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OPERA ARMIDA BARELLI
LEVICO
PROVINCIA AUTONOMA
DI TRENTO
CORSO PER OPERATORE SOCIO-SANITARIO
SEDE DI LEVICO TERME
LA RELAZIONE PROFESSIONALE
DELL’OPERATORE SOCIO SANITARIO
(MODULO GENERALE N.° 3 - UNITA’ DIDATTICA N.° 2)
“Vi sono persone per le quali
la relazione interpersonale e la comunicazione
costituiscono non un fattore occasionale o
facoltativo,
ma il contenuto stesso del loro lavoro;
sono persone per le quali
il rapporto interumano è tutt’uno con l’apporto
professionale
e che quindi non possono
commettere errori nel condurre l’incontro,
perché ciò pregiudicherebbe
il risultato stesso del loro lavoro”
(Colombero).
A.F. 2014 – 2015
Dispensa a cura di: Sandra De Carli
Docente: Sandra De Carli
Data di pubblicazione: 28 ottobre 2014
Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza
- 1 –
LA RELAZIONE PROFESSIONALE
DELL’OPERATORE SOCIO SANITARIO
In questa unità didattica cercheremo di:
 Acquisire conoscenze per mettere in atto una relazione professionale favorevole a creare un
clima di fiducia e consenso:
 ascoltare con attenzione le richieste degli utenti e attivarsi per dare soddisfacimento al loro
bisogno, o riferire a chi di competenza;
 rendere partecipe la persona assistita informandola sulle attività che verranno svolte, anche
se questa sembra non comprendere e partecipare;
 consentire e favorire il diritto di autodeterminazione;
 cogliere le richieste verbali e non;
 utilizzare un linguaggio appropriato tenendo conto delle abilità/difficoltà comunicative
dell’utente;
 tenere conto di fattori fisici e psichici che incidono sulla comunicazione;
 utilizzare la forma di cortesia e presentarsi nel proprio ruolo di operatore;
 fornire informazioni di propria competenza;
 non sostituirsi nelle decisioni.
Affronteremo insieme questi contenuti:
a. cenni alle principali abilità cognitive: la percezione e la memoria e la formazione e
presenza di stereotipi e pregiudizi e la loro implicazione nella relazione con l’altro;
b. i diversi tipi di relazione: relazione sociale, relazione amicale, relazione parentale,
relazione di aiuto, relazione professionale dell’operatore di assistenza
c. caratteristiche della relazione professionale: rapporto di asimmetria, influenza del
contesto
d. atteggiamenti e comportamenti nella relazione professionale
e. la capacità di aiutare: l’aiuto materiale, l’aiuto psicologico, imparare ad aiutare
f. il rapporto operatore utente: osservazione, abilità per un ascolto attivo e suoi requisiti,
modalità di costruzione di un clima di fiducia, contatto empatico, il rispetto dell’altro,
autenticità e spontaneità, promozione dell’autodeterminazione, consenso informato
g. la “distanza” nella relazione operatore - utente
h. il tempo e la sua influenza nella relazione operatore - utente
Infine per ampliare ulteriormente le nostre conoscenze possiamo consultare la bibliografia
Buon lavoro !
Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza
- 2 –
CAPITOLO 1
LA PERCEZIONE
DEFINIZIONE
Atto della coscienza con cui si acquista consapevolezza di un oggetto esterno attraverso
l’interpretazione degli stimoli sensoriali che da esso provengono o mediante un procedimento
intuitivo.
(da IL GRANDE DIZIONARIO GARZANTI della lingua italiana)
Noi siamo continuamente bombardati da messaggi che ci invia il mondo circostante e che
captiamo attraverso organi specializzati: gli organi di senso. Si è soliti dire che l’uomo è dotato di
cinque sensi, mentre in realtà sia essi che le forme di sensibilità sono più numerosi.
1. Nell’orecchio ha sede la sensibilità uditiva, grazie alla quale si possono distinguere i suoni e i
rumori anche in base all’intensità (suono forte o debole), all’altezza (suono acuto o grave) e al
timbro.
2. Nell’occhio ha sede la sensibilità visiva.
3. Nella mucosa orale e specificamente sulla lingua ha sede il gusto, con la capacità di distinguere
i quattro sapori fondamentali: amaro, dolce, acido e salato.
4. Nel naso ha sede l’odorato o olfatto, che permette di cogliere gli odori presenti nell’ambiente.
5. La cute, in modo più o meno concentrato, è sede della sensibilità cutanea nelle sue
differenziazioni:
 sensazioni tattili, che si verificano quando tocchiamo qualcosa;
 sensazioni termiche, che ci permettono di avvertire il caldo e il freddo;
 sensazioni dolorose.
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- 3 –
6. Altre forme di sensibilità sono la cinestesia e la sensibilità interna ed organica, cioè i sensi
della posizione e del movimento che ci permettono di coordinare le nostre azioni in rapporto a
determinate situazioni. Questi sensi si integrano con quello dell’equilibrio, che ha sede
nell’orecchio interno.
7. I sensi interni sono quelli che ci informano sulle condizioni del nostro corpo e sulle sue
necessità. Per mezzo loro avvertiamo i crampi della fame, il desiderio di bere, la stanchezza dei
muscoli, lo stato di malessere e quello di rilassatezza.
Ciò potrebbe portarci a credere che con i sensi siamo in grado di afferrare tutta la realtà. Invece
ci sono stimoli che passano inosservati al nostro apparato ricettore, o perché è impossibile per
l’uomo percepirli (pensiamo alle luci infrarosse) o perché devono raggiungere una certa intensità
per essere avvertiti.
La quantità di stimolazione necessaria a provocare la reazione viene chiamata soglia. La soglia
è assoluta quando uno stimolo raggiunge l’intensità minima per essere percepito. Nel caso di un
rumore è la quantità di stimolazione necessaria per passare dal silenzio alla percezione. La soglia
differenziale indica la differenza di intensità minima percepibile tra due stimoli. E’ difficile
percepire la differenza di intensità di luce se a cento candele se ne aggiunge una, mentre si coglie la
differenza se si accende una seconda candela là dove ce n’è una sola.
L’ATTENZIONE
E’ impossibile, vista l’enorme quantità di stimoli che ci circonda, poter percepire tutti gli aspetti
della realtà allo stesso modo e nello stesso momento. L’attenzione è quel processo mentale per cui
la nostra coscienza riceve solamente alcuni aspetti della realtà che ci circonda, mentre altri restano
in secondo piano o vengono completamente trascurati.
L’attenzione viene generalmente distinta in attenzione volontaria e attenzione involontaria.
Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza
- 4 –
L’attenzione volontaria è quella che il soggetto dedica coscientemente a qualcosa che suscita
il suo interesse. Essa dipende quindi dalla disposizione interna del soggetto. Può però accadere che
siano le cose stesse ad attirare la nostra attenzione, indipendentemente dalla nostra volontà. Si ha
allora l’attenzione involontaria, che viene imposta al soggetto dalle caratteristiche proprie dello
stimolo. Basti pensare alla pubblicità.
La caratteristica che lo stimolo deve avere, per attirare su di sé la nostra attenzione è data da
cinque fattori fondamentali:
1. L’intensità: una luce viva attirerà di più l’attenzione di una luce debole, così come un suono
acuto sarà più distinguibile di un brusio omogeneo;
2. La subitaneità: uno scoppio improvviso ci colpisce senz’altro di più del rumore di fondo del
mare in tempesta;
3. La novità: la persona vestita in modo insolito è quella che, in un gruppo, attrae per prima la
nostra attenzione; il cambiare argomento può servire ad interrompere la monotonia dello studio
o di un discorso;
4. L’intermittenza: uno stimolo, per quanto forte, se è continuo, rischia di non essere più
avvertito. Se interrompe e riprende regolarmente, viene senz’altro notato;
5. L’aderenza ai nostri bisogni: siamo molto più sensibili al suono della campanella che annuncia
la fine della lezione quando siamo stanchi, anziché quando siamo completamente coinvolti dalla
lezione che ci interessa. Se una persona è importante per me, sarò molto più sensibile ai suoi
comportamenti, all’espressione del suo viso e in genere all’insieme di tutti quei segnali che mi
fa pervenire.
E’ attraverso la PERCEZIONE che noi prendiamo contatto con il mondo che ci circonda. E’ il
mezzo con cui noi riceviamo le infinite informazioni che ci provengono dal mondo e che - spesso
inconsapevolmente - usiamo per regolarci e adattarci alla realtà presente.
Si tratta di un processo di selezione e di organizzazione.
Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza
- 5 –
Studiosi della percezione (gestaltisti: da gestaltforma) hanno individuato alcuni principi
generali della percezione, in particolar modo sul tipo di organizzazione degli elementi che facilitano
la percezione.
LEGGI DELL’ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA
“E’ raro che le persone abbiano sensazioni isolate. Le nostre menti organizzano costantemente
l’attività sensoriale in modo da percepire cose. Complesse sequenze di stimoli uditivi sono percepite
come parole; complesse configurazioni di stimoli visivi sono viste come persone, automobili, o
parole stampate.
Buona parte della nostra capacità di strutturare complesse configurazioni di attività sensoriale in
forme dotate di significato dipende dall’esperienza. Tuttavia, certi tipi di organizzazione percettiva
appaiono universali. Ne elenchiamo alcuni.
 Il principio di prossimità o vicinanza: le parti che sono vicine nel tempo e nello spazio
tendono a essere percepite insieme.
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I punti che formano il primo raggruppamento sono visti come quattro righe parallele, così come
nel secondo caso i punti vengono raggruppati in due righe oblique sempre parallele.
 Il principio di somiglianza: le parti fra loro simili sono viste collegate insieme come se
formassero un gruppo.
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I punti che formano il primo raggruppamento sono visti come l’alternanza di colonne di
rombi e cerchi, mentre nel secondo caso è la ripetizione alternata di coppie di simboli uguali.
 Il principio di chiusura: la nostra percezione tende a completare le figure incomplete, a
colmare le lacune.
Anche se le linee non sono continue, egualmente vediamo queste figure come un quadrato e un
cerchio – un esempio di come tendiamo a “chiudere” o “riempire” le parti mancanti a partire da
quel che sappiamo dell’intero.
 L’organizzazione figura – sfondo: è la tendenza a vedere le cose stagliarsi come figure,
contro uno sfondo. Per esempio, quando leggete queste righe, le parole sono figure nere che si
stagliano sullo sfondo bianco della carta.
LE ILLUSIONI PERCETTIVE
I risultati finali dei processi percettivi non sono paragonabili a fotografie della realtà esterna.
C’è una discrepanza, a volte notevole, fra quest’ultima e il percetto fenomenico, che è sempre
un’elaborazione. Nel caso delle illusioni percettive è significativo il fatto che, pur conoscendo la
realtà oggettiva, la percezione è distorta, diversa.
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- 7 –
Nell’esempio sottostante, i due segmenti sono uguali, contrariamente a quanto appare. La
percezione della lunghezza diversa permane anche nel momento in cui conosciamo la realtà
oggettiva.
Ci sono persone che faticano a considerare come sfondo ciò che in un primo momento hanno
visto come figura e non sono in grado di muoversi su questi due piani.
Ma se riscontriamo una diversità tra ciò che elaboriamo e la realtà esterna sin nel momento della
percezione, e di fronte a realtà concrete, oggettive, misurabili da un punto di vista scientifico, cosa
accadrà nel momento in cui entreremo in contatto con situazioni meno definite, come le emozioni, i
sentimenti, i vissuti, i comportamenti, i bisogni, e così via?
Noi non vediamo automaticamente tutta la realtà: facciamo sempre una selezione di elementi
che elaboriamo secondo alcune configurazioni, secondo alcuni principi, secondo le esperienze
passate. E’ ciò che ci permette di muoverci nel mondo, ma bisogna esserne consapevoli per evitare
chiusure, rigidità, assolutizzazione dei propri punti di vista, fino alla costituzione di stereotipi e
pregiudizi.
La realtà fin dagli aspetti più semplici, come quelli analizzati in questo capitolo, presenta una
complessità che chiede di essere scandagliata con attenzione, di essere abbracciata nella sua
interezza e guardata con lo stupore di chi sa scrutare oltre il già conosciuto per incontrare tutta la
novità che il mondo, le persone e le relazioni portano in sé.
DOMANDE GUIDA ALLO STUDIO
 Definizione di percezione
 Elenca i principali tipi di percezione e i canali attraverso i quali raggiungono la nostra mente
 Perché è importante lo studio della percezione?
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CAPITOLO 2
LA MEMORIA
DEFINIZIONE
“Facoltà della mente di conservare e richiamare alla coscienza nozioni ed esperienze del
passato”. (dal Dizionario Garzanti)
Tale definizione sembra però oscurare l’importanza, la potenzialità, la ricchezza che stanno
dietro questa funzione del cervello e le possibilità che offre ad ogni persona. Ecco come ne parla
Sant’Agostino nelle “Confessioni”:
«Le distese e gli ampi ricettacoli della memoria, dove si trovano i tesori di
immagini senza numero accumulati da ogni genere di cose percepite…. Alcune
impressioni emergono subito, altre bisogna ricercarle più a lungo come si dovessero
cavar fuori dai ripostigli più segreti, altre si affollano tutte quante insieme mentre si
cerca o si vuole cose diverse e balzano in mezzo come per dire: “Siamo forse noi?”
(…) Io posso starmene all’oscuro, in silenzio, ma solo che lo voglia, richiamo alla
memoria i colori…e anche i suoni posso evocare, se lo voglio e subito accorrono; la
lingua rimane muta, silenziosa la gola e io canto a mio piacere… Così pure distinguo
senza fiutare il profumo del giglio da quello delle viole…Tutto ciò si svolge al mio
interno, nella sala immensa della mia memoria. E vi sono, pronti al mio cenno, il cielo,
la terra, il mare e tutte le sensazioni che mi hanno dato… E là anche mi faccio incontro
a me stesso, ricordo me stesso, quello che ho fatto e dove, quali emozioni ho provato
nel farlo… Grande assai la memoria, ricettacolo di ampiezza illimitata: e chi potrebbe
toccarne il fondo?» (pp 268-269)
Chi pensa che la memoria sia come un magazzino capace di conservare inalterati i ricordi, come
una cella frigorifera conserva i cibi o un registratore ad altra fedeltà mantiene immutata una
sinfonia, ha una concezione assai semplificata dei meccanismi del ricordo.
La memoria è un complesso di funzioni entro il quale sono stati distinti tre grandi settori:
1. il settore delle operazioni di acquisizione delle conoscenza;
2. il settore della “archiviazione”, cioè delle operazioni con cui tali conoscenze vengono
sistemate ed archiviate;
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3. il settore del recupero, cioè quello addetto alle operazioni di utilizzo delle conoscenze
archiviate.
La memoria è un processo dinamico e non un archivio, un processo capace di elaborare le
informazioni in entrata e quelle immagazzinate.
Gli studiosi sono abbastanza concordi nel ritenere che sono necessari tre differenti processi
perché si verifichi l’archiviazione delle informazioni provenienti dal mondo esterno o da quello
interiore:
 L’immagazzinamento dell’informazione sensoriale o memoria percettiva
 Il sistema della memoria a breve termine
 Il sistema della memoria a lungo termine.
MEMORIA PERCETTIVA
Il sistema di immagazzinamento dell’informazione sensoriale (o registro sensoriale) mantiene
una rappresentazione dell’informazione esterna così come essa è stata ricevuta dal sistema
sensoriale. La durata di tale rappresentazione è assai breve (qualche decimo di secondo), il tempo
necessario ai processi di riconoscimento e di configurazione per operare delle scelte precise.
Cioè tutte le stimolazioni visive, uditive, tattili ecc… che arrivano agli organi di senso si fissano
per alcuni decimi di secondo in questo registro: giusto il tempo perché l’individuo – più o meno
consapevole - decida se le stesse, o parti di esse, vadano eliminate in quanto inutili o vadano
mantenute e memorizzate più stabilmente.
MEMORIA A BREVE TERMINE
Il sistema della memoria a breve termine (MBT) o memoria primaria serve a conservare per
breve tempo (in genere, per qualche secondo) in una specie di anticamera il materiale già
parzialmente elaborato dalla memoria percettiva.
Diversamente dal primo sistema, la MBT non registra passivamente gli stimoli, ma
immagazzina le informazioni elaborandole ed interpretandole.
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La memoria a breve termine ha una capacità di ritenzione relativamente ridotta. Viene anche
chiamata memoria di lavoro ed è considerata come un magazzino transitorio ove si conservano le
informazioni di cui abbiamo bisogno nell’arco di breve tempo.
Esempio: tenere a mente un n° di telefono, appena letto, fino a quando
lo riproduciamo sull’apparecchio.
La MBT è utile per una notevole varietà di compiti: come memoria di lavoro, cioè come un
sistema che consente di trattenere contemporaneamente diversi elementi di un’informazione e di
metterli in relazione tra loro, è costantemente impiegata nel calcolo mentale, nell’apprendimento di
brani e poesie, nel ragionamento deduttivo.
AD ESEMPIO:
ESEGUITE MENTALMENTE LA SEGUENTE MOLTIPLICAZIONE
26 x 7 = ___
Come avete fatto?
1. memorizzato i due numeri 26 e 7;
2. moltiplicato il numero 6 per il 7;
3. fissato il prodotto (42);
4. memorizzato il numero 2 accantonandolo;
5. moltiplicato il numero 2 per il 7;
6. fissato il prodotto (14);
7. recuperato il numero 4 di riporto e aggiunto al prodotto precedente (18);
8. richiamato il 2 accantonato e dato il risultato.
= 182
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La Memoria a breve termine - esaurito il compito – non ha più necessità di funzionare.
DIFFERENZA TRA REGISTRO SENSORIALE E MEMORIA A BREVE TERMINE
Nel registro sensoriale le informazioni in arrivo non hanno modo di essere ritenute, nella MBT
almeno una parte di esse può essere memorizzata per periodi di tempo più o meno lunghi.
Ciò avviene grazie al processo di reiterazione dell’informazione che consiste in una silenziosa
ripetizione mentale del materiale da memorizzare.
Il successo della reiterazione dipende dalla quantità di informazioni da ricordare.
LA MEMORIA A LUNGO TERMINE
Il sistema della Memoria a Lungo Termine (MLT) o memoria secondaria è in grado di
conservare il materiale a tempo indeterminato, o comunque molto a lungo, ricorrendo a diversi tipi
di elaborazione e di codificazione.
E’ un solido magazzino ove si depositano e permangono informazioni basilari per la vita
dell’uomo. E’ un magazzino con una capienza enorme (più di quella di un computer!).
«Studi compiuti negli anni 70 sono giunti alla seguente conclusione: ammettendo che un essere
umano potesse immagazzinare in memoria 10 nuove informazioni al secondo per tutta la durata
della vita, un cervello medio lascerebbe inutilizzato il 50% del proprio potenziale di memoria.
Dunque quello che noi immaginiamo come l’enorme contenitore della nostra memoria, quella
profondissima miniera di informazioni, altro non è che un magazzino che lasciamo semivuoto»
(Bonvini-Civettini (a cura di), I processi psichici, Scuola OSA di Riva del Garda, 1996).
Come in tutti i magazzini o biblioteche – per quanto ben ordinati e organizzati – il problema più
consistente è rintracciare in tempi rapidi l’informazione desiderata.
Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza
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I tempi di recupero variano da informazione a informazione: dipende se si tratta di episodi
(colazione con l’amica – il volto di un passante …) o conoscenze ( la capitale della Spagna - una
formula chimica).
Quindi la memoria umana non è costituita solo da registri o magazzini in cui depositare o
prelevare le informazioni che ci servono, ma esistono anche dei sistemi di analisi delle
informazioni, tali da decidere cosa archiviare – dove archiviare e come.
E’ infatti necessario procedere all’immagazzinamento ordinato delle informazioni, come in una
biblioteca, dove si ha poi a disposizione lo schedario in cui i testi sono catalogati per autori, titoli,
argomenti, …
Le informazioni, inoltre, non sono mai conoscenze isolate, ma vanno a inserirsi in una rete di
informazioni in cui maggiore è la connessione e la catalogazione e maggiore sarà la possibilità e la
capacità di ricordarle in seguito.
Il ricordo di fatti, concetti ed eventi non dipende, infatti, solo dai tempi più o meno lunghi nei
quali sostano nella MBT o dal tempo di reiterazione, ma anche dai legami significativi tra materiale
da apprendere e conoscenze già in possesso.
«La memoria a lungo termine può essere suddivisa in tre tipi:
1. EPISODICA: legata ai nostri fatti personali (es. quel che succede a me in un certo momento in
un determinato luogo: ricordare che film ho visto ieri sera è compito della memoria episodica).
E’ quella che, ad esempio, il malato di Alzheimer perde per prima e che lo rende così incerto e
titubante.
2. SEMANTICA: memoria delle conoscenze generali del mondo (di quelle nozioni che abbiamo
imparato durante la nostra vita, ma che non possiamo collegare a un dove e a un quando. Es.:
l’inverno è più freddo dell’estate; un pulcino è più morbido di una spina. Abbiamo imparato
queste nozioni nel corso della nostra esistenza, ma non sappiamo dire quando, dove o da chi; è
un patrimonio di conoscenze generali che ciascuno di noi ha accumulato nel corso della propria
esistenza). A questa sfera di memoria appartengono anche quelle norme che costituiscono un
po’ le “regole del gioco della vita”: perdere queste conoscenze può provocare comportamenti
Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza
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inadeguati e “antisociali” nel malato. Il patrimonio di conoscenze generali è tanto più vasto
quanto più una persona è colta.
3. PROCEDURALE: insieme di azioni e di gesti da compiere per ottenere un determinato
risultato. Es.: guidare l’auto, scrivere, sciare, suonare il pianoforte, ma anche vestirsi,
camminare. Per imparare queste attività abbiamo impiegato diverso tempo ma ora le eseguiamo
in modo quasi automatico. Questo tipo di memoria è la più tenace, la più resistente.
E’ importante capire che
la memoria è il pilastro su cui regge tutta la nostra vita; senza memoria noi in un certo senso non
esistiamo, perché perdiamo la nostra storia, la nostra identità, la rappresentazione di noi stessi e del
mondo che ci circonda.» (Braghetto (a cura di), Assistenza a persone affette da malattia di
Alzheimer e demenze correlate, Opera Barelli, 1999, p.27)
IL RECUPERO DELL’INFORMAZIONE
Buona parte delle informazioni depositate nella Memoria a Lungo Termine sono ricordate
automaticamente.
Per altre informazioni è necessario possedere precisi indizi che ci consentano di localizzare e
ricordare. Un esempio ci è dato dall’effetto “sulla punta della lingua”: spesso basta un suggerimento
o un immagine mentale e ciò che volevamo ricordare ritorna subito accessibile.
Il ricordo può avvenire secondo quattro processi:
 IL RICONOSCIMENTO: è il processo per cui riconosciamo un oggetto, qualcosa o
qualcuno già visto in precedenza (è il meccanismo che si utilizza maggiormente nelle
risposte ai quiz che richiedono di individuare la risposta tra varie possibilità);
 IL RICHIAMO: consiste nel cercare le informazioni e i relativi indizi richiamandoli
direttamente dalla MLT.
Possono essere richiamate anche le modalità con le quali sono state acquisite informazioni;
si ha così la
 RIEVOCAZIONE ;
 RIAPPRENDIMENTO: tutti hanno constatato che cose apprese e poi dimenticate sono più
facili da imparare di quelle che si imparano ex novo, per la prima volta.
Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza
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L’OBLIO
Per oblio si intende la perdita di informazioni che ha luogo nella memoria. I modi in cui ciò
avviene e i fattori che lo influenzano sono diversi.
 IL PASSARE DEL TEMPO. In generale più è lungo l’intervallo tra l’apprendimento e la
rievocazione, minore è la probabilità di ricordare qualcosa. Vi sono però molte eccezioni a
questa regola generale. Spesso si ricordano eventi accaduti in un momento di crisi, come la
morte di un amico o una situazione di pericolo, anche se si sono verificati molti anni prima. In
realtà la vividezza del ricordo di eventi del genere è sorprendente. D’altra parte, ci si può
dimenticare il nome di una persona che ci viene presentata prima ancora di finire di stringerle la
mano. Perciò, il trascorrere del tempo, da solo, non costituisce un indice affidabile della
possibilità di ricordare o no un fatto. Di maggior importanza sono: l’accuratezza con cui
l’informazione è stata appresa o codificata originariamente, ciò che accade all’individuo durante
il periodo di ritenzione e la situazione in cui avviene il recupero.
 LA DISTRAZIONE E I PROBLEMI DI ATTENZIONE. E’ improbabile che ricordiate il
nome delle persone se non vi avete prestato attenzione al momento della presentazione. Né vi
sarà facile ricordare i dettagli dell’ultima lezione mentre state guidando in mezzo al traffico o
state cercando di ricordare qualcosa che non c’entra niente. C’è una differenza tra questi due
esempi. Le distrazioni che si presentano quando cercate di recuperare un’informazione, di
solito, disturbano la vostra memoria solo temporaneamente (probabilmente la lezione vi tornerà
in mente quando sarete a casa). Ma se siete stati distratti quando l’informazione vi è stata
presentata per la prima volta, potete trovarvi nella condizione di non ricordarla più; è come se
non fosse mai stata codificata. Perciò un fattore determinante del ricordo è costituito da ciò cui
si presta attenzione.
 L’INTERFERENZA DI ALTRI RICORDI. La capacità di ricordare qualcosa può essere
menomata, o disturbata, dal ricordo di altre cose, in particolare se queste sono simili o legate
concettualmente al materiale da ricordare. Immaginate che un agente immobiliare vi abbia fatto
vedere un certo numero di case. Alla sera, ripensando a ciò che avete visto, potrebbe essere
difficile ricordare le caratteristiche di ogni singola casa, arrivando ad attribuire una caratteristica
Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza
- 15 –
di una casa ad un’altra casa. Quanto più sono simili le case visitate e quanto più è elevato il loro
numero, tanto più è possibile incontrare delle difficoltà nel ricordarle senza confondere le loro
caratteristiche.
 FATTORI EMOZIONALI. In genere crediamo di ricordare con maggior vividezza gli eventi
caratterizzati da un forte vissuto emotivo. I momenti di grande gioia o eccitazione, di pena o
travaglio, sono spesso fortemente impressi nella nostra memoria. E’ anche vero che questi
eventi sono quelli che ricordiamo con maggior frequenza e, in questo modo, si moltiplicano le
occasioni per ripetere l’accaduto e fissarlo nella memoria. Inoltre i fatti in cui siamo
emotivamente coinvolti hanno la capacità di attirare la nostra attenzione, annullando tutto ciò
che può distrarci.
Va detto, tuttavia, che quando concentriamo l’attenzione sulle nostre emozioni tendiamo a
trascurare altri tipi di informazione. Per esempio, uno stato di grande ansietà può impedire di
seguire una lezione: uno studente può trascorrere tutta la lezione guardando fuori dalla finestra,
assorto nei suoi problemi.
Secondo Freud, inoltre, molte delle dimenticanze, apparentemente innocenti (come i lapsus),
che si possono verificare durante la vita quotidiana, sono in realtà delle dimenticanze motivate,
cioè il prodotto di motivazioni ed emozioni inconsce. Dimenticare le chiavi dell’auto a casa
potrebbe indicare il fatto di non volersi recare al lavoro; dimenticarsi l’appuntamento con una
determinata persona potrebbe voler dire inconsciamente che si prova un sentimento di
avversione nei suoi confronti.
I problemi emotivi possono far dimenticare gli eventi che per una persona sono spiacevoli da
ricordare. Se il dolore è stato molto grande, l’oblio può essere praticamente totale e così una
madre, ad esempio, si ritrova incapace di ricordare tutto ciò che è accaduto il giorno in cui il
figlio è morto in un incidente
 CAUSE ORGANICHE. Alcuni tipi di oblio hanno all’origine delle cause organiche. Le
amnesie organiche di solito sono la conseguenza di danni cerebrali, provocati da malattie,
traumi cranici o interventi chirurgici al cervello. Per esempio, nel morbo di Alzheimer, come
abbiamo già visto, la memoria è una delle funzioni cognitive che viene seriamente danneggiata.
Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza
- 16 –
Se la perdita della memoria è limitata ai fatti successivi al danno cerebrale, si parla di amnesia
anterograda; se la perdita riguarda, invece, i fatti accaduti in precedenza, si parla di amnesia
retrograda.
La psicosi di Korsakoff è una malattia associata all’alcolismo cronico e alla conseguente
malnutrizione; essa causa danni cerebrali permanenti. Di solito, le persone che soffrono di
questa malattia sono caratterizzate da una certa amnesia retrograda, ma da una grave amnesia
anterograda, che li porta a non trattenere nuove informazioni per più di qualche minuto. E’
come iniziare sempre da capo, sorretti solo dai ricordi della propria vita anteriore alla malattia, e
a volte non tutti.
Le amnesie retrograde sono temporanee e sono spesso causate da un colpo alla testa:
solitamente con il passare del tempo i ricordi vengono recuperati, a partire dai più lontani nel
tempo. A volte, però, il ricordo degli eventi che hanno preceduto di poco l’evento traumatico
viene perduto per sempre.
CONCLUSIONI
In questo capitolo abbiamo affrontato il tema della memoria, cercando di illustrarne sia il
significato e l’importanza che ha per la vita di ogni persona – con particolare attenzione verso la
profonda sofferenza originata dal venir meno di tale funzione -, sia il funzionamento. Questo
secondo aspetto vorrebbe anche essere fonte di suggerimenti utili alla memorizzazione di sempre
nuove conoscenze.
DOMANDE GUIDA ALLO STUDIO
 Che cosa si intende per memoria episodica, semantica e procedurale? Fa’ un esempio per ogni
tipo di memoria.
 Principali cause dell’oblio.
 Perché è importante la memoria in una persona?
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- 17 –
CAPITOLO 3
STEREOTIPI E PREGIUDIZI
Quando abbiamo studiato la percezione abbiamo sottolineato come la medesima realtà viene
percepita in modi diversi da persone diverse. Anche se le fonti sono le stesse, ognuno vive
l'esperienza in maniera diversa, recependo cose diverse".
Le medesime informazioni fisico-sociali possono venir interpretate spesso in molti modi
diversi. I rumori di una festa sono motivo di gioia per qualcuno, di fastidio per qualcun altro. Un
sorriso di simpatia sul volto di un amico può essere gradevole per qualcuno, ma sgradevole per un
altro che sperava di vedere un sorriso più ampio di benvenuto.
Sono questi i problemi empirici della percezione sociale, che si incontrano quando si cerca di
scoprire in quali modi, e sono molti, può essere recepita la stessa situazione stimolo.
LA CATEGORIZZAZIONE
Il processo di categorizzazione consiste nell'organizzare l'informazione che riceviamo
dall'ambiente secondo determinate modalità. Infatti noi tendiamo ad ignorare certe differenze tra
singoli oggetti, se questi oggetti sono equivalenti l'uno all'altro per determinati scopi, come ad
esempio sgabelli, poltrone o sedie, nel momento in cui vogliamo sederci. Allo stesso tempo
ignoriamo certe somiglianze, se esse sono irrilevanti per i nostri scopi, se nascondono una
mancanza di equivalenza, per quanto concerne le nostre azioni, credenze, atteggiamenti intenzioni o
sentimenti. Per esempio, quando vogliamo individuare un amico in una folla, uno strumento in
un’orchestra, un sorriso amichevole da uno ironico. Senza queste due modalità di organizzazione
non sono possibili reazioni adeguate a quanto accade nell'ambiente o un’adeguata azione su di esso.
Dunque la funzione principale della categorizzazione consiste in un ruolo strumentale di
sistematizzazione dell'ambiente finalizzata all'azione, un processo di semplificazione e di
riordinamento mentale del mondo fisico e sociale.
E’ l'insieme dei processi che «tendono ad ordinare l'ambiente in termini di categorie: gruppi
di persone, di oggetti, di avvenimenti, nella misura in cui essi sono o simili o equivalenti tra loro in
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rapporto all'azione, alle intenzioni o agli atteggiamenti di un individuo. Per far ciò sono
indispensabili delle semplificazioni onde rendere accessibile ai nostri schemi cognitivo l'immenso
materiale informativo che ci viene offerto dall'esterno. Le conseguenze comportate da questo
processo di raggruppamento sono essenzialmente due:
a) Una tendenza ad accentuare le differenze tra persone e oggetti appartenenti a categorie
diverse;
b) Una tendenza a minimizzare le differenze tra persone e oggetti che appartengono alla
stessa categoria.
Questo processo è legato a fenomeni sottostanti alla formazione degli stereotipi. Così
valutando una persona che si conosce poco, si tenderà ad attribuirle le caratteristiche personali della
categoria in cui la si colloca.
GLI STEREOTIPI
Spesso collocare le persone e gli oggetti entro categorie è un'esigenza di ordine cognitivo
per evitare lo sforzo di ripartire da zero ogni volta che si prende in considerazione un nuovo
stimolo. E' prassi comune cercare di collocare ogni nuovo evento entro una delle categorie che già
possediamo nel bagaglio delle conoscenze che abbiamo acquisito nel corso della socializzazione. In
tal modo viene ridotta la quantità di energia psichica spesa per affrontare i problemi di tipo già
conosciuto ed essa può venire meglio impiegata per l'approccio a quesiti di nuovo tipo.
Tale processo, anche se vantaggioso per l'economia psichica, è anche la strada più sicura per
arrivare ad una certa inerzia nei processi cognitivi, la quale diminuirà la nostra capacità di
considerare le persone che incontriamo come portatrici di caratteristiche personali e come
individualità ben diverse le une dalle altre, la cui definizione non può essere costretta entro
categorie prestabilite. Se ciò avvenisse comporterebbe l'attribuzione di un comune profilo di
personalità a tutte le persone che, per una certa caratteristica che le accomuna (età, sesso,
professione) vengono riunite entro un unica categoria. Si viene cosi a creare lo stereotipo.
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Lo stereotipo e’ quindi uno dei fattori che guidano la percezione. Riuscire a cogliere il
significato di un comportamento, attribuire alle persone intenzioni, capacità, desideri, è senza
dubbio il risultato di un processo estremamente complesso, anche se nella maggior parte dei casi di
tipo inconsapevole. Nel tentativo di andare al di là dell’informazione data, l’individuo tende a
collocare gli esemplari di persone e di azioni entro classi e categorie che gli permettono di
semplificare e organizzare la complessità delle esperienze sociali. Un primo tipo di inferenza è
quella che si produce allorché le persone possiedono delle informazioni riguardanti uno o più
esemplari di una certa categoria e, mediante un processo di generalizzazione, attribuiscono alla
categoria di appartenenza le caratteristiche riscontrate nei singoli esemplari. Andamento inverso
hanno invece quelle inferenze che consentono alle persone di attribuire le caratteristiche di una
categoria sociale ai membri che ad essa appartengono.
Ad esempio, conosciuta l’appartenenza di un individuo ad un determinato gruppo (razziale,
etnico, religioso, professionale, sessuale) gli vengono automaticamente attribuiti tratti,
comportamenti, qualità distintive del gruppo di appartenenza.
Gli stereotipi possono essere formulali da qualunque individuo ed essere riferiti a qualunque
oggetto o categoria di oggetti; nel campo delle scienze sociali, tuttavia, come già accennato, hanno
particolare importanza quelli che un gruppo sociale crea e condivide nei riguardi di un altro gruppo
sociale: gruppi razziali, nazionali, sessi, classi sociali, classi di età, professioni, ecc.
Le molte definizioni formulate da studiosi e ricercatori concordano nel ritenere lo
"stereotipo" una credenza socialmente condivisa, articolata in un insieme di caratteristiche attribuite
ad una categoria di persone e formulata secondo criteri "non scientifici". Il termine stereotipo nasce
in tipografia e indicava quello stampo di cartapesta entro cui veniva fatto colare il piombo fuso che
riproduceva la pagina stampata e che poteva essere impiegato un numero illimitato di volte. Queste
caratteristiche di fissità, rigidità, ripetitività, che sono delle proprietà fisiche degli stereotipi
tipografici, indicheranno in seguito gli elementi distintivi di alcuni quadri sintomatici connessi a
gravi patologie psichiche.
Sarà un giornalista americano, W. Lippmann, a utilizzare per la prima volta, nel 1922, il
termine stereotipo in un libro in cui analizzava i processi di formazione e di diffusione di quei
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sistemi di credenze, che costituiscono l’opinione pubblica e di quelle strutture di semplificazione,
chiamate appunto da lui, per la prima volta, stereotipi.
Ecco come un gioco, tratto da “Arte di ascoltare e mondi possibili”, di Marianella Sclavi,
può aiutarci a capire come tutti noi abbiamo degli stereotipi.
Storia.
La terra sta morendo. Unica possibilità di salvezza, una navicella spaziale con sette posti
che sta per partire per un altro pianeta. Intorno alla navicella vi sono undici persone che aspirano
a partire. Voi vi trovate nella posizione di dover scegliere le sette che partiranno e costituiranno
il primo nucleo di una nuova civiltà. Di loro sappiamo pochissimo, come vedremo, quasi niente,
e tuttavia su queste basi dovete scegliere e anche rapidamente, altrimenti nessuno rimarrà in vita.
Adesso dividete il vostro foglio in tre colonne verticali; in alto nella prima scrivete:
"candidati", sulla seconda: "sì" e sulla terza "no", non parte. Per ognuno dovete decidere se parte
o no e usare lo spazio relativo per giustificare in poche parole la vostra scelta; cioè in base a
quali considerazioni avete preso quella decisione. Poi per ogni candidato vedremo se prevale il
sì o il no. Le informazioni che abbiamo sono le seguenti:
1. Militante nero, 2. Poliziotto con fucile, 3. Atleta, 4. Architetto, 5. Cuoca, 6.
Falegname cieco, 7. Dottoressa, 8. Prostituta, 9. Ragazza di sedici anni incinta, 10. Musicista
gay, 11. Sacerdote.
Inutile far domande, questo è tutto quel che sappiamo. Dieci minuti di tempo.
Trascorsi i dieci minuti e riprodotto alla lavagna lo schema generale, si fa la conta. Per
ogni candidato si chiede quanti sono per il sì e quanti per il no. Poi si annotano le
considerazioni alla base di queste scelte. A titolo illustrativo riporto i risultati del corso del
1997 - 98 per l'unico motivo che me li ritrovo sottomano. Era una classe composta da
un'ottantina di studenti, grosso modo metà maschi e metà femmine.
Partono:
- l'atleta (ragazzo giovane, corpo robusto, riproduzione della specie);
- l'architetto (capacità progettuale, coordinazione, senso pratico; tenete conto che
siamo alla Facoltà di Architettura...);
- la cuoca (perché donna e per il valore di mangiare bene);
- la ragazza di sedici anni incinta (due piccioni con una fava; perché donna e
giovane);
- il musicista gay (la musica, la tolleranza, la varietà);
- la dottoressa (per curare e prevenire le malattie);
- il sacerdote (guida spirituale, supporto psicologico).
Rimangono a terra:
- il militante nero (la parola "militante" è sospetta, segno di mentalità settaria e rigida,
alcuni l'hanno inteso come fascista);
- il poliziotto con fucile (più che altro per il fucile, che potrebbe diventare uno
strumento di potere);
- la prostituta (non ha una competenza specifica; idea di malattia e promiscuità);
- il falegname cieco (falegname sarebbe utile, ma la cecità è un grande handicap in un
nuovo mondo tutto da costruire).
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Quando la navicella con i passeggeri da noi prescelti sta già viaggiando verso il nuovo
mondo, ci arriva un secondo documento, con informazioni più dettagliate su ognuno dei
candidati. Leggiamole.
- Il militante nero è un pacifista, esperto in non violenza e gestione creativa dei
conflitti.
- II poliziotto con fucile è un giovane e atletico leader dei Boy Scout, uno che
userebbe il fucile unicamente per procurare il cibo con la caccia.
- L'atleta è una donna di settant'anni che ha vinto le Olimpiadi delle" Grey Panthers" .
- L'architetto mangia solo rape rosse, pianta che non sembra crescere nel nuovo
pianeta.
- La cuoca ha lavorato unicamente nel carcere di Sing Sing e ha imparato a cucinare
solo quel tipo di pietanze.
- La prostituta è un'ottima cuoca, giovane, allegra e gode di ottima salute.
- La ragazza di sedici anni ha l'Aids.
- Il musicista gay sa suonare solo i piatti.
- Il falegname cieco è un famoso maestro delle costruzioni in legno e sarebbe in grado
di insegnare queste rare abilità a chiunque.
- La dottoressa è una laureata in legge, dirigente della Pubblica amministrazione
- Il sacerdote è il capo di una setta fondamentalista musulmana.
Reazioni degli studenti durante questa lettura: ilarità mista a sconcerto.
Dunque il "trucco" consiste nel proporre immagini divertenti e opposte a quelle alle
quali la maggioranza di voi si è affidata per compiere la scelta. Il gioco esige non solo che i
partecipanti producano stereotipi, ma che si affidino a questi stereotipi per le decisioni
successive. Che li diano per scontati. Questa fiducia viene stravolta dalle informazioni
successive. Noi adesso useremo questa esperienza di "spiazzamento" per riflettere su cosa
facciamo quando produciamo degli stereotipi e quando li usiamo per interpretare il mondo che ci
circonda.
Queste specifiche esperienze ci consentono di riflettere su cosa facciamo quando:
l. produciamo stereotipi
2. ci affidiamo a essi per interpretare la realtà.
Un buon osservatore deve infatti sapere come nascono gli stereotipi, a cosa servono
e non deve mai dare per scontato che essi siano delle rappresentazioni accurate della
realtà.
Cioè, deve fare il contrario di quello che questo gioco vi ha costretto a fare.
In particolare, questo gioco vi ha costretto:
a. Ad operare a partire da "astrazioni indeterminate", cioè sulla base di informazioni
insufficienti a orientare la produzione di immagini concrete. Ma voi queste immagini concrete le
avete prodotte automaticamente e senza rendervene conto, perché altrimenti non potevate
prendere le decisioni che il gioco richiedeva.
b. Ad operare in termini di "urgenza classificatoria".
c. A non tener conto dei "casi particolari".
1. Astrazioni indeterminate. Per ogni parola siamo stati costretti a chiederci: "Qual è il
suo significato più convenzionale?" e "Qual è l'immagine più convenzionale connessa con
questo significato?". Di conseguenza nel leggere la parola "atleta" ci è venuto in mente un
maschio giovane e nerboruto. Ma questo non era "nella parola", non è che quella parola “ha”
quel significato, siamo noi che abbiamo evocato quel significato nell'atto di interpretarla alla
luce della situazione in cui ci trovavamo e del problema che ci assillava.
“Atleta” per un cinese che non conosce l'italiano non è "una parola”, è un segno grafico.
A noi che conosciamo l'italiano, fa venire in mente prima di tutto il suo significato da dizionario:
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"chi pratica qualsiasi sport", "persona di grande forza e destrezza fisica”. Dunque anche questa
informazione pur così astratta e generale non è contenuta nel segno grafico, nasce dal rapporto
fra noi in quanto cresciuti in un certo ambiente linguistico e quel segno.
Il dizionario ci dà delle classificazioni puramente analitiche, i caratteri che tutti gli
elementi di un insieme devono avere in comune per far parte di quell'insieme. Una
classificazione analitica è un'astrazione indeterminata, dentro possiamo metterci di tutto: da mio
fratello che ha vinto molte gare di nuoto e di tiro a segno, a me stessa quando facevo salto in
alto, a nomi di atleti famosi, all'olimpionica di settant'anni delle "Grey Panthers". Potrebbe
anche essere una persona che vince le gare per portatori di handicap. Su queste basi non potevate
decidere niente e quindi, automaticamente, fra le innumerevoli possibilità, avete scelto e
prodotto quell'immagine che più spesso nella nostra società viene tipicamente associata a quella
parola, quella di un maschio giovane, prestante e nerboruto. Pensate a quanto vi siete dati da
fare, quanti tratti generali e particolari avete dovuto aggiungere. Probabilmente quel giovanotto
aveva pure un'aria serena e determinata, consapevole della propria vitalità. Avete dovuto
immaginare un "tipico atleta", cioè lo "stereotipo" dell'atleta e poi operare come se si trattasse di
una persona concreta, viva e vegeta.
2. Parole, contesti, e metafore. Se in un ufficio comunale ci dicono: "Deve parlare con
la dottoressa” interpreteremo normalmente questa parola nel senso della dirigente di
quell'ufficio. Se siamo in una corsia di ospedale o se siamo ammalati, la stessa parola evocherà
un'immagine diversa.
Di fronte a gesti e parole isolati (come in questo gioco) non ci resta altro che ricorrere ad
associazioni meccaniche: o la prima associazione che ci viene in mente o le associazioni che
valgono comunemente in una certa cultura.
In questo gioco dovevate prendere una decisione collettiva in una condizione di scarsità
di informazioni tale che vi obbligava ad affidarvi agli stereotipi dominanti o che ritenevate tali.
Ma questi stereotipi non sono qualcosa di "oggettivo", sono delle costruzioni al tempo stesso
sociali e arbitrarie.
3. Urgenza classificatoria. Qui viene a proposito la favola degli undici indiani ciechi e
l'elefante.
Agli undici indiani ciechi era stato posto questo quesito: "Che cos'è in realtà un
elefante?". Il primo prende in mano la coda e risponde: "Un elefante è qualcosa che assomiglia a
un serpente lungo e sinuoso". Il secondo tocca una gamba: "Un elefante assomiglia a un tronco
di un albero ruvido e solido". E così via.
Questa favola di solito viene usata per illustrare un concetto importante e cioè che non è
possibile risalire al tutto in base alla conoscenza delle parti. Il tutto non è riducibile alla somma
delle singole parti. Per arrivare al tutto dobbiamo guardare come le parti sono connesse fra loro e
quindi vedere ogni parte non isolatamente, ma nelle sue connessioni con tutte le altre.
Ma la stessa storia - come fa notare Don Idhe - è utilizzabile anche per illustrare le
dinamiche dell'urgenza classificatoria. Palpare la ruvida, pelosa e ossuta coda dell'elefante è una
esperienza molto diversa dal toccare il corpo liscio, squamoso e molle di un serpente. Le
descrizioni degli indiani sono sciatte, basate su similitudini e credenze tradizionali piuttosto che
su una cauta e meticolosa analisi della loro esperienza.
Può darsi benissimo che la prima immagine che ci viene in mente, toccando la coda, sia
quella del serpente. Ma appunto, "l'osservazione" inizia qui. Inizia prestando attenzione a tutti
quei particolari "marginali e irritanti" i quali potrebbero, se esaminati meglio, cambiare o
almeno mettere in dubbio quella immagine.
Questi indiani hanno troppa fretta di arrivare alle conclusioni sia rispetto al
fenomeno particolare che stanno esaminando, che rispetto al "tutto" di cui quel particolare è
parte. In questo senso sono "ciechi" non solo fisicamente, ma prima ancora mentalmente. E per
"mentalmente" intendo in questo caso anche e soprattutto emotivamente e socialmente.
Il contrario dell'urgenza classificatoria è infatti la capacità di convivere col disagio
dell'incertezza, di sopportare l'esplorazione prolungata e paziente; il rendersi disponibili e anche
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divertirsi non solo all'inizio, ma durante tutto il processo ad accogliere lo sconcerto e
disorientamento. Gli indiani ciechi ignorano queste dinamiche, le evitano e si accontentano delle
“prime impressioni”, delle “prime immagini” che vengono loro in mente.
Questo comportamento degli indiani illustra molto bene quello che anche noi facciamo
quando nella vita quotidiana ci affidiamo acriticamente agli stereotipi (pagg. 48-53).
LO STEREOTIPO NEI CONFRONTI DEGLI ANZIANI
Ho ritenuto opportuno affrontare il problema dello stereotipo in relazione alla condizione
dell'anziano, poiché è risaputo che certe caratteristiche vengono ritenute tipiche dell'anziano con
una frequenza che travalica un reale riscontro nella realtà. Comunque quello che più interessa non è
già il semplice rilievo dell'esistenza dello stereotipo, ma piuttosto il valutarne le funzioni, le
conseguenze, dal punto di vista psicologico e sociale.
Come abbiamo già visto, alla base del meccanismo della stereotipizzazione vi è una ingiusta
e spesso errata generalizzazione a tutto un gruppo di caratteristiche riscontrate in un sottogruppo.
Consideriamo, ad esempio, la classe “Anziani", all'interno di essa definiamo delle
sottoclassi:
a. anziani malati,
b. anziani inerti
c. anziani socievoli
Poi compiano un'operazione di moltiplicazione trattando le quattro classi come identiche tra
di loro; allora risulterà che gli anziani sono malati, inerti, socievoli. E' facile vedere come il
risultato di questa procedura non sia attendibile.
Così la vecchiaia è vista come una patologia sociale o come un comportamento antisociale:
diventare vecchi può voler dire diventare ostili, vendicativi, oppure nei casi più gravi può
significare cadere in una psicopatologia del comportamento (demenza senile, demenza
arteriosclerotica).
Un tale pericolo può presentarsi nelle indagini psicologiche sull'anziano, ossia quello di
oggettivizzarlo perdendone di vista i referenti sociali ed umani e quindi psicologici del suo essere.
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La suddivisione della vita dell'uomo a compartimenti stagni è indice di una operazione di
spezzettamento e di oggettivazione che viene agita sull'uomo. Si fanno studi sulla prima infanzia,
sulla seconda infanzia, sull'adolescenza e così via, fino a giungere a studiare la vecchiaia; per
ognuna di queste epoche vengono individuate delle caratteristiche precise e dei parametri per
valutarne l'adattamento e la maturità. In questo modo vengono create delle categorie di riferimento
facilmente accessibili, ma una completa ed acritica fiducia in tali categorie le rende prescrittive, nel
senso che l'individuo può sentire l'esperienza della sua vita come maggiormente valida quando
coincide proprio con queste schematizzazioni.
La frammentazione dell'individuo accade ogni qual volta viene spezzettato il corso della sua
esistenza o il significato delle sue esperienze che vengono poi collocate dentro delle caselle di pura
speculazione scientifica.
Così la suddivisione della vita per età, che originariamente corrispondeva ad una esigenza di
tipo tassonomico simile a quella che ha portato alla classificazione dei vegetali e dei minerali a
seconda delle loro proprietà, ha avuto come conseguenza di convincere le persone che la loro vita
passa proprio attraverso questi compartimenti e ciò viene legittimato ogni volta che si affronta una
ricerca su uno di questi periodi. In questo modo si conferma l'esistenza della realtà della giovinezza,
della maturità e della vecchiaia come periodi ben distinti.
Ma è più giusto pensare che per ogni persona la vita dovrebbe essere un tutt'uno in cui non si
avvertono queste frammentazioni, a meno che non si convincano gli individui a confermare
l'esistenza in loro di queste realtà.
Fino a qualche tempo fa la maggior parte delle ricerche condotte su persone anziane si
basavano su campioni tratti da "Case di Soggiorno per Anziani" o cronicari, quindi su campioni
rappresentativi di una realtà anomala e particolarmente stigmatizzata. Non stupisce quindi che i
risultati di tali ricerche fossero in gran parte atti a confermare certi stereotipi. Tali indagini
riscontravano negli anziani una diminuzione delle capacità intellettuali, fisiche e motorie, nonché un
disinteresse per ogni tipo di nuovo apprendimento e di partecipazione alla vita comunitaria.
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I risultati ottenuti con questi tipi di indagini venivano poi estesi a tutte le persone anziane,
attuando così un errore di ipergeneralizzazione che andava ad incrementare un stereotipo negativo
nei riguardi della vecchiaia.
GLI ATTEGGIAMENTI VERSO GLI ANZIANI
Ogni corretta soluzione del problema degli anziani è connessa in modo determinante
all’orientamento psicologico e operativo che la società assume consapevolmente e
inconsapevolmente verso di esso.
Nella società contemporanea è possibile rilevare la presenza di due tendenze apparentemente
contraddittorie, che si configurano in atteggiamenti e comportamenti diversi: la tendenza verso la
rimozione, l'eliminazione degli anziani dalla sfera di coscienza, e la tendenza verso la
commiserazione e l'assistenza. Questi atteggiamenti, che si rivelano anche nel modo in cui la
società cerca di risolvere il problema degli anziani, o almeno di quegli anziani che sono diventati
estranei all’attività produttiva, esprimono in effetti lo stesso fondamento di aggressività, non tanto
verso i vecchi quanto verso la vecchiaia e verso la morte, non tanto verso gli altri quanto verso se
stessi.
Questo orientamento è influenzato anche da pregiudizi, da stereotipi sociali, da opinioni non
fondate, da ignoranza circa i fenomeni biologici e quelli psichici dell'uomo che invecchia, dal
rifiuto di tutto ciò che non è piacevole, da fattori connessi alla immaturità e all’insufficienza
culturale.
Risultati di numerose ricerche condotte dagli anni '50 ad oggi possono essere sintetizzati in
tre affermazioni fondamentali:
1. L'immagine dell’anziano è sostanzialmente negativa e sostenuta da stereotipi e
generalizzazioni arbitrarie;
2. L'immagine è tanto più negativa e restrittiva quanto più giovane è colui che giudica;
3. L'immagine dipende anche dalla situazione esistenziale: migliore se l'anziano è in buona
salute e fruisce di uno stato d'animo positivo, e se il giudicante ha convissuto con anziani; peggiore
se chi giudica è autoritario, pessimista, esistenzialmente disorientato.
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IL PREGIUDIZIO
Il termine, derivato dal latino "praejudicium", ha subito nell'uso comune un cambiamento di
significato attraverso i tempi; il senso originale era quello di giudizio basato su precedenti, su
esperienze e decisioni già sperimentate; successivamente, acquisì il senso del giudizio aprioristico,
formulato prima dell'esame e senza la considerazione dei fatti; infine, a questo secondo
significato venne associata anche la connotazione emozionale di favore e sfavore che accompagna
il giudizio aprioristico. Quest'ultimo è anche il significato con cui il termine viene generalmente
utilizzato nelle scienze sociali.
Nel pregiudizio si possono individuare tre componenti:
a) cognitiva: credenze relative all'oggetto dell'atteggiamento, tra cui particolarmente
importanti le credenze valutative, che compartano la attribuzione all'oggetto di qualità
favorevoli o sfavorevoli;
b) affettiva: sentimenti positivi o negativi nei confronti dell'oggetto dell'atteggiamento;
c) attiva: disponibilità a intraprendere un'azione a favore o contro.
Gli stereotipi rappresentano le componenti cognitive dei pregiudizi, poiché definiscono le
caratteristiche possedute dai gruppi verso i quali si nutre il pregiudizio. Un atteggiamento negativo,
pregiudizievole verso un gruppo ha bisogno di essere giustificato, e sono proprio gli stereotipi che
forniscono tali giustificazioni, in quanto sono delle entità razionalizzatrici del nostro
comportamento.
Sovente il pregiudizio si applica a eventi o persone che sentiamo diversi da noi, e questo in
fondo ha una giustificazione e persino una propria dignità. Ciò che conosciamo, infatti, ci rende
inquieti, evoca un bisogno di spiegazioni comunque sia, purché capaci di abbassare la nostra ansia
dell’ignoto.
Le origini di un pregiudizio possono essere di natura psicologica, economica o storica, ma
l'atteggiamento che indirizziamo verso il gruppo vittima viene giustificato in modo più
semplicistico e cioè attribuendogli caratteristiche negative.
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Tali caratteristiche vengono riunite insieme per formare lo stereotipo che accompagnerà quel
ruolo ed in tal modo ci sentiremo autorizzati ad emarginare le persone che ne fanno parte.
Se, ad esempio, un adulto non riesce a trovare lavoro, oppure non riesce a migliorare la sua
condizione lavorativa, può attribuire queste sue difficoltà anche al fatto che i posti di lavoro migliori
sono occupati dalle persone che hanno molti anni di anzianità nell'azienda e che molti di loro
continuano a lavorare anche dopo l'età del pensionamento, limitando in tal modo il numero di posti
di lavoro che si rendono liberi. Egli avvertirà un'intensa avversione verso i colleghi anziani, e
svilupperà un atteggiamento pregiudizievole nei loro confronti. E' evidente che le cause delle
difficoltà sul lavoro non dipenderanno dall'elevato numero di lavoratori anziani, ma piuttosto
saranno dovute ad una inadeguata ripartizione del lavoro tra tutte le forze disponibili. Tuttavia per
avvertire come legittimo l'astio verso gli anziani si incomincerà ad assegnare loro attributi negativi,
si dirà che sono poco produttivi e incapaci e così si costruirà uno stereotipo che accompagnerà la
realtà della vecchiaia ed autorizzerà quella persona a nutrire astio verso di essa.
Racconta Marianella Sclavi:
Una delle mie prime ricerche sul campo come parte di una più ampia équipe,
riguardava la raccolta di storie di vita di giovani dei quartieri "ricchi" e "poveri" a Roma.
Era un tema che mi interessava moltissimo. Ma i giovani "ricchi" che mi sono capitati
erano per la maggioranza appartenenti a gruppi di estrema destra e io ho avuto enormi
difficoltà a stabilire con loro quei rapporti che ci avrebbero consentito di sentirci
pienamente a nostro agio e di collaborare attivamente e lietamente. Infatti, non ci sono
riuscita. C'era una differenza abissale fra i colloqui con gli altri giovani e con questi.
Dagli uni ottenevo solo dei racconti smozzicati, dagli altri una quantità incredibile di
esperienze dettagliate narrate con reciproca soddisfazione e divertimento. Con i primi
ero bloccata sulle mie tipizzazioni e stereotipi e questo, sebbene cercassi di nasconderlo,
si rifletteva nel mio modo di ascoltare e nelle domande che facevo; con i secondi ero
un'esploratrice di mondi possibili e dopo un po' lo diventavano anche loro.
Ho riflettuto molto su questo mio blocco e alla fine ho preso una decisione che
poi ho adottato in situazioni analoghe e ha funzionato bene.
È questa. Quando mi capita di dover intervistare una persona verso la quale ho
dei radicati pregiudizi (relativi al ruolo che svolge, al suo carattere, alla sua fama morale
o altro) prima di recarmi al suo cospetto cerco di immaginare una persona che conosco
che, pur avendo anche quelle caratteristiche, mi è simpatica o se questa non esiste, me la
invento o attingo a dei personaggi della letteratura o altro. Shakespeare per esempio va
benissimo, una si immagina Riccardo III o Lady Macbeth, così repellenti ma così
complessi e affascinanti, e non ha più paura di niente. Questo non implica che dobbiamo
fingere di essere diversi da quello che siamo.
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Si tratta di diventare più flessibili e aperti, senza fretta di arrivare alle
conclusioni. Non è la sostituzione di uno stereotipo con un altro; è una sovrapposizione
che ci rende più avveduti e disposti ad accogliere particolari che giudicheremmo
marginali e irritanti, a vedere "le stesse cose" anche da altri punti di vista. (ibidem, pag
54 - 55)
Ecco allora che nell'individuare le caratteristiche (e quindi i bisogni) dell'anziano e di
qualsiasi utente è necessario che l'operatore sia consapevole delle distorsioni percettive causate sia
da stereotipi e pregiudizi, sia dai bisogni e dagli affetti dell'operatore stesso.
A tal fine è bene ricordare e sottolineare come sia fondamentale nell’instaurare una relazione
professionale di assistenza l’attivare un atteggiamento di osservazione e di ascolto attivo, in
modo da uscire dalle cornici di cui siamo parte e dagli schemi che ci siamo costruiti. Marianella
Sclavi, nel suo libro, che abbiamo più volte citato, individua le sette regole dell’arte di ascoltare,
qui di seguito riportate, che vogliono essere un’indicazione su come impedire che stereotipi e
pregiudizi non permettano l’accoglienza e l’accettazione incondizionata che ogni persona desidera
per sé e che noi stessi chiediamo continuamente a chi ci incontra.
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LE SETTE REGOLE
DELL'ARTE DI ASCOLTARE
11.. NON AVERE FRETTA DI ARRIVARE A DELLE CONCLUSIONI. LE CONCLUSIONI SONO LA
PARTE PIÙ EFFIMERA DELLA RICERCA.
22.. QUEL CHE VEDI DIPENDE DAL TUO PUNTO DI VISTA. PER RIUSCIRE A VEDERE IL TUO
PUNTO DI VISTA, DEVI CAMBIARE PUNTO DI VISTA.
33.. SE VUOI COMPRENDERE QUEL CHE UN ALTRO STA DICENDO, DEVI ASSUMERE CHE HA
RAGIONE E CHIEDERGLI DI AIUTARTI A VEDERE LE COSE E GLI EVENTI DALLA SUA
PROSPETTIVA.
44.. LE EMOZIONI SONO DEGLI STRUMENTI CONOSCITIVI FONDAMENTALI, SE SAI
COMPRENDERE IL LORO LINGUAGGIO. NON TI INFORMANO SU COSA VEDI, MA SU
COME GUARDI. IL LORO CODICE È RELAZIONALE E ANALOGICO.
55.. UN BUON ASCOLTATORE È UN ESPLORATORE DI MONDI POSSIBILI. I SEGNALI PIÙ
IMPORTANTI PER LUI SONO QUELLI CHE SI PRESENTANO ALLA COSCIENZA COME
TRASCURABILI E FASTIDIOSI, MARGINALI E IRRITANTI, PERCHÈ INCONGRUENTI CON
LE PROPRIE CERTEZZE.
66.. UN BUON ASCOLTATORE ACCOGLIE VOLENTIERI I PARADOSSI DEL PENSIERO E DELLA
COMUNICAZIONE. AFFRONTA I DISSENSI COME OCCASIONI PER ESERCITARSI IN UN
CAMPO CHE LO APPASSIONA: LA GESTIONE CREATIVA DEI CONFLITTI.
77.. PER DIVENIRE ESPERTO NELL'ARTE DI ASCOLTARE DEVI ADOTTARE UNA
METODOLOGIA UMORISTICA. MA QUANDO HAI IMPARATO AD ASCOLTARE,
L'UMORISMO VIENE DA SÉ.
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CAPITOLO 4
LA RELAZIONE PROFESSIONALE DI ASSISTENZA
DEFINIZIONE DI RELAZIONE
Per relazione si intende il legame, il vincolo che si crea tra persona e persona. Ogni relazione
che viene ad instaurarsi tra due persone è un sistema, in quanto ognuno dei soggetti coinvolti
influenza l’altro attraverso parole e comportamenti e a sua volta ne rimane influenzato.
TIPI DI RELAZIONE
Si possono instaurare diversi tipi di relazione a seconda del livello di coinvolgimento
affettivo, degli obiettivi e del contesto in cui esse si attuano.
A. LA RELAZIONE SOCIALE
Per relazione sociale si intendono tutti quegli scambi che intercorrono tra persone che si
incontrano casualmente o abitualmente, ma che non sono caratterizzati da condivisione di
sentimenti di amicizia o da rapporti professionali. Sono condizionati dalle abitudini e dalla cultura
locale, dalla società in cui avvengono. E’ incontrare una persona in treno, o al supermercato o
abitualmente alla fermata dell’autobus.
Questo tipo di relazione è caratterizzata da:
 una certa formalità
 regole della “buona educazione”
 cortesia
 uso del lei
 poca gestualità (stretta di mano)
B. LA RELAZIONE AMICALE
Per relazione amicale si intende il legame tra persone basato su affinità di sentimenti,
schiettezza, disinteresse e reciproca stima.
E’ caratterizzata da:
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 scelta della persona con cui si vuole condividere un’amicizia
 fedeltà
 interessi comuni
 disinteresse
 familiarità
 confidenza
 affiatamento
 intimità
 affetto
 stima
 aiuto reciproco e paritario
 simmetria
 gestualità condivisa come abbraccio, bacio, …
 condivisione di spazi (ci si può recare a casa dell’amico o invitarlo a casa propria)
 condivisione di tempo (vacanze comuni, hobby, gite, shopping, chiacchierate)
 gioco
 complicità
C. LA RELAZIONE PARENTALE
Per relazione parentale si intende il rapporto che intercorre tra persone appartenenti alla
stessa famiglia o parentado: possono essere di diverse tipologie:
1. genitori / figli: caratterizzata da sentimenti di profondo affetto, di amore, dedizione,
responsabilità, cura, gestualità condivisa, condivisione di spazio e tempo per lunghi periodi,
autorevolezza, predilezione, …
2. figli / genitori: caratterizzata da sentimento di profondo affetto, dipendenza, cura,
gratitudine, stabilità, …
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3. moglie / marito: caratterizzata da sentimento di amore, forte intimità, sessualità,
progettualità, complicità, forte conoscenza reciproca, condivisione di spazio e tempo,
affinità, condivisione di esperienze,…
4. fratelli: caratterizzata da sentimento di profondo affetto, solidarietà, confidenza, confronto e
aiuto reciproco, consigli,….
D. LA RELAZIONE D’AIUTO
Per relazione d’aiuto si intende il processo di cambiamento che viene attivato e attuato
attraverso la relazione tra un operatore che ha acquisito una specifica formazione (psicologo,
assistente sociale,…) e una persona in stato di bisogno, malessere o disagio. E’ un processo che
porta ad una crescita della persona, che vive il disagio, proprio per mezzo della relazione e delle
risorse che da essa possono scaturire.
La relazione d’aiuto accompagna la persona che cerca aiuto a prendere coscienza del proprio
stato di disagio, per individuare delle possibili soluzioni e poter così prendere delle decisioni in
merito al possibile cambiamento.
E. LA RELAZIONE PROFESSIONALE DI ASSISTENZA
DELL’OPERATORE SOCIO SANITARIO:
La relazione professionale di assistenza è un processo di aiuto che si differenzia dai tipi di
relazione descritti finora, per la maggior parte delle caratteristiche, e per gli obiettivi che si pone. La
relazione professionale riguarda da vicino la figura dell’Operatore Socio-Sanitario, perché definisce
il particolare rapporto che è chiamato a instaurare e costruire con gli utenti che incontra nello
svolgere il proprio servizio di assistenza.
Per questo motivo, di seguito, l’argomento verrà trattato in modo approfondito.
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LA RELAZIONE PROFESSIONALE
DELL’OPERATORE SOCIO SANITARIO
Dalla definizione emerge con forza che la relazione professionale non può non rappresentare
lo sfondo, la trama, la base su cui costruire tutto il processo assistenziale: diventa uno strumento
fondamentale per l’operatore e per l’utente stesso, a patto che l’operatore se ne assuma la
responsabilità e l’iniziativa.
La relazione operatore/utente non può essere lasciata al caso o considerata un qualcosa che
nasce da sé, spontaneamente, senza alcun valore o importanza e in base alla buona disposizione o
volontà dell’utente. E’ un processo di aiuto messo in atto dall’operatore e finalizzato al
raggiungimento di alcuni obiettivi.
OBIETTIVI
DALLA DEFINIZIONE:
La relazione professionale è il processo di aiuto messo in atto dall’operatore, per consentire
all’utente di utilizzare l’aiuto offertogli al fine di mantenere, potenziare, valorizzare le sue risorse.
L’obiettivo della relazione operatore/utente può essere riassunto nello slogan: Lavorare con
l’utente e non sull’utente. E’ fare in modo che l’utente sia sempre più il protagonista del processo
di assistenza, che non può e non deve attuarsi senza la collaborazione dell’utente stesso. Non
LA RELAZIONE PROFESSIONALE DI ASSISTENZA È IL
PROCESSO DI AIUTO MESSO IN ATTO DALL’OPERATORE,
PER CONSENTIRE ALL’UTENTE DI UTILIZZARE L’AIUTO
OFFERTOGLI AL FINE DI MANTENERE, POTENZIARE,
VALORIZZARE LE SUE RISORSE. TALE RELAZIONE,
CARATTERIZZATA DA UNA FORTE INFLUENZA DEL
CONTESTO E DA UN RAPPORTO DI ASIMMETRIA TRA
OPERATORE/UTENTE, È FONDATA SUL DESIDERIO
DELL’OPERATORE DI AIUTARE L’UTENTE E SULLA
FIDUCIA DI QUEST’ULTIMO NELLA COMPETENZA E
CAPACITÀ DI COMPRENSIONE DELL’OPERATORE.
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sempre questo è facile: dobbiamo tenere presente che la persona assistita si trova in una situazione
di disagio e/o sofferenza, in cui spesso il supporto emotivo, affettivo, la condivisione di problemi,
sentimenti, tempi e spazi che veniva assicurato dalla rete familiare, amicale e sociale, è venuto
meno in modo più o meno definitivo. La persona è appena entrata in una struttura oppure vi è ospite
già da anni e non ha più contatti con persone esterne, oppure è in uno stato di malattia, o ha appena
subito la perdita di una persona cara, o sta attraversando un momento di difficoltà…
Ecco allora che l’operatore, ritrovandosi ad occupare spazi e ad essere presente nella vita di
queste persone, può mettere in atto una relazione in grado di offrire aiuto.
Si possono fornire diversi tipi di aiuto:
1. Sostegno emotivo: è permettere all’utente di esprimere le proprie emozioni, è offrire un clima
di accettazione incondizionata in modo che la persona possa mantenere la stima di sé. Si tratta
di dare spazio all’utente perché si possa aprire, comunicando le proprie difficoltà, i propri
bisogni, e, nel limite delle proprie competenze e risorse, attivarsi per il loro soddisfacimento.
2. Informazione: consiste nell’accompagnare ogni attività e intervento dando informazioni,
coinvolgendo l’utente. E’ permettere all’altro di partecipare e contribuire; è lavorare con
l’utente.
3. Aiuto strumentale: consiste nel fare concretamente qualcosa per l’altro, dall’aiutarlo a
mangiare, a lavarsi, a deambulare, al prendersi cura dell’ambiente in cui vive, sia esso l’alloggio
o la stanza di una struttura. “Limitarsi a dare questo tipo di aiuto al di fuori di un rapporto di
conoscenza e accettazione dell’altro riduce nella persona la stima di sé perché aumenta il senso
d’inutilità e dipendenza” (Saiani, Di Giulio, in Cavazzuti, Cremonini, Assistenza geriatrica
oggi, Ambrosiana, p. 86)
Se così articolata e integrata, la relazione può provocare un miglioramento nell’umore
dell’utente, contribuire a modificare l’atteggiamento verso l’aiuto che gli viene offerto, che non
viene quindi subìto, ma accolto e completato dalla collaborazione attiva dell’utente stesso.
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Può infatti portare ad un recupero o mantenimento dell’autostima, e aumentare così la
motivazione e la percezione di essere in grado di superare le difficoltà o la capacità di accettazione
della propria situazione senza sentirsi sminuito nella dignità.
CARATTERISTICHE
DALLA DEFINIZIONE:
Tale relazione è caratterizzata da una forte influenza del contesto e da un rapporto di
asimmetria tra operatore/utente.
“Che cosa distingue un qualsiasi rapporto interpersonale dal rapporto professionale tra
operatore e utente? Un elemento importante che deve essere tenuto in considerazione è il puntuale e
costante riferimento al contesto in cui il rapporto operatore/utente si verifica: il contesto
determinerà quindi l'obiettivo del rapporto, che diventa scambio interpersonale nel quale l’utente
collabora e l'operatore attivamente esercita la propria mansione.
Ciò si verifica solo se l’operatore tiene sempre presente che l'altro è un individuo in stato di
disagio/sofferenza/malattia e che nello specifico contesto in cui il rapporto si crea, l'operatore
svolge un ruolo ben determinato, all'interno del quale individua di volta in volta i propri spazi di
azione e i propri confini rispettando quelli dell'altro” (cfr. Manai - Siracusano, Appunti di
psicologia).
Altre caratteristiche:
 “La relazione non è volontaria. Il rapporto, infatti, non si crea spontaneamente per libera
scelta di entrambi i membri e raramente è esclusivo (più operatori possono assistere,
alternandosi, lo stesso utente) ” (cfr. Manai – Siracusano).
 “In questa specifica situazione, pur non essendo il rapporto affettivamente privilegiato,
l’operatore invade lo spazio vitale dell’utente (e non viceversa) sia fisicamente tramite il
contatto corporeo sia perché partecipa a momenti di vita che, in altri contesti, sono per principio
estremamente privati (sofferenza, paura, gioia, dolore, morte) ” (Manai – Siracusano).
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 Esiste nel rapporto una evidente differenza di potere o asimmetria. La situazione asimmetrica
dipende dal fatto che l’utente si ritrova in una situazione in cui possiede minori risorse
dell’operatore: meno salute, serenità, relazioni affettive e contatti sociali,… L’operatore, invece,
si presenta come soggetto che ha una professionalità, delle competenze e delle risorse che
possono aiutare l’assistito a superare la situazione di disagio, di parziale incapacità e/o
impossibilità a compiere anche le più semplici attività della vita quotidiana. Inoltre, se la
relazione si attua all’interno di una istituzione, come ad esempio la Casa di Soggiorno, l’utente
può ritrovarsi a vivere una diminuzione di potere anche a livello decisionale e/o gestionale.
Quest’ultimo aspetto è molto importante e contiene in sé elementi oggettivi ed elementi
soggettivi. L’istituzione nasce e si organizza per raggiungere degli obiettivi che individualmente
non sono raggiungibili, ma che di fatto sovrastano gli obiettivi dei singoli dipendenti e degli
utenti che si avvalgono di essa: al suo interno vigono norme, regole, strutture e procedure che
permettono ad una collettività di interagire per raggiungere gli scopi prefissati. L’operatore che
lavora all’interno dell’organizzazione deve conoscere tali obiettivi, confrontarsi con essi e
adoperarsi per il loro raggiungimento.
Ecco allora che oggettivamente l’operatore si trova a vivere un rapporto di asimmetria nei
confronti dell’utente, in quanto rappresentante dell’organizzazione e garante, in un certo qual
modo, del suo funzionamento, che sicuramente in alcuni momenti non può non limitare la
libertà di azione dell’utente. Se l’ospite, inoltre, ha un’immagine soggettiva dell’istituzione
come di una entità che sovrasta in tutto e per tutto la propria capacità e possibilità decisionale,
può elaborare vissuti di annullamento o di passività e mostrare una dipendenza fisica e psichica
nei confronti dell’operatore, a cui delega completamente la propria gestione.
Va precisato, però, che l’asimmetria non è di per sé un elemento negativo, perché permette
all’operatore di mantenere la giusta distanza emotiva dall’utente, di rimanere all’interno del
proprio ruolo e di promuovere con autorevolezza (non con autoritarismo!) l’intervento
assistenziale necessario. La differenza nella relazione operatore /utente è solo ed esclusivamente
legata al ruolo e al rispettivo potere e competenza: non è di certo a livello di dignità e valore
delle persone coinvolte. La relazione da un punto di vista etico è totalmente paritaria.
Quindi la relazione professionale si differenzia da tutte le relazioni presentate
precedentemente, anche se racchiude in sé elementi comuni ad esse.
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In particolar modo:
 si differenzia dalla relazione amicale perché non c’è la scelta reciproca e spontanea, anche se è
opportuno, laddove è possibile (ad esempio nelle Case di soggiorno e Strutture), tenere in
considerazione le affinità di carattere che si possono creare tra utente e operatore.
 Si differenzia inoltre perché non c’è un rapporto di simmetria e di aiuto reciproco/paritario:
questo non significa che l’utente non possa arricchire o insegnare qualcosa all’operatore, ma lo
scambio non è sullo stesso livello. Non c’è confidenza reciproca: l’operatore può venire a
conoscenza di problematiche, vissuti, sentimenti, esperienze, bisogni, desideri, affetti, ma
questo tipo di condivisione è unidirezionale, accade solo dall’utente verso l’operatore, e non
viceversa.
Anche la condivisione di spazio e tempo segue la stessa direzione: l’operatore si trova ad entrare
in casa o nella stanza dell’utente, ad entrare in contatto con persone e oggetti cari alla persona
assistita, ma non può, anzi non deve accadere il contrario. Sarebbe scivolare su un piano, quello
amicale, che non va in accordo con il ruolo e il contesto in cui si verifica la relazione, arrivando
molto spesso a mettere in discussione e a vanificare il processo di aiuto fin lì attuato, oltre che a
generare nell’assistito disistima, vissuti di tradimento e sensi di colpa, nel momento in cui le
aspettative di intimità, condivisione, fedeltà, e confidenza vengono deluse dall’operatore.
 Si differenzia dalle relazioni di tipo parentale, proprio perché gli obiettivi e il contesto sono
completamente diversi, anche se è vero che l’operatore deve avere degli atteggiamenti “come
se” fosse un padre e/o una madre. E’ necessario accostarsi all’utente con responsabilità,
dedizione, cura, ascolto, rispetto, come se si fosse un padre o una madre, ma facendo attenzione
a non essere madre, padre, fratello o sorella a livello affettivo e normativo.
 C’è una differenza netta e a tutti livelli con la relazione marito/moglie: l’operatore deve fare
molta attenzione nell’uso della gestualità. Entrando in contatto con l’intimità della persona,
anche a livello fisico, si invade una parte dell’altro legata alla sessualità, che può emergere
come bisogno. Questo bisogno va sicuramente riconosciuto, ma ovviamente non soddisfatto
dall’operatore.
 La relazione professionale si differenzia inoltre dalla relazione d’aiuto, perché non può avvalersi
degli strumenti, del contesto, inteso come setting, e delle competenze che sono necessarie per
attivare nell’utente un processo di auto-esplorazione, di individuazione di soluzioni e di
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conseguente cambiamento. La relazione professionale può collaborare ed essere sicuramente un
valido sostegno alla relazione d’aiuto.
CONDIZIONI E FONDAMENTA
DALLA DEFINIZIONE:
Tale relazione è fondata sul desiderio dell’operatore di aiutare l’utente e sulla fiducia di
quest’ultimo nella competenza e capacità di comprensione dell’operatore.
Per mettere in atto una relazione professionale di assistenza devono quindi essere presenti
alcune condizioni:
 Il desiderio dell’operatore ad aiutare l’utente.
 La motivazione dell’operatore al lavoro, inteso non solo come mezzo di sussistenza, ma anche
come strumento per l’espressione e la valorizzazione di sé e per la collaborazione al bene
comune.
 La consapevolezza e la stima di sé.
 L’accoglienza e la valorizzazione dell’altro, fondate sul riconoscimento che la persona e la vita
umana hanno una sacralità, una dignità ed un valore irrinunciabili, in qualsiasi momento ed in
qualsiasi condizione, e che il rapporto con gli altri è costitutivo.
 Il rispetto per la persona, le sue scelte, le sue azioni e i suoi valori.
 “Il possesso di conoscenze e competenze: un’attività assistenziale comincia con
l’identificazione di un bisogno assistenziale e l’attuazione di un intervento per dare una risposta
e migliorare, se possibile, la situazione”(Saiani, Di Giulio, in Cavazzuti, Cremonini, Assistenza
geriatrica oggi, Ambrosiana, p. 86).
 L’attuazione di tali condizioni favoriscono un clima di fiducia e di consenso che permette
all’utente di fidarsi e affidarsi alla competenza e capacità di comprensione dell’operatore.
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ATTEGGIAMENTI E COMPORTAMENTI DELLA RELAZIONE
PROFESSIONALE
Come si declina concretamente la relazione professionale? In una serie di atteggiamenti e
comportamenti, che l’operatore consapevolmente mette in atto. Devono essere presenti,
sicuramente, tutti i seguenti:
 ascoltare con attenzione le richieste degli utenti e attivarsi per dare soddisfacimento al loro
bisogno, o per riferire a chi di competenza;
 rendere partecipe la persona assistita, informandola sulle attività che verranno svolte, anche se
questa sembra non comprendere e partecipare;
 cogliere le richieste verbali e non;
 utilizzare un linguaggio appropriato, che tenga in considerazione le abilità/difficoltà
comunicative dell’utente;
 tenere presente i fattori fisici e psichici che incidono sulla comunicazione;
 non sostituirsi nelle decisioni;
 consentire e favorire il diritto di autodeterminazione dell’utente;
 rispettare la privacy, intesa come riservatezza nell’uso delle informazioni, rispetto del pudore,
protezione della vita privata, ricerca di informazioni finalizzata;
 non esprimere giudizi di valore,
 usare la forma di cortesia;
 presentarsi all’utente nel proprio ruolo di tirocinante e, in seguito, nel proprio ruolo di operatore;
 fornire informazioni di propria competenza;
 avere cura del contesto in cui si svolge la comunicazione;
 essere consapevole dei diversi ruoli assunti;
 collaborare con l’équipe di lavoro al raggiungimento degli obiettivi assistenziali definiti per
ogni singolo utente;
 essere un testimonial positivo dell’Ente o Servizio, di cui si avvale l’utente.
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ABILITA’ DI AIUTO DELL’OPERATORE
L’operatore per poter mettere in atto una relazione professionale e dei comportamenti
adeguati deve sviluppare delle abilità fondamentali, che gli permettano di funzionare efficacemente
nei rapporti che va a costruire quotidianamente durante il proprio lavoro.
Va detto che queste abilità, di per sé, non sono esclusive della relazione professionale, ma
dovrebbero essere trasversali ad ogni tipo di relazione, anche se risultano essere indispensabili e, di
conseguenza, ricercate e attivate all’interno della relazione professionale.
PRESTARE ATTENZIONE
Significa attivare una “attenzione totale e incondizionata. Prestare attenzione è il pre-
requisito attraverso cui chi aiuta concentra le abilità di ascolto e di osservazione sulle diverse forme
verbali e comportamentali con cui gli utenti esprimono le loro esperienze, i loro bisogni, i loro
vissuti” (Carkhuff, L’arte di aiutare, p. 54)
Concretamente, significa
 prestare attenzione fisica
 osservare
 ascoltare
Queste abilità, che in seguito affronteremo in modo più dettagliato, non sono caratteristiche
personali, dipendenti dal carattere di una persona. Certo, ci sono persone che per carattere, indole,
personalità sono più facilitate ad attivare tali abilità, ma sono capacità che si possono acquisire e
mettere in atto anche attraverso degli accorgimenti.
Fondamentale è prepararsi all’attenzione, che consiste nel
1. preparare l’utente: non possiamo dare per scontato che l’utente è sempre disponibile ad
interagire con l’operatore, in qualunque momento o situazione. Quando la comunicazione o
la proposta è particolarmente importante, delicata o complessa è importante coinvolgere
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l’utente, fornendo tutte le informazioni necessarie che possono motivarlo per un suo
coinvolgimento.
2. preparare il contesto: non tutti i luoghi sono adatti per comunicare. Se il saluto o uno
scambio breve può avvenire in ogni ambito, sul corridoio, in mezzo ad altre persone, di
sfuggita, mentre ci si sta recando in un altro luogo, ci sono comunicazioni e interazioni, che
richiedono la preparazione di un ambiente adeguato, che possa mettere a proprio agio
l’utente. Può voler dire trovare un luogo o un momento in cui l’assistito può parlare da solo
con l’operatore, senza altre persone, che possano sentire o che gli impediscano di
manifestare le proprie emozioni, sentimenti, bisogni o difficoltà. Predisporre un momento o
un luogo adeguato, inoltre, comunica all’altra persona che c’è una reale disponibilità e
attenzione, per cui tutto il resto è sospeso per porre attenzione a lei e alla sua situazione
3. preparare l’operatore: significa fare mente locale su chi è la persona che andiamo ad
assistere, su quali sono le sue esigenze, le sue caratteristiche, la sua storia, gli obiettivi che
sono stati prefissati, in modo da continuare il lavoro che tutta l’équipe sta cercando di
mettere in atto.
E’ ricordarsi ciò che l’utente in altre occasioni ha riferito per poter dare continuità alla
relazione e non provocare così sentimenti di abbandono o di rifiuto. E’ prendere
consapevolezza del proprio stato d’animo, delle proprie preoccupazioni, dei propri
sentimenti per allontanarli, in modo che non si riversino sull’utente.
PRESTARE ATTENZIONE FISICA
Significa assumere una posizione che permetta di dare alla persona piena e completa
attenzione:
 di fronte, in modo da poter guardare l’assistito in faccia,
 piegati leggermente in avanti
 cercando di mantenere un costante contatto oculare.
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Criterio sottostante è cercare di assumere una posizione che permetta all’utente di sentirsi al
centro dell’attenzione, cosa non possibile se durante la comunicazione l’operatore guarda altrove,
gira le spalle o è preoccupato solo di trovare una posizione in cui stare comodo.
OSSERVARE
Ancora una volta, all’interno del percorso formativo per Operatore Socio-Sanitario,
ritroviamo come una delle abilità e, allo stesso tempo, una delle competenze di questa figura
professionale sia l’osservazione.
Anche in ambito relazionale, le abilità di osservare risultano essere fondamentali: richiedono
la capacità dell’operatore di vedere d di comprendere il comportamento non verbale dell’utente. Si
devono osservare tutti quegli elementi dell’aspetto esteriore e del comportamento che possono
aiutare a capire qual è il livello di energia fisica, lo stato emotivo e la disponibilità all’aiuto
dell’assistito.
Cosa osservare?
 I movimenti del corpo
 Le espressioni del viso
 La cura di sé
 La corporatura
 La postura
Questo tipo di informazioni possono aiutare l’operatore ad inferire:
1. Il grado di energia: “è la quantità di sforzo fisico che si è in grado di investire nello
svolgimento di un compito” (Carkhuff, L’arte di aiutare, p. 76). Le osservazioni che
principalmente ci danno informazioni riguardo al livello di energia sono la postura, la cura di sé
e la corporatura. Un utente che siede scomposto, con le spalle abbassate, che ha poca cura di sé
ci fa capire che non ha a disposizione una dinamicità e una voglia di fare, di agire. Mostra una
mancanza di interesse verso di sé e verso il mondo circostante, al punto che non ritiene
necessario nemmeno mantenersi pulito e in ordine, ad esempio. Diversamente incontrare un
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utente che desidera impegnare le proprie energie, riesce a mantenere una posizione eretta,
dinamica, piena, che richiede un’attenzione ad essere in ordine, pulita, bella (magari con un
“velo di rossetto”, come raccontava un operatore), dà un’immagine di sé di una persona che
vuole vivere in pienezza la propria vita. Aiutare un utente ad aver cura del proprio aspetto è
aiutarlo ad investire energia e a ritrovarla dentro di sé.
Anche la corporatura ci può dare delle indicazioni: le persone che sono in sovrappeso o
sottopeso o che hanno un tono muscolare ridotto tenderanno ad avere bassi livelli di energia.
2. I sentimenti: “Le espressioni del viso rappresentano la fonte più ricca di informazioni sui
sentimenti dell’utente. Anche altri aspetti come la posizione del corpo e i movimenti possono
essere di aiuto nel comprendere le esperienze dell’altra persona.
Ad esempio, la fronte corrugata, lo sguardo corrucciato, l’atteggiamento scomposto, gli occhi
bassi, l’aspetto trascurato e dei movimenti lenti sono tutti segni del sentirsi “giù”. Un sorriso
aperto, le sopracciglia sollevate, una posizione vigile, il contatto degli occhi, un aspetto curato,
dei movimenti rapidi e reattivi, si possono associare al sentirsi “su”. (Carkhuff, L’arte di
aiutare, p. 77).
3. Disponibilità all’aiuto. Questi stessi elementi possono aiutarci a capire se l’utente ha una
disponibilità a collaborare e ad accettare l’aiuto: una persona con livello basso di energia e che
si senta “giù” avrà una bassa motivazione e disponibilità ad essere aiutato.
E’ importante dare il giusto peso alle osservazioni raccolte: non sono la fotografia dell’utente e
del suo mondo interno. Sono delle ipotesi che col tempo possono venire smentite o confermate
dall’utente, degli indizi che vanno tenuti in considerazione per poter personalizzare l’approccio e la
relazione.
Come abbiamo già detto, la relazione è un sistema che vede coinvolti due o più persone, che
si influenzano reciprocamente. E’ importante essere consapevoli che anche l’utente osserva più o
meno consapevolmente tutti questi indizi e fa le proprie inferenze. Ne deriva che “nella stessa
maniera in cui osserviamo gli altri possiamo osservare anche noi stessi. Cosa ci possono dire di noi
il nostro aspetto e il nostro comportamento? Siamo in grado di esprimere un alto livello di energia,
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sensibilità e determinazione ad aiutare? Siamo congruenti nel nostro comportamento e nel nostro
desiderio di aiutare?” ” (Carkhuff, L’arte di aiutare, p. 79).
La manifestazione esteriore della motivazione e del desiderio dell’operatore di aiutare,
attraverso gli indizi appena descritti, va ricercata e scelta, tenendo presente però che non può
bastare da sola, se non come soluzione temporanea in un momento in cui la vita extra professionale
può risultare faticosa e carica di sofferenza e/o difficoltà: per risultare genuina e efficace deve
ancorarsi in una motivazione intrinseca reale e basata sulle dimensioni che abbiamo visto in
precedenza.
ASCOLTARE
L’ultima grande abilità che l’operatore deve costruirsi e attivare è l’ascolto: ascoltare ciò che
le persone dicono e il modo in cui lo dicono. Vi sono molti modi in cui è possibile affinare le nostre
capacità di ascolto:
 Avere un motivo per ascoltare: fondamentalmente per raccogliere tutte le informazioni
possibili collegate ai problemi o agli obiettivi legati all’utente. Si dovranno cogliere tutte le
indicazioni che ci vengono dai diversi livelli di funzionamento: le parole daranno informazioni
sul contenuto intellettuale di ciò che le persone vivono; il tono della voce sui sentimenti, il
modo di esprimersi sul livello di energia.
 Sospendere i giudizi personali: è accogliere l’altro nella sua interezza e unicità. Si tratta di
ascoltare quello che l’altro vuole dire, secondo il suo modo di vedere la vita e la situazione,
secondo i suoi valori e desideri. Ne deriva che l’operatore deve sospendere quelle che possono
risultare solo opinioni personali, giudizi secondo i propri valori. Sospendere, non annullare. Si
tratta di essere prudenti nell’offrire consigli e/o soluzioni premature, anche se si pensa di sapere
cosa è bene fare, perché lo si è già affrontato in altre occasioni con altre persone.
 Concentrarsi sulla persona: significa resistere alle distrazioni. “Nella stessa maniera in cui
abbiamo resistito alla voce “giudicante” dentro di noi, così dobbiamo resistere alle tentazioni
esterne. Vi saranno sempre un sacco di cose che ci renderanno difficile l’ascolto” (Carkhuff,
L’arte di aiutare, p. 82), ma è fondamentale riuscire a indirizzare la nostra persona verso
l’utente e quello che desidera comunicare.
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 Concentrarsi sul contenuto: significa ascoltare cosa dice l’utente, cercando di cogliere se ci
sono temi ricorrenti che possono raccontarci qualcosa di lui, cercando di cogliere tutte le
informazioni e poterle ricordare, in modo da dare continuità alla relazione che si sta costruendo
e un reale riconoscimento alla persona, che le sta comunicando.
EMPATIA
“E’ la capacità di entrare nei panni dell’altro cognitivamente ed emotivamente, senza
contagio emotivo” (Brunialti, Formazione psicologica e relazione di aiuto, p.71), è la capacità di
mettersi accanto all’altro, sapendo cogliere e accogliere in sé i sentimenti e i vissuti che la persona
sta vivendo in quel momento. Non è vivere lo stesso sentimento, né prendere su di sé il carico
emotivo: è riconoscere il sentimento che la persona prova, essere consapevoli che ha una sua
origine e un suo significato, e di conseguenza sapersi accostare e, usando una metafora, fare un
tratto di strada assieme, assecondando il passo, la fatica o l’esultanza: non tutta la strada, ma un
tratto; non uno dentro l’altro, in una con-fusione (nel senso anche di fusi assieme) di sentimenti e
vissuti, ma uno accanto all’altro. E’ sapere dove l’altro si trova e con quale vissuto, per potergli
andare incontro e aiutarlo, con tutto il rispetto, la delicatezza e la fermezza che sono necessari.
L’empatia si compone di due elementi:
 una rappresentazione cognitiva: l’altro cosa pensa? Cosa prova? Cosa si può fare? Come vi si
può rispondere? È assumere la prospettiva e il ruolo dell’altro, il suo modo di vedere e
considerare la situazione;
 una disponibilità emotiva, che permette di entrare in contatto con il vissuto emotivo,
continuando però a mantenere con chiarezza il proprio ruolo, la propria identità, le proprie
emozioni, sentimenti e pensieri, riconoscendoli come altro, come separati da tutto ciò che
accade all’utente.
Quindi l’empatia implica il mantenimento dell’oggettività necessaria per osservare, analizzare e
gestire la situazione senza farsi travolgere dalle emozioni.
Per riuscire a comprendere le emozioni altrui è necessaria una buona capacità di cogliere,
comprendere e definire le proprie emozioni, è difficile dare un nome ai vissuti dell’altro se non
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sappiamo darlo nemmeno ai nostri, tenendo presente però quanto appreso nelle precedenti pagine
sulle emozioni.
E’ fondamentale che l’OSS sappia entrare in empatia e comprendere le emozioni dell’assistito
per:
 saper cogliere le emozioni dell’altro e quindi comprenderne i vissuti e individuarne i bisogni
 decodificare il feed-back, comprendere degli effetti del suo operato sullo stato di benessere
dell’assistito
 creare un rapporto di fiducia, di comprensione ed ascolto
 relazionarsi in modo appropriato con i familiari dell’assistito
 relazionarsi in modo appropriato con i colleghi
E’ fondamentale che l’OSS sappia entrare in contatto con le proprie emozioni per:
 decodificare le emozioni dell’altro
 comprendere le proprie emozioni e sapersene opportunamente difendere
 individuare emozioni causate da eccessivo coinvolgimento o da situazioni di transfert o
controtransfert
 cogliere i primi segni di burn-out
DOMANDE GUIDA ALLO STUDIO
 Definizione di relazione. Quali sono le principali tipologie di relazione? Quali sono le principali
caratteristiche, soprattutto in relazione alla condivisione di tempo e spazio, gestualità,
simmetria/asimmetria, tipologia di contesto?
 Definizione di relazione professionale di assistenza.
 Quali sono gli obiettivi, le caratteristiche principali, gli atteggiamenti e i comportamenti che ne
derivano?
 Che cosa si intende per relazione asimmetrica? In che modo influisce il contesto sulla relazione
professionale di assistenza?
 Quali sono le principali abilità di aiuto richieste ad un operatore? Descrivile brevemente
cercando di individuare degli esempi concreti.
 Che cosa si intende per ascolto attivo? Cosa significa in concreto prestare attenzione all’utente?
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Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza
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BIBLIOGRAFIA
 AMERIO, Teorie in Psicologia Sociale, Il Mulino
 ARCURI, Conoscenza sociale e processi psicologici, Il Mulino
 BONVINI M., CIVETTINI K., I processi psichici, Scuola per Operatore Socio Assistenziale di
Riva del Garda, Opera Armida Barelli, 1996.
 BRAGHETTO F. (A CURA DI), Assistenza a persone affette da malattia di Alzheimer e demenze
correlate, Opera Armida Barelli, 1999.
 BRUNIALTI C., Dispensa Scuola OSA di Rovereto
 BRUNIALTI C., Formazione psicologica e relazione di aiuto. Riflessioni per il volontariato
Avulss. Collana Quaderni AVULSS n 35, Ed Oari, 1999
 CORNOLDI C., Psicologia generale, Ed. Il Mulino
 DE MARCHI F., ELLENA A. (A CURA DI), Dizionario di sociologia, Ed. Paoline
 F. CAVAZZUTI, G. CREMONINI, Assistenza geriatrica oggi. Ed. Ambrosiana
 O. OLIVO, La Mission e la Vision Formativa dell’Opera Armida Barelli, aprile 2000
 S. MANAI, L. SIRACUSANO, L’insegnamento della psicologia nella Scuola per Infermieri
Professionali, in S. Manai, Appunti di Psicologia
 SANT’AGOSTINO, Le confessioni, BUR, Milano 1980
 SCLAVA M., Arte di ascoltare e mondi possibili,
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  • 1. OPERA ARMIDA BARELLI LEVICO PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO CORSO PER OPERATORE SOCIO-SANITARIO SEDE DI LEVICO TERME LA RELAZIONE PROFESSIONALE DELL’OPERATORE SOCIO SANITARIO (MODULO GENERALE N.° 3 - UNITA’ DIDATTICA N.° 2) “Vi sono persone per le quali la relazione interpersonale e la comunicazione costituiscono non un fattore occasionale o facoltativo, ma il contenuto stesso del loro lavoro; sono persone per le quali il rapporto interumano è tutt’uno con l’apporto professionale e che quindi non possono commettere errori nel condurre l’incontro, perché ciò pregiudicherebbe il risultato stesso del loro lavoro” (Colombero). A.F. 2014 – 2015 Dispensa a cura di: Sandra De Carli Docente: Sandra De Carli Data di pubblicazione: 28 ottobre 2014
  • 2. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 1 – LA RELAZIONE PROFESSIONALE DELL’OPERATORE SOCIO SANITARIO In questa unità didattica cercheremo di:  Acquisire conoscenze per mettere in atto una relazione professionale favorevole a creare un clima di fiducia e consenso:  ascoltare con attenzione le richieste degli utenti e attivarsi per dare soddisfacimento al loro bisogno, o riferire a chi di competenza;  rendere partecipe la persona assistita informandola sulle attività che verranno svolte, anche se questa sembra non comprendere e partecipare;  consentire e favorire il diritto di autodeterminazione;  cogliere le richieste verbali e non;  utilizzare un linguaggio appropriato tenendo conto delle abilità/difficoltà comunicative dell’utente;  tenere conto di fattori fisici e psichici che incidono sulla comunicazione;  utilizzare la forma di cortesia e presentarsi nel proprio ruolo di operatore;  fornire informazioni di propria competenza;  non sostituirsi nelle decisioni. Affronteremo insieme questi contenuti: a. cenni alle principali abilità cognitive: la percezione e la memoria e la formazione e presenza di stereotipi e pregiudizi e la loro implicazione nella relazione con l’altro; b. i diversi tipi di relazione: relazione sociale, relazione amicale, relazione parentale, relazione di aiuto, relazione professionale dell’operatore di assistenza c. caratteristiche della relazione professionale: rapporto di asimmetria, influenza del contesto d. atteggiamenti e comportamenti nella relazione professionale e. la capacità di aiutare: l’aiuto materiale, l’aiuto psicologico, imparare ad aiutare f. il rapporto operatore utente: osservazione, abilità per un ascolto attivo e suoi requisiti, modalità di costruzione di un clima di fiducia, contatto empatico, il rispetto dell’altro, autenticità e spontaneità, promozione dell’autodeterminazione, consenso informato g. la “distanza” nella relazione operatore - utente h. il tempo e la sua influenza nella relazione operatore - utente Infine per ampliare ulteriormente le nostre conoscenze possiamo consultare la bibliografia Buon lavoro !
  • 3. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 2 – CAPITOLO 1 LA PERCEZIONE DEFINIZIONE Atto della coscienza con cui si acquista consapevolezza di un oggetto esterno attraverso l’interpretazione degli stimoli sensoriali che da esso provengono o mediante un procedimento intuitivo. (da IL GRANDE DIZIONARIO GARZANTI della lingua italiana) Noi siamo continuamente bombardati da messaggi che ci invia il mondo circostante e che captiamo attraverso organi specializzati: gli organi di senso. Si è soliti dire che l’uomo è dotato di cinque sensi, mentre in realtà sia essi che le forme di sensibilità sono più numerosi. 1. Nell’orecchio ha sede la sensibilità uditiva, grazie alla quale si possono distinguere i suoni e i rumori anche in base all’intensità (suono forte o debole), all’altezza (suono acuto o grave) e al timbro. 2. Nell’occhio ha sede la sensibilità visiva. 3. Nella mucosa orale e specificamente sulla lingua ha sede il gusto, con la capacità di distinguere i quattro sapori fondamentali: amaro, dolce, acido e salato. 4. Nel naso ha sede l’odorato o olfatto, che permette di cogliere gli odori presenti nell’ambiente. 5. La cute, in modo più o meno concentrato, è sede della sensibilità cutanea nelle sue differenziazioni:  sensazioni tattili, che si verificano quando tocchiamo qualcosa;  sensazioni termiche, che ci permettono di avvertire il caldo e il freddo;  sensazioni dolorose.
  • 4. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 3 – 6. Altre forme di sensibilità sono la cinestesia e la sensibilità interna ed organica, cioè i sensi della posizione e del movimento che ci permettono di coordinare le nostre azioni in rapporto a determinate situazioni. Questi sensi si integrano con quello dell’equilibrio, che ha sede nell’orecchio interno. 7. I sensi interni sono quelli che ci informano sulle condizioni del nostro corpo e sulle sue necessità. Per mezzo loro avvertiamo i crampi della fame, il desiderio di bere, la stanchezza dei muscoli, lo stato di malessere e quello di rilassatezza. Ciò potrebbe portarci a credere che con i sensi siamo in grado di afferrare tutta la realtà. Invece ci sono stimoli che passano inosservati al nostro apparato ricettore, o perché è impossibile per l’uomo percepirli (pensiamo alle luci infrarosse) o perché devono raggiungere una certa intensità per essere avvertiti. La quantità di stimolazione necessaria a provocare la reazione viene chiamata soglia. La soglia è assoluta quando uno stimolo raggiunge l’intensità minima per essere percepito. Nel caso di un rumore è la quantità di stimolazione necessaria per passare dal silenzio alla percezione. La soglia differenziale indica la differenza di intensità minima percepibile tra due stimoli. E’ difficile percepire la differenza di intensità di luce se a cento candele se ne aggiunge una, mentre si coglie la differenza se si accende una seconda candela là dove ce n’è una sola. L’ATTENZIONE E’ impossibile, vista l’enorme quantità di stimoli che ci circonda, poter percepire tutti gli aspetti della realtà allo stesso modo e nello stesso momento. L’attenzione è quel processo mentale per cui la nostra coscienza riceve solamente alcuni aspetti della realtà che ci circonda, mentre altri restano in secondo piano o vengono completamente trascurati. L’attenzione viene generalmente distinta in attenzione volontaria e attenzione involontaria.
  • 5. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 4 – L’attenzione volontaria è quella che il soggetto dedica coscientemente a qualcosa che suscita il suo interesse. Essa dipende quindi dalla disposizione interna del soggetto. Può però accadere che siano le cose stesse ad attirare la nostra attenzione, indipendentemente dalla nostra volontà. Si ha allora l’attenzione involontaria, che viene imposta al soggetto dalle caratteristiche proprie dello stimolo. Basti pensare alla pubblicità. La caratteristica che lo stimolo deve avere, per attirare su di sé la nostra attenzione è data da cinque fattori fondamentali: 1. L’intensità: una luce viva attirerà di più l’attenzione di una luce debole, così come un suono acuto sarà più distinguibile di un brusio omogeneo; 2. La subitaneità: uno scoppio improvviso ci colpisce senz’altro di più del rumore di fondo del mare in tempesta; 3. La novità: la persona vestita in modo insolito è quella che, in un gruppo, attrae per prima la nostra attenzione; il cambiare argomento può servire ad interrompere la monotonia dello studio o di un discorso; 4. L’intermittenza: uno stimolo, per quanto forte, se è continuo, rischia di non essere più avvertito. Se interrompe e riprende regolarmente, viene senz’altro notato; 5. L’aderenza ai nostri bisogni: siamo molto più sensibili al suono della campanella che annuncia la fine della lezione quando siamo stanchi, anziché quando siamo completamente coinvolti dalla lezione che ci interessa. Se una persona è importante per me, sarò molto più sensibile ai suoi comportamenti, all’espressione del suo viso e in genere all’insieme di tutti quei segnali che mi fa pervenire. E’ attraverso la PERCEZIONE che noi prendiamo contatto con il mondo che ci circonda. E’ il mezzo con cui noi riceviamo le infinite informazioni che ci provengono dal mondo e che - spesso inconsapevolmente - usiamo per regolarci e adattarci alla realtà presente. Si tratta di un processo di selezione e di organizzazione.
  • 6. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 5 – Studiosi della percezione (gestaltisti: da gestaltforma) hanno individuato alcuni principi generali della percezione, in particolar modo sul tipo di organizzazione degli elementi che facilitano la percezione. LEGGI DELL’ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA “E’ raro che le persone abbiano sensazioni isolate. Le nostre menti organizzano costantemente l’attività sensoriale in modo da percepire cose. Complesse sequenze di stimoli uditivi sono percepite come parole; complesse configurazioni di stimoli visivi sono viste come persone, automobili, o parole stampate. Buona parte della nostra capacità di strutturare complesse configurazioni di attività sensoriale in forme dotate di significato dipende dall’esperienza. Tuttavia, certi tipi di organizzazione percettiva appaiono universali. Ne elenchiamo alcuni.  Il principio di prossimità o vicinanza: le parti che sono vicine nel tempo e nello spazio tendono a essere percepite insieme.                                     I punti che formano il primo raggruppamento sono visti come quattro righe parallele, così come nel secondo caso i punti vengono raggruppati in due righe oblique sempre parallele.  Il principio di somiglianza: le parti fra loro simili sono viste collegate insieme come se formassero un gruppo.      
  • 7. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 6 –                                 I punti che formano il primo raggruppamento sono visti come l’alternanza di colonne di rombi e cerchi, mentre nel secondo caso è la ripetizione alternata di coppie di simboli uguali.  Il principio di chiusura: la nostra percezione tende a completare le figure incomplete, a colmare le lacune. Anche se le linee non sono continue, egualmente vediamo queste figure come un quadrato e un cerchio – un esempio di come tendiamo a “chiudere” o “riempire” le parti mancanti a partire da quel che sappiamo dell’intero.  L’organizzazione figura – sfondo: è la tendenza a vedere le cose stagliarsi come figure, contro uno sfondo. Per esempio, quando leggete queste righe, le parole sono figure nere che si stagliano sullo sfondo bianco della carta. LE ILLUSIONI PERCETTIVE I risultati finali dei processi percettivi non sono paragonabili a fotografie della realtà esterna. C’è una discrepanza, a volte notevole, fra quest’ultima e il percetto fenomenico, che è sempre un’elaborazione. Nel caso delle illusioni percettive è significativo il fatto che, pur conoscendo la realtà oggettiva, la percezione è distorta, diversa.
  • 8. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 7 – Nell’esempio sottostante, i due segmenti sono uguali, contrariamente a quanto appare. La percezione della lunghezza diversa permane anche nel momento in cui conosciamo la realtà oggettiva. Ci sono persone che faticano a considerare come sfondo ciò che in un primo momento hanno visto come figura e non sono in grado di muoversi su questi due piani. Ma se riscontriamo una diversità tra ciò che elaboriamo e la realtà esterna sin nel momento della percezione, e di fronte a realtà concrete, oggettive, misurabili da un punto di vista scientifico, cosa accadrà nel momento in cui entreremo in contatto con situazioni meno definite, come le emozioni, i sentimenti, i vissuti, i comportamenti, i bisogni, e così via? Noi non vediamo automaticamente tutta la realtà: facciamo sempre una selezione di elementi che elaboriamo secondo alcune configurazioni, secondo alcuni principi, secondo le esperienze passate. E’ ciò che ci permette di muoverci nel mondo, ma bisogna esserne consapevoli per evitare chiusure, rigidità, assolutizzazione dei propri punti di vista, fino alla costituzione di stereotipi e pregiudizi. La realtà fin dagli aspetti più semplici, come quelli analizzati in questo capitolo, presenta una complessità che chiede di essere scandagliata con attenzione, di essere abbracciata nella sua interezza e guardata con lo stupore di chi sa scrutare oltre il già conosciuto per incontrare tutta la novità che il mondo, le persone e le relazioni portano in sé. DOMANDE GUIDA ALLO STUDIO  Definizione di percezione  Elenca i principali tipi di percezione e i canali attraverso i quali raggiungono la nostra mente  Perché è importante lo studio della percezione?
  • 9. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 8 – CAPITOLO 2 LA MEMORIA DEFINIZIONE “Facoltà della mente di conservare e richiamare alla coscienza nozioni ed esperienze del passato”. (dal Dizionario Garzanti) Tale definizione sembra però oscurare l’importanza, la potenzialità, la ricchezza che stanno dietro questa funzione del cervello e le possibilità che offre ad ogni persona. Ecco come ne parla Sant’Agostino nelle “Confessioni”: «Le distese e gli ampi ricettacoli della memoria, dove si trovano i tesori di immagini senza numero accumulati da ogni genere di cose percepite…. Alcune impressioni emergono subito, altre bisogna ricercarle più a lungo come si dovessero cavar fuori dai ripostigli più segreti, altre si affollano tutte quante insieme mentre si cerca o si vuole cose diverse e balzano in mezzo come per dire: “Siamo forse noi?” (…) Io posso starmene all’oscuro, in silenzio, ma solo che lo voglia, richiamo alla memoria i colori…e anche i suoni posso evocare, se lo voglio e subito accorrono; la lingua rimane muta, silenziosa la gola e io canto a mio piacere… Così pure distinguo senza fiutare il profumo del giglio da quello delle viole…Tutto ciò si svolge al mio interno, nella sala immensa della mia memoria. E vi sono, pronti al mio cenno, il cielo, la terra, il mare e tutte le sensazioni che mi hanno dato… E là anche mi faccio incontro a me stesso, ricordo me stesso, quello che ho fatto e dove, quali emozioni ho provato nel farlo… Grande assai la memoria, ricettacolo di ampiezza illimitata: e chi potrebbe toccarne il fondo?» (pp 268-269) Chi pensa che la memoria sia come un magazzino capace di conservare inalterati i ricordi, come una cella frigorifera conserva i cibi o un registratore ad altra fedeltà mantiene immutata una sinfonia, ha una concezione assai semplificata dei meccanismi del ricordo. La memoria è un complesso di funzioni entro il quale sono stati distinti tre grandi settori: 1. il settore delle operazioni di acquisizione delle conoscenza; 2. il settore della “archiviazione”, cioè delle operazioni con cui tali conoscenze vengono sistemate ed archiviate;
  • 10. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 9 – 3. il settore del recupero, cioè quello addetto alle operazioni di utilizzo delle conoscenze archiviate. La memoria è un processo dinamico e non un archivio, un processo capace di elaborare le informazioni in entrata e quelle immagazzinate. Gli studiosi sono abbastanza concordi nel ritenere che sono necessari tre differenti processi perché si verifichi l’archiviazione delle informazioni provenienti dal mondo esterno o da quello interiore:  L’immagazzinamento dell’informazione sensoriale o memoria percettiva  Il sistema della memoria a breve termine  Il sistema della memoria a lungo termine. MEMORIA PERCETTIVA Il sistema di immagazzinamento dell’informazione sensoriale (o registro sensoriale) mantiene una rappresentazione dell’informazione esterna così come essa è stata ricevuta dal sistema sensoriale. La durata di tale rappresentazione è assai breve (qualche decimo di secondo), il tempo necessario ai processi di riconoscimento e di configurazione per operare delle scelte precise. Cioè tutte le stimolazioni visive, uditive, tattili ecc… che arrivano agli organi di senso si fissano per alcuni decimi di secondo in questo registro: giusto il tempo perché l’individuo – più o meno consapevole - decida se le stesse, o parti di esse, vadano eliminate in quanto inutili o vadano mantenute e memorizzate più stabilmente. MEMORIA A BREVE TERMINE Il sistema della memoria a breve termine (MBT) o memoria primaria serve a conservare per breve tempo (in genere, per qualche secondo) in una specie di anticamera il materiale già parzialmente elaborato dalla memoria percettiva. Diversamente dal primo sistema, la MBT non registra passivamente gli stimoli, ma immagazzina le informazioni elaborandole ed interpretandole.
  • 11. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 10 – La memoria a breve termine ha una capacità di ritenzione relativamente ridotta. Viene anche chiamata memoria di lavoro ed è considerata come un magazzino transitorio ove si conservano le informazioni di cui abbiamo bisogno nell’arco di breve tempo. Esempio: tenere a mente un n° di telefono, appena letto, fino a quando lo riproduciamo sull’apparecchio. La MBT è utile per una notevole varietà di compiti: come memoria di lavoro, cioè come un sistema che consente di trattenere contemporaneamente diversi elementi di un’informazione e di metterli in relazione tra loro, è costantemente impiegata nel calcolo mentale, nell’apprendimento di brani e poesie, nel ragionamento deduttivo. AD ESEMPIO: ESEGUITE MENTALMENTE LA SEGUENTE MOLTIPLICAZIONE 26 x 7 = ___ Come avete fatto? 1. memorizzato i due numeri 26 e 7; 2. moltiplicato il numero 6 per il 7; 3. fissato il prodotto (42); 4. memorizzato il numero 2 accantonandolo; 5. moltiplicato il numero 2 per il 7; 6. fissato il prodotto (14); 7. recuperato il numero 4 di riporto e aggiunto al prodotto precedente (18); 8. richiamato il 2 accantonato e dato il risultato. = 182
  • 12. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 11 – La Memoria a breve termine - esaurito il compito – non ha più necessità di funzionare. DIFFERENZA TRA REGISTRO SENSORIALE E MEMORIA A BREVE TERMINE Nel registro sensoriale le informazioni in arrivo non hanno modo di essere ritenute, nella MBT almeno una parte di esse può essere memorizzata per periodi di tempo più o meno lunghi. Ciò avviene grazie al processo di reiterazione dell’informazione che consiste in una silenziosa ripetizione mentale del materiale da memorizzare. Il successo della reiterazione dipende dalla quantità di informazioni da ricordare. LA MEMORIA A LUNGO TERMINE Il sistema della Memoria a Lungo Termine (MLT) o memoria secondaria è in grado di conservare il materiale a tempo indeterminato, o comunque molto a lungo, ricorrendo a diversi tipi di elaborazione e di codificazione. E’ un solido magazzino ove si depositano e permangono informazioni basilari per la vita dell’uomo. E’ un magazzino con una capienza enorme (più di quella di un computer!). «Studi compiuti negli anni 70 sono giunti alla seguente conclusione: ammettendo che un essere umano potesse immagazzinare in memoria 10 nuove informazioni al secondo per tutta la durata della vita, un cervello medio lascerebbe inutilizzato il 50% del proprio potenziale di memoria. Dunque quello che noi immaginiamo come l’enorme contenitore della nostra memoria, quella profondissima miniera di informazioni, altro non è che un magazzino che lasciamo semivuoto» (Bonvini-Civettini (a cura di), I processi psichici, Scuola OSA di Riva del Garda, 1996). Come in tutti i magazzini o biblioteche – per quanto ben ordinati e organizzati – il problema più consistente è rintracciare in tempi rapidi l’informazione desiderata.
  • 13. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 12 – I tempi di recupero variano da informazione a informazione: dipende se si tratta di episodi (colazione con l’amica – il volto di un passante …) o conoscenze ( la capitale della Spagna - una formula chimica). Quindi la memoria umana non è costituita solo da registri o magazzini in cui depositare o prelevare le informazioni che ci servono, ma esistono anche dei sistemi di analisi delle informazioni, tali da decidere cosa archiviare – dove archiviare e come. E’ infatti necessario procedere all’immagazzinamento ordinato delle informazioni, come in una biblioteca, dove si ha poi a disposizione lo schedario in cui i testi sono catalogati per autori, titoli, argomenti, … Le informazioni, inoltre, non sono mai conoscenze isolate, ma vanno a inserirsi in una rete di informazioni in cui maggiore è la connessione e la catalogazione e maggiore sarà la possibilità e la capacità di ricordarle in seguito. Il ricordo di fatti, concetti ed eventi non dipende, infatti, solo dai tempi più o meno lunghi nei quali sostano nella MBT o dal tempo di reiterazione, ma anche dai legami significativi tra materiale da apprendere e conoscenze già in possesso. «La memoria a lungo termine può essere suddivisa in tre tipi: 1. EPISODICA: legata ai nostri fatti personali (es. quel che succede a me in un certo momento in un determinato luogo: ricordare che film ho visto ieri sera è compito della memoria episodica). E’ quella che, ad esempio, il malato di Alzheimer perde per prima e che lo rende così incerto e titubante. 2. SEMANTICA: memoria delle conoscenze generali del mondo (di quelle nozioni che abbiamo imparato durante la nostra vita, ma che non possiamo collegare a un dove e a un quando. Es.: l’inverno è più freddo dell’estate; un pulcino è più morbido di una spina. Abbiamo imparato queste nozioni nel corso della nostra esistenza, ma non sappiamo dire quando, dove o da chi; è un patrimonio di conoscenze generali che ciascuno di noi ha accumulato nel corso della propria esistenza). A questa sfera di memoria appartengono anche quelle norme che costituiscono un po’ le “regole del gioco della vita”: perdere queste conoscenze può provocare comportamenti
  • 14. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 13 – inadeguati e “antisociali” nel malato. Il patrimonio di conoscenze generali è tanto più vasto quanto più una persona è colta. 3. PROCEDURALE: insieme di azioni e di gesti da compiere per ottenere un determinato risultato. Es.: guidare l’auto, scrivere, sciare, suonare il pianoforte, ma anche vestirsi, camminare. Per imparare queste attività abbiamo impiegato diverso tempo ma ora le eseguiamo in modo quasi automatico. Questo tipo di memoria è la più tenace, la più resistente. E’ importante capire che la memoria è il pilastro su cui regge tutta la nostra vita; senza memoria noi in un certo senso non esistiamo, perché perdiamo la nostra storia, la nostra identità, la rappresentazione di noi stessi e del mondo che ci circonda.» (Braghetto (a cura di), Assistenza a persone affette da malattia di Alzheimer e demenze correlate, Opera Barelli, 1999, p.27) IL RECUPERO DELL’INFORMAZIONE Buona parte delle informazioni depositate nella Memoria a Lungo Termine sono ricordate automaticamente. Per altre informazioni è necessario possedere precisi indizi che ci consentano di localizzare e ricordare. Un esempio ci è dato dall’effetto “sulla punta della lingua”: spesso basta un suggerimento o un immagine mentale e ciò che volevamo ricordare ritorna subito accessibile. Il ricordo può avvenire secondo quattro processi:  IL RICONOSCIMENTO: è il processo per cui riconosciamo un oggetto, qualcosa o qualcuno già visto in precedenza (è il meccanismo che si utilizza maggiormente nelle risposte ai quiz che richiedono di individuare la risposta tra varie possibilità);  IL RICHIAMO: consiste nel cercare le informazioni e i relativi indizi richiamandoli direttamente dalla MLT. Possono essere richiamate anche le modalità con le quali sono state acquisite informazioni; si ha così la  RIEVOCAZIONE ;  RIAPPRENDIMENTO: tutti hanno constatato che cose apprese e poi dimenticate sono più facili da imparare di quelle che si imparano ex novo, per la prima volta.
  • 15. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 14 – L’OBLIO Per oblio si intende la perdita di informazioni che ha luogo nella memoria. I modi in cui ciò avviene e i fattori che lo influenzano sono diversi.  IL PASSARE DEL TEMPO. In generale più è lungo l’intervallo tra l’apprendimento e la rievocazione, minore è la probabilità di ricordare qualcosa. Vi sono però molte eccezioni a questa regola generale. Spesso si ricordano eventi accaduti in un momento di crisi, come la morte di un amico o una situazione di pericolo, anche se si sono verificati molti anni prima. In realtà la vividezza del ricordo di eventi del genere è sorprendente. D’altra parte, ci si può dimenticare il nome di una persona che ci viene presentata prima ancora di finire di stringerle la mano. Perciò, il trascorrere del tempo, da solo, non costituisce un indice affidabile della possibilità di ricordare o no un fatto. Di maggior importanza sono: l’accuratezza con cui l’informazione è stata appresa o codificata originariamente, ciò che accade all’individuo durante il periodo di ritenzione e la situazione in cui avviene il recupero.  LA DISTRAZIONE E I PROBLEMI DI ATTENZIONE. E’ improbabile che ricordiate il nome delle persone se non vi avete prestato attenzione al momento della presentazione. Né vi sarà facile ricordare i dettagli dell’ultima lezione mentre state guidando in mezzo al traffico o state cercando di ricordare qualcosa che non c’entra niente. C’è una differenza tra questi due esempi. Le distrazioni che si presentano quando cercate di recuperare un’informazione, di solito, disturbano la vostra memoria solo temporaneamente (probabilmente la lezione vi tornerà in mente quando sarete a casa). Ma se siete stati distratti quando l’informazione vi è stata presentata per la prima volta, potete trovarvi nella condizione di non ricordarla più; è come se non fosse mai stata codificata. Perciò un fattore determinante del ricordo è costituito da ciò cui si presta attenzione.  L’INTERFERENZA DI ALTRI RICORDI. La capacità di ricordare qualcosa può essere menomata, o disturbata, dal ricordo di altre cose, in particolare se queste sono simili o legate concettualmente al materiale da ricordare. Immaginate che un agente immobiliare vi abbia fatto vedere un certo numero di case. Alla sera, ripensando a ciò che avete visto, potrebbe essere difficile ricordare le caratteristiche di ogni singola casa, arrivando ad attribuire una caratteristica
  • 16. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 15 – di una casa ad un’altra casa. Quanto più sono simili le case visitate e quanto più è elevato il loro numero, tanto più è possibile incontrare delle difficoltà nel ricordarle senza confondere le loro caratteristiche.  FATTORI EMOZIONALI. In genere crediamo di ricordare con maggior vividezza gli eventi caratterizzati da un forte vissuto emotivo. I momenti di grande gioia o eccitazione, di pena o travaglio, sono spesso fortemente impressi nella nostra memoria. E’ anche vero che questi eventi sono quelli che ricordiamo con maggior frequenza e, in questo modo, si moltiplicano le occasioni per ripetere l’accaduto e fissarlo nella memoria. Inoltre i fatti in cui siamo emotivamente coinvolti hanno la capacità di attirare la nostra attenzione, annullando tutto ciò che può distrarci. Va detto, tuttavia, che quando concentriamo l’attenzione sulle nostre emozioni tendiamo a trascurare altri tipi di informazione. Per esempio, uno stato di grande ansietà può impedire di seguire una lezione: uno studente può trascorrere tutta la lezione guardando fuori dalla finestra, assorto nei suoi problemi. Secondo Freud, inoltre, molte delle dimenticanze, apparentemente innocenti (come i lapsus), che si possono verificare durante la vita quotidiana, sono in realtà delle dimenticanze motivate, cioè il prodotto di motivazioni ed emozioni inconsce. Dimenticare le chiavi dell’auto a casa potrebbe indicare il fatto di non volersi recare al lavoro; dimenticarsi l’appuntamento con una determinata persona potrebbe voler dire inconsciamente che si prova un sentimento di avversione nei suoi confronti. I problemi emotivi possono far dimenticare gli eventi che per una persona sono spiacevoli da ricordare. Se il dolore è stato molto grande, l’oblio può essere praticamente totale e così una madre, ad esempio, si ritrova incapace di ricordare tutto ciò che è accaduto il giorno in cui il figlio è morto in un incidente  CAUSE ORGANICHE. Alcuni tipi di oblio hanno all’origine delle cause organiche. Le amnesie organiche di solito sono la conseguenza di danni cerebrali, provocati da malattie, traumi cranici o interventi chirurgici al cervello. Per esempio, nel morbo di Alzheimer, come abbiamo già visto, la memoria è una delle funzioni cognitive che viene seriamente danneggiata.
  • 17. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 16 – Se la perdita della memoria è limitata ai fatti successivi al danno cerebrale, si parla di amnesia anterograda; se la perdita riguarda, invece, i fatti accaduti in precedenza, si parla di amnesia retrograda. La psicosi di Korsakoff è una malattia associata all’alcolismo cronico e alla conseguente malnutrizione; essa causa danni cerebrali permanenti. Di solito, le persone che soffrono di questa malattia sono caratterizzate da una certa amnesia retrograda, ma da una grave amnesia anterograda, che li porta a non trattenere nuove informazioni per più di qualche minuto. E’ come iniziare sempre da capo, sorretti solo dai ricordi della propria vita anteriore alla malattia, e a volte non tutti. Le amnesie retrograde sono temporanee e sono spesso causate da un colpo alla testa: solitamente con il passare del tempo i ricordi vengono recuperati, a partire dai più lontani nel tempo. A volte, però, il ricordo degli eventi che hanno preceduto di poco l’evento traumatico viene perduto per sempre. CONCLUSIONI In questo capitolo abbiamo affrontato il tema della memoria, cercando di illustrarne sia il significato e l’importanza che ha per la vita di ogni persona – con particolare attenzione verso la profonda sofferenza originata dal venir meno di tale funzione -, sia il funzionamento. Questo secondo aspetto vorrebbe anche essere fonte di suggerimenti utili alla memorizzazione di sempre nuove conoscenze. DOMANDE GUIDA ALLO STUDIO  Che cosa si intende per memoria episodica, semantica e procedurale? Fa’ un esempio per ogni tipo di memoria.  Principali cause dell’oblio.  Perché è importante la memoria in una persona?
  • 18. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 17 – CAPITOLO 3 STEREOTIPI E PREGIUDIZI Quando abbiamo studiato la percezione abbiamo sottolineato come la medesima realtà viene percepita in modi diversi da persone diverse. Anche se le fonti sono le stesse, ognuno vive l'esperienza in maniera diversa, recependo cose diverse". Le medesime informazioni fisico-sociali possono venir interpretate spesso in molti modi diversi. I rumori di una festa sono motivo di gioia per qualcuno, di fastidio per qualcun altro. Un sorriso di simpatia sul volto di un amico può essere gradevole per qualcuno, ma sgradevole per un altro che sperava di vedere un sorriso più ampio di benvenuto. Sono questi i problemi empirici della percezione sociale, che si incontrano quando si cerca di scoprire in quali modi, e sono molti, può essere recepita la stessa situazione stimolo. LA CATEGORIZZAZIONE Il processo di categorizzazione consiste nell'organizzare l'informazione che riceviamo dall'ambiente secondo determinate modalità. Infatti noi tendiamo ad ignorare certe differenze tra singoli oggetti, se questi oggetti sono equivalenti l'uno all'altro per determinati scopi, come ad esempio sgabelli, poltrone o sedie, nel momento in cui vogliamo sederci. Allo stesso tempo ignoriamo certe somiglianze, se esse sono irrilevanti per i nostri scopi, se nascondono una mancanza di equivalenza, per quanto concerne le nostre azioni, credenze, atteggiamenti intenzioni o sentimenti. Per esempio, quando vogliamo individuare un amico in una folla, uno strumento in un’orchestra, un sorriso amichevole da uno ironico. Senza queste due modalità di organizzazione non sono possibili reazioni adeguate a quanto accade nell'ambiente o un’adeguata azione su di esso. Dunque la funzione principale della categorizzazione consiste in un ruolo strumentale di sistematizzazione dell'ambiente finalizzata all'azione, un processo di semplificazione e di riordinamento mentale del mondo fisico e sociale. E’ l'insieme dei processi che «tendono ad ordinare l'ambiente in termini di categorie: gruppi di persone, di oggetti, di avvenimenti, nella misura in cui essi sono o simili o equivalenti tra loro in
  • 19. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 18 – rapporto all'azione, alle intenzioni o agli atteggiamenti di un individuo. Per far ciò sono indispensabili delle semplificazioni onde rendere accessibile ai nostri schemi cognitivo l'immenso materiale informativo che ci viene offerto dall'esterno. Le conseguenze comportate da questo processo di raggruppamento sono essenzialmente due: a) Una tendenza ad accentuare le differenze tra persone e oggetti appartenenti a categorie diverse; b) Una tendenza a minimizzare le differenze tra persone e oggetti che appartengono alla stessa categoria. Questo processo è legato a fenomeni sottostanti alla formazione degli stereotipi. Così valutando una persona che si conosce poco, si tenderà ad attribuirle le caratteristiche personali della categoria in cui la si colloca. GLI STEREOTIPI Spesso collocare le persone e gli oggetti entro categorie è un'esigenza di ordine cognitivo per evitare lo sforzo di ripartire da zero ogni volta che si prende in considerazione un nuovo stimolo. E' prassi comune cercare di collocare ogni nuovo evento entro una delle categorie che già possediamo nel bagaglio delle conoscenze che abbiamo acquisito nel corso della socializzazione. In tal modo viene ridotta la quantità di energia psichica spesa per affrontare i problemi di tipo già conosciuto ed essa può venire meglio impiegata per l'approccio a quesiti di nuovo tipo. Tale processo, anche se vantaggioso per l'economia psichica, è anche la strada più sicura per arrivare ad una certa inerzia nei processi cognitivi, la quale diminuirà la nostra capacità di considerare le persone che incontriamo come portatrici di caratteristiche personali e come individualità ben diverse le une dalle altre, la cui definizione non può essere costretta entro categorie prestabilite. Se ciò avvenisse comporterebbe l'attribuzione di un comune profilo di personalità a tutte le persone che, per una certa caratteristica che le accomuna (età, sesso, professione) vengono riunite entro un unica categoria. Si viene cosi a creare lo stereotipo.
  • 20. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 19 – Lo stereotipo e’ quindi uno dei fattori che guidano la percezione. Riuscire a cogliere il significato di un comportamento, attribuire alle persone intenzioni, capacità, desideri, è senza dubbio il risultato di un processo estremamente complesso, anche se nella maggior parte dei casi di tipo inconsapevole. Nel tentativo di andare al di là dell’informazione data, l’individuo tende a collocare gli esemplari di persone e di azioni entro classi e categorie che gli permettono di semplificare e organizzare la complessità delle esperienze sociali. Un primo tipo di inferenza è quella che si produce allorché le persone possiedono delle informazioni riguardanti uno o più esemplari di una certa categoria e, mediante un processo di generalizzazione, attribuiscono alla categoria di appartenenza le caratteristiche riscontrate nei singoli esemplari. Andamento inverso hanno invece quelle inferenze che consentono alle persone di attribuire le caratteristiche di una categoria sociale ai membri che ad essa appartengono. Ad esempio, conosciuta l’appartenenza di un individuo ad un determinato gruppo (razziale, etnico, religioso, professionale, sessuale) gli vengono automaticamente attribuiti tratti, comportamenti, qualità distintive del gruppo di appartenenza. Gli stereotipi possono essere formulali da qualunque individuo ed essere riferiti a qualunque oggetto o categoria di oggetti; nel campo delle scienze sociali, tuttavia, come già accennato, hanno particolare importanza quelli che un gruppo sociale crea e condivide nei riguardi di un altro gruppo sociale: gruppi razziali, nazionali, sessi, classi sociali, classi di età, professioni, ecc. Le molte definizioni formulate da studiosi e ricercatori concordano nel ritenere lo "stereotipo" una credenza socialmente condivisa, articolata in un insieme di caratteristiche attribuite ad una categoria di persone e formulata secondo criteri "non scientifici". Il termine stereotipo nasce in tipografia e indicava quello stampo di cartapesta entro cui veniva fatto colare il piombo fuso che riproduceva la pagina stampata e che poteva essere impiegato un numero illimitato di volte. Queste caratteristiche di fissità, rigidità, ripetitività, che sono delle proprietà fisiche degli stereotipi tipografici, indicheranno in seguito gli elementi distintivi di alcuni quadri sintomatici connessi a gravi patologie psichiche. Sarà un giornalista americano, W. Lippmann, a utilizzare per la prima volta, nel 1922, il termine stereotipo in un libro in cui analizzava i processi di formazione e di diffusione di quei
  • 21. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 20 – sistemi di credenze, che costituiscono l’opinione pubblica e di quelle strutture di semplificazione, chiamate appunto da lui, per la prima volta, stereotipi. Ecco come un gioco, tratto da “Arte di ascoltare e mondi possibili”, di Marianella Sclavi, può aiutarci a capire come tutti noi abbiamo degli stereotipi. Storia. La terra sta morendo. Unica possibilità di salvezza, una navicella spaziale con sette posti che sta per partire per un altro pianeta. Intorno alla navicella vi sono undici persone che aspirano a partire. Voi vi trovate nella posizione di dover scegliere le sette che partiranno e costituiranno il primo nucleo di una nuova civiltà. Di loro sappiamo pochissimo, come vedremo, quasi niente, e tuttavia su queste basi dovete scegliere e anche rapidamente, altrimenti nessuno rimarrà in vita. Adesso dividete il vostro foglio in tre colonne verticali; in alto nella prima scrivete: "candidati", sulla seconda: "sì" e sulla terza "no", non parte. Per ognuno dovete decidere se parte o no e usare lo spazio relativo per giustificare in poche parole la vostra scelta; cioè in base a quali considerazioni avete preso quella decisione. Poi per ogni candidato vedremo se prevale il sì o il no. Le informazioni che abbiamo sono le seguenti: 1. Militante nero, 2. Poliziotto con fucile, 3. Atleta, 4. Architetto, 5. Cuoca, 6. Falegname cieco, 7. Dottoressa, 8. Prostituta, 9. Ragazza di sedici anni incinta, 10. Musicista gay, 11. Sacerdote. Inutile far domande, questo è tutto quel che sappiamo. Dieci minuti di tempo. Trascorsi i dieci minuti e riprodotto alla lavagna lo schema generale, si fa la conta. Per ogni candidato si chiede quanti sono per il sì e quanti per il no. Poi si annotano le considerazioni alla base di queste scelte. A titolo illustrativo riporto i risultati del corso del 1997 - 98 per l'unico motivo che me li ritrovo sottomano. Era una classe composta da un'ottantina di studenti, grosso modo metà maschi e metà femmine. Partono: - l'atleta (ragazzo giovane, corpo robusto, riproduzione della specie); - l'architetto (capacità progettuale, coordinazione, senso pratico; tenete conto che siamo alla Facoltà di Architettura...); - la cuoca (perché donna e per il valore di mangiare bene); - la ragazza di sedici anni incinta (due piccioni con una fava; perché donna e giovane); - il musicista gay (la musica, la tolleranza, la varietà); - la dottoressa (per curare e prevenire le malattie); - il sacerdote (guida spirituale, supporto psicologico). Rimangono a terra: - il militante nero (la parola "militante" è sospetta, segno di mentalità settaria e rigida, alcuni l'hanno inteso come fascista); - il poliziotto con fucile (più che altro per il fucile, che potrebbe diventare uno strumento di potere); - la prostituta (non ha una competenza specifica; idea di malattia e promiscuità); - il falegname cieco (falegname sarebbe utile, ma la cecità è un grande handicap in un nuovo mondo tutto da costruire).
  • 22. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 21 – Quando la navicella con i passeggeri da noi prescelti sta già viaggiando verso il nuovo mondo, ci arriva un secondo documento, con informazioni più dettagliate su ognuno dei candidati. Leggiamole. - Il militante nero è un pacifista, esperto in non violenza e gestione creativa dei conflitti. - II poliziotto con fucile è un giovane e atletico leader dei Boy Scout, uno che userebbe il fucile unicamente per procurare il cibo con la caccia. - L'atleta è una donna di settant'anni che ha vinto le Olimpiadi delle" Grey Panthers" . - L'architetto mangia solo rape rosse, pianta che non sembra crescere nel nuovo pianeta. - La cuoca ha lavorato unicamente nel carcere di Sing Sing e ha imparato a cucinare solo quel tipo di pietanze. - La prostituta è un'ottima cuoca, giovane, allegra e gode di ottima salute. - La ragazza di sedici anni ha l'Aids. - Il musicista gay sa suonare solo i piatti. - Il falegname cieco è un famoso maestro delle costruzioni in legno e sarebbe in grado di insegnare queste rare abilità a chiunque. - La dottoressa è una laureata in legge, dirigente della Pubblica amministrazione - Il sacerdote è il capo di una setta fondamentalista musulmana. Reazioni degli studenti durante questa lettura: ilarità mista a sconcerto. Dunque il "trucco" consiste nel proporre immagini divertenti e opposte a quelle alle quali la maggioranza di voi si è affidata per compiere la scelta. Il gioco esige non solo che i partecipanti producano stereotipi, ma che si affidino a questi stereotipi per le decisioni successive. Che li diano per scontati. Questa fiducia viene stravolta dalle informazioni successive. Noi adesso useremo questa esperienza di "spiazzamento" per riflettere su cosa facciamo quando produciamo degli stereotipi e quando li usiamo per interpretare il mondo che ci circonda. Queste specifiche esperienze ci consentono di riflettere su cosa facciamo quando: l. produciamo stereotipi 2. ci affidiamo a essi per interpretare la realtà. Un buon osservatore deve infatti sapere come nascono gli stereotipi, a cosa servono e non deve mai dare per scontato che essi siano delle rappresentazioni accurate della realtà. Cioè, deve fare il contrario di quello che questo gioco vi ha costretto a fare. In particolare, questo gioco vi ha costretto: a. Ad operare a partire da "astrazioni indeterminate", cioè sulla base di informazioni insufficienti a orientare la produzione di immagini concrete. Ma voi queste immagini concrete le avete prodotte automaticamente e senza rendervene conto, perché altrimenti non potevate prendere le decisioni che il gioco richiedeva. b. Ad operare in termini di "urgenza classificatoria". c. A non tener conto dei "casi particolari". 1. Astrazioni indeterminate. Per ogni parola siamo stati costretti a chiederci: "Qual è il suo significato più convenzionale?" e "Qual è l'immagine più convenzionale connessa con questo significato?". Di conseguenza nel leggere la parola "atleta" ci è venuto in mente un maschio giovane e nerboruto. Ma questo non era "nella parola", non è che quella parola “ha” quel significato, siamo noi che abbiamo evocato quel significato nell'atto di interpretarla alla luce della situazione in cui ci trovavamo e del problema che ci assillava. “Atleta” per un cinese che non conosce l'italiano non è "una parola”, è un segno grafico. A noi che conosciamo l'italiano, fa venire in mente prima di tutto il suo significato da dizionario:
  • 23. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 22 – "chi pratica qualsiasi sport", "persona di grande forza e destrezza fisica”. Dunque anche questa informazione pur così astratta e generale non è contenuta nel segno grafico, nasce dal rapporto fra noi in quanto cresciuti in un certo ambiente linguistico e quel segno. Il dizionario ci dà delle classificazioni puramente analitiche, i caratteri che tutti gli elementi di un insieme devono avere in comune per far parte di quell'insieme. Una classificazione analitica è un'astrazione indeterminata, dentro possiamo metterci di tutto: da mio fratello che ha vinto molte gare di nuoto e di tiro a segno, a me stessa quando facevo salto in alto, a nomi di atleti famosi, all'olimpionica di settant'anni delle "Grey Panthers". Potrebbe anche essere una persona che vince le gare per portatori di handicap. Su queste basi non potevate decidere niente e quindi, automaticamente, fra le innumerevoli possibilità, avete scelto e prodotto quell'immagine che più spesso nella nostra società viene tipicamente associata a quella parola, quella di un maschio giovane, prestante e nerboruto. Pensate a quanto vi siete dati da fare, quanti tratti generali e particolari avete dovuto aggiungere. Probabilmente quel giovanotto aveva pure un'aria serena e determinata, consapevole della propria vitalità. Avete dovuto immaginare un "tipico atleta", cioè lo "stereotipo" dell'atleta e poi operare come se si trattasse di una persona concreta, viva e vegeta. 2. Parole, contesti, e metafore. Se in un ufficio comunale ci dicono: "Deve parlare con la dottoressa” interpreteremo normalmente questa parola nel senso della dirigente di quell'ufficio. Se siamo in una corsia di ospedale o se siamo ammalati, la stessa parola evocherà un'immagine diversa. Di fronte a gesti e parole isolati (come in questo gioco) non ci resta altro che ricorrere ad associazioni meccaniche: o la prima associazione che ci viene in mente o le associazioni che valgono comunemente in una certa cultura. In questo gioco dovevate prendere una decisione collettiva in una condizione di scarsità di informazioni tale che vi obbligava ad affidarvi agli stereotipi dominanti o che ritenevate tali. Ma questi stereotipi non sono qualcosa di "oggettivo", sono delle costruzioni al tempo stesso sociali e arbitrarie. 3. Urgenza classificatoria. Qui viene a proposito la favola degli undici indiani ciechi e l'elefante. Agli undici indiani ciechi era stato posto questo quesito: "Che cos'è in realtà un elefante?". Il primo prende in mano la coda e risponde: "Un elefante è qualcosa che assomiglia a un serpente lungo e sinuoso". Il secondo tocca una gamba: "Un elefante assomiglia a un tronco di un albero ruvido e solido". E così via. Questa favola di solito viene usata per illustrare un concetto importante e cioè che non è possibile risalire al tutto in base alla conoscenza delle parti. Il tutto non è riducibile alla somma delle singole parti. Per arrivare al tutto dobbiamo guardare come le parti sono connesse fra loro e quindi vedere ogni parte non isolatamente, ma nelle sue connessioni con tutte le altre. Ma la stessa storia - come fa notare Don Idhe - è utilizzabile anche per illustrare le dinamiche dell'urgenza classificatoria. Palpare la ruvida, pelosa e ossuta coda dell'elefante è una esperienza molto diversa dal toccare il corpo liscio, squamoso e molle di un serpente. Le descrizioni degli indiani sono sciatte, basate su similitudini e credenze tradizionali piuttosto che su una cauta e meticolosa analisi della loro esperienza. Può darsi benissimo che la prima immagine che ci viene in mente, toccando la coda, sia quella del serpente. Ma appunto, "l'osservazione" inizia qui. Inizia prestando attenzione a tutti quei particolari "marginali e irritanti" i quali potrebbero, se esaminati meglio, cambiare o almeno mettere in dubbio quella immagine. Questi indiani hanno troppa fretta di arrivare alle conclusioni sia rispetto al fenomeno particolare che stanno esaminando, che rispetto al "tutto" di cui quel particolare è parte. In questo senso sono "ciechi" non solo fisicamente, ma prima ancora mentalmente. E per "mentalmente" intendo in questo caso anche e soprattutto emotivamente e socialmente. Il contrario dell'urgenza classificatoria è infatti la capacità di convivere col disagio dell'incertezza, di sopportare l'esplorazione prolungata e paziente; il rendersi disponibili e anche
  • 24. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 23 – divertirsi non solo all'inizio, ma durante tutto il processo ad accogliere lo sconcerto e disorientamento. Gli indiani ciechi ignorano queste dinamiche, le evitano e si accontentano delle “prime impressioni”, delle “prime immagini” che vengono loro in mente. Questo comportamento degli indiani illustra molto bene quello che anche noi facciamo quando nella vita quotidiana ci affidiamo acriticamente agli stereotipi (pagg. 48-53). LO STEREOTIPO NEI CONFRONTI DEGLI ANZIANI Ho ritenuto opportuno affrontare il problema dello stereotipo in relazione alla condizione dell'anziano, poiché è risaputo che certe caratteristiche vengono ritenute tipiche dell'anziano con una frequenza che travalica un reale riscontro nella realtà. Comunque quello che più interessa non è già il semplice rilievo dell'esistenza dello stereotipo, ma piuttosto il valutarne le funzioni, le conseguenze, dal punto di vista psicologico e sociale. Come abbiamo già visto, alla base del meccanismo della stereotipizzazione vi è una ingiusta e spesso errata generalizzazione a tutto un gruppo di caratteristiche riscontrate in un sottogruppo. Consideriamo, ad esempio, la classe “Anziani", all'interno di essa definiamo delle sottoclassi: a. anziani malati, b. anziani inerti c. anziani socievoli Poi compiano un'operazione di moltiplicazione trattando le quattro classi come identiche tra di loro; allora risulterà che gli anziani sono malati, inerti, socievoli. E' facile vedere come il risultato di questa procedura non sia attendibile. Così la vecchiaia è vista come una patologia sociale o come un comportamento antisociale: diventare vecchi può voler dire diventare ostili, vendicativi, oppure nei casi più gravi può significare cadere in una psicopatologia del comportamento (demenza senile, demenza arteriosclerotica). Un tale pericolo può presentarsi nelle indagini psicologiche sull'anziano, ossia quello di oggettivizzarlo perdendone di vista i referenti sociali ed umani e quindi psicologici del suo essere.
  • 25. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 24 – La suddivisione della vita dell'uomo a compartimenti stagni è indice di una operazione di spezzettamento e di oggettivazione che viene agita sull'uomo. Si fanno studi sulla prima infanzia, sulla seconda infanzia, sull'adolescenza e così via, fino a giungere a studiare la vecchiaia; per ognuna di queste epoche vengono individuate delle caratteristiche precise e dei parametri per valutarne l'adattamento e la maturità. In questo modo vengono create delle categorie di riferimento facilmente accessibili, ma una completa ed acritica fiducia in tali categorie le rende prescrittive, nel senso che l'individuo può sentire l'esperienza della sua vita come maggiormente valida quando coincide proprio con queste schematizzazioni. La frammentazione dell'individuo accade ogni qual volta viene spezzettato il corso della sua esistenza o il significato delle sue esperienze che vengono poi collocate dentro delle caselle di pura speculazione scientifica. Così la suddivisione della vita per età, che originariamente corrispondeva ad una esigenza di tipo tassonomico simile a quella che ha portato alla classificazione dei vegetali e dei minerali a seconda delle loro proprietà, ha avuto come conseguenza di convincere le persone che la loro vita passa proprio attraverso questi compartimenti e ciò viene legittimato ogni volta che si affronta una ricerca su uno di questi periodi. In questo modo si conferma l'esistenza della realtà della giovinezza, della maturità e della vecchiaia come periodi ben distinti. Ma è più giusto pensare che per ogni persona la vita dovrebbe essere un tutt'uno in cui non si avvertono queste frammentazioni, a meno che non si convincano gli individui a confermare l'esistenza in loro di queste realtà. Fino a qualche tempo fa la maggior parte delle ricerche condotte su persone anziane si basavano su campioni tratti da "Case di Soggiorno per Anziani" o cronicari, quindi su campioni rappresentativi di una realtà anomala e particolarmente stigmatizzata. Non stupisce quindi che i risultati di tali ricerche fossero in gran parte atti a confermare certi stereotipi. Tali indagini riscontravano negli anziani una diminuzione delle capacità intellettuali, fisiche e motorie, nonché un disinteresse per ogni tipo di nuovo apprendimento e di partecipazione alla vita comunitaria.
  • 26. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 25 – I risultati ottenuti con questi tipi di indagini venivano poi estesi a tutte le persone anziane, attuando così un errore di ipergeneralizzazione che andava ad incrementare un stereotipo negativo nei riguardi della vecchiaia. GLI ATTEGGIAMENTI VERSO GLI ANZIANI Ogni corretta soluzione del problema degli anziani è connessa in modo determinante all’orientamento psicologico e operativo che la società assume consapevolmente e inconsapevolmente verso di esso. Nella società contemporanea è possibile rilevare la presenza di due tendenze apparentemente contraddittorie, che si configurano in atteggiamenti e comportamenti diversi: la tendenza verso la rimozione, l'eliminazione degli anziani dalla sfera di coscienza, e la tendenza verso la commiserazione e l'assistenza. Questi atteggiamenti, che si rivelano anche nel modo in cui la società cerca di risolvere il problema degli anziani, o almeno di quegli anziani che sono diventati estranei all’attività produttiva, esprimono in effetti lo stesso fondamento di aggressività, non tanto verso i vecchi quanto verso la vecchiaia e verso la morte, non tanto verso gli altri quanto verso se stessi. Questo orientamento è influenzato anche da pregiudizi, da stereotipi sociali, da opinioni non fondate, da ignoranza circa i fenomeni biologici e quelli psichici dell'uomo che invecchia, dal rifiuto di tutto ciò che non è piacevole, da fattori connessi alla immaturità e all’insufficienza culturale. Risultati di numerose ricerche condotte dagli anni '50 ad oggi possono essere sintetizzati in tre affermazioni fondamentali: 1. L'immagine dell’anziano è sostanzialmente negativa e sostenuta da stereotipi e generalizzazioni arbitrarie; 2. L'immagine è tanto più negativa e restrittiva quanto più giovane è colui che giudica; 3. L'immagine dipende anche dalla situazione esistenziale: migliore se l'anziano è in buona salute e fruisce di uno stato d'animo positivo, e se il giudicante ha convissuto con anziani; peggiore se chi giudica è autoritario, pessimista, esistenzialmente disorientato.
  • 27. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 26 – IL PREGIUDIZIO Il termine, derivato dal latino "praejudicium", ha subito nell'uso comune un cambiamento di significato attraverso i tempi; il senso originale era quello di giudizio basato su precedenti, su esperienze e decisioni già sperimentate; successivamente, acquisì il senso del giudizio aprioristico, formulato prima dell'esame e senza la considerazione dei fatti; infine, a questo secondo significato venne associata anche la connotazione emozionale di favore e sfavore che accompagna il giudizio aprioristico. Quest'ultimo è anche il significato con cui il termine viene generalmente utilizzato nelle scienze sociali. Nel pregiudizio si possono individuare tre componenti: a) cognitiva: credenze relative all'oggetto dell'atteggiamento, tra cui particolarmente importanti le credenze valutative, che compartano la attribuzione all'oggetto di qualità favorevoli o sfavorevoli; b) affettiva: sentimenti positivi o negativi nei confronti dell'oggetto dell'atteggiamento; c) attiva: disponibilità a intraprendere un'azione a favore o contro. Gli stereotipi rappresentano le componenti cognitive dei pregiudizi, poiché definiscono le caratteristiche possedute dai gruppi verso i quali si nutre il pregiudizio. Un atteggiamento negativo, pregiudizievole verso un gruppo ha bisogno di essere giustificato, e sono proprio gli stereotipi che forniscono tali giustificazioni, in quanto sono delle entità razionalizzatrici del nostro comportamento. Sovente il pregiudizio si applica a eventi o persone che sentiamo diversi da noi, e questo in fondo ha una giustificazione e persino una propria dignità. Ciò che conosciamo, infatti, ci rende inquieti, evoca un bisogno di spiegazioni comunque sia, purché capaci di abbassare la nostra ansia dell’ignoto. Le origini di un pregiudizio possono essere di natura psicologica, economica o storica, ma l'atteggiamento che indirizziamo verso il gruppo vittima viene giustificato in modo più semplicistico e cioè attribuendogli caratteristiche negative.
  • 28. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 27 – Tali caratteristiche vengono riunite insieme per formare lo stereotipo che accompagnerà quel ruolo ed in tal modo ci sentiremo autorizzati ad emarginare le persone che ne fanno parte. Se, ad esempio, un adulto non riesce a trovare lavoro, oppure non riesce a migliorare la sua condizione lavorativa, può attribuire queste sue difficoltà anche al fatto che i posti di lavoro migliori sono occupati dalle persone che hanno molti anni di anzianità nell'azienda e che molti di loro continuano a lavorare anche dopo l'età del pensionamento, limitando in tal modo il numero di posti di lavoro che si rendono liberi. Egli avvertirà un'intensa avversione verso i colleghi anziani, e svilupperà un atteggiamento pregiudizievole nei loro confronti. E' evidente che le cause delle difficoltà sul lavoro non dipenderanno dall'elevato numero di lavoratori anziani, ma piuttosto saranno dovute ad una inadeguata ripartizione del lavoro tra tutte le forze disponibili. Tuttavia per avvertire come legittimo l'astio verso gli anziani si incomincerà ad assegnare loro attributi negativi, si dirà che sono poco produttivi e incapaci e così si costruirà uno stereotipo che accompagnerà la realtà della vecchiaia ed autorizzerà quella persona a nutrire astio verso di essa. Racconta Marianella Sclavi: Una delle mie prime ricerche sul campo come parte di una più ampia équipe, riguardava la raccolta di storie di vita di giovani dei quartieri "ricchi" e "poveri" a Roma. Era un tema che mi interessava moltissimo. Ma i giovani "ricchi" che mi sono capitati erano per la maggioranza appartenenti a gruppi di estrema destra e io ho avuto enormi difficoltà a stabilire con loro quei rapporti che ci avrebbero consentito di sentirci pienamente a nostro agio e di collaborare attivamente e lietamente. Infatti, non ci sono riuscita. C'era una differenza abissale fra i colloqui con gli altri giovani e con questi. Dagli uni ottenevo solo dei racconti smozzicati, dagli altri una quantità incredibile di esperienze dettagliate narrate con reciproca soddisfazione e divertimento. Con i primi ero bloccata sulle mie tipizzazioni e stereotipi e questo, sebbene cercassi di nasconderlo, si rifletteva nel mio modo di ascoltare e nelle domande che facevo; con i secondi ero un'esploratrice di mondi possibili e dopo un po' lo diventavano anche loro. Ho riflettuto molto su questo mio blocco e alla fine ho preso una decisione che poi ho adottato in situazioni analoghe e ha funzionato bene. È questa. Quando mi capita di dover intervistare una persona verso la quale ho dei radicati pregiudizi (relativi al ruolo che svolge, al suo carattere, alla sua fama morale o altro) prima di recarmi al suo cospetto cerco di immaginare una persona che conosco che, pur avendo anche quelle caratteristiche, mi è simpatica o se questa non esiste, me la invento o attingo a dei personaggi della letteratura o altro. Shakespeare per esempio va benissimo, una si immagina Riccardo III o Lady Macbeth, così repellenti ma così complessi e affascinanti, e non ha più paura di niente. Questo non implica che dobbiamo fingere di essere diversi da quello che siamo.
  • 29. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 28 – Si tratta di diventare più flessibili e aperti, senza fretta di arrivare alle conclusioni. Non è la sostituzione di uno stereotipo con un altro; è una sovrapposizione che ci rende più avveduti e disposti ad accogliere particolari che giudicheremmo marginali e irritanti, a vedere "le stesse cose" anche da altri punti di vista. (ibidem, pag 54 - 55) Ecco allora che nell'individuare le caratteristiche (e quindi i bisogni) dell'anziano e di qualsiasi utente è necessario che l'operatore sia consapevole delle distorsioni percettive causate sia da stereotipi e pregiudizi, sia dai bisogni e dagli affetti dell'operatore stesso. A tal fine è bene ricordare e sottolineare come sia fondamentale nell’instaurare una relazione professionale di assistenza l’attivare un atteggiamento di osservazione e di ascolto attivo, in modo da uscire dalle cornici di cui siamo parte e dagli schemi che ci siamo costruiti. Marianella Sclavi, nel suo libro, che abbiamo più volte citato, individua le sette regole dell’arte di ascoltare, qui di seguito riportate, che vogliono essere un’indicazione su come impedire che stereotipi e pregiudizi non permettano l’accoglienza e l’accettazione incondizionata che ogni persona desidera per sé e che noi stessi chiediamo continuamente a chi ci incontra.
  • 30. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 29 – LE SETTE REGOLE DELL'ARTE DI ASCOLTARE 11.. NON AVERE FRETTA DI ARRIVARE A DELLE CONCLUSIONI. LE CONCLUSIONI SONO LA PARTE PIÙ EFFIMERA DELLA RICERCA. 22.. QUEL CHE VEDI DIPENDE DAL TUO PUNTO DI VISTA. PER RIUSCIRE A VEDERE IL TUO PUNTO DI VISTA, DEVI CAMBIARE PUNTO DI VISTA. 33.. SE VUOI COMPRENDERE QUEL CHE UN ALTRO STA DICENDO, DEVI ASSUMERE CHE HA RAGIONE E CHIEDERGLI DI AIUTARTI A VEDERE LE COSE E GLI EVENTI DALLA SUA PROSPETTIVA. 44.. LE EMOZIONI SONO DEGLI STRUMENTI CONOSCITIVI FONDAMENTALI, SE SAI COMPRENDERE IL LORO LINGUAGGIO. NON TI INFORMANO SU COSA VEDI, MA SU COME GUARDI. IL LORO CODICE È RELAZIONALE E ANALOGICO. 55.. UN BUON ASCOLTATORE È UN ESPLORATORE DI MONDI POSSIBILI. I SEGNALI PIÙ IMPORTANTI PER LUI SONO QUELLI CHE SI PRESENTANO ALLA COSCIENZA COME TRASCURABILI E FASTIDIOSI, MARGINALI E IRRITANTI, PERCHÈ INCONGRUENTI CON LE PROPRIE CERTEZZE. 66.. UN BUON ASCOLTATORE ACCOGLIE VOLENTIERI I PARADOSSI DEL PENSIERO E DELLA COMUNICAZIONE. AFFRONTA I DISSENSI COME OCCASIONI PER ESERCITARSI IN UN CAMPO CHE LO APPASSIONA: LA GESTIONE CREATIVA DEI CONFLITTI. 77.. PER DIVENIRE ESPERTO NELL'ARTE DI ASCOLTARE DEVI ADOTTARE UNA METODOLOGIA UMORISTICA. MA QUANDO HAI IMPARATO AD ASCOLTARE, L'UMORISMO VIENE DA SÉ.
  • 31. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 30 – CAPITOLO 4 LA RELAZIONE PROFESSIONALE DI ASSISTENZA DEFINIZIONE DI RELAZIONE Per relazione si intende il legame, il vincolo che si crea tra persona e persona. Ogni relazione che viene ad instaurarsi tra due persone è un sistema, in quanto ognuno dei soggetti coinvolti influenza l’altro attraverso parole e comportamenti e a sua volta ne rimane influenzato. TIPI DI RELAZIONE Si possono instaurare diversi tipi di relazione a seconda del livello di coinvolgimento affettivo, degli obiettivi e del contesto in cui esse si attuano. A. LA RELAZIONE SOCIALE Per relazione sociale si intendono tutti quegli scambi che intercorrono tra persone che si incontrano casualmente o abitualmente, ma che non sono caratterizzati da condivisione di sentimenti di amicizia o da rapporti professionali. Sono condizionati dalle abitudini e dalla cultura locale, dalla società in cui avvengono. E’ incontrare una persona in treno, o al supermercato o abitualmente alla fermata dell’autobus. Questo tipo di relazione è caratterizzata da:  una certa formalità  regole della “buona educazione”  cortesia  uso del lei  poca gestualità (stretta di mano) B. LA RELAZIONE AMICALE Per relazione amicale si intende il legame tra persone basato su affinità di sentimenti, schiettezza, disinteresse e reciproca stima. E’ caratterizzata da:
  • 32. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 31 –  scelta della persona con cui si vuole condividere un’amicizia  fedeltà  interessi comuni  disinteresse  familiarità  confidenza  affiatamento  intimità  affetto  stima  aiuto reciproco e paritario  simmetria  gestualità condivisa come abbraccio, bacio, …  condivisione di spazi (ci si può recare a casa dell’amico o invitarlo a casa propria)  condivisione di tempo (vacanze comuni, hobby, gite, shopping, chiacchierate)  gioco  complicità C. LA RELAZIONE PARENTALE Per relazione parentale si intende il rapporto che intercorre tra persone appartenenti alla stessa famiglia o parentado: possono essere di diverse tipologie: 1. genitori / figli: caratterizzata da sentimenti di profondo affetto, di amore, dedizione, responsabilità, cura, gestualità condivisa, condivisione di spazio e tempo per lunghi periodi, autorevolezza, predilezione, … 2. figli / genitori: caratterizzata da sentimento di profondo affetto, dipendenza, cura, gratitudine, stabilità, …
  • 33. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 32 – 3. moglie / marito: caratterizzata da sentimento di amore, forte intimità, sessualità, progettualità, complicità, forte conoscenza reciproca, condivisione di spazio e tempo, affinità, condivisione di esperienze,… 4. fratelli: caratterizzata da sentimento di profondo affetto, solidarietà, confidenza, confronto e aiuto reciproco, consigli,…. D. LA RELAZIONE D’AIUTO Per relazione d’aiuto si intende il processo di cambiamento che viene attivato e attuato attraverso la relazione tra un operatore che ha acquisito una specifica formazione (psicologo, assistente sociale,…) e una persona in stato di bisogno, malessere o disagio. E’ un processo che porta ad una crescita della persona, che vive il disagio, proprio per mezzo della relazione e delle risorse che da essa possono scaturire. La relazione d’aiuto accompagna la persona che cerca aiuto a prendere coscienza del proprio stato di disagio, per individuare delle possibili soluzioni e poter così prendere delle decisioni in merito al possibile cambiamento. E. LA RELAZIONE PROFESSIONALE DI ASSISTENZA DELL’OPERATORE SOCIO SANITARIO: La relazione professionale di assistenza è un processo di aiuto che si differenzia dai tipi di relazione descritti finora, per la maggior parte delle caratteristiche, e per gli obiettivi che si pone. La relazione professionale riguarda da vicino la figura dell’Operatore Socio-Sanitario, perché definisce il particolare rapporto che è chiamato a instaurare e costruire con gli utenti che incontra nello svolgere il proprio servizio di assistenza. Per questo motivo, di seguito, l’argomento verrà trattato in modo approfondito.
  • 34. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 33 – LA RELAZIONE PROFESSIONALE DELL’OPERATORE SOCIO SANITARIO Dalla definizione emerge con forza che la relazione professionale non può non rappresentare lo sfondo, la trama, la base su cui costruire tutto il processo assistenziale: diventa uno strumento fondamentale per l’operatore e per l’utente stesso, a patto che l’operatore se ne assuma la responsabilità e l’iniziativa. La relazione operatore/utente non può essere lasciata al caso o considerata un qualcosa che nasce da sé, spontaneamente, senza alcun valore o importanza e in base alla buona disposizione o volontà dell’utente. E’ un processo di aiuto messo in atto dall’operatore e finalizzato al raggiungimento di alcuni obiettivi. OBIETTIVI DALLA DEFINIZIONE: La relazione professionale è il processo di aiuto messo in atto dall’operatore, per consentire all’utente di utilizzare l’aiuto offertogli al fine di mantenere, potenziare, valorizzare le sue risorse. L’obiettivo della relazione operatore/utente può essere riassunto nello slogan: Lavorare con l’utente e non sull’utente. E’ fare in modo che l’utente sia sempre più il protagonista del processo di assistenza, che non può e non deve attuarsi senza la collaborazione dell’utente stesso. Non LA RELAZIONE PROFESSIONALE DI ASSISTENZA È IL PROCESSO DI AIUTO MESSO IN ATTO DALL’OPERATORE, PER CONSENTIRE ALL’UTENTE DI UTILIZZARE L’AIUTO OFFERTOGLI AL FINE DI MANTENERE, POTENZIARE, VALORIZZARE LE SUE RISORSE. TALE RELAZIONE, CARATTERIZZATA DA UNA FORTE INFLUENZA DEL CONTESTO E DA UN RAPPORTO DI ASIMMETRIA TRA OPERATORE/UTENTE, È FONDATA SUL DESIDERIO DELL’OPERATORE DI AIUTARE L’UTENTE E SULLA FIDUCIA DI QUEST’ULTIMO NELLA COMPETENZA E CAPACITÀ DI COMPRENSIONE DELL’OPERATORE.
  • 35. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 34 – sempre questo è facile: dobbiamo tenere presente che la persona assistita si trova in una situazione di disagio e/o sofferenza, in cui spesso il supporto emotivo, affettivo, la condivisione di problemi, sentimenti, tempi e spazi che veniva assicurato dalla rete familiare, amicale e sociale, è venuto meno in modo più o meno definitivo. La persona è appena entrata in una struttura oppure vi è ospite già da anni e non ha più contatti con persone esterne, oppure è in uno stato di malattia, o ha appena subito la perdita di una persona cara, o sta attraversando un momento di difficoltà… Ecco allora che l’operatore, ritrovandosi ad occupare spazi e ad essere presente nella vita di queste persone, può mettere in atto una relazione in grado di offrire aiuto. Si possono fornire diversi tipi di aiuto: 1. Sostegno emotivo: è permettere all’utente di esprimere le proprie emozioni, è offrire un clima di accettazione incondizionata in modo che la persona possa mantenere la stima di sé. Si tratta di dare spazio all’utente perché si possa aprire, comunicando le proprie difficoltà, i propri bisogni, e, nel limite delle proprie competenze e risorse, attivarsi per il loro soddisfacimento. 2. Informazione: consiste nell’accompagnare ogni attività e intervento dando informazioni, coinvolgendo l’utente. E’ permettere all’altro di partecipare e contribuire; è lavorare con l’utente. 3. Aiuto strumentale: consiste nel fare concretamente qualcosa per l’altro, dall’aiutarlo a mangiare, a lavarsi, a deambulare, al prendersi cura dell’ambiente in cui vive, sia esso l’alloggio o la stanza di una struttura. “Limitarsi a dare questo tipo di aiuto al di fuori di un rapporto di conoscenza e accettazione dell’altro riduce nella persona la stima di sé perché aumenta il senso d’inutilità e dipendenza” (Saiani, Di Giulio, in Cavazzuti, Cremonini, Assistenza geriatrica oggi, Ambrosiana, p. 86) Se così articolata e integrata, la relazione può provocare un miglioramento nell’umore dell’utente, contribuire a modificare l’atteggiamento verso l’aiuto che gli viene offerto, che non viene quindi subìto, ma accolto e completato dalla collaborazione attiva dell’utente stesso.
  • 36. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 35 – Può infatti portare ad un recupero o mantenimento dell’autostima, e aumentare così la motivazione e la percezione di essere in grado di superare le difficoltà o la capacità di accettazione della propria situazione senza sentirsi sminuito nella dignità. CARATTERISTICHE DALLA DEFINIZIONE: Tale relazione è caratterizzata da una forte influenza del contesto e da un rapporto di asimmetria tra operatore/utente. “Che cosa distingue un qualsiasi rapporto interpersonale dal rapporto professionale tra operatore e utente? Un elemento importante che deve essere tenuto in considerazione è il puntuale e costante riferimento al contesto in cui il rapporto operatore/utente si verifica: il contesto determinerà quindi l'obiettivo del rapporto, che diventa scambio interpersonale nel quale l’utente collabora e l'operatore attivamente esercita la propria mansione. Ciò si verifica solo se l’operatore tiene sempre presente che l'altro è un individuo in stato di disagio/sofferenza/malattia e che nello specifico contesto in cui il rapporto si crea, l'operatore svolge un ruolo ben determinato, all'interno del quale individua di volta in volta i propri spazi di azione e i propri confini rispettando quelli dell'altro” (cfr. Manai - Siracusano, Appunti di psicologia). Altre caratteristiche:  “La relazione non è volontaria. Il rapporto, infatti, non si crea spontaneamente per libera scelta di entrambi i membri e raramente è esclusivo (più operatori possono assistere, alternandosi, lo stesso utente) ” (cfr. Manai – Siracusano).  “In questa specifica situazione, pur non essendo il rapporto affettivamente privilegiato, l’operatore invade lo spazio vitale dell’utente (e non viceversa) sia fisicamente tramite il contatto corporeo sia perché partecipa a momenti di vita che, in altri contesti, sono per principio estremamente privati (sofferenza, paura, gioia, dolore, morte) ” (Manai – Siracusano).
  • 37. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 36 –  Esiste nel rapporto una evidente differenza di potere o asimmetria. La situazione asimmetrica dipende dal fatto che l’utente si ritrova in una situazione in cui possiede minori risorse dell’operatore: meno salute, serenità, relazioni affettive e contatti sociali,… L’operatore, invece, si presenta come soggetto che ha una professionalità, delle competenze e delle risorse che possono aiutare l’assistito a superare la situazione di disagio, di parziale incapacità e/o impossibilità a compiere anche le più semplici attività della vita quotidiana. Inoltre, se la relazione si attua all’interno di una istituzione, come ad esempio la Casa di Soggiorno, l’utente può ritrovarsi a vivere una diminuzione di potere anche a livello decisionale e/o gestionale. Quest’ultimo aspetto è molto importante e contiene in sé elementi oggettivi ed elementi soggettivi. L’istituzione nasce e si organizza per raggiungere degli obiettivi che individualmente non sono raggiungibili, ma che di fatto sovrastano gli obiettivi dei singoli dipendenti e degli utenti che si avvalgono di essa: al suo interno vigono norme, regole, strutture e procedure che permettono ad una collettività di interagire per raggiungere gli scopi prefissati. L’operatore che lavora all’interno dell’organizzazione deve conoscere tali obiettivi, confrontarsi con essi e adoperarsi per il loro raggiungimento. Ecco allora che oggettivamente l’operatore si trova a vivere un rapporto di asimmetria nei confronti dell’utente, in quanto rappresentante dell’organizzazione e garante, in un certo qual modo, del suo funzionamento, che sicuramente in alcuni momenti non può non limitare la libertà di azione dell’utente. Se l’ospite, inoltre, ha un’immagine soggettiva dell’istituzione come di una entità che sovrasta in tutto e per tutto la propria capacità e possibilità decisionale, può elaborare vissuti di annullamento o di passività e mostrare una dipendenza fisica e psichica nei confronti dell’operatore, a cui delega completamente la propria gestione. Va precisato, però, che l’asimmetria non è di per sé un elemento negativo, perché permette all’operatore di mantenere la giusta distanza emotiva dall’utente, di rimanere all’interno del proprio ruolo e di promuovere con autorevolezza (non con autoritarismo!) l’intervento assistenziale necessario. La differenza nella relazione operatore /utente è solo ed esclusivamente legata al ruolo e al rispettivo potere e competenza: non è di certo a livello di dignità e valore delle persone coinvolte. La relazione da un punto di vista etico è totalmente paritaria. Quindi la relazione professionale si differenzia da tutte le relazioni presentate precedentemente, anche se racchiude in sé elementi comuni ad esse.
  • 38. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 37 – In particolar modo:  si differenzia dalla relazione amicale perché non c’è la scelta reciproca e spontanea, anche se è opportuno, laddove è possibile (ad esempio nelle Case di soggiorno e Strutture), tenere in considerazione le affinità di carattere che si possono creare tra utente e operatore.  Si differenzia inoltre perché non c’è un rapporto di simmetria e di aiuto reciproco/paritario: questo non significa che l’utente non possa arricchire o insegnare qualcosa all’operatore, ma lo scambio non è sullo stesso livello. Non c’è confidenza reciproca: l’operatore può venire a conoscenza di problematiche, vissuti, sentimenti, esperienze, bisogni, desideri, affetti, ma questo tipo di condivisione è unidirezionale, accade solo dall’utente verso l’operatore, e non viceversa. Anche la condivisione di spazio e tempo segue la stessa direzione: l’operatore si trova ad entrare in casa o nella stanza dell’utente, ad entrare in contatto con persone e oggetti cari alla persona assistita, ma non può, anzi non deve accadere il contrario. Sarebbe scivolare su un piano, quello amicale, che non va in accordo con il ruolo e il contesto in cui si verifica la relazione, arrivando molto spesso a mettere in discussione e a vanificare il processo di aiuto fin lì attuato, oltre che a generare nell’assistito disistima, vissuti di tradimento e sensi di colpa, nel momento in cui le aspettative di intimità, condivisione, fedeltà, e confidenza vengono deluse dall’operatore.  Si differenzia dalle relazioni di tipo parentale, proprio perché gli obiettivi e il contesto sono completamente diversi, anche se è vero che l’operatore deve avere degli atteggiamenti “come se” fosse un padre e/o una madre. E’ necessario accostarsi all’utente con responsabilità, dedizione, cura, ascolto, rispetto, come se si fosse un padre o una madre, ma facendo attenzione a non essere madre, padre, fratello o sorella a livello affettivo e normativo.  C’è una differenza netta e a tutti livelli con la relazione marito/moglie: l’operatore deve fare molta attenzione nell’uso della gestualità. Entrando in contatto con l’intimità della persona, anche a livello fisico, si invade una parte dell’altro legata alla sessualità, che può emergere come bisogno. Questo bisogno va sicuramente riconosciuto, ma ovviamente non soddisfatto dall’operatore.  La relazione professionale si differenzia inoltre dalla relazione d’aiuto, perché non può avvalersi degli strumenti, del contesto, inteso come setting, e delle competenze che sono necessarie per attivare nell’utente un processo di auto-esplorazione, di individuazione di soluzioni e di
  • 39. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 38 – conseguente cambiamento. La relazione professionale può collaborare ed essere sicuramente un valido sostegno alla relazione d’aiuto. CONDIZIONI E FONDAMENTA DALLA DEFINIZIONE: Tale relazione è fondata sul desiderio dell’operatore di aiutare l’utente e sulla fiducia di quest’ultimo nella competenza e capacità di comprensione dell’operatore. Per mettere in atto una relazione professionale di assistenza devono quindi essere presenti alcune condizioni:  Il desiderio dell’operatore ad aiutare l’utente.  La motivazione dell’operatore al lavoro, inteso non solo come mezzo di sussistenza, ma anche come strumento per l’espressione e la valorizzazione di sé e per la collaborazione al bene comune.  La consapevolezza e la stima di sé.  L’accoglienza e la valorizzazione dell’altro, fondate sul riconoscimento che la persona e la vita umana hanno una sacralità, una dignità ed un valore irrinunciabili, in qualsiasi momento ed in qualsiasi condizione, e che il rapporto con gli altri è costitutivo.  Il rispetto per la persona, le sue scelte, le sue azioni e i suoi valori.  “Il possesso di conoscenze e competenze: un’attività assistenziale comincia con l’identificazione di un bisogno assistenziale e l’attuazione di un intervento per dare una risposta e migliorare, se possibile, la situazione”(Saiani, Di Giulio, in Cavazzuti, Cremonini, Assistenza geriatrica oggi, Ambrosiana, p. 86).  L’attuazione di tali condizioni favoriscono un clima di fiducia e di consenso che permette all’utente di fidarsi e affidarsi alla competenza e capacità di comprensione dell’operatore.
  • 40. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 39 – ATTEGGIAMENTI E COMPORTAMENTI DELLA RELAZIONE PROFESSIONALE Come si declina concretamente la relazione professionale? In una serie di atteggiamenti e comportamenti, che l’operatore consapevolmente mette in atto. Devono essere presenti, sicuramente, tutti i seguenti:  ascoltare con attenzione le richieste degli utenti e attivarsi per dare soddisfacimento al loro bisogno, o per riferire a chi di competenza;  rendere partecipe la persona assistita, informandola sulle attività che verranno svolte, anche se questa sembra non comprendere e partecipare;  cogliere le richieste verbali e non;  utilizzare un linguaggio appropriato, che tenga in considerazione le abilità/difficoltà comunicative dell’utente;  tenere presente i fattori fisici e psichici che incidono sulla comunicazione;  non sostituirsi nelle decisioni;  consentire e favorire il diritto di autodeterminazione dell’utente;  rispettare la privacy, intesa come riservatezza nell’uso delle informazioni, rispetto del pudore, protezione della vita privata, ricerca di informazioni finalizzata;  non esprimere giudizi di valore,  usare la forma di cortesia;  presentarsi all’utente nel proprio ruolo di tirocinante e, in seguito, nel proprio ruolo di operatore;  fornire informazioni di propria competenza;  avere cura del contesto in cui si svolge la comunicazione;  essere consapevole dei diversi ruoli assunti;  collaborare con l’équipe di lavoro al raggiungimento degli obiettivi assistenziali definiti per ogni singolo utente;  essere un testimonial positivo dell’Ente o Servizio, di cui si avvale l’utente.
  • 41. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 40 – ABILITA’ DI AIUTO DELL’OPERATORE L’operatore per poter mettere in atto una relazione professionale e dei comportamenti adeguati deve sviluppare delle abilità fondamentali, che gli permettano di funzionare efficacemente nei rapporti che va a costruire quotidianamente durante il proprio lavoro. Va detto che queste abilità, di per sé, non sono esclusive della relazione professionale, ma dovrebbero essere trasversali ad ogni tipo di relazione, anche se risultano essere indispensabili e, di conseguenza, ricercate e attivate all’interno della relazione professionale. PRESTARE ATTENZIONE Significa attivare una “attenzione totale e incondizionata. Prestare attenzione è il pre- requisito attraverso cui chi aiuta concentra le abilità di ascolto e di osservazione sulle diverse forme verbali e comportamentali con cui gli utenti esprimono le loro esperienze, i loro bisogni, i loro vissuti” (Carkhuff, L’arte di aiutare, p. 54) Concretamente, significa  prestare attenzione fisica  osservare  ascoltare Queste abilità, che in seguito affronteremo in modo più dettagliato, non sono caratteristiche personali, dipendenti dal carattere di una persona. Certo, ci sono persone che per carattere, indole, personalità sono più facilitate ad attivare tali abilità, ma sono capacità che si possono acquisire e mettere in atto anche attraverso degli accorgimenti. Fondamentale è prepararsi all’attenzione, che consiste nel 1. preparare l’utente: non possiamo dare per scontato che l’utente è sempre disponibile ad interagire con l’operatore, in qualunque momento o situazione. Quando la comunicazione o la proposta è particolarmente importante, delicata o complessa è importante coinvolgere
  • 42. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 41 – l’utente, fornendo tutte le informazioni necessarie che possono motivarlo per un suo coinvolgimento. 2. preparare il contesto: non tutti i luoghi sono adatti per comunicare. Se il saluto o uno scambio breve può avvenire in ogni ambito, sul corridoio, in mezzo ad altre persone, di sfuggita, mentre ci si sta recando in un altro luogo, ci sono comunicazioni e interazioni, che richiedono la preparazione di un ambiente adeguato, che possa mettere a proprio agio l’utente. Può voler dire trovare un luogo o un momento in cui l’assistito può parlare da solo con l’operatore, senza altre persone, che possano sentire o che gli impediscano di manifestare le proprie emozioni, sentimenti, bisogni o difficoltà. Predisporre un momento o un luogo adeguato, inoltre, comunica all’altra persona che c’è una reale disponibilità e attenzione, per cui tutto il resto è sospeso per porre attenzione a lei e alla sua situazione 3. preparare l’operatore: significa fare mente locale su chi è la persona che andiamo ad assistere, su quali sono le sue esigenze, le sue caratteristiche, la sua storia, gli obiettivi che sono stati prefissati, in modo da continuare il lavoro che tutta l’équipe sta cercando di mettere in atto. E’ ricordarsi ciò che l’utente in altre occasioni ha riferito per poter dare continuità alla relazione e non provocare così sentimenti di abbandono o di rifiuto. E’ prendere consapevolezza del proprio stato d’animo, delle proprie preoccupazioni, dei propri sentimenti per allontanarli, in modo che non si riversino sull’utente. PRESTARE ATTENZIONE FISICA Significa assumere una posizione che permetta di dare alla persona piena e completa attenzione:  di fronte, in modo da poter guardare l’assistito in faccia,  piegati leggermente in avanti  cercando di mantenere un costante contatto oculare.
  • 43. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 42 – Criterio sottostante è cercare di assumere una posizione che permetta all’utente di sentirsi al centro dell’attenzione, cosa non possibile se durante la comunicazione l’operatore guarda altrove, gira le spalle o è preoccupato solo di trovare una posizione in cui stare comodo. OSSERVARE Ancora una volta, all’interno del percorso formativo per Operatore Socio-Sanitario, ritroviamo come una delle abilità e, allo stesso tempo, una delle competenze di questa figura professionale sia l’osservazione. Anche in ambito relazionale, le abilità di osservare risultano essere fondamentali: richiedono la capacità dell’operatore di vedere d di comprendere il comportamento non verbale dell’utente. Si devono osservare tutti quegli elementi dell’aspetto esteriore e del comportamento che possono aiutare a capire qual è il livello di energia fisica, lo stato emotivo e la disponibilità all’aiuto dell’assistito. Cosa osservare?  I movimenti del corpo  Le espressioni del viso  La cura di sé  La corporatura  La postura Questo tipo di informazioni possono aiutare l’operatore ad inferire: 1. Il grado di energia: “è la quantità di sforzo fisico che si è in grado di investire nello svolgimento di un compito” (Carkhuff, L’arte di aiutare, p. 76). Le osservazioni che principalmente ci danno informazioni riguardo al livello di energia sono la postura, la cura di sé e la corporatura. Un utente che siede scomposto, con le spalle abbassate, che ha poca cura di sé ci fa capire che non ha a disposizione una dinamicità e una voglia di fare, di agire. Mostra una mancanza di interesse verso di sé e verso il mondo circostante, al punto che non ritiene necessario nemmeno mantenersi pulito e in ordine, ad esempio. Diversamente incontrare un
  • 44. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 43 – utente che desidera impegnare le proprie energie, riesce a mantenere una posizione eretta, dinamica, piena, che richiede un’attenzione ad essere in ordine, pulita, bella (magari con un “velo di rossetto”, come raccontava un operatore), dà un’immagine di sé di una persona che vuole vivere in pienezza la propria vita. Aiutare un utente ad aver cura del proprio aspetto è aiutarlo ad investire energia e a ritrovarla dentro di sé. Anche la corporatura ci può dare delle indicazioni: le persone che sono in sovrappeso o sottopeso o che hanno un tono muscolare ridotto tenderanno ad avere bassi livelli di energia. 2. I sentimenti: “Le espressioni del viso rappresentano la fonte più ricca di informazioni sui sentimenti dell’utente. Anche altri aspetti come la posizione del corpo e i movimenti possono essere di aiuto nel comprendere le esperienze dell’altra persona. Ad esempio, la fronte corrugata, lo sguardo corrucciato, l’atteggiamento scomposto, gli occhi bassi, l’aspetto trascurato e dei movimenti lenti sono tutti segni del sentirsi “giù”. Un sorriso aperto, le sopracciglia sollevate, una posizione vigile, il contatto degli occhi, un aspetto curato, dei movimenti rapidi e reattivi, si possono associare al sentirsi “su”. (Carkhuff, L’arte di aiutare, p. 77). 3. Disponibilità all’aiuto. Questi stessi elementi possono aiutarci a capire se l’utente ha una disponibilità a collaborare e ad accettare l’aiuto: una persona con livello basso di energia e che si senta “giù” avrà una bassa motivazione e disponibilità ad essere aiutato. E’ importante dare il giusto peso alle osservazioni raccolte: non sono la fotografia dell’utente e del suo mondo interno. Sono delle ipotesi che col tempo possono venire smentite o confermate dall’utente, degli indizi che vanno tenuti in considerazione per poter personalizzare l’approccio e la relazione. Come abbiamo già detto, la relazione è un sistema che vede coinvolti due o più persone, che si influenzano reciprocamente. E’ importante essere consapevoli che anche l’utente osserva più o meno consapevolmente tutti questi indizi e fa le proprie inferenze. Ne deriva che “nella stessa maniera in cui osserviamo gli altri possiamo osservare anche noi stessi. Cosa ci possono dire di noi il nostro aspetto e il nostro comportamento? Siamo in grado di esprimere un alto livello di energia,
  • 45. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 44 – sensibilità e determinazione ad aiutare? Siamo congruenti nel nostro comportamento e nel nostro desiderio di aiutare?” ” (Carkhuff, L’arte di aiutare, p. 79). La manifestazione esteriore della motivazione e del desiderio dell’operatore di aiutare, attraverso gli indizi appena descritti, va ricercata e scelta, tenendo presente però che non può bastare da sola, se non come soluzione temporanea in un momento in cui la vita extra professionale può risultare faticosa e carica di sofferenza e/o difficoltà: per risultare genuina e efficace deve ancorarsi in una motivazione intrinseca reale e basata sulle dimensioni che abbiamo visto in precedenza. ASCOLTARE L’ultima grande abilità che l’operatore deve costruirsi e attivare è l’ascolto: ascoltare ciò che le persone dicono e il modo in cui lo dicono. Vi sono molti modi in cui è possibile affinare le nostre capacità di ascolto:  Avere un motivo per ascoltare: fondamentalmente per raccogliere tutte le informazioni possibili collegate ai problemi o agli obiettivi legati all’utente. Si dovranno cogliere tutte le indicazioni che ci vengono dai diversi livelli di funzionamento: le parole daranno informazioni sul contenuto intellettuale di ciò che le persone vivono; il tono della voce sui sentimenti, il modo di esprimersi sul livello di energia.  Sospendere i giudizi personali: è accogliere l’altro nella sua interezza e unicità. Si tratta di ascoltare quello che l’altro vuole dire, secondo il suo modo di vedere la vita e la situazione, secondo i suoi valori e desideri. Ne deriva che l’operatore deve sospendere quelle che possono risultare solo opinioni personali, giudizi secondo i propri valori. Sospendere, non annullare. Si tratta di essere prudenti nell’offrire consigli e/o soluzioni premature, anche se si pensa di sapere cosa è bene fare, perché lo si è già affrontato in altre occasioni con altre persone.  Concentrarsi sulla persona: significa resistere alle distrazioni. “Nella stessa maniera in cui abbiamo resistito alla voce “giudicante” dentro di noi, così dobbiamo resistere alle tentazioni esterne. Vi saranno sempre un sacco di cose che ci renderanno difficile l’ascolto” (Carkhuff, L’arte di aiutare, p. 82), ma è fondamentale riuscire a indirizzare la nostra persona verso l’utente e quello che desidera comunicare.
  • 46. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 45 –  Concentrarsi sul contenuto: significa ascoltare cosa dice l’utente, cercando di cogliere se ci sono temi ricorrenti che possono raccontarci qualcosa di lui, cercando di cogliere tutte le informazioni e poterle ricordare, in modo da dare continuità alla relazione che si sta costruendo e un reale riconoscimento alla persona, che le sta comunicando. EMPATIA “E’ la capacità di entrare nei panni dell’altro cognitivamente ed emotivamente, senza contagio emotivo” (Brunialti, Formazione psicologica e relazione di aiuto, p.71), è la capacità di mettersi accanto all’altro, sapendo cogliere e accogliere in sé i sentimenti e i vissuti che la persona sta vivendo in quel momento. Non è vivere lo stesso sentimento, né prendere su di sé il carico emotivo: è riconoscere il sentimento che la persona prova, essere consapevoli che ha una sua origine e un suo significato, e di conseguenza sapersi accostare e, usando una metafora, fare un tratto di strada assieme, assecondando il passo, la fatica o l’esultanza: non tutta la strada, ma un tratto; non uno dentro l’altro, in una con-fusione (nel senso anche di fusi assieme) di sentimenti e vissuti, ma uno accanto all’altro. E’ sapere dove l’altro si trova e con quale vissuto, per potergli andare incontro e aiutarlo, con tutto il rispetto, la delicatezza e la fermezza che sono necessari. L’empatia si compone di due elementi:  una rappresentazione cognitiva: l’altro cosa pensa? Cosa prova? Cosa si può fare? Come vi si può rispondere? È assumere la prospettiva e il ruolo dell’altro, il suo modo di vedere e considerare la situazione;  una disponibilità emotiva, che permette di entrare in contatto con il vissuto emotivo, continuando però a mantenere con chiarezza il proprio ruolo, la propria identità, le proprie emozioni, sentimenti e pensieri, riconoscendoli come altro, come separati da tutto ciò che accade all’utente. Quindi l’empatia implica il mantenimento dell’oggettività necessaria per osservare, analizzare e gestire la situazione senza farsi travolgere dalle emozioni. Per riuscire a comprendere le emozioni altrui è necessaria una buona capacità di cogliere, comprendere e definire le proprie emozioni, è difficile dare un nome ai vissuti dell’altro se non
  • 47. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 46 – sappiamo darlo nemmeno ai nostri, tenendo presente però quanto appreso nelle precedenti pagine sulle emozioni. E’ fondamentale che l’OSS sappia entrare in empatia e comprendere le emozioni dell’assistito per:  saper cogliere le emozioni dell’altro e quindi comprenderne i vissuti e individuarne i bisogni  decodificare il feed-back, comprendere degli effetti del suo operato sullo stato di benessere dell’assistito  creare un rapporto di fiducia, di comprensione ed ascolto  relazionarsi in modo appropriato con i familiari dell’assistito  relazionarsi in modo appropriato con i colleghi E’ fondamentale che l’OSS sappia entrare in contatto con le proprie emozioni per:  decodificare le emozioni dell’altro  comprendere le proprie emozioni e sapersene opportunamente difendere  individuare emozioni causate da eccessivo coinvolgimento o da situazioni di transfert o controtransfert  cogliere i primi segni di burn-out DOMANDE GUIDA ALLO STUDIO  Definizione di relazione. Quali sono le principali tipologie di relazione? Quali sono le principali caratteristiche, soprattutto in relazione alla condivisione di tempo e spazio, gestualità, simmetria/asimmetria, tipologia di contesto?  Definizione di relazione professionale di assistenza.  Quali sono gli obiettivi, le caratteristiche principali, gli atteggiamenti e i comportamenti che ne derivano?  Che cosa si intende per relazione asimmetrica? In che modo influisce il contesto sulla relazione professionale di assistenza?  Quali sono le principali abilità di aiuto richieste ad un operatore? Descrivile brevemente cercando di individuare degli esempi concreti.  Che cosa si intende per ascolto attivo? Cosa significa in concreto prestare attenzione all’utente?  Che cosa si intende per empatia? Perché è importante la comprensione empatica dell’utente?
  • 48. Corso per Operatore Socio Sanitario La relazione professionale di assistenza - 47 – BIBLIOGRAFIA  AMERIO, Teorie in Psicologia Sociale, Il Mulino  ARCURI, Conoscenza sociale e processi psicologici, Il Mulino  BONVINI M., CIVETTINI K., I processi psichici, Scuola per Operatore Socio Assistenziale di Riva del Garda, Opera Armida Barelli, 1996.  BRAGHETTO F. (A CURA DI), Assistenza a persone affette da malattia di Alzheimer e demenze correlate, Opera Armida Barelli, 1999.  BRUNIALTI C., Dispensa Scuola OSA di Rovereto  BRUNIALTI C., Formazione psicologica e relazione di aiuto. Riflessioni per il volontariato Avulss. Collana Quaderni AVULSS n 35, Ed Oari, 1999  CORNOLDI C., Psicologia generale, Ed. Il Mulino  DE MARCHI F., ELLENA A. (A CURA DI), Dizionario di sociologia, Ed. Paoline  F. CAVAZZUTI, G. CREMONINI, Assistenza geriatrica oggi. Ed. Ambrosiana  O. OLIVO, La Mission e la Vision Formativa dell’Opera Armida Barelli, aprile 2000  S. MANAI, L. SIRACUSANO, L’insegnamento della psicologia nella Scuola per Infermieri Professionali, in S. Manai, Appunti di Psicologia  SANT’AGOSTINO, Le confessioni, BUR, Milano 1980  SCLAVA M., Arte di ascoltare e mondi possibili,