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RELAZIONE a cura della Dott.ssa Laura Crapanzano del Comando di Polizia Locale di Massa;
Voglio iniziare questa lezione sulla violenze con un aforisma, Qualunque cosa distrugga la libertà
non è amore. Deve trattarsi di altro, perché amore e libertà vanno a braccetto,
sono due ali dello stesso gabbiano».
- Osho –
Tutto quello che non è libertà, non è amore, ma solamente una forma perversa di possessione, ma
andiamo ad analizzare tutti gli elementi essenziali che distinguono questa forma di reato, che si
concretizza, con l’abuso sulla persona che noi presumiamo di amare..... state bene attenti al
termine... PRESUMIAMO.......
Consideriamo violenza sulle donne ogni forma di abuso (fisico, psicologico, economico, sessuale)
esercitato nei loro confronti.
Violenza fisica
Ogni abuso sul il corpo, così come sulle le proprietà personali. Sono segni visibili, ed inconfutabili,
Esempi: percosse, spintoni, lesioni, distruzione di oggetti, di documenti, di permessi di soggiorno,
ecc.
Violenza psicologica
Ogni abuso e mancanza di rispetto che colpisce la dignità e l’identità di persona.
Esempi: critiche e insulti costanti, umiliazioni e apprezzamenti negativi davanti agli altri,
limitazione negli spostamenti, minacce e intimidazioni alla donna o ai familiari, minacce di
suicidio, manipolazione della donna al fine di farla dubitare di se stessa, dei suoi giudizi sulla
realtà, fino a farla sentire confusa, sbagliata o folle. ecc.
Con il termine “violenza psicologica” mi riferisco ad una serie di atteggiamenti e discorsi volti
direttamente a denigrare l’altra persona e il suo modo di essere. Rientrano in questa definizione tutte
quelle parole e quei gesti che hanno lo scopo di rendere l’altro insicuro, così da poterlo controllare e
sottomettere.
«Mio marito non mi ha mai picchiata; ero convinta di non aver mai conosciuto la violenza di
coppia, poi invece mi sono resa conto che semplicemente non era necessario che mi picchiasse
perché seguissi ogni suo volere. Pensavo di non essere in grado di scegliere e di fare da sola. Le
botte sono arrivate con i miei primi “no”.»
La violenza psicologica si articola intorno a particolari comportamenti e/o atteggiamenti che si
ripetono e si rafforzano nel tempo; una serie di violenze che generalmente seguono il seguente
schema: tutto inizia con il controllo sistematico dell’altro, si passa poi alla gelosia e alle molestie
assillanti, fino ad arrivare alle umiliazioni ed al disprezzo.
Il controllo può tradursi in un comportamento eccessivamente geloso e patologico, caratterizzato da
sospetti continui ed infondati. Il partner diventa un oggetto da possedere in maniera esclusiva,
non viene riconosciuto in quanto persona “altra da sé”.
Spesso, nell’ambito della violenza domestica, il controllo sulla donna è mantenuto grazie anche al
suo progressivo isolamento: le viene impedito di lavorare (o di accedere alle finanze
personali/comuni) e di avere una vita sociale, di vedere gli amici, di mantenere rapporti con
quest’ultimi e con la famiglia, allo scopo di renderla completamente dipendente dal compagno, così
che non sfugga al suo controllo.
L’isolamento è al contempo causa e conseguenza dei maltrattamenti; in queste situazioni le donne
dicono spesso di sentirsi prigioniere.
Una strategia alla base della violenza psicologica è costituita dalle critiche avvilenti volte a minare
l’autostima della persona, a mostrarle che è priva di valore; per esempio la persona può essere
denigrata per quello che fa, può essere accusata di pazzia, criticata rispetto al suo aspetto fisico o
alle sue capacità intellettuali. Umiliare, svilire, ridicolizzare, costituiscono atti peculiari della
violenza psicologica. Talvolta, quando le critiche e le umiliazioni sono a contenuto sessuale, queste
generano un senso di vergogna che diventa un ulteriore ostacolo nel cercare un aiuto esterno.
La violenza psicologica può includere anche minacce o atti intimidatori quali lo sbattere le porte,
lanciare o rompere gli oggetti, maltrattare animali domestici, ecc. Queste non vanno considerate
forme di violenza repressa, bensì azioni di violenza indiretta. Tali comportamenti vogliono
intimorire l’altro, minacciarlo della propria forza e capacità di fare del male (agli altri e a se stessi).
La minaccia di suicidio costituisce una violenza di estrema gravità perché porta il partner a
sentirsi responsabile delle azioni dell’altro e a dover restare immobile per il timore delle
conseguenze di ogni sua scelta.
Se alcuni di questi comportamenti, presi singolarmente, possono rientrare nel quadro di un acceso
litigio di coppia, è il carattere ripetitivo e il protrarsi nel tempo di queste situazioni a
configurarli come una forma di violenza psicologica. La violenza, inoltre, si differenzia dalla
conflittualità per l’asimmetria dello schema relazionale.
La sistematica denigrazione ed i continui insulti alla persona, uomo o donna che sia, minano la sua
autostima, e più in generale al suo senso di identità. Sentendosi continuamente disprezzata, essa
stessa comincerà a disprezzarsi ed a sentirsi non degna di essere amata e rispettata. La ripetitività e
il carattere umiliante di tali situazioni possono provocare un vero e proprio processo
distruttivo, a livello psicologico, per la persona che subisce, che addirittura può condurre al
suicidio.
Tuttavia, mentre gli effetti della violenza fisica sono immediatamente visibili e facilmente
diagnosticabili, è molto più difficile valutare quelli provocati da una violenza di tipo psicologico.
Esiste inoltre una certa difficoltà ad individuare le violenze psicologiche stesse, dal momento che i
loro confini non sono così definiti: una medesima azione può assumere significati diversi a seconda
del contesto in cui si inserisce ed a seconda della persona che la valuta.
La violenza psicologica spesso viene negata sia dall’aggressore che dai testimoni; non ci sono dati
oggettivi che provano la realtà di ciò che la vittima subisce e questo fa sì che essa stessa dubiti di
ciò che prova.
Tutto questo rende necessarie iniziative di sensibilizzazione e formazione su questo tema così
importante, sia in un’ottica di intervento, che preventiva, allo scopo di ridurre il rischio di diventare
vittime (o carnefici) all’interno di questi pericolosi meccanismi psicologici.
Infine è importante sottolineare che la problematica della violenza, in tutte le sue forme, non può
essere confinata ad una dimensione individuale o di coppia, ma necessita di essere rinviata ad un
sistema più ampio, quello delle relazioni sociali; l’obiettivo deve essere quello di un cambiamento a
livello sociale e culturale, che favorisca un’evoluzione delle relazioni di genere, fondate sul
riconoscimento della persona e sul rispetto dell’alterità.
Violenza economica (questa è la più subdola, pesche si priva la persona che si presume di
amare a soggiacere e chiedere mendicando qualcosa che è gia di sua proprieta, come lo
stipendio, oppure se non lavora, qualunque cifra anche irrisoria, che possa servire per
acquistare un bene per se stessa o per i figli)
Ogni forma di controllo e di prevaricazione sull’autonomia economica e sui diritti di legge.
Esempi: divieto di lavorare o di cercare un lavoro, segreto sulle entrate familiari, blocco
dell’accesso al denaro personale o comune, controllo assoluto del patrimonio familiare, estorsione
di firme su conti correnti o atti pubblici, mancato adempimento degli obblighi di mantenimento,
ecc.
Violenza sessuale
Ogni forma di imposizione e di coinvolgimento in attività sessuali non desiderate.
Esempi: il partner/ un familiare/un amico/ un conoscente/ un estraneo costringe a rapporti sessuali
indesiderati, impone l’utilizzo di materiale pornografico, obbliga a attività sessuali in presenza di o
con altre persone, ecc.
Violenza culturale
Ogni forma di violenza contro le donne considerata normale componente del tessuto culturale e in
alcuni casi non identificata come tale neppure dalle vittime.
Esempi: crimini d’onore, pratiche rituali quali le mutilazioni genitali femminili, matrimoni forzati,
schiavizzazione e isolamento fisico e morale, tratta e riduzione in schiavitù, ecc.
Stalking, detto anche “sindrome del molestatore assillante”
Ogni forma di comportamento anomalo e fastidioso verso una persona, costituita da comunicazioni
intrusive oppure da comportamenti volti a controllare la propria vittima.
Esempi: telefonate e lettere anonime, sms ed e-mail assillanti, invio di fiori, pedinamenti,
appostamenti, sorveglianza sotto casa, violazione di domicilio, minacce di violenza, aggressioni,
fino ad omicidio o tentato omicidio.
Violenza assistita intrafamiliare
Ogni atto di violenza contro un elemento della famiglia (nella maggior parte dei casi si tratta di una
madre vittima di un partner violento) che avviene nel campo percettivo di un minore.
Esempi: bambini che assistono a maltrattamenti sulla madre ad opera del coniuge violento e spesso
costretti a mantenere il segreto su ciò che succede in famiglia.
Violenza sul lavoro
Ogni comportamento lesivo dell’integrità psico-fisica della persona nel rapporto e nel luogo
lavorativo. Riguarda le donne impiegate nelle varie aree dei settori economici industriali,
commerciali, dei servizi, fra cui le lavoratrici che svolgono il lavoro domestico e l’assistenza alla
cura della persona. Sono più a rischio le lavoratrici immigrate con riferimento particolare a quelle
irregolari.
Esempi: ricatti sessuali al momento dell’assunzione o per un avanzamento di carriera o per il
rinnovo del permesso di soggiorno, ricatto occupazionale legato alla gravidanza , violenze sessuali,
lavoro forzato, mobbing.
I diversi tipi di violenza possono manifestarsi singolarmente o, come accade più spesso,
congiuntamente.
Andiamo ad analizzare chi sono i soggetti quali gli elementi oggettivi e la prova del bene
giuridico tutelato secondo la giurisprudenza e le norme di legge
Soggetti e bene giuridico tutelato
Anche se la casistica in astratto enucleabile mostra che spesso vi è un rapporto di natura affettiva,
sentimentale o comunque qualificato che lega il soggetto agente alla vittima (ad es. fidanzati o ex
mariti gelosi, o anche stalker su "commissione" che commettono il reato al posto di un altro, ecc.),
per l'art. 612-bis c.p. lo stalking è un reato comune che può essere commesso da chiunque,
anche da chi, dunque, non abbia alcun legame di sorta con la vittima, senza presupporre l'esistenza
di interrelazioni soggettive specifiche (Cass. n. 24575/2012).
Ciò costituisce peraltro il discrimine con il più grave reato di maltrattamenti in famiglia (a
meno che non intervenga la c.d. "clausola di sussidiarietà" prevista dall'art. 612-bis, comma 1, c.p.,
"salvo che il fatto costituisca più grave reato" che renderebbe applicabile il reato di cui all'art. 572
c.p.), reato proprio che può essere commesso soltanto da chi ricopra un ruolo nel contesto
familiare (coniuge, genitore, figlio, ecc.) o una posizione di autorità o peculiare affidamento nelle
aggregazioni comunitarie assimilate alla famiglia dall'art. 572 c.p. (come organismi di educazione,
istruzione, cura, ecc.) (Cass. n. 24575/2012).
Tuttavia, occorre sottolineare, come anche il reato di cui all'art. 612- bis c.p. nell'ipotesi prevista dal
secondo comma faccia riferimento ad ambiti latamente legati alla comunità della famiglia,
poichè il soggetto attivo di questa forma aggravata, avente natura di reato proprio, è individuato nel
"coniuge legalmente separato o divorziato o un soggetto che sia stato legato da relazione affettiva
alla persona offesa".
Quanto al soggetto passivo, la norma oltre a tutelare la vittima "principale", oggetto delle
molestie dello stalker, estende la propria protezione anche a quanti sono legati alla stessa da rapporti
di parentela (prossimi congiunti) o da relazioni affettive.
Per quanto attiene, infine, al bene giuridico protetto, come si evince dalla stessa collocazione,
nel capo III del titolo XII tra i delitti contro la persona, il reato di atti persecutori tutela
innanzitutto la libertà morale, intesa quale facoltà dell'individuo di autodeterminarsi.
La fattispecie incriminatrice mira, inoltre, a tutelare gli ulteriori beni giuridici dell'incolumità
individuale e della salute, nonché secondo diverse tesi, la tranquillità psichica e la riservatezza
dell'individuo, posto che ai fini della configurazione del reato "è sufficiente che gli atti ritenuti
persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell'equilibrio psicologico della
vittima" (Cass. n. 8832/2011).
Finalità perseguita dal legislatore del 2009 sarebbe, dunque, quella di tutelare il soggetto "da
comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando
ansie, preoccupazioni e paure, con il fine di garantire alla personalità dell'individuo l'isolamento da
influenze perturbatrici" (Cass. n. 25889/2013).
Elemento oggettivo
Elemento costitutivo, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 612-bis c.p., è innanzitutto,
come dispone la norma, la reiterazione delle condotte persecutorie, idonee, alternativamente, a
cagionare nella vittima un "perdurante e grave stato di ansia o di paura", a ingenerare un "fondato
timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da
relazione affettiva" ovvero a costringerla ad alterare le "proprie abitudini di vita".
Il delitto di stalking rientra, quindi, nella categoria dei reati abituali (Cass. n. 20993/2012), per
la cui configurabilità sono sufficienti anche "due sole condotte di minaccia o molestia" come tali
idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (Cass. n. 45648/2013; Cass.
n. 6417/2010).
Quanto al contenuto di tali condotte, a titolo esemplificativo, si sottolinea come la giurisprudenza
abbia ritenuto, in questi anni, atti persecutori idonei ad integrare il delitto di stalking anche
comportamenti che non necessitano della presenza fisica dello stalker (Cass. n. 32404/2010), come:
le ripetute telefonate (Cass. n. 42146/2011), l'invio di buste, sms, e-mail e messaggi tramite
internet, nonché la pubblicazione di post o video a contenuto ingiurioso, sessuale o minaccioso sui
social network (Cass. n. 14997/2012; Cass. N. 32404/2010); oltre, altresì, al danneggiamento
dell'auto della vittima (Cass. n. 8832/2011), alle aggressioni verbali alla presenza di testimoni e alle
iniziative gravemente diffamatorie presso i datori di lavoro della vittima per indurre questi ultimi a
licenziarla (Cass. n. 34015/2010), nonché, altresì, ai reiterati apprezzamenti, invii di baci e sguardi
insistenti e minacciosi (Cass. n. 11945/2010).
La reiterazione delle condotte, tuttavia, non è sufficiente da sola all'integrazione del reato,
occorrendo che le medesime siano idonee a cagionare uno dei tre eventi alternativamente
previsti dalla norma incriminatrice, in base ad una valutazione di idoneità condotta in concreto
dal giudice, sulla base della dimostrazione del nesso causale tra la condotta posta in essere
dall'agente e i turbamenti derivati alla vita privata della vittima" (Corte Cost. n. 172/2014; Cass. n.
46331/2013; Cass. n. 6417/2010).
Secondo la giurisprudenza, infatti, si tratta di un "reato abituale di evento, a struttura causale e non
di mera condotta" che si caratterizza, per la produzione di un evento di "danno" (consistente,
appunto, nell'alterazione delle abitudini di vita, in un perdurante e grave stato di ansia o di paura,
ovvero, di un fondato timore per l'incolumità propria, di un prossimo congiunto o di una persona
alla quale il soggetto è legato da relazione affettiva), "per la cui sussistenza, dunque, è sufficiente il
verificarsi di uno degli eventi previsti" (Cass. n. 17082/2015).
In ordine alle conseguenze causate alla vittima dalle condotte persecutorie, quanto al
"perdurante e grave stato di ansia o di paura" sofferto dalla persona offesa, l'orientamento della
giurisprudenza (di merito e di legittimità) ritiene che, ai fini della sussistenza del reato de quo, non
è necessario l'accertamento di uno stato patologico, essendo sufficiente che gli atti persecutori
"abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della
vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612 bis c.p. non costituisce una
duplicazione del reato di lesioni (art. 582 c.p.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica
che come malattia mentale e psicologica" (Cass. n. 16864/2011).
Quanto al "fondato timore per l'incolumità", rispetto a un iniziale approccio ermeneutico che
identificava l'oggetto dell'aggressione nell'incolumità fisica del soggetto, giacchè sola condotta
suscettibile di ingenerare appunto un timore fondato, la giurisprudenza ha chiarito che ogni
condotta, minacciosa o aggressiva, anche laddove rivolta verso cose e non verso la persona, può
integrare il reato di atti persecutori, a patto che, per le modalità di attuazione e la cadenza temporale
in cui si è sviluppata, sia idonea a cagionare concretamente uno dei tre eventi richiesti,
alternativamente, dalla fattispecie incriminatrice (cfr. Cass. n. 8832/2011).
Per quanto concerne, infine, il riferimento all'alterazione delle "proprie abitudini di vita", deve
intendersi, quel "complesso di comportamenti che una persona solitamente mantiene nell'ambito
familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretto a mutare a seguito dell'intrusione
rappresentata dall'attività persecutoria, mutamento di cui l'agente deve avere consapevolezza ed
essersi rappresentato, trattandosi di reato per l'appunto punibile solo a titolo di dolo" (Corte Cost. n.
172/2014).
Elemento soggettivo
Per quanto concerne l'elemento soggettivo del reato è sufficiente il dolo generico, consistente nella
volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia descritte nella norma con la
consapevolezza della loro idoneità a produrre taluno degli eventi parimenti descritti nella stessa
(Corte Cost. n. 172/2014; Cass. n. 20993/2012; Cass. n. 7544/2012).
Non è necessaria dunque una rappresentazione anticipata del risultato finale, ovvero la
coscienza dello scopo che si vuole ottenere, "essendo al contrario sufficiente la costante
consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell'apporto
che ciascuno di essi arreca alla lesione dell'interesse protetto" (Cass. n. 20993/2013).
In sostanza, bastano la coscienza e la volontà delle singole condotte con la consapevolezza che
ognuna di esse andrà ad aggiungersi alle precedenti formando un insieme di comportamenti
offensivi (Cass. n. 29859/2015); il dolo si svilupperà dunque in "itinere" quale rappresentazione
di tutti gli episodi già posti in essere, della loro frequenza e del nesso che li collega all'ulteriore
apporto criminoso (cfr., in dottrina, Garofalo).
La prova dello stalking
Ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, trattandosi di delitto che prevede eventi
alternativi, la realizzazione di ognuno dei quali è idonea ad integrarlo, per la giurisprudenza
costante della S.C., non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa,
essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e
di timore per la propria incolumità (Cass. n. 7042/2013).
La sussistenza del grave e perdurante stato di turbamento emotivo di cui all'art. 612-bis c.p.
prescinde, inoltre, dall'accertamento di uno stato patologico conclamato (Cass. n. 40105/2011; Cass.
n. 42953/2011), essendo sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto
destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, posto che la fattispecie
incriminatrice in parola non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 cod. pen.), il
cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica (Cass.
n. 8832/2011).
La prova dell'evento, dunque, non può che essere ancorata ad elementi sintomatici di tale
turbamento psicologico, atteso che non può scandagliarsi diversamente "il foro interno" della
vittima. Assumono allora importanza, ai fini della prova, sia le dichiarazioni della stessa vittima
del reato, sia i "comportamenti conseguenti e successivi alla condotta posti in essere dall'agente e
anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo
profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata
consumata" (Cass. n. 46510/2014; Cass. n. 14391/2012).
Ne deriva che "l'effetto destabilizzante deve risultare in qualche modo oggettivamente
rilevabile e non rimanere confinato nella mera percezione soggettiva della vittima del reato,
ma in tal senso anche la ragionevole deduzione che la peculiarità di determinati comportamenti
suscitino in una persona comune l'effetto destabilizzante descritto dalla norma corrisponde alla
segnalata esigenza di obiettivizzazione, costituendo valido parametro di valutazione critica di quella
percezione" (Cass. n. 24135/2012).
Queste forme di violenze, però sono tutti reati perseguibili d’ufficio o su querela della persona
offesa, a seconda delle aggravanti;
1. Il reato di minaccia
E' possibile ravvisare la minaccia, reato disciplinato dall'art. 612 c.p., in qualsiasi manifestazione
esterna che, a fine intimidatorio, rappresenti in qualunque forma al soggetto che la subisce il
pericolo di un male che possa essere cagionato alla sua persona o al suo patrimonio. La minaccia
puo' rappresentare uno degli elementi caratterizzanti il reato di Stalking, da quest'ultimo, tuttavia, si
differenzia limitandosi alla sola raffigurazione di un possibile evento malevolo, senza la
compressione della liberta' morale della vittima, che e' invece presupposto per la prima fattispecie di
reato.
Osservando i vari orientamenti della giurisprudenza, si nota come la minaccia assuma varie forme
di manifestazione: orale, per iscritto, con disegni espliciti, con gesti o con atteggiamenti espressivi
(come quelli, ad esempio, di mostrare un'arma). Non occorre che la minaccia sia proferita alla
presenza del destinatario, sussistendo anche nel caso di affermazioni rivolte a persone di famiglia o
a persone legate da un vincolo coniugale o sentimentale con lo scopo che queste siano riferite alla
persona interessata (minacce trasversali).
La minaccia non aggravata, perseguibile solo a querela della persona offesa, risulta oggi di
competenza del giudice di pace e, prevedendo una pena pecuniaria sino ad un massimo di euro 51,
non sembra poter esercitare un'effettiva pretesa punitiva nei confronti del colpevole. Viceversa, la
minaccia grave (determinata dalla particolare gravita' della minaccia o dall'utilizzo di armi) e'
perseguibile d'ufficio, risulta di competenza del Tribunale monocratico (cioe' di un solo giudice
giudicante) ed e' punita con la reclusione fino ad un anno.
2. Il reato di molestia o disturbo delle persone
La norma che disciplina il reato di molestia, previsto dall'art. 660 c.p., e' quella che piu' di altre ha
reso possibile in passato reprimere condotte reiterate ed abusanti che solo oggi, a seguito della
recente introduzione dell'art. 612bis c.p., possono essere ricondotte al cosiddetto reato di Stalking.
In comune con quest'ultima figura delittuosa, la molestia presuppone la reiterazione dei
comportamenti di disturbo, nonche' la volonta' malevola finalizzata ad arrecare fastidio e
vessazioni: la Suprema Corte di Cassazione, ha precisato, tuttavia, che il suddetto reato non e' per
sua natura necessariamente abituale, essendo sufficiente anche una sola azione di disturbo o
molestia.
Tra le varie casistiche rilevate dalla giurisprudenza si annoverano, a titolo di esempio:
 le proposte di appuntamenti galanti non gradite;
 le continue ed inconcludenti telefonate con le quali vengono poste le medesime domande
senza una ragione che ne giustifichi in alcun modo la reiterazione;
 il continuo e persistente corteggiamento (chiaramente non gradito) di una donna svoltosi con
ripetuti pedinamenti e continue telefonate;a
 il seguire, a bordo di un veicolo, un gruppo di ragazze e richiamare la loro attenzione con
suoni volgari, rasentarle pericolosamente o suonare insistentemente il clacson sotto le loro
abitazioni;
Rispetto alle molestie sessuali, il reato in questione prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e
normalmente si estrinseca con petulanti corteggiamenti non graditi, con petulanti telefonate o con
espressioni volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce solo il motivo dell'agire e non fa parte
della condotta del soggetto molestatore.
Il reato di molestia, infine, oltre ad essere di natura esclusivamente dolosa (presupponendo
l'intenzionalita' del molestatore), e' perseguibile d'ufficio, pertanto una volta depositata la querela
non sara' piu' possibile interrompere l'azione penale, neppure con la remissione della stessa (salvo
ovviamente che non sia il Pubblico Ministero a richiedere l'archiviazione, alla quale, peraltro, e'
sempre possibile opporsi). La pena prevista e' l'arresto fino a sei mesi o l'ammenda fino ad euro
516.
Le molestie telefoniche
Una delle forme piu' comuni in cui si concretizza il reato di molestia e' costituita sicuramente dalla
molestia telefonica il cui schema tipico e' rappresentato dalla ripetizione di telefonate in orari diurni
e notturni, spesso mute e talvolta effettuate con l'unica finalita' di intaccare la tranquillita' e il riposo
della persona presa di mira. L'attuale giurisprudenza richiede per la configurazione del reato la
pluralita' dei comportamenti di disturbo telefonico, pertanto, sono da considerare tollerabili (e
quindi non punibili): le telefonate effettuate per errore, gli scherzi telefonici, e le telefonate di
propaganda commerciale effettuate nei limiti della normale tollerabilita'. Per tale motivo, la
Cassazione ha precisato che non sono sufficienti a configurare la fattispecie di reato due sole
telefonate, per di piu' mute. Lo sviluppo delle recenti tecnologie ha portato la Suprema Corte a
ritenere che per utilizzo del telefono non si faccia esclusivo riferimento alle comunicazioni verbali,
ma si debba estendere tale nozione anche alla trasmissione dei messaggi di testo denominati
comunemente SMS. Una volta depositata la querela contro il presunto molestatore, le Autorita'
sono legittimate a disporre il sequestro preventivo dell'utenza telefonica dalla quale sia stata
perpetrata la molestia.
3. Il reato di violenza privata
Come per il reato di minaccia, l'incriminazione della violenza privata, disciplinata dall'art. 610 c.p.,
e' volta a difendere il singolo individuo dalle intrusioni altrui che interagiscono sulla liberta' di
determinare autonomamente il proprio comportamento. Essa si verifica ogni volta in cui taluno, con
violenze o minacce, costringe un altro individuo ad adottare un determinato comportamento che non
avrebbe mai altrimenti voluto, obbligandolo a fare, tollerare od omettere una qualche condotta.
Rispetto al delitto di Stalking, la violenza privata assume un carattere di genericita' ed di
sussidiarieta' che la porta ad essere assorbita, in taluni casi, da reati specifici previsti dal codice
penale. Per tale ragione, si parlera' di Stalking (e non di violenza privata) qualora, a parita' di
comportamenti criminosi, sia cagionato alla vittima un grave e perdurante stato di ansia o di paura
ovvero un fondato timore per l'incolumita' fisica propria o altrui.
Con riferimento agli elementi che caratterizzano la condotta nella violenza privata, la
giurisprudenza ha osservato che si puo' parlare di violenza quando il comportamento si concretizza
in spintoni, immobilizzazioni, nel rinchiudere taluno in spazi chiusi ovvero anche semplicemente
aizzare un cane, di minaccia quanto un dato comportamento sia di per se' idoneo ad incutere timore
e a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto e di costringimento quando si pretende che la
vittima compia una determinata azione o si astenga dal compierne una ovvero quando sopporti,
senza che vi siano giustificazioni, una certa situazione e tenga una condotta passiva.
Il reato di violenza privata e' punito con la reclusione sino a quattro anni e la pena e' aumentata se
concorrono le circostanze aggravanti quali la particolare gravita' della condotta o l'utilizzo di armi.

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Relazione a cura di laura crapanzano

  • 1. RELAZIONE a cura della Dott.ssa Laura Crapanzano del Comando di Polizia Locale di Massa; Voglio iniziare questa lezione sulla violenze con un aforisma, Qualunque cosa distrugga la libertà non è amore. Deve trattarsi di altro, perché amore e libertà vanno a braccetto, sono due ali dello stesso gabbiano». - Osho – Tutto quello che non è libertà, non è amore, ma solamente una forma perversa di possessione, ma andiamo ad analizzare tutti gli elementi essenziali che distinguono questa forma di reato, che si concretizza, con l’abuso sulla persona che noi presumiamo di amare..... state bene attenti al termine... PRESUMIAMO....... Consideriamo violenza sulle donne ogni forma di abuso (fisico, psicologico, economico, sessuale) esercitato nei loro confronti. Violenza fisica Ogni abuso sul il corpo, così come sulle le proprietà personali. Sono segni visibili, ed inconfutabili, Esempi: percosse, spintoni, lesioni, distruzione di oggetti, di documenti, di permessi di soggiorno, ecc. Violenza psicologica Ogni abuso e mancanza di rispetto che colpisce la dignità e l’identità di persona. Esempi: critiche e insulti costanti, umiliazioni e apprezzamenti negativi davanti agli altri, limitazione negli spostamenti, minacce e intimidazioni alla donna o ai familiari, minacce di suicidio, manipolazione della donna al fine di farla dubitare di se stessa, dei suoi giudizi sulla realtà, fino a farla sentire confusa, sbagliata o folle. ecc. Con il termine “violenza psicologica” mi riferisco ad una serie di atteggiamenti e discorsi volti direttamente a denigrare l’altra persona e il suo modo di essere. Rientrano in questa definizione tutte
  • 2. quelle parole e quei gesti che hanno lo scopo di rendere l’altro insicuro, così da poterlo controllare e sottomettere. «Mio marito non mi ha mai picchiata; ero convinta di non aver mai conosciuto la violenza di coppia, poi invece mi sono resa conto che semplicemente non era necessario che mi picchiasse perché seguissi ogni suo volere. Pensavo di non essere in grado di scegliere e di fare da sola. Le botte sono arrivate con i miei primi “no”.» La violenza psicologica si articola intorno a particolari comportamenti e/o atteggiamenti che si ripetono e si rafforzano nel tempo; una serie di violenze che generalmente seguono il seguente schema: tutto inizia con il controllo sistematico dell’altro, si passa poi alla gelosia e alle molestie assillanti, fino ad arrivare alle umiliazioni ed al disprezzo. Il controllo può tradursi in un comportamento eccessivamente geloso e patologico, caratterizzato da sospetti continui ed infondati. Il partner diventa un oggetto da possedere in maniera esclusiva, non viene riconosciuto in quanto persona “altra da sé”. Spesso, nell’ambito della violenza domestica, il controllo sulla donna è mantenuto grazie anche al suo progressivo isolamento: le viene impedito di lavorare (o di accedere alle finanze personali/comuni) e di avere una vita sociale, di vedere gli amici, di mantenere rapporti con quest’ultimi e con la famiglia, allo scopo di renderla completamente dipendente dal compagno, così che non sfugga al suo controllo. L’isolamento è al contempo causa e conseguenza dei maltrattamenti; in queste situazioni le donne dicono spesso di sentirsi prigioniere. Una strategia alla base della violenza psicologica è costituita dalle critiche avvilenti volte a minare l’autostima della persona, a mostrarle che è priva di valore; per esempio la persona può essere denigrata per quello che fa, può essere accusata di pazzia, criticata rispetto al suo aspetto fisico o alle sue capacità intellettuali. Umiliare, svilire, ridicolizzare, costituiscono atti peculiari della violenza psicologica. Talvolta, quando le critiche e le umiliazioni sono a contenuto sessuale, queste generano un senso di vergogna che diventa un ulteriore ostacolo nel cercare un aiuto esterno. La violenza psicologica può includere anche minacce o atti intimidatori quali lo sbattere le porte, lanciare o rompere gli oggetti, maltrattare animali domestici, ecc. Queste non vanno considerate forme di violenza repressa, bensì azioni di violenza indiretta. Tali comportamenti vogliono intimorire l’altro, minacciarlo della propria forza e capacità di fare del male (agli altri e a se stessi). La minaccia di suicidio costituisce una violenza di estrema gravità perché porta il partner a sentirsi responsabile delle azioni dell’altro e a dover restare immobile per il timore delle conseguenze di ogni sua scelta.
  • 3. Se alcuni di questi comportamenti, presi singolarmente, possono rientrare nel quadro di un acceso litigio di coppia, è il carattere ripetitivo e il protrarsi nel tempo di queste situazioni a configurarli come una forma di violenza psicologica. La violenza, inoltre, si differenzia dalla conflittualità per l’asimmetria dello schema relazionale. La sistematica denigrazione ed i continui insulti alla persona, uomo o donna che sia, minano la sua autostima, e più in generale al suo senso di identità. Sentendosi continuamente disprezzata, essa stessa comincerà a disprezzarsi ed a sentirsi non degna di essere amata e rispettata. La ripetitività e il carattere umiliante di tali situazioni possono provocare un vero e proprio processo distruttivo, a livello psicologico, per la persona che subisce, che addirittura può condurre al suicidio. Tuttavia, mentre gli effetti della violenza fisica sono immediatamente visibili e facilmente diagnosticabili, è molto più difficile valutare quelli provocati da una violenza di tipo psicologico. Esiste inoltre una certa difficoltà ad individuare le violenze psicologiche stesse, dal momento che i loro confini non sono così definiti: una medesima azione può assumere significati diversi a seconda del contesto in cui si inserisce ed a seconda della persona che la valuta. La violenza psicologica spesso viene negata sia dall’aggressore che dai testimoni; non ci sono dati oggettivi che provano la realtà di ciò che la vittima subisce e questo fa sì che essa stessa dubiti di ciò che prova. Tutto questo rende necessarie iniziative di sensibilizzazione e formazione su questo tema così importante, sia in un’ottica di intervento, che preventiva, allo scopo di ridurre il rischio di diventare vittime (o carnefici) all’interno di questi pericolosi meccanismi psicologici. Infine è importante sottolineare che la problematica della violenza, in tutte le sue forme, non può essere confinata ad una dimensione individuale o di coppia, ma necessita di essere rinviata ad un sistema più ampio, quello delle relazioni sociali; l’obiettivo deve essere quello di un cambiamento a livello sociale e culturale, che favorisca un’evoluzione delle relazioni di genere, fondate sul riconoscimento della persona e sul rispetto dell’alterità. Violenza economica (questa è la più subdola, pesche si priva la persona che si presume di amare a soggiacere e chiedere mendicando qualcosa che è gia di sua proprieta, come lo stipendio, oppure se non lavora, qualunque cifra anche irrisoria, che possa servire per acquistare un bene per se stessa o per i figli) Ogni forma di controllo e di prevaricazione sull’autonomia economica e sui diritti di legge. Esempi: divieto di lavorare o di cercare un lavoro, segreto sulle entrate familiari, blocco dell’accesso al denaro personale o comune, controllo assoluto del patrimonio familiare, estorsione di firme su conti correnti o atti pubblici, mancato adempimento degli obblighi di mantenimento, ecc. Violenza sessuale Ogni forma di imposizione e di coinvolgimento in attività sessuali non desiderate. Esempi: il partner/ un familiare/un amico/ un conoscente/ un estraneo costringe a rapporti sessuali indesiderati, impone l’utilizzo di materiale pornografico, obbliga a attività sessuali in presenza di o con altre persone, ecc. Violenza culturale
  • 4. Ogni forma di violenza contro le donne considerata normale componente del tessuto culturale e in alcuni casi non identificata come tale neppure dalle vittime. Esempi: crimini d’onore, pratiche rituali quali le mutilazioni genitali femminili, matrimoni forzati, schiavizzazione e isolamento fisico e morale, tratta e riduzione in schiavitù, ecc. Stalking, detto anche “sindrome del molestatore assillante” Ogni forma di comportamento anomalo e fastidioso verso una persona, costituita da comunicazioni intrusive oppure da comportamenti volti a controllare la propria vittima. Esempi: telefonate e lettere anonime, sms ed e-mail assillanti, invio di fiori, pedinamenti, appostamenti, sorveglianza sotto casa, violazione di domicilio, minacce di violenza, aggressioni, fino ad omicidio o tentato omicidio.
  • 5. Violenza assistita intrafamiliare Ogni atto di violenza contro un elemento della famiglia (nella maggior parte dei casi si tratta di una madre vittima di un partner violento) che avviene nel campo percettivo di un minore. Esempi: bambini che assistono a maltrattamenti sulla madre ad opera del coniuge violento e spesso costretti a mantenere il segreto su ciò che succede in famiglia. Violenza sul lavoro Ogni comportamento lesivo dell’integrità psico-fisica della persona nel rapporto e nel luogo lavorativo. Riguarda le donne impiegate nelle varie aree dei settori economici industriali, commerciali, dei servizi, fra cui le lavoratrici che svolgono il lavoro domestico e l’assistenza alla cura della persona. Sono più a rischio le lavoratrici immigrate con riferimento particolare a quelle irregolari. Esempi: ricatti sessuali al momento dell’assunzione o per un avanzamento di carriera o per il rinnovo del permesso di soggiorno, ricatto occupazionale legato alla gravidanza , violenze sessuali, lavoro forzato, mobbing. I diversi tipi di violenza possono manifestarsi singolarmente o, come accade più spesso, congiuntamente. Andiamo ad analizzare chi sono i soggetti quali gli elementi oggettivi e la prova del bene giuridico tutelato secondo la giurisprudenza e le norme di legge Soggetti e bene giuridico tutelato Anche se la casistica in astratto enucleabile mostra che spesso vi è un rapporto di natura affettiva, sentimentale o comunque qualificato che lega il soggetto agente alla vittima (ad es. fidanzati o ex mariti gelosi, o anche stalker su "commissione" che commettono il reato al posto di un altro, ecc.), per l'art. 612-bis c.p. lo stalking è un reato comune che può essere commesso da chiunque, anche da chi, dunque, non abbia alcun legame di sorta con la vittima, senza presupporre l'esistenza di interrelazioni soggettive specifiche (Cass. n. 24575/2012). Ciò costituisce peraltro il discrimine con il più grave reato di maltrattamenti in famiglia (a meno che non intervenga la c.d. "clausola di sussidiarietà" prevista dall'art. 612-bis, comma 1, c.p., "salvo che il fatto costituisca più grave reato" che renderebbe applicabile il reato di cui all'art. 572 c.p.), reato proprio che può essere commesso soltanto da chi ricopra un ruolo nel contesto familiare (coniuge, genitore, figlio, ecc.) o una posizione di autorità o peculiare affidamento nelle aggregazioni comunitarie assimilate alla famiglia dall'art. 572 c.p. (come organismi di educazione, istruzione, cura, ecc.) (Cass. n. 24575/2012). Tuttavia, occorre sottolineare, come anche il reato di cui all'art. 612- bis c.p. nell'ipotesi prevista dal secondo comma faccia riferimento ad ambiti latamente legati alla comunità della famiglia, poichè il soggetto attivo di questa forma aggravata, avente natura di reato proprio, è individuato nel "coniuge legalmente separato o divorziato o un soggetto che sia stato legato da relazione affettiva alla persona offesa". Quanto al soggetto passivo, la norma oltre a tutelare la vittima "principale", oggetto delle molestie dello stalker, estende la propria protezione anche a quanti sono legati alla stessa da rapporti di parentela (prossimi congiunti) o da relazioni affettive.
  • 6. Per quanto attiene, infine, al bene giuridico protetto, come si evince dalla stessa collocazione, nel capo III del titolo XII tra i delitti contro la persona, il reato di atti persecutori tutela innanzitutto la libertà morale, intesa quale facoltà dell'individuo di autodeterminarsi. La fattispecie incriminatrice mira, inoltre, a tutelare gli ulteriori beni giuridici dell'incolumità individuale e della salute, nonché secondo diverse tesi, la tranquillità psichica e la riservatezza dell'individuo, posto che ai fini della configurazione del reato "è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell'equilibrio psicologico della vittima" (Cass. n. 8832/2011). Finalità perseguita dal legislatore del 2009 sarebbe, dunque, quella di tutelare il soggetto "da comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando ansie, preoccupazioni e paure, con il fine di garantire alla personalità dell'individuo l'isolamento da influenze perturbatrici" (Cass. n. 25889/2013). Elemento oggettivo Elemento costitutivo, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 612-bis c.p., è innanzitutto, come dispone la norma, la reiterazione delle condotte persecutorie, idonee, alternativamente, a cagionare nella vittima un "perdurante e grave stato di ansia o di paura", a ingenerare un "fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva" ovvero a costringerla ad alterare le "proprie abitudini di vita". Il delitto di stalking rientra, quindi, nella categoria dei reati abituali (Cass. n. 20993/2012), per la cui configurabilità sono sufficienti anche "due sole condotte di minaccia o molestia" come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (Cass. n. 45648/2013; Cass. n. 6417/2010). Quanto al contenuto di tali condotte, a titolo esemplificativo, si sottolinea come la giurisprudenza abbia ritenuto, in questi anni, atti persecutori idonei ad integrare il delitto di stalking anche comportamenti che non necessitano della presenza fisica dello stalker (Cass. n. 32404/2010), come: le ripetute telefonate (Cass. n. 42146/2011), l'invio di buste, sms, e-mail e messaggi tramite internet, nonché la pubblicazione di post o video a contenuto ingiurioso, sessuale o minaccioso sui social network (Cass. n. 14997/2012; Cass. N. 32404/2010); oltre, altresì, al danneggiamento dell'auto della vittima (Cass. n. 8832/2011), alle aggressioni verbali alla presenza di testimoni e alle iniziative gravemente diffamatorie presso i datori di lavoro della vittima per indurre questi ultimi a licenziarla (Cass. n. 34015/2010), nonché, altresì, ai reiterati apprezzamenti, invii di baci e sguardi insistenti e minacciosi (Cass. n. 11945/2010). La reiterazione delle condotte, tuttavia, non è sufficiente da sola all'integrazione del reato, occorrendo che le medesime siano idonee a cagionare uno dei tre eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, in base ad una valutazione di idoneità condotta in concreto dal giudice, sulla base della dimostrazione del nesso causale tra la condotta posta in essere dall'agente e i turbamenti derivati alla vita privata della vittima" (Corte Cost. n. 172/2014; Cass. n. 46331/2013; Cass. n. 6417/2010). Secondo la giurisprudenza, infatti, si tratta di un "reato abituale di evento, a struttura causale e non di mera condotta" che si caratterizza, per la produzione di un evento di "danno" (consistente, appunto, nell'alterazione delle abitudini di vita, in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, di un fondato timore per l'incolumità propria, di un prossimo congiunto o di una persona
  • 7. alla quale il soggetto è legato da relazione affettiva), "per la cui sussistenza, dunque, è sufficiente il verificarsi di uno degli eventi previsti" (Cass. n. 17082/2015). In ordine alle conseguenze causate alla vittima dalle condotte persecutorie, quanto al "perdurante e grave stato di ansia o di paura" sofferto dalla persona offesa, l'orientamento della giurisprudenza (di merito e di legittimità) ritiene che, ai fini della sussistenza del reato de quo, non è necessario l'accertamento di uno stato patologico, essendo sufficiente che gli atti persecutori "abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612 bis c.p. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 c.p.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica" (Cass. n. 16864/2011). Quanto al "fondato timore per l'incolumità", rispetto a un iniziale approccio ermeneutico che identificava l'oggetto dell'aggressione nell'incolumità fisica del soggetto, giacchè sola condotta suscettibile di ingenerare appunto un timore fondato, la giurisprudenza ha chiarito che ogni condotta, minacciosa o aggressiva, anche laddove rivolta verso cose e non verso la persona, può integrare il reato di atti persecutori, a patto che, per le modalità di attuazione e la cadenza temporale in cui si è sviluppata, sia idonea a cagionare concretamente uno dei tre eventi richiesti, alternativamente, dalla fattispecie incriminatrice (cfr. Cass. n. 8832/2011). Per quanto concerne, infine, il riferimento all'alterazione delle "proprie abitudini di vita", deve intendersi, quel "complesso di comportamenti che una persona solitamente mantiene nell'ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretto a mutare a seguito dell'intrusione rappresentata dall'attività persecutoria, mutamento di cui l'agente deve avere consapevolezza ed essersi rappresentato, trattandosi di reato per l'appunto punibile solo a titolo di dolo" (Corte Cost. n. 172/2014). Elemento soggettivo Per quanto concerne l'elemento soggettivo del reato è sufficiente il dolo generico, consistente nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia descritte nella norma con la consapevolezza della loro idoneità a produrre taluno degli eventi parimenti descritti nella stessa (Corte Cost. n. 172/2014; Cass. n. 20993/2012; Cass. n. 7544/2012). Non è necessaria dunque una rappresentazione anticipata del risultato finale, ovvero la coscienza dello scopo che si vuole ottenere, "essendo al contrario sufficiente la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell'apporto che ciascuno di essi arreca alla lesione dell'interesse protetto" (Cass. n. 20993/2013). In sostanza, bastano la coscienza e la volontà delle singole condotte con la consapevolezza che ognuna di esse andrà ad aggiungersi alle precedenti formando un insieme di comportamenti offensivi (Cass. n. 29859/2015); il dolo si svilupperà dunque in "itinere" quale rappresentazione di tutti gli episodi già posti in essere, della loro frequenza e del nesso che li collega all'ulteriore apporto criminoso (cfr., in dottrina, Garofalo). La prova dello stalking Ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, trattandosi di delitto che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ognuno dei quali è idonea ad integrarlo, per la giurisprudenza costante della S.C., non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa,
  • 8. essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità (Cass. n. 7042/2013). La sussistenza del grave e perdurante stato di turbamento emotivo di cui all'art. 612-bis c.p. prescinde, inoltre, dall'accertamento di uno stato patologico conclamato (Cass. n. 40105/2011; Cass. n. 42953/2011), essendo sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, posto che la fattispecie incriminatrice in parola non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 cod. pen.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica (Cass. n. 8832/2011). La prova dell'evento, dunque, non può che essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, atteso che non può scandagliarsi diversamente "il foro interno" della vittima. Assumono allora importanza, ai fini della prova, sia le dichiarazioni della stessa vittima del reato, sia i "comportamenti conseguenti e successivi alla condotta posti in essere dall'agente e anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata" (Cass. n. 46510/2014; Cass. n. 14391/2012). Ne deriva che "l'effetto destabilizzante deve risultare in qualche modo oggettivamente rilevabile e non rimanere confinato nella mera percezione soggettiva della vittima del reato, ma in tal senso anche la ragionevole deduzione che la peculiarità di determinati comportamenti suscitino in una persona comune l'effetto destabilizzante descritto dalla norma corrisponde alla segnalata esigenza di obiettivizzazione, costituendo valido parametro di valutazione critica di quella percezione" (Cass. n. 24135/2012). Queste forme di violenze, però sono tutti reati perseguibili d’ufficio o su querela della persona offesa, a seconda delle aggravanti; 1. Il reato di minaccia E' possibile ravvisare la minaccia, reato disciplinato dall'art. 612 c.p., in qualsiasi manifestazione esterna che, a fine intimidatorio, rappresenti in qualunque forma al soggetto che la subisce il pericolo di un male che possa essere cagionato alla sua persona o al suo patrimonio. La minaccia puo' rappresentare uno degli elementi caratterizzanti il reato di Stalking, da quest'ultimo, tuttavia, si differenzia limitandosi alla sola raffigurazione di un possibile evento malevolo, senza la compressione della liberta' morale della vittima, che e' invece presupposto per la prima fattispecie di reato. Osservando i vari orientamenti della giurisprudenza, si nota come la minaccia assuma varie forme di manifestazione: orale, per iscritto, con disegni espliciti, con gesti o con atteggiamenti espressivi (come quelli, ad esempio, di mostrare un'arma). Non occorre che la minaccia sia proferita alla presenza del destinatario, sussistendo anche nel caso di affermazioni rivolte a persone di famiglia o a persone legate da un vincolo coniugale o sentimentale con lo scopo che queste siano riferite alla persona interessata (minacce trasversali). La minaccia non aggravata, perseguibile solo a querela della persona offesa, risulta oggi di competenza del giudice di pace e, prevedendo una pena pecuniaria sino ad un massimo di euro 51,
  • 9. non sembra poter esercitare un'effettiva pretesa punitiva nei confronti del colpevole. Viceversa, la minaccia grave (determinata dalla particolare gravita' della minaccia o dall'utilizzo di armi) e' perseguibile d'ufficio, risulta di competenza del Tribunale monocratico (cioe' di un solo giudice giudicante) ed e' punita con la reclusione fino ad un anno. 2. Il reato di molestia o disturbo delle persone La norma che disciplina il reato di molestia, previsto dall'art. 660 c.p., e' quella che piu' di altre ha reso possibile in passato reprimere condotte reiterate ed abusanti che solo oggi, a seguito della recente introduzione dell'art. 612bis c.p., possono essere ricondotte al cosiddetto reato di Stalking. In comune con quest'ultima figura delittuosa, la molestia presuppone la reiterazione dei comportamenti di disturbo, nonche' la volonta' malevola finalizzata ad arrecare fastidio e vessazioni: la Suprema Corte di Cassazione, ha precisato, tuttavia, che il suddetto reato non e' per sua natura necessariamente abituale, essendo sufficiente anche una sola azione di disturbo o molestia.
  • 10. Tra le varie casistiche rilevate dalla giurisprudenza si annoverano, a titolo di esempio:  le proposte di appuntamenti galanti non gradite;  le continue ed inconcludenti telefonate con le quali vengono poste le medesime domande senza una ragione che ne giustifichi in alcun modo la reiterazione;  il continuo e persistente corteggiamento (chiaramente non gradito) di una donna svoltosi con ripetuti pedinamenti e continue telefonate;a  il seguire, a bordo di un veicolo, un gruppo di ragazze e richiamare la loro attenzione con suoni volgari, rasentarle pericolosamente o suonare insistentemente il clacson sotto le loro abitazioni; Rispetto alle molestie sessuali, il reato in questione prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e normalmente si estrinseca con petulanti corteggiamenti non graditi, con petulanti telefonate o con espressioni volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce solo il motivo dell'agire e non fa parte della condotta del soggetto molestatore. Il reato di molestia, infine, oltre ad essere di natura esclusivamente dolosa (presupponendo l'intenzionalita' del molestatore), e' perseguibile d'ufficio, pertanto una volta depositata la querela non sara' piu' possibile interrompere l'azione penale, neppure con la remissione della stessa (salvo ovviamente che non sia il Pubblico Ministero a richiedere l'archiviazione, alla quale, peraltro, e' sempre possibile opporsi). La pena prevista e' l'arresto fino a sei mesi o l'ammenda fino ad euro 516. Le molestie telefoniche Una delle forme piu' comuni in cui si concretizza il reato di molestia e' costituita sicuramente dalla molestia telefonica il cui schema tipico e' rappresentato dalla ripetizione di telefonate in orari diurni e notturni, spesso mute e talvolta effettuate con l'unica finalita' di intaccare la tranquillita' e il riposo della persona presa di mira. L'attuale giurisprudenza richiede per la configurazione del reato la pluralita' dei comportamenti di disturbo telefonico, pertanto, sono da considerare tollerabili (e quindi non punibili): le telefonate effettuate per errore, gli scherzi telefonici, e le telefonate di propaganda commerciale effettuate nei limiti della normale tollerabilita'. Per tale motivo, la Cassazione ha precisato che non sono sufficienti a configurare la fattispecie di reato due sole telefonate, per di piu' mute. Lo sviluppo delle recenti tecnologie ha portato la Suprema Corte a ritenere che per utilizzo del telefono non si faccia esclusivo riferimento alle comunicazioni verbali, ma si debba estendere tale nozione anche alla trasmissione dei messaggi di testo denominati comunemente SMS. Una volta depositata la querela contro il presunto molestatore, le Autorita' sono legittimate a disporre il sequestro preventivo dell'utenza telefonica dalla quale sia stata perpetrata la molestia. 3. Il reato di violenza privata Come per il reato di minaccia, l'incriminazione della violenza privata, disciplinata dall'art. 610 c.p., e' volta a difendere il singolo individuo dalle intrusioni altrui che interagiscono sulla liberta' di determinare autonomamente il proprio comportamento. Essa si verifica ogni volta in cui taluno, con violenze o minacce, costringe un altro individuo ad adottare un determinato comportamento che non avrebbe mai altrimenti voluto, obbligandolo a fare, tollerare od omettere una qualche condotta.
  • 11. Rispetto al delitto di Stalking, la violenza privata assume un carattere di genericita' ed di sussidiarieta' che la porta ad essere assorbita, in taluni casi, da reati specifici previsti dal codice penale. Per tale ragione, si parlera' di Stalking (e non di violenza privata) qualora, a parita' di comportamenti criminosi, sia cagionato alla vittima un grave e perdurante stato di ansia o di paura ovvero un fondato timore per l'incolumita' fisica propria o altrui. Con riferimento agli elementi che caratterizzano la condotta nella violenza privata, la giurisprudenza ha osservato che si puo' parlare di violenza quando il comportamento si concretizza in spintoni, immobilizzazioni, nel rinchiudere taluno in spazi chiusi ovvero anche semplicemente aizzare un cane, di minaccia quanto un dato comportamento sia di per se' idoneo ad incutere timore e a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto e di costringimento quando si pretende che la vittima compia una determinata azione o si astenga dal compierne una ovvero quando sopporti, senza che vi siano giustificazioni, una certa situazione e tenga una condotta passiva. Il reato di violenza privata e' punito con la reclusione sino a quattro anni e la pena e' aumentata se concorrono le circostanze aggravanti quali la particolare gravita' della condotta o l'utilizzo di armi.