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26 IL GIORNALE DELL’ARTE Numero 376, giugno 2017
A cura di Laura Giuliani
Trafugati, sequestrati, ora in attesa di essere rimpatriati
Ginevra (Svizzera). Tutto ha inizio nell’aprile 2013 dopo un controllo da parte
dell’Amministrazione federale delle Dogane presso il Porto franco di Ginevra:
nove reperti archeologici di rilievo risultano esportati illecitamente da Libia, Siria
e Yemen tra il 2009 e il 2010. Dopo la denuncia alla fine del febbraio 2016 viene
aperta un’inchiesta terminata con la confisca dei beni da parte del Ministero
pubblico della Repubblica e Cantone di Ginevra. Le opere sono temporaneamente
esposte presso i Musées d’Art et d’Histoire de Genève prima di essere restituite
ai loro Paesi di origine. In Libia tornerà la testa femminile (forse Afrodite) in
marmo proveniente dalla Cirenaica e ascrivibile al periodo tra I secolo a.C. e I
secolo d.C., pur rimanendo sconosciuto il contesto di ritrovamento, mentre in Siria
faranno ritorno due rilievi funerari, che appartengono a sarcofagi imitanti le klinai,
e la testa di sacerdote con copricapo cilindrico, tutti in calcare e provenienti
da Palmira (II e III secolo d.C.). Tre stele funerarie (una nella foto), un piatto da
tavola e una statuetta con figura maschile invece sono i materiali trafugati dallo
Yemen, opere in perfetto stato di conservazione e di grande importanza per la
conoscenza dei periodi preislamici.
Il Giornale dell’
ARCHEOLOGIA
©Riproduzioneriservata
©Riproduzioneriservata
Turchia
È nato qui il primo
potere laico della storia
Ad Arslantepe gli scavi dell’archeologa Marcella Frangipane
hanno portato alla luce un grandioso palazzo con oltre 1.800 sigilli
Il tell di Arslantepe
e il corridoio che
porta al cortile,
sala delle udienze
del palazzo. A
lato l’archeologa
Marcella Frangipane
Il patio nord del Museo Arqueológico
Nacional di Madrid
Roma. Il 20 maggio Marcella Frangipa-
ne, archeologa dell’Università di Roma
«La Sapienza» ha ricevuto il Premio Ro-
tondi, salvatori dell’Arte (cfr. lo scorso
numero p. 2): da 41 anni conduce gli sca-
vi ad Arslantepe, nell’Anatolia orientale.
Si tratta di un grande tell nel quale a
partire del IV millennio a.C. si sono
sovrapposti a strati edifici e intere
città di epoche diverse. Le più super-
ficiali risalgono al Medioevo, c’è poi un
villaggio di età romana e quindi, più in
basso, insediamenti ittiti del II millen-
nio che proprio qui avevano anche la
loro capitale. Gli strati più antichi ri-
salgono al 3800 a.C. Negli ultimi anni
è stato scavato un enorme «palazzo»
del 3300 a.C., tanti edifici connessi, un
complesso imponente, un tempo a due
piani, con mura spesse due metri: dopo
cinquemila anni il loro stato di conser-
vazione è eccezionale, sono ancora co-
perte d’intonaco bianco. Intatti anche
alcuni dipinti murali con esseri uma-
ni molto stilizzati, un messaggio visivo
di cui non conosciamo il significato. So-
no sopravvissuti perché, poco dopo la
creazione, furono nascosti dall’intona-
co che poi li ha protetti. Circa trecento
anni dopo, un incendio violento distrus-
se l’intero palazzo. Nel crollo le stanze si
riempirono di mattoni crudi ridiventati
terra che hanno sigillato e salvato tutti
gli ambienti. «Per questo, dice Marcella
Frangipane, dopo millenni si è conservato
com’era anche il contenuto di ogni stanza».
Negli anni più recenti gli scavi hanno
portato l’archeologa a scoperte straor-
dinarie. Prima diverse spade intatte,
alcune intarsiate in argento, forgiate
oltre cinquemila anni fa: le più antiche
del mondo. Poi la novità più clamorosa,
negli ultimi due anni. La certezza che
verso il 3300 a.C. ad Arslantepe, per la
prima volta, c’è stata una straordinaria
trasformazione della struttura socia-
le. La costruzione di un grandioso
palazzo segna la fine del potere re-
ligioso e dei sacerdoti sulla società
e sulla produzione agricola: i templi
vengono abbandonati, il potere passa a
un capo «laico» e a un’amministrazione
basata su funzionari.
Tra le prove principali il ritrovamento,
in una piccola stanza, di oltre 1.800
sigilli che erano stati aperti, scarta-
ti, ma conservati in ordine. Portano
impresse immagini di animali, uomi-
ni, scene di lavoro in più di 200 sigilli
diversi. «Non conoscevano la scrittura,
spiega Marcella Frangipane, ma la cosa
eccezionale è in particolare l’immagine ri-
velatrice su uno di questi sigilli. Si vede una
figura regale, un capo, seduto su un carro a
slitta trainato da un bovino: c’è un cocchie-
re e dietro una fila di persone con forconi.
Sotto la slitta si vedono dei piccoli triangoli.
È quella che i Romani chiamavano “tribu-
lum”, una slitta da trebbia in uso fino a non
molti anni fa: i piccoli triangoli sono lamel-
le di selce e le slitte si facevano girare nelle
aie. Con il peso di un uomo e di un cavallo
servivano a separare il grano dalla paglia.
Nel sigillo, il capo sulla slitta rappresenta
un sistema sociale e un potere nuovo, non
religioso, basato sul controllo dei prodotti
agricoli e della forza lavoro. La nuova am-
ministrazione serviva a distribuire il cibo e
quei sigilli ne erano la prova: il cibo era sta-
to dato a ciascuno, i sigilli erano la ricevuta
e per questo venivano conservati».
Gli scavi hanno dimostrato che anche
la distribuzione dei viveri non avveni-
va più nei templi, ma nei magazzini
e nei cortili del palazzo. L’ammini-
strazione era complessa e si è potuto
accertare che vi
erano funzionari
con responsabilità
diverse, una vera
e propria burocra-
zia. «Abbiamo dimo-
strato, conferma
Marcella Frangi-
pane, che per la pri-
ma volta, ad Arslantepe, vi è stato questo
profondo cambiamento “laico” e la fine del
potere religioso. Vi erano rapporti stretti
con il mondo mesopotamico e Arslantepe
era vicina, in vista del corso dell’Eufrate,
ma il suo sviluppo aveva preso una strada
nuova: per la prima volta il “palazzo”e non
il tempio era la sede del potere. Negli stessi
anni la Uruk dei Sumeri era diventata una
grande città, stava per nascere il fenomeno
Stato. Eppure, in Mesopotamia, il potere
sarebbe rimasto ancora per secoli in ambito
sacro».
A luglio Marcella Frangipane tor-
nerà con la sua missione archeo-
logica ad Arslantepe. Quale sarà il
prossimo passo, il prossimo obiettivo?
«Ci occuperemo degli Ittiti, anche perché
abbiamo ricevuto un contributo per questo
dalla National Geographic Society, ma non
abbandoneremo la parte più antica. Non
scaveremo più il palazzo. Ci vorrebbero
molti anni. Io non ho più il tempo. Voglio
andare invece più indietro, cercare di sco-
prire nei templi già individuati alle spalle
del palazzo le fasi precedenti, per capire
com’è nato il processo che ha portato alla
radicale trasformazione, al primo sistema
al mondo di potere “laico”».
q Edek Osser
Madrid
I 150 anni dell’Arqueológico
Tra le celebrazioni una mostra a ottobre
Madrid. Un convegno internazionale con
un centinaio di relatori sull’archeologia
nei musei ha dato inizio a fine marzo
alle celebrazioni del 150esimo anniversa-
rio del Museo Arqueológico Nacional
(Man) di Madrid, che culmineranno in
ottobre con una grande mostra. Curata
dal docente universitario Gonzalo Ru-
iz «Il potere del passato. 150 anni
di archeologia in Spagna», riunirà le
migliori opere del patrimonio archeo-
logico iberico, provenienti da 63 musei
e sarà accompagnata da una pubblica-
zione che racconta la storia dei musei
archeologici della Spagna. «Con il Man,
spiega Andrés Carretero, direttore
del Man dal 2010 è nata la museografia
spagnola, perché il decreto reale del 21 mar-
zo 1867 sanciva non solo la sua fondazione
ma anche quella della rete di musei pro-
vinciali e del corpo di conservatori. Stiamo
raccogliendo la storia di questi musei, più
di 250, per creare un fondo documentario
essenziale per ricordare come abbiamo pro-
tetto il patrimonio in questi 150 anni».
Fondato in un momento critico per la
Spagna, in piena decadenza dell’impero
marittimo e sull’orlo della bancarotta, il
Man riuscì a trasferirsi nella sede attuale,
costruita da Francisco Jareño, solo nel
1892. Se la sua creazione fu irta di osta-
coli, anche la sua rinascita non è stata da
meno: la ristrutturazione è stata condot-
ta durante la peggiore crisi economica
della Spagna moderna. Le critiche per
una chiusura durata due anni, i 10 mi-
lioni in più rispetto al preventivo iniziale
e l’anno di ritardo nei lavori, sono ormai
un ricordo, insieme alla guerra civile, ai
bombardamenti e alla dittatura. Il pub-
blico, che dalla riapertura del museo ad
aprile 2014, ha superato i due milioni,
sembra apprezzare la ristrutturazione
dell’architetto Juan Pablo Rodríguez
Frade, il moderno allestimento e le nu-
merose attività che, a detta dei visitatori,
hanno trasformato il Man, nel museo
che meglio spiega la storia della Spagna.
q Roberta Bosco
Un giardino in miniatura
Draa Abu el-Naga (Egitto). Un’eccezionale scoper-
ta è stata compiuta sulla riva ovest del Nilo di
fronte a Luxor. La missione archeologica spagno-
la, diretta da María José Galán e attiva sul sito
di Draa Abu el-Naga da 16 anni, ha riportato alla
luce i resti di un giardino in miniatura e di una
piccola cappella votiva all’interno della quale sono state ritrovate tre piccole stele
(nella foto in alto quella di Renefseneb). La loro esecuzione estremamente corsiva
e i nomi dei proprietari, Renefseneb e Khemmis, inscritti su due di queste, hanno
consentito di attribuire l’installazione votiva al XIX secolo a.C. Il piccolo giardino (nella
foto in basso) ha forma rettangolare e misura circa 2x3 m. Un basso muretto in argilla
racchiude uno spazio diviso in quadrati, di una trentina di cm di lato, riempiti di limo
al cui interno sono stati recuperati resti di piante e fiori di vario genere. Al centro si
trovavano due spazi leggermente in rilievo dove era stato piantato un alberello o un
cespuglio. A uno degli angoli sono stati invece ritrovate le radici e il tronco di una pianta
conservatasi per un’altezza di 30 cm. Poco distante vi era una ciotola con datteri e altri
frutti, probabilmente i resti di un’offerta funeraria. Giardini affiancati da una coppia di
alberi, in tutto e per tutto simili a quello ritro-
vato a Draa Abu el-Naga, compaiono nelle pit-
ture di numerose tombe tebane. Molto si era
discusso sulla loro funzione, ma non era mai
stato ipotizzato che si potesse trattare di aree
coltivabili di ridotte dimensioni. L’identificazio-
ne delle piante e dei semi ritrovati è attualmen-
te in corso. Una volta portata a termine, potrà
rivelare qualcosa sull’arte del giardinaggio di
un’epoca così lontana. q Francesco Tiradritti
FotodiLuisAsín

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I 150 anni dell’Arqueológico

  • 1. 26 IL GIORNALE DELL’ARTE Numero 376, giugno 2017 A cura di Laura Giuliani Trafugati, sequestrati, ora in attesa di essere rimpatriati Ginevra (Svizzera). Tutto ha inizio nell’aprile 2013 dopo un controllo da parte dell’Amministrazione federale delle Dogane presso il Porto franco di Ginevra: nove reperti archeologici di rilievo risultano esportati illecitamente da Libia, Siria e Yemen tra il 2009 e il 2010. Dopo la denuncia alla fine del febbraio 2016 viene aperta un’inchiesta terminata con la confisca dei beni da parte del Ministero pubblico della Repubblica e Cantone di Ginevra. Le opere sono temporaneamente esposte presso i Musées d’Art et d’Histoire de Genève prima di essere restituite ai loro Paesi di origine. In Libia tornerà la testa femminile (forse Afrodite) in marmo proveniente dalla Cirenaica e ascrivibile al periodo tra I secolo a.C. e I secolo d.C., pur rimanendo sconosciuto il contesto di ritrovamento, mentre in Siria faranno ritorno due rilievi funerari, che appartengono a sarcofagi imitanti le klinai, e la testa di sacerdote con copricapo cilindrico, tutti in calcare e provenienti da Palmira (II e III secolo d.C.). Tre stele funerarie (una nella foto), un piatto da tavola e una statuetta con figura maschile invece sono i materiali trafugati dallo Yemen, opere in perfetto stato di conservazione e di grande importanza per la conoscenza dei periodi preislamici. Il Giornale dell’ ARCHEOLOGIA ©Riproduzioneriservata ©Riproduzioneriservata Turchia È nato qui il primo potere laico della storia Ad Arslantepe gli scavi dell’archeologa Marcella Frangipane hanno portato alla luce un grandioso palazzo con oltre 1.800 sigilli Il tell di Arslantepe e il corridoio che porta al cortile, sala delle udienze del palazzo. A lato l’archeologa Marcella Frangipane Il patio nord del Museo Arqueológico Nacional di Madrid Roma. Il 20 maggio Marcella Frangipa- ne, archeologa dell’Università di Roma «La Sapienza» ha ricevuto il Premio Ro- tondi, salvatori dell’Arte (cfr. lo scorso numero p. 2): da 41 anni conduce gli sca- vi ad Arslantepe, nell’Anatolia orientale. Si tratta di un grande tell nel quale a partire del IV millennio a.C. si sono sovrapposti a strati edifici e intere città di epoche diverse. Le più super- ficiali risalgono al Medioevo, c’è poi un villaggio di età romana e quindi, più in basso, insediamenti ittiti del II millen- nio che proprio qui avevano anche la loro capitale. Gli strati più antichi ri- salgono al 3800 a.C. Negli ultimi anni è stato scavato un enorme «palazzo» del 3300 a.C., tanti edifici connessi, un complesso imponente, un tempo a due piani, con mura spesse due metri: dopo cinquemila anni il loro stato di conser- vazione è eccezionale, sono ancora co- perte d’intonaco bianco. Intatti anche alcuni dipinti murali con esseri uma- ni molto stilizzati, un messaggio visivo di cui non conosciamo il significato. So- no sopravvissuti perché, poco dopo la creazione, furono nascosti dall’intona- co che poi li ha protetti. Circa trecento anni dopo, un incendio violento distrus- se l’intero palazzo. Nel crollo le stanze si riempirono di mattoni crudi ridiventati terra che hanno sigillato e salvato tutti gli ambienti. «Per questo, dice Marcella Frangipane, dopo millenni si è conservato com’era anche il contenuto di ogni stanza». Negli anni più recenti gli scavi hanno portato l’archeologa a scoperte straor- dinarie. Prima diverse spade intatte, alcune intarsiate in argento, forgiate oltre cinquemila anni fa: le più antiche del mondo. Poi la novità più clamorosa, negli ultimi due anni. La certezza che verso il 3300 a.C. ad Arslantepe, per la prima volta, c’è stata una straordinaria trasformazione della struttura socia- le. La costruzione di un grandioso palazzo segna la fine del potere re- ligioso e dei sacerdoti sulla società e sulla produzione agricola: i templi vengono abbandonati, il potere passa a un capo «laico» e a un’amministrazione basata su funzionari. Tra le prove principali il ritrovamento, in una piccola stanza, di oltre 1.800 sigilli che erano stati aperti, scarta- ti, ma conservati in ordine. Portano impresse immagini di animali, uomi- ni, scene di lavoro in più di 200 sigilli diversi. «Non conoscevano la scrittura, spiega Marcella Frangipane, ma la cosa eccezionale è in particolare l’immagine ri- velatrice su uno di questi sigilli. Si vede una figura regale, un capo, seduto su un carro a slitta trainato da un bovino: c’è un cocchie- re e dietro una fila di persone con forconi. Sotto la slitta si vedono dei piccoli triangoli. È quella che i Romani chiamavano “tribu- lum”, una slitta da trebbia in uso fino a non molti anni fa: i piccoli triangoli sono lamel- le di selce e le slitte si facevano girare nelle aie. Con il peso di un uomo e di un cavallo servivano a separare il grano dalla paglia. Nel sigillo, il capo sulla slitta rappresenta un sistema sociale e un potere nuovo, non religioso, basato sul controllo dei prodotti agricoli e della forza lavoro. La nuova am- ministrazione serviva a distribuire il cibo e quei sigilli ne erano la prova: il cibo era sta- to dato a ciascuno, i sigilli erano la ricevuta e per questo venivano conservati». Gli scavi hanno dimostrato che anche la distribuzione dei viveri non avveni- va più nei templi, ma nei magazzini e nei cortili del palazzo. L’ammini- strazione era complessa e si è potuto accertare che vi erano funzionari con responsabilità diverse, una vera e propria burocra- zia. «Abbiamo dimo- strato, conferma Marcella Frangi- pane, che per la pri- ma volta, ad Arslantepe, vi è stato questo profondo cambiamento “laico” e la fine del potere religioso. Vi erano rapporti stretti con il mondo mesopotamico e Arslantepe era vicina, in vista del corso dell’Eufrate, ma il suo sviluppo aveva preso una strada nuova: per la prima volta il “palazzo”e non il tempio era la sede del potere. Negli stessi anni la Uruk dei Sumeri era diventata una grande città, stava per nascere il fenomeno Stato. Eppure, in Mesopotamia, il potere sarebbe rimasto ancora per secoli in ambito sacro». A luglio Marcella Frangipane tor- nerà con la sua missione archeo- logica ad Arslantepe. Quale sarà il prossimo passo, il prossimo obiettivo? «Ci occuperemo degli Ittiti, anche perché abbiamo ricevuto un contributo per questo dalla National Geographic Society, ma non abbandoneremo la parte più antica. Non scaveremo più il palazzo. Ci vorrebbero molti anni. Io non ho più il tempo. Voglio andare invece più indietro, cercare di sco- prire nei templi già individuati alle spalle del palazzo le fasi precedenti, per capire com’è nato il processo che ha portato alla radicale trasformazione, al primo sistema al mondo di potere “laico”». q Edek Osser Madrid I 150 anni dell’Arqueológico Tra le celebrazioni una mostra a ottobre Madrid. Un convegno internazionale con un centinaio di relatori sull’archeologia nei musei ha dato inizio a fine marzo alle celebrazioni del 150esimo anniversa- rio del Museo Arqueológico Nacional (Man) di Madrid, che culmineranno in ottobre con una grande mostra. Curata dal docente universitario Gonzalo Ru- iz «Il potere del passato. 150 anni di archeologia in Spagna», riunirà le migliori opere del patrimonio archeo- logico iberico, provenienti da 63 musei e sarà accompagnata da una pubblica- zione che racconta la storia dei musei archeologici della Spagna. «Con il Man, spiega Andrés Carretero, direttore del Man dal 2010 è nata la museografia spagnola, perché il decreto reale del 21 mar- zo 1867 sanciva non solo la sua fondazione ma anche quella della rete di musei pro- vinciali e del corpo di conservatori. Stiamo raccogliendo la storia di questi musei, più di 250, per creare un fondo documentario essenziale per ricordare come abbiamo pro- tetto il patrimonio in questi 150 anni». Fondato in un momento critico per la Spagna, in piena decadenza dell’impero marittimo e sull’orlo della bancarotta, il Man riuscì a trasferirsi nella sede attuale, costruita da Francisco Jareño, solo nel 1892. Se la sua creazione fu irta di osta- coli, anche la sua rinascita non è stata da meno: la ristrutturazione è stata condot- ta durante la peggiore crisi economica della Spagna moderna. Le critiche per una chiusura durata due anni, i 10 mi- lioni in più rispetto al preventivo iniziale e l’anno di ritardo nei lavori, sono ormai un ricordo, insieme alla guerra civile, ai bombardamenti e alla dittatura. Il pub- blico, che dalla riapertura del museo ad aprile 2014, ha superato i due milioni, sembra apprezzare la ristrutturazione dell’architetto Juan Pablo Rodríguez Frade, il moderno allestimento e le nu- merose attività che, a detta dei visitatori, hanno trasformato il Man, nel museo che meglio spiega la storia della Spagna. q Roberta Bosco Un giardino in miniatura Draa Abu el-Naga (Egitto). Un’eccezionale scoper- ta è stata compiuta sulla riva ovest del Nilo di fronte a Luxor. La missione archeologica spagno- la, diretta da María José Galán e attiva sul sito di Draa Abu el-Naga da 16 anni, ha riportato alla luce i resti di un giardino in miniatura e di una piccola cappella votiva all’interno della quale sono state ritrovate tre piccole stele (nella foto in alto quella di Renefseneb). La loro esecuzione estremamente corsiva e i nomi dei proprietari, Renefseneb e Khemmis, inscritti su due di queste, hanno consentito di attribuire l’installazione votiva al XIX secolo a.C. Il piccolo giardino (nella foto in basso) ha forma rettangolare e misura circa 2x3 m. Un basso muretto in argilla racchiude uno spazio diviso in quadrati, di una trentina di cm di lato, riempiti di limo al cui interno sono stati recuperati resti di piante e fiori di vario genere. Al centro si trovavano due spazi leggermente in rilievo dove era stato piantato un alberello o un cespuglio. A uno degli angoli sono stati invece ritrovate le radici e il tronco di una pianta conservatasi per un’altezza di 30 cm. Poco distante vi era una ciotola con datteri e altri frutti, probabilmente i resti di un’offerta funeraria. Giardini affiancati da una coppia di alberi, in tutto e per tutto simili a quello ritro- vato a Draa Abu el-Naga, compaiono nelle pit- ture di numerose tombe tebane. Molto si era discusso sulla loro funzione, ma non era mai stato ipotizzato che si potesse trattare di aree coltivabili di ridotte dimensioni. L’identificazio- ne delle piante e dei semi ritrovati è attualmen- te in corso. Una volta portata a termine, potrà rivelare qualcosa sull’arte del giardinaggio di un’epoca così lontana. q Francesco Tiradritti FotodiLuisAsín