Il teatro come capacità di sperimentare linguaggi diversi coinvolgendo profondamente le persone che partecipano al lavoro, come lavoro pedagogico che aiuta a diventare più consapevoli dei vissuti psicologici interni e che aiuta a rafforzare l’autostima .
Teatro e Psicologia: il teatro come luogo del cambiamento
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2. Dr.ssa Mascia Esposito
. Sono la Dr.ssa Mascia Esposito, psicologa ad
orientamento clinico, esperta in clinica delle
dipendenze e psicoteatrista, iscritta presso l’Ordine
degli Psicologi del Piemonte.
. Dal 2001 e per 13 anni, ho svolto la mia attività in
contesti di recupero e riabilitazione per soggetti adulti
tossicodipendenti, alcolisti e sieropositivi in
trattamento sanitario.
• Mi sono occupata anche di coordinamento di R.S.A. per
anziani e recentemente , in Umbria, per comunità di
minori a rischio.
• In questo lungo e significativo percorso di pratica
professionale e nel pieno rispetto delle logiche di
cooperazione e di collaborazione:
• - ho progettato interventi psicoeducativi mirati al
recupero e allo sviluppo in rete , delle potenzialità dei
soggetti in difficoltà,
• - ho contribuito a promuovere e ad organizzare
strutture e risorse sociali,
• - ho programmato, organizzato, gestito e verificato le
attività professionali della struttura riabilitativa in cui
opero, in modo coordinato ed integrato con altre figure
professionali presenti e operanti (come gli educatori, i
medici e gli assistenti sociali), sia per una conoscenza
più approfondita della persona in carico sia per la
realizzazione di interventi più incisivi.
• Dal 2005 , in qualità di psicologa, di attrice e come
esperta in educazione alla teatralità, opero come
psicoteatrista libero professionista presso
associazioni culturali teatrali, cooperative sociali che
si occupano di minori, giovani e adulti in difficoltà,
creando delle “convergenze operative tra teatro e
psicologia, tra l’essere con e per le persone in
difficoltà ed essere in un laboratorio teatrale, per
improvvisare ed interpretare dei personaggi.
• Attualmente collaboro con il Teatro di Sacco di Perugia
nella co-conduzione d laboratori teatrali con minori e
giovani adulti sia in contesti scolastici che
extrascolastici della città.
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3. Questo seminario vuole illustrare come sia fruttuoso, utile e stimolante lo studio
comparativo dei processi che stanno sotto e governano la realtà psicologica e
teatrale.
La Psicologia e il Teatro sono da considerarsi entrambe forme di conoscenza della
realtà umana e nella loro dimensione applicativa, possono essere viste anche come
forme di comunicazione, modi per relazionarsi, per situarsi e provocare il
cambiamento, in una situazione/in una persona/in un gruppo (strumenti di
trasformazione su diversi piani).
Le due realtà condividono alcuni processi psicofisiologici fondamentali come:
- gli atteggiamenti posturali
- la voce
- il linguaggio
- le interazioni comunicative tra emozioni e gesto.
Tuttavia si distinguono per altri processi come:
- l’identità
- l’indentificazione
- l’immaginazione.
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4. Tale ricerca segue una direzione di sviluppo fondamentale cioè l’arte e l’espressività
come finalità pedagogico-formative.
Il teatro, nella sua funzione, favorisce la scomposizione e ricomposizione totale delle
varie parti dell’IO:
- corpo,
- espressione,
- comunicazione,
- affettività,
- relazionalità,
- cognitività,
- ragionamento pratico (Prof. Ruggieri Vezio, L’identità tra Psicologia e Teatro, 2007).
Storicamente , l’incontro tra teatro e psicologia avviene intorno agli anni ‘60
favorito da:
- la nascita dei laboratori teatrali (Grotowski, Brook, Barba);
- da un nuovo training dell’attore non più focalizzato sul prodotto ma sul processo (il
laboratorio come “setting di ricerca e di sperimentazione”);
- un rinnovato modo di lavorare nel setting terapeutico.
In entrambi gli spazi, si cerca di ricostruire L’UNITA’ dell’esperienza umana, cercando di
integrare il soggettivo e l’oggettivo, la mente e il corpo, la realtà e l’immaginario, la
disciplina e la spontaneità, l’individuo e la collettività, la tradizione e la ricerca.
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5. Con il termine PSICOTEATRIA, si definisce questo incontro.
Quali sono gli obiettivi della PsicoTeatria?
1- Migliorare il benessere psicologico
2. Incrementare la capacità di espressione personale
3. Incrementare la conoscenza di se stessi
Quali i suoi strumenti, le sue tecniche?
- L’improvvisazione
- il training sul corpo e sulla voce
- il lavoro sulla propria espressività
- il lavoro sul personaggio
- il testo teatrale (detto anche drammaturgia)
- il personaggio (tratti dal teatro o nati nel gruppo durante il training,
come proiezioni interpretative).
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6. Attraverso quali azioni?
Attraverso i laboratori di espressione teatrale (come “pratica sociale”):
si tratta di percorsi che permettono di sperimentare modi di essere nuovi
ed una maggiore consapevolezza e conoscenza di sé (dei propri stati
d’animo, delle proprie emozioni, delle proprie idee) e nel pieno rispetto di
ciascuno membro del gruppo.
Percorsi diretti da una psicologa (e/o psicoterapeuta), esperta in
tecniche teatrali, in quanto utilizza gli strumenti tratti dal teatro:
- l’improvvisazione corporea
- la scrittura drammaturgica (transizione al teatro)
- la recitazione.
In altre parole:
percorsi in cui non si tratta solo di raccontarsi e dire, ma si tratta anche di
fare, sperimentare, agire e creare.
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7. Quali sono gli ambiti di intervento della Psicoteatria?
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1. Ambito PREVENTIVO:
la pratica teatrale agisce su possibili blocchi della
creatività che possono manifestarsi in resistenza ad
assumere nuovi ruoli e farli propri. Il lavoro corporeo
muove le pulsioni che sono spesso fonte di conflitti interiori,
favorendo il piacere di recitare e di mostrarsi. Si riattiva
così il dialogo interiore tra mente, corpo ed emozione come
in una sorta di autoanalisi dei propri vissuti;
2. Ambito CLINICO E TERAPEUTICO:
lo psicoteatrista, sia in qualità di psicologo sia in qualità di
teatrante, inserisce la persona nel gruppo a mediazione
teatrale , portandola a riprendere contatto gradualmente
con il proprio corpo, la voce, il gesto , la ritualità (ripetizione
del gesto) e l’espressione artistica.
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8. 3. Ambito RIABILITATIVO:
il teatro viene usato per scopi di risocializzazione soprattutto con soggetti
come i detenuti, i tossicodipendenti, i disabili diventando così un’attività
che riporta la persona in difficoltà, in contatto con la sua spontaneità.
Attraverso l’interpretazione di un ruolo, il “gioco” del teatro aiuta queste
persone a liberarsi da paure regresse, da traumi del passato che possono
aver causato una chiusura emotiva, dando così loro, la possibilità di aprirsi
ad un possibile futuro.
4. Ambito della COMUNICAZIONE EDUCATIVA E FORMATIVA:
si passa dal teatro nella sua funzione pedagogica ben conosciuta nelle
scuole, ai laboratori di teatro nelle aziende nella “sua funzione formativa,
alla performance teatrale” (per es. in architettura, come strumento di
progettazione delle esigenze di un territorio; in impresa, come strumento
di marketing aziendale = teatro d’impresa).
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9. Questi laboratori quindi possono valorizzare sia il fine culturale sia il fine
terapeutico e riabilitativo, in quanto possono essere dedicati:
- sia al “quotidiano malessere psicologico” di quelle persone che lavorano e/o
studiano, che stanno vivendo un momento particolare in famiglia o con il
partner;
- sia allargare il proprio raggio di utenza a spazi artistici non convenzionali
(scuole, carceri, centri diurni di salute mentale, comunità per minori e
adulti in difficoltà): da qui il termine di TEATRO DELLE NECESSITA’
(personalmente non amo il termine “teatro delle diversità”).
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10. La possibilità di entrare nei panni dei personaggi, fa da ponte tra l’io dell’attore e
l’io della persona che sarà in scena.
Gli artisti usano comunemente il termine “ruolo”, per riferirsi ad un personaggio
della scena e gli psicologi (come i sociologi) parlano di “comportamenti in
ruolo”, per descrivere le caratteristiche della condotta quotidiana.
(Modello del ruolo: l’acquisizione di ruolo biologico, familiare e sociale che
vengono presentati nella vita reale, come uno dei fattori essenziali nella
formazione del sé).
Il personaggio come altro da sé, spesso viene vissuto inizialmente, come lontano e
a volte addirittura come incompatibile a quello che si pensa di essere.
Successivamente diventa invece, un’esperienza di scoperta di parti di sé non
riconosciute né pensabili, aprendo così a nuove visioni del proprio sé e ad un
arricchimento delle proprie potenzialità espressive.
Edward De Bono asserisce che “ recitare la parte di qualcuno permette di
andare oltre i limiti usuali della propria immagine “ (pg. 24, 1997 – Sette
cappelli per pensare -).
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11. Il personaggio permette all’attore di lasciarsi andare ed arrivare a “liberare” aspetti di sé che
probabilmente non mostrerebbe mai nella vita reale: Pirandello affermava che il teatro è il luogo
dove si gioca a fare sul serio.
Analogamente alla psicoterapia, esso diventa il luogo delle possibilità.
La scena teatrale e artistica acquisisce così, un valore psicologico (setting) e non solo estetico,
in quanto ha funzione rievocativa: un ruolo “attivo” poiché nutre le sensazioni dell’attore-persona.
Il “ruolo” e la “storia” sono gli elementi del teatro e della Drammaterapia di Robert Landy:
i ruoli che emergono nel lavoro drammaterapeutico, diventano gli strumenti per la diagnosi, il
trattamento e la valutazione del sé.
L’obiettivo è aiutare l’attore-persona a non rimanere legato ad un ruolo rigido e ad aumentare la sua
capacità di passare da un ruolo all’altro, a sviluppare una personalità creativa e una consapevolezza
psicologica.
Il terapeuta stesso deve essere capace di esplorare diversi ruoli nel rapporto con i membri del
gruppo in quanto non solo terapeuta della psiche ma anche un artista creativo, che quindi colloca la
sua professione nell’arte del teatro.
Il transfert e il controtransfert della diade terapeutica , cioè esperienza emotiva e conoscenza
diventano dunque in psicoteatria, due polarità indisgiungibili sia dell’esperienza teatrale sia
dell’esperienza terapeutica (Fausto Petrella, La mente come teatro: antropologia teatrale e
psicoanalisi. 1985).
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12. Sia la Drammaterapia di Landy sia la Teatroterapia di Walter Orioli abbracciano
entrambe, approcci teorici che vanno dal teatro classico al “teatro povero” di
Grotowskij (cosiddetto teatro di ricerca) e dalle teorie psicologiche psicodinamiche
(psicoanalisi) a quelle socio-cognitive (comportamentismo), fino alla psicologia
umanistica di Maslow.
- le prime asseriscono che i fenomeni mentali sono il risultato di un conflitto (Freud,
Adler, Erikson, Jung);
- le seconde analizzano le condotte individuali che sono incentrate sui contesti sociali
che le vedono esprimersi (Watson, Pavlov);
- infine Maslow correla l’azione all’impianto motivazionale sostenendo che un’azione
non è motivata esclusivamente da pulsioni inconsce ma anche da ragioni come la
creatività/ il bisogno di esplorare/ la visione del mondo in cui l’identità si esprime/ la
qualità della relazione con gli altri/ la necessità di autorealizzarsi.
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13. Il metodo di Stanislaskij è uno dei più vicini al mondo della psicologia ( Il lavoro dell’attore su se
stesso, Il lavoro dell’attore sul personaggio – 1956).
Esso viene connotato con il termine di “Psicotecnica” cioè come metodo espressivo per attuare i
sentimenti, attraverso un percorso principalmente psicologico:
quello della MEMORIA EMOTIVA che è la sola secondo l’autore, a determinare il passaggio al processo
creativo.
L’attore-persona deve cioè andare a ritroso, a ricercare quei momenti della sua vita che hanno
provocato sentimenti analoghi a quelli del personaggio.
Così la vita fantastica del personaggio sarà dotata di esperienze realmente vissute.
Si evidenza nel pensiero di Stanislavskij, una significativa influenza
della psicoanalisi di Freud anche se non si occuperà mai del “subcosciente”.
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14. Il metodo di Stanislavskij è il primo importante sistema dedicato alla
recitazione dell’attore.
Alla base della sua pratica, c’è il concetto di “creazione organica”:
con lui si pensa per la prima volta all’educazione dell’attore-persona
al di là della messa in scena dello spettacolo.
Egli fornisce le basi razionali all’apprendimento dell’arte della recitazione,
che derivano da un forte bisogno di trovare nuove forme espressive.
Ma anche da una riflessione fondamentale:
come può l’attore-persona portare ad alti livelli, il proprio meccanismo di
creazione?
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15. Il lavoro inizia con l’allenamento dell’ IO dell’attore:
si tratta di conoscere a fondo se stessi e di arricchire le proprie potenzialità e la
propria creatività (l’attore deve quindi educare se stesso e la propria
coscienza).
Perché‘?
Perché egli deve intervenire razionalmente sui propri meccanismi interiori
(emotivi e psicologici) e che stanno alla base dell’ IMMEDESIMAZIONE.
Come?
Attraverso esercizi di:
- Rilassamento che servono ad eliminare le tensioni muscolari che fanno da
resistenza corporea e impediscono fisicamente, il lavoro dell’attore;
- Concentrazione che servono ad impedire a fattori esterni (come la presenza
del pubblico), a distogliere l’attenzione. (Ascoltare realmente ciò che dice l’altro
e non pensare solo alla battuta che si deve dire).
- Comunicazione che servono a rivolgersi realmente e con efficacia agli altri
attori.
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16. L’attore-persona non deve sembrare o fingere ma DEVE ESSERE IL
PERSONAGGIO (immedesimarsi, viverlo):
l’attore non deve recitare bene o male, ma con verità (una verità interiore,
vissuta e sofferta. Per questo non si può partire dalla finzione ne
dall’imitazione).
Nel metodo di Stanislavskij, l’attore-persona ricorre dunque a quello che si
definisce il magico sé:
“egli deve mettersi nei panni del personaggio partendo dal proprio IO
perché nessuno può fare di più di ciò che è, quindi è sbagliato partire da
ciò che non si è” (Il lavoro dell’attore su se stesso. Stanislavkij, 1956).
La domanda che l’attore-persona deve porsi è: se io mi trovassi nelle
condizioni del personaggio, come mi comporterei?
Lo scopo è quello di arrivare ad una “creazione organica” che sia efficace e
credibile e più vera della realtà.
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17. Il metodo di Stanivslaskij è fondamentale per chi per esempio svolge la
metodologia del TEATRO DELL’OPPRESSO di Boal:
nasce in Brasile in un clima di lotte operaie e contadine in tempi in cui il
regime oppressivo degli anni ’60, non permetteva di esprimere critiche,
liberi pensieri e opinioni pubblicamente.
Si tratta di una forma di “educazione popolare” basata sulla comunità e che
usa il teatro come strumento per il cambiamento sociale a livello
individuale/locale/globale, indagando la vita da parte di persone e
comunità intere, le loro oppressioni quotidiane, con l’intento di trovare
strategie per affrontarle e trasformarle in forma creativa e socializzata.
(Boal insegnò la sua tecnica teatrale, in giro per il mondo fino alla sua morte,
avvenuta nel 2009).
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18. La tesi opposta rispetto al tema dell’immedesimazione dell’attore di
Stanislavskij (naturalismo) è quella di Diderot (e più tardi di Brecht):
secondo la sua tesi della NON IMMEDESIMAZIONE, l’arte della
recitazione esige una distanza critica da ciò che si sta esprimendo, una
distinzione tra l’azione e il riflettere sull’azione stessa. (Distanza che serve
a riflettere su quello che si vede in scena).
La persona che recita quindi, deve riuscire a non farsi coinvolgere e
travolgere da emozioni “reali” perché queste potrebbero interferire con la
recitazione.
Paradossalmente quindi, per esprimere l’emozione di un dato personaggio,
l’attore-persona deve evitare di identificarsi totalmente con la propria,
al fine di regolare il rapporto tra espressione e gesto che sono esigenze
della rappresentazione (separazione e interdipendenza fra il ruolo e
l’attore, al fine del cambiamento).
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19. Analoga a quella di Diderot, è la posizione di Brecht (per il quale):
il teatro è il luogo “del come se”
dove l’attore-persona immagina e si comporta come se fosse altro, in un
altro posto, in un altro tempo.
Tale metodo è noto come tecnica dello STRANIAMENTO:
in questo stato di equilibrio, egli sarà così in grado di esperire la catharsis
cioè quella distanza estetica attraverso cui possono e vengono vissute
esperienze emotive precedentemente represse.
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20. Riassumendo:
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21. per Stanislavskij:
l’emozione non viene prodotta in maniera
diretta, ma è determinata dai gesti e da
azioni concrete che danno “forma esteriore”
al personaggio (creazione organica).
Questa pedagogia teatrale coincide con il
“modello Psicofisiologico delle
emozioni”, secondo il quale:
il sentimento deriva da precise modificazioni
corporee, variazioni di tensioni muscolari.
In altre parole, per muoversi nello spazio, per
avvicinarsi all’altro, allontanarsi, separarsi,
aggredire, abbracciare etc, la pedagogia
teatrale di Stanislavskij, si pone il problema
di trasformare corde muscolari tese, in
strumenti plastici ben funzionanti.
per Diderot/Brecht:
è importante che l’attore-persona riconosca la
provenienza corporea delle sensazioni interne
e/o esterne che generano il sentimento.
Perché?
Perché è il sentimento che modifica l’espressione
corporea.
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22. Tali tensioni svolgono così un
ruolo nella produzione di
rappresentazioni mentali
immaginative (processo
cognitivo) che danno vita a quelle
risposte emozionali che sono
necessarie al senso di verità del
personaggio.
Per l’attore-persona, pertanto è
importante vivere un’esperienza
unica di piacere o di dolore (il
sentimento) che va collegato con
lo stimolo (ricordi, pensieri) che
l’ha provocata.
Il vissuto sentimentale è quindi
l’effetto, la conseguenza, il
risultato dell’attività corporea.
Il vissuto sentimentale è quindi
causa, motore dell’attività
corporea.
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23. I due teorici della recitazione si soffermano su aspetti diversi ma entrambi
fondamentali dello stesso processo pedagogico:
se ci esprimessimo in termini informatici, potremmo dire che l’identità
corporea rappresenta l’hardware del sistema persona (Stanislavskij)
mentre le emozioni rappresentano il software del sistema persona
(Diderot).
L’esperienza clinica insegna tuttavia, che sciogliere contrazioni muscolari
“croniche” (es. persone autistiche, tossicodipendenti, detenuti) non è
semplice perché si tratta di veri e propri meccanismi di difesa che
divengono nel tempo caratteristiche di personalità di un individuo, le sue
resistenze al cambiamento.
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24. Il teatro serve così ad integrare la parte “sana” con “malata” in quanto
proprio nel meccanismo della RIPETIZIONE, essi trovano la possibilità di
sviluppare il proprio IO ADULTO.
Questa forma di “terapia” (ma a me piace più parlare di approccio)
si è rivelata adatta:
- sia per i nevrotici strutturati (dove è presente una costellazione
organizzata di sintomi fobici o ossessivi)
- sia per i nevrotici non strutturati (dove è presente una certa forma di
lieve disadattamento)
- sia per i soggetti borderline.
Nei depressi e negli autistici, ho notato che il teatro apre lentamente ,
piccoli canali di comunicazione.
Nei casi di psicosi grave, è invece consigliabile partire dal lavoro su un
testo teatrale.
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25. Approfondimenti
Per TEATRO TERAPEUTICO (chiamato anche “teatro delle necessità o delle diversità o
drammaturgia sociale) si intende la presenza del teatro nei luoghi del disagio, dove
l’obiettivo primario è lo spettacolo e l’intervento sulle persone non è del tutto
consapevole.
Per TERAPIA A MEDIAZIONE TEATRALE si intende l’uso consapevole e strumentale di
alcuni mezzi e tecniche del teatro per favorire un cambiamento in un contesto di
lavoro specificatamente terapeutico (per es. l’uso della drammatizzazione nella
Gestalt-therapy).
Per DRAMMATERAPIA si intende fondare sull’atto creativo, una metodologia clinica rivolta
al cambiamento dove al centro c’è la performance, intesa come “agire, essere in atto”
e come luogo dove ricostruire la propria esperienza.
La differenza con lo Psicodramma di Moreno è che in quest’ultimo processo, i
clienti lavorano direttamente con il loro stesso materiale, mentre in Drammaterapia
la storia, il dramma diventa di tutti e non viene interpretato necessariamente dal
cliente-attore.
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26. e.s.t.i.a. cooperativa sociale onlus
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e.s.t.i.a. cooperativa sociale onlus
Cooperativa e.s.t.i.a. nasce nel 2003 dall’esperienza teatrale condotta dall’associazione
culturale e.s.t.i.a. nelle carceri milanesi ed ha come obiettivo ultimo quello di favorire
il reinserimento sociale e professionale di persone detenute ed ex-detenute.
e.s.t.i.a. opera presso la II Casa di Reclusione di Milano-Bollate.
Il teatro [1] rimane il cuore delle attività di cooperativa e.s.t.i.a. in parte perché
rimanda alle sue origini, ma anche perché la produzione teatrale è il risultato di un
processo educativo informale che è parte fondante ed integrante del percorso di
reinserimento sociale delle persone accompagnate.
Accanto al teatro sono nate attività che consentono a cooperativa e.s.t.i.a. di offrire
diversi prodotti e servizi [2]: realizzazione di mobili e manufatti in legno, service
audio video, riparazione pc ed altri servizi informatici, infine realizzazione e
montaggio di video. Grazie a questa esperienza professionale svolta dentro il carcere,
i soci detenuti acquisiscono una professionalità specifica spendibile anche al loro
rientro nella società civile. La situazione attuale e le potenzialità della cooperativa si
stanno sviluppando verso aree di intervento in ambito territoriale, preparando spazi
lavorativi esterni che possano accogliere le professionalità dei soci detenuti e di
prossima dimissione dagli istituti di pena.
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28. “Le persone accompagnate in questi anni appartengono in misura maggiore a categorie
in difficoltà, dove “il reato” è spesso sintomo della povertà reale, familiare e valoriale,
piuttosto che frutto di un’appartenenza a logiche delinquenziali.
A questa popolazione detenuta, che viene selezionata nei circuiti detentivi ordinari e cui
viene offerta, a livello istituzionale una possibilità di reinserimento, entrando nei
percorsi educativi della II Casa di Reclusione di Milano Bollate, serve un percorso di
elaborazione personale, un recupero profondo del senso di responsabilità personale e
collettiva, serve costruire nelle nuove relazioni, siano queste educative, formative o
professionali, il senso del rispetto e un rinnovato senso di fiducia umana e di
comunione.
Abbiamo potuto constatare che molte delle persone che hanno partecipato ai percorsi
formativi ed educativi a matrice teatrale da noi promossi e che successivamente
hanno avuto modo di costruire un percorso di reinserimento socio-professionale,
hanno riabilitato in modo significativo la propria esperienza pregressa sapendo a far
di veleno, medicina” (Michelina Capato Sartore, Presidente E.S.T.I.A.).
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29. COMPAGNIA TEATRO IN-STABILE e COOP. SOCIALE E.S.T.I.A
Nasce nel 2008 nell’ambito del Progetto residenziale ETRE sostenuto dalla
Fondazione Cariplo.
Svolge attività residenziale stabile di produzione e programmazione culturale
coinvolgendo sia attori esterni sia attori detenuti del carcere di Bollate a
Milano, in spettacoli teatrali, seminari di formazione ed aggiornamento
(rivolti sia all’utenza interna che esterna).
L’obiettivo della Cooperativa che si occupa dell’apparato gestionale ed
organizzativo della compagnia, è:
COLLEGARE PROPOSTE CULTURALI TRA IL DENTRO E IL FUORI
VALORIZZANDO L’ARTE NEI PROCESSI DI INTEGRAZIONE SOCIO-
CULTURALE E LAVORATIVA DEI DETENUTI E DEL TERRITORIO
CIRCOSTANTE AL CARCERE (nell’ottica di un intervento territoriale
integrato).
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30. LA MIA ESPERIENZA PROFESSIONALE CON E.S.T.I.A:
quando si inizia un esperienza di laboratorio teatrale in carcere, il primo
problema che si pone è CAPIRE DA CHE PARTE INIZIARE.
Quindi la domanda è:
i detenuti che vi partecipano, cosa vogliono comunicare?
Spesso il messaggio è legato a far capire a chi è fuori, a chi giudica che:
- loro non sono dei mostri
- c’è solidarietà nella quotidianità del carcere, aiuto reciproco (perché in
carcere sono tutti diversi ma ugualmente emarginati).
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31. Quindi:
E’ SEMPRE IMPORTANTE PARTIRE DA QUELLO CHE SI HA E SI VIVE AL
MOMENTO.
Da qui si parte per poi arrivare a pensare e a raccontare di ciò che manca o
che si è perso: i temi ricorrenti a riguardo sono la famiglia, l’amore , il
lavoro.
(E’ infatti importante offrire sempre al detenuto che si trova a vivere
l’esperienza del carcere, un’occasione di riflessione e di rielaborazione
della propria vita , aiutandolo a soffermarsi sulle scelte fatte e sul capire
come queste abbiano influenzato il suo percorso personale).
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32. Statistiche:
dati emersi da una ricerca del 2005, svolta nell’ambito del progetto TEATRO E CARCERE,
in Europa e che in Italia, grazie alla collaborazione di Armando Punzo, responsabile e
direttore artistico della Compagnia della Fortezza del carcere di Volterra, ha coinvolto
207 carceri di diverso tipo in 20 regioni, hanno evidenziato come la mediazione
artistica nella relazione d’aiuto, venga ritenuta importante, nell’87,41% dei casi
- sia dal punto di vista trattamentale (per i suoi effetti riabilitativi e socializzanti;)
- sia dal punto di vista della formazione professionale e lavoro.
In questa prospettiva, il detenuto diventa “risorsa” e non aggravio economico per la
società.
Diverse le realtà teatrali che operano all’interno dei carceri in Italia: tra queste
- TAMTEATROMUSICA presente dal 1991 nel carcere “Due Palazzi” di Padova;
- CENTRO STUDI “ENRICO MARIA SALERNO” presente dal 2003 nel carcere di Rebibbia
di Roma;
- TEATRO KISMET presente dal 1997 nell’Istituto penale minorile “Fornelli” di Bari;
- ASSOCIAZIONE BLOOM presente dal 1998 nell’Istituto penale minorile di Bologna.
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33. Conclusioni:
FARE TEATRO è dunque un gioco e il gioco di per sé, è una terapia sia per il bambino
sia per l’adulto perché entra in sintonia relazionale con sé e con gli altri che
partecipano all’esperienza. Scopriamo chi siamo proprio nel momento in cui
comunichiamo con gli altri e agli altri (spazio di empatia).
E’ un gioco “simbolico” e condiviso, dove l’attore-persona interpreta un personaggio,
rappresenta un altro in un’area intermedia tra il proprio dentro e il proprio fuori.
Quest’area intermedia è quella dell’arte. (E’ Winnicott che nella sua teoria del gioco,
sviluppa il concetto di area transizionale quale luogo di sviluppo del rapporto madre-
bambino, dalla simbiosi alla separazione-individuazione del bambino dalla figura
materna).
Lo spettacolo diventa così :
- un’esperienza culturale con una precisa e ripetibile partitura corporea e vocale ai fini
della comunicazione scenica;
- una possibilità di lavoro evolutivo (non rigido ma dinamico) intorno al teatro, come
momento creativo e formativo ma anche come “autoanalisi” in quanto espressione
profonda di sé.
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Link utili:
VIDEO PRESENTAZIONE E.S.T.I.A.
https://youtu.be/pjS6GJql6q0
Film CESARE DEVE MORIRE (Fratelli
Taviani, carcere di Rebibbia)
https://youtu.be/HdNpnS4LQas
https://youtu.be/z9N dKWeW-o
COMPAGNIA DELLA FORTEZZA (carcere di
Volterra)
https://youtu.be/x0oawQAAe7Y
LABORATORI DI TEATRO “INTEGRATO” di
Roberto Gandini (giovani attori e ragazzi
con sindrome di Down, presso Teatro
Argentina di Roma)
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35. BIBLIOGRAFIA:
- L’identità tra Psicologia e Teatro, 2007. Prof. Ruggieri Vezio
- Sette cappelli per pensare, 1997, pg. 24. Edward De Bono
- Teatroterapia, recitare tra verità e finzione, 2008 (cofanetto manuale +
dvd). Walter Orioli
- Il teatro e il suo spazio, 1980. Feltrinelli. Peter Brook
- Medicina umanistica, la via delle arti, “INFORMAZIONE”. 1994
- Il paradosso dell’attore, Roma. Editori riuniti. 1993. Diderot
- Per un teatro povero, Roma. Bulzoni.1997. Grotowskij
- Dramatherapy: theory and pratice: vol. 1 e 2, London. 1987/1992.
Jennings S.
- Persona e Performance, London, 1993. Robert Landy
- Dramatherapy. Concecpts, Theories and Pratices, Springfield. 1994.
Robert Landy
- Manuale di Psicodramma, Roma, Astrolabio. 1985. Moreno J. L.
- La mente come teatro. Antropologia teatrale e psicoanalisi, C.S.T Torino.
1985. Petrella F.
- Il lavoro dell’attore su se stesso, Bari, Laterza. 1982. Stanivslaskij K.
- Il lavoro dell’attore sul personaggio, Bari, Laterza. 1993. Stanivslaksij K.
- Arte Terapia e Counseling espressivo, Giusti e Piombo.
- L’arte-terapia con gli adolescenti, Edizioni scientifiche Magi, Roma. 2000
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36. - Il gioco che guarisce, la psicoterapia della Gestalt con bambini e
adolescenti, Edizioni Pina Catania. 1999
- Manuale del laboratorio teatrale, Edup. 2003. Tosto T.
- Il Laboratorio Teatrale, Edizioni LED. 1999. Prof. Gaetano Oliva
- Brecht e il teatro sociologico, Edizioni Cremonese Roma. 1974. Sergio
Velluti
- Corpo teatro, Edizioni Cronopio. 2010. Jean-Luc Nancy (traduzione di
Antonella Moscati)
- L’attore sociale: l’utopia formativa nell’arte teatrale, Centro Studi
Sipario Toscana. 2002. Cassanelli F.- Garzella A.
- Lezioni di movimento scenico, Edizioni Titivillus. 2007. Nikolaj Karpov
(traduzione Lorenza Bevicini e Natascia Loguinova)
- Coscienza e cambiamento, una prospettiva transpersonale,
Cittadella Editrice, Assisi. 1995. Venturini R.
- Gioco e realtà, Roma, Armando. 1974. Winnicott D.W.
- Teorie del teatro: panorama storico critico, Edizioni Il Mulino,
Bologna. 1988. Carlson M.
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