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Presentazione ilaria Romanazzi 1aocb Con La Collaborazione di: S. Argentieri D.Panico V.Mitrotta
Taranto Taranto
Aspetti Ambientali  Della Città Di  TARANTO Il bacino del Mediterraneo è la culla della civiltà occidentale. Proprio tale “Primogenitura” testimonia il suo rapporto antico e millenario con i popoli rivieraschi che ci hanno preceduto. Negli ultimi anni lo sviluppo industriale e le crescita elevata della popolazione costituiscono gli elementi di maggiore preoccupazione ambientale. La costa italiana,inoltre,ha un’importanza mondiale in quanto territorio di indiscusso interesse culturale e ambientale,ma,al tempo stesso è sede di gravissimi ed inrisolti  problemi di sviluppo e gestione. Taranto e i suoi mari costituiscono non solo l’emblema di una costa ricca e poliedrica sottoposta ad insopportabili pressioni,ma anche l’esempio di risorse su cui gravano e gravitano scelte spesso di indifferenza dei locali ed interessi strategici nazionali ed internazionali.
L’ampio golfo di Taranto posto tra Calabria ad occidente e la penisola salentina ad oriente, termina nella sua parte più settentrionale col Mar Grande,bacino chiuso circoscritto dalle isole Cheradi (San Pietro San Paolo) e da sbarramenti artificiali formati da blocchi di roccia sovrapposti e si spinge entro terra col Mar Piccolo. Tra i mari si colloca la città di Taranto già importante nella Magna Grecia.  Mar Piccolo, Mar Grande &  Citri
Il mar Grande è un’ ampia rada situata nel settore nord orientale del golfo e comunica quasi liberamente connesso tramite un varco tra San Paolo e Capo San Vito,largo circa 1300m e profondo quasi 35 m. La sua forma è quella di un elisse di circa 36 km2 di superficie e racchiude una mossa d’acqua di circa 541 milioni di m3 .
Il mar Piccolo comunica, incassato nell’entroterra,attraverso il canale di porto Napoli,largo circa 25 m e profondo circa 12m. Comprende 2 bacini detti seni,anch’essi di forma ellittica. Il primo seno, quello più esterno, ha una superficie di 8 km2, un perimetro di 12,5km ed un volume di 77 milioni di m3. Il secondo seno comunica con il primo attraverso il canale di Punta Penna-Pizzone, sovrastato dall’omonimo ponte,possiede una superficie di 12,5km2un perimetro di 16km ed un volume di 75 milioni di m3. Il bacino è caratterizzato da fondali di modesta profondità; nel primo seno si riscontra una profondità tra 10 e 12m con un massimo di 14 m il secondo seno presenta fondali tra 6 e 9 m con un massimo di 10m anche se sono presenti delle fosse di 30 m in corrispondenza di alcune sorgenti di acqua sottomarina: icitri .
Il “Mar Piccolo, questo sconosciuto” potrebbe intitolarsi un nuovo libro sullo specchio acqueo che adorna la nostra Città, dopo quelli ad esso dedicati scritti da Pietro Parenzan e Michele Pastore. Ed, in effetti, noi Tarantini siamo abituati a considerare Mar Piccolo una presenza familiare ma tutto sommato secondaria, nel senso che non gli diamo eccessiva importanza, restii a solcarne le acque o a frequentarne le rive. Forse la ragione di ciò sta nella sua attuale condizione ambientale o nell’impietoso giudizio del Parenzan secondo cui “noi che…percorriamo le rive del Mar Piccolo e del Galeso, non vediamo che una costa piatta e giallastra, ornata in diversi punti da pinete artificiali”.
I motivi di questa situazione sembrano però altri, non ultimo il fatto, di cui tante volte si è detto e discusso, che Taranto è sempre alla ricerca di una sua identità e di un suo giusto rapporto con il mare che pure tanto le ha dato. Chissà se in futuro, quando Taranto avrà risolto alcuni dei problemi che la angustiano, il Mar Piccolo sarà riscoperto. Per ora cerchiamo solo di parlarne un po’ di più, cominciando dai citri, le sorgenti d’acqua dolce d’origine carsica che sgorgano numerose e copiose dal suo fondale, il cui nome viene dal greco kutros (pentola).
Il senso traslato del termine, che testimonia una continuità linguistica del dialetto tarantino con l’idioma dei colonizzatori venuti da Sparta, si comprende se si osserva un citro: l’acqua dolce salendo a pressione dalla bocca che si apre sul fondo ribolle in superficie, proprio come in una pentola sul fuoco, formando un cerchio separato dal mare circostante. Certamente i Parteni guidati da Falanto s’insediarono a Taranto anche perché il Mar Piccolo offriva loro le sue ricche risorse naturali. I pesci ed i molluschi dei mari di Taranto costituivano infatti una illimitata riserva alimentare per le popolazioni locali grazie all’ecosistema (in parte conservatosi sino ad oggi) per cui le sorgenti sottomarine di acqua dolce funzionano da regolatore della salinità e della temperatura delle acque facilitando lo sviluppo delle specie marine.
Wuilleumier, autore nel 1939 dell’insuperata opera Taranto: dalle origini alla conquista romana, dice, infatti, che al tempo della Magna Grecia si contavano in Mar Piccolo novantatrè specie di pesci “tra i quali si riconosce, sulle monete antiche, il tonno, l’octopus vulgaris, il labrace, ed il serranus gigas…”. Grazie all’azione dei citri  poté svilupparsi sin dall’antichità quella coltivazione delle cozze e delle ostriche che è tuttora (almeno per quel che riguarda i mitili) la principale fonte di sostentamento di centinaia di cozzaruli che operano in Mar Piccolo.
Il legame tra Taranto ed i suoi citri è stato sempre molto stretto tant’è che, come ricorda Giacinto Peluso (Nei mari di Taranto, Fondazione Ammiraglio Michelagnoli, 2002, 40), essi sono anche stati cantati da Tommaso Niccolò D’Aquino nelle Delizie Tarantine: “Ivi dolce onda, oh meraviglia ! sbocca / Tra '1 salso umor, in cui sarà nutrito / L'eletto seme, e quanto più lo tocca / L'alma sorgiva.... Con questi versi che il Carducci ha tradotto da quelli latini scritti nei 1771 dal D'Aquino; è esposto con quel “dolce onda” in “salso umor”, il fenomeno dei citri, cioè una sorgente di acqua dolce in mezzo al mare. Nel commento che il Carducci fa ai versi del D'Aquino, si legge che oltre al largo contributo di acque dolci che al Mar Piccolo danno i fiumi Galeso, Rasca e Cervaro “undici altre vive sorgenti scaturiscono e scorrono. Ed è certo per questa caratteristica che intorno a queste sorgenti “pascolano i pesci, onde più che altrove vi ingrassano e acquistano un migliore sapore (…)”.
Vari studiosi hanno discusso dell’origine dei citri. I loro pareri sono concordi nell’affermare che, dal punto di vista geologico, i citri sono l’effetto di fenomeni carsici che si verificano nell’altopiano delle Murge: le piogge si raccolgono in bacini sotterranei passando attraverso le rocce calcaree del terreno, per poi essere convogliate in gallerie a pressione sfocianti in crateri sotterranei (profondi sino a 30 mt.) che si aprono sui fondali del Mar Piccolo in prossimità del Galeso, degli ex Cantieri Tosi e nella parte orientale del II Seno. I citri sono anche quelli da cui sgorgano, in terraferma, lo stesso Galeso ed il Cervaro (anche detto fiume dei Battendieri).
Un citro è il famoso grande Anello di San Cataldo, un tempo chiaramente visibile dalla ringhiera nei pressi del molo S. Eligio che erogava più di 300.000 mc. al giorno. Chi si è dedicato di più all’esame dei citri, è Attilio Cerruti, non dimenticato fondatore del glorioso Istituto Talassografico (ora IAMC-CNR, Istituto dell’Ambiente Marino Costiero - Sezione di Taranto, Istituto Sperimentale Talassografico “A. Cerruti”).
Nei suoi articoli (vds. ad esempio, ”Ulteriori notizie sulle sorgenti sottomarine (citri) del Mar Grande e del Mar Piccolo di Taranto e sulla loro eventuale utilizzazione”, Bollettino di Pesca, Piscicoltura e Idrobiologia, Anno XXIV, Vol III, 1, 1948, 5) si legge che “Le sorgenti sottomarine che si osservano nel Mar Grande e nel Mar Piccolo di Taranto, chiamate in dialetto « citre », « uècchje » (occhi) e da taluni « citrelli», hanno sempre attratto l'attenzione degli studiosi del Mar Piccolo esse sono numerose ma, sebbene talune sgorghino da discrete profondità ed eroghino una notevole massa di acqua, soli tuttavia lungi dall'avere l'importanza dell'unica sorgente del Mar Grande, conosciuta col nome di « citre du mare masce (mase) » oppure di «anjèdde de San Catàvede». (…)
Come potei infatti provare, di solito, durante il periodo che va dal novembre ai successivi mesi di febbraio o di marzo (a seconda delle annate), i citri forniscono acque, più calde alle fredde acque del Mar Piccolo; che di solito dal marzo al successivo novembre le acque dei citri contribuiscono - specie nei mesi si più caldi dell'anno - a raffreddare le acque a temperatura elevata del detto mare; e che, infine in novembre ed in febbraio (od in marzo) le loro acque presentano presso a poco la temperatura delle acque del Mar Piccolo. Un citro che eroghi per esempio giornalmente intorno alle 50.000 tonnellate di acqua (e parecchi ne forniscono di più) durante una calda giornata di luglio o di agosto può sottrarre al Mar Piccolo più di 180.000.000 di grandi calorie nello spazio di 24 ore (…).
Il Cerruti, avvalendosi delle informazioni fornitegli da Vincenzo Murianni, un anziano pescatore con cui era in amicizia, individuò due distinti gruppi di citri, collocati rispettivamente a Nord Est del I Seno e del II Seno. Del primo gruppo fanno parte i citri denominati: 1) “du jume” o “du Galèse“ (antistante la foce del Galeso); 2) “Bracceforte”; 3) “ da Ciampa “; 4) “cascine”; 5)“di San Marco”; 6) “de le Curnelècchie (o “Cornelècchie”); 7) “Montecoròne”; 8)“de le Cupezze”; 9) “de l'Occhizzòle”; 10) “du Liopàlo” o “ Leopàlo”; 11)“ uècchie de cavalaria”; 12) “Monteguardiàne” 13)“Acìfica”; 14) C. “Aèdda” o “Àièdda”; 15) “du Citrjèdde”; 16) “Mastuèle”. Appartengono al secondo gruppo i seguenti citri, alcuni dei quali perenni: 1) “de le Copre”; 2) “Calandra”; 3) “Capecanàle”; 4)”di San Francesco”; 5) “Monteoliveto”; 6) “ di San Domenico”; 7) “ di Sant'Agostino”; 8) “mughijùse”; 9) “Masciòne”; 10)“Masciuncièlle”; 11) gruppo dei citri di “San Giorgio”; 12) “Trudde”; 13) “Generale”; 14)“Pitamònte”(…)”.
Prima di morire, nel 1939, il Murianni comunicò a Cerruti la posizione di un ultimo citro da lui individuato e denominato “Cape Triònte”: la vedova del pescatore diede al Professore un foglio su cui n’era stata tracciata la posizione. Sull’effettivo numero di citri esistenti c’è da dire tuttavia che non è possibile avere certezze, poiché alcuni di loro sono attivi solo nei periodi di maggiore piovosità. Rimarchevole è che ricerche condotte nel 1970 dal CNR hanno portato alla scoperta di una vasta caverna subacquea, nei pressi degli ex Cantieri Tosi, dentro la quale sgorga l’acqua “du Citrjèdde” Chi volesse assaggiare l’acqua di un citro che sgorga in Mar Piccolo noterebbe però che essa non è del tutto dolce ma presenta consistenti tracce di salinità: la ragione sta nel fatto che l’acqua di mare si mescola con quella dolce già nel cratere sotterraneo.
Nonostante questo risulti evidente, periodicamente vengono avanzate proposte per captare l’acqua dolce dei citri del Mar Piccolo sin dalle profondità del cratere e convogliarla con tubature a terra per destinarla all’irrigazione o ad usi civili. I progetti non riguardano solo Taranto per il vero ma anche altre località in cui in Mediterraneo esistono sorgenti sottomarine la più grande delle quali, alimentata dalle acque provenienti dal Monte Libano, è avanti alle coste della Siria. Del resto l’impresa francese “Nymphéa Water” ha già realizzato a Mortola, nei pressi di Ventimiglia, un impianto per la captazione delle acque di una sorgente sottomarina (vds. illustrazione tratta da I. Croizeau, “L’emergenza acqua sta toccando il fondo”, Il Venerdì di Repubblica”, 3 ottobre 2003). Non sappiamo se in futuro si riuscirà a far questo a Taranto. Personalmente non lo auspico, perché privare il Mar Piccolo di tutta l’acqua dolce proveniente dai circa trenta citri valutata in più di 1.000.000 di tonnellate giornaliere, vorrebbe dire alterarne e snaturarne irrevocabilmente le caratteristiche. E sicuramente non lo approverebbero né i cozzaruli, né i pescatori locali né, se fosse vivo, il Cerruti che a futura memoria, nel 1948, aveva già detto che “ Taranto farà sempre bene, nell'interesse della molluschicoltura, alla quale e' legato il suo nome, e della pesca, a curare gelosamente che i citri del Mar Piccolo non vengano disturbati per altre ragioni”.
I citri sono sorgenti di acqua dolce che sboccano dalla crosta sottomarina. Rappresentano lo sbocco naturale di quei corsi d'acqua che in epoche assai remote hanno dato origine alle gravine in Puglia, e che scomparsi oggi dalla superficie scorrono in reti idrografiche sotterranee sfociando nel Mar Ionio e nel Mare Adriatico.
  Fenomeni carsici.. Con carsismo si indica l'attività chimica esercitata dall'acqua, soprattutto su rocce calcaree, sia di dissoluzione che di precipitazione. La fase dissolutiva è operata dallo scorrimento superficiale o ipogeo di precipitazioni rese acide dall'anidride carbonica presente nell'atmosfera (vedi reazione 1). La fase costruttiva si ha quando l'acqua sotterranea, arricchita (fino alla saturazione) di carbonato acido di calcio, sfociando per esempio nell'atmosfera di una grotta, lo rilascia sotto forma di carbonato di calcio insolubile. Tale precipitazione è dovuta all'evaporazione dell'acqua e alla contemporanea liberazione della CO2 spostando la reazione (vedi reazione 2) verso il CaCO3. Questo va quindi ad esempio a formare le stalattiti o le stalagmiti a seconda che l'acqua evapori prima di gocciolare sul suolo oppure dopo.Le due fasi (dissolutiva e costruttiva) possono alternarsi all'infinito, a seconda di come varia l'equilibrio della saturazione in H2O della CO2 nella reazione chimica reversibile fondamentale. La parola ha origine dal nome della regione dove inizialmente questo fenomeno è stato studiato, il Carso Triestino. Questa regione si estende grosso modo dal Golfo di Trieste verso nordest fino alla valle del fiume Vipacco (Vipavska dolina, Slovenia) e dal fiume Isonzo verso sudest fino o poco oltre la sorgente del torrente Rosandra. Con il progredire degli studi sul carsismo è diventato evidente che questo tipo di terreno è uno dei più interessanti paesaggi del suolo terrestre. Le varie espressioni del carsismo si distinguono principalmente per il tipo di substrato roccioso sul quale avvengono. In Italia si conoscono principalmente le forme di carsismo su rocce a matrice calcarea e dolomitica, ma altrove esso si manifesta anche in rocce sedimentarie costituite da sale e da gesso. Da recenti studi si è scoperta una particolare forma di attività carsica persino in alcune rocce vulcaniche.
Il processo Il carsismo si sviluppa principalmente a seguito della dissoluzione chimica delle rocce calcaree. Il processo rientra nel grande insieme delle azioni di disgregazione compiute dagli agenti esogeni a spese delle rocce affioranti sulla crosta terrestre. La corrosione avviene per opera delle acque meteoriche che, oltre a contenere una certa quantità di anidride carbonica atmosferica disciolta al loro interno, scorrendo sulla superficie del suolo ed attraversando lo strato superficiale del suolo si arricchiscono ulteriormente di CO2 [1]. Queste acque reagiscono con la roccia calcarea intaccandola lentamente, sia in superficie sia infiltrandosi nel reticolo, fino a dar luogo - nell'arco delle ere geologiche - a veri e propri condotti di dimensioni variabili, che costituiscono i classici acquiferi tipici delle rocce carbonatiche. Infatti le acque ricche di anidride carbonica sono particolarmente aggressive nei confronti del carbonato di calcio. Con il passare del tempo l'acqua piovana, ulteriormente acidificata dall'azione biologica, discioglie la roccia, sia superficialmente che in profondità, infiltrandosi per vie di penetrazione spesso impostate sul linee di frattura o di faglia. I complessi fenomeni chimici di dissoluzione e precipitazione in ambiente carsico possono essere chimicamente così sintetizzati:
Contrariamente al carbonato di calcio (CaCO3) praticamente insolubile, il carbonato acido di calcio (Ca(HCO3)2) si dissocia in acqua in ioni Ca++ e HCO3- che vengono asportati dall'acqua dilavante.Il materiale non disciolto (es. silice e ossidi metallici) vanno a costituire i cosiddetti depositi residuali, sovente associati alle forme carsiche.L'evoluzione del carsismo procede in profondità creando cavità ipogee, arrestandosi solo al contatto con rocce non sottoposte, per contenuto mineralogico, al fenomeno di dissoluzione carsica.Dal punto di vista geochimico vengono interessati dal processo minerali carbonatici quali primariamente la calcite e l'aragonite, ma anche in misura minore la dolomite. Forme di dissoluzione simili, ma che si attuano in modo chimicamente diverso, possono anche formarsi a spese di formazioni gessose e saline; tali forme vengono spesso ricomprese nel fenomeno carsico, anche se a rigore non subiscono il processo di dissoluzione sopra descritto.L'azione corrosiva dipende dalla natura della roccia, dalla temperatura media stagionale e dalla presenza di precipitazioni. Ecco perché i terreni carsici si trovano prevalentemente nella fascia climatica temperata, dove le condizioni atmosferiche sono più favorevoli, sia per le temperature che per la quantità di precipitazioni. All’infuori di questa fascia il carso si trova solo sporadicamente.

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TARANTO

  • 1. Presentazione ilaria Romanazzi 1aocb Con La Collaborazione di: S. Argentieri D.Panico V.Mitrotta
  • 3. Aspetti Ambientali Della Città Di TARANTO Il bacino del Mediterraneo è la culla della civiltà occidentale. Proprio tale “Primogenitura” testimonia il suo rapporto antico e millenario con i popoli rivieraschi che ci hanno preceduto. Negli ultimi anni lo sviluppo industriale e le crescita elevata della popolazione costituiscono gli elementi di maggiore preoccupazione ambientale. La costa italiana,inoltre,ha un’importanza mondiale in quanto territorio di indiscusso interesse culturale e ambientale,ma,al tempo stesso è sede di gravissimi ed inrisolti problemi di sviluppo e gestione. Taranto e i suoi mari costituiscono non solo l’emblema di una costa ricca e poliedrica sottoposta ad insopportabili pressioni,ma anche l’esempio di risorse su cui gravano e gravitano scelte spesso di indifferenza dei locali ed interessi strategici nazionali ed internazionali.
  • 4. L’ampio golfo di Taranto posto tra Calabria ad occidente e la penisola salentina ad oriente, termina nella sua parte più settentrionale col Mar Grande,bacino chiuso circoscritto dalle isole Cheradi (San Pietro San Paolo) e da sbarramenti artificiali formati da blocchi di roccia sovrapposti e si spinge entro terra col Mar Piccolo. Tra i mari si colloca la città di Taranto già importante nella Magna Grecia. Mar Piccolo, Mar Grande & Citri
  • 5. Il mar Grande è un’ ampia rada situata nel settore nord orientale del golfo e comunica quasi liberamente connesso tramite un varco tra San Paolo e Capo San Vito,largo circa 1300m e profondo quasi 35 m. La sua forma è quella di un elisse di circa 36 km2 di superficie e racchiude una mossa d’acqua di circa 541 milioni di m3 .
  • 6. Il mar Piccolo comunica, incassato nell’entroterra,attraverso il canale di porto Napoli,largo circa 25 m e profondo circa 12m. Comprende 2 bacini detti seni,anch’essi di forma ellittica. Il primo seno, quello più esterno, ha una superficie di 8 km2, un perimetro di 12,5km ed un volume di 77 milioni di m3. Il secondo seno comunica con il primo attraverso il canale di Punta Penna-Pizzone, sovrastato dall’omonimo ponte,possiede una superficie di 12,5km2un perimetro di 16km ed un volume di 75 milioni di m3. Il bacino è caratterizzato da fondali di modesta profondità; nel primo seno si riscontra una profondità tra 10 e 12m con un massimo di 14 m il secondo seno presenta fondali tra 6 e 9 m con un massimo di 10m anche se sono presenti delle fosse di 30 m in corrispondenza di alcune sorgenti di acqua sottomarina: icitri .
  • 7. Il “Mar Piccolo, questo sconosciuto” potrebbe intitolarsi un nuovo libro sullo specchio acqueo che adorna la nostra Città, dopo quelli ad esso dedicati scritti da Pietro Parenzan e Michele Pastore. Ed, in effetti, noi Tarantini siamo abituati a considerare Mar Piccolo una presenza familiare ma tutto sommato secondaria, nel senso che non gli diamo eccessiva importanza, restii a solcarne le acque o a frequentarne le rive. Forse la ragione di ciò sta nella sua attuale condizione ambientale o nell’impietoso giudizio del Parenzan secondo cui “noi che…percorriamo le rive del Mar Piccolo e del Galeso, non vediamo che una costa piatta e giallastra, ornata in diversi punti da pinete artificiali”.
  • 8. I motivi di questa situazione sembrano però altri, non ultimo il fatto, di cui tante volte si è detto e discusso, che Taranto è sempre alla ricerca di una sua identità e di un suo giusto rapporto con il mare che pure tanto le ha dato. Chissà se in futuro, quando Taranto avrà risolto alcuni dei problemi che la angustiano, il Mar Piccolo sarà riscoperto. Per ora cerchiamo solo di parlarne un po’ di più, cominciando dai citri, le sorgenti d’acqua dolce d’origine carsica che sgorgano numerose e copiose dal suo fondale, il cui nome viene dal greco kutros (pentola).
  • 9. Il senso traslato del termine, che testimonia una continuità linguistica del dialetto tarantino con l’idioma dei colonizzatori venuti da Sparta, si comprende se si osserva un citro: l’acqua dolce salendo a pressione dalla bocca che si apre sul fondo ribolle in superficie, proprio come in una pentola sul fuoco, formando un cerchio separato dal mare circostante. Certamente i Parteni guidati da Falanto s’insediarono a Taranto anche perché il Mar Piccolo offriva loro le sue ricche risorse naturali. I pesci ed i molluschi dei mari di Taranto costituivano infatti una illimitata riserva alimentare per le popolazioni locali grazie all’ecosistema (in parte conservatosi sino ad oggi) per cui le sorgenti sottomarine di acqua dolce funzionano da regolatore della salinità e della temperatura delle acque facilitando lo sviluppo delle specie marine.
  • 10. Wuilleumier, autore nel 1939 dell’insuperata opera Taranto: dalle origini alla conquista romana, dice, infatti, che al tempo della Magna Grecia si contavano in Mar Piccolo novantatrè specie di pesci “tra i quali si riconosce, sulle monete antiche, il tonno, l’octopus vulgaris, il labrace, ed il serranus gigas…”. Grazie all’azione dei citri poté svilupparsi sin dall’antichità quella coltivazione delle cozze e delle ostriche che è tuttora (almeno per quel che riguarda i mitili) la principale fonte di sostentamento di centinaia di cozzaruli che operano in Mar Piccolo.
  • 11. Il legame tra Taranto ed i suoi citri è stato sempre molto stretto tant’è che, come ricorda Giacinto Peluso (Nei mari di Taranto, Fondazione Ammiraglio Michelagnoli, 2002, 40), essi sono anche stati cantati da Tommaso Niccolò D’Aquino nelle Delizie Tarantine: “Ivi dolce onda, oh meraviglia ! sbocca / Tra '1 salso umor, in cui sarà nutrito / L'eletto seme, e quanto più lo tocca / L'alma sorgiva.... Con questi versi che il Carducci ha tradotto da quelli latini scritti nei 1771 dal D'Aquino; è esposto con quel “dolce onda” in “salso umor”, il fenomeno dei citri, cioè una sorgente di acqua dolce in mezzo al mare. Nel commento che il Carducci fa ai versi del D'Aquino, si legge che oltre al largo contributo di acque dolci che al Mar Piccolo danno i fiumi Galeso, Rasca e Cervaro “undici altre vive sorgenti scaturiscono e scorrono. Ed è certo per questa caratteristica che intorno a queste sorgenti “pascolano i pesci, onde più che altrove vi ingrassano e acquistano un migliore sapore (…)”.
  • 12. Vari studiosi hanno discusso dell’origine dei citri. I loro pareri sono concordi nell’affermare che, dal punto di vista geologico, i citri sono l’effetto di fenomeni carsici che si verificano nell’altopiano delle Murge: le piogge si raccolgono in bacini sotterranei passando attraverso le rocce calcaree del terreno, per poi essere convogliate in gallerie a pressione sfocianti in crateri sotterranei (profondi sino a 30 mt.) che si aprono sui fondali del Mar Piccolo in prossimità del Galeso, degli ex Cantieri Tosi e nella parte orientale del II Seno. I citri sono anche quelli da cui sgorgano, in terraferma, lo stesso Galeso ed il Cervaro (anche detto fiume dei Battendieri).
  • 13. Un citro è il famoso grande Anello di San Cataldo, un tempo chiaramente visibile dalla ringhiera nei pressi del molo S. Eligio che erogava più di 300.000 mc. al giorno. Chi si è dedicato di più all’esame dei citri, è Attilio Cerruti, non dimenticato fondatore del glorioso Istituto Talassografico (ora IAMC-CNR, Istituto dell’Ambiente Marino Costiero - Sezione di Taranto, Istituto Sperimentale Talassografico “A. Cerruti”).
  • 14. Nei suoi articoli (vds. ad esempio, ”Ulteriori notizie sulle sorgenti sottomarine (citri) del Mar Grande e del Mar Piccolo di Taranto e sulla loro eventuale utilizzazione”, Bollettino di Pesca, Piscicoltura e Idrobiologia, Anno XXIV, Vol III, 1, 1948, 5) si legge che “Le sorgenti sottomarine che si osservano nel Mar Grande e nel Mar Piccolo di Taranto, chiamate in dialetto « citre », « uècchje » (occhi) e da taluni « citrelli», hanno sempre attratto l'attenzione degli studiosi del Mar Piccolo esse sono numerose ma, sebbene talune sgorghino da discrete profondità ed eroghino una notevole massa di acqua, soli tuttavia lungi dall'avere l'importanza dell'unica sorgente del Mar Grande, conosciuta col nome di « citre du mare masce (mase) » oppure di «anjèdde de San Catàvede». (…)
  • 15. Come potei infatti provare, di solito, durante il periodo che va dal novembre ai successivi mesi di febbraio o di marzo (a seconda delle annate), i citri forniscono acque, più calde alle fredde acque del Mar Piccolo; che di solito dal marzo al successivo novembre le acque dei citri contribuiscono - specie nei mesi si più caldi dell'anno - a raffreddare le acque a temperatura elevata del detto mare; e che, infine in novembre ed in febbraio (od in marzo) le loro acque presentano presso a poco la temperatura delle acque del Mar Piccolo. Un citro che eroghi per esempio giornalmente intorno alle 50.000 tonnellate di acqua (e parecchi ne forniscono di più) durante una calda giornata di luglio o di agosto può sottrarre al Mar Piccolo più di 180.000.000 di grandi calorie nello spazio di 24 ore (…).
  • 16. Il Cerruti, avvalendosi delle informazioni fornitegli da Vincenzo Murianni, un anziano pescatore con cui era in amicizia, individuò due distinti gruppi di citri, collocati rispettivamente a Nord Est del I Seno e del II Seno. Del primo gruppo fanno parte i citri denominati: 1) “du jume” o “du Galèse“ (antistante la foce del Galeso); 2) “Bracceforte”; 3) “ da Ciampa “; 4) “cascine”; 5)“di San Marco”; 6) “de le Curnelècchie (o “Cornelècchie”); 7) “Montecoròne”; 8)“de le Cupezze”; 9) “de l'Occhizzòle”; 10) “du Liopàlo” o “ Leopàlo”; 11)“ uècchie de cavalaria”; 12) “Monteguardiàne” 13)“Acìfica”; 14) C. “Aèdda” o “Àièdda”; 15) “du Citrjèdde”; 16) “Mastuèle”. Appartengono al secondo gruppo i seguenti citri, alcuni dei quali perenni: 1) “de le Copre”; 2) “Calandra”; 3) “Capecanàle”; 4)”di San Francesco”; 5) “Monteoliveto”; 6) “ di San Domenico”; 7) “ di Sant'Agostino”; 8) “mughijùse”; 9) “Masciòne”; 10)“Masciuncièlle”; 11) gruppo dei citri di “San Giorgio”; 12) “Trudde”; 13) “Generale”; 14)“Pitamònte”(…)”.
  • 17. Prima di morire, nel 1939, il Murianni comunicò a Cerruti la posizione di un ultimo citro da lui individuato e denominato “Cape Triònte”: la vedova del pescatore diede al Professore un foglio su cui n’era stata tracciata la posizione. Sull’effettivo numero di citri esistenti c’è da dire tuttavia che non è possibile avere certezze, poiché alcuni di loro sono attivi solo nei periodi di maggiore piovosità. Rimarchevole è che ricerche condotte nel 1970 dal CNR hanno portato alla scoperta di una vasta caverna subacquea, nei pressi degli ex Cantieri Tosi, dentro la quale sgorga l’acqua “du Citrjèdde” Chi volesse assaggiare l’acqua di un citro che sgorga in Mar Piccolo noterebbe però che essa non è del tutto dolce ma presenta consistenti tracce di salinità: la ragione sta nel fatto che l’acqua di mare si mescola con quella dolce già nel cratere sotterraneo.
  • 18. Nonostante questo risulti evidente, periodicamente vengono avanzate proposte per captare l’acqua dolce dei citri del Mar Piccolo sin dalle profondità del cratere e convogliarla con tubature a terra per destinarla all’irrigazione o ad usi civili. I progetti non riguardano solo Taranto per il vero ma anche altre località in cui in Mediterraneo esistono sorgenti sottomarine la più grande delle quali, alimentata dalle acque provenienti dal Monte Libano, è avanti alle coste della Siria. Del resto l’impresa francese “Nymphéa Water” ha già realizzato a Mortola, nei pressi di Ventimiglia, un impianto per la captazione delle acque di una sorgente sottomarina (vds. illustrazione tratta da I. Croizeau, “L’emergenza acqua sta toccando il fondo”, Il Venerdì di Repubblica”, 3 ottobre 2003). Non sappiamo se in futuro si riuscirà a far questo a Taranto. Personalmente non lo auspico, perché privare il Mar Piccolo di tutta l’acqua dolce proveniente dai circa trenta citri valutata in più di 1.000.000 di tonnellate giornaliere, vorrebbe dire alterarne e snaturarne irrevocabilmente le caratteristiche. E sicuramente non lo approverebbero né i cozzaruli, né i pescatori locali né, se fosse vivo, il Cerruti che a futura memoria, nel 1948, aveva già detto che “ Taranto farà sempre bene, nell'interesse della molluschicoltura, alla quale e' legato il suo nome, e della pesca, a curare gelosamente che i citri del Mar Piccolo non vengano disturbati per altre ragioni”.
  • 19. I citri sono sorgenti di acqua dolce che sboccano dalla crosta sottomarina. Rappresentano lo sbocco naturale di quei corsi d'acqua che in epoche assai remote hanno dato origine alle gravine in Puglia, e che scomparsi oggi dalla superficie scorrono in reti idrografiche sotterranee sfociando nel Mar Ionio e nel Mare Adriatico.
  • 20. Fenomeni carsici.. Con carsismo si indica l'attività chimica esercitata dall'acqua, soprattutto su rocce calcaree, sia di dissoluzione che di precipitazione. La fase dissolutiva è operata dallo scorrimento superficiale o ipogeo di precipitazioni rese acide dall'anidride carbonica presente nell'atmosfera (vedi reazione 1). La fase costruttiva si ha quando l'acqua sotterranea, arricchita (fino alla saturazione) di carbonato acido di calcio, sfociando per esempio nell'atmosfera di una grotta, lo rilascia sotto forma di carbonato di calcio insolubile. Tale precipitazione è dovuta all'evaporazione dell'acqua e alla contemporanea liberazione della CO2 spostando la reazione (vedi reazione 2) verso il CaCO3. Questo va quindi ad esempio a formare le stalattiti o le stalagmiti a seconda che l'acqua evapori prima di gocciolare sul suolo oppure dopo.Le due fasi (dissolutiva e costruttiva) possono alternarsi all'infinito, a seconda di come varia l'equilibrio della saturazione in H2O della CO2 nella reazione chimica reversibile fondamentale. La parola ha origine dal nome della regione dove inizialmente questo fenomeno è stato studiato, il Carso Triestino. Questa regione si estende grosso modo dal Golfo di Trieste verso nordest fino alla valle del fiume Vipacco (Vipavska dolina, Slovenia) e dal fiume Isonzo verso sudest fino o poco oltre la sorgente del torrente Rosandra. Con il progredire degli studi sul carsismo è diventato evidente che questo tipo di terreno è uno dei più interessanti paesaggi del suolo terrestre. Le varie espressioni del carsismo si distinguono principalmente per il tipo di substrato roccioso sul quale avvengono. In Italia si conoscono principalmente le forme di carsismo su rocce a matrice calcarea e dolomitica, ma altrove esso si manifesta anche in rocce sedimentarie costituite da sale e da gesso. Da recenti studi si è scoperta una particolare forma di attività carsica persino in alcune rocce vulcaniche.
  • 21. Il processo Il carsismo si sviluppa principalmente a seguito della dissoluzione chimica delle rocce calcaree. Il processo rientra nel grande insieme delle azioni di disgregazione compiute dagli agenti esogeni a spese delle rocce affioranti sulla crosta terrestre. La corrosione avviene per opera delle acque meteoriche che, oltre a contenere una certa quantità di anidride carbonica atmosferica disciolta al loro interno, scorrendo sulla superficie del suolo ed attraversando lo strato superficiale del suolo si arricchiscono ulteriormente di CO2 [1]. Queste acque reagiscono con la roccia calcarea intaccandola lentamente, sia in superficie sia infiltrandosi nel reticolo, fino a dar luogo - nell'arco delle ere geologiche - a veri e propri condotti di dimensioni variabili, che costituiscono i classici acquiferi tipici delle rocce carbonatiche. Infatti le acque ricche di anidride carbonica sono particolarmente aggressive nei confronti del carbonato di calcio. Con il passare del tempo l'acqua piovana, ulteriormente acidificata dall'azione biologica, discioglie la roccia, sia superficialmente che in profondità, infiltrandosi per vie di penetrazione spesso impostate sul linee di frattura o di faglia. I complessi fenomeni chimici di dissoluzione e precipitazione in ambiente carsico possono essere chimicamente così sintetizzati:
  • 22. Contrariamente al carbonato di calcio (CaCO3) praticamente insolubile, il carbonato acido di calcio (Ca(HCO3)2) si dissocia in acqua in ioni Ca++ e HCO3- che vengono asportati dall'acqua dilavante.Il materiale non disciolto (es. silice e ossidi metallici) vanno a costituire i cosiddetti depositi residuali, sovente associati alle forme carsiche.L'evoluzione del carsismo procede in profondità creando cavità ipogee, arrestandosi solo al contatto con rocce non sottoposte, per contenuto mineralogico, al fenomeno di dissoluzione carsica.Dal punto di vista geochimico vengono interessati dal processo minerali carbonatici quali primariamente la calcite e l'aragonite, ma anche in misura minore la dolomite. Forme di dissoluzione simili, ma che si attuano in modo chimicamente diverso, possono anche formarsi a spese di formazioni gessose e saline; tali forme vengono spesso ricomprese nel fenomeno carsico, anche se a rigore non subiscono il processo di dissoluzione sopra descritto.L'azione corrosiva dipende dalla natura della roccia, dalla temperatura media stagionale e dalla presenza di precipitazioni. Ecco perché i terreni carsici si trovano prevalentemente nella fascia climatica temperata, dove le condizioni atmosferiche sono più favorevoli, sia per le temperature che per la quantità di precipitazioni. All’infuori di questa fascia il carso si trova solo sporadicamente.