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ILPIEDE
Come per molte altre tipologie di lesioni, il tempo di
attesa per potere riprendere ad allenarsi con la stessa
intensità di prima è estremamente variabile. Indicativa-
mente, sono necessarie sei settimane dopo l’intervento
chirurgico. Alcune persone, però, in seguito all’in-
tervento chirurgico possono manifestare gonfiore e
dolore post-operatorio anche per un anno. In assenza di
complicanze, sarebbe opportuno attendere 12 settima-
ne dopo l’intervento, prima di riprendere l’allenamento
basato sulla corsa.
Fascite plantare
Di cosa si tratta?
La fascite plantare è la lesione che colpisce la spessa
aponeurosi plantare, struttura legamentosa che con-
giunge il tallone con le dita del piede estendendosi nella
parte inferiore (plantare) del piede.
L’aponeurosi (o fascia) plantare ha la doppia funzione di
proteggere le strutture soprastanti del piede e di deter-
minare la tensione necessaria per mantenerne la volta
longitudinale. La fascia plantare permette al piede di
compiere i suoi caratteristici movimenti durante il cam-
mino e la corsa. La fascite plantare quindi è l’infiamma-
zione e la lesione del tessuto connettivo che costituisce
la fascia plantare. Secondo gli orientamenti più recenti
si ritiene che il danno che si determina a livello della
fascia plantare sia conseguenza di una progressiva de-
generazione e non tanto di eventi traumatici. La corsa
quindi è in sé il principale fattore di rischio, dal momen-
to che la prolungata sollecitazione tende a forzare la
fascia. La fascite plantare viene anche definita come
“tallonite del maratoneta” o “tallonite del poliziotto”.
CAMPANELLI D’ALLARME
•	 Unacutodolorealtallonenelpuntoincuil’ar-
coplantareiniziaadelinearsiposteriormente.
•	 Sensazione di calpestare un sasso, specialmente al
mattino.
•	 Il dolore svanisce dopo avere compiuto alcuni passi
e, in seguito, non sopraggiunge alcun fastidio per il
resto della giornata,
STORIE CLINICHE: KIM, 56 ANNI
Sono sempre stata in buona forma fisica, camminando, pe-
dalando, oltre alla normale attività in palestra: tutte attività
che evidentemente hanno stressato i miei piedi e, a 50 anni,
ho iniziato ad accusare problemi nella regione metatarsale
del piede destro. I dolori al piede si fecero sempre più intensi
nei mesi con una sensazione di disturbo, come di un sasso
nella scarpa. Proseguii la normale attività fisica peggiorando
la situazione. Chiesi aiuto a diversi allenatori e provai anche
ad utilizzare delle solette nelle scarpe. Un podologo mi fece
utilizzare un plantare personalizzato ma nessuno di questi
tentativi si rivelò essere un rimedio efficace, con il dolore che
si fece sempre più acuto anche alla minima pressione: ogni
contatto del piede al suolo mi provocava un dolore atroce
che perdurava, talvolta, nei momenti di riposo. Un istruttore
del mio gruppo d’allenamento mi raccomandò Paul, con il
quale aveva avuto a che fare per problemi muscolo-schele-
trici. Nel corso della prima visita, Paul ascoltò la mia lista di
disturbi e problemi e, in seguito alla valutazione funzionale
manuale, “strizzò” le dita del piede, sentendo il caratteri-
stico “click”. Paul ipotizzò un neuroma di Morton e suggerì
un’ecografia per disporre di ulteriori dati. Nel frattempo mi
sottopose a dei trattamenti al piede e in un secondo tempo
anche alle ginocchia e alle anche; inoltre mi preparò un pro-
gramma di esercizi da fare autonomamente a casa. L’eco-
grafia confermò il neuroma di Morton e mi furono prescritte
delle infiltrazioni di cortisone. La prima infiltrazione ebbe un
blando effetto antidolorifico, mentre la seconda causò una
diminuzione di tessuto adiposo (fat wasting) e un aumento
del dolore.Dopo le successive sedute, Paul mi suggerì di
consultare un ortopedico e fui operata per rimuovere chi-
rurgicamente il neuroma, con notevole riduzione del dolore,
in special modo quella penetrante sensazione dolorosa sul
nervo: sono rimasti alcune insensibilità nella regione circo-
stante all’intervento e fastidi nella regione dei metatarsi.
Continuo ad utilizzare dei plantari ortesici che si adattano
alla conformazione del mio piede e che mi consentono di
praticare la quasi totalità delle attività sportive che pratica-
vo precedentemente; oggi credo di avere sempre avuto una
eccessiva mobilità delle articolazioni del piede, la cui lassità
legamentosa, associata ad un notevole carico di lavoro in
allenamento e all’utilizzo di scarpe poco ammortizzanti, ha
contribuito alla comparsa della problematica.
• Il dolore può riprendere in seguito ad un prolunga-
to periodo di inattività motoria a carico del piede.
POSSIBILI CAUSE DI LESIONE
Il più grande fattore di rischio che può provocare la
fascite plantare è rappresentato dalla limitata mobilità
del piede nel compimento della flessione dorsale, ossia
il movimento di elevazione del piede da terra, mentre il
tallone rimane fermo al suolo, che determina l’allun-
gamento dei muscoli del polpaccio. Il secondo fattore
di rischio è dato da un elevato BMI (Indice di Massa
Corporea)(Riddle et al., 2003).
Vi è anche una indubbia associazione tra fascite plan-
tare e piede piatto (Warren 1990). In estrema sintesi il
piede piatto esprime la riduzione dell’arco longitudinale
mediale, ragione per cui il punto di repere (il tubercolo
dello scafoide) si trova più vicino al suolo; diversamente
dal piede cavo, corrispondente ad una eccessiva altezza
della volta longitudinale mediale.
Il piede piatto procura maggiori sollecitazioni e stress
sulla fascia plantare, esponendola così a fenomeni
degenerativi. Quando si fa riferimento a corridori, even-
tualmente anche in sovrappeso e con la riduzione della
volta plantare longitudinale (piede piatto) è opportuno
prestare attenzione al riconoscimento dei primi sintomi
precedentemente elencati, che possano indicarci l’inizio
di una fascite plantare.
PROGRESSIONE DELLA LESIONE
• Il dolore, che si manifesta inizialmente al risveglio
mattutino, cessa dopo aver compiuto alcuni passi e
non si ripresenta negli altri periodi della giornata.
• Dopo un periodo variabile, il dolore aumenta di
intensità e si presenta per un breve periodo ogni
volta che ci alziamo in piedi dopo esser stati seduti
a lungo o dopo aver guidato.
• Il dolore diviene persistente e induce
ad evitare anche brevi camminate e,
nei casi più acuti, costringe all’utilizzo
delle stampelle.
AUTOVALUTAZIONE
Si immagini la superficie del tallone come
il quadrante di un orologio in cui il tendine
di Achille corrisponde alle ore 6 in punto.
Con le vostre dita alle ore 13 sul piede
sinistro e alle 11 sul piede destro, esercitate
una pressione con il polpastrello in questa
zona: se avvertite dolore, ci sono buone
probabilità che sia in atto una fascite
plantare, in quanto questa è la tipica
localizzazione della sofferenza associata a
questa lesione.
Una volta disteso il piede sul pavimento, tirare verso
l’alto l’alluce: se questo movimento provoca il mede-
simo dolore, è un’ulteriore evidenza a supporto della
diagnosi corretta. Se infine si avverte dolore in questa
regione durante i primi passi dopo il risveglio mattutino,
è certo che la causa è riferibile ad una fascite plantare.
TRATTAMENTO
Il trattamento della fascite plantare è spesso
motivo di discordia tra i professionisti coinvolti
nella cura e riabilitazione.
36
CORRERELIBERIDAINFORTUNI
Calza di Strassburg
Ossa
metatarsali
Arco
trasverso
Arco
longitudinale
37
ILPIEDE
DALL’ESPERIENZA DELL’AUTORE:
“Una volta ebbi una discussione accesa con un profes-
sionista, che stimo profodamente, a causa della mia
affermazione che potevo trattare con successo la fascite
plantare. Il mio approccio alla discussione era quello di
un fisioterapista, basato sull’esperienza personale e sulla
letteratura scientifica mentre il suo era quello di un podo-
logo, di reputazione straordinaria, che parlava diffusa-
mente di un’area di interesse estremamente circoscritta,
il piede. Le prime volte che mi vennero a trovare, nella
mia clinica, delle persone affette da fascite plantare non
proposi loro alcuna terapia e la conseguenza fu che non le
rividi mai più. Allora seguivo il saggio consiglio che queste
persone sofferenti di fascite plantare avrebbero avuto
bisogno di un periodo di 18 mesi-3 anni, senza correre; in
seguito a questo lungo periodo avrebbero ottenuto una
remissione spontanea dei sintomi e anche della proble-
matica. In seguito a questa mia prescrizione, un corridore
mi diede una risposta che fu per me estremamente signi-
ficativa anche nel proseguimento della mia professione di
fisioterapista. Come praticante appassionato mi comuni-
cò che non poteva smettere di correre per un periodo così
lungo e che avrebbe cercato un’alternativa per risolvere
la fascite plantare e avrebbe provato di tutto, fin quando
non avesse trovato un rimedio!
In seguito, cercai ogni pubblicazione e ricerche a riguar-
do. Fin da subito constatai che vi erano diversi approcci
di cura da parte di altri fisioterapisti, ma tutti avevano
un denominatore comune: astenersi dal correre. Le mie
ricerche mi condussero nel mondo dei maratoneti del
web, quindi nei forum online sulla fascite plantare, dove
si poteva accedere a innumerevoli resoconti di esperienze
dirette in proposito. Scoprii che erano tantissimi i corridori
che riportavano l’indicazione ricevuta dagli specialisti di
interrompere del tutto la corsa. Fui colpito dall’elevatissi-
mo numero di persone che soffrivano di questa problema-
tica così limitante e anche frustrato dall’aver effettuato
parecchie indagini che non mi avevano condotto a nessun
risultato che potesse rappresentare un’alternativa sod-
disfacente al pragmatico riposo assoluto. Iniziai quindi
a costruirmi autonomamente un protocollo di cura per
la fascite plantare che ho continuato ad aggiornare e
modificare per ben 10 anni. Questo è un fatto che mi
sento di dover spiegare ai miei pazienti, dal momento
che questo mio approccio alla fascite non è un protocollo
consolidato, condiviso e quindi standardizzato come altri
trattamenti che propongo nel mio studio.
Io non posseggo un protocollo standardizzato che
universalmente garantisca la completa remissione
dalla fascite plantare ma ho ottenuto dei risultati ap-
prezzabili, considerando coloro che si sono presentati
nel mio studio. Sono consapevole che il mio personale
approccio non differisce profondamente da quanto
viene proposto attualmente, ma sostengo che fino a
10 anni fa in ambito fisioterapico ci si accontentava
dell’approccio “aspettiamo e vediamo”, approccio che
era stato tracciato proprio dalle cliniche podologiche.
Ho raccolto e comparato ricerche compiute dagli
specialisti del piede e della caviglia per poi verificarle
con i miei strumenti di fisioterapista per realizzare un
protocollo di partenza che fosse svincolato da questo
atteggiamento di rassegnazione”.
LA TERAPIA CON ONDE D’URTO
Un gran numero di ricerche ha evidenziato che la
terapia con onde d’urto (sintetizzabile con gli acronimi
ECSWT o col più breve SWT) è un’eccellente tipologia di
trattamento nei confronti della fascite plantare.
DALL’ESPERIENZA DELL’AUTORE: “Sin dal primo uti-
lizzo di questa terapia ne fui impressionato, tanto che la
mia clinica fisioterapica fu la prima in Gran Bretagna ad
acquisire la strumentazione e i risultati che riscontrai non
si limitarono solo alla fascite plantare, ma si evidenziaro-
no su di un’ampia casistica di lesioni, che riguardavano sia
i tessuti molli sia le strutture ossee”.
La terapia con onde d’urto è stata valutata per anni
in modo contraddittorio e impreciso proprio dal
mondo scientifico e solo studi recenti, compiuti
attraverso un elevato standard di indagine scientifi-
ca, hanno potuto fornire dati affidabili, ottenuti dal
N.I.C.E., National Institute for Care and Excellence.
Alcuni degli studi pubblicati riportano che il 75-85%
dei pazienti trattati con onde d’urto hanno avuto
una totale remissione del dolore dopo 6 mesi di
follow up seguenti ai trattamenti.
DALL’ESPERIENZA DELL’AUTORE: “Partendo da
questa base statistica, come detto applicai con atten-
zione il trattamento basato sulle onde d’urto e alla
luce dei risultati, ottenni delle percentuali di successo
superiori rispetto a quelle riportate dal N.I.C.E., ragione
per cui ho maturato la convinzione che la terapia basa-
ta sulle onde d’urto debba essere considerata la pratica
fisioterapica d’elezione nei casi di fascite plantare”.
Il trattamento con le onde d’urto non deve essere
effettuato prima di 12 settimane dopo aver eseguito
delle infiltrazioni, motivo per cui le onde d’urto devono
essere il primo trattamento in ordine cronologico e la
comunità scientifica ha tardato prima di determinarne i
reali effetti terapeutici. Oltre quelle che sono le valuta-
zioni dei rapporti causa-effetto, quale sia l’azione certa
delle onde d’urto non è ancora stato spiegato in modo
completo: si ritiene che creino la rottura delle cellule
38
CORRERELIBERIDAINFORTUNI
infiammatorie con liberazione di acidi nucleici, stimo-
lando il sistema immunitario a riparare i tessuti. Proprio
le pressioni meccaniche che le onde d’urto determinano
sulle strutture articolari, hanno come effetto l’aumento
della permeabilità cellulare, l’incremento locale della
circolazione e quindi dell’attività metabolica. A questo
si aggiunga l’importante effetto che si ottiene con la
disgregazione dei depositi di calcio, dal momento che
le SWT (onde d’urto) provocano una sorta di cavitazio-
ne (si parla della formazione di centinaia di migliaia di
cavità bollose) che ne fanno aumentare il volume per
poi farlo collassare, col risultato finale di frantumare i
depositi di calcio. Le onde d’urto stimolano la forma-
zione dei fibroblasti ed osteoblasti, cellule responsabili
rispettivamente della rigenerazione dei tessuti molli
e dei tessuti ossei e, quindi, promuovono il processo
di guarigione su larga scala. In conclusione, le SWT
determinano una riduzione del dolore agendo sulla per-
cezione cerebrale del dolore, inizialmente con effetto
transitorio, e successivamente determinando un an-
nullamento definitivo del dolore, innescando una sorta
di “reset” nella percezione dello stesso; in altre parole,
attivando un effetto antidolorifico a lunga scadenza.
AUTOTRATTAMENTO
Protocollo per la fascite plantare in 10 punti
1.	 Non deambulare a piedi nudi, nemmeno per brevis-
simi tratti, quali potrebbero essere i pochi passi che
separano la camera da letto dal bagno.
39
ILPIEDE
2.	 Indossare dei plantari da inserire all’interno delle
scarpe, in modo da ottenere un sostegno per l’arco
plantare.
3.	 Dopo un periodo prolungato di riposo, prima di ini-
ziare a camminare, esercitarsi simulando di riscrivere
l’alfabeto in aria coi piedi.
4.	 Eseguire gli esercizi di allungamento per il polpac-
cio, indicati a pag. 168, 6 volte al giorno per 45”.
5.	 Eseguire gli esercizi di allungamento per il soleo,
indicati a pag. 168, 6 volte al giorno per 45”.
6.	 Far scorrere raccogliendolo con le dita dei piedi un
asciugamano disteso a terra, come indicato a pag.
167, 2 volte al giorno per 2 minuti.
7.	 Mettere la borsa del ghiaccio sotto la pianta del
piede dopo aver camminato o essere stati a lungo
in piedi.
8.	 Eseguire settimanalmente i seguenti trattamenti:
a.	 massaggio al gastrocnemio e al soleo,
b.	 massaggio alla superficie plantare del piede,
evitando la regione dolorante,
c.	 frizioni trasverse in corrispondenza della zona
dolorante per un massimo di 2 minuti, fino
a quando non si avverte una sensazione di
intorpidimento, fino alla scomparsa del dolore
(se il fisioterapista massaggia fuori dall’area
interessata, va fatto presente). Nel caso si tratti
di una problematica cronicizzata, la frizione può
durare anche 10 minuti.
9.	 Indossare una calza Strassburg (pag. 36) durante il
riposo notturno, in modo da determinare una lieve
azione di allungamento sulla fascia plantare.
10.	Assumere antinfiammatori - se non si hanno effetti
collaterali - come eventualmente prescritto dallo
specialista di riferimento.
Obiettivi di questo protocollo:
•	 aumentare la mobilità dei tessuti molli al fine di
ridurre lo stress che si è determinato nella regione
lesionata;
•	 favorire la guarigione da un punto di vista cellulare,
stimolando le fibre di collagene che costituiscono
la fascia plantare;
•	 sorreggere l’arco plantare longitudinale e, in
questo modo, ridurre la tensione sulla lesione alla
fascia plantare, oltre ad aumentare l’estensibilità
e il rafforzamento dei tessuti molli supportando e
potenziando il piede e la caviglia.
I movimenti preliminari di riscaldamento aumentano
il flusso sanguigno e rendono i tessuti più elastici, pre-
venendo così eventuali stiramenti, proprio come viene
abitualmente fatto nel riscaldamento che precede la
corsa. In questo approccio piuttosto ovvio e intuitivo
non è prevista l’attività di corsa. È comunque necessario
astenersi dal correre, anche se la privazione è deci-
samente demoralizzante. La risoluzione della fascite
plantare può subire significativi rallentamenti quando vi
sia un approccio terapeutico particolarmente aggressi-
vo. Per avere un riferimento operativo, si consideri che
le forze di carico che si applicano alla fascia plantare
correndo, sono più che raddoppiate rispetto al cammi-
nare. Comunque sia, occorre guardare in prospettiva e
valutare il giorno in cui il paziente riprenderà a correre.
Alcuni specialisti della riabilitazione consentono la cor-
sa solo quando i test di pressione sulla regione sofferen-
te saranno negativi e non si avvertirà più alcun dolore.
DALL’ESPERIENZA DELL’AUTORE: “Io, invece, con-
sento di inserire nel protocollo terapeutico alcune corse
riabilitative solo quando si riesce a camminare senza
dolore ed al mattino non ci sarà più la sensazione di
avere un sassolino nella scarpa”.
L’INTERVENTO DEL FISIOTERAPISTA
Esistono alcuni test basilari per valutare la fascite plan-
tare e di solito le descrizioni dei soggetti che ne sono
affetti non lasciano dubbi sulla diagnosi, ma un’ecogra-
fia può confermare quanto anticipato. Il protocollo qui
illustrato prevede che ogni trattamento ed esercizio sia
definito con cadenza settimanale.
IL RITORNO ALLA CORSA
Il graduale ritorno alla corsa è basato su due parametri
fondamentali: iniziare abbastanza precocemente al fine
di mantenere la forza muscolare e il condizionamento
che era stato raggiunto prima dell’infortunio, senza
però sovraccaricare la fascia plantare per non trauma-
tizzarla e prolungare i tempi di ripresa. Quando ci si
allena con regolarità nella corsa, si creano degli adatta-
menti morfologici quali forza e resistenza muscolare. Il
riposo è inevitabilmente correlato con gli effetti deleteri
del non allenamento e i programmi sostitutivi basati
su esercizi HEP (Home-Based Exercise Programme - Pro-
gramma di esercizi a casa) non riusciranno a colmare
gli effetti dell’allenamento specifico. Il principale punto
di disaccordo con l’orientamento comune sta nel fatto
che se i fisioterapisti, per fini terapeutici, propongono al
paziente di non correre in modo assoluto per un lungo
periodo, si favorirà l’instaurarsi di una conseguente
debolezza che predisporrà la ricomparsa della proble-
matica, quando si riprenderà a correre. Naturalmente,
è importante lavorare con impegno per rinforzare il
“core”, gli arti inferiori e le restanti regioni corporee
utilizzando uno specifico protocollo di valutazione per
identificare qualsiasi disfunzione.
40
CORRERELIBERIDAINFORTUNI
Gli squilibri biomeccanici possono essere individuati e
classificati; attraverso un lavoro mirato si acquisisce
anche una condizione muscolare più forte ed efficiente
di quella precedente. È necessario, però, porsi l’inter-
rogativo: questa attività compensativa sarà in grado di
determinare gli stessi effetti allenanti della corsa?
Lo sviluppo dei treadmill antigravitazionali (si tratta di
tapis roulant che consentono di correre diminuendo
il peso del corpo,) e delle cinture per fare jogging in
acqua suggerisce che il supporto scientifico ricerca le
più sofisticate metodologie di allenamento in funzione
di specifici scopi. In ogni caso i costi elevatissimi dei
treadmill antigravitazionali ne limitano l’impiego a si-
tuazioni professionistiche spesso fuori portata, in senso
economico. Avvalendosi perciò di strutture normali,
cosa si può fare?
Si può adottare uno specifico allenamento che si basa
sulla corsa riabilitativa. Si tratta di corse di breve
durata, sulle quali inserire pause attive di stretching
e, soprattutto, una precisa valutazione e registrazione
delle sensazioni di dolore, che via via si determinano.
Se il dolore durante la corsa diviene più evidente, anzi-
ché interromperla, si possono inserire delle pause in cui
eseguire degli esercizi di stretching che coinvolgono il
piede e, all’interno di certi parametri, illustrati di segui-
to, provare ad aggiungere una successiva ripetuta.
Ecco lo schema riabilitativo attraverso la corsa:
•	 si eseguono 3 minuti di corsa continua moderata;
•	 allungamento del gastrocnemio e del soleo.
Ogni esercizio deve avere la durata di 30 secondi, per 2
serie. Gli esercizi, riportati in appendice, sono: allun-
gamento dei polpacci, pagina 168, e allungamento del
soleo, pagina 168. Al fine di determinare quando variare
la durata e anche quando fermarsi del tutto, occorre
utilizzare il sistema di quantificazione del dolore, chia-
mato dai fisioterapisti Scala Visuale del Dolore (VAS).
PROTOCOLLO PER LO SPECIALISTA
Il mio programma in 10 punti
1. Non camminare a piedi nudi.
2. Utilizzare dei plantari.
3. Dopo ogni periodo di riposo, scaldarsi scrivendo l’alfabeto in aria coi piedi.
4. Allungare il gastrocnemio, 6 volte al giorno. Polpacci (allungamento) pagina 168
5. Allungare il soleo, 6 volte al giorno. Soleo (allungamento) pagina 168.
6. Raccogliere con le dita dei piedi un asciugamano disteso a terra, 2 minuti 2 volte al giorno, pagina 167.
7. Mettere la borsa del ghiaccio per 12 minuti sotto la pianta del piede dopo aver camminato o essere stati
a lungo in piedi.
8. Trattamenti settimanali per 5-15 settimane.
I trattamenti dovrebbero includere:
a) massaggio al gastrocnemio e al soleo,
b) massaggio sulla superficie plantare, evitando la zona dolorante,
c) frizioni trasverse in corrispondenza della zona dolorante se cronica.
Raccomando 3 trattamenti con onde d’urto da 500 shock a 1.5 Hz e poi 2000 shock a 2.5 Hz.
9. Indossare una calza Strassburg durante il riposo notturno (pagina 46).
10. Assumere antinfiammatori come prescritto dallo specialista.
41
ILPIEDE
Questa va da 0 a 10, in cui 0 corrisponde all’assenza di
dolore e 10 corrisponde al massimo dolore immagina-
bile. Per esempio, una 3/10 VAS indica che il dolore si
attesta su un 30% del massimo dolore; si tratta quindi
di un dolore leggero, ragionevolmente tollerabile.
Questa autovalutazione può essere eseguita fino ad
un massimo di 5 volte, tenendo presente il riferimento
di autovalutazione (>=3/10 VAS). Se il dolore compa-
re acuto fin da subito, andando oltre il riferimento di
autovalutazione, si deve interrompere immediatamente
la corsa. Invece, se il dolore incrementa gradualmente,
senza giungere ai 3/10 VAS, si può completare l’allena-
mento programmato. Se il dolore compare ogni volta
e non diminuisce, anche durante le pause di stretching,
allora bisogna sospendere l’allenamento anche al di
sotto dei 3/10 VAS. Questo protocollo può essere ripe-
tuto dopo due giorni di riposo. Solitamente nelle prime
due settimane è difficile ripetere il protocollo per più di
5 volte. Una volta raggiunto lo step delle 5 ripetizioni,
rimanendo all’interno dei parametri previsti, si apporta
un primo incremento della durata fino a 4 minuti, suc-
cessivamente a 5 e così via, riducendo i set per non far
aumentare il tempo totale di esercizio. Si incrementa il
tempo delle ripetute diminuisce il numero delle serie.
Pertanto, una volta raggiunto 4 x 10 minuti, si passa a 2
x 20 minuti, poi 1 x 30 minuti, 3 x 20 minuti, ecc.
Questa progressione potrà sembrare alle volte come
fare un passo avanti e successivamente farne altri due
indietro. In ogni caso, la totale astensione dalla corsa
fintanto che il dolore non sia totalmente scomparso,
farebbe perdere quell’attivazione che solo la corsa è
in grado di fornire in termini di forza e mobilità degli
arti inferiori. Un principio base della riabilitazione
della fascite plantare, sta nell’insostituibile aiuto della
corsa riabilitativa per cui, se questa viene omessa, si
favoriranno poi le recidive una volta che si riprenderà
l’allenamento vero e proprio. Certo, ci sono anche dei
rischi associati all’utilizzo di questo protocollo; in ogni
caso il graduale reinserirmento delle frazioni di corsa
fin dagli stadi iniziali del trattamento integrato dal
lavoro di stretching è pur sempre molto più favorevole
alla risoluzione a lungo termine della problematica.
42
CORRERELIBERIDAINFORTUNI
Dai riscontri avuti sinora, il doppio giorno di riposo
consente di compensare i microtraumi indirizzando
verso uno stabile processo di rigenerazione. Cominciare
fin da subito con lo schema di corsa quando ancora
è riscontrabile un lieve dolore è spesso escluso dagli
altri fisioterapisti, che non intendono assumersi questo
rischio. Di fronte a questo atteggiamento, il paziente ha
due opzioni:
1.	 rimanere a riposo per altre due settimane dall’inter-
ruzione del dolore e quindi iniziare gradualmente;
2.	 utilizzare lo schema riabilitativo che prevede la cor-
sa, una volta raggiunta l’assenza di dolore durante
la deambulazione e un livello di dolore accettabile
durante la corsa. Quest’ultimo approccio deve
sempre essere effettuato sotto la supervisione di
uno specialista e rimanendo all’interno dei parame-
tri indicati.
3.	 Se proprio non si ottengono risultati attraverso
una terapia conservativa fisioterapica, la terza op-
zione consta nelle infiltrazioni di farmaci steroidei
o una terapia basata sulle onde d’urto, con tutte le
complicazioni e i limiti a queste associate.
STORIE CLINICHE: SARITA, 37 ANNI
A 33 anni, dopo ben 10 anni di richieste di iscrizione,
fui ammessa alla maratona di Londra del 2011 e inten-
sificai gli allenamenti, passando da 2 a 4 sedute alla
settimana. Iniziai ad avvertire un dolore fastidioso al
piede, ignorandole poiché in passato avevo avuto delle
fitte che si erano risolte spontaneamente.
Alternavo corsa libera da fastidi ad interruzioni della
corsa stessa per camminare e poi riprendere.
Alla fine il mio allenamento era del tutto compromesso,
il dolore si manifestava sia durante la corsa, che nella
quotidianità. Da quando mi alzavo dal letto avvertivo
il dolore che poi diventava un’agonia che mi accom-
pagnava tutto il giorno, mi costringeva a zoppicare
e ad utilizzare esclusivamente scarpe con plantare:
rimedi poco più che palliativi, utilizzai anche farmaci
antidolorifici quando il dolore era insopportabile, senza
grande giovamento. Mi recai in un negozio sportivo per
chiedere informazioni su qualche allenatore qualificato
che potesse aiutarmi sia per risolvere l’infortunio che
per assecondare le mie ambizioni sportive. Per mia
fortuna presso lo studio Physio&Therapy UK, ubicato
di fronte al negozio sportivo, un fisioterapista diagno-
sticò che si trattava di una fascite plantare e suggerì
un trattamento specifico. Dopo alcune settimane di
attesa, ancora non avvertii miglioramenti e così presi un
appuntamento col fisioterapista. Feci alcune sedute in
cui il fisioterapista mi massaggiò il polpaccio e il piede;
la conseguenza fu un aggravamento della sintomato-
logia. Mi furono indicati alcuni esercizi da eseguire due
volte al giorno e mi venne proposta una curiosa calza da
indossare nelle ore di riposo notturno, per mantenere i
muscoli del piede in trazione. Il fisioterapista mi spiegò
chiaramente la dinamica della lesione al piede e quale
era lo stato dei tessuti sofferenti, rendendomi consa-
pevole della mia problematica. Mi venne consigliato
di sospendere la corsa per quattro/sei settimane, un
incubo per me che volevo allenarmi per la maratona.
Potei solo allenarmi attraverso sedute di cross training
in palestra. Avvicinandomi alla gara, diventata a quel
punto un “motivo di vita”, aumentò il mio stato d’ansia
ma continuai a svolgere gli esercizi prescritti e ad indos-
sare la speciale calza che mi manteneva l’arco plantare
esteso durante la notte: mi presentai comunque alla
linea di partenza della maratona. Non sarebbe sincero
dire che il giorno della gara non avevo dolore al piede,
ma sicuramente il dolore non era così intenso come in
precedenza e anche se sarebbe stato meglio che io mi
fossi astenuta dal partecipare alla gara, prevalse la mia
determinazione. Quindi gareggiai portando a termine la
corsa e fu l’avvenimento più emozionante della mia vita:
non corsi veloce come avrei voluto, dovetti inserire alcu-
ne interruzioni per camminare ed in un paio di occasioni
durante la gara alcuni esercizi di allungamento del piede
dolente: arrivai comunque al traguardo. Mi concessi poi
un paio di settimane senza correre e non ho più quasi
avuto dolori. Mi alleno tre volte alla settimana e svolgo
esercizi di allungamento specifici per il piede prima di
ogni allenamento. Successivamente ho partecipato
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  • 1. 35 ILPIEDE Come per molte altre tipologie di lesioni, il tempo di attesa per potere riprendere ad allenarsi con la stessa intensità di prima è estremamente variabile. Indicativa- mente, sono necessarie sei settimane dopo l’intervento chirurgico. Alcune persone, però, in seguito all’in- tervento chirurgico possono manifestare gonfiore e dolore post-operatorio anche per un anno. In assenza di complicanze, sarebbe opportuno attendere 12 settima- ne dopo l’intervento, prima di riprendere l’allenamento basato sulla corsa. Fascite plantare Di cosa si tratta? La fascite plantare è la lesione che colpisce la spessa aponeurosi plantare, struttura legamentosa che con- giunge il tallone con le dita del piede estendendosi nella parte inferiore (plantare) del piede. L’aponeurosi (o fascia) plantare ha la doppia funzione di proteggere le strutture soprastanti del piede e di deter- minare la tensione necessaria per mantenerne la volta longitudinale. La fascia plantare permette al piede di compiere i suoi caratteristici movimenti durante il cam- mino e la corsa. La fascite plantare quindi è l’infiamma- zione e la lesione del tessuto connettivo che costituisce la fascia plantare. Secondo gli orientamenti più recenti si ritiene che il danno che si determina a livello della fascia plantare sia conseguenza di una progressiva de- generazione e non tanto di eventi traumatici. La corsa quindi è in sé il principale fattore di rischio, dal momen- to che la prolungata sollecitazione tende a forzare la fascia. La fascite plantare viene anche definita come “tallonite del maratoneta” o “tallonite del poliziotto”. CAMPANELLI D’ALLARME • Unacutodolorealtallonenelpuntoincuil’ar- coplantareiniziaadelinearsiposteriormente. • Sensazione di calpestare un sasso, specialmente al mattino. • Il dolore svanisce dopo avere compiuto alcuni passi e, in seguito, non sopraggiunge alcun fastidio per il resto della giornata, STORIE CLINICHE: KIM, 56 ANNI Sono sempre stata in buona forma fisica, camminando, pe- dalando, oltre alla normale attività in palestra: tutte attività che evidentemente hanno stressato i miei piedi e, a 50 anni, ho iniziato ad accusare problemi nella regione metatarsale del piede destro. I dolori al piede si fecero sempre più intensi nei mesi con una sensazione di disturbo, come di un sasso nella scarpa. Proseguii la normale attività fisica peggiorando la situazione. Chiesi aiuto a diversi allenatori e provai anche ad utilizzare delle solette nelle scarpe. Un podologo mi fece utilizzare un plantare personalizzato ma nessuno di questi tentativi si rivelò essere un rimedio efficace, con il dolore che si fece sempre più acuto anche alla minima pressione: ogni contatto del piede al suolo mi provocava un dolore atroce che perdurava, talvolta, nei momenti di riposo. Un istruttore del mio gruppo d’allenamento mi raccomandò Paul, con il quale aveva avuto a che fare per problemi muscolo-schele- trici. Nel corso della prima visita, Paul ascoltò la mia lista di disturbi e problemi e, in seguito alla valutazione funzionale manuale, “strizzò” le dita del piede, sentendo il caratteri- stico “click”. Paul ipotizzò un neuroma di Morton e suggerì un’ecografia per disporre di ulteriori dati. Nel frattempo mi sottopose a dei trattamenti al piede e in un secondo tempo anche alle ginocchia e alle anche; inoltre mi preparò un pro- gramma di esercizi da fare autonomamente a casa. L’eco- grafia confermò il neuroma di Morton e mi furono prescritte delle infiltrazioni di cortisone. La prima infiltrazione ebbe un blando effetto antidolorifico, mentre la seconda causò una diminuzione di tessuto adiposo (fat wasting) e un aumento del dolore.Dopo le successive sedute, Paul mi suggerì di consultare un ortopedico e fui operata per rimuovere chi- rurgicamente il neuroma, con notevole riduzione del dolore, in special modo quella penetrante sensazione dolorosa sul nervo: sono rimasti alcune insensibilità nella regione circo- stante all’intervento e fastidi nella regione dei metatarsi. Continuo ad utilizzare dei plantari ortesici che si adattano alla conformazione del mio piede e che mi consentono di praticare la quasi totalità delle attività sportive che pratica- vo precedentemente; oggi credo di avere sempre avuto una eccessiva mobilità delle articolazioni del piede, la cui lassità legamentosa, associata ad un notevole carico di lavoro in allenamento e all’utilizzo di scarpe poco ammortizzanti, ha contribuito alla comparsa della problematica.
  • 2. • Il dolore può riprendere in seguito ad un prolunga- to periodo di inattività motoria a carico del piede. POSSIBILI CAUSE DI LESIONE Il più grande fattore di rischio che può provocare la fascite plantare è rappresentato dalla limitata mobilità del piede nel compimento della flessione dorsale, ossia il movimento di elevazione del piede da terra, mentre il tallone rimane fermo al suolo, che determina l’allun- gamento dei muscoli del polpaccio. Il secondo fattore di rischio è dato da un elevato BMI (Indice di Massa Corporea)(Riddle et al., 2003). Vi è anche una indubbia associazione tra fascite plan- tare e piede piatto (Warren 1990). In estrema sintesi il piede piatto esprime la riduzione dell’arco longitudinale mediale, ragione per cui il punto di repere (il tubercolo dello scafoide) si trova più vicino al suolo; diversamente dal piede cavo, corrispondente ad una eccessiva altezza della volta longitudinale mediale. Il piede piatto procura maggiori sollecitazioni e stress sulla fascia plantare, esponendola così a fenomeni degenerativi. Quando si fa riferimento a corridori, even- tualmente anche in sovrappeso e con la riduzione della volta plantare longitudinale (piede piatto) è opportuno prestare attenzione al riconoscimento dei primi sintomi precedentemente elencati, che possano indicarci l’inizio di una fascite plantare. PROGRESSIONE DELLA LESIONE • Il dolore, che si manifesta inizialmente al risveglio mattutino, cessa dopo aver compiuto alcuni passi e non si ripresenta negli altri periodi della giornata. • Dopo un periodo variabile, il dolore aumenta di intensità e si presenta per un breve periodo ogni volta che ci alziamo in piedi dopo esser stati seduti a lungo o dopo aver guidato. • Il dolore diviene persistente e induce ad evitare anche brevi camminate e, nei casi più acuti, costringe all’utilizzo delle stampelle. AUTOVALUTAZIONE Si immagini la superficie del tallone come il quadrante di un orologio in cui il tendine di Achille corrisponde alle ore 6 in punto. Con le vostre dita alle ore 13 sul piede sinistro e alle 11 sul piede destro, esercitate una pressione con il polpastrello in questa zona: se avvertite dolore, ci sono buone probabilità che sia in atto una fascite plantare, in quanto questa è la tipica localizzazione della sofferenza associata a questa lesione. Una volta disteso il piede sul pavimento, tirare verso l’alto l’alluce: se questo movimento provoca il mede- simo dolore, è un’ulteriore evidenza a supporto della diagnosi corretta. Se infine si avverte dolore in questa regione durante i primi passi dopo il risveglio mattutino, è certo che la causa è riferibile ad una fascite plantare. TRATTAMENTO Il trattamento della fascite plantare è spesso motivo di discordia tra i professionisti coinvolti nella cura e riabilitazione. 36 CORRERELIBERIDAINFORTUNI Calza di Strassburg Ossa metatarsali Arco trasverso Arco longitudinale
  • 3. 37 ILPIEDE DALL’ESPERIENZA DELL’AUTORE: “Una volta ebbi una discussione accesa con un profes- sionista, che stimo profodamente, a causa della mia affermazione che potevo trattare con successo la fascite plantare. Il mio approccio alla discussione era quello di un fisioterapista, basato sull’esperienza personale e sulla letteratura scientifica mentre il suo era quello di un podo- logo, di reputazione straordinaria, che parlava diffusa- mente di un’area di interesse estremamente circoscritta, il piede. Le prime volte che mi vennero a trovare, nella mia clinica, delle persone affette da fascite plantare non proposi loro alcuna terapia e la conseguenza fu che non le rividi mai più. Allora seguivo il saggio consiglio che queste persone sofferenti di fascite plantare avrebbero avuto bisogno di un periodo di 18 mesi-3 anni, senza correre; in seguito a questo lungo periodo avrebbero ottenuto una remissione spontanea dei sintomi e anche della proble- matica. In seguito a questa mia prescrizione, un corridore mi diede una risposta che fu per me estremamente signi- ficativa anche nel proseguimento della mia professione di fisioterapista. Come praticante appassionato mi comuni- cò che non poteva smettere di correre per un periodo così lungo e che avrebbe cercato un’alternativa per risolvere la fascite plantare e avrebbe provato di tutto, fin quando non avesse trovato un rimedio! In seguito, cercai ogni pubblicazione e ricerche a riguar- do. Fin da subito constatai che vi erano diversi approcci di cura da parte di altri fisioterapisti, ma tutti avevano un denominatore comune: astenersi dal correre. Le mie ricerche mi condussero nel mondo dei maratoneti del web, quindi nei forum online sulla fascite plantare, dove si poteva accedere a innumerevoli resoconti di esperienze dirette in proposito. Scoprii che erano tantissimi i corridori che riportavano l’indicazione ricevuta dagli specialisti di interrompere del tutto la corsa. Fui colpito dall’elevatissi- mo numero di persone che soffrivano di questa problema- tica così limitante e anche frustrato dall’aver effettuato parecchie indagini che non mi avevano condotto a nessun risultato che potesse rappresentare un’alternativa sod- disfacente al pragmatico riposo assoluto. Iniziai quindi a costruirmi autonomamente un protocollo di cura per la fascite plantare che ho continuato ad aggiornare e modificare per ben 10 anni. Questo è un fatto che mi sento di dover spiegare ai miei pazienti, dal momento che questo mio approccio alla fascite non è un protocollo consolidato, condiviso e quindi standardizzato come altri trattamenti che propongo nel mio studio. Io non posseggo un protocollo standardizzato che universalmente garantisca la completa remissione dalla fascite plantare ma ho ottenuto dei risultati ap- prezzabili, considerando coloro che si sono presentati nel mio studio. Sono consapevole che il mio personale approccio non differisce profondamente da quanto viene proposto attualmente, ma sostengo che fino a 10 anni fa in ambito fisioterapico ci si accontentava dell’approccio “aspettiamo e vediamo”, approccio che era stato tracciato proprio dalle cliniche podologiche. Ho raccolto e comparato ricerche compiute dagli specialisti del piede e della caviglia per poi verificarle con i miei strumenti di fisioterapista per realizzare un protocollo di partenza che fosse svincolato da questo atteggiamento di rassegnazione”. LA TERAPIA CON ONDE D’URTO Un gran numero di ricerche ha evidenziato che la terapia con onde d’urto (sintetizzabile con gli acronimi ECSWT o col più breve SWT) è un’eccellente tipologia di trattamento nei confronti della fascite plantare. DALL’ESPERIENZA DELL’AUTORE: “Sin dal primo uti- lizzo di questa terapia ne fui impressionato, tanto che la mia clinica fisioterapica fu la prima in Gran Bretagna ad acquisire la strumentazione e i risultati che riscontrai non si limitarono solo alla fascite plantare, ma si evidenziaro- no su di un’ampia casistica di lesioni, che riguardavano sia i tessuti molli sia le strutture ossee”. La terapia con onde d’urto è stata valutata per anni in modo contraddittorio e impreciso proprio dal mondo scientifico e solo studi recenti, compiuti attraverso un elevato standard di indagine scientifi- ca, hanno potuto fornire dati affidabili, ottenuti dal N.I.C.E., National Institute for Care and Excellence. Alcuni degli studi pubblicati riportano che il 75-85% dei pazienti trattati con onde d’urto hanno avuto una totale remissione del dolore dopo 6 mesi di follow up seguenti ai trattamenti. DALL’ESPERIENZA DELL’AUTORE: “Partendo da questa base statistica, come detto applicai con atten- zione il trattamento basato sulle onde d’urto e alla luce dei risultati, ottenni delle percentuali di successo superiori rispetto a quelle riportate dal N.I.C.E., ragione per cui ho maturato la convinzione che la terapia basa- ta sulle onde d’urto debba essere considerata la pratica fisioterapica d’elezione nei casi di fascite plantare”. Il trattamento con le onde d’urto non deve essere effettuato prima di 12 settimane dopo aver eseguito delle infiltrazioni, motivo per cui le onde d’urto devono essere il primo trattamento in ordine cronologico e la comunità scientifica ha tardato prima di determinarne i reali effetti terapeutici. Oltre quelle che sono le valuta- zioni dei rapporti causa-effetto, quale sia l’azione certa delle onde d’urto non è ancora stato spiegato in modo completo: si ritiene che creino la rottura delle cellule
  • 4. 38 CORRERELIBERIDAINFORTUNI infiammatorie con liberazione di acidi nucleici, stimo- lando il sistema immunitario a riparare i tessuti. Proprio le pressioni meccaniche che le onde d’urto determinano sulle strutture articolari, hanno come effetto l’aumento della permeabilità cellulare, l’incremento locale della circolazione e quindi dell’attività metabolica. A questo si aggiunga l’importante effetto che si ottiene con la disgregazione dei depositi di calcio, dal momento che le SWT (onde d’urto) provocano una sorta di cavitazio- ne (si parla della formazione di centinaia di migliaia di cavità bollose) che ne fanno aumentare il volume per poi farlo collassare, col risultato finale di frantumare i depositi di calcio. Le onde d’urto stimolano la forma- zione dei fibroblasti ed osteoblasti, cellule responsabili rispettivamente della rigenerazione dei tessuti molli e dei tessuti ossei e, quindi, promuovono il processo di guarigione su larga scala. In conclusione, le SWT determinano una riduzione del dolore agendo sulla per- cezione cerebrale del dolore, inizialmente con effetto transitorio, e successivamente determinando un an- nullamento definitivo del dolore, innescando una sorta di “reset” nella percezione dello stesso; in altre parole, attivando un effetto antidolorifico a lunga scadenza. AUTOTRATTAMENTO Protocollo per la fascite plantare in 10 punti 1. Non deambulare a piedi nudi, nemmeno per brevis- simi tratti, quali potrebbero essere i pochi passi che separano la camera da letto dal bagno.
  • 5. 39 ILPIEDE 2. Indossare dei plantari da inserire all’interno delle scarpe, in modo da ottenere un sostegno per l’arco plantare. 3. Dopo un periodo prolungato di riposo, prima di ini- ziare a camminare, esercitarsi simulando di riscrivere l’alfabeto in aria coi piedi. 4. Eseguire gli esercizi di allungamento per il polpac- cio, indicati a pag. 168, 6 volte al giorno per 45”. 5. Eseguire gli esercizi di allungamento per il soleo, indicati a pag. 168, 6 volte al giorno per 45”. 6. Far scorrere raccogliendolo con le dita dei piedi un asciugamano disteso a terra, come indicato a pag. 167, 2 volte al giorno per 2 minuti. 7. Mettere la borsa del ghiaccio sotto la pianta del piede dopo aver camminato o essere stati a lungo in piedi. 8. Eseguire settimanalmente i seguenti trattamenti: a. massaggio al gastrocnemio e al soleo, b. massaggio alla superficie plantare del piede, evitando la regione dolorante, c. frizioni trasverse in corrispondenza della zona dolorante per un massimo di 2 minuti, fino a quando non si avverte una sensazione di intorpidimento, fino alla scomparsa del dolore (se il fisioterapista massaggia fuori dall’area interessata, va fatto presente). Nel caso si tratti di una problematica cronicizzata, la frizione può durare anche 10 minuti. 9. Indossare una calza Strassburg (pag. 36) durante il riposo notturno, in modo da determinare una lieve azione di allungamento sulla fascia plantare. 10. Assumere antinfiammatori - se non si hanno effetti collaterali - come eventualmente prescritto dallo specialista di riferimento. Obiettivi di questo protocollo: • aumentare la mobilità dei tessuti molli al fine di ridurre lo stress che si è determinato nella regione lesionata; • favorire la guarigione da un punto di vista cellulare, stimolando le fibre di collagene che costituiscono la fascia plantare; • sorreggere l’arco plantare longitudinale e, in questo modo, ridurre la tensione sulla lesione alla fascia plantare, oltre ad aumentare l’estensibilità e il rafforzamento dei tessuti molli supportando e potenziando il piede e la caviglia. I movimenti preliminari di riscaldamento aumentano il flusso sanguigno e rendono i tessuti più elastici, pre- venendo così eventuali stiramenti, proprio come viene abitualmente fatto nel riscaldamento che precede la corsa. In questo approccio piuttosto ovvio e intuitivo non è prevista l’attività di corsa. È comunque necessario astenersi dal correre, anche se la privazione è deci- samente demoralizzante. La risoluzione della fascite plantare può subire significativi rallentamenti quando vi sia un approccio terapeutico particolarmente aggressi- vo. Per avere un riferimento operativo, si consideri che le forze di carico che si applicano alla fascia plantare correndo, sono più che raddoppiate rispetto al cammi- nare. Comunque sia, occorre guardare in prospettiva e valutare il giorno in cui il paziente riprenderà a correre. Alcuni specialisti della riabilitazione consentono la cor- sa solo quando i test di pressione sulla regione sofferen- te saranno negativi e non si avvertirà più alcun dolore. DALL’ESPERIENZA DELL’AUTORE: “Io, invece, con- sento di inserire nel protocollo terapeutico alcune corse riabilitative solo quando si riesce a camminare senza dolore ed al mattino non ci sarà più la sensazione di avere un sassolino nella scarpa”. L’INTERVENTO DEL FISIOTERAPISTA Esistono alcuni test basilari per valutare la fascite plan- tare e di solito le descrizioni dei soggetti che ne sono affetti non lasciano dubbi sulla diagnosi, ma un’ecogra- fia può confermare quanto anticipato. Il protocollo qui illustrato prevede che ogni trattamento ed esercizio sia definito con cadenza settimanale. IL RITORNO ALLA CORSA Il graduale ritorno alla corsa è basato su due parametri fondamentali: iniziare abbastanza precocemente al fine di mantenere la forza muscolare e il condizionamento che era stato raggiunto prima dell’infortunio, senza però sovraccaricare la fascia plantare per non trauma- tizzarla e prolungare i tempi di ripresa. Quando ci si allena con regolarità nella corsa, si creano degli adatta- menti morfologici quali forza e resistenza muscolare. Il riposo è inevitabilmente correlato con gli effetti deleteri del non allenamento e i programmi sostitutivi basati su esercizi HEP (Home-Based Exercise Programme - Pro- gramma di esercizi a casa) non riusciranno a colmare gli effetti dell’allenamento specifico. Il principale punto di disaccordo con l’orientamento comune sta nel fatto che se i fisioterapisti, per fini terapeutici, propongono al paziente di non correre in modo assoluto per un lungo periodo, si favorirà l’instaurarsi di una conseguente debolezza che predisporrà la ricomparsa della proble- matica, quando si riprenderà a correre. Naturalmente, è importante lavorare con impegno per rinforzare il “core”, gli arti inferiori e le restanti regioni corporee utilizzando uno specifico protocollo di valutazione per identificare qualsiasi disfunzione.
  • 6. 40 CORRERELIBERIDAINFORTUNI Gli squilibri biomeccanici possono essere individuati e classificati; attraverso un lavoro mirato si acquisisce anche una condizione muscolare più forte ed efficiente di quella precedente. È necessario, però, porsi l’inter- rogativo: questa attività compensativa sarà in grado di determinare gli stessi effetti allenanti della corsa? Lo sviluppo dei treadmill antigravitazionali (si tratta di tapis roulant che consentono di correre diminuendo il peso del corpo,) e delle cinture per fare jogging in acqua suggerisce che il supporto scientifico ricerca le più sofisticate metodologie di allenamento in funzione di specifici scopi. In ogni caso i costi elevatissimi dei treadmill antigravitazionali ne limitano l’impiego a si- tuazioni professionistiche spesso fuori portata, in senso economico. Avvalendosi perciò di strutture normali, cosa si può fare? Si può adottare uno specifico allenamento che si basa sulla corsa riabilitativa. Si tratta di corse di breve durata, sulle quali inserire pause attive di stretching e, soprattutto, una precisa valutazione e registrazione delle sensazioni di dolore, che via via si determinano. Se il dolore durante la corsa diviene più evidente, anzi- ché interromperla, si possono inserire delle pause in cui eseguire degli esercizi di stretching che coinvolgono il piede e, all’interno di certi parametri, illustrati di segui- to, provare ad aggiungere una successiva ripetuta. Ecco lo schema riabilitativo attraverso la corsa: • si eseguono 3 minuti di corsa continua moderata; • allungamento del gastrocnemio e del soleo. Ogni esercizio deve avere la durata di 30 secondi, per 2 serie. Gli esercizi, riportati in appendice, sono: allun- gamento dei polpacci, pagina 168, e allungamento del soleo, pagina 168. Al fine di determinare quando variare la durata e anche quando fermarsi del tutto, occorre utilizzare il sistema di quantificazione del dolore, chia- mato dai fisioterapisti Scala Visuale del Dolore (VAS). PROTOCOLLO PER LO SPECIALISTA Il mio programma in 10 punti 1. Non camminare a piedi nudi. 2. Utilizzare dei plantari. 3. Dopo ogni periodo di riposo, scaldarsi scrivendo l’alfabeto in aria coi piedi. 4. Allungare il gastrocnemio, 6 volte al giorno. Polpacci (allungamento) pagina 168 5. Allungare il soleo, 6 volte al giorno. Soleo (allungamento) pagina 168. 6. Raccogliere con le dita dei piedi un asciugamano disteso a terra, 2 minuti 2 volte al giorno, pagina 167. 7. Mettere la borsa del ghiaccio per 12 minuti sotto la pianta del piede dopo aver camminato o essere stati a lungo in piedi. 8. Trattamenti settimanali per 5-15 settimane. I trattamenti dovrebbero includere: a) massaggio al gastrocnemio e al soleo, b) massaggio sulla superficie plantare, evitando la zona dolorante, c) frizioni trasverse in corrispondenza della zona dolorante se cronica. Raccomando 3 trattamenti con onde d’urto da 500 shock a 1.5 Hz e poi 2000 shock a 2.5 Hz. 9. Indossare una calza Strassburg durante il riposo notturno (pagina 46). 10. Assumere antinfiammatori come prescritto dallo specialista.
  • 7. 41 ILPIEDE Questa va da 0 a 10, in cui 0 corrisponde all’assenza di dolore e 10 corrisponde al massimo dolore immagina- bile. Per esempio, una 3/10 VAS indica che il dolore si attesta su un 30% del massimo dolore; si tratta quindi di un dolore leggero, ragionevolmente tollerabile. Questa autovalutazione può essere eseguita fino ad un massimo di 5 volte, tenendo presente il riferimento di autovalutazione (>=3/10 VAS). Se il dolore compa- re acuto fin da subito, andando oltre il riferimento di autovalutazione, si deve interrompere immediatamente la corsa. Invece, se il dolore incrementa gradualmente, senza giungere ai 3/10 VAS, si può completare l’allena- mento programmato. Se il dolore compare ogni volta e non diminuisce, anche durante le pause di stretching, allora bisogna sospendere l’allenamento anche al di sotto dei 3/10 VAS. Questo protocollo può essere ripe- tuto dopo due giorni di riposo. Solitamente nelle prime due settimane è difficile ripetere il protocollo per più di 5 volte. Una volta raggiunto lo step delle 5 ripetizioni, rimanendo all’interno dei parametri previsti, si apporta un primo incremento della durata fino a 4 minuti, suc- cessivamente a 5 e così via, riducendo i set per non far aumentare il tempo totale di esercizio. Si incrementa il tempo delle ripetute diminuisce il numero delle serie. Pertanto, una volta raggiunto 4 x 10 minuti, si passa a 2 x 20 minuti, poi 1 x 30 minuti, 3 x 20 minuti, ecc. Questa progressione potrà sembrare alle volte come fare un passo avanti e successivamente farne altri due indietro. In ogni caso, la totale astensione dalla corsa fintanto che il dolore non sia totalmente scomparso, farebbe perdere quell’attivazione che solo la corsa è in grado di fornire in termini di forza e mobilità degli arti inferiori. Un principio base della riabilitazione della fascite plantare, sta nell’insostituibile aiuto della corsa riabilitativa per cui, se questa viene omessa, si favoriranno poi le recidive una volta che si riprenderà l’allenamento vero e proprio. Certo, ci sono anche dei rischi associati all’utilizzo di questo protocollo; in ogni caso il graduale reinserirmento delle frazioni di corsa fin dagli stadi iniziali del trattamento integrato dal lavoro di stretching è pur sempre molto più favorevole alla risoluzione a lungo termine della problematica.
  • 8. 42 CORRERELIBERIDAINFORTUNI Dai riscontri avuti sinora, il doppio giorno di riposo consente di compensare i microtraumi indirizzando verso uno stabile processo di rigenerazione. Cominciare fin da subito con lo schema di corsa quando ancora è riscontrabile un lieve dolore è spesso escluso dagli altri fisioterapisti, che non intendono assumersi questo rischio. Di fronte a questo atteggiamento, il paziente ha due opzioni: 1. rimanere a riposo per altre due settimane dall’inter- ruzione del dolore e quindi iniziare gradualmente; 2. utilizzare lo schema riabilitativo che prevede la cor- sa, una volta raggiunta l’assenza di dolore durante la deambulazione e un livello di dolore accettabile durante la corsa. Quest’ultimo approccio deve sempre essere effettuato sotto la supervisione di uno specialista e rimanendo all’interno dei parame- tri indicati. 3. Se proprio non si ottengono risultati attraverso una terapia conservativa fisioterapica, la terza op- zione consta nelle infiltrazioni di farmaci steroidei o una terapia basata sulle onde d’urto, con tutte le complicazioni e i limiti a queste associate. STORIE CLINICHE: SARITA, 37 ANNI A 33 anni, dopo ben 10 anni di richieste di iscrizione, fui ammessa alla maratona di Londra del 2011 e inten- sificai gli allenamenti, passando da 2 a 4 sedute alla settimana. Iniziai ad avvertire un dolore fastidioso al piede, ignorandole poiché in passato avevo avuto delle fitte che si erano risolte spontaneamente. Alternavo corsa libera da fastidi ad interruzioni della corsa stessa per camminare e poi riprendere. Alla fine il mio allenamento era del tutto compromesso, il dolore si manifestava sia durante la corsa, che nella quotidianità. Da quando mi alzavo dal letto avvertivo il dolore che poi diventava un’agonia che mi accom- pagnava tutto il giorno, mi costringeva a zoppicare e ad utilizzare esclusivamente scarpe con plantare: rimedi poco più che palliativi, utilizzai anche farmaci antidolorifici quando il dolore era insopportabile, senza grande giovamento. Mi recai in un negozio sportivo per chiedere informazioni su qualche allenatore qualificato che potesse aiutarmi sia per risolvere l’infortunio che per assecondare le mie ambizioni sportive. Per mia fortuna presso lo studio Physio&Therapy UK, ubicato di fronte al negozio sportivo, un fisioterapista diagno- sticò che si trattava di una fascite plantare e suggerì un trattamento specifico. Dopo alcune settimane di attesa, ancora non avvertii miglioramenti e così presi un appuntamento col fisioterapista. Feci alcune sedute in cui il fisioterapista mi massaggiò il polpaccio e il piede; la conseguenza fu un aggravamento della sintomato- logia. Mi furono indicati alcuni esercizi da eseguire due volte al giorno e mi venne proposta una curiosa calza da indossare nelle ore di riposo notturno, per mantenere i muscoli del piede in trazione. Il fisioterapista mi spiegò chiaramente la dinamica della lesione al piede e quale era lo stato dei tessuti sofferenti, rendendomi consa- pevole della mia problematica. Mi venne consigliato di sospendere la corsa per quattro/sei settimane, un incubo per me che volevo allenarmi per la maratona. Potei solo allenarmi attraverso sedute di cross training in palestra. Avvicinandomi alla gara, diventata a quel punto un “motivo di vita”, aumentò il mio stato d’ansia ma continuai a svolgere gli esercizi prescritti e ad indos- sare la speciale calza che mi manteneva l’arco plantare esteso durante la notte: mi presentai comunque alla linea di partenza della maratona. Non sarebbe sincero dire che il giorno della gara non avevo dolore al piede, ma sicuramente il dolore non era così intenso come in precedenza e anche se sarebbe stato meglio che io mi fossi astenuta dal partecipare alla gara, prevalse la mia determinazione. Quindi gareggiai portando a termine la corsa e fu l’avvenimento più emozionante della mia vita: non corsi veloce come avrei voluto, dovetti inserire alcu- ne interruzioni per camminare ed in un paio di occasioni durante la gara alcuni esercizi di allungamento del piede dolente: arrivai comunque al traguardo. Mi concessi poi un paio di settimane senza correre e non ho più quasi avuto dolori. Mi alleno tre volte alla settimana e svolgo esercizi di allungamento specifici per il piede prima di ogni allenamento. Successivamente ho partecipato senza problemi a molte mezze maratone (con record personale di 2.07), 10 miglia e gare sui 5 km!
  • 9. www.calzetti-mariucci.it Visita il nostro sito Collegandoti al sito puoi visionare nel dettaglio e acquista- re gli articoli (libri, video, dvd, riviste), grazie ad un sistema di ricerca semplice ed intuitivo. CATALOGO ON LINE Inoltre il sito è sempre aggiornato con sezioni specifiche di approfon- dimento su tutti gli argomenti più interes- santi legati allo sport, come eventi, convegni e corsi di aggiornamento. APPROFONDIMENTI Iscrivendoti e dando la preferen- za alla disciplina sportiva che più ti interessa potrai ricevere tutte le news al tuo indiriz- zo e-mail. NEWSLETTER libri,videoerivisteperlosportlibri,videoerivisteperlosport