali e locali, attuando e sviluppando in forme adeguate alle esigenze di oggi gli orientamenti al regionalismo e alla valorizzazione delle istituzioni locali già presenti nella Carta costituzionale. La Protezione Civile non poteva essere estranea a questo processo, che spiega l'importanza crescente che stanno assumendo nella strut- tura del sistema nazionale della Protezione Civile le Regioni e le amministrazioni lo- cali, l'aumento delle responsabilità e delle competenze loro affidate, l'articolazione dei livelli di decisione e di intervento, la complessità delle esigenze di direzione e co- ordinamento del sistema ai vari livelli. Breve storia della normativa di Protezione Civile Fino al XVII secolo le calamità e i disastri non avevano una spiegazione scientifica, ma venivano interpretati come castighi divini. Bisognerà aspettare il '700 perchè essi siano studiati e accettati per quello che sono: fenomeni naturali o prodotti dell'attività umana. A questa presa di coscienza consegue, nel tempo, l'intervento legislativo nel campo della Protezione Civile. Per comodità di esposizione, ma con qualche arbitrio, abbiamo periodizzato in tre fasi l‘arco di tempo entro il quale ha preso avvio e si è sviluppato l‘intervento normativo nel campo della Protezione Civile: una prima fase contraddistinta da una legislazione disorganica; una seconda, da una normativa orga- nica entro un quadro di riferimento accentrato ed accentratore; la terza ed ultima, in attuazione dei principi di ― integrazione‖ e ―sussidiarietà‖, caratterizzata da un forte decentramento e dal conseguente trasferimento di competenze alle autonomie locali. PRIMA FASE: Legislazione disorganica SECONDA FASE: Legislazione organica all'insegna dell'accentramento TERZA FASE: Legislazione organica all'insegna del decentramento | P a g i n a 38
  • 40. Nella prima fase tralasciando la legislazione preunitaria (che pure ha prodotto norme significative) e partendo dall‘Unità d‘Italia, assistiamo ad un‘intensa attività legislati- va. Vedono così la luce numerose ed eterogenee disposizioni di carattere generale ac- compagnate da legislazione ad hoc adottate a seguito di particolari calamità. Prefetti e Sindaci intervengono in situazioni di emergenza, limitando e requisendo, se del caso, anche la proprietà privata e lo fanno utilizzando il generale potere di ordi- nanza assegnatogli dalla legge 2359 del 1865. Si tratta di uno strumento tuttora lar- gamente utilizzato. Nei primi anni del ‗900 vengono varate alcune significative leggi. E‘ il caso, nel 1906, di disposizioni particolari aventi per oggetto alluvioni, mareggiate e uragani. Nel 1908, a seguito del terremoto di Messina, viene introdotta la classificazione si- smica del territorio e diventa vigente la prima normativa antisismica. Si tratta di norme che si trovano ad esplicare i propri effetti entro un quadro normati- vo disorganico e scollegato che non consente di affrontare seriamente, né tanto meno di prevenire il rischio indotto dai fenomeni naturali. Bisognerà attendere il 1925 per- ché sia varata la prima normativa organica. Si giunge così alla Seconda Fase dove si hanno interventi più consistenti che rivelano una certa logica. Con la legge 473/1925 il soccorso alle popolazioni colpite da eventi calamitosi viene delegato al Ministro dei LL.PP e al suo braccio operativo rappresentato dal genio ci- vile, con il concorso delle strutture sanitarie. Il R.D.L 9.12.1926, n°2389, convertito nella legge 15.3.1928, n°833, precisò meglio l‘organizzazione pubblica destinata ad intervenire, mantenendo al ministero dei LL.PP, che allora era l‘unico che disponesse di mezzi tecnici organizzati, il potere di dirigere e coordinare gli interventi anche delle altre amministrazioni dello Stato. La legge di conversione n° 833 ha affidato ai prefetti, rappresentanti del governo nella | P a g i n a 39
  • 41. provincia, il compito di attuare tale azione di coordinamento, dando a questi ultimi il potere di gestire gli interventi immediati necessari subito dopo il verificarsi di un e- vento calamitoso; tali poteri cessavano allorché il Ministro o un sottosegretario ai LL.PP assumevano direttamente sul posto l‘incarico della direzione delle operazioni. La stessa legge prevedeva eguali compiti per i sindaci con riferimento al territorio comunale: essi, appena venuti a conoscenza dell‘evento, dovevano inviare sul luogo i pompieri e il personale a loro disposizione, dandone immediata notizia al prefetto. Le competenze del sindaco si esaurivano a questi due adempimenti, peraltro essenziali nella prima emergenza. (cfr Padoin – La Protezione Civile in Italia - 1988). E‘ in questi anni che l‘organizzazione del servizio antincendio inizia a mutare pro- fondamente. Dal XVIII secolo fino al 1926 tale servizio era strutturato unicamente su base comunale. A partire da quest‘anno e fino al 1938, attraverso varie disposizioni legislative , si operò una profonda ristrutturazione di questa funzione. Infatti, con il R.D.L 16.6.1938, n°1021, i pompieri assunsero la moderna denominazione di ―Vigili del Fuoco‖, e con successivo R.D.L 27.2.1939, n°333, venne ridefinito il ―corpo na- zionale dei Vigili del Fuoco‖ e istituita, in seno al ministero dell‘interno, l‘apposita Direzione generale dei Servizi Antincendio‖. Il processo di organizzazione dei VVdF si completa nel 1961 con la legge 469. Con essa viene completamente devoluta al Ministero dell‘interno la materia relativa agli studi, all‘attività sperimentale tecnica e all‘organizzazione centrale e periferica dei servizi antincendi. Furono soppressi i corpi provinciali dei VVdF e fu precisato il ca- rattere civile del corpo nazionale. Tutto ciò comportò la completa statalizzazione dei servizi antincendi (cfr Padoin – La Protezione Civile in Italia - 1988). Non si poteva ancora parlare di vera e propria Protezione Civile e di organi operativi appositi, ma, soprattutto con questi ultimi provvedimenti, ci si riferiva già a precisi aggregati pubblici (forze armate, pompieri, ecc) per lo svolgimento di attività di p.c. (cfr Padoin – La Protezione Civile in Italia - 1988). | P a g i n a 40
  • 42. E si arriva così al dopoguerra, dove, nel clima di rinnovamento seguito al secondo conflitto mondiale, si hanno tentativi per arrivare ad una legislazione organica di p.c.. Negli anni 1950,1962 e 1967 vengono infruttuosamente presentati progetti di legge specifici. Nel frattempo alcuni eventi calamitosi particolarmente gravi, come la cata- strofe del Vajont nel 1962, le alluvioni del 1966, la frana di Agrigento nello stesso anno e il tragico terremoto nella Sicilia orientale nel 1968 accelerarono la predisposi- zione e l‘approvazione di nuovi strumenti legislativi più idonei. La 1^ vera svolta si ha nel 1970. Infatti, con la legge n° 996 ―Norme sul soccorso e l‘assistenza alle popolazioni colpite da calamità‖, si hanno per la prima volta, dispo- sizioni di carattere generale che prevedono un‘articolata organizzazione di Protezione Civile. Con questa legge si recepisce, per la prima volta nel nostro ordinamento, il concetto di Protezione Civile, definendola come ―l‘attività intesa alla predisposizione concertata, in tempo di normalità, dei servizi di emergenza, di soccorso e di assisten- za, e a predisporre, al verificarsi della calamità, in forma coordinata ed unitaria, tutti gli interventi delle amministrazioni dello Stato, delle Regioni, degli enti locali territo- riali e degli altri enti pubblici istituzionali‖. E‘ stata inoltre precisata, per la prima volta, la nozione di calamità naturale e di cata- strofe, definite come ―l‘insorgenza di situazioni che comportino grave danno e peri- colo di danno all‘incolumità delle persone e dei beni, e che per la loro natura ed e- stensione debbano essere fronteggiate con interventi tecnici straordinari‖. Siamo dunque in presenza di un nuovo concetto di Protezione Civile, intesa come predisposizione e coordinamento degli interventi, e a tal fine giustamente si indivi- duavano i compiti fondamentali demandati agli organi della Protezione Civile, po- nendo in primo piano l‘esigenza della pianificazione a livello nazionale, regionale e provinciale, e della più razionale organizzazione degli interventi, a calamità avvenuta. (cfr Padoin – La Protezione Civile in Italia - 1988). | P a g i n a 41
  • 43. L‘Organismo a cui è dedicata gran parte della legge è il Corpo nazionale dei vigili del fuoco. La legge ritaglia un ruolo centrale al Ministero dell‘Interno cui è affidato il compito di soccorso tecnico urgente e di assistenza. La legge n° 996, in linea con le concezioni culturali del tempo, privilegia il momento dell‘emergenza; pur anticipando le nuove future linee guida della p.c in senso globa- le, organizza il solo momento operativo che coincide con il disastro con il soccorso da attuare un attimo dopo sia avvenuto il fatto. Il regolamento d‘esecuzione della legge in questione fu approvato solo dopo 11 anni, mentre nel frattempo rovinosi terremoti avevano colpito e devastato nel 1976 il Friuli e nel 1980 vaste zone della Campania e della Basilicata. In tali occasioni il governo per far fronte all‘emergenza, nominò un commissario straordinario, come previsto dalla legge 996/70. Anche a seguito di quest‘ultima esperienza (gestione commissariale) cominciò a farsi strada l‘idea della necessità di prevedere stabilmente l‘istituzione di un Alto Commis- sario per il coordinamento degli interventi di p.c.. Si hanno, quindi, norme che danno corpo e contenuto a questa impostazione. Con il DL 22 febbraio 1982, n° 57 convertito nella legge 187/82 viene nominato un Ministro per il coordinamento della P.C. che nella sua attività si avvarrà del Dipartimento della Protezione Civile, istituito con DPCM del 22 giugno 1982. Con la legge 938 del 23.12.1982 viene formalizzata la figura del Ministro per il coor- dinamento della p.c. come autonoma figura di coordinamento. Con la legge n°180 del 1983 viene conferito al nuovo Ministro il potere di emanare, in situazioni di emergenza, provvedimenti immediatamente esecutivi in deroga alla normativa vigente. | P a g i n a 42
  • 44. Si passa così alla terza fase quando di fronte alle catastrofi, ai morti, al patrimonio e- dilizio e paesaggistico devastato, l‘intervento immediato dell‘uomo non basta più, ma bisogna attuare una politica di prevenzione Si fa strada l‘idea che i disastri vadano affrontati dopo averli immaginati, descritti prima, vissuti prima e che occorra sì dimensionare le strutture d‘intervento , ma oc- corre farlo tenendo conto di scenari già elaborati e di misure di prevenzione già poste in atto. La Protezione Civile, nella mente di chi sino a quel momento ha avuto come obiettivo il soccorso, diventa anche previsione, prevenzione e ricostruzione. I tempi sono oramai maturi per un cambiamento radicale. Finalmente viene promulgata la legge 24 febbraio 1992, n°225. Dopo 22 anni dalla legge n° 996 del 1970 nasce il ―Servizio nazionale della p.c.‖ con la cui istituzione la struttura di p.c. del paese subisce una profonda riorganizzazione. La legge 24 febbraio 1992, n. 225, istituisce il Servizio Nazionale della Protezione Civile, con l'importante compito di "tutelare la integrità della vita, i beni, gli insedia- menti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi" Tale legge disciplina la Protezione Civile come sistema coordinato di competenze al quale concorrono le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Provincie, i Comuni e gli altri enti locali, gli enti pubblici, la comunità scientifica, il volontariato, gli ordini e i collegi professionali e ogni altra istituzione anche privata. Un tale complesso sistema di competenze trova il suo punto di collegamento nell'af- fidamento delle funzioni di impulso e coordinamento al Presidente del Consiglio dei ministri. La nuova filosofia della p.c. è ora saldamente impostata su quattro linee fondamenta- li: previsione; prevenzione; soccorso; superamento dell‘emergenza. | P a g i n a 43
  • 45. Collocare questa legge nella fase decentrata non è propriamente corretto in quanto si- gnificative competenze vengono mantenute in capo allo Stato ed alla sua Ammini- strazione periferica. Essa più propriamente può essere definita una legge che rappre- senta un momento di passaggio fra la fase accentrata e quella decentrata in quanto, se è vero che, con particolare riferimento alle competenze operative, essa continua ad imperniarsi sull‘amministrazione centrale e periferica dello Stato, è altrettanto vero che per la prima volta, soprattutto per ciò che riguarda previsione e prevenzione, essa aumenta notevolmente il peso di Regioni, Province e Comuni. In questa fase, per così dire di passaggio, si collocano anche la legge n° 183 del 1989 sulla ―difesa del suolo‖ e la legge del 8 giugno 1990 n° 142 <<Ordinamento delle au- tonomie locali>> in seguito più volte modificata e, recentemente, trasformatasi nel dlgs n° 267 del 2000 (Testo unico). Questa legge , oltre a dettare i principi generali dell‘ordinamento delle Province e dei Comuni, ne determina funzioni e compiti alcu- ni dei quali, direttamente od indirettamente afferiscono all‘ambito della Protezione Civile A partire dagli anni novanta il Governo, il Parlamento e quasi tutte le forze politiche si accordano su un consistente trasferimento delle competenze, dal centro alla perife- ria, sulla base dei principi di ―sussidiarietà‖ed ―integrazione‖, in modo da avvicinare la soluzione dei problemi ai cittadini e ai rappresentanti dei cittadini. Ne consegue che funzioni statali passano alle Regioni e agli Enti locali, funzioni regionali passano agli enti locali. In questo contesto viene ridefinita anche la materia della Protezione Civile. Il Dlgs n° 112 (cd. Bassanini) del 1998 ha in tre articoli rideterminato l‘assetto della Protezione Civile a livello delle competenze, da una parte trasferendo notevolissime competenze alle Autonomie locali, stavolta anche di tipo operativo, dall‘altra prefigurando una profonda ristrutturazione anche per ciò che riguarda le residue competenze statali. Il quadro di riferimento ―ideologico‖ resta però la 225/92 che disciplina la Protezione | P a g i n a 44
  • 46. Civile come servizio e, soprattutto, identifica le categorie degli eventi e delle attività di Protezione Civile. Il ciclo si chiude con la riforma del titolo V° della Costituzione (L.costituzionale 3/2001) che ha inserito la Protezione Civile fra le materie a legislazione concorrente. La Regione Sicilia ha poi recepito la nuova riforma costituzionale e successivi decreti attuativi, ha ribadito un‘impostazione fortemente ancorata ai valori del decentramen- to, dell‘integrazione e della sussidiarietà. Intervento della p.c. nel monitorare l‘ attivitá vulcanica dell‘ Etna | P a g i n a 45
  • 47. Dipartimento della Protezione Civile siciliana La struttura organizzativa è prevista dal D.D.G. n. 374 del 12/12/2001 e suc- cessive modifiche ed integrazioni, ed è così articolata: DIREZIONE: si occupa del Sistema Informativo, Rete informatica e banche dati del Dipartimento. Gestione sito web e coordinamento redazionale - Atti- vazione e interventi in emergenza; Segreteria della Direzione Generale (con competenze ed articolazione di cui al D.D.G. n. 374 del 12/12/2001) - Attiva- zione e interventi in emergenza; Comunicazione tecnologica ed audiovisiva, promozione e divulgazione. Attivazione ed interventi in emergenza. AREA AFFARI GENERALI E GESTIONE DEL PERSONALE: gesti- sce L‘Unità per l'esercizio delle funzioni strumentali e serventi del Diparti- mento. Attende alle gare ed ai contratti, cura il contenzioso, studia e promuo- ve proposte normative, propone l'emanazione di circolari e ne cura la divul- gazione, provvede all'organizzazione logistica, non che all'approvvigiona- mento del materiale di consumo ed alla manutenzione dei beni mobili ed immobili. Cura il servizio prevenzione e previsione per la sicurezza sul posto di lavoro; l‘ Unità per le funzioni connesse alla gestione del personale, del suo stato giuridico, dei rapporti contrattuali collettivi e del trattamento eco- nomico. Cura i rapporti con le Organizzazioni sindacali, la contrattazione de- centrata e l'attuazione degli accordi aziendali. SERVIZIO FINANZIARIO: cura le problematiche d'interesse del Diparti- mento relative alla programmazione ed al bilancio. Provvede alla gestione delle risorse finanziarie ed ai pagamenti. Svolge i compiti di Segreteria per il Comitato Regionale di Protezione Civile. | P a g i n a 46
  • 48. SERVIZIO EMERGENZA: si occupa della gestione ed attivazione della Sala Operativa Regionale Integrata Siciliana h 24. Riceve e valuta le notizie riguardanti gli eventi calamitosi e risolve direttamente, ove possibile, i pro- blemi inerenti i primi soccorsi; coordina la pianificazione dell'emergenza su tutto il territorio regionale, anche per mezzo della divulgazione di Linee Gui- da. Attiva le procedure di allertamento. Cura i rapporti con gli organi N.A.T.O.. E' di supporto all'intervento dei mezzi aerei del C.O.A.U. (Centro Operativo Aereo Unificato) per l'ottimizzazione dell'impiego degli aeromobi- li. SERVIZIO VOLONTARIATO E FORMAZIONE: coordina la pianifica- zione dell'emergenza su tutto il territorio regionale, anche per mezzo della divulgazione di Linee Guida. Attiva le procedure di allertamento. Cura i rap- porti con gli organi N.A.T.O.. E' di supporto all'intervento dei mezzi aerei del C.O.A.U. (Centro Operativo Aereo Unificato) per l'ottimizzazione dell'im- piego degli aeromobili; Promuove e provvede all'aggiornamento ed alla for- mazione professionale del personale dipendente dal Dipartimento e delle As- sociazioni di volontariato iscritte nel Registro regionale. SERVIZIO RISCHI IDROGEOLOGICI, SANITARI E AMBIENTALI: ha funzione di Previsione e prevenzione del rischio idrogeologico - Compe- tenze regionali derivanti dal nuovo sistema nazionale di allerta metereologica e di gestione dell'emergenza - Formazione specialistica dei tecnici funzionari in materia di rischio idrogeologico ; Supporto alla pianificazione di emergen- za e Linee Guida - Attivazione e interventi in emergenza ; Previsione e pre- venzione dei rischi industriale, antropico, sanitario ed ambientale - Supporto alla pianificazione di emergenza e Linee Guida - Attivazione e interventi in | P a g i n a 47
  • 49. emergenza. SERVIZIO SISMICO REGIONALE: ha funzione di Individuazione, for- mazione ed aggiornamento elenco zone sismiche e classificazione sismica regionale. Indirizzi e linee guida per gli studi di pericolosità e di microzona- zione sismica. Reti di monitoraggio sismico e per maremoto - Attivazione e interventi in emergenza ; Censimento e programmazione verifiche di sicurez- za sismica ed interventi su edifici ed opere infrastrutturali di interesse strate- gico e rilevanti ai fini di Protezione Civile. Linee guida per le verifiche si- smiche e gli interventi. Promozione informazione e supporto specialistico ai tecnici - Attivazione e interventi in emergenza ; Indirizzi e linee guida per i piani di emergenza sismica. Scenari di danno e di rischio per gli eventi si- smici e da maremoto. Formazione specialistica dei tecnici funzionari in mate- ria di rischio sismico. Rapporti con il Dipartimento Nazionale per predisposi- zione intese su schemi ordinanze; atti per dichiarazioni calamità e stati emer- genza - Attivazione e interventi in emergenza. | P a g i n a 48
  • 50. Protezione Civile europea | P a g i n a 49
  • 51. INTRODUZIONE Dal momento che l‘Italia fa parte dell‘Unione europea, nasce l‘esigenza di trattare la Protezione Civile anche a livello europeo. L‘Europa, infatti, viene regolarmente col- pita da gravi catastrofi naturali, quali inondazioni e incendi boschivi, nonché da inci- denti tecnologici, come esplosioni in impianti industriali e fuoriuscite di sostanze chimiche. In alcuni casi, i Paesi colpiti riescono ad affrontare autonomamente cata- strofi di simili proporzioni; spesso, però, necessitano l‘invio di soccorsi dall‘estero in tempi brevi, ed è in questi casi che interviene la strategia di cooperazione comunitaria nel settore della Protezione Civile. Il tipo di disastri che i paesi europei devono affrontare dipende in una certa misura dalla loro collocazione geografica e dal clima. Per esempio, molti Stati meridionali membri dell‘Unione europea sono particolarmente soggetti a terremoti e incendi bo- schivi, mentre negli Stati settentrionali è maggiore la probabilità di incidenti tecnolo- gici minori come esplosioni in impianti industriali o sinistri marittimi. Di conseguen- za, i vari Stati membri hanno sviluppato, in caso di calamità, competenze specifiche di intervento in settori diversi; un aspetto che rende la cooperazione a livello co- munitario particolarmente importante. Tramite lo scambio di opinioni e di esperienze, gli esperti della Protezione Civile di tutta l‘Unione possono trarre insegnamenti dalle rispettive migliori pratiche e poten- ziare la capacità complessiva dell‘Europa di far fronte alle catastrofi. Resta comun- que il dato di fatto che la Protezione Civile in ambito europeo rimane attualmente un argomento di neoformazione e pertanto il materiale raccolto risulta esiguo . | P a g i n a 50
  • 52. CENNI STORICI Nel corso degli ultimi anni, numerosi eventi hanno evidenziato la necessità di un‘azione a livello europeo, come ad esempio il naufragio della Prestige, gli incendi nelle foreste del 2003 e le esondazioni nel sud della Francia alla fine del 2003. Que- sti, ed altri eventi hanno visto convergere l‘aiuto di numerosi Stati membri ed hanno mostrato la necessità di una preparazione comune e di un‘informazione reciproca. Al fine di promuovere la cooperazione, lo scambio e la reciproca assistenza tra i servizi della Protezione Civile degli Stati membri, numerose Decisioni del Consiglio europeo hanno promosso attività e progetti finalizzati alla previsione e alla prevenzione dai ri- schi naturali, alla gestione delle situazioni di crisi e alla creazione di reti comuni tra i diversi sistemi nazionali di Protezione Civile. La Decisione fondamentale che ha ap- provato il Consiglio è sicuramente la 2001/792/EC, Euratom; poi altre decisioni sono seguite per dare attuazione alla norma fondamentale. Anche in ambito europeo, la le- gislazione in materia di Protezione Civile ha subito, specie nel corso degli ultimi an- ni, numerose modifiche e aggiornamenti. Il Consiglio europeo, attraverso il proprio strumento legislativo (Decisione), ha promosso diverse iniziative e programmi volti alla cooperazione tra gli Stati membri, alla formazione di personale qualificato, alla predisposizione di una banca-dati omogenea, alla creazione di una task-force pronta ad intervenire, in tempi rapidi, in situazioni di "maxi" emergenze che coinvolgono uno Stato in difficoltà oppure più Stati (come ad esempio l‘esondazione del Reno). Non c‘e dubbio che ciascun membro appartenente alla Commissione europea si con- fronta quotidianamente con specifiche problematiche di varia natura relative al pro- prio territorio e, conseguentemente, ciascuno Stato affronta le emergenze sulla base della propria esperienza, in relazione al proprio assetto normativo e funzionale e sulla base del proprio Sistema nazionale di Protezione Civile. Di qui la necessità di uni- formare, attraverso linee guida ed indirizzi operativi, i linguaggi e le procedure al fine di creare una struttura in grado di dialogare specialmente in situazioni "di emergen- za". La struttura europea di Protezione Civile nasce con l‘intento di mettere a con- fronto i diversi sistemi nazionali di Protezione Civile e le diverse strategie messe in | P a g i n a 51
  • 53. atto per mitigare le conseguenze di eventi calamitosi. A partire dal disastro nucleare verificatosi nella ex Unione Sovietica, ci si è resi conto che alcune maxi emergenze possono travalicare i confini nazionali e richiedere un istantaneo coordinamento degli apparati di sicurezza di una pluralità di paesi. Vi è, al fondo, l‘esigenza di concordare forme e modalità, quanto più sollecite, di scambio di informazioni e di notizie sia nel- le fasi preventive sia, a maggior ragione, nella gestione degli eventi emergenziali. Nel recente passato, si rammentano solo la devastante esplosione dell‘impianto chimico AZF di Tolosa (Francia) che ha causato 29 morti nonché ingenti danni; la fuoriuscita di cianuro dalla miniera di Baia Mare (Romania) che ha contaminato parte del Danu- bio; i terremoti cha hanno colpito la Grecia e la Turchia provocando oltre 17.000 vit- time e le devastanti inondazioni che hanno interessato la Germania e la Francia. Pe- raltro, alcune Nazioni hanno una specifica struttura preposta alla gestione delle emer- genze: l‘Italia, per effetto delle condizioni geomorfologiche e meteoclimatiche del proprio territorio, ha sviluppato specifiche e qualificate competenze per determinare tipologie di rischi. A tal fine appare indispensabile che si accresca il livello di inter- scambio di Protezione Civile culturale e di esperienza fra i paesi europei al fine di mettere a fattor comune le pratiche di eccellenza e omogeneizzare il più possibile la risposta continentale di Protezione Civile ed uniformare i linguaggi per la gestione delle emergenze. | P a g i n a 52
  • 54. Catastrofi avvenute in Europa Terremoti 1999 Grecia e Turchia oltre 17 000 vittime 1980 Italia 2739 vittime 1976 Italia 977 vittime Inondazioni 2002 Francia, Germania, Regno Unito, Repubblica ceca, Ungheria 2001 Polonia, Regno Unito, Romania, Ungheria 2000 Francia, Italia, Regno Unito, Spagna Frane 1998 Italia 159 vittime 1976 Regno Unito 144 vittime 1963 Italia 1 759 vittime Incendi forestali Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia: ogni anno Incidenti tecnologici 2001 Francia esplosione nella fabbrica AZF 29 vittime 2000 Romania, Ungheria fuoriuscita di sostanze chimiche a Baia Mare 2000 Paesi Bassi esplosione in una fabbrica di fuochi artificiali a Enschede 20 vittime Inquinamento marino dovuto a cause accidentali 1999 Francia incidente dell‘Erika con fuoriuscita di petrolio 1996 Costa del Galles Sea Empress 1993 Shetland Braer | P a g i n a 53
  • 55. STRUTTURA E ORGANIZZAZIONE INTERNA I governi dell‘UE hanno concordato formalmente per la prima volta di coordinare le strategie di Protezione Civile in una riunione ministeriale svoltasi a Roma nel 1985. Tali governi tra il 1985 e il 1994 hanno approvato varie iniziative preliminari che hanno gettato le basi di quello che è oggi un approccio coordinato di ampia portata per affrontare gravi disastri e pianificare i soccorsi. Tutte le iniziative di Protezione Civile a livello comunitario sono attuate sulla base del principio di sussidiarietà, il quale prevede che in settori di competenza condivisa fra l‘UE e gli Stati membri, la Comunità intervenga solo quando la sua azione è con- siderata più efficace di quella intrapresa a livello nazionale, regionale o locale. Nel 1997 il Consiglio dell‘Unione europea ha compiuto un importante passo avanti con l‘approvazione di un vasto programma di azione per la Protezione Civile valido dal 1 gennaio 1998 al 31 dicembre 1999. Questo primo programma di azione è stato seguito da un secondo programma nel 1999, basato su uno schema più ampio, entrato in vigore il 1 gennaio 2000 e valido fino al 31 dicembre 2004. Il nuovo programma è finalizzato a sostenere e integrare gli sforzi degli Stati membri dell‘UE nel settore della Protezione Civile a livello nazionale, regionale e locale, ol- tre che ad agevolare gli scambi tra gli specialisti europei del settore. In base all‘art. 3 della decisione del Consiglio del 9 dicembre 1999, che istituisce un programma d‘azione comunitario a favore della Protezione Civile, le singole azioni da intraprendere sono individuate prevalentemente sulla base di alcuni criteri: - devono contribuire alla prevenzione di rischi e danni alle persone, o ai beni materiali e in tal modo, all'ambiente, in caso di calamità naturale o di catastrofe tecnologica; - devono contribuire a potenziare il livello di preparazione delle squadre di Protezione Civile negli Stati membri, affinandone la capacità di reazione in caso di emergenza; - devono contribuire ad individuare e studiare le cause delle Catastrofi; | P a g i n a 54
  • 56. - devono contribuire a perfezionare gli strumenti e le metodologie di previsione, le tecniche e metodologie di reazione e immediata assistenza successiva alle emergenze - devono contribuire all'informazione, all'educazione ed alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica, mettendo i cittadini europei in condizione di proteggere se stessi con maggiore efficacia. Ognuna di queste azioni è condotta in stretta cooperazione con gli Stati membri e quest‘ultimi dovrebbero mirare a: - incorporare gli obiettivi di Protezione Civile nelle altre politiche ed azioni della Comunità e degli Stati membri, in particolare includendo la valutazione dei rischi nella valutazione dell'impatto di impianti ed attività; - contribuire alla coerenza di questo programma con altre azioni comunitarie. I progetti sono rivolti a ridurre al minimo il rischio di numerose catastrofi naturali e tecnologiche e a contenerne l‘impatto qualora esse si verifichino. La loro finalità è, tra l‘altro, l‘elaborazione di principi e orientamenti chiari per la prevenzione di cata- strofi naturali e gravi incidenti tecnologici. Oltre ad affrontare questioni generali con- nesse alla prevenzione dei disastri, questi progetti si concentrano in particolare sui ri- schi rappresentati da inondazioni, cedimenti di dighe e incendi. Il principio alla base di questi progetti è assicurare che i cittadini comunitari abbiano accesso a informa- zioni adeguate quando necessario, nella loro lingua, in caso di emergenza o di cata- strofe, in modo da potersi proteggere con maggiore efficacia. Quando si viaggia, si lavora o si studia in uno Stato membro, deve essere possibile comprendere le informazioni fornite tramite segnali, cartelli, indicazioni e altri stru- menti. In caso di pericolo, le persone devono capire quello che le autorità in tutti gli Stati membri dell‘UE cercano di comunicare in modo da poter provvedere a se stesse e a chi dipende da loro. | P a g i n a 55