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La Costituzione del '48 nel dibattito politico della Repubblica italiana

                                            di Pietro Scoppola

      Intervento al convegno 'Radici e vitalità della Costituzione' svoltosi a Genova il 23 aprile
      2005.
      Pubblicato in “Storia e memoria”, 2005 – Vol. 14 – Fasc. 2 – pp. 137 - 148

       Quest’anno il 25 aprile cade all’indomani della prima approvazione da parte del
Parlamento di una radicale modifica della nostra Costituzione che mette in discussione la sua
originaria fisionomia. La quasi totalità dei costituzionalisti italiani si è schierata in difesa della
Costituzione. Ma non solo il diritto ma anche la storia (e gli storici) sono chiamati in causa, se
si vuole dare a questo dibattito sulla Costituzione tutto lo spessore culturale che merita.
       Il titolo chiama in causa radici e vitalità. Le radici sono la fonte e la ragione della vitalità;
ma non penso di riandare in questo intervento alle radici storiche della Costituzione, alle
culture politiche che l’hanno ispirata, tema questo già ampiamente esplorato. Ricordo appena il
convegno che nel 1975, nel trentesimo anniversario, la regione Toscana promosse sulla base di
una imponente ricerca su Il sistema delle autonomie: rapporti fra Stato e società civile, i cui
risultati sono raccolti in ben quindici volumi1: la ricerca era centrata sul tema delle autonomie,
ma ebbe il respiro di una ricognizione approfondita sulle radici culturali della Costituzione. Al
convegno parteciparono studiosi di ogni formazione in un clima di feconda collaborazione
(consentitemi di ricordare il contributo di Roberto Ruffilli)2.
       Mi sembra più interessante, oggi, di fronte alla minaccia che incombe sulla nostra
Costituzione, interrogarci sulle radici nel senso del radicamento della Costituzione nella vita
della Repubblica, nella cultura e nell’animo popolare, perché la sua vitalità anche a questo è
legata.
       Lo stravolgimento del nostro assetto costituzionale proposto nella riforma sarebbe stato
forse impossibile se nel profondo della coscienza popolare fosse radicato quel patriottismo
della Costituzione nel quale si esprime oggi nei paesi democratici più maturi il senso stesso
della cittadinanza.
       Perché la Costituzione non è diventata elemento vissuto, motivo di appartenenza, perché
ha radici ancora deboli nel Paese?
       Le ricerche sin qui effettuate concordano nel sottolineare il notevole coinvolgimento
popolare nella nascita della Repubblica e invece lo scarso coinvolgimento rispetto al dibattito
costituzionale.
       La nascita della Repubblica per via di referendum fu indubbiamente sentita. Si pensi solo
che le donne italiane con il loro primo voto furono chiamate a giudicare il re3.
       Rimase in ombra, il lavoro dell'Assemblea costituente.
       La più immediata spiegazione di questa caduta di interesse è nella riservatezza in cui i
lavori della Commissione e delle sottocommissioni si svolsero. Un grande storico del diritto
Francesco Calasso nobilitò questa mancanza di passione popolare come "raccoglimento
silenzioso" 4. Ma presto tornò sul tema con una più concreta annotazione:

       l'interesse degli italiani per la costruzione di questa casa nella quale dovranno abitare per
qualche secolo coi loro figli e i figli dei figli, è molto modesto: ha bisogno di essere ridestato e
tenuto sveglio; ha bisogno soprattutto di essere educato5.

       Una educazione - come vedremo - necessaria e mancata.
       La nuova costituzione entra in vigore il 1° gennaio 1948 quasi in sordina: la cerimonia si
svolge in ritardo sull'orario fissato e in assenza del Capo provvisorio dello Stato De Nicola che
non vuole lasciare la sede di palazzo Giustiniani dove ha svolto sin lì le sue funzioni.
       Eravamo alla vigilia della prova elettorale del 18 aprile 1948: è evidente che il baricentro
della politica italiana era altrove; era già nato il Fronte popolare e si annunciava uno scontro
fra i partiti nel quale si sarebbero giocati i destini del paese.
Mario Isnenghi nella conclusione dei volumi dai lui curati su I luoghi della memoria con
riferimento all'esito del voto del 2 giugno osserva: "Fascismo e antifascismo, comunismo e
anticomunismo, i simboli del 'rosso' e del 'bianco', l'americanismo e l'antiamericanismo,
appaiono nel dopoguerra ben più capaci di concettualizzare gli schieramenti e di orientare le
passioni collettive"6 rispetto alla nuova identità collettiva repubblicana e democratica7.
L’osservazione è ancora più valida per le elezioni del 18 aprile 1948.
       Di fatto i partiti hanno svolto un ruolo per certi aspetti contraddittorio: mentre
contribuivano da un lato a rifondare sul piano giuridico formale, nel testo costituzionale, una
convivenza e una cittadinanza democratica, ne limitavano, dall'altro, le possibilità di
espressione in quanto diventavano essi stessi il fattore dominante di integrazione, creando
identità collettive divise e conflittuali.
       Ha giocato indubbiamente una necessità storica: solo i partiti e in particolare i grandi
partiti popolari potevano gestire la realtà nuova della società di massa creata dal fascismo. Ma
il riconoscimento di una necessità storica non può precludere la visione critica delle
conseguenze.
       E non si può tacere una responsabilità della cultura e proprio di quel filone culturale che
aveva dato un forte contributo alla Resistenza: nel primo decennio il giudizio sulla Costituzione
fu fortemente condizionato dal sentimento della 'Resistenza tradita' espresso dalla cultura
azionista. Già nell'ottobre del '46 uno dei più significativi esponenti dell'azionismo, Piero
Calamandrei, denunciava l’emergere di uno spirito di 'desistenza'.
       La frattura si accentua con la crisi del maggio 1947 che pone fine ai governi di unità
antifascista.
       Paolo Emilio Taviani nel suo bel libro Politica a memoria d’uomo sottolinea che “Il
motivo di fondo che spezzò l’unità della Resistenza fu la politica estera. Soltanto ed
esclusivamente la politica estera”…… in ragione della scelta filosovietica del PCI8.
       Dopo quella frattura le interpretazioni della Resistenza si differenziano; riemergono le
diverse motivazioni che l’avevano ispirata: lotta per un radicale rinnovamento sociale da un
lato, guerra di liberazione patriottica dall’altro.
       Ma da nessuna parte politica viene negato il rapporto fra Resistenza e Costituzione; anche
se il conflitto politico coinvolge profondamente la Costituzione stessa.
       La polemica delle sinistre contro i governi centristi viene condotta in nome della
Costituzione, la Costituzione si radica nella coscienza popolare.
       La maggioranza degasperiana svolge anch’essa un ruolo che consolida negli ambienti
cattolici il rispetto della costituzione: l’anticomunismo degasperiano ha radici democratiche;
c’è un anticomunismo democratico, troppo a lungo dimenticato o trascurato, che si sviluppa in
un quadro parlamentare e costituzionale e che di fatto condizionerà e favorirà lo stesso sviluppo
democratico del comunismo italiano; De Gasperi rifiuterà sempre, come è noto, l’idea di un
fronte anticomunista aperto alle destre.
       Ma c’è per altro verso un ritardo nella attuazione della Costituzione, un 'ostruzionismo di
maggioranza' nella sua attuazione.
       Il clima politico e culturale si sviluppa con ritardo rispetto al quadro politico.
       Il grande discorso di Giovanni Gronchi in Parlamento del 25 aprile 1955 per il decimo
anniversario della liberazione (cui seguirà poco dopo la sua elezione a Presidente della
Repubblica), segna in qualche modo una svolta rispetto alle lacerazioni degli anni precedenti in
quanto fa della attuazione della Costituzione un impegno per il parlamento e avvia la nuova
fase del disgelo costituzionale che ha nella creazione della Corte costituzionale il suo primo e
significativo momento.
       Ma nello stesso anno nel volume laterziano Dieci anni dopo riemerge ancora con forza il
sentimento della resistenza tradita: Leo Valiani, accosta polemicamente le due date del 22
dicembre 1947, in cui con l'approvazione della Costituzione era stato tracciato "il disegno
ideale di un nuovo stato veramente democratico", e del 7 febbraio 1948, in cui con un decreto
legislativo firmato da Togliatti era stata chiusa la fase dell'epurazione, sicché "la restaurazione
del vecchio stato….. poteva dirsi ultimata"9.
Nello stesso volume, Piero Calamandrei riassumeva nella famosa immagine dello
scambio fra una rivoluzione mancata e una rivoluzione promessa il significato del
compromesso costituzionale in una relazione dal titolo La Costituzione e le leggi per attuarla,
il cui vero titolo, come egli avvertiva, avrebbe dovuto essere "come si fa a disfare una
costituzione"10.
       Ma va subito ricordato che Alessandro Galante Garrone, ripubblicando lo scritto
quarant'anni dopo e ricostruendone la genesi11, ha sottolineato una significativa coincidenza:
pochi mesi dopo la stesura di quel testo di fronte alla prima sentenza della appena nata Corte
costituzionale - la sentenza del 13 giugno 1956 - che aveva cancellato l'articolo 113 della legge
fascista di Pubblica sicurezza Calamandrei aveva scritto un articolo dal titolo per se stesso
significativo, La costituzione si è mossa12, nel quale affermava: "I cittadini sentiranno che la
Costituzione non è soltanto una carta scritta, che la Repubblica non è stata una beffa"13.
       Ma resta tuttavia vero che il primo decennio di vita repubblicana fu culturalmente
condizionato da quella pesante ipoteca del negativo giudizio azionista. Certo questo non favorì
quella educazione alla democrazia auspicata dagli esponenti di quella stessa cultura e non solo
da essi.
       Come è noto, nella Commissione alleata di controllo, istituita l'11 novembre 1943, una
sottocommissione sotto la direzione del pedagogista americano Carleton Washburne affrontò il
tema della rieducazione del popolo italiano alla democrazia. Ma bisognerà aspettare il 1958 per
vedere introdotta nella scuole da Aldo Moro, ministro della istruzione, un'educazione civica
nella scuola, che resterà peraltro del tutto marginale nella vita scolastica.
       Insomma in quei primi anni di vita democratica, l'eredità della Resistenza e il riferimento
stesso alla Costituzione è inevitabilmente lacerato nel contesto di un aspro conflitto politico.
Solo con un filo sottile la Resistenza unisce ancora gli opposti schieramenti della politica
italiana; il filo è quello del nesso, sia pure diversamente interpretato e definito, fra Resistenza e
Costituzione repubblicana che si riassume nella formula della Repubblica e della Costituzione
nate dall'antifascismo e dalla Resistenza.
       È un filo esile ma importante, perché contribuisce a mantenere lo scontro politico negli
anni della guerra fredda in un comune spazio costituzionale. Il filo si rafforzerà negli anni
Sessanta, dopo le note vicende che vedono Genova insorgere contro l’autorizzazione concessa
dal governo Tambroni ai missini di tenere nella città il loro congresso e poi negli anni del
centro sinistra. L'antifascismo tornerà ad essere più nettamente la base comune del cosiddetto
'arco costituzionale'.
       Non a caso sono questi gli anni di un grande sviluppo degli studi sulla Resistenza ad
opera di una rete sempre più vasta di istituti storici e sulla base della acquisizione di nuove
fonti.
       La visione si fa più articolata rispetto a quei primi giudizi formulati dagli stessi
protagonisti. Gli studi sul fascismo hanno messo in evidenza la realtà e l’estensione del
consenso al regime ed hanno contribuito indirettamente al superamento della logorante
polemica sul 'tradimento della Resistenza': si è compreso cioè che la democrazia italiana ha
dovuto fare i conti con una pesante eredità.
       Ma una frattura più profonda torna presto a manifestarsi proprio negli anni del confronto
fra DC e PCI, e poi della solidarietà nazionale. Si affaccia sul piano degli studi storici la
cosiddetta 'tesi della continuità'. Si torna a sottolineare che la lotta di liberazione non aveva
segnato una rottura profonda nella storia italiana sul terreno del potere economico e degli
apparati dello Stato: uno dei maggiori storici della Resistenza, Guido Quazza, offre una sintesi
di questi orientamenti nel volume Resistenza e storia d'Italia14 .
       Si riprende in sostanza la polemica sulla Resistenza tradita ma la si colloca in una visione
di lungo periodo. Obiettivo polemico di questa storiografia è proprio il Partito comunista, al
quale viene attribuita la responsabilità di aver svolto una funzione frenante sulla spinta
innovativa allo scopo, poi smentito dalla evoluzione dei fatti, di 'stare al governo'. I moti
spontanei di base manifestatisi prima, durante e dopo la Resistenza assumono il carattere di un
filo conduttore alternativo, e diventano quasi un ideale punto di riferimento per una
interpretazione nuova della storia del paese15.
In questo quadro il rapporto fra Resistenza e Costituzione repubblicana diventa
"l'appropriazione della guerra partigiana - come ha scritto Guido Quazza - da parte del
'compromesso' fornito dalla Costituzione della Repubblica"16; in opposizione a ciò si tendeva a
ricuperare il vissuto della Resistenza soprattutto come esperienza di lotta armata; la banda
partigiana diventava - è ancora un'espressione di Quazza - un "microcosmo di democrazia
diretta". Questi orientamenti trovano ascolto nel circuito ristretto della protesta giovanile. Pur
nel loro esasperato unilateralismo, questi orientamenti storiografici hanno contribuito ad
ampliare il quadro delle ricerche; si è passati da una visione dominata dagli aspetti puramente
politici ad una visione più attenta alla realtà sociale. Ma non hanno certo contribuito a formare
nelle nuove generazioni quel patriottismo della costituzione di cui si diceva.
       Il volume di Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della
Resistenza, (Torino, Bollati Boringhieri, 1991) chiude una stagione di studi con un'opera di
grande respiro che ha aperto peraltro la nota polemica sulla guerra civile. Molti protagonisti
della Resistenza hanno reagito negando alla Resistenza il carattere di una guerra civile: da Nuto
Revelli, a Paolo Emilio Taviani a Ermanno Gorrieri a Sergio Cotta a Guido Quazza per non
citare che alcuni nomi17.
       E, in effetti, si può considerare un governo italiano quello di Salò, nato all'ombra e per
volontà dell'occupante tedesco come tutti i governi collaborazionisti nell'Europa occupata dai
nazisti?
       Nel libro di Pavone fortemente segnato da un 'orgoglio della Resistenza', il ricorso alla
categoria della guerra civile si spiega proprio all'interno della impostazione generale dell'opera:
una visione dal basso, dal punto di vista delle motivazioni e dei sentimenti degli uomini che
hanno vissuto quella esperienza. Accettando questo punto di vista un altro protagonista della
Resistenza, Vittorio Foa, ha notato: "L' obiettivo della ricostruzione della identità nazionale
perduta conferma la tesi della Resistenza come guerra civile. […] Noi dovevamo combattere il
fascismo fra di noi, fra gli italiani, e poi anche dentro di noi"18.
       Ma quello di Pavone è ormai un fiore nel deserto e la polemica che suscita una polemica
di altri tempi….
       Giustamente Filippo Focardi, nel volume appena uscito La guerra della memoria. La
Resistenza nel dibattito politico italiano del 1945 a oggi, indica proprio nella iniziativa di Craxi
alla metà degli anni Ottanta l’elemento che apre una nuova stagione di polemiche e di dibattiti.
“Al richiamo di per sé ineccepibile della necessità di distinguere fra antifascismo e democrazia
(il comunismo in quanto antifascista non poteva definirsi ipso facto democratico) si
accompagnarono critiche a noti episodi della Resistenza di cui erano stati protagonisti
partigiani comunisti”, quali l’attentato di via Rasella o l’uccisione di Giovanni Gentile.
       Si apre la polemica sul 'triangolo della morte' con un chiaro intento politico: delegittimare
il PCI nel momento stesso in cui subiva la profonda evoluzione legata al venir meno
dell’Unione sovietica.
       Il crollo del muro di Berlino e poi dell' Unione sovietica hanno ha aperto anche per l'Italia
una nuova fase politica. Si è aperta una transizione che è stata giudicata 'infinita'19. Incombe sul
Paese il sentimento di una crisi di identità e di una minaccia alla sua stessa unità.
       In questo contesto si colloca e si sviluppa quella che definirei l’ondata revisionista.
       La storiografia revisionista, nell’opera dei suoi due più significativi esponenti, Renzo De
Felice e Ernesto Galli della Logia ha in sostanza retrodatato le ragioni di crisi del sistema
politico italiano negli anni Novanta al momento stesso fondativo della Repubblica,
contribuendo a mettere per così dire sotto processo, con ampia risonanza nell'opinione
pubblica, la stessa Costituzione repubblicana.
       Come è noto due sono i motivi centrali in questo revisionismo: il primo è quello della
'lunga zona grigia' di indifferenza e passività fra le due posizioni minoritarie in lotta crudele fra
loro, quella dei resistenti e quella di coloro che si batterono per la Repubblica di Salò; il
secondo è quello della crisi della nazione, quale si era faticosamente venuta formando negli
anni del Risorgimento e dell'Italia unita, nella tragedia dell'8 settembre, che diventa la data
simbolo della 'morte della patria'. È evidente che se è fondata l'immagine di un paese immerso
nella zona grigia, se la Resistenza è un fatto sostanzialmente marginale, allora l'8 settembre e
non più il 25 aprile diventa l'elemento centrale di tutta la vicenda20; la Costituzione non ha più
un riferimento forte nella Resistenza; non ha d'altra parte un fondamento in una tradizione
nazionale italiana travolta dalle vicende belliche21; la Costituzione perde rilievo storico e torna
ad essere tutto e solo un compromesso fra i partiti. Così tutto l'edificio della Repubblica resta
privo di fondamento e la Costituzione perciò destinata ad essere archiviata con il superamento
di quel quadro storico e con la scomparsa di quei soggetti politici.
      Penso vi sia una dipendenza del revisionismo degli anni Novanta da quelle tesi della
continuità proposte negli anni Settanta, di cui si è detto, che accentuavano il carattere elitario
della Resistenza contrapponendola alla maggioranza passiva e attendista della popolazione. Il
rapporto fra Resistenza e Costituzione anche in quelle tesi, come si è viso, veniva spezzato.
      Nella nuova storiografia revisionista quella visione della Resistenza, elitaria ed avulsa
dalla realtà profonda del paese, viene ricuperata e rovesciata in senso opposto, nel senso cioè
della sua irrilevanza.
      Lo stesso Claudio Pavone, che della tesi della continuità era stato uno dei più autorevoli
interpreti, nella prefazione ad una raccolta dei suoi saggi, ha riconosciuto che

      la tesi della continuità dello Stato da stimolo critico verso l'assetto repubblicano uscito
dalla Resistenza rischia di trasformarsi o in un rassegnato riconoscimento della fatalità delle
cose, o in condanna della Repubblica in quanto tale (paradossale capovolgimento in chiave
moderata della vecchia tesi della Resistenza tradita), o in una critica radicale della Resistenza
stessa che quella Repubblica aveva partorito, o ancora in una frettolosa rivalutazione del regime
fascista di cui finalmente i fatti dimostrerebbero la positiva realtà profonda22.

       Gli effetti del revisionismo su piano politico sono pesanti; la svalutazione della
Costituzione è uno degli effetti più gravi. Proprio qui a Genova la Costituzione è pesantemente
violata in occasione del G8 del luglio 2001. Ma in definitiva sul piano culturale il revisionismo
degli anni Novanta ha suscitato una reazione che ha contribuito a rinsaldare il radicamento
della Costituzione nella coscienza popolare.
       L’immagine della zona grigia è apparsa subito riduttiva e inaccettabile: la popolazione
italiana nel suo insieme non fu inerte e indifferente di fronte ai mille drammi umani provocati
dall'8 settembre: i soldati allo sbando furono accolti e rivestiti con panni civili per aiutarli a
sfuggire ai tedeschi e a raggiungere le loro famiglie; inglesi e americani in fuga dai campi di
prigionia furono ospitati e nascosti a rischio della vita; molti ebrei furono salvati dalla
solidarietà popolare.
       Proprio gli 'sbandati', come lo stesso Parri ebbe a sottolineare, offrono le prime leve alla
resistenza Il rifiuto della chiamata alle armi da parte della Repubblica sociale coinvolge, circa il
40 per cento dei giovani (e delle loro famiglie) e non è certo un fatto passivo.
       È stata ricuperata, anche per merito del presidente Ciampi, la complessa realtà della
resistenza dei militari, rimasta in ombra nelle storiografia di sinistra: erano classificati i
'badogliani'. Sono stati ricuperati alla resistenza gli ufficiali e i soldati che resistono nei lager
per fedeltà al giuramento al re23: si tratta di una realtà anche quantitativamente imponente (circa
600.000 sono i resistenti nei lager) che coinvolge famiglie ed amici rimasti in patria.
       Lo stesso De Felice pone in luce che gli italiani dei territori occupati dai tedeschi sono in
larghissima maggioranza orientati in senso antifascista e antitedesco, hanno fatto cioè una
scelta, la scelta giusta, anche se non la traducono nel prendere le armi.
       Il ruolo della presenza cattolica intuito da Chabod era stato poi confinato negli spazi
dell’attendismo. La Chiesa non prende parte attiva, ma il suo messaggio è alternativo a quello
fascista e si pone piuttosto come elemento di salvaguardia di valori fondamentali di convivenza
che la guerra civile aveva travolto. Proprio questa capacità della Chiesa di porsi al di sopra
delle parti rappresenta una premessa essenziale di una ricostruzione democratica fondata per
sua natura sul senso forte del rispetto della persona umana a prescindere da idee e da scelte
politiche.
       Il rifiuto della violenza e l'accentuarsi della volontà di pace non sono sentimenti 'grigi', e
non saranno di fatto irrilevanti per un' opera di ricostruzione della convivenza civile.
In sostanza il prendere le armi da una parte o dall'altra non si può considerare l’unica
forma di partecipazione e di coinvolgimento. La tenace volontà di sopravvivenza che finisce
con il prevalere in molti è pur sempre una grande risorsa vitale per il futuro di un popolo
stremato sul piano materiale e morale da una guerra perduta e dalla presenza di due eserciti in
guerra fra loro, divisi da un fronte che spazza da sud a nord tutto il paese: combattere ogni
giorno per vivere e sopravvivere è cosa ben diversa da una inerzia passiva se si tiene conto
delle difficili condizioni di vita, del crescente disagio economico, dell'impegno eccezionale cui
anche milioni di donne sono state chiamate.
       Il rifiuto della violenza e l'accentuarsi della volontà di pace non sono sentimenti 'grigi', e
non saranno di fatto irrilevanti per un'opera di ricostruzione della convivenza civile.
       Insomma il fenomeno della lotta armata, che conserva tutto il suo valore, non può essere
isolato dalle innumerevoli forme di 'resistenza civile' di cui il paese fu teatro24.
       L’idea stessa della patria non muore ma si trasforma: "L'uso della parola patria - osserva
l'Aga Rossi - era molto diffuso fra i partigiani e non aveva quel significato desueto e quasi
disdicevole assunto più tardi"25.
       È su queste premesse che si può tornare al tema del significato storico della Costituzione:
essa ha dato forma giuridica e ha consacrato sentimenti speranze radicate nel popolo che nel
dramma della guerra si erano sviluppate.
       Dunque la Costituzione non è un semplice compromesso fra i partiti, ma la risposta ad
una domanda profonda di un popolo che usciva dalla tragedia della guerra.
       Ma nell’immediato il revisionismo ha offerto argomenti a quelle forze politiche non
legate alla costituzione repubblicana che aspiravano a togliersi di dosso i vincoli da essa
imposti e a immaginare perciò un nuovo inizio, una seconda repubblica del tutto svincolata
dalla prima.
       In questo contesto si colloca quella significativa riscossa in difesa della Costituzione che
ha visto, come è noto, in prima fila il monaco Giuseppe Dossetti.
       Ma attenzione a non confondere queste iniziative in difesa della Costituzione con un
cieco conservatorismo costituzionale.
       L’esempio offerto proprio da Giuseppe Dossetti, maggiore protagonista del movimento
per la difesa della costituzione, è assai significativo. Proprio dieci anni prima della data in cui
con la lettera al sindaco di Bologna diede avvio al suddetto movimento, Dossetti aveva
rilasciato a Leopoldo Elia e a me una lunga intervista che solo due anni fa abbiamo potuto
pubblicare26. Ebbene in quelle intervista le critiche di Dossetti alla costituzione soprattutto sul
punto della debolezza del potere esecutivo sono esplicite e taglienti sino a ricordare le ipotesi,
allora formulate, di un sistema presidenziale. Dunque Dossetti era consapevole della necessità
di una riforma costituzionale, ma di una riforma che doveva muoversi in linea di continuità
rispetto ai valori di fondo della costituzione.
       Invece il clima politico in cui il processo di riforma si avvia dieci anni dopo lo spinge ad
una brusca impennata in difesa di quei valori di fondo che vede minacciati, lo spinge ad una
rivendicazione forte del nesso che la Costituzione ha con il quadro storico in cui è nata e,
scavalcando perfino il tema del nesso Resistenza Costituzione, lo porta a porre in luce il nesso
più profondo e di portata epocale fra la Costituzione e l’evento della seconda guerra mondiale.
Con la profondità di una riflessione che trova alimento in una intensa esperienza religiosa,
Giuseppe Dossetti, in una conferenza del 16 settembre 1994, formula la famosa immagine:

      Alcuni pensano che la Costituzione sia un fiore pungente nato quasi per caso da un arido
terreno di sbandamenti postbellici e da risentimenti faziosi volti al passato. […] In realtà la
Costituzione italiana è nata ed è stata ispirata - come e più d'altre pochissime costituzioni - da
un grande fatto globale, cioè dai sei anni della seconda guerra mondiale. Questo fatto
emergente della storia del XX secolo va considerato rispetto alla Costituzione, in tutte le sue
componenti oggettive e al di là di ogni contrapposizione di soggetti, di parti, di schieramenti,
come un evento enorme del quale nessun uomo che oggi vive o anche solo che nasca oggi, può
o potrà attenuare le dimensioni, qualunque idea se ne faccia e con qualunque animo lo scruti.
Ma se queste sono le radici storiche della Costituzione allora essa nei suoi valori fondanti
è sottratta ad ogni contingenza politica. La sostanza della Costituzione non è disponibile per
nessuna maggioranza politica.
      Dunque le conclusioni dell’ampio dibattito che ho richiamato in alcuni suoi passaggi
essenziali ci permettono di dire che vi sono le condizioni oggi per una larga condivisione, che
ha avuto un sorta di riconoscimento da parte dello stesso Presidente della Repubblica, sul modo
di intendere il nesso storico fra Resistenza e Costituzione: la vitalità della Costituzione esce
rafforzata da questo dibattito.
      La scelta di difendere la Costituzione, nell’eventuale referendum confermativo delle
devastanti modifiche ad essa apportate, non è un scelta politica di parte ma scelta di fedeltà alla
nostra storia.
1
                Il sistema delle autonomie. Ricerca promossa dal Consiglio regionale della Toscana in
     occasione del XXX della Repubblica e della Costituzione, Bologna, Il Mulino 1979-1981, 15 voll.
     Di particolare interesse risultano i due volumi a cura di Roberto Ruffilli, Cultura politica e partiti
     nell'età della Costituente, vol. I: L'area liberal democratica. Il mondo cattolico e la Democrazia
     cristiana, vol II: L'area socialista. Il Partito comunista italiano, (1979); nonché i volumi: L'Italia
     negli ultimi trent'anni. Rassegna critica degli studi, (1978), e Il sistema delle autonomie: rapporti
     tra stato e società civile. Atti del Convegno sulla ricerca promossa dal Consiglio regionale della
     Toscana in occasione del XXX della Repubblica e della Costituzione (1981).
             2
                Cfr. per questa tesi: G. Quazza, Resistenza e storia d'Italia, Milano, Feltrinelli, 1976; C.
     Pavone, La continuità dello Stato. Istituzioni e uomini, in Italia 1945-48. Le origini della
     Repubblica, Torino, Giappichelli, 1974, pp. 137-289. Dello stesso autore: Ancora sulla continuità,
     in Scritti storici in memoria di E. Piscitelli, Padova, Antenore, 1982. I saggi di Pavone sul tema
     della continuità sono ora raccolti nel volume: C. Pavone, Alle origini della Repubblica. Scritti sul
     fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Torino, Bollati Boringhieri, 1995.
             3
                Cfr. A. Rossi Doria, Le donne sulla scena politica, in Storia dell' Italia repubblicana,
     Torino, Einaudi, vol. 1., pp.776-846; vedi anche il volume: Presidenza del Consiglio dei ministri,
     Commissione nazionale per le pari opportunità tra uomo e donna, Alle origini della Repubblica.
     Donne e Costituente, di M. Addis Saba, M. De Leo, F. Taricone, Dipartimento per l'informazione e
     l'editoria, 1996.
             4
                F. Calasso, Prolegomeni alla costituente, in "Il Mondo", Firenze 6 luglio 1946, ora in F.
     Calasso, Cronache politiche di uno storico, Firenze, La Nuova Italia, 1975, p. 158-159.
             5
                La costituente criptogenetica, in "Il Mondo", Firenze, 17 agosto 1946, ora in Cronache,
     cit., pp.173-175.
             6
               I Luoghi della memoria. Strutture ed eventi dell'Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1997, p.
     556-557.
             7
               Alle stesse conclusioni giunge la riflessione di Nicola Tranfaglia: "La storia del novecento
     sembra, almeno per l'Italia, aver seppellito definitivamente il mito dei Savoia o di loro possibili
     sostituti. Tuttavia tarda a nascere anche un forte mito repubblicano, paragonabile a quello che si è
     affermato in Francia, ma questo sembra dipendere soprattutto dal clima di aspra contrapposizione
     ideologica che caratterizza la 'guerra fredda', di cui l'Italia risente più di altri paesi", N. Tranfaglia,
     La Repubblica, in I luoghi della memoria. Personaggi e date dell' Italia unita, Roma-Bari, Laterza,
     1997, p. 318.
8
      P.E. Taviani, Politica a memoria d’uomo, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 119-120.
     9
        L. Valiani, Il problema politico della nazione italiana, in Dieci anni dopo 1945-1955. Saggi sulla
     vita democratica italiana, Bari, Laterza, 1955, p. 86.
             10
                 Il giudizio era stato già espresso dal Calamandrei nei Cenni introduttivi sulla Costituente
     e sui suoi lavori, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana, diretto da P. Calamandrei
     e A. Levi, Firenze, 1950, vol. I, p. XXXV, ma fu ripreso nel saggio La Costituzione e le leggi per
     attuarla, in Dieci anni dopo 1945-1955. Saggi sulla vita democratica italiana, Bari, Laterza, 1955,
     p. 211.
             11
                P. Calamandrei, Questa nostra Costituzione, Introduzione di Alessandro Galante Garrone,
     Milano, Bompiani, 1995.
12
       In "La Stampa", 16 giugno 1956.
13
        Calamandrei, Questa nostra Costituzione, cit. p. XXIV.
     14
        G. Quazza, Resistenza e storia d'Italia, Milano, Feltrinelli, 1976.
     15
        Uno degli esempi più noti e discussi di questa impostazione è offerto dall'opera di R. Del Carria,
     Proletari senza rivoluzione, Roma, Savelli, 1975-77, 5 voll.
     16
         G. Quazza, Passato e presente nelle intepretazioni della Resistenza, in Passato e presente della
     Resistenza, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, s. d.
     17
        Si veda in proposito Passato e presente della Resistenza, cit. Di particolare interesse la risposta di
     Pavone alle critiche mosse al suo titolo (pp. 111 e ss., 131 e ss).
     18
        V. Foa, Il cavallo e la torre. Riflessioni su una vita, Torino, Einaudi, 1991, pp. 138.
     19
        G. De Rosa, La transizione infinita. Diario politico 1990-1996, Roma-Bari, Laterza, 1997.
     20
         Indubbiamente una riflessione approfondita e critica sull'8 settembre è necessaria purché essa
     superi le semplificazioni polemiche. Si veda in proposito la ricostruzione di E. Aga Rossi,Una
     nazione allo sbando. L'armistizio dell' 8 settembre 1943, Bologna, Il Mulino, 1993.
             21
                  In maniera articolata e documentata questa tesi è presente anche nell'ultima parte,
     dedicata appunto al periodo della Repubblica dell'opera assai pregevole, di E. Gentile, La grande
     Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Milano, Mondadori, 1997.
             22
                 C. Pavone, Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità
     dello Stato, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p. XV.
23
                   V. E. Giuntella, Gli italiani nei campi di concentramento nazisti, in Trent' anni di storia
        politica italiana, Torino, ERI, 1967.
                24
                   Sul tema della Resistenza civile o non armata ha insistito Antonio Parisella del quale si
        veda ora Sopravvivere liberi. Riflessioni sulla storia della resistenza a cinquant' anni dalla
        liberazione, Roma, Gangemi, 1997.
                25
                   E. Aga Rossi, Una nazione allo sbando, cit.
26
                 A colloquio con Dossetti e Lazzati. Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, Bologna, Il Mulino,
2003.

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La Costituzione del '48 nel dibattito politico della Repubblica italiana

  • 1. La Costituzione del '48 nel dibattito politico della Repubblica italiana di Pietro Scoppola Intervento al convegno 'Radici e vitalità della Costituzione' svoltosi a Genova il 23 aprile 2005. Pubblicato in “Storia e memoria”, 2005 – Vol. 14 – Fasc. 2 – pp. 137 - 148 Quest’anno il 25 aprile cade all’indomani della prima approvazione da parte del Parlamento di una radicale modifica della nostra Costituzione che mette in discussione la sua originaria fisionomia. La quasi totalità dei costituzionalisti italiani si è schierata in difesa della Costituzione. Ma non solo il diritto ma anche la storia (e gli storici) sono chiamati in causa, se si vuole dare a questo dibattito sulla Costituzione tutto lo spessore culturale che merita. Il titolo chiama in causa radici e vitalità. Le radici sono la fonte e la ragione della vitalità; ma non penso di riandare in questo intervento alle radici storiche della Costituzione, alle culture politiche che l’hanno ispirata, tema questo già ampiamente esplorato. Ricordo appena il convegno che nel 1975, nel trentesimo anniversario, la regione Toscana promosse sulla base di una imponente ricerca su Il sistema delle autonomie: rapporti fra Stato e società civile, i cui risultati sono raccolti in ben quindici volumi1: la ricerca era centrata sul tema delle autonomie, ma ebbe il respiro di una ricognizione approfondita sulle radici culturali della Costituzione. Al convegno parteciparono studiosi di ogni formazione in un clima di feconda collaborazione (consentitemi di ricordare il contributo di Roberto Ruffilli)2. Mi sembra più interessante, oggi, di fronte alla minaccia che incombe sulla nostra Costituzione, interrogarci sulle radici nel senso del radicamento della Costituzione nella vita della Repubblica, nella cultura e nell’animo popolare, perché la sua vitalità anche a questo è legata. Lo stravolgimento del nostro assetto costituzionale proposto nella riforma sarebbe stato forse impossibile se nel profondo della coscienza popolare fosse radicato quel patriottismo della Costituzione nel quale si esprime oggi nei paesi democratici più maturi il senso stesso della cittadinanza. Perché la Costituzione non è diventata elemento vissuto, motivo di appartenenza, perché ha radici ancora deboli nel Paese? Le ricerche sin qui effettuate concordano nel sottolineare il notevole coinvolgimento popolare nella nascita della Repubblica e invece lo scarso coinvolgimento rispetto al dibattito costituzionale. La nascita della Repubblica per via di referendum fu indubbiamente sentita. Si pensi solo che le donne italiane con il loro primo voto furono chiamate a giudicare il re3. Rimase in ombra, il lavoro dell'Assemblea costituente. La più immediata spiegazione di questa caduta di interesse è nella riservatezza in cui i lavori della Commissione e delle sottocommissioni si svolsero. Un grande storico del diritto Francesco Calasso nobilitò questa mancanza di passione popolare come "raccoglimento silenzioso" 4. Ma presto tornò sul tema con una più concreta annotazione: l'interesse degli italiani per la costruzione di questa casa nella quale dovranno abitare per qualche secolo coi loro figli e i figli dei figli, è molto modesto: ha bisogno di essere ridestato e tenuto sveglio; ha bisogno soprattutto di essere educato5. Una educazione - come vedremo - necessaria e mancata. La nuova costituzione entra in vigore il 1° gennaio 1948 quasi in sordina: la cerimonia si svolge in ritardo sull'orario fissato e in assenza del Capo provvisorio dello Stato De Nicola che non vuole lasciare la sede di palazzo Giustiniani dove ha svolto sin lì le sue funzioni. Eravamo alla vigilia della prova elettorale del 18 aprile 1948: è evidente che il baricentro della politica italiana era altrove; era già nato il Fronte popolare e si annunciava uno scontro fra i partiti nel quale si sarebbero giocati i destini del paese.
  • 2. Mario Isnenghi nella conclusione dei volumi dai lui curati su I luoghi della memoria con riferimento all'esito del voto del 2 giugno osserva: "Fascismo e antifascismo, comunismo e anticomunismo, i simboli del 'rosso' e del 'bianco', l'americanismo e l'antiamericanismo, appaiono nel dopoguerra ben più capaci di concettualizzare gli schieramenti e di orientare le passioni collettive"6 rispetto alla nuova identità collettiva repubblicana e democratica7. L’osservazione è ancora più valida per le elezioni del 18 aprile 1948. Di fatto i partiti hanno svolto un ruolo per certi aspetti contraddittorio: mentre contribuivano da un lato a rifondare sul piano giuridico formale, nel testo costituzionale, una convivenza e una cittadinanza democratica, ne limitavano, dall'altro, le possibilità di espressione in quanto diventavano essi stessi il fattore dominante di integrazione, creando identità collettive divise e conflittuali. Ha giocato indubbiamente una necessità storica: solo i partiti e in particolare i grandi partiti popolari potevano gestire la realtà nuova della società di massa creata dal fascismo. Ma il riconoscimento di una necessità storica non può precludere la visione critica delle conseguenze. E non si può tacere una responsabilità della cultura e proprio di quel filone culturale che aveva dato un forte contributo alla Resistenza: nel primo decennio il giudizio sulla Costituzione fu fortemente condizionato dal sentimento della 'Resistenza tradita' espresso dalla cultura azionista. Già nell'ottobre del '46 uno dei più significativi esponenti dell'azionismo, Piero Calamandrei, denunciava l’emergere di uno spirito di 'desistenza'. La frattura si accentua con la crisi del maggio 1947 che pone fine ai governi di unità antifascista. Paolo Emilio Taviani nel suo bel libro Politica a memoria d’uomo sottolinea che “Il motivo di fondo che spezzò l’unità della Resistenza fu la politica estera. Soltanto ed esclusivamente la politica estera”…… in ragione della scelta filosovietica del PCI8. Dopo quella frattura le interpretazioni della Resistenza si differenziano; riemergono le diverse motivazioni che l’avevano ispirata: lotta per un radicale rinnovamento sociale da un lato, guerra di liberazione patriottica dall’altro. Ma da nessuna parte politica viene negato il rapporto fra Resistenza e Costituzione; anche se il conflitto politico coinvolge profondamente la Costituzione stessa. La polemica delle sinistre contro i governi centristi viene condotta in nome della Costituzione, la Costituzione si radica nella coscienza popolare. La maggioranza degasperiana svolge anch’essa un ruolo che consolida negli ambienti cattolici il rispetto della costituzione: l’anticomunismo degasperiano ha radici democratiche; c’è un anticomunismo democratico, troppo a lungo dimenticato o trascurato, che si sviluppa in un quadro parlamentare e costituzionale e che di fatto condizionerà e favorirà lo stesso sviluppo democratico del comunismo italiano; De Gasperi rifiuterà sempre, come è noto, l’idea di un fronte anticomunista aperto alle destre. Ma c’è per altro verso un ritardo nella attuazione della Costituzione, un 'ostruzionismo di maggioranza' nella sua attuazione. Il clima politico e culturale si sviluppa con ritardo rispetto al quadro politico. Il grande discorso di Giovanni Gronchi in Parlamento del 25 aprile 1955 per il decimo anniversario della liberazione (cui seguirà poco dopo la sua elezione a Presidente della Repubblica), segna in qualche modo una svolta rispetto alle lacerazioni degli anni precedenti in quanto fa della attuazione della Costituzione un impegno per il parlamento e avvia la nuova fase del disgelo costituzionale che ha nella creazione della Corte costituzionale il suo primo e significativo momento. Ma nello stesso anno nel volume laterziano Dieci anni dopo riemerge ancora con forza il sentimento della resistenza tradita: Leo Valiani, accosta polemicamente le due date del 22 dicembre 1947, in cui con l'approvazione della Costituzione era stato tracciato "il disegno ideale di un nuovo stato veramente democratico", e del 7 febbraio 1948, in cui con un decreto legislativo firmato da Togliatti era stata chiusa la fase dell'epurazione, sicché "la restaurazione del vecchio stato….. poteva dirsi ultimata"9.
  • 3. Nello stesso volume, Piero Calamandrei riassumeva nella famosa immagine dello scambio fra una rivoluzione mancata e una rivoluzione promessa il significato del compromesso costituzionale in una relazione dal titolo La Costituzione e le leggi per attuarla, il cui vero titolo, come egli avvertiva, avrebbe dovuto essere "come si fa a disfare una costituzione"10. Ma va subito ricordato che Alessandro Galante Garrone, ripubblicando lo scritto quarant'anni dopo e ricostruendone la genesi11, ha sottolineato una significativa coincidenza: pochi mesi dopo la stesura di quel testo di fronte alla prima sentenza della appena nata Corte costituzionale - la sentenza del 13 giugno 1956 - che aveva cancellato l'articolo 113 della legge fascista di Pubblica sicurezza Calamandrei aveva scritto un articolo dal titolo per se stesso significativo, La costituzione si è mossa12, nel quale affermava: "I cittadini sentiranno che la Costituzione non è soltanto una carta scritta, che la Repubblica non è stata una beffa"13. Ma resta tuttavia vero che il primo decennio di vita repubblicana fu culturalmente condizionato da quella pesante ipoteca del negativo giudizio azionista. Certo questo non favorì quella educazione alla democrazia auspicata dagli esponenti di quella stessa cultura e non solo da essi. Come è noto, nella Commissione alleata di controllo, istituita l'11 novembre 1943, una sottocommissione sotto la direzione del pedagogista americano Carleton Washburne affrontò il tema della rieducazione del popolo italiano alla democrazia. Ma bisognerà aspettare il 1958 per vedere introdotta nella scuole da Aldo Moro, ministro della istruzione, un'educazione civica nella scuola, che resterà peraltro del tutto marginale nella vita scolastica. Insomma in quei primi anni di vita democratica, l'eredità della Resistenza e il riferimento stesso alla Costituzione è inevitabilmente lacerato nel contesto di un aspro conflitto politico. Solo con un filo sottile la Resistenza unisce ancora gli opposti schieramenti della politica italiana; il filo è quello del nesso, sia pure diversamente interpretato e definito, fra Resistenza e Costituzione repubblicana che si riassume nella formula della Repubblica e della Costituzione nate dall'antifascismo e dalla Resistenza. È un filo esile ma importante, perché contribuisce a mantenere lo scontro politico negli anni della guerra fredda in un comune spazio costituzionale. Il filo si rafforzerà negli anni Sessanta, dopo le note vicende che vedono Genova insorgere contro l’autorizzazione concessa dal governo Tambroni ai missini di tenere nella città il loro congresso e poi negli anni del centro sinistra. L'antifascismo tornerà ad essere più nettamente la base comune del cosiddetto 'arco costituzionale'. Non a caso sono questi gli anni di un grande sviluppo degli studi sulla Resistenza ad opera di una rete sempre più vasta di istituti storici e sulla base della acquisizione di nuove fonti. La visione si fa più articolata rispetto a quei primi giudizi formulati dagli stessi protagonisti. Gli studi sul fascismo hanno messo in evidenza la realtà e l’estensione del consenso al regime ed hanno contribuito indirettamente al superamento della logorante polemica sul 'tradimento della Resistenza': si è compreso cioè che la democrazia italiana ha dovuto fare i conti con una pesante eredità. Ma una frattura più profonda torna presto a manifestarsi proprio negli anni del confronto fra DC e PCI, e poi della solidarietà nazionale. Si affaccia sul piano degli studi storici la cosiddetta 'tesi della continuità'. Si torna a sottolineare che la lotta di liberazione non aveva segnato una rottura profonda nella storia italiana sul terreno del potere economico e degli apparati dello Stato: uno dei maggiori storici della Resistenza, Guido Quazza, offre una sintesi di questi orientamenti nel volume Resistenza e storia d'Italia14 . Si riprende in sostanza la polemica sulla Resistenza tradita ma la si colloca in una visione di lungo periodo. Obiettivo polemico di questa storiografia è proprio il Partito comunista, al quale viene attribuita la responsabilità di aver svolto una funzione frenante sulla spinta innovativa allo scopo, poi smentito dalla evoluzione dei fatti, di 'stare al governo'. I moti spontanei di base manifestatisi prima, durante e dopo la Resistenza assumono il carattere di un filo conduttore alternativo, e diventano quasi un ideale punto di riferimento per una interpretazione nuova della storia del paese15.
  • 4. In questo quadro il rapporto fra Resistenza e Costituzione repubblicana diventa "l'appropriazione della guerra partigiana - come ha scritto Guido Quazza - da parte del 'compromesso' fornito dalla Costituzione della Repubblica"16; in opposizione a ciò si tendeva a ricuperare il vissuto della Resistenza soprattutto come esperienza di lotta armata; la banda partigiana diventava - è ancora un'espressione di Quazza - un "microcosmo di democrazia diretta". Questi orientamenti trovano ascolto nel circuito ristretto della protesta giovanile. Pur nel loro esasperato unilateralismo, questi orientamenti storiografici hanno contribuito ad ampliare il quadro delle ricerche; si è passati da una visione dominata dagli aspetti puramente politici ad una visione più attenta alla realtà sociale. Ma non hanno certo contribuito a formare nelle nuove generazioni quel patriottismo della costituzione di cui si diceva. Il volume di Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, (Torino, Bollati Boringhieri, 1991) chiude una stagione di studi con un'opera di grande respiro che ha aperto peraltro la nota polemica sulla guerra civile. Molti protagonisti della Resistenza hanno reagito negando alla Resistenza il carattere di una guerra civile: da Nuto Revelli, a Paolo Emilio Taviani a Ermanno Gorrieri a Sergio Cotta a Guido Quazza per non citare che alcuni nomi17. E, in effetti, si può considerare un governo italiano quello di Salò, nato all'ombra e per volontà dell'occupante tedesco come tutti i governi collaborazionisti nell'Europa occupata dai nazisti? Nel libro di Pavone fortemente segnato da un 'orgoglio della Resistenza', il ricorso alla categoria della guerra civile si spiega proprio all'interno della impostazione generale dell'opera: una visione dal basso, dal punto di vista delle motivazioni e dei sentimenti degli uomini che hanno vissuto quella esperienza. Accettando questo punto di vista un altro protagonista della Resistenza, Vittorio Foa, ha notato: "L' obiettivo della ricostruzione della identità nazionale perduta conferma la tesi della Resistenza come guerra civile. […] Noi dovevamo combattere il fascismo fra di noi, fra gli italiani, e poi anche dentro di noi"18. Ma quello di Pavone è ormai un fiore nel deserto e la polemica che suscita una polemica di altri tempi…. Giustamente Filippo Focardi, nel volume appena uscito La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano del 1945 a oggi, indica proprio nella iniziativa di Craxi alla metà degli anni Ottanta l’elemento che apre una nuova stagione di polemiche e di dibattiti. “Al richiamo di per sé ineccepibile della necessità di distinguere fra antifascismo e democrazia (il comunismo in quanto antifascista non poteva definirsi ipso facto democratico) si accompagnarono critiche a noti episodi della Resistenza di cui erano stati protagonisti partigiani comunisti”, quali l’attentato di via Rasella o l’uccisione di Giovanni Gentile. Si apre la polemica sul 'triangolo della morte' con un chiaro intento politico: delegittimare il PCI nel momento stesso in cui subiva la profonda evoluzione legata al venir meno dell’Unione sovietica. Il crollo del muro di Berlino e poi dell' Unione sovietica hanno ha aperto anche per l'Italia una nuova fase politica. Si è aperta una transizione che è stata giudicata 'infinita'19. Incombe sul Paese il sentimento di una crisi di identità e di una minaccia alla sua stessa unità. In questo contesto si colloca e si sviluppa quella che definirei l’ondata revisionista. La storiografia revisionista, nell’opera dei suoi due più significativi esponenti, Renzo De Felice e Ernesto Galli della Logia ha in sostanza retrodatato le ragioni di crisi del sistema politico italiano negli anni Novanta al momento stesso fondativo della Repubblica, contribuendo a mettere per così dire sotto processo, con ampia risonanza nell'opinione pubblica, la stessa Costituzione repubblicana. Come è noto due sono i motivi centrali in questo revisionismo: il primo è quello della 'lunga zona grigia' di indifferenza e passività fra le due posizioni minoritarie in lotta crudele fra loro, quella dei resistenti e quella di coloro che si batterono per la Repubblica di Salò; il secondo è quello della crisi della nazione, quale si era faticosamente venuta formando negli anni del Risorgimento e dell'Italia unita, nella tragedia dell'8 settembre, che diventa la data simbolo della 'morte della patria'. È evidente che se è fondata l'immagine di un paese immerso nella zona grigia, se la Resistenza è un fatto sostanzialmente marginale, allora l'8 settembre e
  • 5. non più il 25 aprile diventa l'elemento centrale di tutta la vicenda20; la Costituzione non ha più un riferimento forte nella Resistenza; non ha d'altra parte un fondamento in una tradizione nazionale italiana travolta dalle vicende belliche21; la Costituzione perde rilievo storico e torna ad essere tutto e solo un compromesso fra i partiti. Così tutto l'edificio della Repubblica resta privo di fondamento e la Costituzione perciò destinata ad essere archiviata con il superamento di quel quadro storico e con la scomparsa di quei soggetti politici. Penso vi sia una dipendenza del revisionismo degli anni Novanta da quelle tesi della continuità proposte negli anni Settanta, di cui si è detto, che accentuavano il carattere elitario della Resistenza contrapponendola alla maggioranza passiva e attendista della popolazione. Il rapporto fra Resistenza e Costituzione anche in quelle tesi, come si è viso, veniva spezzato. Nella nuova storiografia revisionista quella visione della Resistenza, elitaria ed avulsa dalla realtà profonda del paese, viene ricuperata e rovesciata in senso opposto, nel senso cioè della sua irrilevanza. Lo stesso Claudio Pavone, che della tesi della continuità era stato uno dei più autorevoli interpreti, nella prefazione ad una raccolta dei suoi saggi, ha riconosciuto che la tesi della continuità dello Stato da stimolo critico verso l'assetto repubblicano uscito dalla Resistenza rischia di trasformarsi o in un rassegnato riconoscimento della fatalità delle cose, o in condanna della Repubblica in quanto tale (paradossale capovolgimento in chiave moderata della vecchia tesi della Resistenza tradita), o in una critica radicale della Resistenza stessa che quella Repubblica aveva partorito, o ancora in una frettolosa rivalutazione del regime fascista di cui finalmente i fatti dimostrerebbero la positiva realtà profonda22. Gli effetti del revisionismo su piano politico sono pesanti; la svalutazione della Costituzione è uno degli effetti più gravi. Proprio qui a Genova la Costituzione è pesantemente violata in occasione del G8 del luglio 2001. Ma in definitiva sul piano culturale il revisionismo degli anni Novanta ha suscitato una reazione che ha contribuito a rinsaldare il radicamento della Costituzione nella coscienza popolare. L’immagine della zona grigia è apparsa subito riduttiva e inaccettabile: la popolazione italiana nel suo insieme non fu inerte e indifferente di fronte ai mille drammi umani provocati dall'8 settembre: i soldati allo sbando furono accolti e rivestiti con panni civili per aiutarli a sfuggire ai tedeschi e a raggiungere le loro famiglie; inglesi e americani in fuga dai campi di prigionia furono ospitati e nascosti a rischio della vita; molti ebrei furono salvati dalla solidarietà popolare. Proprio gli 'sbandati', come lo stesso Parri ebbe a sottolineare, offrono le prime leve alla resistenza Il rifiuto della chiamata alle armi da parte della Repubblica sociale coinvolge, circa il 40 per cento dei giovani (e delle loro famiglie) e non è certo un fatto passivo. È stata ricuperata, anche per merito del presidente Ciampi, la complessa realtà della resistenza dei militari, rimasta in ombra nelle storiografia di sinistra: erano classificati i 'badogliani'. Sono stati ricuperati alla resistenza gli ufficiali e i soldati che resistono nei lager per fedeltà al giuramento al re23: si tratta di una realtà anche quantitativamente imponente (circa 600.000 sono i resistenti nei lager) che coinvolge famiglie ed amici rimasti in patria. Lo stesso De Felice pone in luce che gli italiani dei territori occupati dai tedeschi sono in larghissima maggioranza orientati in senso antifascista e antitedesco, hanno fatto cioè una scelta, la scelta giusta, anche se non la traducono nel prendere le armi. Il ruolo della presenza cattolica intuito da Chabod era stato poi confinato negli spazi dell’attendismo. La Chiesa non prende parte attiva, ma il suo messaggio è alternativo a quello fascista e si pone piuttosto come elemento di salvaguardia di valori fondamentali di convivenza che la guerra civile aveva travolto. Proprio questa capacità della Chiesa di porsi al di sopra delle parti rappresenta una premessa essenziale di una ricostruzione democratica fondata per sua natura sul senso forte del rispetto della persona umana a prescindere da idee e da scelte politiche. Il rifiuto della violenza e l'accentuarsi della volontà di pace non sono sentimenti 'grigi', e non saranno di fatto irrilevanti per un' opera di ricostruzione della convivenza civile.
  • 6. In sostanza il prendere le armi da una parte o dall'altra non si può considerare l’unica forma di partecipazione e di coinvolgimento. La tenace volontà di sopravvivenza che finisce con il prevalere in molti è pur sempre una grande risorsa vitale per il futuro di un popolo stremato sul piano materiale e morale da una guerra perduta e dalla presenza di due eserciti in guerra fra loro, divisi da un fronte che spazza da sud a nord tutto il paese: combattere ogni giorno per vivere e sopravvivere è cosa ben diversa da una inerzia passiva se si tiene conto delle difficili condizioni di vita, del crescente disagio economico, dell'impegno eccezionale cui anche milioni di donne sono state chiamate. Il rifiuto della violenza e l'accentuarsi della volontà di pace non sono sentimenti 'grigi', e non saranno di fatto irrilevanti per un'opera di ricostruzione della convivenza civile. Insomma il fenomeno della lotta armata, che conserva tutto il suo valore, non può essere isolato dalle innumerevoli forme di 'resistenza civile' di cui il paese fu teatro24. L’idea stessa della patria non muore ma si trasforma: "L'uso della parola patria - osserva l'Aga Rossi - era molto diffuso fra i partigiani e non aveva quel significato desueto e quasi disdicevole assunto più tardi"25. È su queste premesse che si può tornare al tema del significato storico della Costituzione: essa ha dato forma giuridica e ha consacrato sentimenti speranze radicate nel popolo che nel dramma della guerra si erano sviluppate. Dunque la Costituzione non è un semplice compromesso fra i partiti, ma la risposta ad una domanda profonda di un popolo che usciva dalla tragedia della guerra. Ma nell’immediato il revisionismo ha offerto argomenti a quelle forze politiche non legate alla costituzione repubblicana che aspiravano a togliersi di dosso i vincoli da essa imposti e a immaginare perciò un nuovo inizio, una seconda repubblica del tutto svincolata dalla prima. In questo contesto si colloca quella significativa riscossa in difesa della Costituzione che ha visto, come è noto, in prima fila il monaco Giuseppe Dossetti. Ma attenzione a non confondere queste iniziative in difesa della Costituzione con un cieco conservatorismo costituzionale. L’esempio offerto proprio da Giuseppe Dossetti, maggiore protagonista del movimento per la difesa della costituzione, è assai significativo. Proprio dieci anni prima della data in cui con la lettera al sindaco di Bologna diede avvio al suddetto movimento, Dossetti aveva rilasciato a Leopoldo Elia e a me una lunga intervista che solo due anni fa abbiamo potuto pubblicare26. Ebbene in quelle intervista le critiche di Dossetti alla costituzione soprattutto sul punto della debolezza del potere esecutivo sono esplicite e taglienti sino a ricordare le ipotesi, allora formulate, di un sistema presidenziale. Dunque Dossetti era consapevole della necessità di una riforma costituzionale, ma di una riforma che doveva muoversi in linea di continuità rispetto ai valori di fondo della costituzione. Invece il clima politico in cui il processo di riforma si avvia dieci anni dopo lo spinge ad una brusca impennata in difesa di quei valori di fondo che vede minacciati, lo spinge ad una rivendicazione forte del nesso che la Costituzione ha con il quadro storico in cui è nata e, scavalcando perfino il tema del nesso Resistenza Costituzione, lo porta a porre in luce il nesso più profondo e di portata epocale fra la Costituzione e l’evento della seconda guerra mondiale. Con la profondità di una riflessione che trova alimento in una intensa esperienza religiosa, Giuseppe Dossetti, in una conferenza del 16 settembre 1994, formula la famosa immagine: Alcuni pensano che la Costituzione sia un fiore pungente nato quasi per caso da un arido terreno di sbandamenti postbellici e da risentimenti faziosi volti al passato. […] In realtà la Costituzione italiana è nata ed è stata ispirata - come e più d'altre pochissime costituzioni - da un grande fatto globale, cioè dai sei anni della seconda guerra mondiale. Questo fatto emergente della storia del XX secolo va considerato rispetto alla Costituzione, in tutte le sue componenti oggettive e al di là di ogni contrapposizione di soggetti, di parti, di schieramenti, come un evento enorme del quale nessun uomo che oggi vive o anche solo che nasca oggi, può o potrà attenuare le dimensioni, qualunque idea se ne faccia e con qualunque animo lo scruti.
  • 7. Ma se queste sono le radici storiche della Costituzione allora essa nei suoi valori fondanti è sottratta ad ogni contingenza politica. La sostanza della Costituzione non è disponibile per nessuna maggioranza politica. Dunque le conclusioni dell’ampio dibattito che ho richiamato in alcuni suoi passaggi essenziali ci permettono di dire che vi sono le condizioni oggi per una larga condivisione, che ha avuto un sorta di riconoscimento da parte dello stesso Presidente della Repubblica, sul modo di intendere il nesso storico fra Resistenza e Costituzione: la vitalità della Costituzione esce rafforzata da questo dibattito. La scelta di difendere la Costituzione, nell’eventuale referendum confermativo delle devastanti modifiche ad essa apportate, non è un scelta politica di parte ma scelta di fedeltà alla nostra storia.
  • 8. 1 Il sistema delle autonomie. Ricerca promossa dal Consiglio regionale della Toscana in occasione del XXX della Repubblica e della Costituzione, Bologna, Il Mulino 1979-1981, 15 voll. Di particolare interesse risultano i due volumi a cura di Roberto Ruffilli, Cultura politica e partiti nell'età della Costituente, vol. I: L'area liberal democratica. Il mondo cattolico e la Democrazia cristiana, vol II: L'area socialista. Il Partito comunista italiano, (1979); nonché i volumi: L'Italia negli ultimi trent'anni. Rassegna critica degli studi, (1978), e Il sistema delle autonomie: rapporti tra stato e società civile. Atti del Convegno sulla ricerca promossa dal Consiglio regionale della Toscana in occasione del XXX della Repubblica e della Costituzione (1981). 2 Cfr. per questa tesi: G. Quazza, Resistenza e storia d'Italia, Milano, Feltrinelli, 1976; C. Pavone, La continuità dello Stato. Istituzioni e uomini, in Italia 1945-48. Le origini della Repubblica, Torino, Giappichelli, 1974, pp. 137-289. Dello stesso autore: Ancora sulla continuità, in Scritti storici in memoria di E. Piscitelli, Padova, Antenore, 1982. I saggi di Pavone sul tema della continuità sono ora raccolti nel volume: C. Pavone, Alle origini della Repubblica. Scritti sul fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Torino, Bollati Boringhieri, 1995. 3 Cfr. A. Rossi Doria, Le donne sulla scena politica, in Storia dell' Italia repubblicana, Torino, Einaudi, vol. 1., pp.776-846; vedi anche il volume: Presidenza del Consiglio dei ministri, Commissione nazionale per le pari opportunità tra uomo e donna, Alle origini della Repubblica. Donne e Costituente, di M. Addis Saba, M. De Leo, F. Taricone, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, 1996. 4 F. Calasso, Prolegomeni alla costituente, in "Il Mondo", Firenze 6 luglio 1946, ora in F. Calasso, Cronache politiche di uno storico, Firenze, La Nuova Italia, 1975, p. 158-159. 5 La costituente criptogenetica, in "Il Mondo", Firenze, 17 agosto 1946, ora in Cronache, cit., pp.173-175. 6 I Luoghi della memoria. Strutture ed eventi dell'Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 556-557. 7 Alle stesse conclusioni giunge la riflessione di Nicola Tranfaglia: "La storia del novecento sembra, almeno per l'Italia, aver seppellito definitivamente il mito dei Savoia o di loro possibili sostituti. Tuttavia tarda a nascere anche un forte mito repubblicano, paragonabile a quello che si è affermato in Francia, ma questo sembra dipendere soprattutto dal clima di aspra contrapposizione ideologica che caratterizza la 'guerra fredda', di cui l'Italia risente più di altri paesi", N. Tranfaglia, La Repubblica, in I luoghi della memoria. Personaggi e date dell' Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 318. 8 P.E. Taviani, Politica a memoria d’uomo, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 119-120. 9 L. Valiani, Il problema politico della nazione italiana, in Dieci anni dopo 1945-1955. Saggi sulla vita democratica italiana, Bari, Laterza, 1955, p. 86. 10 Il giudizio era stato già espresso dal Calamandrei nei Cenni introduttivi sulla Costituente e sui suoi lavori, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana, diretto da P. Calamandrei e A. Levi, Firenze, 1950, vol. I, p. XXXV, ma fu ripreso nel saggio La Costituzione e le leggi per attuarla, in Dieci anni dopo 1945-1955. Saggi sulla vita democratica italiana, Bari, Laterza, 1955, p. 211. 11 P. Calamandrei, Questa nostra Costituzione, Introduzione di Alessandro Galante Garrone, Milano, Bompiani, 1995. 12 In "La Stampa", 16 giugno 1956. 13 Calamandrei, Questa nostra Costituzione, cit. p. XXIV. 14 G. Quazza, Resistenza e storia d'Italia, Milano, Feltrinelli, 1976. 15 Uno degli esempi più noti e discussi di questa impostazione è offerto dall'opera di R. Del Carria, Proletari senza rivoluzione, Roma, Savelli, 1975-77, 5 voll. 16 G. Quazza, Passato e presente nelle intepretazioni della Resistenza, in Passato e presente della Resistenza, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, s. d. 17 Si veda in proposito Passato e presente della Resistenza, cit. Di particolare interesse la risposta di Pavone alle critiche mosse al suo titolo (pp. 111 e ss., 131 e ss). 18 V. Foa, Il cavallo e la torre. Riflessioni su una vita, Torino, Einaudi, 1991, pp. 138. 19 G. De Rosa, La transizione infinita. Diario politico 1990-1996, Roma-Bari, Laterza, 1997. 20 Indubbiamente una riflessione approfondita e critica sull'8 settembre è necessaria purché essa superi le semplificazioni polemiche. Si veda in proposito la ricostruzione di E. Aga Rossi,Una nazione allo sbando. L'armistizio dell' 8 settembre 1943, Bologna, Il Mulino, 1993. 21 In maniera articolata e documentata questa tesi è presente anche nell'ultima parte, dedicata appunto al periodo della Repubblica dell'opera assai pregevole, di E. Gentile, La grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Milano, Mondadori, 1997. 22 C. Pavone, Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p. XV.
  • 9. 23 V. E. Giuntella, Gli italiani nei campi di concentramento nazisti, in Trent' anni di storia politica italiana, Torino, ERI, 1967. 24 Sul tema della Resistenza civile o non armata ha insistito Antonio Parisella del quale si veda ora Sopravvivere liberi. Riflessioni sulla storia della resistenza a cinquant' anni dalla liberazione, Roma, Gangemi, 1997. 25 E. Aga Rossi, Una nazione allo sbando, cit. 26 A colloquio con Dossetti e Lazzati. Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, Bologna, Il Mulino, 2003.