1. ●
LE FONTI DEL DIRITTO MINORILE
FONTI INTERNE
Costituzione:
Art. 2, 30, 31, 34, 37
Codice Penale:
Codice Civile
Codice di Procedura Civile
Codice di procedura penale
Leggi Speciali
571 c.p., 572 c.p., 578 c.p. – 581 c.p. – 582 c.p.
583 c.p. – 583 bis – 330 c.p.p. - 331 c.p.p. – 332
c.p.p. – 333 c.p.p. - 334 c.p.p. - 361 c.p. – 362 c.p.
– 365 c.p. - artt. 600 bis c.p., art. 609 bis, Legge
184/1983 modificata dalla 149/2001 – Art. 392 –
404 c.p.p., Art. 342 bis e ter c.c. e 736 c.p.c.
2. FONTI INTERNAZIONALI
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1902) Aja – Convenzione per regolare la tutela del minorI
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1913) Bruxelles – Conferenza internazionale per la protezione dell'infanzia
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1919) O.I.L. - limite al lavoro per 14 e 18 anni
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1921) Ginevra – Convenzione per eliminare la tratta delle donne e dei fanciulli
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1923) Jebb – fondatrice di “Save the Children” elaborò la prima “Dichiarazione dei diritti dei bambini”
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1924) Dichiarazione di Ginevra sui diritti del Fanciullo
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1948) ONU - Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo
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1948) ONU - Dichiarazione dei diritti dell'infanzia
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1952) Ginevra -Convenzione per la protezione della maternità
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1956) Aja – Convenzione per le obbligazioni alimentari per i figli minori
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1959) Risoluzione ONU – Dichiarazione dei diritti del Fanciullo
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1967) Strasburgo – convenzione europea sull'adozione dei minori
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1979) Aja – Convenzione europea relativa al rimpatrio dei minori
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1989) ONU – Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia (convertita in Italia con legge n.176/1991)
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1993) Aja – Convenzione europea sull'adozione internazionale
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1996) Strasburgo - Convenzione europea sull'esercizio dei diritti del fanciullo (25 gennaio 1996)
3. Cenni sul ruolo della normativa nazionale e internazionale
il ricorso alla legge e all'intervento giudiziario, spesso invasivo e
complesso, è da considerarsi l'extrema ratio.
moltitudine di norme, ma anche carenza nella corretta individuazione del “bene
protetto”
Molte norme penali a tutela dei minori (ma anche in altri ambiti) parlano di
“morale”, “scandalo”, “oscenità”, ma cosa rappresentano questi concetti variabili
nel tempo e nello spazio, come evidenziato dalle numerose e contraddittorie
sentenze a livello nazionale?
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4. ORGANIZZAZIONE GIUDIZIARIA
TRIBUNALE PER I MINORENNI
Organo giurisdizionale specializzato
con funzione penale, civile e amministrativa
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Tribunale del dibattimento
Tribunale di Sorveglianza
Giudice Tutelare
GUP
GIP
Servizi Minorili
Polizia Giudiziaria presso T.M.
Procuratore della Repubblica (P.M.)
Coordina sostituti procuratori
Difensore
Comunità Private
P.M. Presso
Tribunale Minori
P.M. Presso Corte d'Appello
Curatore speciale
Difensore d'ufficio
Patrocinio stato
5. Il rapporto tra servizi socio-sanitari, giustizia minorile
e giustizia penale
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Quando si considera un bambino vittima di violenza si deve pensare ad un duplice ordine
di guai che gli possono capitare: da una parte i guai connessi alla violenza del familiare,
del parente, dell'estraneo, dall'altra i guai connessi all'intervento delle istituzioni chiamate
in causa.
Gli strumenti legali sono deficitari per varie ragioni:
a) norme vetuste (c.c. del 1940, riforma del diritto di famiglia del 1975; codice rocco del
1935)
b) servizi sociali generalisti e non specifici per l'infanzia che intervenendo con approccio
globale tendono a privilegiare le fasce sociali in grado di richiedere l'intervento lasciando
poi prevalere l'aspetto sanitario sull'aspetto sociale.
c) magistratura civile priva di specializzazione per i diritti del fanciullo.
d) magistratura penale spesso lenta per cause di vario tipo, scoordinata con il Tribunale
minorile (es. del padre in carcere e figlio allontanato dalla casa familiare) , obbligatorietà
della azione penale e impossibilità di opzioni di recupero e ravvedimento (come in GB o
Francia).
e) Tribunali minorili sono pochi (uno per ogni distretto di corte d'appello)
6. Il rapporto tra servizi socio-sanitari, giustizia minorile
e giustizia penale
Normalmente in Italia i distretti di corte d'appello coincidono con le regioni per cui può
capitare che per una popolazione di 6,7 milioni di persone c'è solo un Tribunale minorile.
e) la Magistratura minorile pur essendo una magistratura specializzata, non lo è
completamente. Mentre infatti nella sua componente “non giuridica”, cioè nei giudici
onorari, c'è sicuramente una specializzazione adatta a comprendere le problematiche
sottese alla violenza all'infanzia, nella componente “giuridica” cioè nei giudici togati,
questa capacità e questa formazione sono molte volte rimesse alla buona volontà del
singolo giudice. Salvo casi di autogoverno magistratuale e organizzazione giudiziaria, la
stessa cosa accade alla Procura della Repubblica per i Minorenni e lo stesso discorso vale
per tutti gli altri Uffici Giudiziari che si occupano di minori. E nemmeno gli avvocati in
molti casi sono specializzati tramite opportuni corsi di formazione, ma si specializzano
seguendo i singoli casi concreti.
Il problema è che quando ci si trova davanti un problema di violenza all'infanzia tutti
questi tre sistemi (Servizi sociali, Giustizia Penale, Giustizia Minorile) vengono attivati
senza che comunichino fra loro. Ciascuno per legge ha un suo compito da perseguire e
questo compito non è in alcun modo correlato con gli altri due, e ritiene che il proprio
obbiettivo sia il più importante.
7. Il rapporto tra servizi socio-sanitari, giustizia minorile
e giustizia penale
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Pensiamo al caso della violenza fisica sul bambino commessa da un familiare. Di questo
caso si devono occupare la Giustizia Penale perché è stato commesso un reato, la Giustizia
Minorile perché c'è da controllare il modo in cui i genitori esercitano il loro ruolo
educativo e affettivo, i Servizi Sociali perché la situazione della famiglia maltrattante deve
essere oggetto di un intervento assistenziale o di salute mentale. Può anche darsi che sia
già in corso o inizi un procedimento di divorzio, e allora il caso potrà interessare anche il
giudice civile per quanto riguarda l'affidamento del figlio all'uno o all'altro dei genitori.
Altri soggetti collaterali devono poi occuparsene: i sanitari che hanno diagnosticato le
lesioni, la Polizia che deve fare denuncia e indagine, il P.M:, l'avvocato difensore
dell'imputato, il difensore della parte civile, il CTU e il CTP.
Ebbene, spesso capita che ognuno di questi soggetti non intervenga in modo coordinato.
I servizi sociali tendono ad avere un approccio globale sul nucleo familiare individuando
cause e concause e cercando di recuperare ove possibile la struttura familiare. Il giudice
minorile tenderà più a proteggere il fanciullo rispetto ai genitori. La giustizia penale invece
deve trovare il colpevole e punirlo.
Il sistema della Giustizia Penale è molto articolato: comprende polizia, P.M., giudice
penale di diversi livelli, più gradi di giurisdizione (ricorso in appello e cassazione),
carcerazione preventiva senza informare i servizi o il giudice minorile
8. Il rapporto tra servizi socio-sanitari, giustizia minorile
e giustizia penale
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In generale sarebbe opportuno dedicare ad ogni
singolo caso un pool di operatori specializzati e
sopratutto tempo al fine di valutare effettivamente
l'importanza del fatto analizzato.
Questo purtroppo accade in rari casi vista
l'emergenzialità del fenomeno.
9. Reati e procedura
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571 c.p. – Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina
572 c.p. – Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli
578 c.p. – Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale
581 c.p. – Percosse
582 c.p. – Lesione personale
583 c.p. – Circostanze aggravanti
583 bis – Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili
330 c.p.p. - Acquisizione delle notizie di reato
331 c.p.p. – Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio
332 c.p.p. – Contenuto della denuncia
333 c.p.p. - Denuncia da parte di privati
334 c.p.p. - Referto
361 c.p. – Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale
362 c.p. – Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio
365 c.p. - Omissione di referto
Reati previsti dalla cosiddetta legge sulla pedofilia (artt. 600 bis c.p. e seguenti)
I delitti contro la libertà sessuale (art. 609 bis e seguenti)
Scheda procedibilità reati
Gli interventi previsti dal codice civile: Art. 330 e 333 c.c., art 342 bis e ter c.c. e 736 c.p.c.
(ordini di protezione contro gli abusi familiari)
Legge 184/1983 modificata dalla 149/2001 – Diritto del minore ad una famiglia
Difesa tecnica nei procedimenti minorili
Art. 392 – 404 c.p.p. (incidente probatorio)
10. Art. 571 e 572 c.p.
Delitti contro l'assistenza familiare
Titolo XI – Libro II – Capo IV
Art. 571 c.p.
Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina.
Art. 572 c.p.
Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli
11. 571 c.p. - abuso dei mezzi di
correzione o di disciplina
Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in
danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui
affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o
custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte,
è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel
corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.
Se dal fatto deriva una lesione personale si applicano le pene
stabilite negli articoli 582 c.p. (lesione personale) e 583 c.p.
(circostanze aggravanti), ridotte di un terzo; se ne deriva la
morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.
12. 571 c.p. Analisi della fattispecie
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Sistematica incoerente
Presupposto del reato è l'esistenza di un rapporto disciplinare fra
soggetto passivo e soggetto attivo (ius corrigendi).
Il rapporto disciplinare è da considerarsi in modo molto ampio
(figli, soggetti sottoposti a tutela, discepoli, alunni, etc.)
No moglie e marito (cass. 19/02/1974) o rapporti di lavoro
subordinato (ad eccezione dell'apprendistato)
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Elemento materiale del reato è l'abuso dei mezzi di correzione o di
disciplina che presuppongono l'esistenza dello ius corrigendi da
parte di chi ha un potere disciplinare su una persona. E' quindi
importante individuare quando il mezzo è lecito e quando trasmoda
nell'abuso.
13. 571 c.p.
In dottrina e in giurisprudenza si ritiene comunemente che devono
considerarsi leciti solo quei mezzi correttivi e disciplinari che nel
più sacro rispetto dell'incolumità fisica e della personalità psichica e
morale, risultino necessari al raggiungimento del fine che il
rapporto disciplinare si propone, purché vengano usati nella misura
e nella entità minima richiesta.
Devono quindi intendersi banditi dallo ius corrigendi il ricorso alla
violenza fisica (pugni, schiaffi, percosse con la cinta, etc.). E' stato
così deciso che le ingiurie, le intemperanze, i rimproveri violenti,
non costituiscono un mezzo lecito di correzione. In alcuni casi, con
riferimento alle relazioni familiari con figli minori conviventi, può
tollerarsi il ricorso ad una vis modicissima, che in tal caso non
integra l'elemento materiale del reato in esame.
14. 571 c.p.
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Momento consumativo del reato = realizzazione del fatto che
costituisce l'abuso dei mezzi di disciplina o correzione sempre che
ne derivi il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente (Cass.
29/11/1990 n. 15903)
Per malattia può intendersi un processo patologico acuto o cronico,
localizzato o diffuso, che determina apprezzabile menomazione
funzionale dell'organismo (sono da ricomprendersi stati d'ansia,
insonnia, depressione, disturbi del carattere e del comportamento –
Cass. 3/05/2005)
15. 571 c.p. - elemento soggettivo
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Elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà di
compiere il fatto, sapendo che si tratta di un abuso e che da esso
possa derivare una malattia nel corpo o nella mente.
La giurisprudenza ritiene che l'evento dannoso o pericoloso non
deve essere voluto dall'agente, perché se voluto rimane escluso il
fine esclusivamente disciplinare e perciò il fatto costituisce un
delitto contro la persona.
La giurisprudenza esclude la compatibilità dell'attenuante della
provocazione con il delitto in esame: si osserva infatti che poiché
l'eventuale torto del soggetto passivo è un presupposto dell'abuso
del potere correttivo da parte dell'agente, esso è da ritenersi
compreso nella fattispecie criminosa e quindi non può assumere, al
tempo stesso, rilevanza come elemento accidentale del reato.
16. Art. 571 c.p. - procedibilità
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Si procede d'ufficio.
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La competenza è della Corte d'Assise se dal fatto deriva la morte.
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La competenza è del tribunale Monocratico se deriva una lesione
grave o gravissima e in tutti gli altri casi.
17. Art. 571 – sentenze
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Cass. 16/05/1996. n. 4904
Con riguardo ai bambini il termine “correzione”va assunto come sinonimo di
educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni
processo educativo. In ogni caso non può ritenersi tale l'uso della violenza
finalizzato a scopi educativi: ciò sia per il primato che l'ordinamento attribuisce
alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e
non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di
disposizione) da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi quale meta
educativa, un risultato di armonico sviluppo della personalità, sensibile ai valori
di pace, di tolleranza, di convivenza, utilizzando un mezzo violento che tali fini
contraddice. Ne consegue che l'eccesso di mezzi di correzione violenti non rientra
nella fattispecie del 571 giacché intanto è ipotizzabile un abuso (punibile in
maniera attenuata) in quanto sia lecito l'uso.
18. Art. 571 c.p. - sentenze
Cass. pen. Sez. VI, 10/01/2011, n. 4444
È erronea la decisione del Giudice di qualificare i fatti sottoposti al suo vaglio ai sensi dell'art. 571 c.p.
allorquando la vittima, all'epoca dei fatti, risultava già maggiorenne e, pertanto, non più sottoposta alla potestà
genitoriale. Il reato di abuso dei mezzi di correzione, infatti, presuppone un uso consentito e legittimo di tali
mezzi che sussiste fino a che il genitore ha la predetta potestà. I fatti de quibus devono, pertanto, ricondursi al
reato lesioni personali di cui all'art. 582 c.p., con la conseguenza che, essendo tale ultima fattispecie penale
punibile a querela di parte, qualora la persona offesa abbia rimesso la querela e l'imputato l'abbia accettata
(come verificatosi nel caso concreto), il reato risulta estinto per remissione della querela.
Trib. Milano, 02/07/2010
l delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina in tanto può prefigurarsi, in quanto l'abuso riguardi mezzi
di correzione, ossia mezzi educativi leciti; viene perciò a mancare l'elemento oggettivo del reato se sono usati
mezzi illeciti - come nel caso di espressioni ingiuriose rivolte dall'insegnante all'alunno - ovvero se si tratta di
mezzi contrari o contrastanti con lo scopo disciplinare, il cui uso e abuso concretano, invece, il delitto di
maltrattamenti in famiglia.
Cass. pen. Sez. VI, 16/02/2010, n. 18289
Ai fini dell'integrazione della fattispecie prevista dall'art. 571 cod. pen. è sufficiente il dolo generico, non essendo
richiesto dalla norma il fine specifico, ossia un fine particolare e ulteriore rispetto alla consapevole volontà di
realizzare la condotta di abuso. (In senso conforme, n. 16491 del 2005, non mass.). (Annulla con rinvio, App.
Milano, 03 ottobre 2007)
19. Art. 571 – sentenze
Cass. pen. Sez. VI, 16/02/2010, n. 18289
Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché
ben può ritenersi integrato da un unico atto espressivo dell'abuso, ovvero da una serie di comportamenti lesivi
dell'incolumità fisica e della serenità psichica del minore, che, mantenuti per un periodo di tempo apprezzabile e
complessivamente considerati, realizzano l'evento, quale che sia l'intenzione correttiva o disciplinare del soggetto
attivo. (Fattispecie in cui alcuni bambini affidati ad un'insegnante di scuola materna erano stati in più occasioni
oggetto di minacce e percosse, ovvero sottoposti a umilianti dileggi per il loro basso rendimento scolastico).
(Annulla con rinvio, App. Milano, 03 ottobre 2007).
Cass. pen. Sez. V, 15/12/2009, n. 2100
Essendo escluso che il reato di abuso dei mezzi di correzione debba configurarsi ed abbia forma di reato
necessariamente abituale, poiché esso può commettersi trasmodando nell'impiego di un mezzo lecito, sotto gli
aspetti sia della forza fisica esercitata in un singolo gesto punitivo, che della reiterazione del gesto stesso, deve
ritenersi che anche un solo schiaffo, quando sia vibrato con violenza tale da cagionare pericolo di malattia, sia
sufficiente ad integrare l'ipotesi criminosa prevista dall'art. 571, 1° comma, c.p..
Cass. pen. Sez. VI, 12/02/2008, n. 11038
Per integrare il reato di abuso dei mezzi di correzione o disciplina è sufficiente il mero pericolo che le persone
offese subiscano una malattia nel corpo o nella mente.
20. Art. 571 – sentenze
Cass. pen. Sez. VI, 28/06/2007, n. 42648
Integra il reato di abuso di mezzi di correzione o di disciplina la condotta del genitore che, pur sorretta da animus
corrigendi, si esplichi con modalità tali da determinare il pericolo del sorgere di una malattia psichica (fattispecie
in cui il padre, ritenendo la propria figlia responsabile della sottrazione di un ciondolo, la costringeva a scrivere
ripetutamente su un quaderno frasi come "io non sono una ladra, non devo rubare", minacciandola con percosse
e cagionandole un trauma psichico).
Trib. Palermo, 27/06/2007 – NON PUNIBILITA'
L'insegnante che, per punizione, fa scrivere cento volte all'allievo la frase "sono deficiente" per aver vessato con
episodi di bullismo un compagno più debole, non è punibile per abuso dei mezzi di correzione o disciplina,
essendo tale strumento correttivo proporzionato, efficace, l'unico immediatamente disponibile, ed illustrato a
tutta la classe nel suo intento educativo.
Cass. pen. Sez. VI, 20/02/2007, n. 34460
La condotta relativa al delitto di maltrattamenti in famiglia si distingue rispetto a quella propria del delitto di
abuso dei mezzi di correzione e disciplina, in quanto, mentre quest'ultima presuppone un uso consentito e
legittimo dei mezzi correttivi, che, senza attingere a forme di violenza, trasmodi in abuso a cagione dell'eccesso,
arbitrarietà o intempestività della misura, la prima implica un regime di prevaricazione e violenza ed una
abitualità di comportamenti illegittimi, tali da rendere intollerabili le condizioni di vita della vittima. (Nella
fattispecie si è ritenuto che il comportamento del padre che, fin dalla più tenera età, abbia impedito alla figlia di
frequentare persone di sesso maschile e di uscire di casa se non per andare a scuola o a fare la spesa integri il
reato di maltrattamenti in famiglia)
21. Art. 572 c.p. - maltrattamenti in
famiglia o verso fanciulli
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta
una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o
una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione
di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per
l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione
da uno a cinque anni.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la
reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione
gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la
morte, la reclusione da dodici a venti anni
22. 572 c.p. - elemento materiale
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Presupposto del delitto in esame è che tra il soggetto passivo ed il
soggetto attivo sussista un rapporto di familiarità o un rapporto
disciplinare nel senso precisato prima.
Discusso è il problema del rapporto di familiarità. Secondo una
parte della dottrina sarebbero da considerarsi solo quelle di cui al
540 c.p. (filiazione legittima e illegittima). Agli effetti della più
recente giurisprudenza e della dottrina dominante famiglia è ogni
consorzio di persone tra le quali, per intime relazioni e consuetudini
di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza e protezione. Parte
della giurisprudenza ritiene NON essenziale la convivenza, essendo
sufficiente l'esistenza di relazioni continuative.
23. Art. 572 c.p. - elemento materiale
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L'elemento oggettivo del reato è costituito dai maltrattamenti. Secondo la
giurisprudenza e la dottrina dominante tale fatto è costituito da una
condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o meno,
realizzati n momenti successivi con la consapevolezza di ledere l'integrità
fisica e il patrimonio morale del soggetto passivo sì da sottoporlo ad un
regime di vita dolorosamente vessatorio.
Si ritiene che lo stato di separazione legale non esclude il reato di
maltrattamenti “quando l'attività persecutoria valga o incida su quei
vincoli che, rimasti intatti a seguito del provvedimento giudiziario,
pongono la parte offesa in posizione psicologica subordinata (cass.
22/11/1996 n. 10023). Integra il reato in esame la sottoposizione dei
familiari, ancorché non conviventi, a comportamenti abituali caratterizzati
da una serie indeterminata di atti di molestie, ingiuria, minaccia, etc. a
fine di rendere disagevole e per quanto possibile penosa l'esistenza dei
familiari (cass. 18/3/1999 n. 3570; cass. 22/12/2003 n. 49109)
24. 572 c.p. - elemento materiale
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Il delitto in esame quindi può essere costituito anche da atti che,
singolarmente considerati, , non costituiscono reato, come ad
esempio i fatti che costituiscono sofferenze solo morali, come lo
spavento, l'angoscia, il patema d'animo, etc. (cass. 27/4/1995, n.
4636).
Il delitto di maltrattamenti può essere realizzato anche tramite
condotte omissive (vedi art. 40 c.p.), individuabili nel deliberato
astenersi, da parte di chi aveva l'obbligo di assistenza e cura di
determinate persone, dall'impedire condotte illegittime realizzanti
appunto maltrattamenti a danno delle persone medesime (cass.
16/1/1991 n. 394). Si tratta quindi di un reato a condotta plurima e
NON sono sufficienti episodi singoli e sporadici occasionali in
quanto i più atti devono essere legati da un nesso di abitualità e da
una unica intenzione criminosa (avvilire e opprimere la vittima)
25. Art. 572 c.p. - elemento materiale
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Non è tuttavia necessario che il comportamento vessatorio
dell'agente, assunto a sistema, perduri indefinitamente, bastando che
la situazione penosa della vittima si sia protratta per un lasso di
tempo apprezzabile. Parte della dottrina ritiene invece che non sia
rilevante il lasso di tempo ma se si è prodotto o meno a danno della
vittima quello stato abituale di sofferenza morale o fisica che la
legge designa con il nome di maltrattamenti.
Naturalmente, essendo un reato a condotta plurima, assorbe in sé
quelle condotte (ingiurie, percosse, minacce) che integrano il reato
dei maltrattamenti.
26. 572 c.p. - elemento soggettivo
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Elemento soggettivo è il dolo generico costituito dalla coscienza e
volontà di maltrattare il soggetto passivo, non avendo alcuna
rilevanza le finalità avute di mira dall'agente (cass. 15/3/1994 n.
3141). Non rilevano quindi particolari fini culturali o religiosi (ad
esempio se il soggetto attivo è di religione musulmana e rivendica
particolare potestà in ordine al proprio nucleo familiare poiché
trattasi di prassi e costumi incompatibili con i principi cosituzionali
italiani -art. 1, 2 e 3 cost. (cass. 8/01/2003 n. 55)
27. 572 c.p. - circostanze aggravanti
speciali
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Il reato è aggravato se deriva una lesione personale grave,
gravissima o se ne deriva la morte della vittima. Trattandosi di
circostanze, nessuno dei tre eventi deve essere preveduto e voluto
dall'agente, neppure nella forma di dolo eventuale, che altrimenti
risponderà del relativo delitto doloso
28. Differenze tra il 571 c.p. e il 572 c.p.
●
Si deve avere riguardo alla condotta e poi all'elemento soggettivo,
per cui: se il mezzo correttivo o disciplinare impiegato NON E' un
mezzo lecito si è sempre in presenza di un atto di maltrattamento; se
invece il mezzo correttivo e disciplinare impiegato E' un mezzo
lecito, allora occorrerà distinguere:
a) se l'abuso di tale mezzo è sorretto dall'animus corriggendi,
ricorre il 571 c.p.
b) se l'abuso del mezzo lecito è accompagnato dal dolo di
maltrattare, anche eventualmente in aggiunta all'animus corrigendi,
ricorre il delitto ex art. 572.
29. Differenze tra 571 e 572 c.p.
●
La giurisprudenza richiamandosi alla Convenzione di New York del
20.11.1989 sui diritti del fanciullo (recepita con legge del
27/05/1991 n. 176) ritiene che non può ritenersi lecito l'uso della
violenza per finalità rieducative, sicché la differenza tra 571 e 572
andrebbe riguardata solamente dal punto di vista della condotta
(cass. 16/05/1996 n. 4904). Altra giurisprudenza invece ritiene
opportuno fare sempre riferimento all'elemento soggettivo (finalità
correttiva prevista nel 571 c.p. E non nel 572 c.p. (cass. 11/4/1996
n. 3526)
30. 572 c.p. - procedibilità
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Si procede d'ufficio
●
Competenza della Corte d'Assise se dal fatto deriva la morte
●
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Competenza del Tribunale collegiale se deriva una lesione
gravissima
Competenza del Tribunale monocratico se deriva una lesione grave
e negli altri casi.
Sono sempre applicabili le misure cautelari personali (Divieto di espatrio,
Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, Allontanamento dalla casa familiare, Divieto o obbligo di dimora, Arresti
)
domiciliari, Custodia cautelare in carcere, Custodia cautelare in luogo di cura
●
L'arresto è obbligatorio per il II comma terza ipotesi, facoltativo per
il I e II comma (prima e seconda ipotesi). Il fermo è consentito per
il II comma.
31. Art. 572 – sentenze
Uff. indagini preliminari Napoli, 02/12/2010, n. 268
Ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all'art. 572 c.p., occorre in primo luogo che venga rintracciato tra
le singole manifestazioni della condotta l'esistenza del cd. nesso di abitualità, cioè la frequente e non sporadica
ripetizione di comportamenti omogenei, essendo la reiterazione degli episodi lesivi elemento costitutivo del reato.
In secondo luogo appare opportuno evidenziare che i singoli comportamenti vessatori possono anche essere
naturalisticamente dissimili (ad esempio, ingiurie, percosse, atti di privazione della libertà personale). Ciò che,
infatti, rileva è l'omogeneità del contenuto offensivo delle singole condotte e la possibilità di ricondurre le stesse,
sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nella generica nozione di maltrattamento (ovviamente nella sua accezione
laica, non giuridica).
Cass. pen. Sez. VI, 25/11/2010, n. 4480
La configurabilità del delitto di cui all'art. 572 c.p. richiede la sussistenza di un rapporto, tra l'agente ed il
soggetto passivo, caratterizzato da un potere autoritativo, esercitato di fatto o di diritto, dal primo sul secondo, il
quale versa in una condizione di apprezzabile soggezione. La descritta situazione, tradizionalmente confinata in
ambito familiare, è stata successivamente estesa anche ai rapporti educativi, di istruzione, cura, vigilanza e
custodia, ovvero quelli che si instaurano in ambito lavorativo. In relazione a tale ultimo rapporto, in particolare, è
necessario che il soggetto agente versi in una posizione di supremazia non solo formale ma sostanziale, la quale
si traduca nell'esercizio di un potere direttivo o disciplinare tale da rendere specularmente ipotizzabile
un'apprezzabile soggezione del soggetto passivo ad opera di quello attivo.
Cass. pen. Sez. V, 22/10/2010, n. 41142
Il delitto di cui all'art. 572 c.p. deve ritenersi sussistente anche qualora lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime
derivi non già da specifici comportamenti dell'agente, bensì da un clima negativo generalmente instaurato all'interno di una
comunità di soggetti proprio in conseguenza degli atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi,
consapevolmente, dall'agente medesimo. In tal senso, pertanto, a nulla rileva la entità numerica degli atti vessatori e la loro
riferibilità ad una qualsiasi delle vittime del reato.
32. Art. 572 c.p. - sentenze
Cass. pen. Sez. V, 22/10/2010, n. 41142
La configurabilità del delitto di cui all'art. 572 c.p. a danno dei minori non è esclusa nelle ipotesi in cui questi non
siano stati l'oggetto diretto delle invettive, delle aggressioni e dei comportamenti anche moralmente distruttivi
posti in essere dal padre in maniera diretta nei confronti della coniuge. In ipotesi siffatte, invero, non può non
rilevarsi che i minori verosimilmente risentono del comportamento vessatorio posto in essere dall'agente nei
confronti della madre (acclarato nella specie dalla circostanza che i minori temevano di andare a scuola per non
lasciare la mamma da sola).
Trib. Ivrea, 19/10/2010
Soggetto passivo del reato di maltrattamenti in famiglia è qualunque convivente, infatti il richiamo contenuto
nell'art. 572 del c.p. alla famiglia deve intendersi riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette
relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di
tempo.
Trib. Cassino, 13/10/2010
Il delitto di maltrattamenti in famiglia consiste nel sottoporre i familiari ad atti di vessazione continui e tali da
cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, che costituiscono fonte di un disagio continuo e incompatibile con
normali condizioni di esistenza. Nello schema del delitto non rientrano soltanto le percosse, le ingiurie le minacce
e le privazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in
vere e proprie sofferenze morali.
33. Artt. 578, 581, 582, 583, 58 bis c.p.
●
Delitti contro la vita e l'incolumità individuale
Titolo XII, libro II, capo I
●
Art. 578 c.p. – Infanticidio in condizioni di
abbandono materiale e morale.
●
Art. 581 c.p. - Percosse
●
Art. 582 c.p. - Lesione personale
●
Art. 583 c.p. - Circostanze aggravanti
34. Art. 578 c.p. - Infanticidio
●
Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale
La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente
dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è
determinato da condizioni di abbandono materiale e morale
connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici
anni.
A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica
la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia se essi hanno
agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere
diminuita da un terzo a due terzi.
Non si applicano le aggravanti stabilite dall'art. 61 c.p.
35. Art. 578 c.p. - nozione e struttura
oggettiva
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L'art. in esame prevede una figura particolare di omicidio, attenuata per i
particolari moventi che hanno spinto a commetterlo.
Soggetto attivo del reato può essere soltanto la madre, da sola o eventualmente in
concorso con altre persone; trattasi dunque di un reato proprio.
Il fatto materiale può consistere o nella uccisione del feto durante il parto (cd.
Feticidio) o nella uccisione del neonato subito dopo il parto (cd. Infanticidio).
Il Feticidio presuppone che si sia compiuto il processo fisiologico di gravidanza;
la morte quindi deve essere cagionata nella fase di transizione che va dal
momento in cui inizia il distacco del feto dall'utero materno al momento in cui il
neonato acquista vita autonoma.
Come per l'omicidio (di cui l'infanticidio è una sottospecie), il neonato deve
essere nato vivo; la prova della vita è data dalla avvenuta respirazione (cd.
Docimasia polmonare); come per l'omicidio però non è richiesta la vitalità.
36. Art. 578 c.p. - nozione e struttura
oggettiva
Tuttavia, perché ricorra l'infanticidio, occorre che l'uccisione del neonato avvenga
immediatamente dopo il parto; secondo la giurisprudenza, tale espressione sta ad
indicare il periodo di emozione o turbamento che segue il parto; cessato tale
momento viene meno la ragione dell'infanticidio, ed il reato sarà omicidio
comune.
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Del reato in esame (reato proprio) risponde la madre. Tutte le altre persone che
pongano in essere il fatto incorreranno nelle pene dell'omicidio comune, anche se
compartecipi (art. 575 c.p. - chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con
la reclusione non inferiore ad anni ventuno).
E' previsto però un trattamento più favorevole per i concorrenti che abbiano agito
al solo scopo di favorire la madre
37. Art. 578 c.p. - Elemento soggettivo
e circostanze
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Sotto il profilo soggettivo il delitto in esame è il tipico delitto doloso: la morte del
feto o del neonato infatti, deve essere preveduta e voluta dalla madre come
conseguenza della sua azione od omissione.
In tale figura criminosa acquista particolare rilievo il movente , il motivo cioè
che ha spinto la donna ad ammazzare il proprio feto o neonato. In particolare l'art.
578 c.p. Postula uno stato di abbandono della madre inteso non come fatto
contingente legato al momento culminante della gravidanza, bensì come
condizione di vita che si sostanzia nell'isolamento materiale e morale della donna
dal contesto familiare e sociale (situazione di indigenza e difetto di assistenza
pubblica e privata; solitudine causata da insanabili contrasti con parenti e amici e
conseguente allontanamento, spontaneo o coatto dal nucleo originario di
appartenenza, e così via) produttivo di un profondo turbamento spirituale, che si
ggrava grandemente, sfociando in una vera e propria alterazione della coscienza,
in molte partorienti immuni da processi morbosi mentali e tuttavia coinvolte
psichicamente al punto da smarrire, almeno in parte, il lume della ragione (Cass.
4/2/2000) n. 1387)
Non si applicano le aggravanti ex 61 c.p.
38. Art. 578 c.p. - Sentenze
Cass. pen. Sez. I, 07/10/2009, n. 41889
L'infanticidio in condizioni di abbandono materiale o morale postula uno stato di abbandono della madre inteso
non come fatto contingente legato al momento culminante della gravidanza, bensì come condizione di vita, che si
sostanzia nell'isolamento materiale e morale della donna dal contesto familiare e sociale (situazione d'indigenza e
difetto di assistenza pubblica e privata; solitudine causata da insanabili contrasti con parenti e amici e
conseguente allontanamento spontaneo o coatto, dal nucleo originario di appartenenza e così via) produttivo di
un profondo turbamento spirituale, che si aggrava grandemente, sfociando in una vera e propria alterazione della
coscienza, in molte partorienti immuni da processi morbosi mentali e tuttavia coinvolte psichicamente al punto da
smarrire almeno in parte il lume della ragione. (Fattispecie relativa a ritenuta configurabilità di omicidio volontario
nella soppressione, subito dopo la nascita, con modalità efferate, del figlio da parte di madre volontariamente
isolatasi dal contesto familiare e sociale). (Rigetta, Ass.App. Roma, 27/01/2009)
Cass. pen. Sez. I, 18/10/2004, n. 46945
Sia nella fattispecie dell'omicidio volontario che in quella dell'infanticidio costituisce presupposto necessario che il
feto sia vivo fino al realizzarsi della condotta che ne cagiona la morte, pur non richiedendosi che esso sia altresì
vitale ovvero immune da anomalie anatomiche e patologie funzionali, potenzialmente idonee a causarne la morte
in tempi brevi, perché costituisce omicidio anche solo anticipare di una frazione minima di tempo l'evento letale.
39. 578 c.p. - sentenze
Cass. pen. Sez. I, 18/10/2004, n. 46945
In tema di delitti contro la persona, l'elemento distintivo delle fattispecie di soppressione del prodotto del
concepimento è costituito anche dal momento in cui avviene l'azione criminosa. La condotta di procurato aborto,
prevista dall'art. 19, L. 22 maggio 1978, n. 194, si realizza in un momento precedente il distacco del feto
dall'utero materno; la condotta prevista dall'art. 578 c.p. si realizza invece dal momento del distacco del feto
dall'utero materno, durante il parto se si tratta di un feto o immediatamente dopo il parto se si tratta di un
neonato. Di conseguenza, qualora la condotta diretta a sopprimere il prodotto del concepimento sia posta in
essere dopo il distacco, naturale o indotto, del feto dall'utero materno, il fatto, in assenza dell'elemento
specializzante delle condizioni di abbandono materiale e morale della madre, previsto dall'art. 578 c.p., configura
il delitto di omicidio volontario di cui agli artt. 575 e 577, n. 1, c.p.,.
Trib. Minorenni Perugia, 08/11/199
Ricorre il delitto di infanticidio in condizioni di abbandono morale connesse al parto, e non quello di omicidio, nel
caso di una minore che abbia cagionato la morte della propria neonata subito dopo averla partorita nel bagno
della propria abitazione, al termine di un lungo travaglio e di una gravidanza vissuti in stato di profondo
isolamento psicologico e di totale incomunicabilità, a causa dell'assoluta incapacità dell'ambiente familiare della
minore, pur apparentemente coeso e del tutto normale, di cogliere l'evidenza del dramma dalla minore vissuto e
di avvertire ogni esigenza d'aiuto e di sostegno alla minore stessa necessari. L'istituto della messa alla prova
applicato nei confronti di una imputata di infanticidio, previa ponderata valutazione della sua personalità in sede
peritale, persegue finalità educative, maturative e responsabilizzanti attraverso un'articolata progettualità di
recupero personale, familiare e sociale, con il coinvolgimento di tutto l'ambiente di vita dell'imputata.
40. Art. 578 c.p. - sentenze
Ass. Belluno, 01/03/1994
I disturbi e la disintegrazione della personalità, la mancanza di controllo, l'inadeguatezza affettiva e dell'amore,
l'abuso di alcool e l'alimentazione disordinata possono cagionare uno stato morboso che si rivela e si acutizza in
una donna in occasione del parto, tale da determinare l'incapacità d'intendere e di volere rispetto alla
soppressione del neonato. In tal caso, pur in mancanza di un'attuale pericolosità sociale, può disporsi un
programma di trattamento psichiatrico che consenta una prognosi favorevole di non pericolosità.
41. Art. 581 c.p. - Percosse
●
Chiunque percuote qualcuno, se dal fatto NON deriva una malattia nel
corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la
reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 309.
Tale disposizione non si applica quando la legge considera la violenza
come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro
reato.
42. 581 c.p. – aspetti sostanziali
●
Il Codice Rocco, al contrario del precedente, ha espressamente
previsto tale delitto, conformemente al codice francese, enucleando
l'ipotesi di lesione senza conseguenza.
Percossa è dunque un qualsiasi atto che procuri alla vittima una
sensazione dolorosa senza però cagionare una malattia nel corpo o
nella mente. Parte della dottrina ritiene che la percossa può anche
essere non dolorosa.
●
L'elemento materiale è costituito dalla violenza idonea a produrre
soltanto dolore, senza postumi di alcun genere. Per aversi tale reato
basta la semplice idoneità a produrre una sensazione dolorosa per
cui si risponde del reato anche se la vittima è persona insensibile al
dolore.
43. 581 c.p. – aspetti sostanziali
●
●
L'elemento soggettivo consiste nella coscienza e volontà di offendere l'altrui
integrità fisica. Per la giurisprudenza è sufficiente la sola volontà di colpire; parte
della dottrina richiede anche l'intenzione di arrecare un dolore alla vittima. Non
costituisce reato la percossa soltanto colposa.
Il delitto di percosse rimane assorbito in quei reati in cui la violenza fisica è
considerata elemento costitutivo o circostanza aggravante (violenza sessuale,
maltrattamenti in famiglia, abuso mezzi di correzione, etc.). Il tentativo è
configurabile (soggetto che cerca di schiaffeggiare la vittima che lo blocca
afferrandogli la mano).
44. 581 c.p. - sentenze
Trib. Napoli Sez. IV, 07/10/2010
E' configurabile. il mero delitto di.percosse solo allorquando il comportamento del soggetto agente abbia
provocato nel soggetto passivo.una semplice sensazione fisica di dolore senza nessuna altra conseguenza di alcun
genere, mentre si configura il delitto di lesioni ogniqualvolta la persona offesa subisca una qualsiasi alterazione
dell'organismo funzionale o anche solo anatomica, seppure localizzata e di lieve entità; con la conseguenza che
debbono considerarsi lesioni anche le ecchimosi, le escoriazioni, le contusioni e gli stati di shock.
Giudice di pace Arezzo, 16/02/2007
E' carente dell'elemento del dolo quel gesto istintivo che si concretizza in uno schiaffo a fronte di manifestazioni di
insofferenza ed ingratitudine, ovvero lo schiaffo dato a mò di rimprovero che non ha provocato alcuna
conseguenza lesiva, cioè dolore fisico, dato che non ha avuto alcuna ripercussione sulla parte lesa anche perché
del tutto leggero. Il fatto dunque c'è stato ma lo stesso non costituisce reato.
App. Milano Sez. II, 27/06/2006
Qualora non è risultata provata quella azione violenta produttiva di una sensazione fisica dolorosa nei confronti
della presunta parte lesa, non potendosi ritenere tale un semplice e probabilmente involontario spintonamento in
una situazione, come quella descritta in querela, in cui l'imputato tentava di prendere un oggetto che la moglie
non voleva consegnargli, non sussiste il reato di cui all'art. 581 c.p.
45. 581 c.p. - sentenze
Cass. pen. Sez. I, 09/11/2005, n. 7043
Il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce, anche gravi, sempre che tali
comportamenti siano stati contestati come finalizzati al maltrattamento, ma non quello di lesioni attesa la diversa
obiettività giuridica dei reati
Cass. pen. Sez. VI, 26/10/2004, n. 44621
Deve ritenersi configurabile il reato di lesioni personali (articolo 582 del c.p.), e non quello di percosse (
articolo 581 del c.p.) quando la condotta lesiva abbia provocato lividi o tumefazioni: in tal caso, infatti, non ci si
trova in presenza di una semplice sensazione fisica di dolore (cosa che sarebbe propria della percossa), bensì di
alterazioni, sia pure lievi, dell'integrità della persona, derivanti dalla rottura dei vasi sanguigni e delle relative
infiltrazioni del tessuto sottostante l'epidermide.
Cass. pen. Sez. V, 06/02/2004, n. 15004
Ai fini della sussistenza della ipotesi criminosa dell'omicidio preterintenzionale, prevista dall'art. 584 c.p., è
sufficiente che l'autore dell'aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o ledere e che esista un rapporto
di causa ed effetto tra i predetti atti e l'evento morte. Infatti nell'art. 581 c.p. il termine "percuotere" non è
utilizzato solo nel significato di battere, colpire o picchiare, ma anche in un significato più ampio, comprensivo di
ogni violenta manomissione dell'altrui persona fisica. Anche la spinta integra un'azione violenta, estrinsecandosi
in un'energia fisica, più o meno rilevante, esercitata direttamente nei confronti della persona; tale condotta, ove
consapevole e volontaria, rivela la sussistenza del dolo di percosse o di lesioni, per cui, quando da essa derivi la
morte, dà luogo a responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale.
46. Art. 582 c.p. - Lesioni personali
●
Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una
malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a
tre anni.
Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non occorre
alcuna delle circostanze aggravanti previste negli artt. 583 e 585, ad
eccezione di quelle indicate nel numero 1 e nell'ultima parte dell'art. 577,
il delitto è punibile a querela della persona offesa.
47. Art. 582 c.p. - Nozioni e tipi
●
Dalla lettura dell'art. si deduce che il legislatore ha previsto quattro tipi di
lesioni personali dolose:
a) la lesione personale lievissima che è quella dalla quale deriva una
malattia che ha una durata non superiore ai venti giorni (guaribile cioè
entro il ventesimo giorno)
b) la lesione personale lieve che è quella dalla quale deriva una malattia
che ha una durata compresa tra i 21 e i 40 giorni
c) la lesione personale grave (art. 583, primo comma)
d) la lesione personale gravissima (art. 583, secondo comma)
48. Art. 582 c.p. - Struttura oggettiva: il
concetto di malattia
●
●
Si discute se la lesione o la malattia siano due eventi naturalisticamente
intesi oppure se la malattia non è altro che una specificazione del
contenuto della lesione. Secondo l'orientamento accolto prevalentemente
dalla dottrina, la definizione contenuta nel 582 è impropria, in quanto il
legislatore non ha voluto distinguere le due figure, ma piuttosto ha voluto
considerare il reato di lesione semplicemente come quello che in
qualunque modo produce una malattia.
L'elemento materiale del delitto non consiste necessariamente in una
azione violenta: se infatti normalmente le lesioni (e quindi la malattia),
sono cagionate con atti di violenza fisica e morale, la violenza può anche
mancare del tutto (si pensi ai casi di malattia cagionati mediante le
esposizioni al freddo, l'immersione nell'acqua, la privazione di cibo). La
lesione d'altronde può cagionarsi anche mediante omissione.
49. Art. 582 c.p. - Struttura oggettiva: il
concetto di malattia
●
Non si richiede inoltre che la lesione e i suoi effetti patologici siano soltanto
dovuti alla condotta del colpevole; dunque il nesso causale tra condotta ed evento
lesivo non è interrotto dalla presenza di una condizione che abbia concorso a
cagionare la malattia o un suo aggravamento (si pensi ad es. alla trascuratezza del
personale medico).
Quanto alla nozione di malattia, secondo la Relazione Ministeriale sul progetto
del Codice Penale, malattia è qualsiasi alterazione anatomica o funzionale
dell'organismo, ancorché localizzata e non influente sulle condizioni organiche
generali. Tale definizione è stata accolta anche dalla giurisprudenza (cfr. Cass.
16/03/1971), che ha altresì precisato la definizione, affermando che per malattia
del corpo o della mente deve intendersi ogni lesione della struttura anatomica
degli organi corporei, ogni sovvertimento delle normali funzioni fisiologiche o
psichiche dell'organismo offeso, conseguenti, con diretto nesso di causalità
efficiente, alla violenza esplicata dall'agente e determinante un processo di
riparazione mediante specifici mezzi di cura e appropriate prescrizioni, ovvero
limitazioni funzionali permanenti, consecutive alla menomazione, certamente o
probabilmente insanabile, dello stato di integrità psico-fisica della vittima.
50. Art. 582 c.p. - Struttura oggettiva: il
concetto di malattia
●
In dottrina si definisce la malattia come un processo patologico acuto o
cronico, localizzato o diffuso, che determina apprezzabile menomazione
funzionale dell'organismo. Appare incontrovertibile che, con il non
accontentarsi più di un qualsiasi danno alla persona ma col richiedere una
vera e propria malattia perché possa configurarsi il delitto di lesioni, siano
esse dolose o colpose, il legislatore ha fatto propria la tesi secondo cui per
la sussistenza del reato non basta una qualsiasi alterazione dell'organismo,
ma ci vuole una vera e propria alterazione funzionale tale da
compromettere in modo obiettivamente apprezzabile, la vita vegetativa
e/o di relazione.
Il reato si consuma con il verificarsi della malattia. E' previsto anche il
tentativo (parte dela dottrina ritiene che il tentativo è sempre perseguibile
a querela di parte).
51. Art. 582 c.p. - elemento soggettivo
●
Il delitto è punibile a titolo di dolo generico, cioè la coscienza e la volontà
di provocare lesioni anche solo a livello di dolo eventuale. Si richiede che
all'agente si sia rappresentato e che abbia voluto la lesione dell'altrui
integrità fisica, e non anche che abbia voluto cagionare la malattia nel
corpo o nella mente. In presenza di animus necandi , si configura il
tentativo di omicidio, in cui resta assorbito il reato di lesioni. Bastando il
dolo generico, il movente dell'agente, come ad esempio l'intenzione di
scherzare, non incide su di esso lasciando sussistere il reato.
52. Art. 582 c.p. - sentenze
Cass. pen. Sez. VI, 10/01/2011, n. 4444
È erronea la decisione del Giudice di qualificare i fatti sottoposti al suo vaglio ai sensi dell'art. 571 c.p.
allorquando la vittima, all'epoca dei fatti, risultava già maggiorenne e, pertanto, non più sottoposta alla potestà
genitoriale. Il reato di abuso dei mezzi di correzione, infatti, presuppone un uso consentito e legittimo di tali
mezzi che sussiste fino a che il genitore ha la predetta potestà. I fatti de quibus devono, pertanto, ricondursi al
reato lesioni personali di cui all'art. 582 c.p., con la conseguenza che, essendo tale ultima fattispecie penale
punibile a querela di parte, qualora la persona offesa abbia rimesso la querela e l'imputato l'abbia accettata
(come verificatosi nel caso concreto), il reato risulta estinto per remissione della querela.
Trib. Bari Sez. I, 26/10/2010
La fattispecie di reato di cui all'art. 582 c.p. si caratterizza per la condotta libera punendo, in particolare, il
soggetto che ricorrendo anche ad una pluralità di diverse condotte cagiona alla P.O. una lesione personale dalla
quale deriva una malattia nel corpo e nella mente. Integra, pertanto, il reato de quo l'atteggiamento del soggetto,
innamorato respinto, che, con il proprio comportamento insistente volto a far rivivere un rapporto che per la
vittima è ormai solo fonte di intima angoscia, le cagioni una grave sofferenza psichica come oggettivamente
diagnosticata.
Cass. pen. Sez. I, 22/09/2010, n. 37516
Ricorre la fattispecie di tentato omicidio, e non quella di lesioni personali, se il tipo di arma impiegata e
specificamente l'idoneità offensiva della stessa, la sede corporea della vittima raggiunta dal colpo di arma e la
profondità della ferita inferta inducano a ritenere la sussistenza in capo al soggetto agente del cosiddetto "animus
necandi". (Rigetta, App. Cuneo, 06/05/2009)
53. Art. 582 c.p. - sentenze
Cass. pen. Sez. III, 22/10/2009, n. 49433
La nozione di malattia rilevante ai fini del reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è più ampia di
quella relativa al reato di lesione personale, comprendendo ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del
soggetto passivo, dallo stato d'ansia all'insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento.
(Annulla senza rinvio, App. Torino, 17/06/2008)
54. Art. 583 c.p. - circostanze
aggravanti
●
La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni:
1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona
offesa, ovvero una malattia o una incapacità di attendere alle proprie ordinarie
occupazioni per un tempo superiore ai 40 gg.
2) se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo.
●
La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni,
se dal fatto deriva:
1) una malattia certamente o probabilmente insanabile;
2) la perdita di un senso
3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la
perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente
e grave difficoltà della favella;
4) la deformazione ovvero lo sfregio permanente del viso.
55. Art. 583 c.p. - competenza
●
●
E' competente il Tribunale collegiale per le lesioni gravissime
mentre il Tribunale monocratico per gli altri casi.
Per la lesione grave come per quella gravissima sono applicabili le
misure cautelari personali. L'arresto in flagranza è facoltativo in
entrambi i casi e negli stessi i fermo è consentito.
56. Art. 583 - Sentenze
Trib. Salerno, 03/02/2000
Ove la volontà sia diretta in modo non equivoco non a uccidere ma a sfregiare la vittima, sopravvissuta
all'aggressione, stante l'incompatibilità del dolo eventuale col tentativo, l'imputazione di tentato omicidio a carico
di chi abbia inferto molteplici coltellate non profonde nè in parti vitali, ma in viso, va derubricata in quella di
lesioni gravissime; con la circostanza aggravante dei futili motivi, se moralmente susciti riprovazione la
sproporzione tra lo stimolo per l'azione delittuosa e il risultato dell'azione stessa.
57. Art. 583 bis c.p. - Pratiche di
mutilazione degli organi genitali femminili
.Chiunque,
in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali
femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini del presente articolo, si
intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia,
l'escissione e l'infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo.
Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni
sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da
cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La
pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità.
La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche di cui al primo e al secondo comma sono
commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro.
Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì quando il fatto è commesso all'estero
da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di
straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della
giustizia
58. Art. 583 bis c.p. - nozione
●
Trattasi di nozione introdotta dalla legge 9 gennaio 2006 n. 7, nel novero
di un complesso di misure finalizzate a prevenire, contrastare e reprimere
le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti
fondamentali all'integrità della persona e alla salute delle donne e delle
bambine. Configurando una ipotesi speciale del delitto di lesione
personale, con essa condivide l'oggetto giuridico, essendo posta a tutela
dell'incolumità della persona (cui va aggiunto l'interesse statuale
all'integrità fisica e psichica dei cittadini), mirando alla repressione di
condotte lesive degli apparati connessi alla funzione sessuale, dunque
gravemente pregiudizievoli dell'equilibrio psico-fisico dell'individuo,
della sua dignità personale, nonché della stessa vita di relazione.
59. Art. 583 bis c.p. - struttura
oggettiva e soggettiva della
fattispecie
●
Secondo le definizioni mutuate dalla scienza medica tradizionale, la clitoridectomia o
escissione, chiamata anche in arabo Tahara (purificazione) o Khefad (riduzione), consiste
nella rimozione dell'intero clitoride e delle adiacenti labbra. L'infibulazione (dal latino
fibula, spilla) è invece una mutilazione genitale femminile praticata in molte società di
stampo patriarcale dell'Africa, del sud della penisolaAraba e del sud-est asiatico. Con tale
pratica (nota anche come escissione faraonica) il clitoride viene rimosso insieme alle
piccole labbra e parte delle grandi (circa i 2/3), ed al termine dell'operazione, l'apertura
viene ricucita con una sutura o con spine, lasciando solo un piccolo spazio per l'uscita
delle urine e del sangue mestruale. Trattasi, come evidente, di una pratica, che seppur
saldamente ancorata in talune tradizioni culturali, è totalmente inammissibile in
ordinamenti i cui precetti pongono al centro di ogni previsione la salvaguardia
dell'integrità e della dignità dell'individuo, specie se si considera che i rapporti sessuali,
attraverso questa pratica, vengono impossibilitati fino alla defibulazione (prima della
consumazione del matrimonio) che dopo ogni parto viene effettuata una nuova
infibulazione per ripristinare la situazione prematrimoniale, e che la pratica
dell'infibulazione faraonica ha lo scopo di conservare e di indicare la verginità al futuro
sposo rendendo la donna una sorta di oggetto sessuale.
60. Art. 583 bis c.p. - struttura
oggettiva e soggettiva della
fattispecie
●
Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in
cui vengono realizzate le orride mutilazioni di cui
alla norma. Quanto all'elemento soggettivo, la
fattispecie è punibile a titolo di dolo generico,
richiedendosi esclusivamente la cosciente e
volontaria realizzazione delle condotte produttive
delle mutilazioni a prescindere dalle finalità
perseguite concretamente dal reo.
61. Art. 583 bis c.p. - analisi del
secondo comma
●
●
La norma completa la tutela della sfera genitale femminile predisposta dal primo comma,
sanzionando penalmente chiunque cagioni lesioni ad organi genitali femminili diverse da
quelle prima descritte, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, al fine di
menomare le funzioni sessuali, anche in tale ipotesi al di fuori dei casi in cui sussistano
esigenze terapeuitco-curative.
Quanto al momento consumativo si identifica con il prodursi dell'evento naturalistico della
fattispecie, consistente nella malattia.
In proposito è opportuno evidenziare che se il riferimento alla patologia mentale ha un
senso rispetto alle lesioni personali (582 c.p.), difficilmente è configurabile rispetto ad una
fattispecie nella quale si richiede il prodursi di una malattia ad organi genitali, se non quale
conseguenza ulteriore rispetto alla patologia “corporea”.
●
Quanto all'elemento soggettivo, il delitto, a differenza di quello di cui al primo comma, è
punibile a titolo di dolo specifico, richiedendosi la coscienza e volontà di cagionare la
lesione, al fine di menomare le funzioni sessuali.
62. Artt. 330, 331, 332, 333, 334 c.p.p.
●
Parte seconda
Indagini preliminari (Libro V)
Notizia di reato (titolo II)
●
●
Art. 330 c.p.p. Acquisizione delle notizie di reato
Art. 331 c.p.p. Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un
pubblico servizio
●
Art. 332 c.p.p. Contenuto della denuncia
●
Art. 333 c.p.p. Denuncia da parte di privati
●
Art. 334 c.p.p. Referto
63. Notizie di reato - Note generali
SEGNALAZIONE E DENUCIA
La notitia criminis può derivare:
1) dalla ricezione da parte del pubblico ministero o della polizia giudiziaria della rivelazione (descrizione de
fatto verbalizzata e sottoscritta) del reato da parte della vittima o di terzi, che costituisce quindi una denuncia
2) da un’ iniziativa diretta da parte di tali organi comunque venuti a conoscenza del fatto mediante una
segnalazione ossia una comunicazione di fatti penalmente rilevanti.
Alcune categorie di soggetti, i “pubblici ufficiali” (ad esempio in ambito scolastico i dirigenti scolastici , gli
insegnanti), gli incaricati di un pubblico servizio ( i bidelli), o gli operatori sanitari, hanno l’ obbligo giuridico di
segnalare tempestivamente all’ Autorità Giudiziaria i fatti costituenti reato di cui abbiano avuto notizia o ne
siano venuti a conoscenza. Si è quindi in presenza di un atto obbligatorio che espone a precise responsabilità,
anche penali, in caso di omissione. L’ art. 331 c.p.p. prevede l’ obbligo di denuncia per il pubblico ufficiale e l’
incaricato di un pubblico servizio per i reati procedibili d’ ufficio. Sono infatti perseguibili d’ ufficio i reati di
maltrattamenti in famiglia, abuso di mezzi di correzione e i più significativi tra i delitti sessuali compiuti in danno
di minori. Negli altri casi i reati sessuali sono procedibili a querela, ossia su richiesta della persona
danneggiata, da presentarsi entro sei mesi dal fatto. Se si tratta di un minorenne che non ha compiuto almeno
quattordici anni deve provvedere chi esercita la potestà; se invece il minorenne ha più di quattordici anni può
presentare personalmente la querela oppure, nonostante ogni sua contraria volontà, può presentarla chi
esercita su di lui la potestà.
64. Notizie di reato - Note generali
La presenza di queste condizione e/o circostanze può non essere facilmente identificabile al momento della denuncia;
quindi per realizzare un’ effettiva tutela del minore sarebbe opportuno che i soggetti obbligati effettuassero sempre la
denuncia, lasciando al magistrato ogni valutazione sulla sussistenza o meno delle condizioni di procedibilità. La notizia di
reato può anche essere “de relato”, vale a dire quando una persona riferisce al pubblico ufficiale e/o incaricato di pubblico
servizio, non quanto visto o subito, ma quanto appreso da altra persona. In tali casi, il fatto di invitare la fonte diretta a
presentare denuncia non esime dall’ obbligo della stessa.
Il privato cittadino, invece, non “deve” ma “può” segnalare la situazione sempre nel caso in cui il reato sia perseguibile d’
ufficio. La segnalazione può anche essere fatta in forma anonima, purchè le notizie inviate all’ Autorità Giudiziaria siano
sufficientemente dettagliate e permettano l’ individuazione del minore maltrattato e del suo contesto. Il fatto denunciato
non verrà però iscritto come notizia di reato, ma verrà inserito nel Registro Anonimi e il PM incaricato disporrà le
opportune indagini attraverso la Polizia Giudiziaria per accertare la fondatezza delle notizie trasmesse.
65. Notizie di reato - Note generali
LE AUTORITA’ COMPETENTI A CUI RIVOLGERSI
La segnalazione e/o denucia può essere fatta e/o presentata:
1) alla Procura della Repubblica presso il Tribunale
2) all’ Ufficio Minori della Questura *
3) al Tribunale per i Minorenni
4) presso qualsiasi comando dei Carabinieri
Sarebbe comunque opportuno che in ogni caso la denuncia venga effettuata sia presso il
Tribunale ordinario (procura) sia presso quello per i minorenni perché questo provveda all’
assunzione dei necessari provvedimenti urgenti a tutela del minore
66. Notizie di reato - Note generali
IL RUOLO DELLA POLIZIA DI STATO
Presso ogni Questura, nell’ ambito della Polizia Anticrimine, è presente l’ Ufficio Minori. Nato nel 1996 come
pronto soccorso per i problemi degli adolescenti e delle famiglie in difficoltà, l’ attuale obiettivo non è solo quello
di tenere sotto controllo la delinquenza ma anche e soprattutto di prevenire gli abusi e gli abbandoni di minori e
recuperare i loro diritti. L’ Ufficio Minori è composto da Ispettori della Polizia di Stato professionalmente
preparati al contatto con i minori e le famiglie in situazioni difficili. Collaborano con loro assistenti sociali,
neuropsichiatri infantili, psicologi, pediatri, medici ed associazioni di volontariato. Il personale qualificato dell’
Ufficio Minori dispone di un metodo operativo appropriato e di una forte interazione con altre Istituzioni: non
svolge infatti soltanto compiti tipici di un ufficio di Polizia, ma è anche un punto di riferimento per le
associazioni, gli enti morali, gli uffici sanitari ed assistenziali impegnati sui temi del disagio minorile. Nel corso
degli anni la Polizia di Stato si è fatta promotrice di numerose iniziative, grazie anche alla costituzione di Uffici
Minori, che hanno portato alla stipula di importanti protocolli di intesa tra le questure, le province, i comuni, i
tribunali per i minorenni. L’ esigenza di controllare in maniera puntuale l’ andamento degli abusi sessuali nei
confronti dei minori e l’ inadeguatezza delle banche dati preesistenti, hanno indotto a realizzare, presso la
Direzione Centrale della Polizia Criminale, un apposito database. In questo vengono inserite tutte le notizie
riguardanti il soggetto vittima del reato (età, sesso, rapporto con l’ autore) contenute nelle segnalazioni
provenienti quotidianamente dagli uffici delle forze di polizia presenti sul territorio ed in particolare dagli Uffici
Minori delle Questure.
67. Notizie di reato - Note generali
I SERVIZI SOCIALI E TERRITORIALI
La segnalazione di un abuso e/o violenza fa scattare un meccanismo di intervento da parte di vari soggetti: il Tribunale per i
Minorenni del luogo ove si trova il bambino delegherà i servizi sociali competenti ad accertare l’ effettiva situazione del minore e
della sua famiglia. Mentre la magistratura ordinaria si occupa dell’ accertamento dei fatti costituenti reato e il Tribunale per i
minorenni garantisce la protezione del minore da ulteriori comportamenti di violenza, dall’ altra parte i servizi sociali cercano di
fornire un sostegno terapeutico al minore abusato e dove è possibile svolgono attività per il recupero tra la vittima ed il genitore
non abusante. Quando è necessario intervenire in una difficile situazione familiare, occorre innanzitutto valutare se nei rapporti
relazionali tra i componenti della famiglia siano presenti sia fattori di rischio (che possano favorire la violenza), sia elementi
protettivi (che invece tendano ad affievolire i primi). Infatti se vi è prevalenza di fattori protettivi, la giusta strategia di intervento è
quella di fornire aiuto e sostegno al bambino ed alla sua famiglia; se vi è una compresenza di entrambi i fattori, deve essere
protetto il minore e devono essere potenziate le risorse familiari; infine se vi è assenza di fattori protettivi, è necessario fornire una
forte protezione e tutela al minore, accompagnata da prescrizioni rivolte alla famiglia. La tutela dei minori non si può limitare all’
ambito penale, né alle misure per fronteggiare l’ emergenza, ma deve abbracciare un intero processo di intervento che abbia al
centro l’ interesse della vittima e come scopo la sua sana crescita psicofisica. Proteggere il minore, capire le cause familiari dello
sviluppo dell’ abuso e riparare, quando è possibile, le relazioni tra la vittima ed i suoi familiari, costituiscono i momenti cardine del
processo di intervento dei servizi sociali. I servizi preposti alla tutela sociale, sanitaria ed educativa del minore sono molteplici.
Essi comprendono i consultori familiari pubblici e privati accreditati e le loro articolazioni, i servizi di tutela dei minori gestiti dalle
ASL , su delega dei Comuni, o dai Comuni stessi, i servizi sociali, i servizi di neuropsichiatri infantile, i medici pediatri, le strutture
di accoglienza dei minori fuori dalla famiglia ecc. Di detti servizi si avvale l’ Autorità giudiziaria sia per l’ accertamento delle
condizioni psico-fisiche del minore abusato e/o maltrattato e per definire il quadro socio-sanitario ed educativo dello stesso, degli
adulti di riferimento e delle relazioni affettive, sia per un eventuale successivo programma riabilitativo e/o terapeutico a favore del
minore stesso.
68. Notizie di reato - Note generali
L’ ITER PROCEDURALE
Quando la notizia di reato è giunta alla procura, il pubblico ministero incaricato inizia l’ indagine preliminare
diretta ad accertare i presupposti di fatto richiesti per il concreto esercizio dell’ azione. Se il caso non viene
archiviato ed anzi le indagini preliminari evidenziano sufficienti elementi a carico dell’ inquisito, allora viene
promossa l’ azione penale. Fino a quando non viene emessa una sentenza di condanna definitiva, l’ abusante
può essere sottoposto a misure restrittive (misure cautelari) solo nel caso in cui sia ritenuto socialmente
pericoloso o vi sia il pericolo di una sua fuga. La nuova disciplina dei reati sessuali (legge 66/96) compiuti a
danni di minorenni prevede alcuni strumenti di tutela processuale del minore. Si segnala in particolare l’
estensione dell’ istituto dell’ incidente probatorio allorché si renda necessario assumere la testimonianza del
minore (verosimilmente la vittima): in tale ipotesi, infatti, l’ incidente probatorio può essere promosso anche in
assenza dei requisiti di ammissibilità di cui al primo comma dell’ art. 392 c.p.p. che, si ricorda, sono fondati
sulla non rinviabilità al dibattimento dell’ assunzione della prova.
Il Pubblico Ministero può chiedere che l’ assunzione della testimonianza possa avvenire anche in luogo diverso
dal Tribunale avvalendosi di strutture specializzate o anche presso l’ abitazione dello stesso. La ratio di questa
innovazione va individuata nell’ esigenza di rafforzare la tutela della dignità e della riservatezza del minore,
evitando che egli sia interrogato nella successiva fase dibattimentale. Ad analoghe esigenze di riservatezza
risponde la previsione dell’ art. 15 della legge in esame a norma del quale i procedimenti per i delitti di violenza
sessuale a danno di minorenni escludono il pubblico dibattimento.
69. Notizie di reato - Note generali
L’ art. 609 decies c.p. contiene una serie di disposizioni volte a tutelare efficacemente le condizioni psicologiche
del minore vittima di violenza sessuale, di abusi e di corruzione. In particolare detta norma prevede che il
Procuratore della Repubblica del Tribunale Ordinario deve informare il Tribunale per i Minorenni quando si
procede per i delitti di cui agli artt. 609 bis. 609 octies e 609 quinquies c.p. commessi in danno di minorenni. In
ogni stato e grado del procedimento, il minore è assistito psicologicamente ed affettivamente dal genitore o da
altra persona idonea indicata dal minorenne ed ammessa dall’ Autorità Giudiziaria procedente.
Il minore è in ogni caso assistito dai servizi minorili dell’ Amministrazione della Giustizia e dai servizi istituiti
dagli enti locali. Poiché solo il Tribunale per i Minorenni può assicurare l’ immediata protezione del minore,
sarebbe opportuno anticipare sempre la comunicazione del Tribunale ordinario facendo una segnalazione
anche al giudice minorile. Al contrario della magistratura ordinaria, infatti, quella minorile ha l’ obbligo di
segnalare i casi di abuso sia ai colleghi che operano in ambito penale, sia ai servizi sociali, e svolge un ruolo
fondamentale per la tutela dei minori abusati e per l’ aiuto della sua famiglia. In particolare la magistratura
minorile ordina gli accertamenti giudiziari, sociali e psicologici necessari per riuscire a comprendere la
situazione e per poter così formulare un programma di interventi che abbia come scopo principale la tutela del
minore, parallelamente e successivamente all’ azione penale.
70. Notizie di reato - Note generali
PROVVEDIMENTI URGENTI CHE VENGONO EMANATI DALL’ AUTORITA’ GIUDIZIARIA
A tal proposito occorre distinguere i provvedimenti conseguenti alla commissione da parte del genitore del
reato sessuale in danno al figlio minore e quelli conseguenti alla commissione del reato da parte di persona
diversa. Le finalità degli strumenti in esame sono generalmente quelle di porre al riparo, in via temporanea, il
minore dal ripetersi di condotte a suo danno, di disporre di un contesto di tipo neutro, al di fuori di intuibili
condizionamenti, per poter approfondire la condizione fisica e psicoemotiva del bambino, e quindi,
indirettamente agevolare l’ accertamento della responsabilità penale dell’ abusante. Nel caso di abusi
intrafamiliari, la comunicazione da parte del Procuratore della Repubblica al Tribunale per i Minorenni è
finalizzata all’ adozione, nelle more del procedimento penale, di provvedimenti che comportino vincoli all’
esercizio della potestà genitoriale e che consentano l’ allontanamento del minore o del presunto abusante dalla
residenza familiare. All’ esito del procedimento penale, il giudice, in caso di condanna, può applicare ai sensi
dell’ art. 609nonies c.p. la pena accessoria della decadenza dalla potestà genitoriale (tale statuizione esula
dalle competenze del T.M).
71. Notizie di reato - Note generali
Nel caso in cui il presunto abusante sia persona diversa dal genitore, i possibili esiti della
comunicazione di cui all’ art. 609 decies c.p. sono diversi a seconda che il minore, a causa di un’
anomala situazione familiare, versi in condizione di disagio, oppure che i fatti evidenzino una
condotta irregolare dello stesso. In particolare se il minore versa in condizioni di disagio il
Tribunale per i Minorenni può in presenza di una situazione di abbandono del minore, aprire il
procedimento previsto dagli artt. 8 e segg. della L. 4.5.83 n. 184 finalizzato alla dichiarazione di
adattabilità, e disporre provvedimenti temporanei urgenti nell’ interesse dello stesso. In presenza
poi di una situazione che evidenzi una condotta dei genitori (pur non direttamente colpevoli degli
abusi subiti dal figlio) comunque pregiudizievole, può essere iniziato d’ ufficio, il procedimento
finalizzato alla dichiarazione di decadenza della potestà genitoriale (ar. 330 c.c.). Per i casi meno
gravi, quando la condotta di uno o di entrambi i genitori, pur non direttamente colpevoli degli
abusi subiti dal figlio, non è tale da dar luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’ art. 330
c.c., ma appare comunque pregiudizievole per il figlio, il Tribunale per i Minorenni potrà, ai sensi
dell’ art. 333 c.c., secondo le circostanze, adottare i provvedimenti convenienti nell’ interesse del
figlio, disponendone anche l’ allontanamento dalla residenza familiare.
Nel caso in cui i fatti oggetto di indagine evidenzino una condotta irregolare del minore, l’ art. 25
R.D.L. 25.07.1934 n. 1404 consente di esperire una procedura amministrativa presso il Tribunale
per i Minorenni, all’ esito del quale è possibile, per finalità rieducative, disporre l’ affidamento del
minore al servizio sociale minorile oppure l’ inserimento in un istituto minorile.
72. Notizie di reato - Note generali
Tra le norme che disciplinano nel nostro ordinamento gli strumenti di tutela dell’ infanzia maltrattata ed abusata,
devono annoverarsi quelle contenute nella legge n. 154/01. Quest’ ultima ha in primo luogo introdotto nel
codice di procedura penale l’ art. 282 bis che dispone l’ allontanamento del familiare violento dall’ abitazione;
con lo stesso provvedimento il Giudice può prescrivere il pagamento di un assegno di mantenimento a favore
di coloro che convivono con il soggetto sottoposto a questa misura. Per l’ attivazione di tale misura cautelare
valgono i principi generali: la richiesta da parte del PM ed il successivo provvedimento del GIP. La legge n.
154/01 ha introdotto strumenti attivabili dall’ Autorità Giudiziaria Ordinaria Civile, ovvero i cosiddetti ordini di
protezione ai quali fanno riferimento gli artt. 342 bis e ter c.c. e 736 bis c.p.c..
L’ordine di protezione del Tribunale civile ordinario può contenere oltre alla prescrizione dell’ allontanamento
dalla casa familiare, il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi frequentati dalla vittima, quali la scuola o la
residenza di familiari e congiunti. E’ utile sottolineare che la misura dell’ allontanamento dalla casa familiare
può essere disposta anche quando questa è di proprietà esclusiva del soggetto allontanato.
L’ innovazione non sta tanto nella possibilità di ottenere misure cautelative, del resto già esistenti nel nostro
ordinamento (misure cautelari in sede penale), ma nella possibilità di ricorrervi anche quando non si è in una
situazione configurabile come reato. La suddetta legge introduce un’ accezione ampia di violenza, che
configura tutte le situazioni di grave pregiudizio dell’ integrità fisica e morale, della libertà di un membro
familiare, causate da altro componente del nucleo stesso.
73. Art. 330 c.p.p. - Acquisizione delle
notizie di reato
Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria
prendono notizia dei reati di propria iniziativa e
ricevono le notizie di reato presentate o
trasmesse a norma degli articoli seguenti.
74. Art. 330 c.p.p. - sentenze
Cass. pen. Sez. VI, 20/05/1996, n. 1997
E' legittimo il provvedimento con il quale il p.m. autorizza la polizia giudiziaria a sorvegliare, a debita distanza e in
modo non invasivo, l'incontro tra un genitore ed il figlio minore al fine di impedire la sottrazione, già verificatasi in
passato, di questo da parte del primo, poichè tali compiti rientrano tra quelli istituzionali della polizia giudiziaria di
ricerca della notitia criminis e di impedimento a che i reati siano portati a più gravi conseguenze. Contro tale
provvedimento è comunque inammissibile il ricorso per cassazione, non essendo previsto uno specifico mezzo di
impugnazione e non rientrando tra quelli limitativi della libertà personale.
Cass. pen. Sez. VI, 21/09/2006, n. 36003
Sulla base di una denuncia anonima non è possibile procedere a perquisizioni, sequestri e intercettazioni
telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l'esistenza di indizi di reità. Tuttavia, gli elementi
contenuti nelle denunce anonime possono stimolare l'attività di iniziativa del P.M. e della polizia giudiziaria al fine
di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo possano ricavarsi estremi utili per l'individuazione
di una "notitia criminis".
Cass. pen. Sez. III, 02/12/1998, n. 3261
Presupposto necessario perchè possano essere iniziate le indagini preliminari è l'esistenza di una "notitia criminis"
la quale per essere tale, deve avere per oggetto un fatto specifico idoneo ad integrare estremi di reato e deve
essere dotata, per la fonte da cui proviene, di adeguata credibilità. Pertanto è da escludere che possano essere
promosse indagini preliminari non già sulla base di una notizia di reato ma al fine di eventualmente acquisirla,
come nel caso di indagini a tappeto ed in forma indiscriminata, dirette ad accertare se eventualmente ipotetici
reati siano stati commessi, essendo una tale attività consentita soltanto agli organi di polizia nell'esercizio della
propria attività amministrativa di prevenzione e repressione dei reati; attività che, in quanto svolta al di fuori
delle norme del codice di rito, va effettuata nel pieno rispetto delle altrui libertà, fatti salvi, ovviamente, gli
specifici poteri di accertamento attribuiti da specifiche disposizioni di legge.
75. Art. 331 c.p.p. - denuncia da parte
di pubblici ufficiali e incaricati di un
pubblico servizio
1. Salvo quanto stabilito dall'articolo 347 (obbligo di riferire la notizia di
reato), i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che,
nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di
un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche
quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.
2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o
a un ufficiale di polizia giudiziaria.
3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto,
esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto.
4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto
nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l'autorità che
procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero
76. Art. 331 c.p.p. -sentenze
Trib. Minorenni Napoli, 05/02/1992
Qualora la revoca dell'adozione in casi particolari venga domandata allegando una condotta delittuosa del minore
in danno del genitore adottivo (nella specie, tentato omicidio), il procedimento non va sospeso in attesa
dell'accertamento e della qualificazione del fatto in sede penale.
77. Art. 332 c.p.p. - contenuto della
denuncia
1. La denuncia contiene:
a) l'esposizione degli elementi essenziali del fatto;
b) il giorno dell'acquisizione della notizia;
c) le fonti di prova già note.
Quando è possibile contiene:
a1) le generalità;
b1) il domicilio;
c1) quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è
attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su
circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
78. Art. 333 c.p.p. - denuncia da parte
di privati
1. Ogni persona che ha notizia di un reato perseguibile di ufficio può farne
denuncia. La legge determina i casi in cui la denuncia è obbligatoria.
2. La denuncia è presentata oralmente o per iscritto, personalmente o a
mezzo di procuratore speciale, al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia
giudiziaria; se è presentata per iscritto, è sottoscritta dal denunciante o da un
suo procuratore speciale.
3. Delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto
disposto dall'articolo 240 (salvo costituiscano corpo del reato o provengano
comunque dall'imputato).
79. Art. 333 c.p.p. - sentenze
Cass. pen. Sez. IV, 22/12/1995, n. 4308
L'art 333 c.p.p. el prescrivere che delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto
dall'art. 240 c.p.p., stabilisce che la denuncia anonima non può valere come notitia criminis e non deve, pertanto,
essere iscritta nell'apposito registro previsto dall'art. 335 c.p.p. Ciò, però, non esclude che il pubblico ministero e
la polizia giudiziaria che, ex art. 330 c.p.p., prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di
reato presentate o trasmesse, possano trarre utile spunto per la loro attività da un'informazione anche anonima,
in quanto una notitia criminis può essere legittimamente ricercata ed appresa in base alle indicazioni di una
denuncia anonima, così scaturendo dall'attività del pubblico ministero o della polizia giudiziaria.
80. Art. 334 c.p.p. - Referto
1. Chi ha l'obbligo del referto deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se
vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al pubblico ministero o a qualsiasi
ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui ha prestato la propria opera o
assistenza ovvero, in loro mancanza, all'ufficiale di polizia giudiziaria più
vicino.
2. Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è
possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro
valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze
dell'intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del
fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può
causare.
3. Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima
occasione, sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere e
sottoscrivere un unico atto
81. Art. 334 c.p.p. - sentenze
Cass. pen. Sez. VI, 29/04/1998, n. 7034
In tema di elemento psicologico del reato di omissione di referto, la valutazione da parte dell'esercente la
professione sanitaria della perseguibilità d'ufficio del delitto ravvisabile nel caso a lui sottoposto non deve essere
fatta in astratto, ma in concreto, ossia con l'adozione di ogni criterio di giudizio che tenga conto delle peculiarità
della situazione effettiva, dovendosi riconoscere al sanitario un margine di discrezionalità nell'apprezzamento
della natura dell'infortunio in relazione al tipo di lesione riscontrata, alla descrizione di fatti fornita dal paziente o
dai suoi eventuali accompagnatori e agli altri possibili elementi di riscontro. (Fattispecie di lesione da infortunio
sul lavoro nella quale la S.C. ha escluso il dolo in capo al medico in ordine al contestato reato di cui
all'art. 365 c.p., avuto riguardo alla totale assenza di indicazioni da parte del paziente circa la dinamica
dell'infortunio ed essendo stata anzi fornita dal medesimo una versione del fatto tale da escludere qualunque
violazione delle norme a tutela della prevenzione degli infortuni sul lavoro).
82. DELITTI CONTRO L'ATTIVITA' GIUDIZIARIA
●
TITOLO III, CAPO I
Art. 361 c.p. (Omessa denuncia di reato da parte di un pubblico
ufficiale)
Art. 362 c.p (Omessa denuncia di reato da parte di un incaricato di
un pubblico servizio)
Art. 365 c.p. (Omissione di referto)
Art. 384 c.p. (casi di non punibilità)
83. Art. 361 c.p. - Omessa denuncia di
reato da parte di un p.u.
●
Il Pubblico Ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare alla Autorità
Giudiziaria, o ad un'altra Autorità che a quella abbia l'obbligo di riferirgli, un
reato di cui abbia avuto notizia a causa o nell'esercizio delle sue funzioni, è
punito con la multa da € 30 a 16.
La pena è della reclusione fino ad un anno se il colpevole è un ufficiale o un
agente di polizia giudiziaria che ha avuto comunque notizia di un reato del quale
doveva fare rapporto.
Le disposizioni dei commi precedenti non si applicano se si tratta di reato
punibile a querela della persona offesa.
84. Art. 361 c.p. - aspetti sostanziali
●
●
●
Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui si doveva
fare la denuncia.
Le cause di estinzione del reato o di non punibilità relative al
fatto da denunciare, non esentano dell'obbligo del rapporto
perché esse possono essere rivalutate e riconosciute solo
dall'Autorità Giudiziaria.
Il dolo è generico e consiste nella coscienza e volontà di
omettere o ritardare la denuncia di un reato punibile d'ufficio.
Se l'omissione o ritardo è dovuto a trascuratezza o
dimenticanza (e cioè a colpa) il reato non sussiste.
85. Art. 361 c.p. - Sentenze
Trib. Genova Sent., 31/03/2009
Ex art. 361 c.p. il reato di omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale si configura come un reato di
pericolo, a consumazione istantanea, non essendo necessario che il funzionamento della amministrazione della
giustizia abbia subito un danno dalla omissione o dal ritardo della denuncia, onde al pubblico ufficiale tenuto a
dare la notizia non spetta alcun potere dispositivo della notizia medesima né altra facoltà di indagare sulla
vicenda nella quale sia ravvisabile un reato perseguibile di ufficio. Inoltre in tema di omessa denuncia di reato da
parte di pubblico ufficiale, l'esistenza di una prassi contra legem, in materia di omissione o ritardo dell'atto
dovuto, non può valere ad escludere il dolo, ma solo può suffragare l'ipotesi di un errore sulla doverosità della
denuncia, inescusabile perché vertente sulla legge penale. L’obbligo di denuncia sussiste a carico di tutti i pubblici
ufficiali intervenuti nella trattazione di un affare amministrativo, rispetto ai reati di cui abbiano preso conoscenza
nell'esercizio dell'attività esplicata, in ordine all'affare unitariamente considerato.
Cass. pen. Sez. V Sent., 04/04/2008, n. 26081
L'omissione o il ritardo del pubblico ufficiale nel denunciare i fatti di reato idonei ad integrare il delitto di cui
all'art. 361 cod. pen. si verifica solo quando il p.u. sia in grado di individuare, con sicurezza, gli elementi di un
reato, mentre, qualora egli abbia il semplice sospetto di una possibile futura attività illecita, deve, ricorrendone le
condizioni, semplicemente adoperarsi per impedire l'eventuale commissione del reato ma non è tenuto a
presentare denuncia. (Annulla senza rinvio, App. Milano, 26 Febbraio 2007)
86. Art. 361 c.p. - sentenze
Trib. L'Aquila, 07/02/2008
Il delitto di omessa denuncia di reato, ex art. 361 c.p., è reato istantaneo, poiché il termine di adempimento
dell'obbligo giuridico è unico, finale e non iniziale, decorso il quale il soggetto agente non è più in grado di tenere
utilmente la condotta comandata. Il delitto si consuma allorché il pubblico ufficiale apprende del fatto di reato,
momento che segna anche il dies "a quo" della prescrizione, mentre l'elemento soggettivo consiste nella
consapevolezza e volontarietà dell'omissione della denuncia allorché si sia verificato il presupposto da cui deriva
l'obbligo di informare l'autorità giudiziaria, ovvero la conoscenza, da parte del pubblico ufficiale, del fatto
costituente reato a causa e nell'esercizio delle sue funzioni.
Cass. pen. Sez. VI Sent., 19/03/2007, n. 18457
Ai fini della valutazione di tempestivo adempimento dell'obbligo della polizia giudiziaria di riferire la notizia di
reato al pubblico ministero, le espressioni adoperate dalla legge - che ci si riferisca alla locuzione "senza ritardo" o
all'avverbio "immediatamente", usati, rispettivamente, nei commi primo e terzo dell'art. 347 cod. proc. pen. - pur
se non impongono termini precisi e determinati, indicano attività da compiere in un margine ristretto di tempo, e
cioè non appena possibile, tenuto conto delle normali esigenze di un ufficio pubblico onerato di un medio carico di
lavoro. (Nella specie, relativa a denuncia per ipotesi di tentato omicidio, che andava comunicata immediatamente,
la Corte ha ritenuto sussistere il reato di omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale, per avere gli
addetti al competente commissariato di polizia, informati oralmente dei fatti dal posto di polizia presso un
ospedale, trattenuto la denuncia per oltre un mese, quantunque più volte sollecitati, inoltrandola al P.M. solo dopo
che la vittima aveva provveduto a presentarne altra direttamente agli uffici di Procura). (Rigetta, App. Genova, 12
aprile 2005)
87. Art. 362 c.p. - Omessa denuncia da parte di un
incaricato di un pubblico servizio
●
L'incaricato di un pubblico servizio che omette o ritarda di denunciare
all'Autorità indicata nell'articolo precedente un reato del quale abbia avuto notizia
nell'esercizio o a causa del suo servizio, è punito con la multa fino a € 103.
Tale disposizione non si applica se si tratta di un reato punibile a querela della
persona offesa né si applica ai responsabili delle comunità terapeutiche e socioriabilitative per fatti commessi a persone tossicodipendenti affidate per
l'esecuzione del programma definito da un servizio pubblico.
88. Differenze tra p.u. e i.p.s.
Sono definiti pubblici ufficiali coloro che esercitano una pubblica funzione; è pubblica la funzione amministrativa
disciplinata da norme di dirittopubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla
manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri
autoritativi o certificativi (art. 357 c.p.). Alcuni esempi di pubblici ufficiali: medici ospedalieri, assistenti
sociali di un ente pubblico, dipendenti di uffici pubblici (es. uffici anagrafici) che rilasciano certificati,
insegnanti di scuole pubbliche e private, notai, il capotreno e chi ha la funzione di controllore sui mezzi
pubblici.
Sono definiti incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio; per
pubblico servizio si intende un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma
caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici
mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale (art. 358 c.p.). Alcuni esempi di
incaricati di pubblico servizio: i bidelli, i dipendenti comunali che preparano i certificati senza avere potere
di firma, i dipendenti delle aziende sanitarie locali, gli stradini cantonieri dell'ANAS, i volontari della
protezione civile. N. B.: non sono pubblici ufficiali né incaricati di pubblico servizio, coloro che svolgono
semplici mansioni d'ordine o prestazioni d'opera meramente materiali, anche presso enti pubblici (art. 358
c.p.).
Pret. Ragusa, 07/10/1996 Il farmacista (colui, cioè, che esercita la professione sanitaria e non anche il
proprietario dell'azienda - farmacia, ove si tratti di soggetti distinti) riveste la qualifica di incaricato di pubblico
servizio. In tale veste, pertanto, in forza dell'obbligo imposto in via generale dall'art. 331 c.p.p., egli è tenuto a
denunciare un reato del quale, nell'esercizio o a causa del servizio, e comunque, in dipendenza dell'attività svolta,
sia venuto a conoscenza, onde, in caso di mancato adempimento al c.d. obbligo di rapporto, incorre nel reato di
cui all'art. 362 c.p. (Fattispecie relativa all'emissione di ricette false al fine di incrementare le vendite di
determinati farmaci)
89. Art. 365 c.p. - Omissione di referto
Chiunque, avendo nell'esercizio di una professione sanitaria prestato la propria
assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale
si debba procedere d'ufficio (art. 334 c.p.p.), omette o ritarda di riferirne all'autorità
indicata nell'art. 361 c.p., è punito con la multa sino ad € 516.
Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a
procedimento penale.
90. Art. 365 c.p. - sentenze
Trib. Milano, 22/09/2009
Ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico del delitto di omissione di referto (art. 365 c.p.), che è reato di
pericolo e non di danno, occorre, oltre alla coscienza e volontà di omettere o ritardare il referto da parte
dell'esercente la professione sanitaria, che questi si trovi in presenza di fatti i quali presentino i caratteri di un
delitto perseguibile d'ufficio. Per verificare la configurabilità di tale reato (e della responsabilità anche civile che ne
discende a carico del sanitario) occorre che il giudice accerti (come affermato dalle sezioni penali della Suprema
Corte di Cassazione, tra le altre, con sentenze n. 3447 e n. 9721 del 1998), con valutazione "ex ante" (e tenendo
conto delle peculiarità del caso concreto), se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali
desumere, in termini di astratta possibilità, la configurabilità di un delitto perseguibile d'ufficio, e se abbia avuto
la coscienza e la volontà di omettere o ritardare il referto, rimanendo esclusa la configurabilità del dolo qualora dalle circostanze del caso concreto - emerga la ragionevole probabilità che l'accadimento si sia verificato per
cause naturali o accidentali.
Cass. pen. Sez. VI, 09/04/2001, n. 18052
L'esonero del sanitario dall'obbligo di referto di cui al comma 2 art. 365 c.p. è previsto solo per il caso in cui i fatti
che si dovrebbero descrivere nel referto convergono nell'indicare il paziente quale autore del reato esponendolo a
procedimento penale. (Fattispecie nella quale la Corte non ha ritenuto che il sanitario potesse esimersi
dall'obbligo di referto nel caso di ricovero di un paziente per tossicosi acuta da assunzione di droga, in quanto
l'ipotesi che l'assistito fosse egli stesso un trafficante non poteva essere direttamente collegata al referto ma solo
all'esito di ulteriori indagini che dal referto potevano prendere solo spunto).