Periodico nonviolento calabrese di storia, arte, cultura, politica laica e liberale. Numero speciale dedicato al ruolo del Mezzogiorno nell'Italia unita
Abolire la misera della Calabria n 01/02/03 del 2011
1. www.almcalabria.org
Nel 150°
dell’Italia Unita
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dell’Italia Unita
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Un contributo libero è gradito
Con il contributo della
L'Unità
d'Italia:
nascita della
questione
meridionale
Gli oltraggi
subiti
dalle
popolazioni
meridionali
sono incommensurabili.
Nonostante ciò
non rifarei oggi
la via dell'Italia
meridionale,
temendo di
essere preso a
sassate,
essendosi colà
cagionato solo
squallore
e suscitato solo
odio.
Giuseppe Garibaldi
Generoso cuore,
ferro e libertà
La via calabrese verso
l’Italia Unita
----
I LUOGHI DELLA
GUERRA DEL 1860
IN CALABRIA
>> a Pag. 6 e 7
Le forze d'opposizione ed i
Repubblicani del 1848
>> a Pag. 4
ISSN 2037-3945
Abolire la miseria
della Calabria
Anno V - n°01,02 e 03
Periodico nonviolento di Storia, Arte, Cultura e Politica laica liberale calabrese
Gennaio - Marzo 2011 - Anno V - N. 1, 2 e 3
Con il contributo della
L’Attualità di Giuseppe Mazzini,
Direttore Responsabile: Filippo Curtosi - Direttore Editoriale: Giuseppe Candido
sindacalista socialista a distanza di un secolo e mezzo
di
Maria Elisabetta Curtosi
azzini,
a
ragione, viene
considerato
l’antesignano
del
sindacalismo
nazionale, cioè parliamo di quel sindacalismo che non si esaurisca
nella lotta di classe,
poichè temeva che in
Italia una g uerra di
classe avrebbe prodotto
facilmente una reazione
che avrebbe ritardato
sia la conquista totale
dell’indipendenza
nazionale sia lo sviluppo economico del paese.
Aveva osservato che la
borghesia era diventata
volubile, e l’appoggio
più
costante
gli
proveniva dagli operai,
uno dei motivi che lo
inducevano a denunciare
la divisione provocata dal
comunismo che si traduceva, a suo vedere, in
un espediente illiberale e
oppressivo con cui un
gruppo di intellettuali
intendeva impadronirsi
del potere assoluto sull’intera comunità.
Per Mazzini il comunismo era una “falsa utopia”
ed era certo che un
giorno le classi lavoratrici
si
sarebbero
visti
riconoscere il loro ruolo
di componenti primarie
della società.
Della questione sociale si
è interessato durante
tutto il corso del suo
“apostolato”
che
sostanzialmente consistette
nell’elevazione
M
L’Ottocento, un secolo cruciale
>> Pag 5
Il Sud si sente tradito e depredato da chi avrebbe dovuto sanare le strutture feudali lasciate dai Borboni
di Giovanna Canigiula*
Ottocento è un secolo cruciale
nella storia dell’Italia e della
Calabria ma, val bene ricordarlo, è preparato, sotto la
spinta della rivoluzione
francese, dal triennio 1796-1799, in cui si
gettano le basi di un ritrovato nazionalismo
e si ridefiniscono i termini della vita politica italiana, poiché sono sul tappeto le grandi questioni degli anni a venire: libertà,
democrazia, indipendenza, unità. Agli inizi
del secolo Napoleone, dopo aver creato la
Repubblica Cisalpina, col proclama di
Schoenbrunn dichiara finita la casata borbonica, costringe Ferdinando IV alla fuga
in Sicilia, mette sul trono il fratello
Giuseppe Bonaparte, quindi dà mandato al
generale Massena di occupare il Regno di
Napoli e al generale Reynier di ridurre al
dominio francese una Calabria già prostrata dal violento terremoto del 1783 e dalla
dura repressione, seguita alla breve parentesi della Repubblica partenopea del 1799, ad
opera del cardinale Ruffo, sbarcato a
Reggio in qualità di Vicario Regio.
A Monteleone i francesi sono accolti a braccia aperte, ma il controllo del territorio non
è facile, in quanto le truppe borboniche
hanno l’appoggio di bande di briganti che
ostacolano le comunicazioni, depredano i
villaggi, uccidono. Nel monteleonese il
brigante Bizzarro, a capo di 400 uomini,
mette a dura prova il generale Messana che
L’
chiede inutilmente, con un bando, la resa
pacifica delle armi. La situazione si normalizzerà, infatti, solo dopo la dura repressione
del francese Manhès nel 1810.
Con Gioacchino Murat, salito al trono nel
1806, la Calabria è divisa in due province:
quella Citeriore, con capoluogo Cosenza, e
Luigi Br uz z ano
Monte le one 1838- 1 9 0 2
quella Ulteriore, con capoluogo
Monteleone che, dopo tre secoli, cessa di
essere feudo e diventa, grazie anche alla
posizione strategica, un centro di grande
rilievo.
La fine dell’Età napoleonica e, in Calabria,
della centralità di Monteleone, è segnata dal
congresso di Vienna del 1815, che riconsegna il regno di Napoli a Ferdinando IV, col
titolo di Ferdinando I Re delle due Sicilie.
Inizia, con la Restaurazione, un periodo di
decadenza economica e sociale che dura
fino al 1860 e oltre, come testimonia anche
il vistoso calo della popolazione. Tuttavia, a
dispetto del declino, il fermento culturale e
politico del periodo è intenso. Già alla fine
del Settecento avevano cominciato a circolare, fra gli intellettuali monteleonesi, le
idee liberali della Rivoluzione francese e
della Massoneria che, perseguitata a più
riprese da Carlo III e Ferdinando IV, aveva
attecchito perché auspicava la fine di principati e sacerdozi, in quanto compromissori
della libertà che Dio ha dato all’uomo.
Dopo il 1815, inoltre, si vanno diffondendo in tutta Italia le “vendite carbonare”, col
parziale contributo di quel ceto borghese
che aveva visto ridimensionate, con la caduta di Napoleone, le proprie prerogative.
Senza un reale programma politico, esse
legano la loro vicenda nazionale a quella
>> Pag 2 e 3
2. A b o l i re l a m i s e r i a d e l l a C a l a b r i a
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Speciale 150° dell’Italia Unita
L’Ottocento, un secolo cruciale*
Il Sud si sente tradito e depredato da chi avrebbe dovuto sanare le strutture feudali lasciate dai Borboni
di Giovanna Canigiula
segue dalla prima
che si vede nel resto della regione. Certo, l’istruzione è
ancora per pochi: trascurata dai francesi, è volutamente
negata dai Borboni, secondo cui il popolo non deve
pensare ma è sufficiente che conosca i rudimenti dell’alfabeto. Alle bambine, ad esempio, si richiede essenzialmente di saper lavorare a maglia e di avere una buona
formazione cristiana. E tuttavia, nei primi anni
Quaranta, è attivo un gruppo di giovani di idee liberali,
come Musolino (fondatore a Napoli dei Figli della
Giovane Italia, cui aderisce Luigi Settembrini), Presterà,
Santulli, Morelli, Nicotra, Ammirà, Capialbi, che si riuniscono a casa di Cordopatri o al caffè Minerva.
Falliscono però, e tragicamente, i moti di Cosenza del
1844 e di Reggio del 1847. A Cosenza un giovane
Plutino, reduce dal Comitato centrale di Napoli, aveva
riferito agli aderenti alla Giovane Italia la decisione dei
vari partiti costituzionali e dei repubblicani di Çpiegar
le bandiere di fronte ai vitali interessi della nazioneÈ:
Mazzini, in sostanza, aveva offerto la corona d’Italia a
Carlo Alberto perché guidasse la lotta contro l’Austria e
solo una futura costituente nazionale avrebbe deciso la
forma di governo migliore. La rivolta, scoppiata il 15
marzo del 1844, è subito repressa, ma la notizia non
giunge a Corfù da dove i veneziani Bandiera, ex ufficiali
della marina austriaca, partono per portare il loro aiuto.
Sbarcati a Crotone, guidati da quello che considerano
un profugo politico, in realtà il brigante Meluso, vengono traditi, catturati nei pressi di San Giovanni in
Fiore e condannati a morte.
Il Generale Francesco Stocco
Tre anni dopo, in una Reggio che ritiene maturi i tempi,
uno dei Mille, e un comandante dei volontari calabresi rientrano diversi studenti da Napoli, Palermo, Torino
per fare propaganda rivoluzionaria. Ancora una volta le
violenta: donne, vecchi e bambini vengono torturati decisioni arrivano dal Comitato napoletano di liberperché facciano i nomi degli affiliati alle sette.
azione: l’insurrezione dovrà partire, contemporaneaNé va meglio da Napoli a Torino: i moti del 1820-21, mente, da Cosenza e Palermo. Ma i siciliani non ci stanche non registrano la partecipazione del popolo e nep- no: vogliono la costituzione solo trattando pacificapure delle classi medie, falliscono. Diversi, tuttavia, i cal- mente col re. é un nativo di Santo Stefano
abresi che vi partecipano e, fra questi, il monteleonese d’Aspromonte, Romeo, a decidere: toccherà a Messina e
Michele Morelli che, a Nola, è catturato e subito ucciso. Reggio insorgere per attirare le truppe borboniche in
Delude anche il biennio 1831-33, nonostante la discesa maniera da consentire ai rivoltosi, attraverso la via dei
in campo della borghesia.
monti, di raggiungere Palermo e Napoli. A Messina la
Comincia, così, un periodo di relativa stasi in cui si rivolta è subito sedata. A Santo Stefano d’Aspromonte,
riflette sul fallimento dei moti e si prepara, sotto l’egida benedetta la bandiera dal parroco e accorsi aiuti da tutti
di Mazzini e dei liberali, ora in sintonia ora divergenti, i paesi limitrofi, si insorge al grido di Çviva il re costiuna nuova idea d’Italia. Parole d’ordine: indipendenza, tuzionale, viva la libertàÈ. Ma si perde tempo, a vantagunità, libertà. Strumenti: educazione e insurrezione. gio del generale Nunziante che, da Pizzo, risale via via
Necessità individuata: mobilitazione popolare. A fino a Monteleone e oltre, riuscendo ad accerchiare i rivMonteleone, che conta ormai meno di ottomila abitan- oltosi costretti sui monti: chi non muore, è condannato
ti, gli anni Trenta sono tempo di rinascita: si apre al carcere duro.
l’ospedale civile sui resti dell’antico convento carmeli- E' il 1848 la data cruciale per l’Europa: i popoli si ribeltano, giunge in visita Ferdinando II che promette la lano ai governi assoluti; da una Sicilia che ha anima sepcostruzione di un orfanotrofio e di un istituto agrario, aratista parte l’insurrezione che presto infiamma l’intero
fioriscono attività artigianali e opifici come quello per la napoletano; Venezia e Milano sono teatro di rivolta
lavorazione della seta, lavorano diverse tipografie, è pre- contro gli austriaci. La partecipazione dei calabresi è
sente una scuola pittorica che, aperta nel Seicento, con- grande. Rientra, dopo un esilio di circa trent’anni, quel
tinua a produrre tele su committenza non solo religiosa Guglielmo Pepe che prima aveva combattuto al fianco
ma anche privata.
di Murat contro gli Austriaci e poi partecipato ai moti
Uno svizzero, Didier, nel resoconto del suo viaggio in del 1820. A Reggio gli studenti scendono in piazza.
Calabria, parlerà della Monteleone di questi anni come Ferdinando II, messo alle strette, è costretto a concedere
di un centro che va europeizzandosi, a dispetto di ciò la costituzione, che prevede l’istituzione di una
Commissione dei Pari in cui entrano due
ABOLIRE LA MISERIA DELLA CALABRIA
monteleonesi, Taccone e Gagliardi. L’esempio
w w w. A L M C A L A B R I A . o r g
sarà seguito in Piemonte, in Toscana, a Roma.
periodico nonviolento di storia, arte, cultura e politica laica liberale calabrese Il disaccordo tra re e Parlamento sulla formula
ISSN: 2037-3945 (Testo stampato) 2037-3953 (Testo On Line)
----------------------------------------------------------------------------------- del giuramento, però, induce Ferdinando II a
sciogliere la Camera dei deputati riunita a
Direttore Responsabile: Filippo Curtosi
Monte Oliveto. Il 15 maggio è guerra civile. La
Direttore Editoriale: Giuseppe Candido
notizia raggiunge la Calabria dove i Comitati
Vice Direttori: Giovanna Canigiula, Franco Vallone
----------------------------------------------------------------------------------- per la salute pubblica di numerosi centri insorEditore: Associazione culturale di volontariato
gono. A Cosenza si forma un governo provvi“NON MOLLARE” - Via Ernesto Rossi, 2 - Cessaniti (Vibo Valenza)
sorio che dichiara rotto ogni patto tra il re e il
Reg. Operatori Comunicazione (ROC) 19054 del 04.02.2010
popolo e chiede aiuto ai siciliani nella lotta per
Redazione, amministrazione e impaginazione
V ia Crotone, 24 – 88050 Crop an i (C Z )
l’indipendenza; Catanzaro è in subbuglio; a
Tel/Fa x . 0961 1916348- c el l . 347 8253666
Reggio si vivono ore di attesa; a Sant’Eufemia
e.mail: almcalabria@gmail.com - internet: www.almcalabria.org
d’Aspromonte convergono i patrioti reggini
Stampa: BRU.MAR - V.le dei Normanni, 23/q - CATANZARO
guidati da Plutino, Romeo, Cuzzocrea, Di
Tel.0961.728005 - cell. 320.0955809
------------------------------------------------------------------------------------ Lieto che, con 500 volontari, formano il
Registro Stampa Periodica Tribunale di Catanzaro N°1 del 9 gennaio 2007
------------------------------------------------------------------------------------ Corpo dell’esercito calabro-siculo. Si appelPeriodico partecipativo: la collaborazione è libera a tutti ed è da lano, con volantini, al popolo, “carne venduta
alle voglie di ogni dispotico capriccio”, perché
considerarsi totalmente gratuita e volontaria
Gli articoli riflettono il pensiero degli autori che si assumono la responsabilità di fronte la legge
riprenda in mano il suo destino senza più affiHanno collaborato a questo numero:
darsi al sovrano. A Monteleone la gendarmeria
Giuseppe Candido, Giovanna Canigiula, Filippo Curtosi, Maria Elisabetta Curtosi,
borbonica è disarmata, ma lo sbarco del genProgetto Grafico e impaginazione : Giuseppe Candido
erale Nunziante pone subito fine all’insurQuesto numero è stato chiuso il 17 Marzo 2011 alle ore 17,30
rezione in tutte le province. Ricominciano,
cos“, le trattative.
B U O N
C O M P L E A N N O
I T A L I A !
Il re fissa, per il 15 giungo, i comizi per
europea, sulla base dell’idea che libertà individuale e libertà dei popoli siano incontestabilmente collegate. A
Monteleone sono attive, in questi anni, due “vendite”,
quella della Valle del Mesima e quella della Valle
d’Angitola, vecchi nomi di significativa derivazione
massonica. Il malcontento della popolazione, del resto,
è enorme: le tasse sono esiziali, il commercio è danneggiato dalle imposte doganali, la proprietà rustica è
deprezzata. In Calabria la repressione dei carbonari è
l’elezione dei deputati; il Parlamento inizia i suoi lavori
a luglio ma, l’anno che segue, è denso di tensioni finché,
nel giugno del 1849, sciolto il Parlamento, tolta la coccarda tricolore dalla bandiera bianca, ricomincia l’ondata delle persecuzioni. Si assiste, nei tre anni successivi, a
una serie di processi farsa a danno dei liberali, in cui il
nuovo Procuratore Generale, Morelli, detto la “jena”,
contribuisce alla distorsione dei fatti per favorire le condanne. I ricorsi degli imputati vengono rigettati dalla
Corte Suprema di Napoli e solo la protesta popolare fa
s“ che le condanne siano mitigate: sei su 49 i condannati, con pene da sette a trent’anni.
Nel 1852 Ferdinando II scende di nuovo in Calabria, di
nuovo Monteleone lo ospita, ma il clima resta teso: si
susseguono vendette, persecuzioni, perquisizioni. La
magistratura è sotto pressione, gli studenti sono tenuti
d’occhio. é di questi anni l’arresto del monteleonese
Ammirà che, processato per la sua attività di diffusione
delle idee liberali, è accusato persino di offendere il
buon costume in quanto tiene in casa una copia del
Decameron di Boccaccio. Non è comunque venuta
meno, nonostante le batoste, l’azione dei liberali monteleonesi. Lo stesso re rischia la vita per mano di un calabrese, Agesilao Milano, che, dopo la leva, riuscito con
uno stratagemma ad entrare nel corpo dei Cacciatori,
durante la parata dell’8 dicembre del 1856 a Campo
Capodichino, riesce a raggiungere Ferdinando II e a
colpirlo col calcio del fucile.
Intanto, mentre il dibattito nazionale divide l’ipotesi
mazziniana di una rivoluzione popolare dalla proposta
monarchico-governativa di Cavour, le vicende precipitano e le due soluzioni finiscono col trovare una sintesi.
Nel 1857 fallisce la spedizione a Sapri di Pisacane, che
ha al fianco i calabresi Nicotera e Falcone. Mazzini sacrifica definitivamente l’idea repubblicana alla libertà
degli italiani, i franco-piemontesi combattono contro
gli austriaci, crollano i ducati di Toscana ed Emilia,
nasce il regno dell’Italia del nord.
I successi infiammano il sud: a Reggio, nella bottega di
un barbiere, si radunano a più riprese i rivoltosi.
La spedizione in Sicilia è uno dei momenti chiave dell’unità d’Italia: nel 1859 Francesco II subentra al padre,
fiuta la tristezza dei tempi e si affretta a concedere la costituzione, ma è tardi e tutti lo abbandonano. L’anno successivo Garibaldi sbarca a Marsala, sbaraglia i borbonici,
raggiunge da liberatore Palermo e si appresta ad attraversare la Sicilia mentre a Reggio Calabria sono pronti i
comitati insurrezionali, che arruolano volontari allo
Gioacchino Murat
scopo di formare un campo in Aspromonte. E' l’uomo
giusto, pragmatico e capace di animare il popolo, senza
necessariamente avere lo spessore del maestro Mazzini
poi rinnegato.
La sua impresa aveva messo in moto i calabresi che vivevano a Torino e a Genova e che subito avevano avviato
un’affannosa colletta di soldi ed armi. Da Quarto si
erano imbarcati con lui nove cosentini, sei catanzaresi e
altrettanti reggini. Destinazione Sicilia, dove tuttavia
l’insurrezione era fallita sul nascere. Le tappe del generale erano state trionfali: Calatafimi, Palermo, Milazzo,
Messina. Sotto la guida di Musolino e Plutino, ai calabresi era stato affidato il compito di occupare il forte di
Altafiumara, sullo stretto, per facilitare il passaggio del
generale. Il piano, però, era mutato e i patrioti erano
risaliti sui monti per attirarvi le truppe borboniche della
costa. A San Lorenzo, in duecento e ben accolti dalla
popolazione, il 16 agosto danno il via all’insurrezione e,
il giorno successivo, si ricongiungono con Garibaldi a
Mileto. Intanto, le truppe borboniche di stanza a
3. Speciale 150° dell’Italia Unita
Monteleone sono allertate e, proprio mentre Garibaldi e
Bixio raggiungono Mileto, il generale Ghio prepara la
ritirata a Napoli. Il 21 agosto, dopo aspri scontri, Reggio
è conquistata e a Londra giunge la notizia che il Regno
di Napoli è ormai cancellato dalle carte d’Europa.
Ricomincia la salita. I paesi insorgono. Garibaldi raggiunge una Monteleone sguarnita che lo accoglie trionfalmente e vi sosta, ospite del marchese Gagliardi, dal
balcone del cui palazzo incita la gente venuta ad
ascoltarlo: “Se un popolo risponde al grido di libertà dice - esso è degno d’averla è. Proprio a Monteleone c’era
stato un precipitoso quanto inutile cambio di guardia: il
maresciallo Vial, preoccupato dalle notizie che
giungevano, si era dimesso e da Pizzo, con un migliaio di
soldati, si era imbarcato alla volta di Napoli; il suo successore, il generale Ghio, non aveva potuto far altro che
abbandonare il paese e mettersi in marcia verso Tiriolo.
Ettore Capialbi (1812-1818) Sindaco di Monteleone
Intanto, Catanzaro, Maida, la stessa Tiriolo vengono
liberate. Da Maida Garibaldi chiede aiuto contro le
truppe di Ghio ferme a Soveria Mannelli. Ed è a questo
punto che la storia del poeta e patriota Luigi Bruzzano e
quella della sua terra si intrecciano: il 30 agosto, a
Soveria Mannelli, poco più che ventenne, prende parte
allo scontro tra i garibaldini guidati dal generale Scocco,
che aveva organizzato un suo gruppo, i Cacciatori della
Sila, e i borbonici guidati da Ghio che, vistosi circondato dalle truppe nemiche posizionate sulle alture e
incalzato frontalmente da Garibaldi, si arrende insieme
ai suoi 10.000 uomini. Il resto del tragitto, fino a
Salerno, è un passaggio attraverso rivolte già compiute.
Nella cittadina campana Garibaldi incontra altri due
calabresi, Salazar e Piria, lo stesso che di lì a poco, su
incarico di Cavour, avrebbe preparato il plebiscito in
Calabria. Poi la cronaca: in ottobre, a Teano, il Dittatore
dell’Italia Meridionale consegna a Vittorio Emanuele II
le due Provincie continentali delle Due Sicilie che, come
ratificherà nel documento a sua firma dell’8 novembre
successivo, lo hanno scelto quale loro Sovrano
Costituzionale, unendosi alle altre Province d’Italia, con
1.302.064 di voti a favore e 10.312 contro. Fra i parlamentari del nuovo Regno un monteleonese, Musolino e,
fra i senatori, quel marchese Gagliardi che aveva finanziato l’impresa garibaldina.
Gli ultimi decenni dell’Ottocento sono di grande fermento politico, economico, sociale e culturale in Italia,
ma il Sud da subito arranca. Alla Camera il deputato del
collegio di Melito Porto Salvo, Agostino Plutino,
protesta ripetutamente contro la cattiva amministrazione regia, propensa a “piemontesizzare” i territori
liberati da Garibaldi. Ovunque si chiede Roma capitale,
ma la Francia si oppone e il governo Rattazzi scontenta
tutti. Così Garibaldi, nel 1862, torna in campo, risale da
Palermo verso Napoli ma è fermato e ferito dai Forestali,
sull’Aspromonte, nel corso di uno scontro con i sessanta
battaglioni che, guidati dal generale Cialdini, gli sono
stati mandati contro, mentre a Reggio la Giunta
Municipale, il Consiglio Comunale e gli ufficiali della
Guarda Nazionale si dimettono. Garibaldi ritornerà in
Calabria, ammalato, nel marzo del 1882, per raggiungere Palermo e partecipare alla commemorazione dei
Vespri. Il viaggio in treno è lentissimo: dappertutto,
lungo i binari, folle di calabresi giunte a salutarlo. Il
legame con Reggio è forte, la città non l’ha mai dimenticato, nel decennio successivo alla spedizione gli ha
conferito una medaglia, lo ha eletto presidente onorario
della Società Operaia di Mutuo Soccorso, gli ha mandato un assegno di mille lire annue nel momento in cui lo
ha saputo in difficoltà.
Eppure, masse intere di contadini ridotte in miseria gli
rimproverano di non aver mantenuto la promessa di una
riforma agraria: l’agognata unità ha prodotto un ulteriore arretramento nelle loro condizioni di vita, provo-
A b o l i re l a m i s e r i a d e l l a C a l a b r i a
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cando periodiche insurrezioni e acuendo il fenomeno
del brigantaggio. é un piccolo esercito composito quello
che si ribella, fatto di braccianti esasperati dallo sfruttamento dei latifondisti, dall’eccessiva tassazione, dalla
privatizzazione delle terre demaniali, dalla vendita dei
beni ecclesiastici, dall’obbligo del servizio di leva e poi di
pastori, ex garibaldini, ex soldati dell’esercito borbonico,
malviventi, latitanti: sono, per la gran parte, i “cafoni” di
Salvemini in guerra contro i “galantuomini” locali e l’industrializzazione del nord. La repressione, affidata al
generale Cialdini, è dura: la legge Pica del 1863, che gli
conferisce poteri speciali, consente di colpire non solo i
presunti briganti ma anche parenti e semplici sospettati.
In Calabria, la rottura dell’isolamento ha creato le condizioni per l’avvio di una situazione stabile di marginalità economica. L’apertura di un mercato nazionale e
l’estensione del gravoso sistema fiscale piemontese, grazie alle cinque leggi Bastogi che si sono susseguite tra il
1861 e il 1862, hanno colpito le poche industrie esistenti. Fino alla metà dell’Ottocento, infatti, la regione, nei
territori del cosentino e del marchesato crotonese, produce il 70% della liquirizia consumata sul territorio
nazionale e questo è l’unico prodotto che ancora a fine
secolo riesce ad esportare in Belgio, Gran Bretagna e
Olanda. A Catanzaro, Cosenza e Villa San Giovanni è
stata a lungo attiva la manifattura della lana.
Funzionavano bene i comparti alimentare e meccanico,
la lavorazione di cuoio e pelli, le industrie estrattiva e
metallurgica. Già alla vigilia degli anni Settanta e nel
ventennio successivo cambia tutto: la crisi agraria, conseguenza di un mercato libero che trova le campagne
impreparate a competere con i paesi europei, determina
il crollo di settori trainanti come quello granario e vinicolo; declinano le industrie e le piccole unità produttive
di tipo artigianale; prende il via il fenomeno migratorio,
unico in grado di determinare quel flusso di risorse che
può dare respiro alla bilancia dei pagamenti e consentire,
a molte famiglie, di sottrarsi alla miseria.
Il malumore è enorme: il Sud si sente tradito e depredato da chi avrebbe dovuto sanare le strutture feudali lasciate dai Borboni e, invece, adotta una politica di rapina.
Nessun governo pare realmente interessato alle sorti
della parte più debole e arretrata del paese: è di Depretis
la tassa sul grano, come di un meridionale, Crispi, quella politica protezionistica che va ad intaccare la piccola
coltura vinicola ingrassando le entrate del Nord e i latifondisti del Sud, ben rappresentati in Parlamento e
favoriti da un sistema elettorale che esclude dal diritto di
voto chi non sa leggere e scrivere. Salvemini invoca il
federalismo come unica faticosa via d’uscita; ancora
negli anni Venti del nuovo secolo Gramsci denuncerà il
“patto mostruoso” tra la classe liberale e progressista del
Nord e i latifondisti reazionari del Sud voluto da Crispi
che, alla domanda di terra dei contadini meridionali,
risponde con la facile promessa
delle conquiste coloniali.
Appare lontanissimo quel Nord insieme al quale si è
lottato per l’indipendenza e l’unità.
Lì crescono i poli industriali; si forma un proletariato
industriale con ansie e istanze diverse da quelle degli
operai che, lavorando in fabbriche avvantaggiate dal
protezionismo, godono di miglior trattamento salariale;
cresce una coscienza operaia di classe che avanza le sue
rivendicazioni non più solo attraverso la rete solidale
delle Società Operaie di Mutuo Soccorso ma anche
attraverso l’Associazione Internazionale degli Operai, di
matrice anarchica. Si discute e, nella Milano del 1882, si
giunge alla costituzione del Partito Operaio Italiano,
subito ridotto alla clandestinità dalla parte più conservatrice della borghesia.
E, però, il fiume è inarrestabile: si diffonde il marxismo;
nel 1889 delegati italiani del Partito Operaio partecipano, a Parigi, alla Seconda Internazionale; le diverse
categorie dei lavoratori si organizzano in federazioni; si
costituiscono le prime Camere del Lavoro; nasce a
Genova, nel 1892, il Partito Socialista, che tenta di
mediare tra socialdemocrazia e spinte rivoluzionarie. La
crisi del ’93, che segna un regresso delle condizioni di
vita di operai e contadini, non trova impreparati e, alla
fine degli anni Novanta, sono proprio gli operai a scendere in piazza, da soli e senza grossa organizzazione,
intanto che i socialisti tentano la via della mediazione e
si spaccano. Il secolo si chiude con lo sciopero generale
di Genova.
Diffuso è il pregiudizio, anche in ambiente operaio e
favorito dal riformismo socialista, che l’arretratezza del
Mezzogiorno sia legata all’inferiorità della sua razza.
Quando Gramsci affronterà la questione meridionale individuando nell’alleanza tra la borghesia settentrionale e i grandi proprietari terrieri del sud le ragioni dell’immobilismo semifeudale del Mezzogiorno ridotto,
Pag 3
insieme alle isole, a “colonia di sfruttamento” - inviterà
il proletariato industriale del nord ad allearsi con i contadini del sud e a guidare la lotta per l’emancipazione.
E tuttavia, nei piccoli centri calabresi, sia pure con forte
caratterizzazione locale, non manca il fermento culturale che si respira nel resto del paese. A Monteleone di
Calabria, all’indomani dell’Unità, si succedono come
sindaci gli uomini che avevano guidato idealmente il
rinnovamento, come Cordopatri, Gagliardi e Capialbi;
scrivono e pubblicano figure versatili come Cordopatri,
Morelli, Santulli, Pignatari, Lumini, Morabito,
Ammirà, Marzano, Gasparri, Mele; uno dietro l’altro
vedono la luce diversi fogli periodici, in cui è dato
grande risalto ai problemi locali e alle tradizioni popolari e che meriterebbero maggiore approfondimento:
“La Voce pubblica”, “La Verità”, “La Ghirlanda”,
“Folklore calabrese”, “Cronaca Vibonese”, “Il primo
passo”, l’“Avvenire Vibonese” di Eugenio Scalfari e, dal
1889 al 1902, “La Calabria. Rivista di letteratura popolare” di Bruzzano. Luci e ombre, comunque: il secolo
qui si chiude, infatti, con l’arresto dei fratelli Raho, nella
cui tipografia si stampavano giornali democratici e
socialisti. Muta poco nei primissimi anni del
Novecento.
Ancora fogli e periodici, testate di destra o socialiste,
testimoniano un vivissimo pullulare di idee e interessi.
Bruzzano, che si era dedicato al recupero delle
tradizioni popolari in un momento particolarmente difficile per le masse del sud, muore nel 1902 e la sua cittadina si avvia al ventennio fascista tra alti e bassi.
Vitalità politica e culturale, scavi archeologici e pubblicazioni di grande interesse come quelle di Umberto
Zanotti Bianco e Paolo Orsi, personalità di spicco come
Lombardi Satriani e, poi, l’altra faccia della medaglia,
che racconta il disastro di due terremoti, la miseria e
l’emigrazione, le cattive condizioni igieniche, la malaria.
Gio v a nna C a nig iula
* Intervento tratto da La Calabria, antologia della
rivista di Letteratura popolare diretta da Luigi Bruzzano
a cura di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido,
Città del Sole edizioni
BIBLIOGRAFIA
F.S. Nitti, Eroi e briganti, Longanesi,
Roma-Milano, 1946, pp. 43-44
A. Dito, Storia della massoneria calabrese.
Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria,
Brenner, Cosenza, 1980
Giraldi, Il popolo cosentino e il suo territorio: da ieri a oggi, Pellegrini Editore,
Cosenza, 2003, p. 165 e ss
C. Carlino - G. Floriani, La “Scuola”di
Monteleone. Disegni dal XVII al XIX secolo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2001
A. Borello (a cura di), Cronistoria di Vibo
Valentia. 1830-1899, in “Sistema bibliotecario vibonese”, “Biblioteca digitale”,
2000, p.263 e ss
F. Aliquò Taverriti, La Calabria per la storia d’Italia, “Corriere di Reggio”, Reggio
Calabria, 1960, p. 41 e ss
V. Daniele, Ritardo e crescita in Calabria.
Un’analisi economica, Rubbettino, Soveria
Mannelli, 2005. Dello stesso autore è possibile consultare Una modernizzazione difficile. L’economia della Calabria oggi,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2001.
M. Petrocchi, Le industrie del Regno di
Napoli dal 1850 al 1860, Edizioni R.
Pironti, Napoli, 1955. I
A. Placanica, Storia della Calabria dalle
origini ai nostri giorni, Meridiana libri,
Catanzaro, 1993, p. 348 e ss
G. Salvemini, Il federalismo, in R. Villari (a
cura di), Il Sud nella storia d’Italia, vol. II,
Laterza, Roma-Bari,1977, p. 348 e ss
A. Gramsci, Il Mezzogiorno e la rivoluzione
socialista, in R. Villari (a cura di), op. cit.,
p. 535 e ss. Sullo stesso tema cfr. A. De Viti
De Marco, Il miraggio della Libia, in R.
Villari (a cura di), op. cit., p. 424 e ss
M. Michelino, 1880-1993. Cento anni di
lotte operaie, Edizioni Laboratorio politico,
Napoli, 1993.
N. Colajanni, Per la razza maledetta, in R.
Villari (a cura di), op. cit., p. 431 e ss.
4. A b o l i re l a m i s e r i a d e l l a C a l a b r i a
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Pag 4
Speciale 150° dell’Italia Unita
Le forze d'opposizione ed i Repubblicani del 1848
Riforma significa “preparare le forme d'un ordine nuovo”
C'è bisogno di ristabilire la legalità costituzionale stessa delle nostre Istituzioni. A tutti i livelli
ragione Pierluigi Bersani che, con la
formula della lettera al direttore, si è
rivolto alle forze politiche, sociali e
culturali “responsabili” per chiedere
“l'impegno per una riscossa italiana”.
“Riforma repubblicana e un patto per la crescita”
in estrema sintesi. Ma nel suo intervento il leader
del PD dice molto di più, e con lessico quasi radicale, parla di “riorganizzazione della democrazia
parlamentare”, di un “nuovo patto fondamentale
in campo economico e sociale su terreni fondativi della fiscalità e delle relazioni sociali”.
Giustizia, legge elettorale, welfare. Guardiamo
dunque “oltre” Berlusconi come chiede Bersani e
riferiamoci ai “valori Costituenti”, al nostro patto
fondamentale che però, più volte, è stato già tradito dalla partitocrazia. È stato detto che, nel
1848, l'amore della forma repubblicana fu “causa
di danno alla ricostituzione nazionale”. È vero?
Potrebbe riesserlo oggi? Bisognerebbe rileggere
attentamente e non solo “celebrare” le ragioni di
quei moti che ci portarono ad essere italiani.
Repubblicani e Federalisti possono coesistere?
Certo. Furono repubblicani federalisti uomini
come Altiero Spinelli, Luigi Einaudi, Emilio
Taviani, Ernesto Rossi, Ugo La Malfa e, più di
recente, De Gasperi, Gianfranco Miglio e Pio
XII autore di vari testi nei quali auspicava la
creazione di una federazione europea. Ed ha
ragione da vendere il Presidente Giorgio
Napolitano quando afferma che non celebrare i
150 anni dell'Italia Unita costituirebbe l'indebolimento stesso delle “legittime istanze” di una
Repubblica federata con l'Europa e federale, con
Regioni ed autonomie locali davvero autonome.
“La pratica del federalismo nell'organizzazione
dello Stato”, come si legge a chiare lettere negli
“Scritti inediti” di Silvio Trentin (1885-1944)
(Centro Studi Pietro Gobetti, Guanda editore,
Parma, 1972), personaggio tra i più rappresentativi dell'antifascismo italiano, rappresenta la “sola
possibilità di conciliazione della direzione dell'economia con la salvaguardia della libertà”. Anche
oggi come allora, Riforma significa “preparare le
forme d'un ordine nuovo”. Un nuovo ordine che
sia veramente in grado di conciliare nel suo seno
il soddisfacimento delle esigenze d'una economia
il cui funzionamento esige la direzione unica e la
razionalizzazione, con il rispetto di quel minimo
di libertà individuale il cui godimento soltanto
permette all'individuo d'esprimere e di far valere
i suoi attributi essenziali, non può essere che
questa: autonomia e federalismo”. Anche oggi
come allora, “bisogna restituire allo Stato la sua
costituzione naturale, la sua costituzione pluralistica, articolarlo sui centri vitali quali si sono
spontaneamente creati attraverso il libero e variabile coagularsi delle forze sociali, ordinare il
ritmo della sua esistenza secondo l'apporto continuamente mutevole delle molteplici sorgenti
che concorrono al raggiungimento dei suoi fini
istituzionali”. E non serve certo scambiare la storia con le “smaccate apologie” e “il vero desunto
non dalle narrazioni cortigiane, ma dai fatti e dai
documenti”. È in questo che, durante quel periodo storico, i repubblicani, Mazzini, Cattaneo,
Manin, furono principalmente italiani, “a
Milano, non di mezzo alle barricate di marzo
sollevata la rossa bandiera; a Venezia, la ripie-
Ha
A quattromani
garono, dinanzi alla grande immagine della
patria, conculcata dallo straniero”. E Mazziniani
– si legge in un lettera di Alberto Mario a
Garibaldi - “erano i promotori della insurrezione
di Sicilia, i Mille, 1'esercito meridionale,
Mazziniano è la gioventù, Mazziniano, il popolo,
poiché essere Mazziniano significa volere l'Italia
libera, una, indivisibile”.
Nessuno, allora, parlò di repubblica o monarchia: tutti, di Italia. II “moto” aveva allora carattere nazionale, non politico: non era stretto certo
in rigide oligarchie di partito e ai migliori, ai più
valevoli, era consentito di avere un ruolo. Il Pd, se
vuol proporre la riforma repubblicana e chiedere
l'impegno per la riscossa italiana, dovrebbe oggi
interrogarsi sul perché il suo elettorato
diminuisce mentre giovani e lavoratori non lo
seguono più. Non sono più animati e si allontanano dalla politica sempre più “casta”, sempre
più partitocrazia. Alla richiesta d'impegno per
una riscossa italiana diciamo certamente sì. Ma
nel 1848, ricordiamolo, era “Il grido di Italia”,
soltanto, che echeggiava dalle Alpi all'estremo
mare di Sicilia: i repubblicani volevano, anzi
ogni cosa, la patria. Oggi il potere, la candidatura certa e la poltrona. “Pare certo che in un manifesto a tutte le Corti d'Europa – scriveva il
Cattaneo nel '49 - il re attestasse che, invadendo
il lombardo-veneto, egli intendeva solo d'imAlla vigilia della guerra contro l’Austria
fu diffusa la vignetta di Cavour con la
frase:
“fu, è, e sarà sempre il
nostro buon papà”.
Quell’anno il sovrano piemontese inaugurò i
lavori del Parlamento con le celebri parole:
“Nel mentre che rispettiamo i trattati,
non siamo insensibili al grido di dolore
che da tante parti d’Italia si leva verso
di noi”.
pedire che vi sorgesse una repubblica; la quale
poi di terra in terra, e per mera virtù d'imitazione, avrebbe abbracciata tutta la penisola”.
Anche oggi, la formula della riforma repubblicana potrebbe davvero diffondersi come un virus
benefico per la politica e “risolvere” assieme il
problema atavico della non crescita e della scarsa
produttività del nostro Paese. Ma perché funzioni davvero l'archibugio c'è bisogno di ristabilire la legalità costituzionale stessa delle nostre
Istituzioni. A tutti i livelli. Nel 1889, per ricordare la figura di Mazzini, il Florenzano scrisse del
suo “appello” per “L'Unione dei Partiti Radicali”.
Val al pena rileggerle quelle poche battute. Ciò
che Giuseppe Mazzini scriveva nel 1862 allo
scrittore socialista spagnolo Ferdinando Garrido
sul manifesto che esisteva fra i democratici ed i
socialisti spagnoli a proposito delle cause che
tengono disunite le diverse gradazioni del nostro
partito, possono essere riproposte. Anche oggi,
come allora, la sola differenza è che in Spagna il
manifesto, il patto programmatico, era rivolto fra
pochi socialisti e il partito repubblicano mentre
ora, in Italia, il dissidio è grande perché, come
nella neonata Italia di 150 anni fa, il Partito d'opposizione è diviso in tanti piccoli gruppi, “per
quanti il progresso delle scienze sociali, l'attuale
regime costituzionale, la miseria invadente ed in
proporzione di questa, il malcontento ne hanno
formati”. Ai repubblicani dunque, ai socialisti, ai
comunardi e via dicendo, ai radicali in genere, val
la pena davvero ripetere le parole del Mazzini:
“Havvi un terreno comune abbastanza vasto perché vi possiamo stare tutti uniti”. Anche per noi
“non esiste rivoluzione che sia puramente politica. Ogni rivoluzione deve essere morale e sociale,
nel senso che sia suo scopo la realizzazione di un
progresso decisivo sulle condizioni morali, intellettuali ed economiche della società”. Bersani
scenda in campo dunque e rinnovi il suo partito
dalla base, riformi la sinistra tutta con un patto
repubblicano. E se volessimo davvero “guardare
in faccia i problemi”, se davvero volessimo “cambiare l'agenda del Paese” radicalmente, assieme
alla giustizia pensiamo ad esempio alle carceri,
oggi divenute disumani e anticostituzionali
“nuclei attivi di Shoah” che rimangono tali pure
per le scelte “populiste” del PD che di repubblicano hanno davvero poco.
Carlo Cattaneo (1801 - 1869)
5. A b o l i re l a m i s e r i a d e l l a C a l a b r i a
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L’Attualità di Giuseppe Mazzini sindacalista, socialista
Speciale 150° dell’Italia Unita
Pag 5
<un miglioramento morale in noi stessi a capo di ogni mutamento di ogni grande impresa>
di
Maria Elisabetta Curtosi
segue dalla prima
...morale del popolo perché esso partecipasse con piena coscienza dei suoi doveri e
delle sue funzioni alla rivoluzione italiana
cioè alla conquista dell’unità nazionale e
dell’indipendenza politica fondata sulla
...sua emancipazione morale.
E questo problema fu cosi presente nel suo
spirito che senti il bisogno di esprimerlo in
una specie di testamento ideale, che alla
vigilia della sua morte volle riassumere in
una serie di articoli apparsi su “Roma del
popolo” verso la fine del 1871 appunto
sotto il titolo di “Questione sociale”.
Il modo fondamentale per Giuseppe
Mazzini era < un miglioramento morale in
noi stessi> considerato per lui <a capo di
ogni mutamento di ogni grande impresa >.
E la base di questo miglioramento era per
lui l’istruzione, intesa prima di tutto come
educazione, come elemento morale, come
risveglio di una illuminata coscienza dei
doveri, come missione civile, rafforzata da
istruzione professionale che affinasse le
armi delle classi operaie nella loro
battaglia quotidiana per il programma economico e sociale. Battaglia che, sull’odio
classista predicato da Marx, deve prevalere
l’amore poiché <un germe di comunione e
di amore è più potente a pro di un popolo
abbandonato, che non certo grida di rabbiosa vendetta >.
Per questo, egli postula il riordinamento
del Lavoro e l’associazione come fonda-
Olio su tela (74,8 x 98), Silvestro Lega, 1873 Providence, Museum of Art,
Rhode Island School of Design
<<... Mazzini adunque che per alcuni fu piuttosto un mito che un uomo di polpe
e ossa lo vedi nel quadro di Lega sonnecchiare le ultime ore di febbre adagiato
sul fianco destro e stese le braccia lungo la persona unir le mani che si tengono
insieme. Non una violenza di chiaroscuro, non un valore brillante, lo storico
plaid (era appartenuto a Carlo Cattaneo) a quadretti neri e grigi lo involge alla
vita e lascia scoperta la tradizionale sciarpa nera che cinge il collo, unico e pallido accenno di colore alla estremità del braccio destro e nella camiciola che
esce a contornar la mano con un colore violetto cupo, i capelli radi e grigi quasi
tutti, staccano con finezza sull’ossea fronte vastissima e sul guanciale che gli
sta sotto, il letto coperto di lenzuoli bianchi esce sul davanti del quadretto con
una evidenza grandissima ...>>
Diego Martelli, Giornale artistico, descrizione de “Il Mazzini morente”
mento che garantisca il salario come basa
del mondo economico futuro.
E’ l’invito all’associazione sindacale, all’affratellamento operaio, in cui gli scopi
sociali ed economici s’innestano a quelli
morali , educativi. La definizione sindacale
non ha ancora corso, ma Mazzini ha una
chiarezza sui quelli che saranno i futuri
compiti del sindacato da fare invidia ai più
moderni sindacalisti.
Quindi il sindacato ha una funzione
educativa che dovrebbe essere ancora preminente e sarà ancora di più se supererà la
fase classista in cui ristagna. In altre parole
dovrà restare “la Scuola delle masse” da cui
dovranno venir fuori i degni rappresentanti dei lavoratori assieme ai nuovi istituti
rappresentativi come la Camera del Lavoro
o Consiglio legislativo dell’Economia e del
Lavoro l’attuale C.N.E.L. Già prevede l’istituzione della Magistratura del Lavoro
cioè i “ consigli conciliativi, composti per
metà da padroni per metà da operai, usciti
tutti naturalmente dall’elezione e presieduti da un soggetto capace”.
Perché l’Apostolo sa perfettamente che <<
l’operaio, senza interesse alcuno materiale
o morale nei risultati della produzione,
non dà, in generale , e non quel tanto di
lavoro necessario a rivendicargli il salario
pattuito per cui ha dalla partecipazione
sprone a produrre maggiormente e
meglio>>.
E rivolgendosi alle classi emancipate le
pone di fronte alle loro responsabilità <<
o con voi o contro di voi>> è un ammonimento vecchio di un secolo e mezzo ma
ancora di un’attualità sorprendente.
Ma quel che oggi è preoccupante è che ciò
oltre ad aver lasciato indifferenti quelle
classi sociali a cui era direttamente rivolta,
non è stata capita, nonostante un linguaggio esplicito e chiaro che aveva un solo
obbiettivo: affermare la dignità e i diritti
di tutti i lavoratori per fare diventare una
nazione libera.
Dovrebbero i nostri governanti prendere
esempio da loro, invece di lavorare per
dividere l’Italia e il mondo del lavoro.
Maria Elisabetta Curtosi
Una indegnità centenaria
Monteleone, paese devoto all inerzia e all apatia
Un corsivo al veleno in occasione del centenario garibaldino
l primo centenario garibaldino
trascorse in Monteleone di Calabria,
<<paese devoto all'inerzia e all'apatia>> (oggi la città è conosciuta col
nome di Vibo Valentia) senza un palpito che,
anche fievolmente, accennasse alla sua vita
civile. A ricordarcelo è il Pane! Giornale
socialista “per i senza pane” che, nel numero 3
dell'anno I del 21 luglio 1907, a firma di
Michele Pittò, allora gerente responsabile,
pubblica un'articolo quanto mai attuale.
“Assenteismo ufficiale, meno qualche rara
bandiera monarchica al municipio, alle
caserme, agli uffici fiscali, alle rivendite di
privative, etc. - assenteismo nel popolo, il
quale” - spiegava il giornalista - “ha vissuto
quel sacro giovedì 4 luglio, come vive tutte i
I
A quattromani
giorni dell'anno. Oltre le rare bandiere, pregiavano scarsamente le mura cittadine il manifestone della Massoneria romana e un manifestino anonimo, invitando con libera parola il
popolo ad accorrere in Piazza Minerva per
assistere alla commemorazione dell'eroe.
Eppure Monteleone- ironizza ancora il giornalista – ha una numerosa schiera di massoni, una
numerosissima scolaresca, la quale trova sempre, quando vuole, il tempo per fare delle
dimostrazioni, una società operaia, della quale
fanno parte moltissimi lavoratori, un manipolo
di garibaldini più o meno autentici, una borghesia che si vanta di essere evoluta. Ebbene,
tutte queste forze, negative sempre quando non
si tratti di accompagnare il cadavere di qualche
fratello “trepuntini” al cimitero, di far del chi-
asso per qualche articolo di regolamento scolastico, di gareggiare nelle manifestazioni festaiole per la Madonna di Pompei,per San
Leoluca o per Sant'Antonio, con intervento di
pratori sacri, più o meno celebri pei loro sofismi, socialistoidi a base di religione capitalistica e capestruola, che fa andare in solluccheri
tanti signori con tanto di “aplomb” cittadino.
Oggi queste parole volte alla città calabrese,
viste le numerose polemiche su le celebrazioni
per il 150° dell'Italia Unita, potremmo usarle
per andare oltre le polemiche e sollecitare le
riforme necessarie per mantenere uno stato
unitario, non “centralistico”, ma basato su un
sistema di autonomie locali autenticamente
federale.
6. Pag 6
Generoso cuore, ferro e libertà:
La via calabrese verso l'Italia Unita
alatafimi, Salemi, Alcamo, Monreale,
Palermo passando per il Piano di
Renda. Poi Milazzo dove si combatté
per le strade cittadine finché i regi
borbonici preferirono ritirarsi nella fortezza
dove furono poi costretti alla resa.
Dopo essere sbarcato a Marsala l'11 maggio del
1860, in due mesi e mezzo Garibaldi si era
impadronito dell'Isola. Aveva ripetutamente
sconfitto forze di gran lunga superiori alle sue
per numero e per armamento; aveva provocato
una serie di insurrezioni in tutta la Sicilia rendendola ribelle alla dinastia borbonica ed
offrendo ad essa la libertà. Sbarcato a
Marsala con mille uomini, Garibaldi
disponeva adesso di una forza decuplicata,
ancora numericamente inferiore all'esercito
borbonico ma con una consistenza sufficiente per affrontare la nuova impresa: il
passaggio dello Stretto di Messina e l'avanzata nel territorio continentale del Regno
delle Due Sicilie.
L’impresa dell’unità d’Italia ebbe inizio (dal
1859) con l’unione della Lombardia al
Regno di Sardegna compendosi nel marzo
del 1861, quando a quelle regioni vi furono
congiunte la Sicilia e il Mezzogiorno, le
Marche e l’Umbria, e venne proplacamato il
Regno d’Italia. Al compimento dell’Unità
mancavano ancora il Veneto (1866), Roma e
lo Stato pontificio (1870), la Venezia
Tridentina e la Venezia Giulia (1918)
C
Da Melito Porto Salvo a Soveria Mannelli
Un nuovo contingente di ottomila volontari,
raccolti da Agostino Bertani, era destinato a
sbarcare nello Stato pontificio. Ma il Cavour si
mostrò ostile all'iniziativa e riuscì ad ottenere
dal Bertani che i volontari venissero condotti in
Sardegna e di là in Sicilia da dove sarebbero
stati liberi di muovere verso lo Stato romano.
Lo stesso Bertani, raggiunse Garibaldi a
Messina per invitarlo a recarsi in Sardegna ad
assumere il comando della spedizione contro lo
Stato pontificio. Mentre il Generale
si trovava in navigazione verso la
Sardegna, la notte dell'otto agosto
del 1860 ci fu il primo sbarco sulla
costa calabra: seguendo le disposizioni impartite da Garibaldi, duecento uomini tra i più provati e
ardimentosi furono inviati con agili
scialuppe ad occupare il fortino di
Altafiumara a Villa San Giovanni.
Il calabrese Benedetto Musolino
aveva garantito di essersi accordato
coi sottufficiali del fortino; il drappello era comandato dal Racchetti e
tra i componenti vi erano il
Missori, il Nullo e Alberto Mario,
che da poco aveva raggiunto il
Garibaldi in Sicilia. Ma il tentativo
non ebbe buona riuscita; i sottufficiali non dettero alcuna collaborazione ed il gruppo dovette
desistere e ritirarsi sull'Aspromonte
dove riuscì ad ottenere l'appoggio
di quattrocento volontari calabresi.
Nascevano così i Cacciatori della
Sila.
Lo sbarco in Calabria a Mélito
Porto Salvo
Rientrato dalla Sardegna, Garibaldi
sostò a Palermo da dove ripartì
compiendo il periplo dell'Isola e
raggiungendo il 18 agosto le coste
di Taormina dove ad attenderlo
c'era il Generale Bixio con quasi
quattromila uomini già pronti per la
partenza che avvenne la sera dello
stesso giorno; all'alba del 19 agosto
la spedizione giungeva sulla costa
ionica della Calabria approdando a
Mélito Porto Salvo dove lo sbarco
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ebbe luogo senza conflitti: le navi borboniche
arrivarono ad operazioni concluse accontentandosi di affondare una delle due navi ch'erano
servite per lo sbarco.
Reggio Di Calabria
La strada costiera da Mélito a Reggio fu il
primo tragitto calabrese dei garibaldini che
intanto si erano ricongiunti con il gruppo del
Racchetti e del Missori discesi dall'Aspromonte
a Mélito appena furono avvertiti dell'arrivo di
Garibaldi in Calabria. Reggio, d'altronde, era
stata la prima città della Calabria che, alla
notizia dello sbarco dei Mille a Marsala, aveva
proclamato decaduto il dominio borbonico.
Sbarcato all'alba del 19 agosto a Mélito Porto
Salvo, Garibaldi ordinò subito la marcia su
Reggio presidiata da una nutrita guarnigione
sotto il comando del generale borbonico
Gallotti, il quale, venuto a conoscenza dell'avvicinarsi di Garibaldi, aveva ordinato al
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Colonnello Dusmet di apprestare una linea di
difesa lungo la cerchia esterna della città. La
sera del 20 agosto le camicie rosse aggirarono i
Borboni e penetrarono nell'abitato di Reggio
Calabria dove si accese una sanguinosa
battaglia. Lo stesso comandante borbonico
cadde colpito a morte mentre conduceva i suoi
all'attacco; la forza degli attacchi dei garibaldini e la morte del Dusmet costrinsero i borbonici a rifugiarsi dentro il castello della città dove
aveva preferito restare il Generale Gallotti. Il
castello però venne stretto d'assedio da una
squadra della colonna Missori capitanata
da Alberto Mario e, il 22 d'agosto, il
Gallotti fu costretto anche lui “ad alzare
bandiera bianca”. Per aiutare i Borboni di
Reggio era sopravvenuto, a resa però già
avvenuta, anche il generale Briganti; il
Garibaldi gli andò incontro a Gallico, un
paesino a cinque chilometri a nord di
Reggio, disperdendone le truppe dopo
una breve mischia.
Lo sbarco a Favazzina, frazione di
Villa San Giovanni
Contemporaneamente, durante la notte
tra il 21 e il 22 agosto il Cosenz portava
in territorio calabrese la brigata Assanti e
la compagnia dei volontari francesi; la
nuova spedizione sbarcava a Favazzina,
un paesino di 400 anime, tra Scilla e
Bagnara, a Nord Est di Villa San
Giovanni. Avanzando verso l'interno la
spedizione sosteneva alcuni scontri contro i reparti borbonici dispiegati a presidio di alcune località calabresi. Dopo
aver ributtato alcune truppe borboniche a
Favazzina si dirigeva per Bagnara verso
Solano. Durate uno di questi scontri con
cariche “alla baionetta” cadeva pure il comandante dei volontari francesi De Flotte, “uno di
quegli esseri privilegiati – scriveva Garibaldi –
cui un solo paese non ha diritto di appropriarsi.
Così il Garibaldi teneva le posizioni di Reggio
e Villa San Giovanni mentre il Cosenz quelle
dispiegate tra Villa e Bagnara
Calabra.
I corpi borbonici del generale
Melendez e quelle del generale
Briganti, in vista d'essere accerchiati, si arresero; ma la vera
ragione della mancata resistenza delle truppe di Francesco II
fu il fenomeno della diserzione
che assunse proporzioni enormi
e che, quotidianamente, intaccò
i contingenti borbonici, togliendo ai comandanti la fiducia
delle loro truppe.
Da Reggio di Calabria e
Bagnara
Calabra
a
Monteleone
e
Soveria
Mannelli
Dopo la resa di Reggio (21
...agosto), dispersi i novemila
uomini del Melendez e del
Briganti, Garibaldi proseguì
lungo la costa del Golfo di
Gioia Tauro ed intraprese la sua
rapida marcia verso Nord: il 25
agosto arrivò a Palmi, il 26 a
Nicotera, e il 27 giunse a
Monteleone di Calabria (dal
1928 Vibo Valentia) dove venne
accolto trionfalmente dalla
popolazione che aveva visto il
generale Ghio abbandonare la
città con la sua colonna decimata
dalle
diserzioni.
A
Monteleone molti patrioti calabresi si aggiunsero alle fila di
Garibaldi: Michele Morelli,
Luigi Bruzzano, Vincenzo
Ammirà sono soltanto alcuni
dei
segue a pagina 8
7. I luoghi della guerra* del 1860-1861
Speciale 150° dell’Italia Unita
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Pag 7
in Calabria
ENRICO COSENZ
Litografia C. Perlin - Torino, 1860
CARLO MASSINISSA
PRESTERÀ
(Monteleone di Calabria
1816 - Napoli, 1891)
Mileto (Catanzaro)
Ai due calabresi Musolino e
Plutino era stato dato l’ordine a
dare il via all’insurrezione in
Calabria per facilitare il passaggio
del Generale. Il 17 agosto i rivoltosi si ricongiungono con
Garibaldi e il Bixio a Mileto.
* Da
Il 1860-1861
Nel Centenario
Touring Club Italiano
Milano - MCMLX
8. ABOLIRE
LA MISERIA DELLA
CALABRIA
Un progetto per Non Mollare
Una collana di studi di alto livello scientifico che attingono all'ordine culturale del nostro territorio calabrese
Associazione di volontariato culturale “Non
Mollare” continua a promuovere il recupero delle tradizioni popolari e della cultura calabrese attraverso azioni formative,
informative ed editoriali anche multimediali, volte ad
ampliare la conoscenza e la diffusione delle ricchezze
della nostra regione in Calabria, in Italia e nel Mondo.
Continueremo col pubblicare una collana di studi
di alto volre scientifico che attingono all'ordine culturale del nostro territorio calabrese, con l'intento
di proporre al pubblico le zone meno esplorate del
patrimonio culturale
calabrese e, allo stesso
tempo, di affrontare argomenti di vasta portata
anche su aspetti inediti della storia non solo locale.
L’
Rivolgendoci ai migranti e, nello specifico, al
migrante calabrese, in realtà il progetto culturale
prevede il recupero e la valorizzazione editoriale
delle tradizioni popolari calabresi e non calabresi,
dei migranti di oggi e di ieri, come strumento in
grado di promuovere l'integrazione delle identità
culturali di un popolo e quindi di tutti i popoli.
Il progetto Integrazione delle diversità col recupero
della cultura e delle tradizioni popolari calabresi
prevede l’esecuzione di studi, ricerche, da divulgare
attraverso pubblicazioni anche multimediali e/o
web supportate, secondo lo sviluppo delle seguenti
tematiche: a)Il teatro popolare in Calabria; b) Il
brigantaggio nel decennio francese; c)Emigranti ed
immigrazione: il caso dei libertari calabresi; d)Un
secolo di stampa vibonese: antologia funzionale
delle principali testate calabresi dagli inizi dell'ottocento agli inizi del novecento; e) Saggi su medicina popolare, usanze e credenze. Prevediamo la
stampa di specifiche pubblicazioni, la loro diffusione anche mediante internet e la prosecuzione
della stampa del nostro giornale, Abolire la miseria
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Generoso cuore, ferro e libertà: La via calabrese verso l'Italia Unita
nomi
d
i
intellettuali che seguirono l'eroe
dei due Mondi.
Proveniente da Monteleone,
Garibaldi giunse a Maida (CZ) il
29 agosto venendo accolto, anche
qui, da una popolazione acclamante: Non è tempo di feste, Disse
alla folla da un balcone. I dodicimila uomini comandati dal trucidatore di Pisacane, il generale Ghio,
ci aspettano sull'altopiano di
Soveria .
E così fu: Garibaldi il 29 sera era
arrivato a Tiriolo. Ghio tentò la
ritirata verso Napoli ma, proprio a
Soveria Mannelli, fu raggiunto da
Garibaldi e dai garibaldini.
All'alba del 30 agosto i calabresi
garibaldini, “Cacciatori della
Sila”, comandati dal barone
Francesco Stocco e inviati da
Garibaldi avevano preso posizione
attorno al paese mentre da Tiriolo
segue da pagina 6
Il paese
giungeva l'avanguardia del Cosenz
seguito da Garibaldi e dal suo stato
maggiore.
Dopo un accenno di resistenza,
considerato che i suoi soldati rinunciavano a combattere dandosi
alla fuga, il 30 agosto del 1860
Ghio accettò la resa. All'ingresso
dei Soveria Mannelli, all'epoca dei
fatti cittadina con poco più di
duemilacinquecento abitanti, sorge
oggi un monumento detto
“Colonna Garibaldi” eretto in
ricordo della capitolazione del
corpo borbonico comandato dal
generale Ghio. Esso è realizzato da
un obelisco di bella fattura con trofei bronzei e posato su un basamento a gradini
Tre giorni prima, il 27 d'agosto
anche il generale borbonico
Caldarelli aveva lasciato Cosenza
dove la popolazione, appresa la
notizia della caduta di Reggio di
Calabria (21 agosto), aveva costi-
tuito un governo provvisorio. E
pure a Catanzaro un governo
provvisorio era stato istituito in
città dopo la notizia della presa
della città dello Stretto.
Alla fine dell'agosto 1860,
Garibaldi aveva liberato completamente la Calabria dai Borboni: l'esercito del generale Vial, comandante supremo delle forze borboniche in Calabria, forte di
trentamila uomini, era completamente disfatto. Una piccola parte
di esso aveva ripiegato su Napoli,
ma la maggior parte si era dispersa
con la diserzione e casi di interi
reparti borbonici calabresi che
chiesero di essere arruolati nell'esercito garibaldino.
La situazione era profondamente
mutata: Italiani! Il momento è
supremo.
Già i fratelli nostri combattono lo
straniero nel cuore dell'Italia.
Andiamo ad incontrarli in Roma
per marciare di là insieme alle
venete terre. Tutto ciò che è dover
nostro e diritto, potremo fare se
forti. Armi, dunque, ed armati.
Generoso cuore, ferro e libertà.
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IN MORTE DI BENEDETTO MUSOLINO
ammalato pervertito, trasmodante, e quindi ha bisogno di un medico, di un educatore, di un moderatore
Il 10 novembre del 1885, soltanto quindici anni dopo
la presa di Roma, mentre l'Italia Unita era ancora tutta
da compiere, da costruire, a Pizzo si spegneva
Benedetto Musolino, patriota oltreché senatore del
Regno d'Italia. A ricordarne la figura dalle pagine del
periodico politico-letterario L'Avvenire Vibonese, è
proprio l'Amministratore del giornale Antonino
Scalfari, che siglò l'articolo in prima – quasi una
monografia – sul numero 45 (Anno IV) del 22 novembre 1885, titolandolo col nome del defunto.
BENEDETTO MUSOLINO
Mentre scriviamo, laggiù a Pizzo, a pochi chilometri
da noi, viene trasportata all'ultima dimora la salma di
BENEDETTO MUSOLINO, Senatore del Regno,
Colonnello Brigadiere, e, più che tutto, avanzo glorioso di quella eroica falange, che, colla parola o con
la spada, fra i ceppi dell'ergastolo, o sui campi di
battaglia, sullo sgabello dei Rei di Stato, o sulla
Scranna del Parlamento han dato agl'Italiani il diritto
di avere una Patria.
Oggi é giorno di lutto per noi Calabresi, che in poco
volger di tempo vedemmo sfrondarsi, foglia a foglia
la corona di valentuomini, che da Cosenza a Reggio
mantennero, fra le persecuzioni e gli esili, alta la
bandiera della Redenzione.
Ieri Mauro, Stocco, Plutino, oggi è Benedetto
Musolino che scende nella tomba.
Oggi, innanzi a quell'urna, amici ed avversari delle
idee politiche dello illustre Senatore, s'inchinano riverenti, e nell'animo di tutti vengono spontanei i ricordi della vita intemerata, che non ebbe, che un palpito,
un ideale, l'unità, l'indipendenza, la libertà della
Patria.
Giovinetto ancora, nel 1830 (era nato addì 8 Febbraio
1809) uscito appena da questo Collegio Vibonese
Benedetto Musolino, insofferente di ogni tirannide,
incominciò a cospirare a favore dell'unità Italiana, e
fu costretto ad esulare fuori della Penisola, dove ritornato con più arditi propositi, a Napoli sede di Re e
Ministri efferati, fondò nel 1834 quella Giovane Italia
che a guisa di spira avvolse Popoli e Governi, e fu il
germe, e l'origine delle generose e forti manifestazioni patriottiche. Quella pagina della vita di
Benedetto Musolino non deve, non può essere ignorata dagl'Italiani, giacché d'essa venne indelebilmente
scolpita in quello aureo libro, in cui il Settembrini
raccolse le sue Ricordanze.
Cospiravano perché non sapevano starsi cheti tra gli
oppressi, né mettersi tra gli oppressori, perché rimanersi inerti pareva codardia, ed un giorno la cospirazione fu, per opera di un Giuda, svelata, e punita
con lungo carcere, e nuovi martiri.
Nel 1848, Benedetto Musolino è alla testa della rivoluzione, e quando sembrò, che un patto di alleanza si
era stretto tra Re Ferdinando ed il popolo, egli fu
eletto a rappresentare questo Collegio Elettorale,
nella Camera dei Deputati.
Nella nefasta giornata dei 15 Maggio Musolino é con
gli altri Rappresentanti nel Palazzo di Monteoliveto,
ove rimangono fermi innanzi alle bombe, ed alle
fucilate borboniche, e abbandonano la sala soltanto
quando dai soldati del Nunziante vengono scacciati e
spinti a colpi di baionette.
All'annunzio della strage di Napoli in Calabria gli
sdegni scoppiarono gagliardi, come gagliarda é la
natura delle nostre genti; Cosenza, Catanzaro,
Monteleone si ribellarono contro l'aborrita dominazione, e crearono Governi Provvisori, e da Cosenza
Benedetto Musolino, Ricciardi, Mauro e de Riso pubblicarono un manifesto invitando i Deputati ad unirsi
in quella Città e chiamando le popolazioni a prendere
le armi.
La rivoluzione fu domata e vinta dalle Truppe Regie,
e mentre Benedetto Musolino, dannato nel capo correva, non a cercare uno scampo, ma a combattere a
difesa di Roma, in Pizzo, suo paese natio, i soldati
del Nunziante, reduci, non sai se vinti o vincitori, del
fatale Campo dell'Angitola, mettevano a sacco e
fuoco la sua casa, ed uccidevano barbaramente il vecchio padre, ed il fratello Saverio.
Benedetto Musolino, dal 49 al 60 visse la vita degli
altri, compagni d'esilio, combatté le battaglie per
l'Indipendenza Italiana, seguì Garibaldi in Sicilia, e
primo fra tutti, novello Bruto, sbarcò in Calabria, e
portò la lieta novella della Redenzione alla sua terra
natia.
Terminata la campagna, alla quale Egli prese sempre
parte, incorporato nell'Esercito Italiano col grado di
Colonnello Brigadiere, venne, dal Collegio di
Monteleone eletto, per ben quattro Volte, a suo rappresentante nella Camera dei Deputati. Fu solo nel
1874, che gli Elettori di Monteleone gli vennero
meno.
Ma se gli mancarono i voti, non così l'affetto e la
stima di tutti, anche di quelli che non avevano votato
per lui.
Benedetto Musolino era sempre il Patriotta, il martire
della Redenzione Italiana, l'uomo di tempra antica,
come lo avea chiamato Garnier Pagés, ed il distacco
tra Lui e gli Elettori sembrò la fatale dipartita di un
congiunto, la fine di una epoca leggendaria ed eroica,
che nella prosa della vita, nei giorni del disinganno,
ritorna con dolcezza amara a commuovere l'anima ed
il cuore.
Avrebbesi, prima di un tal giorno, la dimani della
presa di Roma, dovuto dischiudere, all'intemerato
patriotta le porte del Senato, questo Panteon dei veterani della Scienza e della Patria, ma invece egli non
si ebbe la nomina di Senatore, che il 12 Giugno 1881,
dopo aver, per altre due Legislature, rappresentato il
Colleggio di Cittanova.
Però, prima di un tal giorno, Benedetto Musolino si
era ritirato dalla politica militante della Camera, e
ritirandosi avea pronunziato la parola di un nomo
dabbene, che parea, ed era, la parola del commiato.
Il paese- Egli disse - è ammalato pervertito,
trasmodante, e quindi ha bisogno di un medico, di un
educatore, di un moderatore.
È si ridusse, dopo tanta lunga ed intemerata vita, a
Pizzo, ove oggi scende nella tomba fra il compianto
di quanti nel cuore sentono 1'amore della Patria, ed il
rispetto e la venerazione per gli uomini, che l'hanno
creata e resa grande.
Monteleone, 16 Novembre 1885
Antonino Scalfari
(bisnonno del fondatore de la Repubblica)