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“Sai chi sono?”

CAPITOLO 1

I

l bambino in effetti non è un piccolo adulto, ma un essere umano
in crescita che si affaccia sul mondo ricco di curiosità e potenzialità
che sono specifiche e peculiari dell’età che sta vivendo.
Non è perciò un essere incompleto, mancante di abilità e competenze, ma ha caratteristiche proprie che lo contraddistinguono e lo diversificano dall’adulto, dal punto di vista intellettivo, affettivo ed anche
motorio.
Ed è soprattutto l’ambito motorio quello che maggiormente lo identifica.
Il bambino impara a conoscere la realtà esterna, prima attraverso il
contatto corporeo con i genitori e poi sviluppando con sempre maggiore competenza il movimento.
Saranno infatti il corpo e la capacità di muoversi, afferrando, prendendo, lanciando,... strisciando, rotolando, andando in quadrupedia,... camminando ed infine correndo, che gli permetteranno di
entrare in contatto con il mondo degli oggetti e degli altri.
Impedirgli di muoversi, negare il suo corpo, non vuol dire solo limitarlo nel movimento, ma soprattutto e contrariamente a quanto si
crede, bloccare la sua crescita intellettiva ed affettiva.
Il bambino non è in grado di pensare concettualizzando, ha bisogno
di sperimentare, manipolare, toccare, giocare, muoversi, deve, insomma, “vivere le conoscenze”. Procede in modo concreto e passo dopo
passo costruisce il proprio pensiero e la propria individualità.
Accanto a lui devono camminare adulti disponibili ad accettare questo suo modo di essere e capaci di coinvolgerlo ed appassionarlo
usando linguaggi, gestualità e giochi adatti al suo sviluppo intellettivo.
Solo così potremmo soddisfare il suo desiderio continuo d’imparare e
la sua innata ed infinita curiosità.
Dargli la possibilità di elaborare il mondo esterno attraverso le sue
modalità e permettergli in questo modo di crescere seguendo un percorso educativo a lui congeniale e non attraverso la strada che noi
adulti abbiamo già stabilito in modo rigido e acritico, è un atto di profondo rispetto nei confronti del bambino e vuol dire riconoscergli la
dignità di essere umano, seppur “piccolo”.
La libertà di crescere sviluppando le proprie predisposizioni e attitudini è qualcosa che gli adulti, soprattutto coloro che ritengono di essere
educatori, devono ai bambini.
Ma bisognerebbe essere capaci di andare oltre, pensando che le
caratteristiche infantili sono di gran lunga più pregevoli della rigidità
e della chiusura che caratterizzano l’età adulta.
L’antropologo statunitense Ashley Montagu nel libro “Saremo Bambini” sostiene infatti che le qualità dei bambini dovrebbero essere mantenute anche in età adulta.
La “Neotenia”, cioè la capacità di conservare tratti infantili anche nella
maturità, è una caratteristica della specie umana che nessun altro
essere vivente possiede, e ci permette di crescere nel corpo, nella
mente, nei sentimenti e nei comportamenti, sviluppando ed accentuando le qualità tipiche del mondo infantile, anziché sminuirle.
Ma quali sono i comportamenti infantili, così apprezzabili, che tendiamo a perdere in età adulta?
13
“Chi sei tu”

CAPITOLO 2

L’

ISTRUTTORE è colui che fornisce le nozioni teoriche e pratiche utili
per esercitare una particolare abilità. È colui che insegna qualcosa dal punto di vista morale, culturale e formativo.
In definitiva si pone come fine ultimo della sua azione la crescita del
soggetto.

L’ALLENATORE, invece, è colui che per professione allena singoli atleti o
squadre o animali da competizione. È perciò un addestratore, un trainer, un coach o anche un mister, e il suo fine ultimo è raggiungere
risultati.

Capisci anche tu che la differenza tra le due figure è sostanziale; io
voglio essere per te una guida, voglio aiutarti a crescere, non solo dal
punto di vista sportivo, ma anche umano, affettivo ed intellettivo.
Se sarò stato un buon istruttore sono sicuro che otterrai risultati
sportivi in seguito, adesso è meglio cercare di costruire il bagaglio
motorio più ampio e più completo possibile per darti la possibilità di
essere, se lo vorrai, in futuro, un atleta vero.

Voglio insomma essere per te un “educatore” cioè colui che fa crescere e maturare un soggetto dal punto di vista morale ed intellettivo,
sviluppando le sue disposizioni naturali.
EDUCARE, infatti deriva dal latino e-ducere, cioè “tirare fuori”, o meglio
far emergere le potenzialità insite in ogni soggetto ed aiutarlo a percepirle, riconoscerle e farle proprie, per poterle sviluppare.
Già nel periodo della cultura classica greca la concezione SocraticoPlatonica dell’educazione sottolineava l’importanza di questo concetto, considerando il bambino come un essere già ricco di conoscenze
che deve solo ricordare. E anche nei nostri giorni troviamo che il
neurofisiologo americano Michael Cazzaniga nel suo libro “La mente
della natura” sostiene questa tesi e scrive: “Ogni forma di apprendimento consiste nel ricordare ciò che persiste all’interno del cervello”,
confermando così che le risorse più preziose di ogni essere umano
vanno ricercate nella sua interiorità, nella sua unicità e il suo compito
non è tanto quello di apprendere dal mondo esterno, ma di trovare in
esso stimoli adatti a sviluppare le proprie potenzialità.
Diverso da EDUCARE è poi INSEGNARE che etimologicamente significa
in-segno, cioè incidere, imprimere segni nella mente e nello spirito.
Il termine “in-segnare” trova corrispondenza nella concezione Aristotelica dell’educazione per la quale il bambino è una “tabula rasa” su
cui l’azione dell’insegnante lascia il segno.
In-segnare quindi presuppone solo un banale trasferimento di nozioni
da un soggetto attivo, cioè colui che in-segna, ad uno passivo, colui
che deve imparare.
19
“Voglio imparare a...”

CAPITOLO 3

L

o sviluppo della motricità nel bambino parte dal sistema sensomotorio che a sua volta è strettamente legato allo sviluppo del
Sistema Nervoso Centrale. In pratica il bambino, come già accennato
in precedenza, sviluppa la propria intelligenza attraverso l’attività sensoriale e percettiva, e attraverso quella motoria.
Subito dopo la nascita sono gli stimoli sensoriali che prevalgono e
danno i primi input al bambino: i contatti con il corpo della madre, le
luci, i suoni, i rumori e le sensazioni di benessere o di fastidio che
provocano sono i primi dati registrati dal cervello del neonato. In
seguito il bambino sviluppa sempre maggiori abilità motorie e il controllo sul suo corpo che lo porterà a camminare nel corso del suo
primo anno di vita, gli permetterà di staccarsi, piano piano, dalla
madre e di avventurarsi, con sempre maggiore sicurezza, verso la
conoscenza del mondo.
Le sensazioni che potrà registrare nel suo contatto con il mondo
diventano sempre più complesse e possono essere relative al proprio
corpo (propriocettive o cinestetiche) o relative ai dati esterni (esterocettive).
Lo sviluppo dell’intelligenza è condizionato quindi dalla capacità di
elaborazione del sistema senso motorio e può procedere ed evolversi
solo su basi strettamente concrete. Saranno cioè le esperienze tattili,
uditive, visive, olfattive, gustative e motorie a far sviluppare il cervello
e tali esperienze saranno sempre strettamente collegate con il vissuto
corporeo.
Nel bambino si sviluppa così un’intelligenza concreta che ha bisogno
di fare, toccare, sperimentare e muoversi per crescere. Le caratteristiche del pensiero concreto prevarranno nel bambino fin verso i 12
anni, quando la capacità di concettualizzare e di astrarre i contenuti
darà il via all’instaurarsi di una modalità di pensiero astratta che sarà
tipica dell’età adulta.
Per quanto detto, quindi, le esperienze motorie che all’interno delle
attività sportive proponiamo ai bambini non devono essere di certo
casuali, ma corrispondere ad un progetto di crescita che possa essere
il più armonico ed equilibrato possibile.
Tra i 6 e gli 11-12 anni il bambino ha bisogno di esplorare e sperimentare la motricità in ogni suo aspetto per costruire un bagaglio
motorio ampio, completo e flessibile che lo porterà alla strutturazione
delle abilità sportive.
Nella piramide motoria possiamo vedere sintetizzate le tappe della
crescita motoria, in un processo che in realtà non è lineare e consequenziale, ma si interseca in un continuo concatenarsi di acquisizioni
ed aggiustamenti che progrediscono con l’età.
La crescita motoria del nostro “piccolo atleta”, quindi, deve passare
obbligatoriamente attraverso queste tappe che si sviluppano parallelamente e che si condizionano reciprocamente: non è possibile lo sviluppo delle abilità sportive se non si parte dalla base della piramide e
non si sale, gradino per gradino, fino alla cima!
Volendo analizzare la piramide in tutte le sue parti, e salendo così
dalla base, costituita dalle capacità senso percettive, porremo la
nostra attenzione sugli SCHEMI MOTORI DI BASE.
23
“La mia motricità”

CAPITOLO 4

I

n tale prospetto, detto FASI SENSIBILI DELLA MOTRICITÀ, si può notare
che la caratteristica “voglia di apprendere” trova il suo massimo sviluppo tra i 6 e i 12 anni, indice delle spiccate capacità di apprendimento di un bambino in questo periodo cronologico che non vanno
assolutamente sottovalutate.
Ma questo è anche il periodo d’oro della motricità, quello in cui gli
schemi motori di base e le capacità motorie trovano la loro migliore
collocazione. Tra queste ultime, sono le capacità coordinative quelle
che meglio contraddistinguono questo periodo: esse vanno sviluppate
entro i 12 anni, dopo di che, è solo possibile intervenire in modo parziale e non esaustivo: ciò che è stato perso non può più essere recuperato. Alcune capacità addirittura come quella di equilibrio, di ritmo,
di reazione agli stimoli, trovano, in seguito, scarsissime possibilità di
sviluppo.
È invece importante sottolineare come la capacità di orientamento
nello spazio, unica tra le capacità coordinative, arrivi a strutturarsi in
modo completo solo dopo i 12 anni e questo perciò presuppone una
scarsa percezione spaziale nei bambini più piccoli.
Anche le capacità condizionali trovano poca rispondenza nel periodo
infantile, esclusa la rapidità che invece è nel momento del suo massimo sviluppo.

Tutto questo indubbiamente mi richiama alla mia responsabilità di
istruttore competente che non può esulare dal comprendere quali
sono i momenti opportuni e le attività più adatte per le diverse
fasce d’età dei bambini.
Anzi mi sorgono dei dubbi sul lavoro da me svolto in tanti anni di
attività:
• Quante volte ho accantonato le esercitazioni sulle capacità coordinative a favore della tecnica?
• Perché se la capacità di orientamento nello spazio è di difficile
costruzione per un bambino, ho continuato a farti giocare “a
zona”, per poi sgridarti se non mantenevi la posizione?
• Perché invece di insistere sulla rapidità del movimento mi sono
lamentato che in campo ti mancavano “forza e resistenza”?
• Come mai mi sono dimenticato spesso di essere coinvolgente e
motivante, e magari ti ho proposto “allenamenti” tratti dall’ultimo numero della rivista specializzata, per poi lamentarmi della
tua incapacità esecutiva?
Posso comunque fare meglio ed impegnarmi nel definire quali sono
le caratteristiche dei bambini nei diversi momenti di crescita, in
modo da poter progettare situazioni motorie sicuramente adeguate e
rispondenti alle tue reali esigenze. Vediamo dunque come è possibile
identificare queste tue caratteristiche motorie dividendole per fasce
d’età.

39
“Dove stiamo andando?”

CAPITOLO 5

L’

istruttore, come tutti gli educatori, deve essere un buon programmatore analizzando con attenzione la situazione di partenza dei
propri bambini, ponendosi delle finalità e degli obiettivi (mete)
rispondenti alle effettive capacità dei suoi piccoli allievi, approntando
dei contenuti adatti alla sua situazione, usando una metodologia consona all’età del proprio gruppo e verificando se gli obiettivi o le mete
prefissati sono stati raggiunti.
Come agire:

• Tenere ben presente che il nostro compito principale consiste nell’educare i bambini che ci vengono affidati (far emergere tutte le
loro potenzialità)
• Usare l’attività sportiva come mezzo per educare la persona
• Pensare a soddisfare i veri bisogni e le reali aspettative dei bambini
senza confonderli con quelle di noi adulti
• Essere sempre in grado di emozionare i bambini
• Approntare esercizi-giochi in forma ludica o comunque divertente
• Programmare attività che siano sempre rispettose dei ritmi e dei
tempi di apprendimento dei bambini, partendo da dove effettivamente essi possono partire
• Attenzione a non fare annoiare in quanto la noia porta al disinteresse ed il disinteresse all’abbandono dell’attività
• Aiutare e sostenere i bambini nel provare a cercare la risoluzione
dei piccoli problemi che gli si parano davanti durante le attività di
gioco senza dare sempre soluzioni pre-confezionate
• Essere sempre in grado di correggere con pazienza, accettando con
benevolenza gli errori in quanto momento di messa alla prova per
crescere
• Attendere sempre i risultati con pazienza: ogni bambino è diverso
dagli altri poiché c’è chi apprende tutto velocemente, chi ci impiega
più tempo e chi non apprenderà mai tutto ciò che noi insegniamo,
tenendo ben presente che il tutto e subito non sta scritto e soprattutto non ci porta da nessuna parte
• Nel verificare osserviamo sempre i bambini durante le nostre lezioni (allenamenti) e ricordiamoci che la miglior verifica è la partita.
Quando si insegna e soprattutto si insegna ai bambini, noi istruttori ci
alleniamo anche ad apprendere dagli stessi bambini.
Insegnare ai bambini è bello ed affascinante e se sapremo essere
coinvolgenti e saremo in grado di far divertire, questi aspetteranno
sempre con grande entusiasmo la lezione successiva.

49
“Amo giocare”

CAPITOLO 6

A

bbiamo già visto che il bambino ha modalità proprie di apprendimento che devono essere riconosciute e rispettate dagli adulti
per permettergli di crescere in modo equilibrato.
È importante sottolineare che quando un bambino si muove lo fa con
tutto il suo essere e quindi il lavoro motorio non è mai mera esecuzione fisica, ma è, anche e soprattutto, indice delle caratteristiche
intellettive, affettive e sociali di ognuno: modalità privilegiata attraverso la quale il giovane si esprime!
Non riconoscere l’importante valenza educativa del movimento può
far cadere l’istruttore nella trappola della ricerca esasperata del risultato, che può non coincidere con le esigenze di maturazione del soggetto in crescita.
È meglio allora procedere nel rispetto delle singole individualità, assecondando ritmi e modalità di maturazione o specializzare precocemente?
Già nel 1986 E. Hahn, in un articolo apparso su SDS, Rivista di Cultura Sportiva, dal titolo “Parola chiave: allenamento dei bambini” sosteneva che “Il fondamento di ogni prestazione è una formazione di
base generale, che vada oltre le varie discipline, impostata su larga
scala, in cui ha gran valore la molteplicità dei modelli motori. Più
vasto è il repertorio di esperienze motorie in diverse discipline sportive, più facilmente riesce una strutturazione a livelli più alti di rendimento”.
In effetti la specializzazione precoce, utilizzando esclusivamente la
componente tecnica e quella energetica del movimento come metodo
prioritario per lo sviluppo delle abilità motorie, porta velocemente ad
un sensibile incremento delle prestazioni, cui segue però una stagnazione, con caduta della performance, la cui conseguenza può anche
essere l’interruzione anticipata dell’attività per demotivazione.
La multilateralità, che letteralmente significa “presenza e/o concorrenza attiva di più elementi di riferimento”, si pone come obiettivo lo sviluppo delle abilità motorie in modo variato per creare una formazione di base generale che consenta al ragazzo di poter operare in futuro scelte sportive consapevoli.
Tale metodologia, che si sviluppa con modalità ampie e variabili,
porta come risultato ad una motricità flessibile, completa, economica
ed originale che darà risultati a lungo termine, proprio perché si sviluppa in tempi dilatati, adeguati ai ritmi di crescita e coinvolge tutti gli
aspetti della motricità infantile (capacità percettive, schemi motori di
base, capacità coordinative e condizionali).
In quest’ottica le singole tecniche, specifiche di ogni disciplina sportiva, sono utilizzate come mezzo per favorire la crescita motoria e non
come fine ultimo dell’apprendimento: servono in sostanza per preparare efficacemente il processo di specializzazione futura.
La sintesi,qui sotto riportata, vuole evidenziare le sostanziali differenze tra le due modalità d’intervento in ambito motorio:

55
“Voglio essere un bambino...”

CAPITOLO 7

G

li adulti, ancor di più quelli significativi nella vita di ciascun bambino, devono tener presente e favorire questo rispetto dei desideri, dei ritmi e delle tappe, non solo nell’attività sportiva ma anche
nella vita quotidiana (es. aspettative e risultati eccessivi per le potenzialità del bambino a scuola e in tutte le attività extra scuola in cui si
vuole che il bambino sia impegnato).
A volte il bambino non è capito in questo, in quanto sembra uno
strumento in mano ai grandi che lo utilizzano per realizzare i loro
progetti!
Se fossimo in grado di osservare meglio i nostri bambini, se fossimo
in grado di sforzarci di ripensarci bambini ricordando i nostri tempi di
bambino, potremmo comprendere quanto la sua candida semplicità
possa scalzare la nostra complessità di persone che pensano che ciò
che noi approntiamo per i piccoli vada sempre e comunque bene, in
virtù del fatto che noi siamo più grandi.
L’istruttore sportivo possiede una grande fortuna perché ha la possibilità di capire, forse più degli altri adulti, la vera personalità del bambino osservandolo in un contesto dove lui non può assolutamente mentire e cioè quando gioca.
Al bambino piace giocare e divertirsi ed attraverso il gioco rivela
realmente tutto se stesso senza finzioni e senza nascondere nulla in
quanto, mentre gioca, mette a nudo il suo vero essere e da modo
all’istruttore di conoscerlo per quello che veramente è.
Se noi volessimo pensare ad un lavoro per i bambini si potrebbe dire
che il loro lavoro si chiama giocare e nel cimentarsi nel loro lavoro
desiderano gioia e divertimento.
Chissà se gli istruttori sportivi pensano a questo?

Quanti disegni, quante idee ed aspettative mi passano per la mente
per farti crescere e migliorare nell’attività sportiva.
Spesso mi trovo a pensare e studiare soluzioni e strategie correndo e
rincorrendo le tappe del domani quasi per timore di essere in ritardo
con i tempi e mi accorgo che, per tentare di raggiungere i miei obiettivi (che poi sono anche i tuoi…), sto trascurando quelle dell’oggi.
È tutto un correre e rincorrere in cui desidero che tu mi segua, ma
tu mi inviti a non avere fretta, a non avere fretta nel vederti migliorare, a non avere fretta di vederti primeggiare, a non avere fretta di
arrivare alla meta.
Quanta ragione hai caro bambino…!
La fretta è la peggior nemica della vera educazione!
Quindi devo sforzarmi di non bruciare le tappe, usando sempre con
lungimiranza l’arte della pazienza, ponendomi obiettivi reali e concreti per la tua età.

Per una corretta crescita motorio-sportiva ogni istruttore deve impegnarsi affinché i suoi bambini conseguano uno sviluppo globale, il
più ampio possibile, a livello di mappe cognitivo-motorie in modo
69
“L’istruttore che desidero…”

CAPITOLO 8

Era diverso tempo che facevo l’istruttore sportivo, ma non ero del
tutto contento del mio operare, anche se spesso tutto veniva mascherato dai buoni risultati sul campo e dagli apprezzamenti degli addetti
ai lavori.
Ma i bambini, che dopo il mio allenamento vedevo riunirsi a giocare
liberamente gioiosi e felici come mai li vedevo in palestra, cosa pensavano?
Dovevo assolutamente ricercare la mia vera o nuova identità!
Sarei ancora qui alla ricerca di questa mia vera identità se non mi
fossi posto la domanda chiave che tutti gli educatori prima o poi, a
contatto con i bambini, dovrebbero porsi: “Ma io che bambino sono
stato e cosa desideravo veramente dall’attività sportiva?”
Come ti ho gia detto la memoria è tutto quello che ricordi dopo aver
dimenticato e ripensando al mio passato di bambino i ricordi cominciavano a farsi largo: le belle partite giocate con gli amici in libertà
e fantasia creativa in campi di fortuna; le grandi giocate in oratorio
anche con giochi spesso inventati ma tanto coinvolgenti ed emozionanti, quelle partite a calcio (allora c’era solo quello) con un pallone solo e anche più di venti bambini per squadra, magari toccando
la palla solamente alcune volte in tutta la partita ma tutto era bello
lo stesso perché si giocava in gruppo; le frenetiche corse dopo la
messa della domenica per guadagnarsi un posto all’unico calcio
balilla o a una racchetta al tavolo di ping pong; le delusioni quando
non riuscivi a giocare tanto (il tanto però non si sapeva quantificare
poiché non ci si stancava mai di giocare!); la delusione quando nelle
ore di educazione fisica eseguivi solo esercizi a corpo libero e non
giocavi mai, la delusione quando venivano fatte le squadre dai più
grandi e si veniva esclusi dal gioco perché non ritenuti all’altezza,
l’attesa della ricreazione a scuola per giocare tutti assieme a rincorrerci, a guardia e ladri, a bandiera, ecc., in cui più eravamo e più ci
divertivamo; le sgridate e spesso qualcosa di più dalla mamma
quando tornavi tardi a casa perché giocando con gli amici il tempo
non esisteva più.
Vedi, in tutto questo ricordare, compare sempre un elemento: gioco
e giocare come momento di divertimento e felicità!
Giocare…giocare…giocare…era questa la strada che io avevo ignorato o smarrito, perché con te avevo voluto essere troppo allenatore
e troppo poco istruttore, troppo tecnico e troppo poco animatore
sportivo, troppo proiettato verso il futuro e poco attento al presente,
troppo preoccupato del risultato sportivo e troppo poco della tua crescita educativa e dei tuoi interessi veri, troppo pressante e poco
coinvolgente, troppo preso dal pensare al gioco come momento tattico e poco come momento di divertimento creativo ed espressivo.
Ho iniziato a ripensarmi istruttore diverso e a concentrarmi sul concetto che tu prima di essere un mini atleta sei un bambino e che io,
prima di aver tanti titoli (mister, coach, allenatore, trainer, ecc.)
sono un insegnante e nessun insegnante può esimersi dall’essere un
educatore.

77
CAPITOLO 9

“Voi comunicare con me…”

•
•
•
•
•

ascoltarti, o osservarti con attenzione o motivarti,
valutarti in modo realistico e senza preconcetti,
essere empatico,
comunicare,
essere sinceramente me stesso.

Credo che ognuno di noi possa dare agli altri solo ciò che ha e
soprattutto, ciò che è, e quindi, prima di tutto, dovrò essere io una
figura positiva, capace di credere in un percorso educativo adatto
alle tue caratteristiche e nelle tue infinite potenzialità.
Sai, ho scoperto, con meraviglia, che ciò che penso di te da origine
al verificarsi effettivo del pensiero stesso.
Si chiama effetto pigmalione e viene definito come la “Profezia che
si autodetemina”. In pratica se penso di te che non hai le qualità
per fare sport, prima o poi tu abbandonerai l’attività motoria, ma se
credo nelle tue capacità, forse diventerai un campione! Si tratta di
creare, insomma spirali negative o positive di autovalutazione che
portano così ad effetti disastrosi o di successo:

Aspettative positive

SPIRALE
DEL SUCCESSO

Sicurezza

Successo

Aspettative negative

SPIRALE
DELL’INSUCCESSO

Insicurezza

Insuccesso

Riconoscere e rispettare le tue naturali predisposizioni, ed avere
fiducia nella possibilità di una vera, significativa e personale crescita, diventa quindi fondamentale, ma avrà la stessa importanza il
modo con cui io saprò comunicarti questa fiducia, attraverso una
comunicazione positiva.

85
“Alla scoperta del gruppo…”

CAPITOLO 10

Q

uando si vive e si agisce in un contesto di più persone, e nel
nostro caso una squadra o un gruppo sportivo, compito primario di chi (l’istruttore) ne guida il cammino consiste nel formulare
delle regole semplici e chiare che tutti si devono impegnare a rispettare per star bene assieme.
Con i bambini non possiamo concettualizzare più di tanto in quanto
farebbero sicuramente fatica a capire, ma ogni istruttore deve avere
chiaro, dentro di sé, la regola base attorno a cui devono ruotare tutte
le soluzioni per una buona dinamica del suo gruppo.
Questa regola, che deve rappresentare il fondamento di tutto il suo
agire con i bambini, non deve essere necessariamente dichiarata, ma
l’istruttore la conserva dentro di sé, facendone la guida pratica del
suo operare
I suoi comportamenti ed atteggiamenti e quelli dei suoi bambini
devono man mano ispirarsi e modellarsi a questa.
La regola è: DARE SEMPRE SENZA PRETENDERE.
Gli istruttori provino a pensare a questa frase e comincino a progettare come calarla nel contesto del vivere di un gruppo di bambini che
intendono iniziare a praticare un’attività motorio-sportiva che sia veramente educativa per la loro formazione
Sarebbe assurdo parlare ai bambini dicendo dovete imparare a dare
senza pretendere, ma con loro useremo le situazioni pratiche, in contesti di atteggiamenti e comportamenti, accompagnate a volte anche
dai nostri discorsi.
I bambini riescono ad interiorizzare e capire da come noi ci comportiamo e da come vorremmo vedere o non vedere certi comportamenti, solo più avanti, quando saranno diventati ragazzi e adolescenti, i
discorsi assumeranno più importanza nella nostra azione.
Chiariti questi aspetti vediamo di capire cosa può significare questa
frase.
È la tipica frase della generosità, dell’altruismo, dell’impegno, dell’adesione, della coesione, del rispetto, della comprensione, della vera
unità d’intenti, ma soprattutto della vera amicizia poiché solo un vero
amico dà sempre senza pretendere.
Quale istruttore non gradirebbe una squadra che fonda il suo essere
vero gruppo su questi principi?
Occorre tenere presente che questo è un lungo percorso, di cui quasi
non se ne intravede la fine, ma deve avere un inizio e deve iniziare
con i nostri bambini, senza troppe parole e discorsi ma soprattutto
con i gesti, i comportamenti e le azioni positive dell’istruttore
Il comportamento dell’istruttore, che funge da esempio positivo, è la
miglior presentazione ed il miglior rinforzo della nostra frase, ricordando quanto già detto che i bambini aderiscono prima e più alle
persone che alle idee e alle parole, per cui con loro puntiamo fortemente su atteggiamenti e comportamenti positivi e vedrete che a
lungo andare ci seguiranno, ci imiteranno in quanto hanno capito che
gli vogliamo bene.
Nel gruppo esistono tante teste, tante situazioni, tanti piccoli egoismi,
tante storie diverse e non è sicuramente facile gestire tutto nel rispetto
della nostra regola base, ma bisogna crederci e provarci.
93
“Il piacere di stare assieme guidato da un vero leader…”

CAPITOLO 11

P

roviamo a pensare quante volte questo patto viene tradito per colpa
nostra e quante volte i nostri bambini dovrebbero mandarci a casa.
I bambini non chiedono molto, non parlano più di tanto, ti fanno
capire dai loro comportamenti che noi dobbiamo osservare e mai trascurare.
Se chiedono, chiedono cose piccole ma che per loro sono grandissime,
ma talmente grandi che noi adulti spesso purtroppo non le vediamo.
Sono talmente macroscopiche che…siamo anche capaci di non vederle, perché ci siamo dimenticati come vedono gli occhi dei bambini,
quegli occhi troppo spesso non ce li ricordiamo più.
Vediamo di recuperarli per capire cosa serve veramente nella nostra
squadra.
Nella squadra deve regnare libertà di esprimersi, ognuno deve sentirsi
libero e spronato ad esprimere il proprio parere.
Le decisioni che si vogliono adottare vanno prese anche ascoltando le
proposte di tutti.
Tutti possono proporre attività di contorno (feste, incontri, piccole
gite, ecc.).
Decisa una cosa, tutti si lavora per realizzarla.
Tutti si sforzano di essere amici di tutti.
Chi è arrivato per ultimo va aiutato ad inserirsi il più presto possibile.
L’istruttore è la guida del gruppo e va sempre ascoltato.
Nella squadra si devono fare anche le cose che non piacciono se ritenute utili al gruppo.
Impegnarsi sempre a lavorare pensando agli altri compagni, chi lavora anche per gli altri lavora per la squadra e lavorare per la squadra
significa lavorare anche per noi stessi.
Credere sempre ed avere fiducia in quello che si fa.
Quanto detto non è ne più e ne meno di quanto dovrebbe essere
portato avanti anche in famiglia, a scuola o nei gruppi giovanili.
Non è forse una piccola squadra la nostra famiglia?
Non è forse una squadra la classe dove si entra tutte le mattine recandoci a scuola?
Non è forse una squadra il gruppo giovanile che si frequenta?
Siamo convinti che se tutti gli educatori percorressero questa strada,
con un grande amore per bambini, ragazzi e adolescenti, ponendoli
veramente al centro del loro operare molte cose cambierebbero in
positivo.
Purtroppo a volte questo amore viene a mancare.
Interessi personali, situazioni, problemi, distolgono e distraggono chi
ha il compito di educare e tutto diventa difficile e complicato, magari
poi lamentandosi che il mondo cambia in negativo, ma il mondo del
domani lo si deve creare oggi stando veramente vicino ai nostri bambini ed ai nostri giovani per aiutarli a crescere.
Se non si vuole o non si è in grado di fare ciò non lamentiamoci poi
in futuro e ricordiamoci che il futuro è già all’indomani.
Tutti siamo chiamati a vario titolo, anche noi istruttori, a contribuire
all’educazione dei nostri giovani, non adempiere pienamente a tale
dovere non significa altro che renderci complici della situazione che a
parole spesso condanniamo.
101
“Miei cari genitori…”

CAPITOLO 12

U

na delle prime domande che un istruttore si deve porre consiste
nel chiedere ai genitori quali sono le motivazioni che li spingono
a far frequentare corsi di attività sportiva ai propri figli.
Sicuramente le risposte sono diverse ed a volte veramente sorprendenti per non dire sconcertanti, ma su tutte la più gettonata è che l’attività sportiva fa bene ai bambini sotto ogni aspetto.
Le tipologie che si possono osservare fra i genitori dei nostri bambini
sono le più svariate possibili, si passa dal genitore fiducioso a quello
critico, da quello propositivo a quello indifferente, dall’impegnato
all’apatico, dal costruttivo al distruttivo, dal comprensivo al supponente, dal collaborativo al disimpegnato, ecc.
Spesso però compare l’atteggiamento del demandare l’educazione dei
propri figli ad altri senza un minimo di interessamento, partecipazione ed aiuto nei riguardi di chi agisce ed opera per il loro bene.
Non è sicuramente sufficiente e rispettoso dei bambini l’appoggio
morale o il contributo economico all’inizio dell’anno sportivo per sentirsi a posto con la propria coscienza.
Sollecitiamo i genitori a scrollarsi di dosso l’abitudine di demandare,
perché diventino parte integrante della squadra per appoggiarla e
sostenerla in tutte le espressioni e momenti della sua attività.
È importante quindi “educare” anche i genitori affinché aiutino l’istruttore nel creare il clima adatto alla crescita del gruppo.
Invitiamoli ad approfondire la realtà in cui ci si vuole muovere, a
capirla negli aspetti e nelle direttive che intendiamo dare, a conoscere
la nuova realtà che si apre davanti ai nostri bambini.
Da una tale conoscenza si favorisce il nascere di un rapporto diverso
con i nostri bambini che, pur improntato e guidato dalle comune rotaia
dei nostri concetti guida, lascia tuttavia spazio ai desideri, al modo di
essere ed ai giudizi dei nostri bambini, mostrando interesse ai loro pensieri, alle loro aspettative, ai loro desideri e condividendo tutto quello
che si può condividere, senza venire meno a quegli aspetti educativi
che sono alla base della filosofia d’azione del nostro gruppo.
Ai genitori va spiegato che l’attività sportiva deve essere momento di
divertimento per i bambini, affrontata con il giusto impegno per aiutarli a trovare l’equilibrio necessario per confrontarsi con la realtà che
li circonda.
L’istruttore deve quindi rendere edotti i genitori sui principi generali
che guidano l’attività del gruppo e per questo motivo deve comunicare sempre con chiarezza e tenersi in contatto con loro in modo da
sgomberare il campo da l’insorgere di possibili equivoci o da errate
valutazioni, che sicuramente andrebbero a scapito dei bambini, con le
relative conseguenze per tutta la squadra.
Le riunioni pre-campionato sono validissime e necessarie per intavolare
un corretto e costruttivo rapporto. In queste riunioni si mette al corrente dei criteri e dei metodi con cui si intende operare, dei principi su cui
si ispira l’attività, degli obiettivi che si intendono raggiungere e delle
regole che si ritiene di fissare per una buona dinamica del gruppo.
Come educatore egli deve insistere ed attivare discussioni sulle tematiche
riguardanti gli atteggiamenti da tenere da parte dei genitori nei confronti
dei figli, ma anche di tutto l’ambiente sportivo (arbitri, avversari, ecc.).
111
“Egregi Dirigenti, ho qualche perplessità…”

CAPITOLO 13

L

a “CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO NELLO SPORT”, redatta dall’UNESCO nel 1992 e appesa in bella vista nelle bacheche di ogni centro
sportivo, non può non farci riflettere sui doveri dei dirigenti:
“CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO NELLO SPORT”

1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.

Diritto di divertirsi e di giocare come un bambino
Diritto di fare sport
Diritto di beneficiare di un ambiente sano
Diritto di essere trattato con dignità
Diritto di essere allenato e circondato da persone qualificate
Diritto di seguire allenamenti adeguati ai propri ritmi
Diritto di misurarsi con giovani che abbiano la stessa
possibilità di successo
Diritto di partecipare a gare adeguate
Diritto di praticare il suo sport nella massima sicurezza
Diritto di avere tempi di riposo
Diritto di non essere un campione

È fuori di dubbio che i dirigenti abbiamo compiti organizzativi dei
quali i piccoli fruitori dello sport non si rendono conto.
Predispongono per l’acquisto e l’utilizzo del materiale sportivo e
didattico, affinché ogni lezione-allenamento e ogni gara si possa svolgere nella maniera più proficua possibile.
Si preoccupano di procurare palestre, campi, spogliatoi e ambienti
adatti agli allenamenti e alle gare, curandone i turni orari e la pulizia.
Tengono i contatti con la Federazione e con le altre società, nell’ottica
di collaborazione con chi vuole far crescere lo sport.
Ma al di là di questi compiti logistici e non trascurabili, il dovere prioritario della classe dirigenziale è proprio quello di dare delle direttive
forti e sicure in ambito educativo e didattico.
Devono cioè saper condurre con autorevolezza la nave dell’attività
sportiva in cui l’equipaggio e i passeggeri non possono non trovarsi
in sintonia perché il raggiungimento della meta dipende proprio da
questo spirito di collaborazione.
Ci rendiamo conto dell’importanza che il nostro ruolo riveste nello
stabilire punti fermi a cui tutta la Società deve riferirsi, altrimenti
perché mai dovremmo chiamarci dirigenti?
Dobbiamo infatti preoccuparci dei valori e dei principi su cui vogliamo fondare lo sport giovanile, affinché la scuola di sport sia anche
scuola di vita.
Sono alcuni i punti su cui la nostra attenzione deve focalizzarsi,
affinché il modo in cui operiamo vada nella direzione di una crescita
sportiva ed individuale, rispettosa di ogni singola personalità.

119
“Signor Arbitro spiegami…”

CAPITOLO 14

L

a figura dell’arbitro, non si sa per quale recondita memoria, viene
generalmente vista con un alone di negatività.
Tentare di dare delle spiegazioni può essere facile e difficile nello
stesso tempo, di fatto chi frequenta con una certa assiduità campi e
palestre può ricordare innumerevoli episodi in cui l’arbitro, a torto o
a ragione, ha sempre sbagliato.
Siamo convinti che per la crescita equilibrata dei gruppi dei nostri
bambini e dei nostri giovani, sia utile analizzare un po’ a fondo questa situazione, che definirei di refrattarietà, nei confronti dei direttori
di gara, per approfondirla in modo da attuare ed attivare strategie e
comportamenti positivi in sintonia con quanto affermato fino ad ora.
Dalla nostra esperienza di molti anni trascorsi sui campi di gioco direi
che tre sono sostanzialmente i punti fondamentali che sostengono
quanto precedentemente esposto.
Il primo consiste nel ritenere, per non so quale remota eredità, l’arbitro un personaggio poco gradito.
Molti ne parlano male, basta un niente a volte per scagliarsi contro di
lui, offenderlo e purtroppo qualche volta, per fortuna poche, colpirlo
fisicamente, quasi rappresenti un bersaglio su cui tutti possono “sparare“.
Il secondo è da configurare nel fatto di ritenere che la maggior parte
delle sue decisioni siano sempre in favore dell’altra squadra.
L’arbitro sbaglia quasi sempre nei nostri confronti, per cui spesso si
ritiene di essere quasi dei perseguitati; in questo caso diventa facile e
quasi automatico scaricare i nostri errori sulle sue decisioni.
Il terzo consiste nel mostrare spesso grandi difficoltà, per non dire di
peggio, nell’accettare interpretazioni diverse dalle nostre.
Si vede e si giudica a senso umico e guarda a caso sempre a nostro
favore.
Tutto questo, a grandi linee ci offre già un quadro più che sufficiente
per intavolare il nostro discorso, se poi si aggiunge il fatto che a livello giovanile, ed è quello che a noi interessa, ci si trova spesso a contatto con giovanissimi arbitri, alle loro prime esperienze, si capisce
facilmente come le situazioni possono degenerare.
È chiaro che è tutta questione di cultura sportiva e buon senso, ma
spesso mancano ed allora si rischia di far assistere i nostri bambini
ed i nostri giovani ad una serie di situazioni negative che rappresentano uno dei più squallidi spettacoli in cui troppo spesso istruttori,
dirigenti e spesso anche i genitori ne diventano i protagonisti in
negativo.
Bambini e ragazzi prima assistono e guardano e poi, confortati dagli
atteggiamenti degli adulti, attivano tutta una serie di comportamenti
che vanno presi ad esempio di come non si deve mai agire.
In tali frangenti il ruolo più determinante lo riveste l’istruttore, che
deve sempre fare in modo che tali situazioni non si verifichino, evitando in ogni modo di attizzarle o peggio di alimentarle con atteggiamenti e comportamenti negativi e diseducativi.
Se la nostra attività sportiva, con i giovani e non, sconfina in queste
bassezze da momento potenzialmente educativo diventa momento
diseducativo in tutto e per tutto senza scuse ed attenuanti di sorta.
127
“Ma siete veramente Campioni?”

CAPITOLO 15

Per essere campioni allora non è necessario essere sempre sulle
prime pagine dei quotidiani sportivi: il papà del mio compagno, quindi, può essere considerato un campione!
Pensandoci bene tutti questi campioni di grande fama e risonanza a volte poi non mi sembrano dei veri campioni.
Fanno cose strane, tra le quali la più semplice è contestare
l’arbitro o azzuffarsi davanti a centinaia di spettatori , ma
sono anche capaci di rompere racchette da tennis sbattendole a
terra per rabbia, dare calci alla macchina di Formula Uno che
si è improvvisamente fermata, non concedere strada all’avversario più veloce e bloccarlo nelle retrovie, inventarsi ogni diavoleria pur di vincere, di mantenere il primato.
Chissà se questi “campioni” si rendono conto di quanti bambini
stanno seduti sulle tribune, sugli spalti o davanti alla televisione a guardare questi loro “strani” comportamenti.
Chissà se si rendono conto che sono i nostri idoli, i nostri punti
di riferimento, coloro che dovremmo imitare per crescere e
diventare grandi.
La cosa strana di tutto questo è che quando noi ripetiamo sul
campo o in palestra le “gesta” di questi “paladini” dello sport
veniamo immediatamente ripresi e puniti!
Ma ti sembra giusto? A voi grandi campioni è concesso tutto, e
noi piccoli non possiamo permetterci nulla!
Si, hai ragione, troppo spesso non ci passa nemmeno per la testa
che il nostro operato dovrebbe essere di stimolo per voi bambini per
crescere credendo nei valori dello sport, troppo spesso noi non siamo
così coerenti da comportarci con correttezza e dignità in ogni situazione.
Capisco che il vero campione potrebbe essere un grosso punto di riferimento per i piccoli che si avvicinano allo sport: eccellere con il
corpo per dare prestazioni eclatanti e mantenersi equilibrato e saldo
nei principi morali è ciò a cui ciascuno di noi aspira.
Purtroppo molto spesso non è così: ci sono vincoli, pressioni, sponsorizzazioni che diventano quasi padroni della tua vita e che pretendono che tu vinca sempre e… comunque!
Ma vincere sempre non è possibile ed allora basta una giornata no e
i giornali ti affossano, le critiche ti sommergono.
Essere un campione proprio non è facile e spesso nemmeno divertente, a volte ti sembra che siano gli altri a guidare la tua vita.
Sei nella mente e sulla bocca di tutti, sei al centro dell’attenzione e
non è sempre facile mantenersi in equilibrio, a volte si rischia di
cadere.

133

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Pagine da il mio sport non è il tuo spiritelli

  • 1. “Sai chi sono?” CAPITOLO 1 I l bambino in effetti non è un piccolo adulto, ma un essere umano in crescita che si affaccia sul mondo ricco di curiosità e potenzialità che sono specifiche e peculiari dell’età che sta vivendo. Non è perciò un essere incompleto, mancante di abilità e competenze, ma ha caratteristiche proprie che lo contraddistinguono e lo diversificano dall’adulto, dal punto di vista intellettivo, affettivo ed anche motorio. Ed è soprattutto l’ambito motorio quello che maggiormente lo identifica. Il bambino impara a conoscere la realtà esterna, prima attraverso il contatto corporeo con i genitori e poi sviluppando con sempre maggiore competenza il movimento. Saranno infatti il corpo e la capacità di muoversi, afferrando, prendendo, lanciando,... strisciando, rotolando, andando in quadrupedia,... camminando ed infine correndo, che gli permetteranno di entrare in contatto con il mondo degli oggetti e degli altri. Impedirgli di muoversi, negare il suo corpo, non vuol dire solo limitarlo nel movimento, ma soprattutto e contrariamente a quanto si crede, bloccare la sua crescita intellettiva ed affettiva. Il bambino non è in grado di pensare concettualizzando, ha bisogno di sperimentare, manipolare, toccare, giocare, muoversi, deve, insomma, “vivere le conoscenze”. Procede in modo concreto e passo dopo passo costruisce il proprio pensiero e la propria individualità. Accanto a lui devono camminare adulti disponibili ad accettare questo suo modo di essere e capaci di coinvolgerlo ed appassionarlo usando linguaggi, gestualità e giochi adatti al suo sviluppo intellettivo. Solo così potremmo soddisfare il suo desiderio continuo d’imparare e la sua innata ed infinita curiosità. Dargli la possibilità di elaborare il mondo esterno attraverso le sue modalità e permettergli in questo modo di crescere seguendo un percorso educativo a lui congeniale e non attraverso la strada che noi adulti abbiamo già stabilito in modo rigido e acritico, è un atto di profondo rispetto nei confronti del bambino e vuol dire riconoscergli la dignità di essere umano, seppur “piccolo”. La libertà di crescere sviluppando le proprie predisposizioni e attitudini è qualcosa che gli adulti, soprattutto coloro che ritengono di essere educatori, devono ai bambini. Ma bisognerebbe essere capaci di andare oltre, pensando che le caratteristiche infantili sono di gran lunga più pregevoli della rigidità e della chiusura che caratterizzano l’età adulta. L’antropologo statunitense Ashley Montagu nel libro “Saremo Bambini” sostiene infatti che le qualità dei bambini dovrebbero essere mantenute anche in età adulta. La “Neotenia”, cioè la capacità di conservare tratti infantili anche nella maturità, è una caratteristica della specie umana che nessun altro essere vivente possiede, e ci permette di crescere nel corpo, nella mente, nei sentimenti e nei comportamenti, sviluppando ed accentuando le qualità tipiche del mondo infantile, anziché sminuirle. Ma quali sono i comportamenti infantili, così apprezzabili, che tendiamo a perdere in età adulta? 13
  • 2. “Chi sei tu” CAPITOLO 2 L’ ISTRUTTORE è colui che fornisce le nozioni teoriche e pratiche utili per esercitare una particolare abilità. È colui che insegna qualcosa dal punto di vista morale, culturale e formativo. In definitiva si pone come fine ultimo della sua azione la crescita del soggetto. L’ALLENATORE, invece, è colui che per professione allena singoli atleti o squadre o animali da competizione. È perciò un addestratore, un trainer, un coach o anche un mister, e il suo fine ultimo è raggiungere risultati. Capisci anche tu che la differenza tra le due figure è sostanziale; io voglio essere per te una guida, voglio aiutarti a crescere, non solo dal punto di vista sportivo, ma anche umano, affettivo ed intellettivo. Se sarò stato un buon istruttore sono sicuro che otterrai risultati sportivi in seguito, adesso è meglio cercare di costruire il bagaglio motorio più ampio e più completo possibile per darti la possibilità di essere, se lo vorrai, in futuro, un atleta vero. Voglio insomma essere per te un “educatore” cioè colui che fa crescere e maturare un soggetto dal punto di vista morale ed intellettivo, sviluppando le sue disposizioni naturali. EDUCARE, infatti deriva dal latino e-ducere, cioè “tirare fuori”, o meglio far emergere le potenzialità insite in ogni soggetto ed aiutarlo a percepirle, riconoscerle e farle proprie, per poterle sviluppare. Già nel periodo della cultura classica greca la concezione SocraticoPlatonica dell’educazione sottolineava l’importanza di questo concetto, considerando il bambino come un essere già ricco di conoscenze che deve solo ricordare. E anche nei nostri giorni troviamo che il neurofisiologo americano Michael Cazzaniga nel suo libro “La mente della natura” sostiene questa tesi e scrive: “Ogni forma di apprendimento consiste nel ricordare ciò che persiste all’interno del cervello”, confermando così che le risorse più preziose di ogni essere umano vanno ricercate nella sua interiorità, nella sua unicità e il suo compito non è tanto quello di apprendere dal mondo esterno, ma di trovare in esso stimoli adatti a sviluppare le proprie potenzialità. Diverso da EDUCARE è poi INSEGNARE che etimologicamente significa in-segno, cioè incidere, imprimere segni nella mente e nello spirito. Il termine “in-segnare” trova corrispondenza nella concezione Aristotelica dell’educazione per la quale il bambino è una “tabula rasa” su cui l’azione dell’insegnante lascia il segno. In-segnare quindi presuppone solo un banale trasferimento di nozioni da un soggetto attivo, cioè colui che in-segna, ad uno passivo, colui che deve imparare. 19
  • 3. “Voglio imparare a...” CAPITOLO 3 L o sviluppo della motricità nel bambino parte dal sistema sensomotorio che a sua volta è strettamente legato allo sviluppo del Sistema Nervoso Centrale. In pratica il bambino, come già accennato in precedenza, sviluppa la propria intelligenza attraverso l’attività sensoriale e percettiva, e attraverso quella motoria. Subito dopo la nascita sono gli stimoli sensoriali che prevalgono e danno i primi input al bambino: i contatti con il corpo della madre, le luci, i suoni, i rumori e le sensazioni di benessere o di fastidio che provocano sono i primi dati registrati dal cervello del neonato. In seguito il bambino sviluppa sempre maggiori abilità motorie e il controllo sul suo corpo che lo porterà a camminare nel corso del suo primo anno di vita, gli permetterà di staccarsi, piano piano, dalla madre e di avventurarsi, con sempre maggiore sicurezza, verso la conoscenza del mondo. Le sensazioni che potrà registrare nel suo contatto con il mondo diventano sempre più complesse e possono essere relative al proprio corpo (propriocettive o cinestetiche) o relative ai dati esterni (esterocettive). Lo sviluppo dell’intelligenza è condizionato quindi dalla capacità di elaborazione del sistema senso motorio e può procedere ed evolversi solo su basi strettamente concrete. Saranno cioè le esperienze tattili, uditive, visive, olfattive, gustative e motorie a far sviluppare il cervello e tali esperienze saranno sempre strettamente collegate con il vissuto corporeo. Nel bambino si sviluppa così un’intelligenza concreta che ha bisogno di fare, toccare, sperimentare e muoversi per crescere. Le caratteristiche del pensiero concreto prevarranno nel bambino fin verso i 12 anni, quando la capacità di concettualizzare e di astrarre i contenuti darà il via all’instaurarsi di una modalità di pensiero astratta che sarà tipica dell’età adulta. Per quanto detto, quindi, le esperienze motorie che all’interno delle attività sportive proponiamo ai bambini non devono essere di certo casuali, ma corrispondere ad un progetto di crescita che possa essere il più armonico ed equilibrato possibile. Tra i 6 e gli 11-12 anni il bambino ha bisogno di esplorare e sperimentare la motricità in ogni suo aspetto per costruire un bagaglio motorio ampio, completo e flessibile che lo porterà alla strutturazione delle abilità sportive. Nella piramide motoria possiamo vedere sintetizzate le tappe della crescita motoria, in un processo che in realtà non è lineare e consequenziale, ma si interseca in un continuo concatenarsi di acquisizioni ed aggiustamenti che progrediscono con l’età. La crescita motoria del nostro “piccolo atleta”, quindi, deve passare obbligatoriamente attraverso queste tappe che si sviluppano parallelamente e che si condizionano reciprocamente: non è possibile lo sviluppo delle abilità sportive se non si parte dalla base della piramide e non si sale, gradino per gradino, fino alla cima! Volendo analizzare la piramide in tutte le sue parti, e salendo così dalla base, costituita dalle capacità senso percettive, porremo la nostra attenzione sugli SCHEMI MOTORI DI BASE. 23
  • 4. “La mia motricità” CAPITOLO 4 I n tale prospetto, detto FASI SENSIBILI DELLA MOTRICITÀ, si può notare che la caratteristica “voglia di apprendere” trova il suo massimo sviluppo tra i 6 e i 12 anni, indice delle spiccate capacità di apprendimento di un bambino in questo periodo cronologico che non vanno assolutamente sottovalutate. Ma questo è anche il periodo d’oro della motricità, quello in cui gli schemi motori di base e le capacità motorie trovano la loro migliore collocazione. Tra queste ultime, sono le capacità coordinative quelle che meglio contraddistinguono questo periodo: esse vanno sviluppate entro i 12 anni, dopo di che, è solo possibile intervenire in modo parziale e non esaustivo: ciò che è stato perso non può più essere recuperato. Alcune capacità addirittura come quella di equilibrio, di ritmo, di reazione agli stimoli, trovano, in seguito, scarsissime possibilità di sviluppo. È invece importante sottolineare come la capacità di orientamento nello spazio, unica tra le capacità coordinative, arrivi a strutturarsi in modo completo solo dopo i 12 anni e questo perciò presuppone una scarsa percezione spaziale nei bambini più piccoli. Anche le capacità condizionali trovano poca rispondenza nel periodo infantile, esclusa la rapidità che invece è nel momento del suo massimo sviluppo. Tutto questo indubbiamente mi richiama alla mia responsabilità di istruttore competente che non può esulare dal comprendere quali sono i momenti opportuni e le attività più adatte per le diverse fasce d’età dei bambini. Anzi mi sorgono dei dubbi sul lavoro da me svolto in tanti anni di attività: • Quante volte ho accantonato le esercitazioni sulle capacità coordinative a favore della tecnica? • Perché se la capacità di orientamento nello spazio è di difficile costruzione per un bambino, ho continuato a farti giocare “a zona”, per poi sgridarti se non mantenevi la posizione? • Perché invece di insistere sulla rapidità del movimento mi sono lamentato che in campo ti mancavano “forza e resistenza”? • Come mai mi sono dimenticato spesso di essere coinvolgente e motivante, e magari ti ho proposto “allenamenti” tratti dall’ultimo numero della rivista specializzata, per poi lamentarmi della tua incapacità esecutiva? Posso comunque fare meglio ed impegnarmi nel definire quali sono le caratteristiche dei bambini nei diversi momenti di crescita, in modo da poter progettare situazioni motorie sicuramente adeguate e rispondenti alle tue reali esigenze. Vediamo dunque come è possibile identificare queste tue caratteristiche motorie dividendole per fasce d’età. 39
  • 5. “Dove stiamo andando?” CAPITOLO 5 L’ istruttore, come tutti gli educatori, deve essere un buon programmatore analizzando con attenzione la situazione di partenza dei propri bambini, ponendosi delle finalità e degli obiettivi (mete) rispondenti alle effettive capacità dei suoi piccoli allievi, approntando dei contenuti adatti alla sua situazione, usando una metodologia consona all’età del proprio gruppo e verificando se gli obiettivi o le mete prefissati sono stati raggiunti. Come agire: • Tenere ben presente che il nostro compito principale consiste nell’educare i bambini che ci vengono affidati (far emergere tutte le loro potenzialità) • Usare l’attività sportiva come mezzo per educare la persona • Pensare a soddisfare i veri bisogni e le reali aspettative dei bambini senza confonderli con quelle di noi adulti • Essere sempre in grado di emozionare i bambini • Approntare esercizi-giochi in forma ludica o comunque divertente • Programmare attività che siano sempre rispettose dei ritmi e dei tempi di apprendimento dei bambini, partendo da dove effettivamente essi possono partire • Attenzione a non fare annoiare in quanto la noia porta al disinteresse ed il disinteresse all’abbandono dell’attività • Aiutare e sostenere i bambini nel provare a cercare la risoluzione dei piccoli problemi che gli si parano davanti durante le attività di gioco senza dare sempre soluzioni pre-confezionate • Essere sempre in grado di correggere con pazienza, accettando con benevolenza gli errori in quanto momento di messa alla prova per crescere • Attendere sempre i risultati con pazienza: ogni bambino è diverso dagli altri poiché c’è chi apprende tutto velocemente, chi ci impiega più tempo e chi non apprenderà mai tutto ciò che noi insegniamo, tenendo ben presente che il tutto e subito non sta scritto e soprattutto non ci porta da nessuna parte • Nel verificare osserviamo sempre i bambini durante le nostre lezioni (allenamenti) e ricordiamoci che la miglior verifica è la partita. Quando si insegna e soprattutto si insegna ai bambini, noi istruttori ci alleniamo anche ad apprendere dagli stessi bambini. Insegnare ai bambini è bello ed affascinante e se sapremo essere coinvolgenti e saremo in grado di far divertire, questi aspetteranno sempre con grande entusiasmo la lezione successiva. 49
  • 6. “Amo giocare” CAPITOLO 6 A bbiamo già visto che il bambino ha modalità proprie di apprendimento che devono essere riconosciute e rispettate dagli adulti per permettergli di crescere in modo equilibrato. È importante sottolineare che quando un bambino si muove lo fa con tutto il suo essere e quindi il lavoro motorio non è mai mera esecuzione fisica, ma è, anche e soprattutto, indice delle caratteristiche intellettive, affettive e sociali di ognuno: modalità privilegiata attraverso la quale il giovane si esprime! Non riconoscere l’importante valenza educativa del movimento può far cadere l’istruttore nella trappola della ricerca esasperata del risultato, che può non coincidere con le esigenze di maturazione del soggetto in crescita. È meglio allora procedere nel rispetto delle singole individualità, assecondando ritmi e modalità di maturazione o specializzare precocemente? Già nel 1986 E. Hahn, in un articolo apparso su SDS, Rivista di Cultura Sportiva, dal titolo “Parola chiave: allenamento dei bambini” sosteneva che “Il fondamento di ogni prestazione è una formazione di base generale, che vada oltre le varie discipline, impostata su larga scala, in cui ha gran valore la molteplicità dei modelli motori. Più vasto è il repertorio di esperienze motorie in diverse discipline sportive, più facilmente riesce una strutturazione a livelli più alti di rendimento”. In effetti la specializzazione precoce, utilizzando esclusivamente la componente tecnica e quella energetica del movimento come metodo prioritario per lo sviluppo delle abilità motorie, porta velocemente ad un sensibile incremento delle prestazioni, cui segue però una stagnazione, con caduta della performance, la cui conseguenza può anche essere l’interruzione anticipata dell’attività per demotivazione. La multilateralità, che letteralmente significa “presenza e/o concorrenza attiva di più elementi di riferimento”, si pone come obiettivo lo sviluppo delle abilità motorie in modo variato per creare una formazione di base generale che consenta al ragazzo di poter operare in futuro scelte sportive consapevoli. Tale metodologia, che si sviluppa con modalità ampie e variabili, porta come risultato ad una motricità flessibile, completa, economica ed originale che darà risultati a lungo termine, proprio perché si sviluppa in tempi dilatati, adeguati ai ritmi di crescita e coinvolge tutti gli aspetti della motricità infantile (capacità percettive, schemi motori di base, capacità coordinative e condizionali). In quest’ottica le singole tecniche, specifiche di ogni disciplina sportiva, sono utilizzate come mezzo per favorire la crescita motoria e non come fine ultimo dell’apprendimento: servono in sostanza per preparare efficacemente il processo di specializzazione futura. La sintesi,qui sotto riportata, vuole evidenziare le sostanziali differenze tra le due modalità d’intervento in ambito motorio: 55
  • 7. “Voglio essere un bambino...” CAPITOLO 7 G li adulti, ancor di più quelli significativi nella vita di ciascun bambino, devono tener presente e favorire questo rispetto dei desideri, dei ritmi e delle tappe, non solo nell’attività sportiva ma anche nella vita quotidiana (es. aspettative e risultati eccessivi per le potenzialità del bambino a scuola e in tutte le attività extra scuola in cui si vuole che il bambino sia impegnato). A volte il bambino non è capito in questo, in quanto sembra uno strumento in mano ai grandi che lo utilizzano per realizzare i loro progetti! Se fossimo in grado di osservare meglio i nostri bambini, se fossimo in grado di sforzarci di ripensarci bambini ricordando i nostri tempi di bambino, potremmo comprendere quanto la sua candida semplicità possa scalzare la nostra complessità di persone che pensano che ciò che noi approntiamo per i piccoli vada sempre e comunque bene, in virtù del fatto che noi siamo più grandi. L’istruttore sportivo possiede una grande fortuna perché ha la possibilità di capire, forse più degli altri adulti, la vera personalità del bambino osservandolo in un contesto dove lui non può assolutamente mentire e cioè quando gioca. Al bambino piace giocare e divertirsi ed attraverso il gioco rivela realmente tutto se stesso senza finzioni e senza nascondere nulla in quanto, mentre gioca, mette a nudo il suo vero essere e da modo all’istruttore di conoscerlo per quello che veramente è. Se noi volessimo pensare ad un lavoro per i bambini si potrebbe dire che il loro lavoro si chiama giocare e nel cimentarsi nel loro lavoro desiderano gioia e divertimento. Chissà se gli istruttori sportivi pensano a questo? Quanti disegni, quante idee ed aspettative mi passano per la mente per farti crescere e migliorare nell’attività sportiva. Spesso mi trovo a pensare e studiare soluzioni e strategie correndo e rincorrendo le tappe del domani quasi per timore di essere in ritardo con i tempi e mi accorgo che, per tentare di raggiungere i miei obiettivi (che poi sono anche i tuoi…), sto trascurando quelle dell’oggi. È tutto un correre e rincorrere in cui desidero che tu mi segua, ma tu mi inviti a non avere fretta, a non avere fretta nel vederti migliorare, a non avere fretta di vederti primeggiare, a non avere fretta di arrivare alla meta. Quanta ragione hai caro bambino…! La fretta è la peggior nemica della vera educazione! Quindi devo sforzarmi di non bruciare le tappe, usando sempre con lungimiranza l’arte della pazienza, ponendomi obiettivi reali e concreti per la tua età. Per una corretta crescita motorio-sportiva ogni istruttore deve impegnarsi affinché i suoi bambini conseguano uno sviluppo globale, il più ampio possibile, a livello di mappe cognitivo-motorie in modo 69
  • 8. “L’istruttore che desidero…” CAPITOLO 8 Era diverso tempo che facevo l’istruttore sportivo, ma non ero del tutto contento del mio operare, anche se spesso tutto veniva mascherato dai buoni risultati sul campo e dagli apprezzamenti degli addetti ai lavori. Ma i bambini, che dopo il mio allenamento vedevo riunirsi a giocare liberamente gioiosi e felici come mai li vedevo in palestra, cosa pensavano? Dovevo assolutamente ricercare la mia vera o nuova identità! Sarei ancora qui alla ricerca di questa mia vera identità se non mi fossi posto la domanda chiave che tutti gli educatori prima o poi, a contatto con i bambini, dovrebbero porsi: “Ma io che bambino sono stato e cosa desideravo veramente dall’attività sportiva?” Come ti ho gia detto la memoria è tutto quello che ricordi dopo aver dimenticato e ripensando al mio passato di bambino i ricordi cominciavano a farsi largo: le belle partite giocate con gli amici in libertà e fantasia creativa in campi di fortuna; le grandi giocate in oratorio anche con giochi spesso inventati ma tanto coinvolgenti ed emozionanti, quelle partite a calcio (allora c’era solo quello) con un pallone solo e anche più di venti bambini per squadra, magari toccando la palla solamente alcune volte in tutta la partita ma tutto era bello lo stesso perché si giocava in gruppo; le frenetiche corse dopo la messa della domenica per guadagnarsi un posto all’unico calcio balilla o a una racchetta al tavolo di ping pong; le delusioni quando non riuscivi a giocare tanto (il tanto però non si sapeva quantificare poiché non ci si stancava mai di giocare!); la delusione quando nelle ore di educazione fisica eseguivi solo esercizi a corpo libero e non giocavi mai, la delusione quando venivano fatte le squadre dai più grandi e si veniva esclusi dal gioco perché non ritenuti all’altezza, l’attesa della ricreazione a scuola per giocare tutti assieme a rincorrerci, a guardia e ladri, a bandiera, ecc., in cui più eravamo e più ci divertivamo; le sgridate e spesso qualcosa di più dalla mamma quando tornavi tardi a casa perché giocando con gli amici il tempo non esisteva più. Vedi, in tutto questo ricordare, compare sempre un elemento: gioco e giocare come momento di divertimento e felicità! Giocare…giocare…giocare…era questa la strada che io avevo ignorato o smarrito, perché con te avevo voluto essere troppo allenatore e troppo poco istruttore, troppo tecnico e troppo poco animatore sportivo, troppo proiettato verso il futuro e poco attento al presente, troppo preoccupato del risultato sportivo e troppo poco della tua crescita educativa e dei tuoi interessi veri, troppo pressante e poco coinvolgente, troppo preso dal pensare al gioco come momento tattico e poco come momento di divertimento creativo ed espressivo. Ho iniziato a ripensarmi istruttore diverso e a concentrarmi sul concetto che tu prima di essere un mini atleta sei un bambino e che io, prima di aver tanti titoli (mister, coach, allenatore, trainer, ecc.) sono un insegnante e nessun insegnante può esimersi dall’essere un educatore. 77
  • 9. CAPITOLO 9 “Voi comunicare con me…” • • • • • ascoltarti, o osservarti con attenzione o motivarti, valutarti in modo realistico e senza preconcetti, essere empatico, comunicare, essere sinceramente me stesso. Credo che ognuno di noi possa dare agli altri solo ciò che ha e soprattutto, ciò che è, e quindi, prima di tutto, dovrò essere io una figura positiva, capace di credere in un percorso educativo adatto alle tue caratteristiche e nelle tue infinite potenzialità. Sai, ho scoperto, con meraviglia, che ciò che penso di te da origine al verificarsi effettivo del pensiero stesso. Si chiama effetto pigmalione e viene definito come la “Profezia che si autodetemina”. In pratica se penso di te che non hai le qualità per fare sport, prima o poi tu abbandonerai l’attività motoria, ma se credo nelle tue capacità, forse diventerai un campione! Si tratta di creare, insomma spirali negative o positive di autovalutazione che portano così ad effetti disastrosi o di successo: Aspettative positive SPIRALE DEL SUCCESSO Sicurezza Successo Aspettative negative SPIRALE DELL’INSUCCESSO Insicurezza Insuccesso Riconoscere e rispettare le tue naturali predisposizioni, ed avere fiducia nella possibilità di una vera, significativa e personale crescita, diventa quindi fondamentale, ma avrà la stessa importanza il modo con cui io saprò comunicarti questa fiducia, attraverso una comunicazione positiva. 85
  • 10. “Alla scoperta del gruppo…” CAPITOLO 10 Q uando si vive e si agisce in un contesto di più persone, e nel nostro caso una squadra o un gruppo sportivo, compito primario di chi (l’istruttore) ne guida il cammino consiste nel formulare delle regole semplici e chiare che tutti si devono impegnare a rispettare per star bene assieme. Con i bambini non possiamo concettualizzare più di tanto in quanto farebbero sicuramente fatica a capire, ma ogni istruttore deve avere chiaro, dentro di sé, la regola base attorno a cui devono ruotare tutte le soluzioni per una buona dinamica del suo gruppo. Questa regola, che deve rappresentare il fondamento di tutto il suo agire con i bambini, non deve essere necessariamente dichiarata, ma l’istruttore la conserva dentro di sé, facendone la guida pratica del suo operare I suoi comportamenti ed atteggiamenti e quelli dei suoi bambini devono man mano ispirarsi e modellarsi a questa. La regola è: DARE SEMPRE SENZA PRETENDERE. Gli istruttori provino a pensare a questa frase e comincino a progettare come calarla nel contesto del vivere di un gruppo di bambini che intendono iniziare a praticare un’attività motorio-sportiva che sia veramente educativa per la loro formazione Sarebbe assurdo parlare ai bambini dicendo dovete imparare a dare senza pretendere, ma con loro useremo le situazioni pratiche, in contesti di atteggiamenti e comportamenti, accompagnate a volte anche dai nostri discorsi. I bambini riescono ad interiorizzare e capire da come noi ci comportiamo e da come vorremmo vedere o non vedere certi comportamenti, solo più avanti, quando saranno diventati ragazzi e adolescenti, i discorsi assumeranno più importanza nella nostra azione. Chiariti questi aspetti vediamo di capire cosa può significare questa frase. È la tipica frase della generosità, dell’altruismo, dell’impegno, dell’adesione, della coesione, del rispetto, della comprensione, della vera unità d’intenti, ma soprattutto della vera amicizia poiché solo un vero amico dà sempre senza pretendere. Quale istruttore non gradirebbe una squadra che fonda il suo essere vero gruppo su questi principi? Occorre tenere presente che questo è un lungo percorso, di cui quasi non se ne intravede la fine, ma deve avere un inizio e deve iniziare con i nostri bambini, senza troppe parole e discorsi ma soprattutto con i gesti, i comportamenti e le azioni positive dell’istruttore Il comportamento dell’istruttore, che funge da esempio positivo, è la miglior presentazione ed il miglior rinforzo della nostra frase, ricordando quanto già detto che i bambini aderiscono prima e più alle persone che alle idee e alle parole, per cui con loro puntiamo fortemente su atteggiamenti e comportamenti positivi e vedrete che a lungo andare ci seguiranno, ci imiteranno in quanto hanno capito che gli vogliamo bene. Nel gruppo esistono tante teste, tante situazioni, tanti piccoli egoismi, tante storie diverse e non è sicuramente facile gestire tutto nel rispetto della nostra regola base, ma bisogna crederci e provarci. 93
  • 11. “Il piacere di stare assieme guidato da un vero leader…” CAPITOLO 11 P roviamo a pensare quante volte questo patto viene tradito per colpa nostra e quante volte i nostri bambini dovrebbero mandarci a casa. I bambini non chiedono molto, non parlano più di tanto, ti fanno capire dai loro comportamenti che noi dobbiamo osservare e mai trascurare. Se chiedono, chiedono cose piccole ma che per loro sono grandissime, ma talmente grandi che noi adulti spesso purtroppo non le vediamo. Sono talmente macroscopiche che…siamo anche capaci di non vederle, perché ci siamo dimenticati come vedono gli occhi dei bambini, quegli occhi troppo spesso non ce li ricordiamo più. Vediamo di recuperarli per capire cosa serve veramente nella nostra squadra. Nella squadra deve regnare libertà di esprimersi, ognuno deve sentirsi libero e spronato ad esprimere il proprio parere. Le decisioni che si vogliono adottare vanno prese anche ascoltando le proposte di tutti. Tutti possono proporre attività di contorno (feste, incontri, piccole gite, ecc.). Decisa una cosa, tutti si lavora per realizzarla. Tutti si sforzano di essere amici di tutti. Chi è arrivato per ultimo va aiutato ad inserirsi il più presto possibile. L’istruttore è la guida del gruppo e va sempre ascoltato. Nella squadra si devono fare anche le cose che non piacciono se ritenute utili al gruppo. Impegnarsi sempre a lavorare pensando agli altri compagni, chi lavora anche per gli altri lavora per la squadra e lavorare per la squadra significa lavorare anche per noi stessi. Credere sempre ed avere fiducia in quello che si fa. Quanto detto non è ne più e ne meno di quanto dovrebbe essere portato avanti anche in famiglia, a scuola o nei gruppi giovanili. Non è forse una piccola squadra la nostra famiglia? Non è forse una squadra la classe dove si entra tutte le mattine recandoci a scuola? Non è forse una squadra il gruppo giovanile che si frequenta? Siamo convinti che se tutti gli educatori percorressero questa strada, con un grande amore per bambini, ragazzi e adolescenti, ponendoli veramente al centro del loro operare molte cose cambierebbero in positivo. Purtroppo a volte questo amore viene a mancare. Interessi personali, situazioni, problemi, distolgono e distraggono chi ha il compito di educare e tutto diventa difficile e complicato, magari poi lamentandosi che il mondo cambia in negativo, ma il mondo del domani lo si deve creare oggi stando veramente vicino ai nostri bambini ed ai nostri giovani per aiutarli a crescere. Se non si vuole o non si è in grado di fare ciò non lamentiamoci poi in futuro e ricordiamoci che il futuro è già all’indomani. Tutti siamo chiamati a vario titolo, anche noi istruttori, a contribuire all’educazione dei nostri giovani, non adempiere pienamente a tale dovere non significa altro che renderci complici della situazione che a parole spesso condanniamo. 101
  • 12. “Miei cari genitori…” CAPITOLO 12 U na delle prime domande che un istruttore si deve porre consiste nel chiedere ai genitori quali sono le motivazioni che li spingono a far frequentare corsi di attività sportiva ai propri figli. Sicuramente le risposte sono diverse ed a volte veramente sorprendenti per non dire sconcertanti, ma su tutte la più gettonata è che l’attività sportiva fa bene ai bambini sotto ogni aspetto. Le tipologie che si possono osservare fra i genitori dei nostri bambini sono le più svariate possibili, si passa dal genitore fiducioso a quello critico, da quello propositivo a quello indifferente, dall’impegnato all’apatico, dal costruttivo al distruttivo, dal comprensivo al supponente, dal collaborativo al disimpegnato, ecc. Spesso però compare l’atteggiamento del demandare l’educazione dei propri figli ad altri senza un minimo di interessamento, partecipazione ed aiuto nei riguardi di chi agisce ed opera per il loro bene. Non è sicuramente sufficiente e rispettoso dei bambini l’appoggio morale o il contributo economico all’inizio dell’anno sportivo per sentirsi a posto con la propria coscienza. Sollecitiamo i genitori a scrollarsi di dosso l’abitudine di demandare, perché diventino parte integrante della squadra per appoggiarla e sostenerla in tutte le espressioni e momenti della sua attività. È importante quindi “educare” anche i genitori affinché aiutino l’istruttore nel creare il clima adatto alla crescita del gruppo. Invitiamoli ad approfondire la realtà in cui ci si vuole muovere, a capirla negli aspetti e nelle direttive che intendiamo dare, a conoscere la nuova realtà che si apre davanti ai nostri bambini. Da una tale conoscenza si favorisce il nascere di un rapporto diverso con i nostri bambini che, pur improntato e guidato dalle comune rotaia dei nostri concetti guida, lascia tuttavia spazio ai desideri, al modo di essere ed ai giudizi dei nostri bambini, mostrando interesse ai loro pensieri, alle loro aspettative, ai loro desideri e condividendo tutto quello che si può condividere, senza venire meno a quegli aspetti educativi che sono alla base della filosofia d’azione del nostro gruppo. Ai genitori va spiegato che l’attività sportiva deve essere momento di divertimento per i bambini, affrontata con il giusto impegno per aiutarli a trovare l’equilibrio necessario per confrontarsi con la realtà che li circonda. L’istruttore deve quindi rendere edotti i genitori sui principi generali che guidano l’attività del gruppo e per questo motivo deve comunicare sempre con chiarezza e tenersi in contatto con loro in modo da sgomberare il campo da l’insorgere di possibili equivoci o da errate valutazioni, che sicuramente andrebbero a scapito dei bambini, con le relative conseguenze per tutta la squadra. Le riunioni pre-campionato sono validissime e necessarie per intavolare un corretto e costruttivo rapporto. In queste riunioni si mette al corrente dei criteri e dei metodi con cui si intende operare, dei principi su cui si ispira l’attività, degli obiettivi che si intendono raggiungere e delle regole che si ritiene di fissare per una buona dinamica del gruppo. Come educatore egli deve insistere ed attivare discussioni sulle tematiche riguardanti gli atteggiamenti da tenere da parte dei genitori nei confronti dei figli, ma anche di tutto l’ambiente sportivo (arbitri, avversari, ecc.). 111
  • 13. “Egregi Dirigenti, ho qualche perplessità…” CAPITOLO 13 L a “CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO NELLO SPORT”, redatta dall’UNESCO nel 1992 e appesa in bella vista nelle bacheche di ogni centro sportivo, non può non farci riflettere sui doveri dei dirigenti: “CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO NELLO SPORT” 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. Diritto di divertirsi e di giocare come un bambino Diritto di fare sport Diritto di beneficiare di un ambiente sano Diritto di essere trattato con dignità Diritto di essere allenato e circondato da persone qualificate Diritto di seguire allenamenti adeguati ai propri ritmi Diritto di misurarsi con giovani che abbiano la stessa possibilità di successo Diritto di partecipare a gare adeguate Diritto di praticare il suo sport nella massima sicurezza Diritto di avere tempi di riposo Diritto di non essere un campione È fuori di dubbio che i dirigenti abbiamo compiti organizzativi dei quali i piccoli fruitori dello sport non si rendono conto. Predispongono per l’acquisto e l’utilizzo del materiale sportivo e didattico, affinché ogni lezione-allenamento e ogni gara si possa svolgere nella maniera più proficua possibile. Si preoccupano di procurare palestre, campi, spogliatoi e ambienti adatti agli allenamenti e alle gare, curandone i turni orari e la pulizia. Tengono i contatti con la Federazione e con le altre società, nell’ottica di collaborazione con chi vuole far crescere lo sport. Ma al di là di questi compiti logistici e non trascurabili, il dovere prioritario della classe dirigenziale è proprio quello di dare delle direttive forti e sicure in ambito educativo e didattico. Devono cioè saper condurre con autorevolezza la nave dell’attività sportiva in cui l’equipaggio e i passeggeri non possono non trovarsi in sintonia perché il raggiungimento della meta dipende proprio da questo spirito di collaborazione. Ci rendiamo conto dell’importanza che il nostro ruolo riveste nello stabilire punti fermi a cui tutta la Società deve riferirsi, altrimenti perché mai dovremmo chiamarci dirigenti? Dobbiamo infatti preoccuparci dei valori e dei principi su cui vogliamo fondare lo sport giovanile, affinché la scuola di sport sia anche scuola di vita. Sono alcuni i punti su cui la nostra attenzione deve focalizzarsi, affinché il modo in cui operiamo vada nella direzione di una crescita sportiva ed individuale, rispettosa di ogni singola personalità. 119
  • 14. “Signor Arbitro spiegami…” CAPITOLO 14 L a figura dell’arbitro, non si sa per quale recondita memoria, viene generalmente vista con un alone di negatività. Tentare di dare delle spiegazioni può essere facile e difficile nello stesso tempo, di fatto chi frequenta con una certa assiduità campi e palestre può ricordare innumerevoli episodi in cui l’arbitro, a torto o a ragione, ha sempre sbagliato. Siamo convinti che per la crescita equilibrata dei gruppi dei nostri bambini e dei nostri giovani, sia utile analizzare un po’ a fondo questa situazione, che definirei di refrattarietà, nei confronti dei direttori di gara, per approfondirla in modo da attuare ed attivare strategie e comportamenti positivi in sintonia con quanto affermato fino ad ora. Dalla nostra esperienza di molti anni trascorsi sui campi di gioco direi che tre sono sostanzialmente i punti fondamentali che sostengono quanto precedentemente esposto. Il primo consiste nel ritenere, per non so quale remota eredità, l’arbitro un personaggio poco gradito. Molti ne parlano male, basta un niente a volte per scagliarsi contro di lui, offenderlo e purtroppo qualche volta, per fortuna poche, colpirlo fisicamente, quasi rappresenti un bersaglio su cui tutti possono “sparare“. Il secondo è da configurare nel fatto di ritenere che la maggior parte delle sue decisioni siano sempre in favore dell’altra squadra. L’arbitro sbaglia quasi sempre nei nostri confronti, per cui spesso si ritiene di essere quasi dei perseguitati; in questo caso diventa facile e quasi automatico scaricare i nostri errori sulle sue decisioni. Il terzo consiste nel mostrare spesso grandi difficoltà, per non dire di peggio, nell’accettare interpretazioni diverse dalle nostre. Si vede e si giudica a senso umico e guarda a caso sempre a nostro favore. Tutto questo, a grandi linee ci offre già un quadro più che sufficiente per intavolare il nostro discorso, se poi si aggiunge il fatto che a livello giovanile, ed è quello che a noi interessa, ci si trova spesso a contatto con giovanissimi arbitri, alle loro prime esperienze, si capisce facilmente come le situazioni possono degenerare. È chiaro che è tutta questione di cultura sportiva e buon senso, ma spesso mancano ed allora si rischia di far assistere i nostri bambini ed i nostri giovani ad una serie di situazioni negative che rappresentano uno dei più squallidi spettacoli in cui troppo spesso istruttori, dirigenti e spesso anche i genitori ne diventano i protagonisti in negativo. Bambini e ragazzi prima assistono e guardano e poi, confortati dagli atteggiamenti degli adulti, attivano tutta una serie di comportamenti che vanno presi ad esempio di come non si deve mai agire. In tali frangenti il ruolo più determinante lo riveste l’istruttore, che deve sempre fare in modo che tali situazioni non si verifichino, evitando in ogni modo di attizzarle o peggio di alimentarle con atteggiamenti e comportamenti negativi e diseducativi. Se la nostra attività sportiva, con i giovani e non, sconfina in queste bassezze da momento potenzialmente educativo diventa momento diseducativo in tutto e per tutto senza scuse ed attenuanti di sorta. 127
  • 15. “Ma siete veramente Campioni?” CAPITOLO 15 Per essere campioni allora non è necessario essere sempre sulle prime pagine dei quotidiani sportivi: il papà del mio compagno, quindi, può essere considerato un campione! Pensandoci bene tutti questi campioni di grande fama e risonanza a volte poi non mi sembrano dei veri campioni. Fanno cose strane, tra le quali la più semplice è contestare l’arbitro o azzuffarsi davanti a centinaia di spettatori , ma sono anche capaci di rompere racchette da tennis sbattendole a terra per rabbia, dare calci alla macchina di Formula Uno che si è improvvisamente fermata, non concedere strada all’avversario più veloce e bloccarlo nelle retrovie, inventarsi ogni diavoleria pur di vincere, di mantenere il primato. Chissà se questi “campioni” si rendono conto di quanti bambini stanno seduti sulle tribune, sugli spalti o davanti alla televisione a guardare questi loro “strani” comportamenti. Chissà se si rendono conto che sono i nostri idoli, i nostri punti di riferimento, coloro che dovremmo imitare per crescere e diventare grandi. La cosa strana di tutto questo è che quando noi ripetiamo sul campo o in palestra le “gesta” di questi “paladini” dello sport veniamo immediatamente ripresi e puniti! Ma ti sembra giusto? A voi grandi campioni è concesso tutto, e noi piccoli non possiamo permetterci nulla! Si, hai ragione, troppo spesso non ci passa nemmeno per la testa che il nostro operato dovrebbe essere di stimolo per voi bambini per crescere credendo nei valori dello sport, troppo spesso noi non siamo così coerenti da comportarci con correttezza e dignità in ogni situazione. Capisco che il vero campione potrebbe essere un grosso punto di riferimento per i piccoli che si avvicinano allo sport: eccellere con il corpo per dare prestazioni eclatanti e mantenersi equilibrato e saldo nei principi morali è ciò a cui ciascuno di noi aspira. Purtroppo molto spesso non è così: ci sono vincoli, pressioni, sponsorizzazioni che diventano quasi padroni della tua vita e che pretendono che tu vinca sempre e… comunque! Ma vincere sempre non è possibile ed allora basta una giornata no e i giornali ti affossano, le critiche ti sommergono. Essere un campione proprio non è facile e spesso nemmeno divertente, a volte ti sembra che siano gli altri a guidare la tua vita. Sei nella mente e sulla bocca di tutti, sei al centro dell’attenzione e non è sempre facile mantenersi in equilibrio, a volte si rischia di cadere. 133