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               DEL PERCHE’ L’IPNOSI POSSA ESSERE PSICOTERAPIA IN SE’,
          E DEL PERCHE’ – FORSE – LA PSICOTERAPIA SARA’ DI PER SE’ IPNOSI


Ambrogio Pennati
medico psichiatra psicoterapeuta, Milano
VicePresidente AMISI
pennati.ambrogio.md@fastwebnet.it


“se la parola mente significa qualcosa, essa significa ciò che ciascuno sente”
JS Mill


                                  LE EVIDENZE BIOLOGICHE
Come è stato dimostrato nei precedenti lavori, l’ipnosi appare come il dispositivo induttore
di stati modificati di coscienza apparso più tardivamente sulla scena evolutiva dell’homo
sapiens. Esso si basa sulla attivazione dei medesimi circuiti neuronali coinvolti nello
sviluppo del sentimento religioso, del sentimento di appartenenza al gruppo, del
sentimento della coscienza del sé (3, 13, 20, 25, 36, 41, 62); circuiti neuronali attivati da
altri induttori di stati modificati di coscienza quali la danza, la musica, la preghiera, il
digiuno, la attività sessuale ritualizzata, l’uso di droghe sociali, la caccia e l’uccisione
sacrificale, la meditazione, la deprivazione e l’ iperattivazione sensoriale. Tutti questi
dispositivi generano, basandosi sull’attivazione dei neuroni a specchio, una sintonizzazione
emotiva ed affettiva (empatia) che struttura il cosiddetto rapport, evento alla base di ogni
interazione sociale terapeuticamente orientata (16, 21, 27, 61, 62). Infatti,             tutti i
dispositivi citati sopra hanno una - diretta od indiretta - finalità curativa per l’individuo e/o
per la famiglia (relazione fra l’uno e l’altra primariamente      genetica) e/o per il gruppo
(relazione fra l’uno e l’altro variabilmente genetica/memetica) e/o per la comunità
(relazione fra l’uno e l’altra primariamente memetica). Una volta instaurato il rapport è
possibile, per il cervello umano ( soprattutto per i più predisposti, ma non solo) sviluppare
lo stato di trance (caratterizzato da una ipofrontalità transitoria), nel quale si osservano i
fenomeni noti ai medici, agli antropologi, agli studiosi di religione, fenomeni fra i quali
primeggiano l’automatismo ideomotorio, l’utilizzo di una logica fuzzy, modificazioni delle
funzioni mnesiche. In tale contesto lo stato di trance variamente indotto rappresenta il
denominatore comune delle pratiche di guarigione, che, a meno di non invocare oggi
2


interventi ultraterreni, possiamo con i nostri strumenti ritenere fondate sulla attivazione di
moduli di guarigione interna (12, 17, 26, 33, 42, 57).


                              IL PROBLEMA DELLA VALIDAZIONE
L’ipnosi compare sulla scena quando si assiste al passaggio dalle cosiddette chefferiers
(organizzazioni sociali complesse che possono, grosso modo, essere identificate nei ducati
centrati sul ruolo delle città stato) allo stato moderno (14), detentore per via diretta del
monopolio dell’uso legale della forza e contemporaneamente, per via indiretta, del
controllo sociale della sessualità, in particolare femminile, della spiritualità e delle pratiche
terapeutiche (15, 31). Con il passaggio allo stato moderno (che comporta la definitiva
sepoltura della mente bicamerale) viene sempre più delegata ai medici la gestione degli
ammalati, ed i medici operano secondo lo zeigeist, adottando i paradigmi scientifici
dominanti (18). Gassner rappresenta la fase di passaggio dall’uso della trance come
pratica esorcistica a pratica medica, Braid sui campi di battaglia ne constata quasi
sbalordito l’efficacia e quindi la trance ipnotica fa il suo ingresso nell’armamentario
terapeutico socialmente riconosciuto ed accettato. Qui si ha un passaggio chiave: la trance
diventa uno strumento di cura e le procedure che i medici usano per indurla vengono
accomunate nel termine ipnosi (il termine è coniato proprio da Braid) (45). Questo
passaggio avviene in una fase storica in cui il paradigma della dicotomia cartesiana
mente/corpo era dominante, e quello della scientificità intesa come studio dell’oggettività
altrettanto. Da allora poco è cambiato; la medicina era (ed è tuttora) in larga misura
basata su paradigmi newtoniani: relazioni causa-effetto lineari, rispetto del principio di non
contraddizione, accettazione del principio di parsimonia nelle spiegazioni scientifiche, e
così via. All’interno di tale paradigma si hanno vari perfezionamenti, sino alle ultime ( e
forse   all’interno   di   tale   paradigma   non   ulteriormente    perfettibili)   elaborazioni
epistemologiche di Popper, Lakatos, Feyerabend (9). Tutto ciò va bene con la chirurgia,
con la cura delle infezioni, con la grande maggioranza delle malattie degenerative, ma
negli ultimi 20 anni ci si rende sempre più conto che, per quanto agli albori, il paradigma
della complessità, almeno per lo studio delle strutture viventi, sembra più adatto (9, 11).
Certo, come dice Max Planck, i paradigmi cambiano quando muoiono i professori
universitari che li usano; solo allora ne subentrano di nuovi. E si sa che il potere logora chi
non ce l’ha. Quindi i paradigmi sono duri a morire, e lo studio della psicologia, della
psicopatologia, della psichiatria e della psicoterapia ci conferma che tutte queste discipline
3


inseguono il momento della verifica scientifica come Achille che cerca di catturare la
tartaruga, sempre un irriducibile tempuscolo più in là. Il problema, che al di là delle nostre
disquisizioni teoretiche ha anche importanti implicazioni giuridiche, è che le scienze
psicologiche e psichiatriche sono sì scienze naturali, ma della soggettività.
Searle (53) ci insegna che esistono scienze sociali (lo studio dei fenomeni dipendenti
dall’uomo) e scienze naturali (lo studio dei fenomeni indipendenti dall’uomo), ed in queste
ultime colloca le scienze psicologiche e psichiatriche. Queste ultime tuttavia, a differenza
della biologia, della fisica, della astronomia e così via (che sono scienze dell’oggettività)
sono scienze della soggettività.
Searle ci dona una nuova prospettiva di studio: partendo da una critica del dualismo
cartesiano mente-corpo (secondo lui tuttora operante) egli dimostra che l’oggetto
(mente/cervello, che sono la stessa cosa) può essere descritto e studiato tramite ontologie
in 1° persona (dall’interno, si osserva la mente, la coscienza) o in 3° persona (dall’esterno,
si osserva il cervello e la sua fisiologia).
L’approccio di Searle appare incontrovertibile sul piano logico ed epistemico. Esso è
rivoluzionario sul piano metodologico, in quanto evidenzia che gli stati interni sono
indagabili anche con gli attuali paradigmi di riferimento, ma occorre fondare gli studi ad
essi relativi partendo dalla soggettività. Searle evidenzia come scientifico possa ( e debba)
non corrispondere ad oggettivo: lo studio degli stati interni è scientifico ma soggettivo, e ci
dimostra che tutti stiamo ancora affrontando lo studio della mente con strumenti linguistici
e categoriali che risalgono al tardo 1600 (guarda caso periodo di nascita dello stato
moderno). E sempre Searle ci ricorda, ricollegandosi ad uno dei suoi principali ispiratori
(Wittgenstein), che ci costruiamo il mondo esterno che condividiamo con gli altri usando il
linguaggio. Che mondo condividiamo con gli altri (con quali altri?) quando parliamo di
ipnosi? Stiamo forse cercando di esprimere le nostre esperienze ipnotiche personali e/o
cliniche mediante una metodologia che si basa sull’identità scientifico=oggettivo? Se è
così, rischiamo di ripetere il grave errore di Mesmer, che, sicuro di avere a che fare con
fenomeni oggettivi, si sottopose al giudizio della Commissione del re di Francia, composta
da scienziati dell’oggettività, i quali non poterono far altro che demolire le tesi del tapino
magnetista (32, 43, 58).
Perché questa lunga riflessione? Perché, a parere di chi scrive, quando si parla di
psicoterapia si parla di una pratica che per sua natura anela al riconoscimento di uno
status di scientificità, e sembra che la competizione fra le psicoterapie non si basi tanto
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sulle loro costitutiva capacità di curare nel senso più ampio del termine, ma piuttosto sul
fatto che siano più o meno omologabili al modello medico (scientifico-oggettivo) (51).
A parere dello scrivente la trance ipnotica esiste, esistono le procedure per elicitarla, e ciò
è condizione necessaria per definire l’ipnosi una psicoterapia. In base alle definizioni più
recenti ciò potrebbe bastare, anche se altri approcci (51) potrebbero sostenere dire che
questa non è tuttavia condizione anche sufficiente, e che occorre quindi che l’ipnosi
sviluppi un suo proprio modello etiopatogenetico dei disturbi che tratta, come hanno fatto
la psicoanalisi, il cognitivismo, il comportamentismo per citare solo le scuole preminenti.
Ciò allo scopo di formulare diagnosi e prognosi operative. Premettendo che volendo
cercare bene un tale modello per l’ipnosi si può anche trovare (il neodissociazionismo di
Hilgard ed i suoi sviluppi proposti, fra gli altri, da Kihlstrom) (19, 28), bisogna però
chiedersi come venga        sviluppata una teoretica etiopatogenetica: con gli innovativi
approcci di Searle o con le vecchie metodologie? Dalla risposta a questa domanda dipende
se la ricerca della condizione di sufficienza viene soddisfatta coerentemente alla materia di
cui si tratta, la soggettività. È evidente che il cognitivismo ed i comportamentismo hanno
risposto al quesito basandosi su dati prodotti da osservazioni in terza persona
(scientifico=oggettivo), e quindi hanno generato una soluzione non coerente al problema;
il discorso relativo alla psicoanalisi è certamente più fra variegato.
A parere dello scrivente non vi è, allo stato attuale, un sufficiente sviluppo dello studio,
secondo le indicazioni di Searle, dei modelli sviluppati dalle psicoterapie, quindi, almeno in
linea teorica, tutte le psicoterapie di per sé stanno in piedi da sole, per il semplice fatto di
esistere (e quindi di essere state selezionate nella competizione di mercato), come
recepito dal Royal College of Psychiatrist. E ciò, se è vero per altre psicoterapie, è vero
soprattutto per l’ipnosi, la prima delle psicoterapie e la più direttamente correlata
all’esperienza delle trance e del rapport.
Quindi non sussiste allo stato attuale la necessità impellente di soggiacere ad una verifica,
sia essa empirica o teoretica, validazionista. Questa verrà, ci si augura presto, grazie alle
recenti acquisizioni nel campo della visualizzazione e della misurazione degli stati interni
ottenute dalle più recenti tecniche di neuroimaging funzionale (vedi oltre) e da
metodologie statistiche non lineari, più adatte all’analisi dei sistemi complessi (22).
Possiamo, in base a quanto esposto sopra, considerare chi-quadrati, regressioni lineari,
cluster analisyses strumenti quantitativamente inadatti alle misurazione dei fenomeni che
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incontriamo, e epistemicamente inadeguate le metodologie mutuate dalla medicina
classica.
Quindi, l’ipnosi, almeno per ora, è psicoterapia in quanto esiste, è in salute ed è la più
antica fra le psicoterapie; in base alla metodologia searliana ciò può bastare.
I recenti sviluppi della neuropsicologia, supportati sempre di più dalle tecniche di
neuroimaging, ci permettono di avere un’idea sempre più precisa del funzionamento
mentale e degli stati interni. Ad esempio, vi sono studi che riescono a documentare il
grado di empatia che si instaura fra due o più soggetti, le modalità di funzionamento del
cervello mentre la mente compie decisioni importanti in campo etico, morale, valoriale, sul
piano sia individuale che sociale. In estrema sintesi si può dire che una delle più importanti
acquisizioni neuropsicologiche sia la definizione del concetto di teoria della mente (TOM),
intesa come la capacità che gli umani (e probabilmente non solo loro) hanno di
rappresentarsi gli stati mentali del loro simile. Il rapporto di tale funzione, che coinvolge
certamente i lobi frontali anteriori, rappresenta un vantaggio evolutivo che gli uomini
hanno avuto su altre specie, è già stata discussa nei precedenti lavori. Ci si permette
unicamente di ricordare che su di essa si basa la capacità di strutturare rapport e quindi
trance (8, 49).
La validazione neurobiologica, condotta secondo le impostazioni di Searle, certamente
passerà per lo studio della soggettività delle interazioni sociali, fra le quali si colloca
l’evento fattuale dell’esperienza, per il cliente ed il terapeuta, della       psicoterapia; e la
bontà dei diversi approcci psicoterapeutici potrà essere valutata finalmente non in base
alla eleganza (in alcuni casi alla forbitezza, in altri alla ampollosità) dei costrutti linguistici
da esse proposti, ma alla capacità di evocare stati d’animo associati al benessere e, in
taluni casi, al miglioramento sintomatologico. Finalmente l’analisi del processo terapeutico
potrà essere abbinata a quella dell’esito terapeutico. Se tale ipotesi fosse condivisa allora
sarebbe utile potenziare i nostri sforzi non nel produrre nuove metodologie di induzione o
di gestione della trance (a parere dello scrivente un po’ ripetitivi, dato che il lavoro di
Erickson sul piano metodologico non appare ulteriormente perfettibile), quanto piuttosto
nel progettare, insieme ai neuropsicologi ed agli studiosi del funzionamento cerebrale in
vivo, ricerche che valutino gli aspetti soggettivi della trance e le loro relazioni con
l’andamento clinico (56).


                                   IL GUARITORE INTERNO
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Appare evidente che l’obiettivo finale del lavoro ipnotico è l’attivazione dei moduli di
guarigione interna. Tali moduli non sono un’oscura creazione di qualche cultore di
esoterismo, ma delle strutture cerebrali ormai in corso di identificazione: numerosi studi
sui correlati funzionali della risposta al placebo documentano una disattivazione di
strutture sottocorticali, un incremento del funzionamento dopaminergico nelle aree
associate ai meccanismi di rinforzo (nucleo accumbens) (e, viceversa, una riduzione nel
caso di effetto nocebo) attraverso forse la modulazione del release di endorfine. Nello
specifico, si assiste spesso ad una combinazione fra un incremento di attività delle zone
dorsali della corteccia ed un decremento delle strutture limbiche e paralimbiche. Inoltre, è
stata rilevata una attivazione dei sistemi endorfinergici della corteccia del cingolo
anteriore, orbito frontale, ed insulare, del nucleo accumbens, dell’amigdala, della materia
grigia periacqueduttale. Uno di questi lavori ha dimostrato che la responsività al placebo è
predetta dall’attivazione dei sistemi dopaminergici ed endorfinergici del nucleo accumbens.
Tali strutture sembrano attivarsi anche quando un soggetto valuta un potenziale guadagno
od una potenziale perdita di risorse se mette in atto un determinato comportamento in
condizioni di incertezza (5, 6, 40, 44, 52, 54, 60).
Lo studio dei meccanismi alla base della risposta placebo sono solo all’inizio, ma tutte le
ricerche evidenziano l’importanza del setting, delle aspettative, delle suggestioni verbali e
non verbali. Ciò che è evidente è che l’assunzione di placebo è solo un’”inganno” che
permette al soggetto l’attivazione dei moduli di autoguarigione. Qualche autore ha
identificato importanti affinità fra la risposta al placebo e l’ipnosi, tanto da coniare il
termine “hypnobo”, a parere dello scrivente fuorviante perché l’ipnosi, ovviamente, non si
basa – quanto meno consapevolmente - sull’inganno esercitato dal terapeuta che
somministra la pastiglia rosa (24, 30, 35, 50, 59).
Allo studio del fenomeno placebo sarà utile associare una valutazione antropologica dei
casi di guarigione spontanea o ottenuta mediante tecniche “alternative”, esperienze troppo
spesso dimenticate da una medicina troppo condizionata dall’industria farmaceutica.


                                        UNA VISIONE?
Diversi autori stanno pensando alla ipnosi – ripetiamo, procedure riconosciute dalla
comunità medica atte all’induzione di uno stato di trance terapeutica – come allo
strumento principe nella ricerca psicopatologica abbinata alle tecniche di neuroimaging:
essa è stata usata in ricerche relative alla simulazione, al dolore cronico, alla perdita di
7


volizione ed ai disturbi motori, ed anche alle modalità di soluzione dei conflitti interni alle
strutture cerebrali (47, 48, 49).
Gli studi sono agli albori, ma certamente, essendo l’ipnosi una teoria della mente in azione,
l’analisi funzionale e soggettiva degli stati mentali, da Searle posta alla base allo studio
della mente ( e dell’intenzionalità) non potrà prescindere da procedure standardizzate di
induzione di specifici stati della mente analizzabili attraverso tecniche di neuroimaging
dinamiche. Nel caso specifico delle psicoterapie, vi sono dati che evidenziano che i vari
approcci terapeutici (dinamici, cognitivo-comportamentali, interpersonali) hanno in
comune l’attivazione della corteccia anteriore del cingolo, in particolare delle sue
componenti dorsali e rostrali, dato che si ricollega alle osservazioni sui correlati della
trance (4, 12, 46). Si può affermare che i cambiamenti biologici che sopravvengono
durante le psicoterapie, assimilabili allo stato di trance, basati sulle capacità empatiche e
sulle capacità del paziente di narrare, siano condizioni necessarie e sufficienti a permettere
l’attivazione dei moduli interni di guarigione, indipendentemente dal modello teorico di
riferimento. Appare molto probabile che con le tecniche di visualizzazione cerebrale da
poco disponibili si arriverà a delineare uno studio scientifico della soggettività, le cui
applicazioni nell’ambito clinico sono evidenti. Ciò permetterà, fra l’altro, di integrare, con
procedure scientifiche, nel nostro armamentario terapeutico le esperienze di guarigione e
di cambiamento che molte delle            pratiche   orientali   basate sulla   crescita   della
consapevolezza generano (2, 23, 34, 37, 38, 39, 55, 63).
8



                                               BIBLIOGRAFIA


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  • 1. 1 DEL PERCHE’ L’IPNOSI POSSA ESSERE PSICOTERAPIA IN SE’, E DEL PERCHE’ – FORSE – LA PSICOTERAPIA SARA’ DI PER SE’ IPNOSI Ambrogio Pennati medico psichiatra psicoterapeuta, Milano VicePresidente AMISI pennati.ambrogio.md@fastwebnet.it “se la parola mente significa qualcosa, essa significa ciò che ciascuno sente” JS Mill LE EVIDENZE BIOLOGICHE Come è stato dimostrato nei precedenti lavori, l’ipnosi appare come il dispositivo induttore di stati modificati di coscienza apparso più tardivamente sulla scena evolutiva dell’homo sapiens. Esso si basa sulla attivazione dei medesimi circuiti neuronali coinvolti nello sviluppo del sentimento religioso, del sentimento di appartenenza al gruppo, del sentimento della coscienza del sé (3, 13, 20, 25, 36, 41, 62); circuiti neuronali attivati da altri induttori di stati modificati di coscienza quali la danza, la musica, la preghiera, il digiuno, la attività sessuale ritualizzata, l’uso di droghe sociali, la caccia e l’uccisione sacrificale, la meditazione, la deprivazione e l’ iperattivazione sensoriale. Tutti questi dispositivi generano, basandosi sull’attivazione dei neuroni a specchio, una sintonizzazione emotiva ed affettiva (empatia) che struttura il cosiddetto rapport, evento alla base di ogni interazione sociale terapeuticamente orientata (16, 21, 27, 61, 62). Infatti, tutti i dispositivi citati sopra hanno una - diretta od indiretta - finalità curativa per l’individuo e/o per la famiglia (relazione fra l’uno e l’altra primariamente genetica) e/o per il gruppo (relazione fra l’uno e l’altro variabilmente genetica/memetica) e/o per la comunità (relazione fra l’uno e l’altra primariamente memetica). Una volta instaurato il rapport è possibile, per il cervello umano ( soprattutto per i più predisposti, ma non solo) sviluppare lo stato di trance (caratterizzato da una ipofrontalità transitoria), nel quale si osservano i fenomeni noti ai medici, agli antropologi, agli studiosi di religione, fenomeni fra i quali primeggiano l’automatismo ideomotorio, l’utilizzo di una logica fuzzy, modificazioni delle funzioni mnesiche. In tale contesto lo stato di trance variamente indotto rappresenta il denominatore comune delle pratiche di guarigione, che, a meno di non invocare oggi
  • 2. 2 interventi ultraterreni, possiamo con i nostri strumenti ritenere fondate sulla attivazione di moduli di guarigione interna (12, 17, 26, 33, 42, 57). IL PROBLEMA DELLA VALIDAZIONE L’ipnosi compare sulla scena quando si assiste al passaggio dalle cosiddette chefferiers (organizzazioni sociali complesse che possono, grosso modo, essere identificate nei ducati centrati sul ruolo delle città stato) allo stato moderno (14), detentore per via diretta del monopolio dell’uso legale della forza e contemporaneamente, per via indiretta, del controllo sociale della sessualità, in particolare femminile, della spiritualità e delle pratiche terapeutiche (15, 31). Con il passaggio allo stato moderno (che comporta la definitiva sepoltura della mente bicamerale) viene sempre più delegata ai medici la gestione degli ammalati, ed i medici operano secondo lo zeigeist, adottando i paradigmi scientifici dominanti (18). Gassner rappresenta la fase di passaggio dall’uso della trance come pratica esorcistica a pratica medica, Braid sui campi di battaglia ne constata quasi sbalordito l’efficacia e quindi la trance ipnotica fa il suo ingresso nell’armamentario terapeutico socialmente riconosciuto ed accettato. Qui si ha un passaggio chiave: la trance diventa uno strumento di cura e le procedure che i medici usano per indurla vengono accomunate nel termine ipnosi (il termine è coniato proprio da Braid) (45). Questo passaggio avviene in una fase storica in cui il paradigma della dicotomia cartesiana mente/corpo era dominante, e quello della scientificità intesa come studio dell’oggettività altrettanto. Da allora poco è cambiato; la medicina era (ed è tuttora) in larga misura basata su paradigmi newtoniani: relazioni causa-effetto lineari, rispetto del principio di non contraddizione, accettazione del principio di parsimonia nelle spiegazioni scientifiche, e così via. All’interno di tale paradigma si hanno vari perfezionamenti, sino alle ultime ( e forse all’interno di tale paradigma non ulteriormente perfettibili) elaborazioni epistemologiche di Popper, Lakatos, Feyerabend (9). Tutto ciò va bene con la chirurgia, con la cura delle infezioni, con la grande maggioranza delle malattie degenerative, ma negli ultimi 20 anni ci si rende sempre più conto che, per quanto agli albori, il paradigma della complessità, almeno per lo studio delle strutture viventi, sembra più adatto (9, 11). Certo, come dice Max Planck, i paradigmi cambiano quando muoiono i professori universitari che li usano; solo allora ne subentrano di nuovi. E si sa che il potere logora chi non ce l’ha. Quindi i paradigmi sono duri a morire, e lo studio della psicologia, della psicopatologia, della psichiatria e della psicoterapia ci conferma che tutte queste discipline
  • 3. 3 inseguono il momento della verifica scientifica come Achille che cerca di catturare la tartaruga, sempre un irriducibile tempuscolo più in là. Il problema, che al di là delle nostre disquisizioni teoretiche ha anche importanti implicazioni giuridiche, è che le scienze psicologiche e psichiatriche sono sì scienze naturali, ma della soggettività. Searle (53) ci insegna che esistono scienze sociali (lo studio dei fenomeni dipendenti dall’uomo) e scienze naturali (lo studio dei fenomeni indipendenti dall’uomo), ed in queste ultime colloca le scienze psicologiche e psichiatriche. Queste ultime tuttavia, a differenza della biologia, della fisica, della astronomia e così via (che sono scienze dell’oggettività) sono scienze della soggettività. Searle ci dona una nuova prospettiva di studio: partendo da una critica del dualismo cartesiano mente-corpo (secondo lui tuttora operante) egli dimostra che l’oggetto (mente/cervello, che sono la stessa cosa) può essere descritto e studiato tramite ontologie in 1° persona (dall’interno, si osserva la mente, la coscienza) o in 3° persona (dall’esterno, si osserva il cervello e la sua fisiologia). L’approccio di Searle appare incontrovertibile sul piano logico ed epistemico. Esso è rivoluzionario sul piano metodologico, in quanto evidenzia che gli stati interni sono indagabili anche con gli attuali paradigmi di riferimento, ma occorre fondare gli studi ad essi relativi partendo dalla soggettività. Searle evidenzia come scientifico possa ( e debba) non corrispondere ad oggettivo: lo studio degli stati interni è scientifico ma soggettivo, e ci dimostra che tutti stiamo ancora affrontando lo studio della mente con strumenti linguistici e categoriali che risalgono al tardo 1600 (guarda caso periodo di nascita dello stato moderno). E sempre Searle ci ricorda, ricollegandosi ad uno dei suoi principali ispiratori (Wittgenstein), che ci costruiamo il mondo esterno che condividiamo con gli altri usando il linguaggio. Che mondo condividiamo con gli altri (con quali altri?) quando parliamo di ipnosi? Stiamo forse cercando di esprimere le nostre esperienze ipnotiche personali e/o cliniche mediante una metodologia che si basa sull’identità scientifico=oggettivo? Se è così, rischiamo di ripetere il grave errore di Mesmer, che, sicuro di avere a che fare con fenomeni oggettivi, si sottopose al giudizio della Commissione del re di Francia, composta da scienziati dell’oggettività, i quali non poterono far altro che demolire le tesi del tapino magnetista (32, 43, 58). Perché questa lunga riflessione? Perché, a parere di chi scrive, quando si parla di psicoterapia si parla di una pratica che per sua natura anela al riconoscimento di uno status di scientificità, e sembra che la competizione fra le psicoterapie non si basi tanto
  • 4. 4 sulle loro costitutiva capacità di curare nel senso più ampio del termine, ma piuttosto sul fatto che siano più o meno omologabili al modello medico (scientifico-oggettivo) (51). A parere dello scrivente la trance ipnotica esiste, esistono le procedure per elicitarla, e ciò è condizione necessaria per definire l’ipnosi una psicoterapia. In base alle definizioni più recenti ciò potrebbe bastare, anche se altri approcci (51) potrebbero sostenere dire che questa non è tuttavia condizione anche sufficiente, e che occorre quindi che l’ipnosi sviluppi un suo proprio modello etiopatogenetico dei disturbi che tratta, come hanno fatto la psicoanalisi, il cognitivismo, il comportamentismo per citare solo le scuole preminenti. Ciò allo scopo di formulare diagnosi e prognosi operative. Premettendo che volendo cercare bene un tale modello per l’ipnosi si può anche trovare (il neodissociazionismo di Hilgard ed i suoi sviluppi proposti, fra gli altri, da Kihlstrom) (19, 28), bisogna però chiedersi come venga sviluppata una teoretica etiopatogenetica: con gli innovativi approcci di Searle o con le vecchie metodologie? Dalla risposta a questa domanda dipende se la ricerca della condizione di sufficienza viene soddisfatta coerentemente alla materia di cui si tratta, la soggettività. È evidente che il cognitivismo ed i comportamentismo hanno risposto al quesito basandosi su dati prodotti da osservazioni in terza persona (scientifico=oggettivo), e quindi hanno generato una soluzione non coerente al problema; il discorso relativo alla psicoanalisi è certamente più fra variegato. A parere dello scrivente non vi è, allo stato attuale, un sufficiente sviluppo dello studio, secondo le indicazioni di Searle, dei modelli sviluppati dalle psicoterapie, quindi, almeno in linea teorica, tutte le psicoterapie di per sé stanno in piedi da sole, per il semplice fatto di esistere (e quindi di essere state selezionate nella competizione di mercato), come recepito dal Royal College of Psychiatrist. E ciò, se è vero per altre psicoterapie, è vero soprattutto per l’ipnosi, la prima delle psicoterapie e la più direttamente correlata all’esperienza delle trance e del rapport. Quindi non sussiste allo stato attuale la necessità impellente di soggiacere ad una verifica, sia essa empirica o teoretica, validazionista. Questa verrà, ci si augura presto, grazie alle recenti acquisizioni nel campo della visualizzazione e della misurazione degli stati interni ottenute dalle più recenti tecniche di neuroimaging funzionale (vedi oltre) e da metodologie statistiche non lineari, più adatte all’analisi dei sistemi complessi (22). Possiamo, in base a quanto esposto sopra, considerare chi-quadrati, regressioni lineari, cluster analisyses strumenti quantitativamente inadatti alle misurazione dei fenomeni che
  • 5. 5 incontriamo, e epistemicamente inadeguate le metodologie mutuate dalla medicina classica. Quindi, l’ipnosi, almeno per ora, è psicoterapia in quanto esiste, è in salute ed è la più antica fra le psicoterapie; in base alla metodologia searliana ciò può bastare. I recenti sviluppi della neuropsicologia, supportati sempre di più dalle tecniche di neuroimaging, ci permettono di avere un’idea sempre più precisa del funzionamento mentale e degli stati interni. Ad esempio, vi sono studi che riescono a documentare il grado di empatia che si instaura fra due o più soggetti, le modalità di funzionamento del cervello mentre la mente compie decisioni importanti in campo etico, morale, valoriale, sul piano sia individuale che sociale. In estrema sintesi si può dire che una delle più importanti acquisizioni neuropsicologiche sia la definizione del concetto di teoria della mente (TOM), intesa come la capacità che gli umani (e probabilmente non solo loro) hanno di rappresentarsi gli stati mentali del loro simile. Il rapporto di tale funzione, che coinvolge certamente i lobi frontali anteriori, rappresenta un vantaggio evolutivo che gli uomini hanno avuto su altre specie, è già stata discussa nei precedenti lavori. Ci si permette unicamente di ricordare che su di essa si basa la capacità di strutturare rapport e quindi trance (8, 49). La validazione neurobiologica, condotta secondo le impostazioni di Searle, certamente passerà per lo studio della soggettività delle interazioni sociali, fra le quali si colloca l’evento fattuale dell’esperienza, per il cliente ed il terapeuta, della psicoterapia; e la bontà dei diversi approcci psicoterapeutici potrà essere valutata finalmente non in base alla eleganza (in alcuni casi alla forbitezza, in altri alla ampollosità) dei costrutti linguistici da esse proposti, ma alla capacità di evocare stati d’animo associati al benessere e, in taluni casi, al miglioramento sintomatologico. Finalmente l’analisi del processo terapeutico potrà essere abbinata a quella dell’esito terapeutico. Se tale ipotesi fosse condivisa allora sarebbe utile potenziare i nostri sforzi non nel produrre nuove metodologie di induzione o di gestione della trance (a parere dello scrivente un po’ ripetitivi, dato che il lavoro di Erickson sul piano metodologico non appare ulteriormente perfettibile), quanto piuttosto nel progettare, insieme ai neuropsicologi ed agli studiosi del funzionamento cerebrale in vivo, ricerche che valutino gli aspetti soggettivi della trance e le loro relazioni con l’andamento clinico (56). IL GUARITORE INTERNO
  • 6. 6 Appare evidente che l’obiettivo finale del lavoro ipnotico è l’attivazione dei moduli di guarigione interna. Tali moduli non sono un’oscura creazione di qualche cultore di esoterismo, ma delle strutture cerebrali ormai in corso di identificazione: numerosi studi sui correlati funzionali della risposta al placebo documentano una disattivazione di strutture sottocorticali, un incremento del funzionamento dopaminergico nelle aree associate ai meccanismi di rinforzo (nucleo accumbens) (e, viceversa, una riduzione nel caso di effetto nocebo) attraverso forse la modulazione del release di endorfine. Nello specifico, si assiste spesso ad una combinazione fra un incremento di attività delle zone dorsali della corteccia ed un decremento delle strutture limbiche e paralimbiche. Inoltre, è stata rilevata una attivazione dei sistemi endorfinergici della corteccia del cingolo anteriore, orbito frontale, ed insulare, del nucleo accumbens, dell’amigdala, della materia grigia periacqueduttale. Uno di questi lavori ha dimostrato che la responsività al placebo è predetta dall’attivazione dei sistemi dopaminergici ed endorfinergici del nucleo accumbens. Tali strutture sembrano attivarsi anche quando un soggetto valuta un potenziale guadagno od una potenziale perdita di risorse se mette in atto un determinato comportamento in condizioni di incertezza (5, 6, 40, 44, 52, 54, 60). Lo studio dei meccanismi alla base della risposta placebo sono solo all’inizio, ma tutte le ricerche evidenziano l’importanza del setting, delle aspettative, delle suggestioni verbali e non verbali. Ciò che è evidente è che l’assunzione di placebo è solo un’”inganno” che permette al soggetto l’attivazione dei moduli di autoguarigione. Qualche autore ha identificato importanti affinità fra la risposta al placebo e l’ipnosi, tanto da coniare il termine “hypnobo”, a parere dello scrivente fuorviante perché l’ipnosi, ovviamente, non si basa – quanto meno consapevolmente - sull’inganno esercitato dal terapeuta che somministra la pastiglia rosa (24, 30, 35, 50, 59). Allo studio del fenomeno placebo sarà utile associare una valutazione antropologica dei casi di guarigione spontanea o ottenuta mediante tecniche “alternative”, esperienze troppo spesso dimenticate da una medicina troppo condizionata dall’industria farmaceutica. UNA VISIONE? Diversi autori stanno pensando alla ipnosi – ripetiamo, procedure riconosciute dalla comunità medica atte all’induzione di uno stato di trance terapeutica – come allo strumento principe nella ricerca psicopatologica abbinata alle tecniche di neuroimaging: essa è stata usata in ricerche relative alla simulazione, al dolore cronico, alla perdita di
  • 7. 7 volizione ed ai disturbi motori, ed anche alle modalità di soluzione dei conflitti interni alle strutture cerebrali (47, 48, 49). Gli studi sono agli albori, ma certamente, essendo l’ipnosi una teoria della mente in azione, l’analisi funzionale e soggettiva degli stati mentali, da Searle posta alla base allo studio della mente ( e dell’intenzionalità) non potrà prescindere da procedure standardizzate di induzione di specifici stati della mente analizzabili attraverso tecniche di neuroimaging dinamiche. Nel caso specifico delle psicoterapie, vi sono dati che evidenziano che i vari approcci terapeutici (dinamici, cognitivo-comportamentali, interpersonali) hanno in comune l’attivazione della corteccia anteriore del cingolo, in particolare delle sue componenti dorsali e rostrali, dato che si ricollega alle osservazioni sui correlati della trance (4, 12, 46). Si può affermare che i cambiamenti biologici che sopravvengono durante le psicoterapie, assimilabili allo stato di trance, basati sulle capacità empatiche e sulle capacità del paziente di narrare, siano condizioni necessarie e sufficienti a permettere l’attivazione dei moduli interni di guarigione, indipendentemente dal modello teorico di riferimento. Appare molto probabile che con le tecniche di visualizzazione cerebrale da poco disponibili si arriverà a delineare uno studio scientifico della soggettività, le cui applicazioni nell’ambito clinico sono evidenti. Ciò permetterà, fra l’altro, di integrare, con procedure scientifiche, nel nostro armamentario terapeutico le esperienze di guarigione e di cambiamento che molte delle pratiche orientali basate sulla crescita della consapevolezza generano (2, 23, 34, 37, 38, 39, 55, 63).
  • 8. 8 BIBLIOGRAFIA 1. Alladin A, Sabatini L, Amundson JK: What should we mean by empirical validation in hypnotherapy: evidence-based practice in clinical hypnosis. Int J Clin Exp Hypnosis 55, pp 115-30, 2007. 2. Allen NB, Chambers R, Knight W: Mindfulness-based psychotherapies: a review of conceptual foundations, empirical evidence and practical considerations. Aust NZ J Psychiatry, 40 (4), pp 285- 94, 2006. 3. Alper Matthew: The God as part of the Brain. Sourcebook Inc, Naperville, Illinois, 2006. 4. Amundson JK, Nuttgens SA: Strategic eclecticism in hypnotherapy: effectiveness research considerations. Am J Clin Hypnosis 50: 233-45, 2008. 5. Benedetti F, Lanotte M, Lopiano L et al: When words are painful: unraveling the mechanism of the nocebo effect. Neuroscience 147, pp 260-71, 2007. 6. Benedetti F, Mayberg HS, Wager T et al: Neurobiological mechanisms of Placebo Effects. The J of neuroscience, 25 pp 10390-10402, 2005 7. Brown RJ, Oakely DA: Hypnotic susceptibility and holistic/emotional styles of thinking. Contemporary Hypnosis 15 n 2 pp 76-83, 1998. 8. Brune M; Brune-Cohrs U: Theory of mind – evolution, ontogeny, brain mechanism and psychopathology. Neuroscience and Behavioral Reviews XX (2005), pp1-19. 9. Ceruti M, LoVerso G: Epistemologia e psicoterapia. Raffaello Cortina Editore 1998. 10. Chertok L, Stengers I: Il cuore e la ragione. Feltrinelli, Milano, 1989. 11. Ciompi L: I fondamenti emozionali del pensiero. CIC Edizioni Internazionali , Roma, 2002. 12. Corrigan FM: Psychotherapy as assisted homeostasis: activation of emotional processing mediated by the anterior cingulated cortex. Medical Hypotheses 63, 968-73, 2004. 13. Crook JH: Shamans, yogins ad indigenous psychologies. In Dunbar RIM; Barrett L: The Oxford Handbook of Evolutionary Psychology. 14. Diamond J: Armi, acciaio e malattie. Einaudi, Torino, 1997. 15. Diamond J: The Rise and Fall of the Third Chimpanzee. Vintage Editions, London, 1992. 16. Diamond MJ: The interactional basis of hypnotic experience: on the relational dimension of hypnosis. Int J Clin Exp Hypnosis 2:95-115, 1987. 17. Dietrich A: Functional Neuroanatomy of Altered States of Consciousness: the Transient Hypofrontality of Hypothesis. Consciousness and Cognition 12 (2003), 231-56. 18. Dorner K: il borghese e il follle. Laterza, 1975. 19. Eich E, Kihlstrom JF, Bower GH et al (eds): Cognition and Emotion. Oxford University Press, Oxford- New York, 2000. 20. Eliade M: Shamanism: Archaic techniques of ecstasy. Pantheon Book, New York, 1951. 21. Elitzur B: Hypnosis from and Evolutionary Perspective. Eur J clinical Hypnosis, vo7 7, issue 1. 22. Flammer & Bongartz: On the efficacy of Hypnosis: a meta-analytic study. Contemporary Hypnosis 179-97, 2003.
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