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Il nobile normanno Goffredo
di Altavilla, guerriero fiero
e generoso, arrestò il suo
cavallo nelle terre di Noja
in una fredda giornata di
primavera dell’anno 1070.
L’abitato era allora un piccolo
borgo fondato, come racconta
un’antica tradizione orale,
nel VIII sec. da popolazioni
del Montenegro sbarcate sul
litorale adriatico per sfuggire a
incursioni saracene. Gli abitanti
si dedicavano all’agricoltura,
alla pastorizia e, nel villaggio
originario di Torre Pelosa,
alla pesca. Continue in quei
tempi erano le incursioni dei pirati barbareschi che sbarcavano sul
litorale adriatico e saccheggiavano il territorio, rapendo e uccidendo le
popolazioni indifese. Per questo il normanno Goffredo di Altavilla decise
subito di proteggere le terre di Noja dai continui assalti dei predoni
saraceni facendo costruire un castello, recintando l’abitato con alte mura
e un profondo fossato, diventando così il primo signore di Noja.
L’area su cui sorse la fortezza fu quella dell’attuale piazza, con il fossato.
Una imponente torre era sul lato orientale. A fianco si apriva il portale
d’ingresso ai locali di servizio: la gendarmeria, le stalle, le grandi
scuderie.
Un ampio fossato con ponti levatoi, difeso da solide mura, circondava il
paese. Passando dall’attuale via C. Battisti su cui si affacciano i larghi
terrazzati con i famosi giardini pensili, purtroppo oggi ridotti in cattivo
stato, le mura e il fossato continuavano a isolare il paese.
All’interno del castello, nell’atrio, c’è ancora la pietra della grande
cisterna e poi una botola che porta a una galleria sotterranea. Trasformate,
ma ancora esistenti, le scale degli accessi ai piani superiori. Nell’interno
completamente manomesso, irriconoscibili i saloni e le stanze dove un
giorno era passata l’aristocrazia di Bona Sforza e dei Del Balzo.
Noicàttaro. Veduta del 1584.
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Noja, difesa dalle solide mura normanne, viveva il lungo medioevo senza
grandi eventi degni di nota. Nel castello si succedevano i diversi signori
svevi e aragonesi: la famiglia Del Balzo, i conti Brancaccio e D’Azzia, la
regina Bona Sforza, i conti Pappacoda.
Ma l’avvenimento che determinò i fatti che sto per raccontare si ebbe nel
1584, quando donna Isabella Pappacoda, erede del feudo, andò in sposa a
Pompeo Carafa della Stadera.
Chi era Pompeo Carafa? Figlio di Alfonso III duca di Nocera e di
Giovanna Castriota Skanderberg il suo nome è presente in un elenco di
comandanti delle galee napoletane che probabilmente parteciparono alla
battaglia navale di Lepanto del
1571 e che vide la cristianità
vittoriosa sui turchi. Il Carafa
era capitano di due galee, la
Fiorita e la Sant’Orsola, e anni
prima aveva partecipato anche
alla guerra di Fiandra con le
truppe spagnole. Proprio per
i meriti acquisiti sui campi
di battaglia, Pompeo Carafa
divenne un punto di riferimento
per la sua famiglia. Nel 1584
sposò Isabella Pappacoda,
titolare del feudo di Noja,
ottenendo una dote di 8000
ducati e diventando anche
legittimo possessore del feudo.
Nel 1601 è nominato dal
sovrano spagnolo duca di Noja.
Così, all’inizio del ‘600, Noja si
trovava a vivere una situazione di grande movimento economico e politico.
A cosa era dovuto tutto questo? Quali entrate garantivano la somma
di 8000 ducati? Perché il Re di Spagna aveva riconosciuto al nostro
territorio il titolo di ducato? Si può rispondere a questi interrogativi
utilizzando il diario di un viaggiatore che, attraversando la Puglia, così
descriveva le nostre contrade: “Noja e Rutigliano hanno un territorio
particolare, dove si raccolgono alcune erbe da tingere e in gran copia
Chiesa Madre di Noicattaro: bassorilievo di Pompeo Carafa.
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il cotone, che è il più bello della provincia. Si raccoglie pure un’erba
detta volgarmente pepe e stravisaria. Dai botanici è nominata Delphinium
straphisagria. E’ un’erba velenosissima di cui si servono gli abitanti
del luogo per curare il morbo pedicolare (i pidocchi): se ne fa molto
commercio con il Levante ottomano senza saperne l’uso”.
Il Galanti, l’autore del diario, fa riferimento prima di tutto alla
particolarità del territorio, ricco di sostanze nutritive, minerali, dal clima
favorevole, che oggi giustifica la produzione della pregiata uva da tavola.
Nel passato però la ricchezza del paese era assicurata da un’agricoltura
che si basava sul cotone, ritenuto il più pregiato della Puglia, sulle
erbe da tingere, le galle, e sulla stravisaria. A questo punto è opportuno
chiarire un momento la natura di questi vegetali da noi oggi scomparsi.
La galla, erba da tingere nota come galla corninculata, è un’escrescenza
Noicattaro: Arco Franchini, demolito nel 1974.
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che si forma sui tronchi delle quercie,
alberi che nel ‘600 popolavano le
lame del nostro territorio. Le galle
contengono molto tannino utilizzato
nella tintura e concia delle pelli. L’altra
pianta, la stravisaria, anche questa
oggi quasi scomparsa, era utilizzata
dalle popolazioni pugliesi per curare
la calvizie ma soprattutto come infuso
per prevenire e combattere i pidocchi.
L’autore della descrizione aggiunge che
di quest’erba si “fa molto commercio
con il Levante ottomano senza
sapersene l’uso”. Ma quali erano i veri
motivi del successo di quest’erba presso
le popolazioni arabe?
La chimica e la botanica oggi hanno
finalmente svelato questo mistero di cui
però i medici arabi, grandi esperti di
chimica
nel passato, ne erano a conoscenza.
Dalle analisi fatte recentemente si è
scoperto che la stravisaria, pur essendo
velenosissima, contiene degli alcaloidi,
principi attivi, importanti per curare
l’impotenza maschile. Si spiega così
il grande successo commerciale della
pianta esportata dai nojani in Oriente,
utilizzando i porti di Mola, Monopoli e
Bari. Notevole era anche la produzione e
commercializzazione dell’olio alimentare
e lampante. L’economia agricola del
territorio nel ‘600, basata soprattutto sul
commercio di questi vegetali, florida e
promettente, giustificò allora il grande
Noicattaro: via Antica.
Il cippo di Lepanto.
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investimento politico ed economico dei Carafa, potente famiglia del
Vicereame di Napoli.
In via Signora Emilia, nel passato detta via di Gerusalemme, è
presente una lapide settecentesca con su scolpito l’emblema del
Commissario Generale di Terra Santa. E’ riportato anche il nome
dell’autorità “F. Bernardino da Noja” e la data 1766. Da ricerche
fatte nell’archivio notarile di Bari, risulta che la casa su cui è
posizionata la lapide, fino al 1934, era di proprietà del Monastero
di Gerusalemme.
Proseguendo sulla strada, nella traversa di via Antica, sono
collocati frontalmente a una vecchia cappella, i due cippi che
evocano la battaglia di Lepanto del 1571, dove partecipò come
comandante di galee il primo duca di Noja, Pompeo Carafa.
Lo stesso duca è raffigurato nella cappella della Madonna di
Costantinopoli, nella Chiesa Madre.
Sempre su via Antica è collocata una finestra murata che
corrisponde a un vano utilizzato a sepolcreto del 1464.
Via Antica: il cippo di Lepanto imbrattato di spray.