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News 50/SSL/2017
Lunedì, 11 dicembre 2017
Rischio stress: le strategie per gestire lo stress a livello individuale.
Un intervento si sofferma sulle strategie per gestire lo stress lavorativo a livello
individuale. Dare il giusto peso alle situazioni, le abilità assertive, la cura di sé, le
relazioni sociali e l’organizzazione del tempo e dello spazio.
Trieste, 05 Dic – Abbiamo più volte ricordato in questi anni, anche con riferimento
alle guide e ai documenti prodotti dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute
sul lavoro per la passata campagna europea “ Ambienti di lavoro sani e sicuri per la
gestione dello stress”, come lo stress nel mondo del lavoro sia correlato ad uno
squilibrio tra le richieste lavorative e le risorse fisiche e mentali che si hanno a
disposizione per fronteggiarle.
Ma quali strategie possiamo mettere in pratica a livello individuale, partendo da
questa concezione dello stress lavoro-correlato, per gestire lo stress?
Per rispondere a questa domanda presentiamo oggi un contributo raccolto nel
volume “ Dalla prevenzione alla gestione dello stress lavoro correlato”, curato da
Giorgio Sclip (RSPP, membro del Focal Point per l’Agenzia europea per la sicurezza e
la salute sul lavoro – Università degli Studi di Trieste), edito da EUT Edizioni Università di
Trieste. Volume che, presentato al seminario “Dalla prevenzione alla gestione dello
stress lavoro-correlato. Strumenti di valutazione e buone pratiche” (13 marzo 2017,
Trieste), riporta i materiali della giornata di studi “Sicurezzaccessibile” che si è svolta,
sempre a Trieste, nel mese di ottobre 2015.
In “Strategie per gestire lo stress lavorativo a livello individuale”, a cura della D.essa
Micaela Crisma (psicologa, ARDISS - Agenzia della Regione Friuli Venezia Giulia per il
diritto agli studi superiori), si ribadisce che lo stress, “secondo uno dei modelli più
influenti in letteratura, deriva da una discrepanza tra le richieste che vengono poste
all’organismo dall’ambiente e le risorse che la persona possiede per farvi fronte
(Lazarus e Falkman 1984)”. E se lo stress deriva dunque da un’interazione tra
individuo e ambiente, una situazione “non è stressante allo stesso modo per tutti, ma
molto dipende da quanto la persona sente di avere le risorse sufficienti per
affrontarla”.
Dopo aver ricordato che in realtà lo stress “di per sé non è sempre negativo” e che
una “quota minima di stress rende la vita più interessante”, in realtà lo stress
percepito “dipende molto dalla sensazione di avere o meno le risorse per affrontare
la situazione”.
Più precisamente – continua il contributo di Micaela Crisma - secondo il modello di
Lazarus e Falkman, in ogni situazione si attuano due valutazioni: “nel momento in cui
lo stimolo si presenta, la persona effettua una valutazione primaria dalla quale
evince se ciò che sta accadendo è rilevante o no per se stessa. Se lo stimolo è
irrilevante, viene ignorato. Se invece è ritenuto rilevante, si effettua la valutazione
secondaria. Riconosciuto il possibile danno, pericolo o minaccia derivante dallo
stimolo, in questa seconda fase la persona valuta come affrontare la situazione e se
ha le risorse per farlo e di conseguenza si può produrre stress psicologico”.
In particolare le situazioni possono essere affrontate con:
- strategie che mirano a trovare una soluzione al problema;
- strategie che regolano le proprie emozioni.
E se in genere “sono preferibili le prime”, queste “non sempre sono attuabili”.
Il contributo, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma brevemente su
alcune strategie che “possiamo applicare a livello individuale per gestire meglio lo
stress lavorativo”. Tuttavia si sottolinea anche che se lo stress lavorativo deriva da
fattori di tipo organizzativo o sociale, “non è possibile pensare di risolvere il disagio
unicamente con interventi individuali”. Ad esempio vi sono aspetti – ad esempio in
relazione a fenomeni come il mobbing, le molestie sessuali sul posto di lavoro, la
scarsa sicurezza e l’incertezza del posto di lavoro - che “devono essere gestiti a
livello organizzativo, con azioni responsabili da parte della dirigenza”.
Le strategie individuali “sono invece utili quando lo stress deriva principalmente da
modalità errate, distorte o controproducenti di affrontare il lavoro e la vita”. E queste
piccole strategie possono “essere d’aiuto comunque, se non altro per alleviare
l’impatto di ciò che stiamo vivendo”.
Riprendiamo, in modo sintetico, alcune delle strategie individuali descritte.
Imparare a dare il giusto peso alle situazioni evitando pensieri ed emozioni che
acuiscono lo stress
Si indica che “spesso siamo noi stessi a fomentare lo stress”. E se “il nostro linguaggio
interno, il discorso che continuamente facciamo con noi stessi, ha delle potenti
implicazioni sui nostri vissuti e sul comportamento”, dobbiamo fare attenzione ai
pensieri “che contengono le parole ‘sempre, impossibile, intollerabile’ o a tutte le
frasi che iniziano con ‘devo, dovrei...’”. Sono spesso locuzioni che “enfatizzano o
assolutizzano la realtà, aumentando il disagio”.
In questo senso una locuzione come “devo fare degli straordinari, è intollerabile!”
diventerà “devo fare degli straordinari, mi secca molto, non mi piace per niente,
non sono d’accordo, ecc.”: “il significato alla fine è lo stesso ma trasmette una
maggiore sensazione di controllo”.
Si segnala poi che a volte il problema “è più serio e condiziona l’intero modo di
vivere”. Ci sono ad esempio “convinzioni profonde apparentemente innocue ma
profondamente dannose, come l’idea di dover piacere a tutti, di non potersi
permettere neanche un errore (perfezionismo), di dover fare sempre meglio degli
altri. Sono spesso eredità che ci portiamo dietro dall’infanzia o da esperienze
passate, ma che condizionano pesantemente il presente. A volte è necessario
l’aiuto di un terapeuta per liberarsene, ma tutti possiamo fare qualcosa di utile
provando intanto a vedere se ne siamo schiavi”.
Se le emozioni negative “naturalmente acuiscono lo stress”, “non è ignorandole o
evitandole del tutto che possiamo liberarcene. Il primo passo è invece proprio
quello di riconoscerle dentro di sé e decidere se agire di conseguenza o metterle da
parte. Ad esempio, molte persone sono convinte che se si arrabbiano per forza
diventano aggressive, come se ci fosso un passaggio immediato all’azione. In realtà,
se noi riconosciamo fin dall’inizio di essere arrabbiati, possiamo sempre decidere
come agire dopo a seconda della situazione. In un caso potremo decidere di
dissimulare la rabbia perché inopportuna, in un altro la manifesteremo solo con lo
sguardo o con una risposta secca, in un altro magari faremo una critica aperta alla
persona che ci ha fatto arrabbiare. Il riconoscimento dell’emozione permette un
maggiore controllo e previene l’aggressività”. E – continua Micaela Crisma – se
“sono stressato invece dall’idea di fare errori, la miglior cosa da fare è individuarli e
affrontarli uno per uno, alla fine sembreranno meno pericolosi e più gestibili”.
Migliorare le abilità assertive
L’assertività è un “insieme di abilità complesse, comunicative ma anche affettive,
che permette di esprimere ciò che pensiamo e desideriamo nel rispetto dei
sentimenti altrui. La persona assertiva riesce a dire ciò che pensa e prova e
solitamente ha più successo nell’ottenere ciò che vuole, mantenendo buone
relazioni sociali. Non stupisce che le persone assertive siano più resilienti anche in
situazioni stressanti”. Se, ad esempio, ci accorgiamo di “avere difficoltà a dire di no,
e quindi tendiamo a sovraccaricarci anche di compiti che non ci spettano, di non
riuscire a chiedere, e perciò non siamo in grado di delegare anche quando
potremmo; se accettiamo male le critiche costruttive e abbiamo difficoltà nelle
relazioni interpersonali, dovremmo pensare a sviluppare l’assertività”.
La cura di sé
Generalmente la persona stressata “non si prende cura di sé e non riesce a
difendere il proprio tempo libero. Ciò può portare a vari rischi per la salute (nei casi
più gravi osserviamo disturbi alimentari, del sonno, abuso di alcolici, fumo,
psicofarmaci, sostanze). Alcuni piccoli gesti di cura di sé possono migliorare
notevolmente la qualità di vita. Ad esempio imparare a rilassarsi con tecniche di
meditazione. Curare l’alimentazione e, soprattutto, dedicare un po’ di tempo,
almeno 2-3 volte a settimana, all’attività sportiva, di qualunque genere purché
permetta di fare esercizio fisico e produrre così le preziose endorfine, degli oppiacei
naturali che danno sensazione di benessere”.
Il supporto nelle relazioni sociali
Il contributo sottolinea che “le relazioni sociali sono un prezioso supporto, ma spesso
per la persona stressata diventano un bacino di sfogo, con degli effetti boomerang.
Quindi attenzione a non usare le uscite con gli amici puntualmente per sfogare lo
stress accumulato. Gli amici possono ascoltare e capire, ma in misura limitata. Se
abusiamo della loro disponibilità e pazienza, e considerando che tutti più o meno
abbiamo pene e stress da sopportare, finiremo per rimanere soli”. E se siamo
stressati, “cerchiamo di vivere pienamente il momento positivo con la persona
amica o con il/la compagno/a senza travolgerlo/a con i nostri problemi.
Dedichiamo dei momenti circoscritti allo sfogo e alla discussione dei problemi”. Se
poi ci ritroviamo a “discutere solo dei problemi”, è bene cercare piuttosto “l’aiuto di
un professionista”.
Organizzare il nostro tempo e lo spazio
Se abbiamo troppe cose da fare, dobbiamo imparare a “scegliere delle priorità”.
“Se ci è difficile organizzarci durante la giornata, facciamo un piano, in cui
indicheremo però non solo tutte le attività da fare, ma anche dei momenti
‘obbligati’ di pausa gratificante. La persona stressata quasi sempre ignora questi
bisogni, con il risultato che è sempre più frustrata, esaurita, meno motivata e quindi
più stanca. Paradossalmente fare una cosa in più, ma gratificante (ad esempio
mezz’ora di sport, passeggiata, hobby) porta via in parte la stanchezza e rende più
leggera la giornata. Se siamo oberati da cose da fare e viviamo in uno spazio
disordinato, ci sentiremo sempre più stressati”.
Infine, conclude il contributo della D.essa Micaela Crisma, “se dobbiamo affrontare
un problema complicato, possiamo apprendere delle tecniche di problem solving,
ricordando che il passo più difficile spesso non è progettare il piano da portare a
termine, ma fare un lavoro approfondito di brainstorming, lasciando affiorare
liberamente tutte le soluzioni possibili, anche le più incredibili, per dare spazio alla
creatività e all’emotività”. E molte volte la soluzione migliore “non ci viene in mente
perché le blocchiamo la strada con le nostre paure e difese”.
RTM
Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:
“ Dalla prevenzione alla gestione dello stress lavoro correlato”, Sicurezza accessibile - Giornata di
studi - Trieste, 20 ottobre 2015, volume curato da di Giorgio Sclip (RSPP, membro del Focal Point per
l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro – Università degli Studi di Trieste), edito da EUT
Edizioni Università di Trieste, presentato al seminario “Dalla prevenzione alla gestione dello stress
lavoro-correlato. Strumenti di valutazione e buone pratiche” (formato PDF, 7.58 MB).
Fonte: puntosicuro.it
Regola tecnica contenitori-distributori carburante liquido categoria C.
ROMA – Pubblicata dal Ministero dell’Interno con Decreto del 22 novembre 2017 in
Gazzetta Ufficiale il 6 dicembre 2017 la Regola tecnica di prevenzione incendi per
l’installazione e l’esercizio di contenitori-distributori, ad uso privato, per l’erogazione
di carburante liquido di categoria C. Regola tecnica che disciplina installazione e
gestione dei contenitori-distributori fuori terra di liquido combustibile di categoria C
ad uso privato, di capacità geometrica non superiore a 9 m³, al fine di minimizzare
fuoriuscite e rischio incendio, limitare danni a persone edifici e locali e ambiente in
caso di incidente, consentire i soccorsi in sicurezza.
I contenitori distributori oggetto della Regola tecnica sono quelli definiti dall’articolo
1.2 (b) dell’allegato 1 dello stesso decreto:
“b) contenitore-distributore: complesso di attrezzature, installate fuori terra, costituito
da serbatoio, idoneo a contenere carburante liquido di categoria C, di capacita’
geometrica non superiore a 9 m³, collegato ad apparecchiatura per l’erogazione
del liquido contenuto, il termine e’ equivalente a quello di contenitore-distributore
rimovibile o contenitore-distributore mobile già utilizzato nel decreto del Ministro
dell’interno del 19 marzo 1990;
E per liquido combustibile di categoria C al punto “a” del citato articolo si intende:
“liquido avente un punto di infiammabilità da oltre 65° C sino a 125° C. Rientrano
nella categoria C anche i liquidi combustibili con punto di infiammabilità inferiore a
65°C, ma non sotto i 55°C, purché la prova del grado di infiammabilità sia
completata da una prova di distillazione frazionata, nella quale non si dovrà avere,
a 150° C, piu’ del 2 per cento di distillato. I metodi e le apparecchiature da utilizzare
per ricercare il punto di infiammabilità e per eseguire la distillazione frazionata di tale
liquido devono essere quelli previsti dal decreto del Ministro dell’interno del 31 luglio
1934“.
Il decreto si applica sia alle nuove installazioni che a quelle esistenti al momento
dell’entrata in vigore. Non riguarda gli impianti fissi di distribuzione carburanti per
autotrazione.
Per quanto concerne i contenitori-distributori esistenti le esenzioni dalla Regola
tecnica vengono ammesse nel caso in cui gli impianti:
“a) siano in possesso di atti abilitativi riguardanti anche la sussistenza dei requisiti di
sicurezza antincendio, rilasciati dalle competenti autorità così come previsto dall’art.
38 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla
legge 9 agosto 2013, n. 98;
b) siano in possesso del certificato di prevenzione incendi in corso di validità o sia
stata presentata la segnalazione certificata di inizio attività di cui all’art. 4 del
decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151;
c) siano stati pianificati, o siano in corso, lavori di installazione di contenitori-
distributori sulla base di un progetto approvato dal competente Comando
provinciale dei vigili del fuoco ai sensi degli articoli 3 e 7 del decreto del Presidente
della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151″.
In ogni caso gli stessi impianti devono essere marcati CE ed essere inoltre provvisti di
approvazione di tipo ai sensi del decreto del Ministro dell’interno del 31 luglio 1934,
titolo I°.
La Regola tecnica nell’allegato I indica in dettaglio: tolleranze dimensionali,
capacità e depositi, accesso all’area, installazione e costruzione, distanze e misure
di sicurezza, elettricità e messa a terra, esercizio, estintori. L’articolo 5 del decreto
riporta inoltre norme per i prodotti antincendio consentiti e per l’esercizio.
Il provvedimento entrerà in vigore a 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta
avvenuta il 6 dicembre 2017. Dopo l’entrata in vigore vengono considerati abrogati:
“a) decreto del Ministro dell’interno del 19 marzo 1990 recante «Norme per il
rifornimento di carburanti, a mezzo di contenitori-distributori mobili, per macchine in
uso presso aziende agricole, cave e cantieri»;
b) decreto del Ministro dell’interno del 12 settembre 2003 recante «Approvazione
della regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio di depositi
di gasolio per autotrazione ad uso privato, di capacita’ geometrica non superiore a
9 m3, in contenitori-distributori rimovibili per il rifornimento di automezzi destinati
all’attività di autotrasporto»;
c) art. 5, comma 4 del decreto del Ministro dell’interno del 27 gennaio 2006 recante
«Requisiti degli apparecchi, sistemi di protezione e dispositivi utilizzati in atmosfera
potenzialmente esplosiva, ai sensi della direttiva n. 94/9/CE, presenti nelle attività
soggette ai controlli antincendio»”. (Articolo di Corrado De Paolis)
Info: Gazzetta Ufficiale n.285 del 6 dicembre 2017 Decreto 22 novembre 2017
Fonte: quotidianosicurezza.it
Gli infortuni con le presse e il datore di lavoro di fatto.
La Corte di Cassazione in relazione a un infortunio con una pressa si sofferma sulla
posizione datoriale assunta di fatto. La posizione di garanzia grava anche su colui
che esercita in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro.
Roma, 6 Dic – È evidente quanto sia delicato, specialmente in presenza di eventi
infortunistici più o meno gravi, individuare le posizioni di garanzia in materia di
sicurezza e salute e, dunque, gli obblighi e le responsabilità per gli infortuni avvenuti.
Un’individuazione che non è semplice e che, come raccontato nell’articolo di
PuntoSicuro “ Le logiche dell’effettività per individuare le posizioni di garanzia”, vede
spesso prevalere il canone di effettività, quel criterio che “modula la distribuzione del
carico obbligatorio” sulla “concreta e reale assegnazione di compiti in materia a
ciascuno dei soggetti coinvolti”.
Ricordiamo che sul tema del principio di effettività abbiamo pubblicato in passato
anche diversi contributi dell’avvocato Rolando Dubini, ad esempio con riferimento
all’articolo “ D.Lgs. 81/2008: il datore di lavoro e il principio di effettività”.
E sono poi moltissime le sentenze della Cassazione che PuntoSicuro ha presentato in
questi anni sul tema della individuazione del cosiddetto “datore di fatto”. Ne
ricordiamo brevemente alcune:
- Sentenza n. 46437 del 11 novembre 2014 sull’individuazione dei destinatari degli
obblighi imposti dalle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro che deve
fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle funzioni in concreto esercitate che
prevalgono sulle funzioni formali;
- Sentenza n. 36878 del 22 settembre 2009 sulla posizione di garanzia del datore di
lavoro e sulla figura di datore di lavoro di fatto.
Sul tema si sofferma anche una recente sentenza, la sentenza n. 48940 del 25
ottobre 2017, che affronta il ricorso relativo ad un infortunio con la pressa – un tema
più volte affrontato dal nostro giornale nella rubrica “ Imparare dagli errori” – e alla
posizione datoriale di fatto. Una sentenza che, come vedremo, sottolinea ancora
una volta che la posizione di garanzia “grava anche su colui che, non essendone
formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e
ad altri garanti ivi indicati, sicché l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti
dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla
qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi,
rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale”.
Nella sentenza la Corte di Cassazione ricorda che la Corte di appello di Brescia ha
“parzialmente riformato la pronuncia emessa nei confronti di C.M. dal Tribunale di
Bergamo” con la quale il C.M. era stato giudicato “responsabile del reato di cui
all'art. 590, co. 1 e 3 cod. pen. e del reato di cui all'art. 87, co. 2 lett. b) d.lgs. n.
81/2008 e condannato alla pena ritenuta equa, nonché al risarcimento dei danni,
da liquidare in separata sede, in favore della parte civile A.I.”. La Corte di Appello
ha dichiarato “non doversi procedere in merito alla contravvenzione perché estinta
per prescrizione ed ha ridotto correlativamente la pena inflitta dal primo giudice,
concedendo altresì la sospensione condizionale della pena”.
Riguardo all’infortunio patito da A.I. il 20 febbraio 2010, “secondo l'accertamento
condotto nei gradi di merito, in quel giorno l'A.I. stava lavorando ad una macchina
sita all'interno del capannone” della ditta individuale XXX di C.M. quando “la sua
mano sinistra veniva schiacciata dal punzone in discesa della pressa; nell'occorso il
lavoratore subiva un trauma da pressoustione a tre dita, dal quale derivava una
malattia guarita in un tempo superiore a quaranta giorni”. Il Tribunale “identificava
nell'imputato il datore di lavoro di questa, così superando la diversa tesi difensiva,
ed escludeva che il lavoratore avesse tenuto una condotta abnorme, tale da
interrompere la relazione causale tra l'evento e la ritenuta violazione da parte del
datore di lavoro della prescrizione prevenzionistica oggetto di contestazione”.
Avverso a tale decisione ricorre per cassazione l'imputato che con un primo motivo
“deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza in capo all'imputato della qualità di datore di lavoro”. Dalla
documentazione versata in atti “emerge che il lavoratore era alle dipendenze
dell'impresa individuale Map di I.M.. Ciò nonostante la Corte di Appello ha asserito
che al momento dell'infortunio il lavoratore stava operando su una pressa che
apparteneva al C.M. all'interno del capannone ove operava l'impresa di questi.
Sicché il C.M., a prescindere dall'esistenza o meno di un regolare rapporto di lavoro
subordinato, aveva il dovere di mettere a disposizione di coloro che lavoravano
all'interno della sua azienda delle macchine sicure. Quindi la Corte di Appello, in
mancanza della qualità di datore di lavoro, ha applicato l'art. 70, co. 2 d.lgs. n.
81/2008, in relazione al punto 5.6.1. dell'all. V, con indebita estensione analogica del
precetto, che si rivolge al solo datore di lavoro”. Ad avviso del ricorrente la sentenza
“è contraddittoria perché da un canto asserisce che non trova riscontro in atti la tesi
della dipendenza dell'infortunato dall'impresa del fratello e dall'altro ritiene di dover
prescindere dal dato formale della relazione di collaborazione lavorativa della
vittima con il proprio fratello”. Inoltre con un secondo motivo il ricorrente lamenta
“che la Corte di Appello abbia utilizzato una perizia disposta ai sensi dell'art. 360
cod. proc. pen. ma senza che di essa sia stato dato il prescritto avviso all'indagato”.
Veniamo a quanto indicato dalla Corte di Cassazione che sottolinea, innanzitutto,
che “occorre prendere le mosse dal rammentare che i motivi che svolgono censure
che reiterano quelle già proposte ai giudici di merito e che non prendono in
considerazione quanto dai medesimi argomentato in replica critica, persistendo in
una prospettazione già superata senza cogliere quanto in essa vi è di viziato,
condannano il ricorso, fondato sul vizio motivazionale, perché in definitiva
aspecifico, nel senso di non correlato alla trama della motivazione impugnata (cfr.
Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849)”.
In particolare il tema della qualità di datore di lavoro del C.M. “è stato risolto dalla
Corte di Appello senza negare che dalla documentazione versata in atti dalla
difesa emergeva il rapporto di collaborazione esistente tra il lavoratore infortunato
ed il fratello. Ma il collegio distrettuale ha ritenuto che tale documentazione celasse
il dato reale, emergendo per converso che al momento dell'infortunio:
- A.I. stava lavorando all'interno del capannone della impresa del C.M., operando
su una pressa nella proprietà del medesimo;
- che l'infortunato aveva dichiarato in sede di indagini che da due anni lavorava
irregolarmente per la ditta dell'imputato, al pari del fratello;
- che non era stata prodotta documentazione che attestasse la effettività e
l'oggetto dei rapporti tra l'impresa del C.M. e quella di I.M.”.
E, dunque, la Corte di Appello ha “ritenuto che effettivo datore di lavoro
dell'infortunato fosse proprio il C.M.. Il ricorrente non ha opinato la manifesta
illogicità di tale motivazione o la sua contraddittorietà rispetto agli elementi di
prova; ha solo prospettato - del tutto infondatamente alla luce di quanto appena
rammentato - che la Corte di Appello abbia contraddittoriamente ritenuto di dover
prescindere dal dato formale proprio mentre ne negava l'esistenza”.
E se il dato della posizione datoriale assunta in fatto dal C.M. non è superata dal
ricorso, “appare evidente che non è rinvenibile alcuna violazione di legge per aver
posto a carico dell'imputato una violazione prevenzionistica che si indirizzerebbe
tipicamente al datore di lavoro”.
E si ricorda che già prima che l'art. 299 d.lgs. n. 81/2008 positivizzasse la rilevanza
della assunzione di fatto di funzioni tipiche della posizione datoriale “la
giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato che in materia di prevenzione degli
infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante
colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro (e, similmente,
del dirigente o del preposto) (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017 - dep. 09/05/2017,
Minguzzi, Rv. 269973)”. E “si è affermato che la posizione di garanzia grava anche su
colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici
riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati, sicché l'individuazione dei
destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro
deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto
esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia
alla sua funzione formale (Sez. 4, n. 18090 del 12/01/2017 - dep. 10/04/2017,
Amadessi e altro, Rv. 269803)”.
Partendo da questi assunti, continua la Cassazione, la motivazione impugnata
“trova conforto nei principi posti da questa Corte”.
E in definitiva la Corte, che - come giustificato nella sentenza - ritiene
manifestamente infondato anche il secondo motivo del ricorrente, dichiara
“inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali”.
Tiziano Menduto
Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo:
Cassazione Penale Sez. IV – Sentenza 25 ottobre 2017, n. 48940 - Infortunio con la pressa: posizione
datoriale di fatto
Fonte: puntosicuro.it
Quindicesimo elenco abilitati alle verifiche periodiche.
ROMA – Verifiche periodiche. Pubblicato dal Ministero del Lavoro con decreto
direttoriale n.101 del 1° dicembre 2017 il quindicesimo elenco dei soggetti abilitati
all’effettuazione delle verifiche periodiche.
Sostituisce integralmente il precedente elenco del 20 settembre 2017.
Info: quindicesimo elenco verifiche periodiche
Fonte: quotidianosicurezza.it

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  • 1. News 50/SSL/2017 Lunedì, 11 dicembre 2017 Rischio stress: le strategie per gestire lo stress a livello individuale. Un intervento si sofferma sulle strategie per gestire lo stress lavorativo a livello individuale. Dare il giusto peso alle situazioni, le abilità assertive, la cura di sé, le relazioni sociali e l’organizzazione del tempo e dello spazio. Trieste, 05 Dic – Abbiamo più volte ricordato in questi anni, anche con riferimento alle guide e ai documenti prodotti dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro per la passata campagna europea “ Ambienti di lavoro sani e sicuri per la gestione dello stress”, come lo stress nel mondo del lavoro sia correlato ad uno squilibrio tra le richieste lavorative e le risorse fisiche e mentali che si hanno a disposizione per fronteggiarle. Ma quali strategie possiamo mettere in pratica a livello individuale, partendo da questa concezione dello stress lavoro-correlato, per gestire lo stress? Per rispondere a questa domanda presentiamo oggi un contributo raccolto nel volume “ Dalla prevenzione alla gestione dello stress lavoro correlato”, curato da Giorgio Sclip (RSPP, membro del Focal Point per l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro – Università degli Studi di Trieste), edito da EUT Edizioni Università di Trieste. Volume che, presentato al seminario “Dalla prevenzione alla gestione dello stress lavoro-correlato. Strumenti di valutazione e buone pratiche” (13 marzo 2017, Trieste), riporta i materiali della giornata di studi “Sicurezzaccessibile” che si è svolta, sempre a Trieste, nel mese di ottobre 2015. In “Strategie per gestire lo stress lavorativo a livello individuale”, a cura della D.essa Micaela Crisma (psicologa, ARDISS - Agenzia della Regione Friuli Venezia Giulia per il diritto agli studi superiori), si ribadisce che lo stress, “secondo uno dei modelli più influenti in letteratura, deriva da una discrepanza tra le richieste che vengono poste all’organismo dall’ambiente e le risorse che la persona possiede per farvi fronte (Lazarus e Falkman 1984)”. E se lo stress deriva dunque da un’interazione tra individuo e ambiente, una situazione “non è stressante allo stesso modo per tutti, ma molto dipende da quanto la persona sente di avere le risorse sufficienti per affrontarla”.
  • 2. Dopo aver ricordato che in realtà lo stress “di per sé non è sempre negativo” e che una “quota minima di stress rende la vita più interessante”, in realtà lo stress percepito “dipende molto dalla sensazione di avere o meno le risorse per affrontare la situazione”. Più precisamente – continua il contributo di Micaela Crisma - secondo il modello di Lazarus e Falkman, in ogni situazione si attuano due valutazioni: “nel momento in cui lo stimolo si presenta, la persona effettua una valutazione primaria dalla quale evince se ciò che sta accadendo è rilevante o no per se stessa. Se lo stimolo è irrilevante, viene ignorato. Se invece è ritenuto rilevante, si effettua la valutazione secondaria. Riconosciuto il possibile danno, pericolo o minaccia derivante dallo stimolo, in questa seconda fase la persona valuta come affrontare la situazione e se ha le risorse per farlo e di conseguenza si può produrre stress psicologico”. In particolare le situazioni possono essere affrontate con: - strategie che mirano a trovare una soluzione al problema; - strategie che regolano le proprie emozioni. E se in genere “sono preferibili le prime”, queste “non sempre sono attuabili”. Il contributo, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma brevemente su alcune strategie che “possiamo applicare a livello individuale per gestire meglio lo stress lavorativo”. Tuttavia si sottolinea anche che se lo stress lavorativo deriva da fattori di tipo organizzativo o sociale, “non è possibile pensare di risolvere il disagio unicamente con interventi individuali”. Ad esempio vi sono aspetti – ad esempio in relazione a fenomeni come il mobbing, le molestie sessuali sul posto di lavoro, la scarsa sicurezza e l’incertezza del posto di lavoro - che “devono essere gestiti a livello organizzativo, con azioni responsabili da parte della dirigenza”. Le strategie individuali “sono invece utili quando lo stress deriva principalmente da modalità errate, distorte o controproducenti di affrontare il lavoro e la vita”. E queste piccole strategie possono “essere d’aiuto comunque, se non altro per alleviare l’impatto di ciò che stiamo vivendo”. Riprendiamo, in modo sintetico, alcune delle strategie individuali descritte. Imparare a dare il giusto peso alle situazioni evitando pensieri ed emozioni che acuiscono lo stress Si indica che “spesso siamo noi stessi a fomentare lo stress”. E se “il nostro linguaggio
  • 3. interno, il discorso che continuamente facciamo con noi stessi, ha delle potenti implicazioni sui nostri vissuti e sul comportamento”, dobbiamo fare attenzione ai pensieri “che contengono le parole ‘sempre, impossibile, intollerabile’ o a tutte le frasi che iniziano con ‘devo, dovrei...’”. Sono spesso locuzioni che “enfatizzano o assolutizzano la realtà, aumentando il disagio”. In questo senso una locuzione come “devo fare degli straordinari, è intollerabile!” diventerà “devo fare degli straordinari, mi secca molto, non mi piace per niente, non sono d’accordo, ecc.”: “il significato alla fine è lo stesso ma trasmette una maggiore sensazione di controllo”. Si segnala poi che a volte il problema “è più serio e condiziona l’intero modo di vivere”. Ci sono ad esempio “convinzioni profonde apparentemente innocue ma profondamente dannose, come l’idea di dover piacere a tutti, di non potersi permettere neanche un errore (perfezionismo), di dover fare sempre meglio degli altri. Sono spesso eredità che ci portiamo dietro dall’infanzia o da esperienze passate, ma che condizionano pesantemente il presente. A volte è necessario l’aiuto di un terapeuta per liberarsene, ma tutti possiamo fare qualcosa di utile provando intanto a vedere se ne siamo schiavi”. Se le emozioni negative “naturalmente acuiscono lo stress”, “non è ignorandole o evitandole del tutto che possiamo liberarcene. Il primo passo è invece proprio quello di riconoscerle dentro di sé e decidere se agire di conseguenza o metterle da parte. Ad esempio, molte persone sono convinte che se si arrabbiano per forza diventano aggressive, come se ci fosso un passaggio immediato all’azione. In realtà, se noi riconosciamo fin dall’inizio di essere arrabbiati, possiamo sempre decidere come agire dopo a seconda della situazione. In un caso potremo decidere di dissimulare la rabbia perché inopportuna, in un altro la manifesteremo solo con lo sguardo o con una risposta secca, in un altro magari faremo una critica aperta alla persona che ci ha fatto arrabbiare. Il riconoscimento dell’emozione permette un maggiore controllo e previene l’aggressività”. E – continua Micaela Crisma – se “sono stressato invece dall’idea di fare errori, la miglior cosa da fare è individuarli e affrontarli uno per uno, alla fine sembreranno meno pericolosi e più gestibili”. Migliorare le abilità assertive L’assertività è un “insieme di abilità complesse, comunicative ma anche affettive, che permette di esprimere ciò che pensiamo e desideriamo nel rispetto dei sentimenti altrui. La persona assertiva riesce a dire ciò che pensa e prova e solitamente ha più successo nell’ottenere ciò che vuole, mantenendo buone relazioni sociali. Non stupisce che le persone assertive siano più resilienti anche in
  • 4. situazioni stressanti”. Se, ad esempio, ci accorgiamo di “avere difficoltà a dire di no, e quindi tendiamo a sovraccaricarci anche di compiti che non ci spettano, di non riuscire a chiedere, e perciò non siamo in grado di delegare anche quando potremmo; se accettiamo male le critiche costruttive e abbiamo difficoltà nelle relazioni interpersonali, dovremmo pensare a sviluppare l’assertività”. La cura di sé Generalmente la persona stressata “non si prende cura di sé e non riesce a difendere il proprio tempo libero. Ciò può portare a vari rischi per la salute (nei casi più gravi osserviamo disturbi alimentari, del sonno, abuso di alcolici, fumo, psicofarmaci, sostanze). Alcuni piccoli gesti di cura di sé possono migliorare notevolmente la qualità di vita. Ad esempio imparare a rilassarsi con tecniche di meditazione. Curare l’alimentazione e, soprattutto, dedicare un po’ di tempo, almeno 2-3 volte a settimana, all’attività sportiva, di qualunque genere purché permetta di fare esercizio fisico e produrre così le preziose endorfine, degli oppiacei naturali che danno sensazione di benessere”. Il supporto nelle relazioni sociali Il contributo sottolinea che “le relazioni sociali sono un prezioso supporto, ma spesso per la persona stressata diventano un bacino di sfogo, con degli effetti boomerang. Quindi attenzione a non usare le uscite con gli amici puntualmente per sfogare lo stress accumulato. Gli amici possono ascoltare e capire, ma in misura limitata. Se abusiamo della loro disponibilità e pazienza, e considerando che tutti più o meno abbiamo pene e stress da sopportare, finiremo per rimanere soli”. E se siamo stressati, “cerchiamo di vivere pienamente il momento positivo con la persona amica o con il/la compagno/a senza travolgerlo/a con i nostri problemi. Dedichiamo dei momenti circoscritti allo sfogo e alla discussione dei problemi”. Se poi ci ritroviamo a “discutere solo dei problemi”, è bene cercare piuttosto “l’aiuto di un professionista”. Organizzare il nostro tempo e lo spazio Se abbiamo troppe cose da fare, dobbiamo imparare a “scegliere delle priorità”. “Se ci è difficile organizzarci durante la giornata, facciamo un piano, in cui indicheremo però non solo tutte le attività da fare, ma anche dei momenti ‘obbligati’ di pausa gratificante. La persona stressata quasi sempre ignora questi bisogni, con il risultato che è sempre più frustrata, esaurita, meno motivata e quindi più stanca. Paradossalmente fare una cosa in più, ma gratificante (ad esempio
  • 5. mezz’ora di sport, passeggiata, hobby) porta via in parte la stanchezza e rende più leggera la giornata. Se siamo oberati da cose da fare e viviamo in uno spazio disordinato, ci sentiremo sempre più stressati”. Infine, conclude il contributo della D.essa Micaela Crisma, “se dobbiamo affrontare un problema complicato, possiamo apprendere delle tecniche di problem solving, ricordando che il passo più difficile spesso non è progettare il piano da portare a termine, ma fare un lavoro approfondito di brainstorming, lasciando affiorare liberamente tutte le soluzioni possibili, anche le più incredibili, per dare spazio alla creatività e all’emotività”. E molte volte la soluzione migliore “non ci viene in mente perché le blocchiamo la strada con le nostre paure e difese”. RTM Scarica il documento da cui è tratto l'articolo: “ Dalla prevenzione alla gestione dello stress lavoro correlato”, Sicurezza accessibile - Giornata di studi - Trieste, 20 ottobre 2015, volume curato da di Giorgio Sclip (RSPP, membro del Focal Point per l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro – Università degli Studi di Trieste), edito da EUT Edizioni Università di Trieste, presentato al seminario “Dalla prevenzione alla gestione dello stress lavoro-correlato. Strumenti di valutazione e buone pratiche” (formato PDF, 7.58 MB). Fonte: puntosicuro.it Regola tecnica contenitori-distributori carburante liquido categoria C. ROMA – Pubblicata dal Ministero dell’Interno con Decreto del 22 novembre 2017 in Gazzetta Ufficiale il 6 dicembre 2017 la Regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio di contenitori-distributori, ad uso privato, per l’erogazione di carburante liquido di categoria C. Regola tecnica che disciplina installazione e gestione dei contenitori-distributori fuori terra di liquido combustibile di categoria C ad uso privato, di capacità geometrica non superiore a 9 m³, al fine di minimizzare fuoriuscite e rischio incendio, limitare danni a persone edifici e locali e ambiente in caso di incidente, consentire i soccorsi in sicurezza. I contenitori distributori oggetto della Regola tecnica sono quelli definiti dall’articolo 1.2 (b) dell’allegato 1 dello stesso decreto: “b) contenitore-distributore: complesso di attrezzature, installate fuori terra, costituito da serbatoio, idoneo a contenere carburante liquido di categoria C, di capacita’ geometrica non superiore a 9 m³, collegato ad apparecchiatura per l’erogazione
  • 6. del liquido contenuto, il termine e’ equivalente a quello di contenitore-distributore rimovibile o contenitore-distributore mobile già utilizzato nel decreto del Ministro dell’interno del 19 marzo 1990; E per liquido combustibile di categoria C al punto “a” del citato articolo si intende: “liquido avente un punto di infiammabilità da oltre 65° C sino a 125° C. Rientrano nella categoria C anche i liquidi combustibili con punto di infiammabilità inferiore a 65°C, ma non sotto i 55°C, purché la prova del grado di infiammabilità sia completata da una prova di distillazione frazionata, nella quale non si dovrà avere, a 150° C, piu’ del 2 per cento di distillato. I metodi e le apparecchiature da utilizzare per ricercare il punto di infiammabilità e per eseguire la distillazione frazionata di tale liquido devono essere quelli previsti dal decreto del Ministro dell’interno del 31 luglio 1934“. Il decreto si applica sia alle nuove installazioni che a quelle esistenti al momento dell’entrata in vigore. Non riguarda gli impianti fissi di distribuzione carburanti per autotrazione. Per quanto concerne i contenitori-distributori esistenti le esenzioni dalla Regola tecnica vengono ammesse nel caso in cui gli impianti: “a) siano in possesso di atti abilitativi riguardanti anche la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio, rilasciati dalle competenti autorità così come previsto dall’art. 38 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98; b) siano in possesso del certificato di prevenzione incendi in corso di validità o sia stata presentata la segnalazione certificata di inizio attività di cui all’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151; c) siano stati pianificati, o siano in corso, lavori di installazione di contenitori- distributori sulla base di un progetto approvato dal competente Comando provinciale dei vigili del fuoco ai sensi degli articoli 3 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151″. In ogni caso gli stessi impianti devono essere marcati CE ed essere inoltre provvisti di approvazione di tipo ai sensi del decreto del Ministro dell’interno del 31 luglio 1934, titolo I°.
  • 7. La Regola tecnica nell’allegato I indica in dettaglio: tolleranze dimensionali, capacità e depositi, accesso all’area, installazione e costruzione, distanze e misure di sicurezza, elettricità e messa a terra, esercizio, estintori. L’articolo 5 del decreto riporta inoltre norme per i prodotti antincendio consentiti e per l’esercizio. Il provvedimento entrerà in vigore a 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta avvenuta il 6 dicembre 2017. Dopo l’entrata in vigore vengono considerati abrogati: “a) decreto del Ministro dell’interno del 19 marzo 1990 recante «Norme per il rifornimento di carburanti, a mezzo di contenitori-distributori mobili, per macchine in uso presso aziende agricole, cave e cantieri»; b) decreto del Ministro dell’interno del 12 settembre 2003 recante «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per l’installazione e l’esercizio di depositi di gasolio per autotrazione ad uso privato, di capacita’ geometrica non superiore a 9 m3, in contenitori-distributori rimovibili per il rifornimento di automezzi destinati all’attività di autotrasporto»; c) art. 5, comma 4 del decreto del Ministro dell’interno del 27 gennaio 2006 recante «Requisiti degli apparecchi, sistemi di protezione e dispositivi utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva, ai sensi della direttiva n. 94/9/CE, presenti nelle attività soggette ai controlli antincendio»”. (Articolo di Corrado De Paolis) Info: Gazzetta Ufficiale n.285 del 6 dicembre 2017 Decreto 22 novembre 2017 Fonte: quotidianosicurezza.it Gli infortuni con le presse e il datore di lavoro di fatto. La Corte di Cassazione in relazione a un infortunio con una pressa si sofferma sulla posizione datoriale assunta di fatto. La posizione di garanzia grava anche su colui che esercita in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro. Roma, 6 Dic – È evidente quanto sia delicato, specialmente in presenza di eventi infortunistici più o meno gravi, individuare le posizioni di garanzia in materia di sicurezza e salute e, dunque, gli obblighi e le responsabilità per gli infortuni avvenuti. Un’individuazione che non è semplice e che, come raccontato nell’articolo di PuntoSicuro “ Le logiche dell’effettività per individuare le posizioni di garanzia”, vede spesso prevalere il canone di effettività, quel criterio che “modula la distribuzione del carico obbligatorio” sulla “concreta e reale assegnazione di compiti in materia a ciascuno dei soggetti coinvolti”. Ricordiamo che sul tema del principio di effettività abbiamo pubblicato in passato
  • 8. anche diversi contributi dell’avvocato Rolando Dubini, ad esempio con riferimento all’articolo “ D.Lgs. 81/2008: il datore di lavoro e il principio di effettività”. E sono poi moltissime le sentenze della Cassazione che PuntoSicuro ha presentato in questi anni sul tema della individuazione del cosiddetto “datore di fatto”. Ne ricordiamo brevemente alcune: - Sentenza n. 46437 del 11 novembre 2014 sull’individuazione dei destinatari degli obblighi imposti dalle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro che deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle funzioni in concreto esercitate che prevalgono sulle funzioni formali; - Sentenza n. 36878 del 22 settembre 2009 sulla posizione di garanzia del datore di lavoro e sulla figura di datore di lavoro di fatto. Sul tema si sofferma anche una recente sentenza, la sentenza n. 48940 del 25 ottobre 2017, che affronta il ricorso relativo ad un infortunio con la pressa – un tema più volte affrontato dal nostro giornale nella rubrica “ Imparare dagli errori” – e alla posizione datoriale di fatto. Una sentenza che, come vedremo, sottolinea ancora una volta che la posizione di garanzia “grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati, sicché l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale”. Nella sentenza la Corte di Cassazione ricorda che la Corte di appello di Brescia ha “parzialmente riformato la pronuncia emessa nei confronti di C.M. dal Tribunale di Bergamo” con la quale il C.M. era stato giudicato “responsabile del reato di cui all'art. 590, co. 1 e 3 cod. pen. e del reato di cui all'art. 87, co. 2 lett. b) d.lgs. n. 81/2008 e condannato alla pena ritenuta equa, nonché al risarcimento dei danni, da liquidare in separata sede, in favore della parte civile A.I.”. La Corte di Appello ha dichiarato “non doversi procedere in merito alla contravvenzione perché estinta per prescrizione ed ha ridotto correlativamente la pena inflitta dal primo giudice, concedendo altresì la sospensione condizionale della pena”. Riguardo all’infortunio patito da A.I. il 20 febbraio 2010, “secondo l'accertamento condotto nei gradi di merito, in quel giorno l'A.I. stava lavorando ad una macchina sita all'interno del capannone” della ditta individuale XXX di C.M. quando “la sua
  • 9. mano sinistra veniva schiacciata dal punzone in discesa della pressa; nell'occorso il lavoratore subiva un trauma da pressoustione a tre dita, dal quale derivava una malattia guarita in un tempo superiore a quaranta giorni”. Il Tribunale “identificava nell'imputato il datore di lavoro di questa, così superando la diversa tesi difensiva, ed escludeva che il lavoratore avesse tenuto una condotta abnorme, tale da interrompere la relazione causale tra l'evento e la ritenuta violazione da parte del datore di lavoro della prescrizione prevenzionistica oggetto di contestazione”. Avverso a tale decisione ricorre per cassazione l'imputato che con un primo motivo “deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza in capo all'imputato della qualità di datore di lavoro”. Dalla documentazione versata in atti “emerge che il lavoratore era alle dipendenze dell'impresa individuale Map di I.M.. Ciò nonostante la Corte di Appello ha asserito che al momento dell'infortunio il lavoratore stava operando su una pressa che apparteneva al C.M. all'interno del capannone ove operava l'impresa di questi. Sicché il C.M., a prescindere dall'esistenza o meno di un regolare rapporto di lavoro subordinato, aveva il dovere di mettere a disposizione di coloro che lavoravano all'interno della sua azienda delle macchine sicure. Quindi la Corte di Appello, in mancanza della qualità di datore di lavoro, ha applicato l'art. 70, co. 2 d.lgs. n. 81/2008, in relazione al punto 5.6.1. dell'all. V, con indebita estensione analogica del precetto, che si rivolge al solo datore di lavoro”. Ad avviso del ricorrente la sentenza “è contraddittoria perché da un canto asserisce che non trova riscontro in atti la tesi della dipendenza dell'infortunato dall'impresa del fratello e dall'altro ritiene di dover prescindere dal dato formale della relazione di collaborazione lavorativa della vittima con il proprio fratello”. Inoltre con un secondo motivo il ricorrente lamenta “che la Corte di Appello abbia utilizzato una perizia disposta ai sensi dell'art. 360 cod. proc. pen. ma senza che di essa sia stato dato il prescritto avviso all'indagato”. Veniamo a quanto indicato dalla Corte di Cassazione che sottolinea, innanzitutto, che “occorre prendere le mosse dal rammentare che i motivi che svolgono censure che reiterano quelle già proposte ai giudici di merito e che non prendono in considerazione quanto dai medesimi argomentato in replica critica, persistendo in una prospettazione già superata senza cogliere quanto in essa vi è di viziato, condannano il ricorso, fondato sul vizio motivazionale, perché in definitiva aspecifico, nel senso di non correlato alla trama della motivazione impugnata (cfr. Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849)”.
  • 10. In particolare il tema della qualità di datore di lavoro del C.M. “è stato risolto dalla Corte di Appello senza negare che dalla documentazione versata in atti dalla difesa emergeva il rapporto di collaborazione esistente tra il lavoratore infortunato ed il fratello. Ma il collegio distrettuale ha ritenuto che tale documentazione celasse il dato reale, emergendo per converso che al momento dell'infortunio: - A.I. stava lavorando all'interno del capannone della impresa del C.M., operando su una pressa nella proprietà del medesimo; - che l'infortunato aveva dichiarato in sede di indagini che da due anni lavorava irregolarmente per la ditta dell'imputato, al pari del fratello; - che non era stata prodotta documentazione che attestasse la effettività e l'oggetto dei rapporti tra l'impresa del C.M. e quella di I.M.”. E, dunque, la Corte di Appello ha “ritenuto che effettivo datore di lavoro dell'infortunato fosse proprio il C.M.. Il ricorrente non ha opinato la manifesta illogicità di tale motivazione o la sua contraddittorietà rispetto agli elementi di prova; ha solo prospettato - del tutto infondatamente alla luce di quanto appena rammentato - che la Corte di Appello abbia contraddittoriamente ritenuto di dover prescindere dal dato formale proprio mentre ne negava l'esistenza”. E se il dato della posizione datoriale assunta in fatto dal C.M. non è superata dal ricorso, “appare evidente che non è rinvenibile alcuna violazione di legge per aver posto a carico dell'imputato una violazione prevenzionistica che si indirizzerebbe tipicamente al datore di lavoro”. E si ricorda che già prima che l'art. 299 d.lgs. n. 81/2008 positivizzasse la rilevanza della assunzione di fatto di funzioni tipiche della posizione datoriale “la giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro (e, similmente, del dirigente o del preposto) (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017 - dep. 09/05/2017, Minguzzi, Rv. 269973)”. E “si è affermato che la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati, sicché l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (Sez. 4, n. 18090 del 12/01/2017 - dep. 10/04/2017, Amadessi e altro, Rv. 269803)”. Partendo da questi assunti, continua la Cassazione, la motivazione impugnata “trova conforto nei principi posti da questa Corte”.
  • 11. E in definitiva la Corte, che - come giustificato nella sentenza - ritiene manifestamente infondato anche il secondo motivo del ricorrente, dichiara “inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali”. Tiziano Menduto Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo: Cassazione Penale Sez. IV – Sentenza 25 ottobre 2017, n. 48940 - Infortunio con la pressa: posizione datoriale di fatto Fonte: puntosicuro.it Quindicesimo elenco abilitati alle verifiche periodiche. ROMA – Verifiche periodiche. Pubblicato dal Ministero del Lavoro con decreto direttoriale n.101 del 1° dicembre 2017 il quindicesimo elenco dei soggetti abilitati all’effettuazione delle verifiche periodiche. Sostituisce integralmente il precedente elenco del 20 settembre 2017. Info: quindicesimo elenco verifiche periodiche Fonte: quotidianosicurezza.it