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News 27/A/2016
Lunedì, 03 Luglio 2016
Grazie all’efficienza energetica l’Italia ha risparmiato circa 100 Mtep negli ultima 10
anni.
Enea, una scelta green che sostiene una filiera da 50mila posti di lavoro in media
l’anno.
L’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico
sostenibile (Enea) ha pubblicato il V Rapporto sull’efficienza energetica in Italia,
un’importante strumento di monitoraggio, analisi e valutazione a supporto delle
politiche adottate in questo settore.
Osservandone l’andamento in una prospettiva storica, risulta in meno di 10 anni, le
famiglie italiane hanno investito quasi 28 miliardi di euro per ridurre gli sprechi e
rendere più efficienti le proprie abitazioni, realizzando 2,5 milioni di interventi di
riqualificazione energetica tra il 2007 e il 2015. Una scelta green che sostiene una
filiera da 50mila posti di lavoro in media l’anno. Complessivamente, informa l’Enea,
nel periodo 2005-2015, con le misure per l’efficienza energetica sono stati risparmiati
quasi 10 Mtep l’anno, evitando 26 milioni di tonnellate di emissioni di anidride
carbonica e 3 miliardi di euro di spese per importare fonti fossili. Tali progressi
permettono oggi di annoverare l’Italia fra i leader in Europa in questo campo, con
un livello d’intensità energetica del 18% inferiore della media Ue.
Il Rapporto evidenzia inoltre che l’Italia ha raggiunto il 32% dell’obiettivo di risparmio
al 2020 fissato dal Piano nazionale di efficienza energetica 2014: tra gli strumenti per
promuovere l’efficienza si sono rivelati particolarmente efficaci i certificati bianchi e
le detrazioni fiscali per le riqualificazioni energetiche, i cosiddetti ecobonus, utilizzati
soprattutto, spiega il rapporto, per interventi di isolamento termico degli edifici, la
sostituzione di infissi e l’installazione di impianti di riscaldamento più efficienti.
«Con le politiche nazionali per l’efficienza – ha sottolineato il presidente dell’Enea,
Federico Testa – sono stati raggiunti traguardi importanti, anche se vi sono ancora
barriere da superare e forti margini di miglioramento per accrescere il vantaggio
competitivo del nostro Paese».
Da questo punto di vista, sottolinea l’Agenzia, è necessario porre particolare
attenzione al mondo della Pubblica amministrazione, tenuto conto che gli oltre
13mila edifici pubblici consumano circa 4,3 TWh di energia/anno con una spesa
complessiva di 644 milioni di euro; con interventi di efficientamento questi consumi
potrebbero essere ridotti fino al 40%.
Fonte: greenreport.it
Rifiuti, quale raccolta differenziata? Si avvicina il metodo di calcolo unico in tutta
Italia.
Dopo vent’anni d’attesa, il ministero dell’Ambiente pubblica in Gazzetta ufficiale le
linee guida
In un decreto del ministero dell’Ambiente, pubblicato in Gazzetta ufficiale, sono
contenute le linee guida nazionali per un metodo di calcolo unico della raccolta
differenziata dei rifiuti urbani e assimilati, cui tutte le Regioni dovranno attenersi nel
dotarsi dei propri metodi di calcolo e di certificazione: una novità in materia era
attesa da lustri.
Da quando la raccolta differenziata è stata introdotta in Italia dal decreto Ronchi
sono passati venti anni. Due decenni durante i quali ad ogni territorio è stata
lasciata ampia libertà nel conteggiare la propria raccolta differenziata, inserendo o
meno alcune frazioni di rifiuti. Già il decreto Ronchi prevedeva l’istituzione di un
metro comune al Paese, ma non è mai arrivato e solo la Regione Toscana (tramite
l’Agenzia regionale recupero risorse) ha iniziato a certificare i dati raccolti sul
territorio. I risultati parlano da soli: i dati raccolti in materia di raccolta differenziata
(per non parlare delle fasi successive, in primis il riciclo) sono stati confusi,
disomogenei, inappropriati.
«L’Italia della raccolta differenziata – dichiara il ministro dell’Ambiente, Gian Luca
Galletti – viaggia ancora a diverse velocità, anche a causa della confusione
generata da strumenti di calcolo differenti da una Regione all’altra, cui segue
un’ovvia difficoltà nel rendere omogenea l’applicazione del tributo. Queste linee
guida nazionali sono funzionali a portare tutto il nostro Paese verso l’economia
circolare, adeguandolo agli standard europei di differenziata (in realtà, anche
all’interno delle linee guida del ministero si riconosce che “La direttiva 2008/98/CE,
pur non prevedendo target di raccolta differenziata”, si riferisce piuttosto a target
di riciclo, ndr) e superando la realtà delle discariche in cui purtroppo va ancora
gran parte dei rifiuti nazionali».
Adesso il decreto che attua l’articolo 32 del Collegato ambientale secondo il
ministero dell’Ambiente permetterà un reale confronto dei risultati tra le diverse aree
geografiche del territorio nazionale e tra i comuni, calibrando i tributi comunali a
seconda dei livelli di raccolta raggiunti e certificati dalle regioni. Questo almeno è
l’auspicio. Sulla base delle linee guida fornite dal ministero, stando a quanto riporta il
Collegato ambientale, saranno ora le singole regioni a dover definire “il metodo
standard per calcolare e verificare le percentuali di raccolta differenziata dei rifiuti
solidi urbani e assimilati raggiunte in ogni comune”. Visti i precedenti, non sarebbe
stato più appropriato definire già a livello nazionale un singolo metodo standard,
anziché le sole linee guida? Per quelle regioni che non si adegueranno (in quali
tempi?) nell’elaborazione di un metodo standard di calcolo, non appaiono inoltre
esplicitate sanzioni stringenti di sorta. Quello offerto dal ministero dell’Ambiente
rimane dunque un buon passo avanti, ma la partita è ancora aperta. In attesa che,
magari, si decida di metter mano non solo alla contabilità della raccolta
differenziata, ma anche a quella legata al vasto mondo dei rifiuti speciali. Un
mondo grande circa 4 volte quello dei rifiuti urbani, e di cui si sa (e ci si interessa)
ancora pochissimo. (Articolo di Luca Aterini)
Fonte: greenreport.it
Microplastiche nei cosmetici, una legge per dire basta.
In un anno, il settore nella sola Europa ne utilizza 5 mila tonnellate. Finite poi in gran
parte in mare.
«L’inquinamento da plastica e da microplastiche è uno dei più pericolosi e frequenti
per mari e oceani del pianeta. Lo ha ribadito di recente lo stesso Segretario
generale dell’Onu Ban Ki-Moon. Per mettere fuori gioco questa grave forma di
inquinamento che minaccia sia gli ecosistemi marini, che la salute umana ho
presentato una proposta di legge per vietare l’uso della microplastica nei
cosmetici».
Parole e regia di Ermete Realacci, decano dell’ambientalismo italiano e presidente
della commissione Ambiente della Camera, che ha avanzato la proposta di legge
come primo firmatario dopo aver supportato già due anni fa le ‘Disposizioni
concernenti la certificazione ecologica dei prodotti cosmetici’ dall’Associazione
internazionale di dermatologia ecologica.
«Ogni anno – ricorda Realacci – nel mondo vengono prodotte oltre 290 milioni di
tonnellate di plastica, una parte delle quali finisce inevitabilmente in mare. Per l’Onu
sono 8 milioni le tonnellate di plastica che ogni anno finiscono nelle acque del
pianeta. Rifiuti che si scompongono in pezzi sempre più piccoli fino a diventare
microplastiche. Proprio questi micro frammenti, come denunciato dalla campagna
‘Mare mostro’ di Marevivo, sono la parte più pericolosa dell’inquinamento marino
da plastica. Essendo di piccolissime dimensioni, massimo 5 millimetri, le
microplastiche vengono ingerite e bioaccumulate da pesci e specie marine,
entrando così nella catena alimentare», che arriva anche all’uomo.
Quella di una gestione più efficiente e sostenibile dei materiali e dei rifiuti plastici è
una necessità sempre più stringente; da demonizzare non sono certo le plastiche,
quanto un loro utilizzo irresponsabile o lo scempio di quanti le gettano in mare.
Contro questi nemici, anche le plastiche biodegradabili rimangono un debole
palliativo. È invece possibile e urgente limitare l’utilizzo di plastiche in quelle
applicazioni dove non sono indispensabili. Si stima che nel 2050 diventeranno 400 le
milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno e – sottolineano dall’associazione
Marevivo – su questo scenario «si innesta uno studio presentato durante il “World
Economic Forum”, che prevede che per il 2050 ci saranno più plastiche che pesci in
mare. Secondo alcune ricerche, oltre il 10% di plastica prodotta viene gettato in
mare, andando ad alimentare il “Mostro”. Anche se a destare più clamore sono i
rifiuti di maggiori dimensioni, in realtà i frammenti più piccoli e, apparentemente,
insignificanti sono quelli più nocivi e pericolosi. Gli impianti di trattamento e
depurazione delle acque non sono in grado di intrappolarli e quindi arrivano
direttamente in mare, dove vengono scambiati per cibo da diverse specie».
«Una fonte inesauribile di microplastiche sono i cosmetici che usiamo ogni giorno in
abbondanza – spiega infatti Realacci – Creme, scrub, bagnoschiuma, dentifrici,
maschere, rossetti e schiume da barba ne possono essere fatti al 90%. Nella sola
Europa nel 2013 per i cosmetici ne sono state usate 5 mila tonnellate, finite in gran
parte in mare. Per contrastare l’inquinamento marino da microplastiche ho quindi
presentato la proposta di legge numero 3852. Assegnata alle Commissioni riunite
Ambiente e Attività produttive della Camera, la proposta è stata sottoscritta da oltre
40 deputati di gruppi politici sia di maggioranza che di opposizione e prevede che
dal 1° gennaio 2019 sia vietato produrre e mettere in commercio cosmetici
contenenti microplastiche, previste anche multe salate per i trasgressori».
Fonte: greenreport.it
Metalli non ferrosi, l’UE stabilisce le tecniche migliori per la produzione.
Sulla Gazzetta ufficiale europea di oggi sono state pubblicate le conclusioni sui
documenti di riferimento delle migliori tecniche disponibili (Bat) per la produzione dei
metalli non ferrosi; le ha stabilite la Commissione Ue, con decisione di esecuzione
coerente alla direttiva sulle emissioni industriali (la numero 75 del 2010).
Il documento si riferisce a una serie di attività industriali come l’arrostimento o
sinterizzazione di minerali metallici; la lavorazione di metalli non ferrosi (produzione
da minerali, da concentrati o materie prime secondarie attraverso procedimenti
metallurgici, chimici o elettrolitici e fusione e lega compresi i prodotti di recupero e
funzionamento di fonderie di metalli non ferrosi); la produzione di carbonio (carbone
duro) o grafite per uso elettrico mediante combustione o grafitizzazione. In
particolare riguardano la produzione primaria e secondaria di metalli non ferrosi; la
produzione di ossido di zinco da fumi durante la produzione di altri metalli; la
produzione di composti del nichel dalle acque madri durante la produzione di un
metallo; la produzione di silico-calcio (CaSi) e silicio (Si) nello stesso forno in cui
avviene la produzione di ferrosilicio; la produzione di ossido di alluminio dalla bauxite
prima della produzione di alluminio primario, qualora questo sia parte integrante
della produzione del metallo; il riciclo di scorie saline di alluminio; la produzione di
elettrodi di carbonio e/o grafite.
E’ da ricordare che le tecniche elencate e descritte nelle conclusioni non sono né
prescrittive né esaustive. Infatti si possono utilizzare altre tecniche purché assicurino
un livello di protezione ambientale almeno equivalente a quelle fissate. Per esempio
nelle conclusioni sulle Bat per la produzione di metalli non ferrosi sono forniti livelli di
emissione associati alle migliori tecniche disponibili per le emissioni nell’aria che si
riferiscono a condizioni normali: gas secco ad una temperatura di 273,15 K e una
pressione di 101,3 kPa.
Le conclusioni sui documenti di riferimento sono l’elemento fondamentale dei
documenti sulle Bat. Ossia di quelle tecniche che sono il riferimento per stabilire le
condizioni di autorizzazione per le installazioni di attività industriali.
Infatti, gli impianti (quelli elencati nella direttiva) devono essere dotatati
dell’autorizzazione integrale ambientale (Aia) che è un’autorizzazione unica
rilasciata a conclusione di un unico procedimento che permette la cessione (a
certe condizioni) di inquinanti in aria, acqua, suolo e sottosuolo. Per controllare le
emissioni industriali, l’Unione europea ha sviluppato un quadro generale basato su
un sistema di autorizzazioni integrate. Secondo questo approccio le autorizzazioni
devono tener conto di tutte le prestazioni ambientali di un impianto per evitare che
l’inquinamento sia spostato da un elemento, come l’atmosfera, l’acqua e la terra, a
un altro. Si dovrebbe dare la priorità alla prevenzione dell’inquinamento,
intervenendo alla fonte e garantendo un uso e una gestione prudente delle risorse
naturali. (Articolo di Eleonora Santucci)
Fonte: greenreport.it
Urbanistica. Convenzione di lottizzazione.
TAR Umbria Sez. I n.475 del 26 maggio 2016
Implica comportamento incompatibile con la volontà di non voler adempiere
all’obbligo di cessione di aree da cedere al Comune, in virtù di convenzione di
lottizzazione, il prolungato ed univoco comportamento consistente nella volontaria
messa a disposizione della collettività delle aree del piano di lottizzazione destinate
alla cessione (nella fattispecie un parcheggio e aree a verde pubblico).
Fonte: lexambiente.it
Beni Culturali. Ragioni della disciplina vincolistica.
TAR Umbria Sez. I n.481 del 3 giugno 2016
La tutela storico-artistica protegge non già un’opera dell’ingegno dell’autore, ma
un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà, la quale, nella sua consistenza
effettiva ed attuale, bene può risultare da interventi successivi e sedimentati nel
tempo, tali da dare luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque
diverso da quello originario. Se questo è il fondamento di razionalità della disciplina
vincolistica, bene si comprende come debba ritenersi irrilevante che il manufatto
abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione.
Fonte: lexambiente.it
l’inquinamento sia spostato da un elemento, come l’atmosfera, l’acqua e la terra, a
un altro. Si dovrebbe dare la priorità alla prevenzione dell’inquinamento,
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Implica comportamento incompatibile con la volontà di non voler adempiere
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diverso da quello originario. Se questo è il fondamento di razionalità della disciplina
vincolistica, bene si comprende come debba ritenersi irrilevante che il manufatto
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News SA 49 2017
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News A 27 2016

  • 1. News 27/A/2016 Lunedì, 03 Luglio 2016 Grazie all’efficienza energetica l’Italia ha risparmiato circa 100 Mtep negli ultima 10 anni. Enea, una scelta green che sostiene una filiera da 50mila posti di lavoro in media l’anno. L’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) ha pubblicato il V Rapporto sull’efficienza energetica in Italia, un’importante strumento di monitoraggio, analisi e valutazione a supporto delle politiche adottate in questo settore. Osservandone l’andamento in una prospettiva storica, risulta in meno di 10 anni, le famiglie italiane hanno investito quasi 28 miliardi di euro per ridurre gli sprechi e rendere più efficienti le proprie abitazioni, realizzando 2,5 milioni di interventi di riqualificazione energetica tra il 2007 e il 2015. Una scelta green che sostiene una filiera da 50mila posti di lavoro in media l’anno. Complessivamente, informa l’Enea, nel periodo 2005-2015, con le misure per l’efficienza energetica sono stati risparmiati quasi 10 Mtep l’anno, evitando 26 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica e 3 miliardi di euro di spese per importare fonti fossili. Tali progressi permettono oggi di annoverare l’Italia fra i leader in Europa in questo campo, con un livello d’intensità energetica del 18% inferiore della media Ue. Il Rapporto evidenzia inoltre che l’Italia ha raggiunto il 32% dell’obiettivo di risparmio al 2020 fissato dal Piano nazionale di efficienza energetica 2014: tra gli strumenti per promuovere l’efficienza si sono rivelati particolarmente efficaci i certificati bianchi e le detrazioni fiscali per le riqualificazioni energetiche, i cosiddetti ecobonus, utilizzati soprattutto, spiega il rapporto, per interventi di isolamento termico degli edifici, la sostituzione di infissi e l’installazione di impianti di riscaldamento più efficienti. «Con le politiche nazionali per l’efficienza – ha sottolineato il presidente dell’Enea, Federico Testa – sono stati raggiunti traguardi importanti, anche se vi sono ancora barriere da superare e forti margini di miglioramento per accrescere il vantaggio competitivo del nostro Paese». Da questo punto di vista, sottolinea l’Agenzia, è necessario porre particolare attenzione al mondo della Pubblica amministrazione, tenuto conto che gli oltre
  • 2. 13mila edifici pubblici consumano circa 4,3 TWh di energia/anno con una spesa complessiva di 644 milioni di euro; con interventi di efficientamento questi consumi potrebbero essere ridotti fino al 40%. Fonte: greenreport.it Rifiuti, quale raccolta differenziata? Si avvicina il metodo di calcolo unico in tutta Italia. Dopo vent’anni d’attesa, il ministero dell’Ambiente pubblica in Gazzetta ufficiale le linee guida In un decreto del ministero dell’Ambiente, pubblicato in Gazzetta ufficiale, sono contenute le linee guida nazionali per un metodo di calcolo unico della raccolta differenziata dei rifiuti urbani e assimilati, cui tutte le Regioni dovranno attenersi nel dotarsi dei propri metodi di calcolo e di certificazione: una novità in materia era attesa da lustri. Da quando la raccolta differenziata è stata introdotta in Italia dal decreto Ronchi sono passati venti anni. Due decenni durante i quali ad ogni territorio è stata lasciata ampia libertà nel conteggiare la propria raccolta differenziata, inserendo o meno alcune frazioni di rifiuti. Già il decreto Ronchi prevedeva l’istituzione di un metro comune al Paese, ma non è mai arrivato e solo la Regione Toscana (tramite l’Agenzia regionale recupero risorse) ha iniziato a certificare i dati raccolti sul territorio. I risultati parlano da soli: i dati raccolti in materia di raccolta differenziata (per non parlare delle fasi successive, in primis il riciclo) sono stati confusi, disomogenei, inappropriati. «L’Italia della raccolta differenziata – dichiara il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti – viaggia ancora a diverse velocità, anche a causa della confusione generata da strumenti di calcolo differenti da una Regione all’altra, cui segue un’ovvia difficoltà nel rendere omogenea l’applicazione del tributo. Queste linee guida nazionali sono funzionali a portare tutto il nostro Paese verso l’economia circolare, adeguandolo agli standard europei di differenziata (in realtà, anche all’interno delle linee guida del ministero si riconosce che “La direttiva 2008/98/CE, pur non prevedendo target di raccolta differenziata”, si riferisce piuttosto a target di riciclo, ndr) e superando la realtà delle discariche in cui purtroppo va ancora gran parte dei rifiuti nazionali». Adesso il decreto che attua l’articolo 32 del Collegato ambientale secondo il ministero dell’Ambiente permetterà un reale confronto dei risultati tra le diverse aree
  • 3. geografiche del territorio nazionale e tra i comuni, calibrando i tributi comunali a seconda dei livelli di raccolta raggiunti e certificati dalle regioni. Questo almeno è l’auspicio. Sulla base delle linee guida fornite dal ministero, stando a quanto riporta il Collegato ambientale, saranno ora le singole regioni a dover definire “il metodo standard per calcolare e verificare le percentuali di raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani e assimilati raggiunte in ogni comune”. Visti i precedenti, non sarebbe stato più appropriato definire già a livello nazionale un singolo metodo standard, anziché le sole linee guida? Per quelle regioni che non si adegueranno (in quali tempi?) nell’elaborazione di un metodo standard di calcolo, non appaiono inoltre esplicitate sanzioni stringenti di sorta. Quello offerto dal ministero dell’Ambiente rimane dunque un buon passo avanti, ma la partita è ancora aperta. In attesa che, magari, si decida di metter mano non solo alla contabilità della raccolta differenziata, ma anche a quella legata al vasto mondo dei rifiuti speciali. Un mondo grande circa 4 volte quello dei rifiuti urbani, e di cui si sa (e ci si interessa) ancora pochissimo. (Articolo di Luca Aterini) Fonte: greenreport.it Microplastiche nei cosmetici, una legge per dire basta. In un anno, il settore nella sola Europa ne utilizza 5 mila tonnellate. Finite poi in gran parte in mare. «L’inquinamento da plastica e da microplastiche è uno dei più pericolosi e frequenti per mari e oceani del pianeta. Lo ha ribadito di recente lo stesso Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon. Per mettere fuori gioco questa grave forma di inquinamento che minaccia sia gli ecosistemi marini, che la salute umana ho presentato una proposta di legge per vietare l’uso della microplastica nei cosmetici». Parole e regia di Ermete Realacci, decano dell’ambientalismo italiano e presidente della commissione Ambiente della Camera, che ha avanzato la proposta di legge come primo firmatario dopo aver supportato già due anni fa le ‘Disposizioni concernenti la certificazione ecologica dei prodotti cosmetici’ dall’Associazione internazionale di dermatologia ecologica. «Ogni anno – ricorda Realacci – nel mondo vengono prodotte oltre 290 milioni di tonnellate di plastica, una parte delle quali finisce inevitabilmente in mare. Per l’Onu
  • 4. sono 8 milioni le tonnellate di plastica che ogni anno finiscono nelle acque del pianeta. Rifiuti che si scompongono in pezzi sempre più piccoli fino a diventare microplastiche. Proprio questi micro frammenti, come denunciato dalla campagna ‘Mare mostro’ di Marevivo, sono la parte più pericolosa dell’inquinamento marino da plastica. Essendo di piccolissime dimensioni, massimo 5 millimetri, le microplastiche vengono ingerite e bioaccumulate da pesci e specie marine, entrando così nella catena alimentare», che arriva anche all’uomo. Quella di una gestione più efficiente e sostenibile dei materiali e dei rifiuti plastici è una necessità sempre più stringente; da demonizzare non sono certo le plastiche, quanto un loro utilizzo irresponsabile o lo scempio di quanti le gettano in mare. Contro questi nemici, anche le plastiche biodegradabili rimangono un debole palliativo. È invece possibile e urgente limitare l’utilizzo di plastiche in quelle applicazioni dove non sono indispensabili. Si stima che nel 2050 diventeranno 400 le milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno e – sottolineano dall’associazione Marevivo – su questo scenario «si innesta uno studio presentato durante il “World Economic Forum”, che prevede che per il 2050 ci saranno più plastiche che pesci in mare. Secondo alcune ricerche, oltre il 10% di plastica prodotta viene gettato in mare, andando ad alimentare il “Mostro”. Anche se a destare più clamore sono i rifiuti di maggiori dimensioni, in realtà i frammenti più piccoli e, apparentemente, insignificanti sono quelli più nocivi e pericolosi. Gli impianti di trattamento e depurazione delle acque non sono in grado di intrappolarli e quindi arrivano direttamente in mare, dove vengono scambiati per cibo da diverse specie». «Una fonte inesauribile di microplastiche sono i cosmetici che usiamo ogni giorno in abbondanza – spiega infatti Realacci – Creme, scrub, bagnoschiuma, dentifrici, maschere, rossetti e schiume da barba ne possono essere fatti al 90%. Nella sola Europa nel 2013 per i cosmetici ne sono state usate 5 mila tonnellate, finite in gran parte in mare. Per contrastare l’inquinamento marino da microplastiche ho quindi presentato la proposta di legge numero 3852. Assegnata alle Commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera, la proposta è stata sottoscritta da oltre 40 deputati di gruppi politici sia di maggioranza che di opposizione e prevede che dal 1° gennaio 2019 sia vietato produrre e mettere in commercio cosmetici contenenti microplastiche, previste anche multe salate per i trasgressori». Fonte: greenreport.it
  • 5. Metalli non ferrosi, l’UE stabilisce le tecniche migliori per la produzione. Sulla Gazzetta ufficiale europea di oggi sono state pubblicate le conclusioni sui documenti di riferimento delle migliori tecniche disponibili (Bat) per la produzione dei metalli non ferrosi; le ha stabilite la Commissione Ue, con decisione di esecuzione coerente alla direttiva sulle emissioni industriali (la numero 75 del 2010). Il documento si riferisce a una serie di attività industriali come l’arrostimento o sinterizzazione di minerali metallici; la lavorazione di metalli non ferrosi (produzione da minerali, da concentrati o materie prime secondarie attraverso procedimenti metallurgici, chimici o elettrolitici e fusione e lega compresi i prodotti di recupero e funzionamento di fonderie di metalli non ferrosi); la produzione di carbonio (carbone duro) o grafite per uso elettrico mediante combustione o grafitizzazione. In particolare riguardano la produzione primaria e secondaria di metalli non ferrosi; la produzione di ossido di zinco da fumi durante la produzione di altri metalli; la produzione di composti del nichel dalle acque madri durante la produzione di un metallo; la produzione di silico-calcio (CaSi) e silicio (Si) nello stesso forno in cui avviene la produzione di ferrosilicio; la produzione di ossido di alluminio dalla bauxite prima della produzione di alluminio primario, qualora questo sia parte integrante della produzione del metallo; il riciclo di scorie saline di alluminio; la produzione di elettrodi di carbonio e/o grafite. E’ da ricordare che le tecniche elencate e descritte nelle conclusioni non sono né prescrittive né esaustive. Infatti si possono utilizzare altre tecniche purché assicurino un livello di protezione ambientale almeno equivalente a quelle fissate. Per esempio nelle conclusioni sulle Bat per la produzione di metalli non ferrosi sono forniti livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili per le emissioni nell’aria che si riferiscono a condizioni normali: gas secco ad una temperatura di 273,15 K e una pressione di 101,3 kPa. Le conclusioni sui documenti di riferimento sono l’elemento fondamentale dei documenti sulle Bat. Ossia di quelle tecniche che sono il riferimento per stabilire le condizioni di autorizzazione per le installazioni di attività industriali. Infatti, gli impianti (quelli elencati nella direttiva) devono essere dotatati dell’autorizzazione integrale ambientale (Aia) che è un’autorizzazione unica rilasciata a conclusione di un unico procedimento che permette la cessione (a certe condizioni) di inquinanti in aria, acqua, suolo e sottosuolo. Per controllare le emissioni industriali, l’Unione europea ha sviluppato un quadro generale basato su un sistema di autorizzazioni integrate. Secondo questo approccio le autorizzazioni devono tener conto di tutte le prestazioni ambientali di un impianto per evitare che
  • 6. l’inquinamento sia spostato da un elemento, come l’atmosfera, l’acqua e la terra, a un altro. Si dovrebbe dare la priorità alla prevenzione dell’inquinamento, intervenendo alla fonte e garantendo un uso e una gestione prudente delle risorse naturali. (Articolo di Eleonora Santucci) Fonte: greenreport.it Urbanistica. Convenzione di lottizzazione. TAR Umbria Sez. I n.475 del 26 maggio 2016 Implica comportamento incompatibile con la volontà di non voler adempiere all’obbligo di cessione di aree da cedere al Comune, in virtù di convenzione di lottizzazione, il prolungato ed univoco comportamento consistente nella volontaria messa a disposizione della collettività delle aree del piano di lottizzazione destinate alla cessione (nella fattispecie un parcheggio e aree a verde pubblico). Fonte: lexambiente.it Beni Culturali. Ragioni della disciplina vincolistica. TAR Umbria Sez. I n.481 del 3 giugno 2016 La tutela storico-artistica protegge non già un’opera dell’ingegno dell’autore, ma un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà, la quale, nella sua consistenza effettiva ed attuale, bene può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dare luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque diverso da quello originario. Se questo è il fondamento di razionalità della disciplina vincolistica, bene si comprende come debba ritenersi irrilevante che il manufatto abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione. Fonte: lexambiente.it
  • 7. l’inquinamento sia spostato da un elemento, come l’atmosfera, l’acqua e la terra, a un altro. Si dovrebbe dare la priorità alla prevenzione dell’inquinamento, intervenendo alla fonte e garantendo un uso e una gestione prudente delle risorse naturali. (Articolo di Eleonora Santucci) Fonte: greenreport.it Urbanistica. Convenzione di lottizzazione. TAR Umbria Sez. I n.475 del 26 maggio 2016 Implica comportamento incompatibile con la volontà di non voler adempiere all’obbligo di cessione di aree da cedere al Comune, in virtù di convenzione di lottizzazione, il prolungato ed univoco comportamento consistente nella volontaria messa a disposizione della collettività delle aree del piano di lottizzazione destinate alla cessione (nella fattispecie un parcheggio e aree a verde pubblico). Fonte: lexambiente.it Beni Culturali. Ragioni della disciplina vincolistica. TAR Umbria Sez. I n.481 del 3 giugno 2016 La tutela storico-artistica protegge non già un’opera dell’ingegno dell’autore, ma un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà, la quale, nella sua consistenza effettiva ed attuale, bene può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dare luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque diverso da quello originario. Se questo è il fondamento di razionalità della disciplina vincolistica, bene si comprende come debba ritenersi irrilevante che il manufatto abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione. Fonte: lexambiente.it