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Viaggio in ciò che ha reso la donna
                                 non solo icona del patriottismo, ma
Un lavoro di Eleonora Bompieri             vera interprete dei valori
                                                      risorgimentali.
"L'amore di una madre per i figli non può nemmeno essere compreso dagli uomini ... Con donne
                                                               simili una nazione non può morire."
                                                                               Giuseppe Garibaldi1

In occasione del cento cinquantenario, ripercorrere le dinamiche che portarono all’unificazione
della nostra penisola, è un dovere collettivo. Ricordare tale evento non ha solo scopo didattico,ma
rappresenta anche una forte presa di coscienza del presente attraverso la rievocazione del passato.
Un simile spunto di riflessione sullo sviluppo tanto politico, quanto culturale e sociale del nostro
paese non può che essere un rafforzamento dell’identità nazionale e dei valori che più di un secolo
fa animarono i piccoli e grandi personaggi del Risorgimento.
Voglia di cambiamento, intraprendenza e forza d’animo sono i veri protagonisti del processo
risorgimentale, troppo spesso trattato nella sua generalità. I meriti dei suoi interpreti non trovano
molte volte il giusto riconoscimento sui libri di storia: l’Unità non è solo un tentativo bellico e
diplomatico ben riuscito, ma una conquista collettiva di cui tutta la società del tempo poté far vanto
del proprio contributo. Attraverso arte, articoli e storie è possibile ripercorrere e rivivere le
sensazioni che centocinquant’anni fa fecero fremere i
nostri compatrioti, trovando forse stimoli di cambiamento
ed emulazione per il presente. Immagini e testi tengono
ancora vivo il ricordo e l’animo di questi eroi patrioti,
molto spesso anche anonimi, dando loro giustizia e
riconoscimento al prezioso, seppur a volte minimo,
sostegno nel lungo e sudato cammino verso il
riconoscimento nazionale.
Battaglie, moti rivoluzionari, Mazzini, Cavour, Garibaldi,
la nascita dello Stato italiano, del patriottismo e delle
prime forme di democrazia: del Risorgimento conosciamo
bene le figure maschili, ma poco sappiamo delle donne
che contribuirono alla nascita dell’Italia. L’impegno
dell’universo femminile in questo processo non è
trascurabile: la donna, quanto in casa che sui campi di
battaglia, ha saputo dimostrare le capacità che le sono
proprie, riscattando la sua condizione sociale. Entità forte
e al contempo sensibile, il femminile è riuscito a mostrare
la parte più emotiva di un evento storico coinvolgente e
rivoluzionario. L’Italia è donna.
Fin dalla prima metà dell’Ottocento la figura femminile
rappresentò l’idea di patria e di sentimenti risorgimentali.
La tomba di Vittorio Alfieri in Santa Croce a Firenze può
considerarsi l’iniziatrice di questo nuovo percorso
iconologico. Il monumento, inaugurato nel settembre 1810
alla presenza dello stesso autore, Antonio Canova, ebbe da
subito entusiastici consensi. Del resto fu il celebre
scultore, nel 1806, a ideare per la prima volta in campo
figurativo l'immagine dell'Italia piangente. La Patria
appare afflitta, sciolta dalla commozione per la perdita di
uno dei suoi figli più illustri. I lavori per la sistemazione in Santa Croce furono terminati con l’aiuto
di Onofrio Boni, antiquario e amante delle belle arti, il quale in una lettera al Canova parlava del
monumento come un’opera “che nasce dalla nazione”.2 L’amore per la libertà, strettamente
congiunto a quello della patria, che aveva intessuto quasi tutta la produzione letteraria dell’Alfieri,

1
   Estratto di una lettera di Garibaldi a d Adelaide Boito Cairoli, patriota, datata settembre 1860
(http://www.donneconoscenzastorica.it/testi/trame/cairolilettere.htm)
2
  “Garibaldi, arte e storia” curato dal Museo di Palazzo Venezia, Roma
prese forma marmorea anche sul suo cenotafio. Sotto vesti ancora neoclassiche, la statua
rappresentava i valori e gli ideali di un Romanticismo che in Italia si farà portavoce del pensiero
risorgimentale. L’Italia piangente incarnava l’auspicio e la speranza di una patria ritrovata, nel
ricordo di una patria perduta.
Lo sguardo malinconico, il volto pensoso della statua canoviana sembrano proiettarsi nelle
raffigurazioni di altri artisti impegnati nelle stesse ambizioni concettuali. La capacità di far propri
gli insegnamenti del grande Canova è sicuramente attribuibile a uno dei più celebri interpreti del
Risorgimento: Francesco Hayez. Quasi con atteggiamento di sfida verso la censura austriaca,
l’artista cela la propria fede patriottica, trasferendo la valenza politica in metafore e allegorie: le
donne dei suoi quadri sono eroine, portavoci d’ideali sempre più radicati e coinvolgenti nella
penisola. Abbandonati i tratti neoclassicisti, nelle tele di Hayez si propongono soggetti del popolo,
protagonisti anonimi, ambasciatori di una realtà italiana insofferente.
“La Ciociara”, dipinta nel 1842, sembra così personificare l’Italia stessa: la donna pensosa,
appoggiata a un rudere antico, che nella sua arcaica bellezza allude a un glorioso passato perduto.
L’abito tradizionale, dai colori della nostra bandiera, sembrerebbe confermare tale lettura. Il suo
sguardo scruta il lettore, spronandolo all’azione.
Il romanticismo storico di Hayez trova ancora migliore rappresentazione in quadri più noti come
“Un pensiero malinconico” e “La meditazione”. I due soggetti furono al centro degli studi
dell’artista per quasi un decennio (1841-1850); le numerose raffigurazioni ci fanno comprendere la
sua morbosa ricerca per il perfezionamento di temi a lui così cari. L’espressione e la postura delle
figure femminili, gli elementi della scena pongono l’accento sul valore: il sentimento di pessimismo
ideologico della fanciulla è in realtà quella dell’artista, in crisi a causa della situazione politica in
atto. Le raffigurazioni femminili, dai forti accenti sensuali e sentimentali, rappresentano l’Italia non
ancora unita, ma già esistente nel pensieri di un intero popolo che sogna di ritrovare la patria
perduta.
Nel dipinto “Un pensiero malinconico”, la malinconia è rappresentata da una giovane donna
medievale; proprio al Medioevo si rivolgeva l’attenzione degli Italiani, per ritrovare in quel tempo
lontano episodi che ne indicassero l’orgoglio nazionale.
Anche “La Meditazione” ben incarnava lo smarrimento esistenziale e sentimentale che pervase gli
animi nei più difficili momenti della vicenda risorgimentale.
Sembra rappresentare proprio uno scritto di Mazzini:

      “la Patria vi è apparsa un giorno nei vostri sogni come una sorella disonorata dalla violenza,
                        come una madre che perduto i suoi figli e che piange…”.3




                                                                                               Da sinistra:
                                                                                               “Un pensiero malinconico”,
                                                                                               1842 – collezione privata,
                                                                                               Milano

                                                                                               “Un pensiero malinconico”,
                                                                                               1843

                                                                                               “La Meditazione”, 1850 -
                                                                                               collezione privata

Nella sua produzione artistica, Hayez, per gli innumerevoli riferimenti al passato, si conferma, tra i
maggiori interpreti del Romanticismo Storico, grazie soprattutto ai suoi ideali civili: è l’arte del
divenire, la cui missione consiste nel rendere esemplari eventi passati, come le Crociate, o della

3
    “Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini” curato dall’ Università di Princeton, 2009
storia più recente, come le lotte combattute dai Greci per conquistare la libertà, dove il protagonista
è stato popolo.
I Macchiaioli furono i interpreti del fondamentale passaggio dalla pittura del Romanticismo Storico,
che aveva rievocato e idealizzato il passato, a un realismo che rappresentò senza retorica e con uno
stile completamente nuovo la realtà risorgimentale. Con pennellate veloci e macchie di colore,
questo moderno movimento artistico riesce a illustrare sentimenti, eventi e battaglie in tutte le loro
sfumature, dove non mancano i toni di ribellione sociale e politica. I Macchiaioli toscani, come
Odoardo Borrani, e i pittori lombardi come Domenico Induno, hanno saputo rendere in struggenti
scene gli sviluppi delle lotte risorgimentali quali poterono essere vissuti, con grande dignità e
partecipazione, dalle famiglie italiane. La storia era così rappresentata nei suoi risvolti quotidiani,
affidandosi ad atmosfere sospese o pervase da un doloroso sentimento di sconfitta.
Da ricordare è certamente Giovanni Fattori, nato a Livorno nel 1825 e attivo partecipante alle
battaglie per l’Unità d’Italia. Nel suo quadro più celebre, “La battaglia di Magenta”, rievoca uno
degli episodi della Seconda Guerra d’Indipendenza svoltasi il 4 giugno 1859, fra gli eserciti franco-
piemontese e austro-ungarico. Fu la battaglia più grande e sanguinosa del Risorgimento italiano.
Pochi sanno che furono le donne dei paesi della zona a fare bende e legacci con le proprie lenzuola
e con le strisce degli abiti per dare il primo soccorso alle migliaia di feriti, senza distinzione tra gli
eserciti di appartenenza.




          “Il campo italiano alla battaglia di Magenta”, 1861-1862, Galleria d'Arte Moderna, Firenze

Il fervore patriottico, le ansie, le aspettative, le speranze dei soldati al fronte sono condivisi da chi
resta ad attenderli, le donne, i bambini, gli anziani.
Sono gli umili protagonisti, illustrati da una pittura che scopre la nazione attraverso la natura,
l’esaltazione della casa, della famiglia, delle piccole grandi cose di ogni giorno.
La donna adesso rappresenta il perno di un popolo che si risveglia: è al centro della famiglia ma
lavora anche nei campi faticosamente, silenziosamente. Molti contemporanei non si accorgono
dell’importanza del femminile, ma l’attento occhio dei Macchiaioli ne coglie il valore dando voce
all’eroina anonima: nel mondo rurale, come in quello piccolo-medio borghese emergono solide e
determinate figure femminili nella loro vita di ogni giorno.
Alcune donne parteciparono alla lotta risorgimentale fin
dai primi tempi.
Eleonora Fonseca Pimentel, scrittrice di poesie e
componimenti, fu in primo piano nella Napoli
repubblicana e giacobina del 1799 e fu tra le prime ad
essere condannata a morte dai seguaci reazionari della
monarchia, una volta tornata al potere. Personalità più
volte elogiata da Benedetto Croce, redattrice del giornale
“Il Monitore Napoletano”, Eleonora Pimentel fece propri
gli ideali della Rivoluzione Francese tanto da gettarsi
nell’impegno politico per l’affermazione della libertà e per
il progresso delle classi meno fortunate.
Salì sul patibolo affrontando la morte con un’indifferenza
uguale al suo coraggio e citando il Virgilio dell’Eneide:

              “Forsan et haec olim meminisse iuvabit!”4

    “ Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”.

Eleonora Fonseca Pimentel è solo una dei tanti esempi femminili attivi (contro la dominazione
straniera) per l’Unità. Se da una parte possiamo sicuramente ricordare il contributo intellettuale di
alcune donne, dall’altra non possiamo tralasciare l’intervento più pragmatico di alcune di esse.
Negli anni della Restaurazione, dopo il 1815, alcune donne fecero parte della Carboneria nel ruolo
di “ giardiniere ”. Donne di qualunque ambiente sociale potevano dare il loro contributo
all’organizzazione, ad una condizione: condividere la carica reazionaria, unite dal malcontento per
il loro tempo. Queste s’incontravano nei loro giardini in gruppi ristretti, di circa dieci persone.
Come l’analoga organizzazione maschile, questa prevedeva due livelli: apprendista e maestra. Dopo
aver superato la prima fase, venendo a conoscenza degli obiettivi del gruppo, la maestra si
impegnava nel conseguimento del programma accordato. Nascondere il pugnale nella giarrettiera
non era solo un segno di riconoscimento nella gerarchia tra membre, ma ilun chiaro simbolo del
rischio dei loro intenti.
L’esistenza della società delle giardiniere, in quegli anni, apparve inizialmente dubbia: fino ad
allora, la donna era stata considerata esclusivamente nel suo ruolo di madre, moglie, sorella e
amante, legando i suoi sentimenti esclusivamente all’area familiare-affettiva. Difficile era ritrattare
la figura della donna, vista non più solo come protettrice del focolare domestico, ma agguerrita
nemica del sistema dei suoi tempi. Giardiniere come Bianca Milesi, Maria Gambarana e Matilde
Viscontini possono ben rappresentare la fierezza di queste donne nella partecipazione al gruppo. Le
parole chiave della loro attività erano Onore, Virtù, Costanza e Perseveranza.
Le donne non si limitarono solo a sostenere e a diffondere le nuove idee, ma parteciparono
attivamente alle lotte impugnando le armi. Quando non avevano i fucili, adoperavano i forconi e i
sassi.
La pittura ci rimanda immagini di donne in umili case o in ville fastose, ma ci sono donne intrepide
di tutti i ceti pronte ad appoggiare l’azione risorgimentale: le popolane aiutando i loro uomini, le
borghesi magari scrivendo e lottando per i diritti del genere femminile. Tra costoro molte
mazziniane e liberali parteciparono ai giornali dell’epoca, o addirittura a qualche azione patriottica.
Erano le pioniere di una lotta che era già movimento per l’emancipazione che talvolta padri e mariti
videro con sospetto.




4
     Virgilio, Eneide, I, 203, parole con cui Enea faceva coraggio ai compagni nelle avversità della sorte e dei pericoli.
La pittura ci offre soltanto qualche squarcio
della partecipazione al processo
risorgimentale, anche se molto indicativo. Si
guardi ad esempio al quadro di Odoardo
Borrani, “Le cucitrici di camicie rosse”.5 datato
1863 , che illustra perfettamente questa idea: le
camicie rosse e sullo sfondo il ritratto di
Garibaldi, anche se vengono rappresentate
all’interno di un quieto salotto borghese.
Donne speranzose e pazienti cuciono le divise
dei loro combattenti, partecipando, seppur
soltanto nella preparazione, ai fitti intrecci
ottocenteschi. E’ così che le case, le famiglie si
riempiono di quello spirito patriottico che ne fa
le vere culle del Risorgimento.
Cucendo bandiere e camicie il tricolore prese
per la prima volta forma sulla stoffa in ricchi
ricami. A Livorno gruppi di donne fecero
vessilli per i circoli politici del 1849. La
moglie di Andrea Sgarallino, un patriota
borghese, è ricordata per aver nascosto
addosso, durante l’occupazione austriaca, il tricolore cucito dalle donne di Reggio Emilia e donato
ai Livornesi che combatterono a Curtatone nel “Le cucitrici di camicie rosse”, 1863 – Collezione privata
1848, sfidando con audacia la polizia
granducale.
Le donne erano escluse dai campi di battaglia, anche se comparivano nell’assistenza ai feriti: fu
proprio il loro a far da spunto per la nascita della Croce Rossa nel 1864.
Nonostante ciò, non mancavano immagini di donne sulle barricate, nella guerriglia come ben
compare nel famoso quadro sulle Cinque Giornate di Milano di Carlo Stragliati6.
 Mentre alcune eroine risorgimentali come Cristina di Belgioioso furono nel cuore della battaglia
nella Repubblica romana, altre donne seppero dare conforto agli uomini in armi, fornendo
l’appoggio necessario per la buona riuscita degli scontri.
Alcune aristocratiche alte borghesi seppero trasformare il loro salotto7 in luoghi di formazione delle
idee liberali. Il salotto livornese di Angelica Palli Bartolomei, letterata e poetessa
che meritò lode dai più grandi ingegni del suo tempo, fu il maggior centro della propaganda
mazziniana negli anni compresi tra il 1820 e il 1840. Il suo boudoir fu frequentato da illustri
personaggi, tra i quali spiccano i nomi di Bini, Guerrazzi, Manzoni, Ricci e tantissimi altri
protagonisti del Risorgimento.
Al contempo, a Firenze, il salotto di Emilia Toscanelli, protagonista di una bella e operosa “fucina”
intellettuale, fu il cuore dei liberali più avanzati. A Milano erano attivi i salotti di Teresa Berra
Cramer, sostenitrice dei moti del 1821; quello di Vittoria Cima, di educazione francese e di famiglia
napoleonica, che divenne un punto di riferimento importante per la letteratura del tempo; della
contessa Eugenia Tendolo Bolognini Litta , incline protettrice delle intemperanze di Enrico Boito e
della Scapigliatura.
Famoso fu anche il salotto della contessa Clara Maffei. Sorto intorno al 1834 a Milano, divenne ben
presto luogo d’incontro d’intellettuali e politici. La fama poetica del marito e lo spirito d’iniziativa
della stessa Clara non tardarono a renderlo il più celebre della penisola. Vi si ritrovarono Manzoni,
Grossi, D’Azeglio, Rossini, Verdi, il pittore Hayez e la sua più cara amica, la poetessa Giulietta


5
    http://it.paperblog.com/borrani-cucitrici-di-camicie-rosse-250176/
6
    http://i54.tinypic.com/66jm84.jpg Le Cinque Giornate di Milano – Carlo Stragliati
7
    http://www.url.it/donnestoria/testi/trame/salotti.htm
Pezzi. Dopo i moti rivoluzionari del 1848 Clara Maffei dette al suo salotto un forte connotato
politico .

“Chi sa alzare il pensiero al di sopra di questa povera terra, trova coraggio per ogni dura prova”8

Arte e letteratura allietavano le memorabili serate in via dei Tre Moschettieri, dove oggi un’epigrafe
ricorda ai passanti l’impegno cultuale della padrona di casa.
Altre donne agirono così, come le sorelle Lombroso e la genovese Bianca De Simone Rebizzo,
fondatrice del Collegio italiano femminile di educazione, che ospitò Mamiani, Bixio, Mameli oltre a
tanti esuli politici.
Tra tutte spiccò la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso.
Anche il suo salotto fu un centro di propaganda italiana e liberale, dove si incontravano personaggi
del panorama musicale come Bellini, Chopin e Rossini, e di quello letterario, tra cui spiccarono
Balzac, Hugo e l’allora emergente Tommaseo. La dissero eccentrica, avventuriera, narcisistica e
filantropa.

     "Bella, nobile, intelligente, appassionata, è stata un esempio di donna moderna, insofferente
    all’oppressione straniera, risoluta a mettere in atto la sua fede per sovvertire l’ordine del suo
                                                 tempo"9

                              Costruì abitazioni per i contadini e gli artigiani, asili e scuole, distribuì
                              l’assistenza sanitaria. Fu una pioniera del messaggio di Croce Rossa:
                              durante gli eventi bellici legati alla presa di Porta Pia del 1870 si
                              adoperò in prima persona nell'assistenza ai feriti unendosi a un gruppo
                              di giovani donne delle più varie estrazioni sociali.
                              A soli 20 anni, nel 1828, iniziò la sua avventura politica alla quale si
                              dedicò per l’intera vita, con convinzione e caparbietà. Iscritta alla
                              Giovine Italia, la sua fortuna e la sua posizione sociale le permisero di
                              fuggire a Nizza e poi a Parigi, dove privata dei propri beni in patria, fu
                              costretta a vivere di pittura. Ancora una volta dimostrò il suo impegno
                              parlando alla Camera francese per illustrare la penosa situazione
                              italiana. Sempre a Parigi fondò la “Gazzetta Italiana” che
                              successivamente chiamò l’Ausonio, diventando la prima donna
   Ritratto della principessa fondatrice e direttrice di un giornale.
 Belgioioso,1832 – Francesco  E’ ricordata soprattutto come una veterana della rivoluzione italiana del
   Hayez, Collezione privata
                              ‘48 .Tornata a Napoli e informata che Milano era insorta, raccolse
                              fondi con l‘aiuto di molte patriote napoletane e si imbarcò con
duecento volontari per portare aiuto ai milanesi. Quando, nel 1849, la Repubblica romana si
difendeva dall’attacco francese e al contempo i suoi politici si attivavano per scrivere la
Costituzione repubblicana con l’aiuto di Garibaldi e Mazzini, non esitò ad accorrere riorganizzando
gli ospedali romani. Unica firma femminile sul numero uno della rivista “Nuova Antologia” scrisse
il saggio “Della presente condizione delle donne e del loro avvenire”. A conclusione della sua
opera:

“Vogliano le donne felici dei tempi a venire rivolgere il pensiero alle umiliazioni delle donne che le
 precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e
         prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata felicità.”



8
  Estratto dall’epistolario con Carlo Tenca, principale animatore del salotto della contessa Clara Maffei, alla quale era sentimentalmente legato:
http://www.movimentolibero.it/150%C2%B0-unita-ditalia/note-risorgimentali-xxxii-il-salotto-della-contessa-maffei.html
9
  Estratto di una lettera di Francesco Hayez sull’amica Belgioioso
Nel nostro paese l’affermazione dei diritti delle donne emerge con evidenza nel corso del periodo
         risorgimentale e molte di loro si formarono alla scuola della Giovine Italia e della cultura
        mazziniana, garibaldina e democratica. Sebbene furono per lo più le popolane a combattere
      concretamente, molte altolocate ebbero il sogno di abbracciare le armi e dare il loro contributo:

    “Mentre tutti gli italiani corrono alle armi per liberare la nostra generosa nazione dal giogo
straniero , noi donne italiane non sappiamo resistere al bisogno di servire noi pure ad una causa sì
 santa. Coi nostri padri, coi nostri mariti, coi nostri fratelli, vogliamo dividere i pericoli; vogliamo
 dividere con essi l’onore di salvare questa patria comune. Debole è certo il soccorso delle nostre
   braccia, ma s’è vero che la difesa più tremenda è il coraggio , noi portiamo fiducia di poter in
                                questi gravi momenti giovare alla patria.
 Cittadino comandante! Alla vostra Guardia Civica aggiungete un battaglione di donne, destinate
da voi, quando urga il pericolo, o a curar i soldati feriti, o a formare cartucce, o a trattare le armi,
   le Veneziane non isdegneranno nessun ufficio, il quale abbia per fine la Indipendenza di tutta
                                                Italia.10”

 La disuguaglianza fra i sessi e il disprezzo verso le donne si concretizzava anche sul campo di
battaglia: quando venivano trovate morte, i nemici ne facevano a pezzi i cadaveri. Ma le donne non
si facevano intimorire, si vestivano da uomo e andavano a combattere, proprio come fece Rosalia
Montmasson, moglie di Francesco Crispi, che sfidò i tempi e i costumi con inusuali scelte di vita.
Dopo aver seguito il marito in esilio in Piemonte e a
Malta, fu accusata di complotto in associazione con
Felice Orsini per il tentato assassinio
dell’imperatore francese Napoleone III durante una
parata. Costretta così a fuggire a Londra, Rosalia
dovette aspettare ben tre anni per fare ritorno in
patria.
  Il maggior merito riconosciutole riguarda il 1860,
 anno centrale per la storia italiana: fu l’unica donna
  che partecipò alla spedizione dei Mille. Travestita
     da uomo, con camicia rossa, spada e carabina,
   s’imbarcò a Quarto contro la volontà del marito.
   Sfidando ogni pregiudizio che riguardasse anche
   l’intervento del femminile sul campo, dimostrò il       L’epigrafe in onore dell’eroina risorgimentale in Via
  suo valore sia imbracciando il fucile sia prestando                        Scala a Firenze
               soccorso ai feriti.
       Un altro caso noto è quello di Colomba Antonietti che, vestita da garibaldino, si era battuta
  eroicamente nella battaglia di Velletri . La sua vicenda fu al centro di un acceso dibattito che, già
      pochi anni dopo il 1849, contrappose repubblicani e cattolici in un contenzioso per la giusta
      versione dell’accaduto. Combattente intrepida secondo i repubblicani, travestita da uomo per
 ricongiungersi al marito secondo le ipotesi dei cattolici che mettevano in dubbio anche il suo attivo
 coinvolgimento negli scontri perché incompatibile con la vocazione materna della donna. Garibaldi
 stesso narra nelle sue memorie il tragico scontro in cui il marito, il conte Luigi Porzi, perse la vita:

  “La palla di cannone era andata a battere contro il muro e ricacciata indietro aveva spezzato le
 reni di un giovane soldato. Il giovane soldato posto nella barella aveva incrociato le mani, alzato
 gli occhi al cielo e reso l’ultimo respiro. Stavano per recarlo all’ambulanza quando un ufficiale si
 era gettato sul cadavere e l’aveva coperto di baci. Quell’ufficiale era Porzi. Il giovane soldato era
   Colomba Antonietti, sua moglie, che lo aveva seguito a Velletri e combattuto al suo fianco.11”

10
   “Raccolta per ordine cronologico di tutti gli atti, decreti, nomine ecc. del governo provvisorio della Repubblica Veneta”,1848
http://books.google.it/books?id=PI8ZAQAAIAAJ&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false
11
    Estratto da “Le eroine del Risorgimento: amore e politica al femminile” con breve citazione delle Memorie di Garibaldi
Il 13 giugno dello stesso anno, Colomba cadde sul campo durante la difesa di Porta San Pancrazio a
   Roma, durante un attacco dei francesi. La notizia della sua morte corse per la penisola tramite i
   giornali e le innumerevoli parole di lode di storici e politici. Il suo nome, ancora oggi, è accanto
aaccosta quello del marito nella cappella di Santa Cecilia dell’Accademia Musicale a Roma, dove le
                                     loro salme furono tumulate.
            Ma l’esempio più luminoso e amato di donna combattente fu Anita Garibaldi.
     Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva conobbe Garibaldi, comandante della squadra navale di
Catarina, nel luglio 1839 a Laguna, in Brasile. Da quel giorno divenne l’inseparabile compagna del
    generale non solo negli eventi risorgimentali che le diedero fama, ma anche nelle vicende tra
                     Uruguay e Argentina che coinvolsero l’eroe dei due mondi.
   Quando egli fu richiamato dall’esilio americano da re Carlo Alberto, Anita ebbe la possibilità di
 conoscere la terra natia del proprio marito. Da subito sensibile alle problematiche della penisola, l
   donna gli fu di gran sostegno sia accompagnandolo nelle sue imprese sia incoraggiandolo nella
                                        fatica e nell’incertezza.
   Lo seguì a Roma sul campo di battaglia nei combattimenti in difesa della Repubblica Romana,
   minacciata dalle truppe francesi e napoletane nel 1849. I continui capovolgimenti dello scontro
   costrinsero la coppia a fuggire con il rimanente delle truppe garibaldine. Quando la Repubblica
 romana cadde, anche se incinta del loro quinto figlio, volle essere con lui nella lunga fuga verso il
   nord della penisola. Dopo aver guadato fiumi e paludi, in una pineta di Ravenna, Anita si lasciò
 morire dalla stanchezza. Fu rimpianta da tutti gli amanti della libertà che videro in lei un simbolo.

                             “ Sorridimi sempre, è il solo sorriso che mi venga dalla vita!12”

                                              Così Mazzini scriveva di Giuditta Sidoli, sua grande
                                         collaboratrice nella Giovine Italia. Nonostante Mazzini avesse
                                       avuto un infinità di relazioni sentimentali, fu lei il suo unico vero
                                          amore. Compagna passionale e ribelle portavoce degli ideali
                                        risorgimentali, Giuditta fu spiata e incarcerata come pericolosa
                                        emissaria dell’organizzazione insurrezionale. La polizia austro-
                                       borbonica, nel rapporto del suo arresto, scrisse di lei: età 29 anni,
                                            statura piuttosto alta, capelli biondi. occhi grandi e scuri,
                                        bellissima ed “estremamente problematica per la sicurezza del
                                                                      Regno.”
                                       Giuditta è ancora oggi un personaggio affascinante poco citato e
                                       studiato. Nè moglie nè amante, il suo ruolo non è codificabile se
                                          non nella pari dignità di uomo e donna che fu nel pensiero di
                                        Mazzini, per il quale la democrazia, ancora prima di un insieme
   Ritratto di Giuditta Sidoli, 1835 –  di regole scritte, deve essere il modo giusto di sentire e vivere i
    Pittore anonimo, Museo Glauco                                  rapporti umani.
           Lombardi, Parma
                                        Da quello spirito si sviluppò il femminismo italiano interpretato
                                          da quelle donne che seppero rappresentare i bisogni di tutte,
  anche di quelle che la condizione sociale confinava all’ultimo gradinino della scala della società,
     ultime anche nelle famiglie di cui portavamo il peso più grande. Iniziando dalle numerose e
 scomode manifestazioni di piazza, le italiane riuscirono lentamente a farsi spazio in editorie e sedi
    giornalistiche e ad estendere a un pubblico sempre più vasto la loro passione politica dall’alto
                                             connotato polemico.
      Sebbene la lotta per l’emancipazione della donna giunse in ritardo in Italia, in accordo con
 l’avanzare della rivoluzione industriale, le suffragette si fecero subito vedere come consapevoli del
 proprio ruolo determinante anche nella politica e decise nel loro obiettivo: rivendicare il suffragio.

12
     http://www.url.it/donnestoria/testi/trame/sidoli.htm
Nel 1868 Gualberta Alaide Beccari, protagonista del movimento emancipazionista italiano, fondò a
    Padova il giornale “La donna”, prima rivista femminile di impegno civile e politico. In esso le
  donne trovarono spazio, speranze e idee, fecero conoscere le loro poesie, la loro letteratura, il loro
desiderio di cambiamento. Su quelle pagine si parlò di lotte per il divorzio, contro la pena di morte e
 per l’estensione del voto all’elettorato femminile e, non ultima,dell’educazione dei figli. Il giornale
di Gualberta Alaide guidò le donne alla scoperta dei propri diritti e anche alla scoperta dei diritti dei
                                  lavoratori, uomini o donne che fossero.
    Scrittrice, pubblicista e autrice di teatro, il suo impegno profuso
   nell’avanzata femminile permeò la sua vita. Animata dal pensiero
mazziniano e patriottico, Alaide spiccò ben presto nella vita pubblica
fino a ricoprire incarichi importanti in politica, da sempre considerati
                          inadeguati a una donna.
Il suo quotidiano, fondato a soli ventisei anni grazie alla disponibilità
   economica in virtù della sua estrazione alto-borghese, vantava di
  un’ampia rosa di scrittrici e artiste che trovarono modo di emergere
    nel panorama culturale. Tra queste ricordiamo: Emilia Mariani,
 futura fondatrice del settimanale “L’Italia femminile” e cooperatrice
     di una rubrica con Sibilla Aleramo; Angelica Palli, scrittrice e
    poetessa, autrice dell’opera “Discorsi di una donna alle giovani
    maritate del suo paese” in cui rivaluta il ruolo della donna nella
  famiglia e nella politica; Maria Pastore Mucchi, grande giornalista
            ricordata per i suoi articoli incisivi su “La donna”

   “ Che cosa vuole la donna moderna? Diventare ragione senza
   perdere il sentimento, diventare diritto senza perdere il dovere,
diventare lavoro senza perdere la poesia. Ecco perchè la mentalità a
    cui aspirano le donne contemporanee è uno dei grandi segni
 precursori dei tempi nuovi e sarà una delle più grandi potenze dell’
                             avvenire.13”

   Così scriveva Maria Pastore Mucchi in un articolo su “La donna”
  del 5 aprile 1909. Era la cultura più alta del Risorgimento italiano
  che, così diffusa fra le donne, consentì loro un maggiore grado di
condivisione rispetto alla politica maschile perchè indirizzata, prima
                   di tutto, al principio di solidarietà .
      Anna Maria Mozzoni, donna colta e pragmatica, fu la prima
  emancipazionista che identificò nella questione femminile la base
per la formazione di una democrazia compiuta e lottò perché le donne potessero votare. Nel 1871 fu
     chiamata da Mazzini a collaborare a “La Roma del popolo “, giornale dove scrisse in quattro
       puntate l’articolo “Sulla questione dell’emancipazione della donna in Italia”, documento
                                 rappresentativo nella questione femminile.
    L’altro Risorgimento, quello ignorato o censurato dalla storia omologata, fu vissuto da donne
 istruite che non accettarono matrimoni imposti o infelici, che sacrificarono ricchezze o vite agiate;
   altre furono mogli e madri esemplari, intellettuali, nobili, borghesi, ma anche donne del popolo,
              tutte accomunate dal desiderio di riscatto, per conquistare il diritto al voto.
Lottarono per la democrazia contro tutti i poteri assoluti, per i loro figli e per ogni italiano futuro, e
        condivisero, prime e forse uniche in quegli anni, la prospettiva umanitaria mazziniana.
    Prendendo distanza dalla concezione che la vedeva nell’esclusivo ruolo all’interno del nucleo
    familiare, la donna poté farsi padrona dell’autonomia di giudizio, della capacità decisionale e
                       dell’individualità che troppo a lungo le erano state sottratte.

13
     http://www.url.it/donnestoria/testi/accardidonne/acprotagoniste.htm
E’ con l’intervento femminile che il progetto di “una nazione in armi” trova pieno compimento nel
Risorgimento: l’entusiasmo e l’energia, anche nel sacrificio, furono stati d’animo indispensabili per
                                  saldare il popolo e unire la nazione.
Per molte, essere cittadina italiana significava dimostrarsi meritevole di far parte della propria Patria
                                                                      ed essere pronta a sacrificarsi per
                                                                      essa, non solo in quanto madre e
                                                                       moglie, ma anche come persona
                                                                     consapevole e giudiziosa riguardo
                                                                      il proprio tempo. La scissione tra
                                                                       queste due identità costituiva un
                                                                     ostacolo per tutta la comunità che
                                                                     quest’ultima doveva impegnarsi a
                                                                                    superare.
                                                                     Il vero spirito italiano, intollerante
                                                                    alla dominazione straniera, animato
                                                                      da fratellanza e coesione, prende
                                                                     forma nei gesti e nei pensieri delle
                                                                      sue eroine: le cucitrici di camicie
                                                                    rosse, le prime giornaliste, curatrici
                                                                        e sostenitrici, sono solo alcune
                                                                          delle tante realtà di cui non
                                                                        possiamo fare a meno per una
                                                                          visione sempre più ampia e
                                                                    variegata del lungo processo che ci
                                                                     portò a diventare Paese. La nostra
                                                                         Unità fu frutto di un radicale
                                                                    movimento partito dal basso, in cui
                                                                    l’intero popolo, mosso dal comune
                                                                      senso di appartenenza e voglia di
                                                                      cambiamento, ha saputo imporsi
                                                                     senza arrendersi davanti a ostacoli
                                                                                   e sacrifici.
                                                                      La duplice battaglia della donna,
                                                                        per la società e per la nazione,
                                                                      merita il riconoscimento che le è
                                                                    dovuto: come lotta al pregiudizio e
 al sistematico, il femminile ha dato prova del raggiungimento degli obbiettivi di fronte a una forza
                                         unitaria e determinata.
   Quelle donne furono le avanguardie più preziose di quella massiccia partecipazione che le vide
 impegnate nella lotta contro il fascismo, nella resistenza fino al raggiungimento della Costituzione
  la quale, scritta anche dalle donne, finalmente sanciva tutte le aspirazioni risorgimentali e il loro
                                              diritto di voto.

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Progetto "Le donne del Risorgimento"

  • 1. Viaggio in ciò che ha reso la donna non solo icona del patriottismo, ma Un lavoro di Eleonora Bompieri vera interprete dei valori risorgimentali.
  • 2. "L'amore di una madre per i figli non può nemmeno essere compreso dagli uomini ... Con donne simili una nazione non può morire." Giuseppe Garibaldi1 In occasione del cento cinquantenario, ripercorrere le dinamiche che portarono all’unificazione della nostra penisola, è un dovere collettivo. Ricordare tale evento non ha solo scopo didattico,ma rappresenta anche una forte presa di coscienza del presente attraverso la rievocazione del passato. Un simile spunto di riflessione sullo sviluppo tanto politico, quanto culturale e sociale del nostro paese non può che essere un rafforzamento dell’identità nazionale e dei valori che più di un secolo fa animarono i piccoli e grandi personaggi del Risorgimento. Voglia di cambiamento, intraprendenza e forza d’animo sono i veri protagonisti del processo risorgimentale, troppo spesso trattato nella sua generalità. I meriti dei suoi interpreti non trovano molte volte il giusto riconoscimento sui libri di storia: l’Unità non è solo un tentativo bellico e diplomatico ben riuscito, ma una conquista collettiva di cui tutta la società del tempo poté far vanto del proprio contributo. Attraverso arte, articoli e storie è possibile ripercorrere e rivivere le sensazioni che centocinquant’anni fa fecero fremere i nostri compatrioti, trovando forse stimoli di cambiamento ed emulazione per il presente. Immagini e testi tengono ancora vivo il ricordo e l’animo di questi eroi patrioti, molto spesso anche anonimi, dando loro giustizia e riconoscimento al prezioso, seppur a volte minimo, sostegno nel lungo e sudato cammino verso il riconoscimento nazionale. Battaglie, moti rivoluzionari, Mazzini, Cavour, Garibaldi, la nascita dello Stato italiano, del patriottismo e delle prime forme di democrazia: del Risorgimento conosciamo bene le figure maschili, ma poco sappiamo delle donne che contribuirono alla nascita dell’Italia. L’impegno dell’universo femminile in questo processo non è trascurabile: la donna, quanto in casa che sui campi di battaglia, ha saputo dimostrare le capacità che le sono proprie, riscattando la sua condizione sociale. Entità forte e al contempo sensibile, il femminile è riuscito a mostrare la parte più emotiva di un evento storico coinvolgente e rivoluzionario. L’Italia è donna. Fin dalla prima metà dell’Ottocento la figura femminile rappresentò l’idea di patria e di sentimenti risorgimentali. La tomba di Vittorio Alfieri in Santa Croce a Firenze può considerarsi l’iniziatrice di questo nuovo percorso iconologico. Il monumento, inaugurato nel settembre 1810 alla presenza dello stesso autore, Antonio Canova, ebbe da subito entusiastici consensi. Del resto fu il celebre scultore, nel 1806, a ideare per la prima volta in campo figurativo l'immagine dell'Italia piangente. La Patria appare afflitta, sciolta dalla commozione per la perdita di uno dei suoi figli più illustri. I lavori per la sistemazione in Santa Croce furono terminati con l’aiuto di Onofrio Boni, antiquario e amante delle belle arti, il quale in una lettera al Canova parlava del monumento come un’opera “che nasce dalla nazione”.2 L’amore per la libertà, strettamente congiunto a quello della patria, che aveva intessuto quasi tutta la produzione letteraria dell’Alfieri, 1 Estratto di una lettera di Garibaldi a d Adelaide Boito Cairoli, patriota, datata settembre 1860 (http://www.donneconoscenzastorica.it/testi/trame/cairolilettere.htm) 2 “Garibaldi, arte e storia” curato dal Museo di Palazzo Venezia, Roma
  • 3. prese forma marmorea anche sul suo cenotafio. Sotto vesti ancora neoclassiche, la statua rappresentava i valori e gli ideali di un Romanticismo che in Italia si farà portavoce del pensiero risorgimentale. L’Italia piangente incarnava l’auspicio e la speranza di una patria ritrovata, nel ricordo di una patria perduta. Lo sguardo malinconico, il volto pensoso della statua canoviana sembrano proiettarsi nelle raffigurazioni di altri artisti impegnati nelle stesse ambizioni concettuali. La capacità di far propri gli insegnamenti del grande Canova è sicuramente attribuibile a uno dei più celebri interpreti del Risorgimento: Francesco Hayez. Quasi con atteggiamento di sfida verso la censura austriaca, l’artista cela la propria fede patriottica, trasferendo la valenza politica in metafore e allegorie: le donne dei suoi quadri sono eroine, portavoci d’ideali sempre più radicati e coinvolgenti nella penisola. Abbandonati i tratti neoclassicisti, nelle tele di Hayez si propongono soggetti del popolo, protagonisti anonimi, ambasciatori di una realtà italiana insofferente. “La Ciociara”, dipinta nel 1842, sembra così personificare l’Italia stessa: la donna pensosa, appoggiata a un rudere antico, che nella sua arcaica bellezza allude a un glorioso passato perduto. L’abito tradizionale, dai colori della nostra bandiera, sembrerebbe confermare tale lettura. Il suo sguardo scruta il lettore, spronandolo all’azione. Il romanticismo storico di Hayez trova ancora migliore rappresentazione in quadri più noti come “Un pensiero malinconico” e “La meditazione”. I due soggetti furono al centro degli studi dell’artista per quasi un decennio (1841-1850); le numerose raffigurazioni ci fanno comprendere la sua morbosa ricerca per il perfezionamento di temi a lui così cari. L’espressione e la postura delle figure femminili, gli elementi della scena pongono l’accento sul valore: il sentimento di pessimismo ideologico della fanciulla è in realtà quella dell’artista, in crisi a causa della situazione politica in atto. Le raffigurazioni femminili, dai forti accenti sensuali e sentimentali, rappresentano l’Italia non ancora unita, ma già esistente nel pensieri di un intero popolo che sogna di ritrovare la patria perduta. Nel dipinto “Un pensiero malinconico”, la malinconia è rappresentata da una giovane donna medievale; proprio al Medioevo si rivolgeva l’attenzione degli Italiani, per ritrovare in quel tempo lontano episodi che ne indicassero l’orgoglio nazionale. Anche “La Meditazione” ben incarnava lo smarrimento esistenziale e sentimentale che pervase gli animi nei più difficili momenti della vicenda risorgimentale. Sembra rappresentare proprio uno scritto di Mazzini: “la Patria vi è apparsa un giorno nei vostri sogni come una sorella disonorata dalla violenza, come una madre che perduto i suoi figli e che piange…”.3 Da sinistra: “Un pensiero malinconico”, 1842 – collezione privata, Milano “Un pensiero malinconico”, 1843 “La Meditazione”, 1850 - collezione privata Nella sua produzione artistica, Hayez, per gli innumerevoli riferimenti al passato, si conferma, tra i maggiori interpreti del Romanticismo Storico, grazie soprattutto ai suoi ideali civili: è l’arte del divenire, la cui missione consiste nel rendere esemplari eventi passati, come le Crociate, o della 3 “Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini” curato dall’ Università di Princeton, 2009
  • 4. storia più recente, come le lotte combattute dai Greci per conquistare la libertà, dove il protagonista è stato popolo. I Macchiaioli furono i interpreti del fondamentale passaggio dalla pittura del Romanticismo Storico, che aveva rievocato e idealizzato il passato, a un realismo che rappresentò senza retorica e con uno stile completamente nuovo la realtà risorgimentale. Con pennellate veloci e macchie di colore, questo moderno movimento artistico riesce a illustrare sentimenti, eventi e battaglie in tutte le loro sfumature, dove non mancano i toni di ribellione sociale e politica. I Macchiaioli toscani, come Odoardo Borrani, e i pittori lombardi come Domenico Induno, hanno saputo rendere in struggenti scene gli sviluppi delle lotte risorgimentali quali poterono essere vissuti, con grande dignità e partecipazione, dalle famiglie italiane. La storia era così rappresentata nei suoi risvolti quotidiani, affidandosi ad atmosfere sospese o pervase da un doloroso sentimento di sconfitta. Da ricordare è certamente Giovanni Fattori, nato a Livorno nel 1825 e attivo partecipante alle battaglie per l’Unità d’Italia. Nel suo quadro più celebre, “La battaglia di Magenta”, rievoca uno degli episodi della Seconda Guerra d’Indipendenza svoltasi il 4 giugno 1859, fra gli eserciti franco- piemontese e austro-ungarico. Fu la battaglia più grande e sanguinosa del Risorgimento italiano. Pochi sanno che furono le donne dei paesi della zona a fare bende e legacci con le proprie lenzuola e con le strisce degli abiti per dare il primo soccorso alle migliaia di feriti, senza distinzione tra gli eserciti di appartenenza. “Il campo italiano alla battaglia di Magenta”, 1861-1862, Galleria d'Arte Moderna, Firenze Il fervore patriottico, le ansie, le aspettative, le speranze dei soldati al fronte sono condivisi da chi resta ad attenderli, le donne, i bambini, gli anziani. Sono gli umili protagonisti, illustrati da una pittura che scopre la nazione attraverso la natura, l’esaltazione della casa, della famiglia, delle piccole grandi cose di ogni giorno. La donna adesso rappresenta il perno di un popolo che si risveglia: è al centro della famiglia ma lavora anche nei campi faticosamente, silenziosamente. Molti contemporanei non si accorgono dell’importanza del femminile, ma l’attento occhio dei Macchiaioli ne coglie il valore dando voce all’eroina anonima: nel mondo rurale, come in quello piccolo-medio borghese emergono solide e determinate figure femminili nella loro vita di ogni giorno.
  • 5. Alcune donne parteciparono alla lotta risorgimentale fin dai primi tempi. Eleonora Fonseca Pimentel, scrittrice di poesie e componimenti, fu in primo piano nella Napoli repubblicana e giacobina del 1799 e fu tra le prime ad essere condannata a morte dai seguaci reazionari della monarchia, una volta tornata al potere. Personalità più volte elogiata da Benedetto Croce, redattrice del giornale “Il Monitore Napoletano”, Eleonora Pimentel fece propri gli ideali della Rivoluzione Francese tanto da gettarsi nell’impegno politico per l’affermazione della libertà e per il progresso delle classi meno fortunate. Salì sul patibolo affrontando la morte con un’indifferenza uguale al suo coraggio e citando il Virgilio dell’Eneide: “Forsan et haec olim meminisse iuvabit!”4 “ Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”. Eleonora Fonseca Pimentel è solo una dei tanti esempi femminili attivi (contro la dominazione straniera) per l’Unità. Se da una parte possiamo sicuramente ricordare il contributo intellettuale di alcune donne, dall’altra non possiamo tralasciare l’intervento più pragmatico di alcune di esse. Negli anni della Restaurazione, dopo il 1815, alcune donne fecero parte della Carboneria nel ruolo di “ giardiniere ”. Donne di qualunque ambiente sociale potevano dare il loro contributo all’organizzazione, ad una condizione: condividere la carica reazionaria, unite dal malcontento per il loro tempo. Queste s’incontravano nei loro giardini in gruppi ristretti, di circa dieci persone. Come l’analoga organizzazione maschile, questa prevedeva due livelli: apprendista e maestra. Dopo aver superato la prima fase, venendo a conoscenza degli obiettivi del gruppo, la maestra si impegnava nel conseguimento del programma accordato. Nascondere il pugnale nella giarrettiera non era solo un segno di riconoscimento nella gerarchia tra membre, ma ilun chiaro simbolo del rischio dei loro intenti. L’esistenza della società delle giardiniere, in quegli anni, apparve inizialmente dubbia: fino ad allora, la donna era stata considerata esclusivamente nel suo ruolo di madre, moglie, sorella e amante, legando i suoi sentimenti esclusivamente all’area familiare-affettiva. Difficile era ritrattare la figura della donna, vista non più solo come protettrice del focolare domestico, ma agguerrita nemica del sistema dei suoi tempi. Giardiniere come Bianca Milesi, Maria Gambarana e Matilde Viscontini possono ben rappresentare la fierezza di queste donne nella partecipazione al gruppo. Le parole chiave della loro attività erano Onore, Virtù, Costanza e Perseveranza. Le donne non si limitarono solo a sostenere e a diffondere le nuove idee, ma parteciparono attivamente alle lotte impugnando le armi. Quando non avevano i fucili, adoperavano i forconi e i sassi. La pittura ci rimanda immagini di donne in umili case o in ville fastose, ma ci sono donne intrepide di tutti i ceti pronte ad appoggiare l’azione risorgimentale: le popolane aiutando i loro uomini, le borghesi magari scrivendo e lottando per i diritti del genere femminile. Tra costoro molte mazziniane e liberali parteciparono ai giornali dell’epoca, o addirittura a qualche azione patriottica. Erano le pioniere di una lotta che era già movimento per l’emancipazione che talvolta padri e mariti videro con sospetto. 4 Virgilio, Eneide, I, 203, parole con cui Enea faceva coraggio ai compagni nelle avversità della sorte e dei pericoli.
  • 6. La pittura ci offre soltanto qualche squarcio della partecipazione al processo risorgimentale, anche se molto indicativo. Si guardi ad esempio al quadro di Odoardo Borrani, “Le cucitrici di camicie rosse”.5 datato 1863 , che illustra perfettamente questa idea: le camicie rosse e sullo sfondo il ritratto di Garibaldi, anche se vengono rappresentate all’interno di un quieto salotto borghese. Donne speranzose e pazienti cuciono le divise dei loro combattenti, partecipando, seppur soltanto nella preparazione, ai fitti intrecci ottocenteschi. E’ così che le case, le famiglie si riempiono di quello spirito patriottico che ne fa le vere culle del Risorgimento. Cucendo bandiere e camicie il tricolore prese per la prima volta forma sulla stoffa in ricchi ricami. A Livorno gruppi di donne fecero vessilli per i circoli politici del 1849. La moglie di Andrea Sgarallino, un patriota borghese, è ricordata per aver nascosto addosso, durante l’occupazione austriaca, il tricolore cucito dalle donne di Reggio Emilia e donato ai Livornesi che combatterono a Curtatone nel “Le cucitrici di camicie rosse”, 1863 – Collezione privata 1848, sfidando con audacia la polizia granducale. Le donne erano escluse dai campi di battaglia, anche se comparivano nell’assistenza ai feriti: fu proprio il loro a far da spunto per la nascita della Croce Rossa nel 1864. Nonostante ciò, non mancavano immagini di donne sulle barricate, nella guerriglia come ben compare nel famoso quadro sulle Cinque Giornate di Milano di Carlo Stragliati6. Mentre alcune eroine risorgimentali come Cristina di Belgioioso furono nel cuore della battaglia nella Repubblica romana, altre donne seppero dare conforto agli uomini in armi, fornendo l’appoggio necessario per la buona riuscita degli scontri. Alcune aristocratiche alte borghesi seppero trasformare il loro salotto7 in luoghi di formazione delle idee liberali. Il salotto livornese di Angelica Palli Bartolomei, letterata e poetessa che meritò lode dai più grandi ingegni del suo tempo, fu il maggior centro della propaganda mazziniana negli anni compresi tra il 1820 e il 1840. Il suo boudoir fu frequentato da illustri personaggi, tra i quali spiccano i nomi di Bini, Guerrazzi, Manzoni, Ricci e tantissimi altri protagonisti del Risorgimento. Al contempo, a Firenze, il salotto di Emilia Toscanelli, protagonista di una bella e operosa “fucina” intellettuale, fu il cuore dei liberali più avanzati. A Milano erano attivi i salotti di Teresa Berra Cramer, sostenitrice dei moti del 1821; quello di Vittoria Cima, di educazione francese e di famiglia napoleonica, che divenne un punto di riferimento importante per la letteratura del tempo; della contessa Eugenia Tendolo Bolognini Litta , incline protettrice delle intemperanze di Enrico Boito e della Scapigliatura. Famoso fu anche il salotto della contessa Clara Maffei. Sorto intorno al 1834 a Milano, divenne ben presto luogo d’incontro d’intellettuali e politici. La fama poetica del marito e lo spirito d’iniziativa della stessa Clara non tardarono a renderlo il più celebre della penisola. Vi si ritrovarono Manzoni, Grossi, D’Azeglio, Rossini, Verdi, il pittore Hayez e la sua più cara amica, la poetessa Giulietta 5 http://it.paperblog.com/borrani-cucitrici-di-camicie-rosse-250176/ 6 http://i54.tinypic.com/66jm84.jpg Le Cinque Giornate di Milano – Carlo Stragliati 7 http://www.url.it/donnestoria/testi/trame/salotti.htm
  • 7. Pezzi. Dopo i moti rivoluzionari del 1848 Clara Maffei dette al suo salotto un forte connotato politico . “Chi sa alzare il pensiero al di sopra di questa povera terra, trova coraggio per ogni dura prova”8 Arte e letteratura allietavano le memorabili serate in via dei Tre Moschettieri, dove oggi un’epigrafe ricorda ai passanti l’impegno cultuale della padrona di casa. Altre donne agirono così, come le sorelle Lombroso e la genovese Bianca De Simone Rebizzo, fondatrice del Collegio italiano femminile di educazione, che ospitò Mamiani, Bixio, Mameli oltre a tanti esuli politici. Tra tutte spiccò la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso. Anche il suo salotto fu un centro di propaganda italiana e liberale, dove si incontravano personaggi del panorama musicale come Bellini, Chopin e Rossini, e di quello letterario, tra cui spiccarono Balzac, Hugo e l’allora emergente Tommaseo. La dissero eccentrica, avventuriera, narcisistica e filantropa. "Bella, nobile, intelligente, appassionata, è stata un esempio di donna moderna, insofferente all’oppressione straniera, risoluta a mettere in atto la sua fede per sovvertire l’ordine del suo tempo"9 Costruì abitazioni per i contadini e gli artigiani, asili e scuole, distribuì l’assistenza sanitaria. Fu una pioniera del messaggio di Croce Rossa: durante gli eventi bellici legati alla presa di Porta Pia del 1870 si adoperò in prima persona nell'assistenza ai feriti unendosi a un gruppo di giovani donne delle più varie estrazioni sociali. A soli 20 anni, nel 1828, iniziò la sua avventura politica alla quale si dedicò per l’intera vita, con convinzione e caparbietà. Iscritta alla Giovine Italia, la sua fortuna e la sua posizione sociale le permisero di fuggire a Nizza e poi a Parigi, dove privata dei propri beni in patria, fu costretta a vivere di pittura. Ancora una volta dimostrò il suo impegno parlando alla Camera francese per illustrare la penosa situazione italiana. Sempre a Parigi fondò la “Gazzetta Italiana” che successivamente chiamò l’Ausonio, diventando la prima donna Ritratto della principessa fondatrice e direttrice di un giornale. Belgioioso,1832 – Francesco E’ ricordata soprattutto come una veterana della rivoluzione italiana del Hayez, Collezione privata ‘48 .Tornata a Napoli e informata che Milano era insorta, raccolse fondi con l‘aiuto di molte patriote napoletane e si imbarcò con duecento volontari per portare aiuto ai milanesi. Quando, nel 1849, la Repubblica romana si difendeva dall’attacco francese e al contempo i suoi politici si attivavano per scrivere la Costituzione repubblicana con l’aiuto di Garibaldi e Mazzini, non esitò ad accorrere riorganizzando gli ospedali romani. Unica firma femminile sul numero uno della rivista “Nuova Antologia” scrisse il saggio “Della presente condizione delle donne e del loro avvenire”. A conclusione della sua opera: “Vogliano le donne felici dei tempi a venire rivolgere il pensiero alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata felicità.” 8 Estratto dall’epistolario con Carlo Tenca, principale animatore del salotto della contessa Clara Maffei, alla quale era sentimentalmente legato: http://www.movimentolibero.it/150%C2%B0-unita-ditalia/note-risorgimentali-xxxii-il-salotto-della-contessa-maffei.html 9 Estratto di una lettera di Francesco Hayez sull’amica Belgioioso
  • 8. Nel nostro paese l’affermazione dei diritti delle donne emerge con evidenza nel corso del periodo risorgimentale e molte di loro si formarono alla scuola della Giovine Italia e della cultura mazziniana, garibaldina e democratica. Sebbene furono per lo più le popolane a combattere concretamente, molte altolocate ebbero il sogno di abbracciare le armi e dare il loro contributo: “Mentre tutti gli italiani corrono alle armi per liberare la nostra generosa nazione dal giogo straniero , noi donne italiane non sappiamo resistere al bisogno di servire noi pure ad una causa sì santa. Coi nostri padri, coi nostri mariti, coi nostri fratelli, vogliamo dividere i pericoli; vogliamo dividere con essi l’onore di salvare questa patria comune. Debole è certo il soccorso delle nostre braccia, ma s’è vero che la difesa più tremenda è il coraggio , noi portiamo fiducia di poter in questi gravi momenti giovare alla patria. Cittadino comandante! Alla vostra Guardia Civica aggiungete un battaglione di donne, destinate da voi, quando urga il pericolo, o a curar i soldati feriti, o a formare cartucce, o a trattare le armi, le Veneziane non isdegneranno nessun ufficio, il quale abbia per fine la Indipendenza di tutta Italia.10” La disuguaglianza fra i sessi e il disprezzo verso le donne si concretizzava anche sul campo di battaglia: quando venivano trovate morte, i nemici ne facevano a pezzi i cadaveri. Ma le donne non si facevano intimorire, si vestivano da uomo e andavano a combattere, proprio come fece Rosalia Montmasson, moglie di Francesco Crispi, che sfidò i tempi e i costumi con inusuali scelte di vita. Dopo aver seguito il marito in esilio in Piemonte e a Malta, fu accusata di complotto in associazione con Felice Orsini per il tentato assassinio dell’imperatore francese Napoleone III durante una parata. Costretta così a fuggire a Londra, Rosalia dovette aspettare ben tre anni per fare ritorno in patria. Il maggior merito riconosciutole riguarda il 1860, anno centrale per la storia italiana: fu l’unica donna che partecipò alla spedizione dei Mille. Travestita da uomo, con camicia rossa, spada e carabina, s’imbarcò a Quarto contro la volontà del marito. Sfidando ogni pregiudizio che riguardasse anche l’intervento del femminile sul campo, dimostrò il L’epigrafe in onore dell’eroina risorgimentale in Via suo valore sia imbracciando il fucile sia prestando Scala a Firenze soccorso ai feriti. Un altro caso noto è quello di Colomba Antonietti che, vestita da garibaldino, si era battuta eroicamente nella battaglia di Velletri . La sua vicenda fu al centro di un acceso dibattito che, già pochi anni dopo il 1849, contrappose repubblicani e cattolici in un contenzioso per la giusta versione dell’accaduto. Combattente intrepida secondo i repubblicani, travestita da uomo per ricongiungersi al marito secondo le ipotesi dei cattolici che mettevano in dubbio anche il suo attivo coinvolgimento negli scontri perché incompatibile con la vocazione materna della donna. Garibaldi stesso narra nelle sue memorie il tragico scontro in cui il marito, il conte Luigi Porzi, perse la vita: “La palla di cannone era andata a battere contro il muro e ricacciata indietro aveva spezzato le reni di un giovane soldato. Il giovane soldato posto nella barella aveva incrociato le mani, alzato gli occhi al cielo e reso l’ultimo respiro. Stavano per recarlo all’ambulanza quando un ufficiale si era gettato sul cadavere e l’aveva coperto di baci. Quell’ufficiale era Porzi. Il giovane soldato era Colomba Antonietti, sua moglie, che lo aveva seguito a Velletri e combattuto al suo fianco.11” 10 “Raccolta per ordine cronologico di tutti gli atti, decreti, nomine ecc. del governo provvisorio della Repubblica Veneta”,1848 http://books.google.it/books?id=PI8ZAQAAIAAJ&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false 11 Estratto da “Le eroine del Risorgimento: amore e politica al femminile” con breve citazione delle Memorie di Garibaldi
  • 9. Il 13 giugno dello stesso anno, Colomba cadde sul campo durante la difesa di Porta San Pancrazio a Roma, durante un attacco dei francesi. La notizia della sua morte corse per la penisola tramite i giornali e le innumerevoli parole di lode di storici e politici. Il suo nome, ancora oggi, è accanto aaccosta quello del marito nella cappella di Santa Cecilia dell’Accademia Musicale a Roma, dove le loro salme furono tumulate. Ma l’esempio più luminoso e amato di donna combattente fu Anita Garibaldi. Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva conobbe Garibaldi, comandante della squadra navale di Catarina, nel luglio 1839 a Laguna, in Brasile. Da quel giorno divenne l’inseparabile compagna del generale non solo negli eventi risorgimentali che le diedero fama, ma anche nelle vicende tra Uruguay e Argentina che coinvolsero l’eroe dei due mondi. Quando egli fu richiamato dall’esilio americano da re Carlo Alberto, Anita ebbe la possibilità di conoscere la terra natia del proprio marito. Da subito sensibile alle problematiche della penisola, l donna gli fu di gran sostegno sia accompagnandolo nelle sue imprese sia incoraggiandolo nella fatica e nell’incertezza. Lo seguì a Roma sul campo di battaglia nei combattimenti in difesa della Repubblica Romana, minacciata dalle truppe francesi e napoletane nel 1849. I continui capovolgimenti dello scontro costrinsero la coppia a fuggire con il rimanente delle truppe garibaldine. Quando la Repubblica romana cadde, anche se incinta del loro quinto figlio, volle essere con lui nella lunga fuga verso il nord della penisola. Dopo aver guadato fiumi e paludi, in una pineta di Ravenna, Anita si lasciò morire dalla stanchezza. Fu rimpianta da tutti gli amanti della libertà che videro in lei un simbolo. “ Sorridimi sempre, è il solo sorriso che mi venga dalla vita!12” Così Mazzini scriveva di Giuditta Sidoli, sua grande collaboratrice nella Giovine Italia. Nonostante Mazzini avesse avuto un infinità di relazioni sentimentali, fu lei il suo unico vero amore. Compagna passionale e ribelle portavoce degli ideali risorgimentali, Giuditta fu spiata e incarcerata come pericolosa emissaria dell’organizzazione insurrezionale. La polizia austro- borbonica, nel rapporto del suo arresto, scrisse di lei: età 29 anni, statura piuttosto alta, capelli biondi. occhi grandi e scuri, bellissima ed “estremamente problematica per la sicurezza del Regno.” Giuditta è ancora oggi un personaggio affascinante poco citato e studiato. Nè moglie nè amante, il suo ruolo non è codificabile se non nella pari dignità di uomo e donna che fu nel pensiero di Mazzini, per il quale la democrazia, ancora prima di un insieme Ritratto di Giuditta Sidoli, 1835 – di regole scritte, deve essere il modo giusto di sentire e vivere i Pittore anonimo, Museo Glauco rapporti umani. Lombardi, Parma Da quello spirito si sviluppò il femminismo italiano interpretato da quelle donne che seppero rappresentare i bisogni di tutte, anche di quelle che la condizione sociale confinava all’ultimo gradinino della scala della società, ultime anche nelle famiglie di cui portavamo il peso più grande. Iniziando dalle numerose e scomode manifestazioni di piazza, le italiane riuscirono lentamente a farsi spazio in editorie e sedi giornalistiche e ad estendere a un pubblico sempre più vasto la loro passione politica dall’alto connotato polemico. Sebbene la lotta per l’emancipazione della donna giunse in ritardo in Italia, in accordo con l’avanzare della rivoluzione industriale, le suffragette si fecero subito vedere come consapevoli del proprio ruolo determinante anche nella politica e decise nel loro obiettivo: rivendicare il suffragio. 12 http://www.url.it/donnestoria/testi/trame/sidoli.htm
  • 10. Nel 1868 Gualberta Alaide Beccari, protagonista del movimento emancipazionista italiano, fondò a Padova il giornale “La donna”, prima rivista femminile di impegno civile e politico. In esso le donne trovarono spazio, speranze e idee, fecero conoscere le loro poesie, la loro letteratura, il loro desiderio di cambiamento. Su quelle pagine si parlò di lotte per il divorzio, contro la pena di morte e per l’estensione del voto all’elettorato femminile e, non ultima,dell’educazione dei figli. Il giornale di Gualberta Alaide guidò le donne alla scoperta dei propri diritti e anche alla scoperta dei diritti dei lavoratori, uomini o donne che fossero. Scrittrice, pubblicista e autrice di teatro, il suo impegno profuso nell’avanzata femminile permeò la sua vita. Animata dal pensiero mazziniano e patriottico, Alaide spiccò ben presto nella vita pubblica fino a ricoprire incarichi importanti in politica, da sempre considerati inadeguati a una donna. Il suo quotidiano, fondato a soli ventisei anni grazie alla disponibilità economica in virtù della sua estrazione alto-borghese, vantava di un’ampia rosa di scrittrici e artiste che trovarono modo di emergere nel panorama culturale. Tra queste ricordiamo: Emilia Mariani, futura fondatrice del settimanale “L’Italia femminile” e cooperatrice di una rubrica con Sibilla Aleramo; Angelica Palli, scrittrice e poetessa, autrice dell’opera “Discorsi di una donna alle giovani maritate del suo paese” in cui rivaluta il ruolo della donna nella famiglia e nella politica; Maria Pastore Mucchi, grande giornalista ricordata per i suoi articoli incisivi su “La donna” “ Che cosa vuole la donna moderna? Diventare ragione senza perdere il sentimento, diventare diritto senza perdere il dovere, diventare lavoro senza perdere la poesia. Ecco perchè la mentalità a cui aspirano le donne contemporanee è uno dei grandi segni precursori dei tempi nuovi e sarà una delle più grandi potenze dell’ avvenire.13” Così scriveva Maria Pastore Mucchi in un articolo su “La donna” del 5 aprile 1909. Era la cultura più alta del Risorgimento italiano che, così diffusa fra le donne, consentì loro un maggiore grado di condivisione rispetto alla politica maschile perchè indirizzata, prima di tutto, al principio di solidarietà . Anna Maria Mozzoni, donna colta e pragmatica, fu la prima emancipazionista che identificò nella questione femminile la base per la formazione di una democrazia compiuta e lottò perché le donne potessero votare. Nel 1871 fu chiamata da Mazzini a collaborare a “La Roma del popolo “, giornale dove scrisse in quattro puntate l’articolo “Sulla questione dell’emancipazione della donna in Italia”, documento rappresentativo nella questione femminile. L’altro Risorgimento, quello ignorato o censurato dalla storia omologata, fu vissuto da donne istruite che non accettarono matrimoni imposti o infelici, che sacrificarono ricchezze o vite agiate; altre furono mogli e madri esemplari, intellettuali, nobili, borghesi, ma anche donne del popolo, tutte accomunate dal desiderio di riscatto, per conquistare il diritto al voto. Lottarono per la democrazia contro tutti i poteri assoluti, per i loro figli e per ogni italiano futuro, e condivisero, prime e forse uniche in quegli anni, la prospettiva umanitaria mazziniana. Prendendo distanza dalla concezione che la vedeva nell’esclusivo ruolo all’interno del nucleo familiare, la donna poté farsi padrona dell’autonomia di giudizio, della capacità decisionale e dell’individualità che troppo a lungo le erano state sottratte. 13 http://www.url.it/donnestoria/testi/accardidonne/acprotagoniste.htm
  • 11. E’ con l’intervento femminile che il progetto di “una nazione in armi” trova pieno compimento nel Risorgimento: l’entusiasmo e l’energia, anche nel sacrificio, furono stati d’animo indispensabili per saldare il popolo e unire la nazione. Per molte, essere cittadina italiana significava dimostrarsi meritevole di far parte della propria Patria ed essere pronta a sacrificarsi per essa, non solo in quanto madre e moglie, ma anche come persona consapevole e giudiziosa riguardo il proprio tempo. La scissione tra queste due identità costituiva un ostacolo per tutta la comunità che quest’ultima doveva impegnarsi a superare. Il vero spirito italiano, intollerante alla dominazione straniera, animato da fratellanza e coesione, prende forma nei gesti e nei pensieri delle sue eroine: le cucitrici di camicie rosse, le prime giornaliste, curatrici e sostenitrici, sono solo alcune delle tante realtà di cui non possiamo fare a meno per una visione sempre più ampia e variegata del lungo processo che ci portò a diventare Paese. La nostra Unità fu frutto di un radicale movimento partito dal basso, in cui l’intero popolo, mosso dal comune senso di appartenenza e voglia di cambiamento, ha saputo imporsi senza arrendersi davanti a ostacoli e sacrifici. La duplice battaglia della donna, per la società e per la nazione, merita il riconoscimento che le è dovuto: come lotta al pregiudizio e al sistematico, il femminile ha dato prova del raggiungimento degli obbiettivi di fronte a una forza unitaria e determinata. Quelle donne furono le avanguardie più preziose di quella massiccia partecipazione che le vide impegnate nella lotta contro il fascismo, nella resistenza fino al raggiungimento della Costituzione la quale, scritta anche dalle donne, finalmente sanciva tutte le aspirazioni risorgimentali e il loro diritto di voto.