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Per noi è cultura
ciò che permette di avere
gli strumenti per scegliere.
Per noi cultura è consapevolezza.
Per noi la cultura ha un valore,
non un prezzo.
Sono un artista, ho studiato all’Accademia di Belle Arti.
La mia professione è quella di art director
(scusate ma non esiste un equivalente in italiano).
Mi occupo di design dellacomunicazione
(grafica, web, editoria…).
Sono consulente per aziende, associazioni,
Professionisti, enti profit e non profit.
Sono anche giornalista pubblicista. Scrivo di arti e cultura.
Dal 2008 sono il direttore della rivista Vorrei.
Chi è Antonio Cornacchia?
È un magazine civico e un social media.
Edito da un’associazione culturale non profit con sede a Monza.
Tutti i collaboratori sono volontari e non retribuiti.
Nessuno percepisce compensi, neanche io.
Non raccoglie pubblicità, non beneficia di contributi.
Si occupa principalmente di cultura e ambiente.
Parla di Monza, della Brianza e di tutto il resto. È glocal, insomma.
Infine, non è mainstream.
Che rivista è Vorrei?
La trovate, gratis, qui:
www.vorrei.org
Quando abbiamo avviato le pubblicazioni di Vorrei, le testate del
territorio dedicavano molto poco spazio alla cultura e alle arti.
Le cose sono profondamente cambiate in questi anni.
Ormai ovunque si parla di cultura.
Persino in Confindustria, Camera di Commercio e Duomo.
In Brianza sono tutti diventati appassionati di pittura, musica
e teatro? Non esattamente. La nostra ipotesi è che anche qui -
come in tutta Italia - dopo aver stremato l’ambiente e il
territorio, per molti la mucca da mungere è ora il “patrimonio
culturale”. Ma di questo parliamo un’altra volta, se volete.
Tutti parlano di cultura.
Come siamo messi a cultura in Brianza?
Nel novembre 2013 Rottapharm ha presentato i risultati
di una ricerca condotta da Makno per conoscere i consumi
e la domanda culturale del territorio.
I risultati sono in linea con quelli nazionali, ad eccezione
della partecipazione agli spettacoli dal vivo,
da leggermente a decisamente inferiori.
Monza, la Brianza e la cultura.
Monza, la Brianza e la cultura.
È comunque un dato di fatto che in questo territorio
la cultura, in particolare la produzione culturale,
sta attraversando realmente una fase di grande slancio.
Con i suoi pro e i suoi contro, a Monza la Reggia (la Villa più il
Parco) è diventato forse il secondo polo espositivo della
Lombardia dopo Palazzo Reale.
Parco delle culture a Desio, il Mac a Lissone e il Must
a Vimercate (solo per citarne alcuni) sono dei punti
di riferimento importanti che rappresentano bene questa nuova
identità briantea. Non più solo terra di fabbrichette, ma:
Brianza, terra di storia, arte e cultura.
Monza, la Brianza e la cultura.
Questo sviluppo del settore culturale però non trova grande
sostegno e tantomeno coordinamento. Le realtà nascono e
crescono senza l’accompagnamento di nessuno fatta eccezione
per le iniziative di CSV MB e del Distretto Culturale Evoluto
finanziato da Fondazione Cariplo.
Avrebbe potuto farlo la Provincia negli anni in cui era un ente
a tutti gli effetti. Ma anche in questo la sua è stata una
esperienza deficitaria. Vuoi per carenze strutturali,
vuoi per carenze politiche.
Monza, la Brianza e la cultura.
Nei confronti avuti negli ultimi anni, i punti critici che gli
operatori del settore culturale segnalano (e che coincidono
quasi per intero con i temi di questa tavola)
sono essenzialmente 3+1:
1.  La necessità di fare rete.
2.  I rapporti con le istituzioni.
3.  La comunicazione.
4.  Le risorse
Di cosa ha bisogno la cultura?
Chiunque, ovunque, afferma che è necessario “fare rete”.
A parole tutti si dicono disposti. È davvero così?
I fatti dicono altro. Un esempio. Nel 2014 ho intervistato gli
assessori dei Comuni in cui insistono i 4 maggiori musei pubblici
del territorio: I Musei civici di Monza, il Mac di Lissone,
il Must di Vimercate e il Mufoco di Cinisello.
Proponevo la creazione di una rete che valorizzasse l’identità
territoriale invece che il singolo museo.
Difficilmente un visitatore verrà da Milano, per non dire più
lontano, per vedere solo uno di questi musei. Se sa di poterne
vedere ben 4 nel giro di pochi chilometri, forse sì.
Il mito delle reti.
Potete leggere le interviste online: tutti d’accordo ed entusiasti.
Però della rete dei musei, dopo più di un anno, non esiste nulla.
I 4 musei (tutti molto belli e interessanti) continuano a fare
ingressi e al di sotto delle loro potenzialità e a non raggiungere
livelli di attenzione adeguati (audience development).
Fra le associazioni e gli enti privati le cose non sono molto
diverse. Il motivo?
Il mito delle reti.
Mettersi insieme
significa condividere.
Fare un passo indietro oggi,
per fare un balzo in avanti
domani.
Il mito delle reti.
Non c’è molta predisposizione a fare entrare qualcuno
nel proprio orticello o ad aggiungere un posto a tavola.
L’unica messa in comune di conoscenza nasce (e muore) con i
bandi. Con le scadenze in arrivo, fioccano le telefonate di chi
cerca partner. Per il resto, ognuno per sé.
Un po’ come i partiti: li vedi quando arrivano le elezioni.
Il mito delle reti.
Premessa:
Chi pensa di vivere solo di fondi comunali
è destinato alla precarietà molto più di un bracciante nella
Lucania di Rocco Scotellaro.
La sostenibilità economica deve reggersi su fonti diverse.
Gli assessori passano, la cultura deve restare.
Occorre però imparare da chi sa rapportarsi in maniera corretta
con le istituzioni: Confindustria, Confartigianato, Sindacati…
Il rapporto con le istituzioni.
La domanda è:
perché il settore
culturale non ha
una rappresentanza
di categoria?
Il rapporto con le istituzioni.
Come dicevo all’inizio, le testate del territorio hanno cambiato
profondamente atteggiamento nei confronti della cultura.
C’è molta più attenzione e spazio, online e offline.
Ma c’è ancora molto da fare.
Perdonate il personale conflitto di interesse,
ma fra il molto da fare c’è anche l’investire correttamente
le seppur poche risorse a disposizione.
Investite in qualità e professionalità.
Ovvero in efficacia.
La comunicazione.
Infine vorrei ricordare che quando si parla di comunicazione
si intende in più direzioni.
Non solo da chi produce cultura verso chi “consuma”.
È necessario comunicare anche fra operatori.
Girando per appuntamenti, manifestazioni e rassegne
raramente incrocio artisti e operatori non direttamente
coinvolti.
Gelosia canaglia!
La comunicazione.
Fare rete, comunicare
e avere rappresentanza
di categoria. Come?
Una proposta.
La creazione di uno strumento, di un luogo,
di un organismo di secondo livello che, fra l’altro,
si occupi in maniera strutturata:
•  Di facilitare e coordinare le relazioni fra operatori.
•  Di ottimizzare la comunicazione (interna e esterna)
•  e dia forza a questa nuova identità culturale del territorio.
•  Di interfacciarsi con le istituzioni in nome collettivo.
•  Fissare momenti e strumenti di confronto e condivisione
puntuali e strutturali.
I miei lavori:
www.antoniocornacchia.com
I miei articoli:
www.vorrei.org

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Cultura in Brianza

  • 1. Per noi è cultura ciò che permette di avere gli strumenti per scegliere. Per noi cultura è consapevolezza. Per noi la cultura ha un valore, non un prezzo.
  • 2. Sono un artista, ho studiato all’Accademia di Belle Arti. La mia professione è quella di art director (scusate ma non esiste un equivalente in italiano). Mi occupo di design dellacomunicazione (grafica, web, editoria…). Sono consulente per aziende, associazioni, Professionisti, enti profit e non profit. Sono anche giornalista pubblicista. Scrivo di arti e cultura. Dal 2008 sono il direttore della rivista Vorrei. Chi è Antonio Cornacchia?
  • 3. È un magazine civico e un social media. Edito da un’associazione culturale non profit con sede a Monza. Tutti i collaboratori sono volontari e non retribuiti. Nessuno percepisce compensi, neanche io. Non raccoglie pubblicità, non beneficia di contributi. Si occupa principalmente di cultura e ambiente. Parla di Monza, della Brianza e di tutto il resto. È glocal, insomma. Infine, non è mainstream. Che rivista è Vorrei?
  • 4. La trovate, gratis, qui: www.vorrei.org
  • 5.
  • 6. Quando abbiamo avviato le pubblicazioni di Vorrei, le testate del territorio dedicavano molto poco spazio alla cultura e alle arti. Le cose sono profondamente cambiate in questi anni. Ormai ovunque si parla di cultura. Persino in Confindustria, Camera di Commercio e Duomo. In Brianza sono tutti diventati appassionati di pittura, musica e teatro? Non esattamente. La nostra ipotesi è che anche qui - come in tutta Italia - dopo aver stremato l’ambiente e il territorio, per molti la mucca da mungere è ora il “patrimonio culturale”. Ma di questo parliamo un’altra volta, se volete. Tutti parlano di cultura.
  • 7. Come siamo messi a cultura in Brianza? Nel novembre 2013 Rottapharm ha presentato i risultati di una ricerca condotta da Makno per conoscere i consumi e la domanda culturale del territorio. I risultati sono in linea con quelli nazionali, ad eccezione della partecipazione agli spettacoli dal vivo, da leggermente a decisamente inferiori. Monza, la Brianza e la cultura.
  • 8. Monza, la Brianza e la cultura.
  • 9. È comunque un dato di fatto che in questo territorio la cultura, in particolare la produzione culturale, sta attraversando realmente una fase di grande slancio. Con i suoi pro e i suoi contro, a Monza la Reggia (la Villa più il Parco) è diventato forse il secondo polo espositivo della Lombardia dopo Palazzo Reale. Parco delle culture a Desio, il Mac a Lissone e il Must a Vimercate (solo per citarne alcuni) sono dei punti di riferimento importanti che rappresentano bene questa nuova identità briantea. Non più solo terra di fabbrichette, ma: Brianza, terra di storia, arte e cultura. Monza, la Brianza e la cultura.
  • 10. Questo sviluppo del settore culturale però non trova grande sostegno e tantomeno coordinamento. Le realtà nascono e crescono senza l’accompagnamento di nessuno fatta eccezione per le iniziative di CSV MB e del Distretto Culturale Evoluto finanziato da Fondazione Cariplo. Avrebbe potuto farlo la Provincia negli anni in cui era un ente a tutti gli effetti. Ma anche in questo la sua è stata una esperienza deficitaria. Vuoi per carenze strutturali, vuoi per carenze politiche. Monza, la Brianza e la cultura.
  • 11.
  • 12. Nei confronti avuti negli ultimi anni, i punti critici che gli operatori del settore culturale segnalano (e che coincidono quasi per intero con i temi di questa tavola) sono essenzialmente 3+1: 1.  La necessità di fare rete. 2.  I rapporti con le istituzioni. 3.  La comunicazione. 4.  Le risorse Di cosa ha bisogno la cultura?
  • 13. Chiunque, ovunque, afferma che è necessario “fare rete”. A parole tutti si dicono disposti. È davvero così? I fatti dicono altro. Un esempio. Nel 2014 ho intervistato gli assessori dei Comuni in cui insistono i 4 maggiori musei pubblici del territorio: I Musei civici di Monza, il Mac di Lissone, il Must di Vimercate e il Mufoco di Cinisello. Proponevo la creazione di una rete che valorizzasse l’identità territoriale invece che il singolo museo. Difficilmente un visitatore verrà da Milano, per non dire più lontano, per vedere solo uno di questi musei. Se sa di poterne vedere ben 4 nel giro di pochi chilometri, forse sì. Il mito delle reti.
  • 14. Potete leggere le interviste online: tutti d’accordo ed entusiasti. Però della rete dei musei, dopo più di un anno, non esiste nulla. I 4 musei (tutti molto belli e interessanti) continuano a fare ingressi e al di sotto delle loro potenzialità e a non raggiungere livelli di attenzione adeguati (audience development). Fra le associazioni e gli enti privati le cose non sono molto diverse. Il motivo? Il mito delle reti.
  • 15. Mettersi insieme significa condividere. Fare un passo indietro oggi, per fare un balzo in avanti domani. Il mito delle reti.
  • 16. Non c’è molta predisposizione a fare entrare qualcuno nel proprio orticello o ad aggiungere un posto a tavola. L’unica messa in comune di conoscenza nasce (e muore) con i bandi. Con le scadenze in arrivo, fioccano le telefonate di chi cerca partner. Per il resto, ognuno per sé. Un po’ come i partiti: li vedi quando arrivano le elezioni. Il mito delle reti.
  • 17.
  • 18. Premessa: Chi pensa di vivere solo di fondi comunali è destinato alla precarietà molto più di un bracciante nella Lucania di Rocco Scotellaro. La sostenibilità economica deve reggersi su fonti diverse. Gli assessori passano, la cultura deve restare. Occorre però imparare da chi sa rapportarsi in maniera corretta con le istituzioni: Confindustria, Confartigianato, Sindacati… Il rapporto con le istituzioni.
  • 19. La domanda è: perché il settore culturale non ha una rappresentanza di categoria? Il rapporto con le istituzioni.
  • 20.
  • 21.
  • 22.
  • 23. Come dicevo all’inizio, le testate del territorio hanno cambiato profondamente atteggiamento nei confronti della cultura. C’è molta più attenzione e spazio, online e offline. Ma c’è ancora molto da fare. Perdonate il personale conflitto di interesse, ma fra il molto da fare c’è anche l’investire correttamente le seppur poche risorse a disposizione. Investite in qualità e professionalità. Ovvero in efficacia. La comunicazione.
  • 24. Infine vorrei ricordare che quando si parla di comunicazione si intende in più direzioni. Non solo da chi produce cultura verso chi “consuma”. È necessario comunicare anche fra operatori. Girando per appuntamenti, manifestazioni e rassegne raramente incrocio artisti e operatori non direttamente coinvolti. Gelosia canaglia! La comunicazione.
  • 25.
  • 26. Fare rete, comunicare e avere rappresentanza di categoria. Come? Una proposta.
  • 27. La creazione di uno strumento, di un luogo, di un organismo di secondo livello che, fra l’altro, si occupi in maniera strutturata: •  Di facilitare e coordinare le relazioni fra operatori. •  Di ottimizzare la comunicazione (interna e esterna) •  e dia forza a questa nuova identità culturale del territorio. •  Di interfacciarsi con le istituzioni in nome collettivo. •  Fissare momenti e strumenti di confronto e condivisione puntuali e strutturali.
  • 28.
  • 29. I miei lavori: www.antoniocornacchia.com I miei articoli: www.vorrei.org