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Ancora una volta

Lulù Cesira Vibescu
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Tutti i diritti riservati
La riproduzione parziale o totale del presente libro è
soggetta all’autorizzazione scritta da parte dell’editore.
La presente pubblicazione contiene le opinioni dell’autore
e ha lo scopo di fornire informazioni che, benché curate
con scrupolosa attenzione, non possono comportare
specifiche responsabilità in capo all’autore e all’editore per
eventuali inesattezze.

GiveMeAChance s.r.l. – Editoria Online
Viale Regina Margherita, 41 – Milano
1° edizione Marzo 2014

www.givemeachance.it
Indice

UNO .................................................................................. 5
DUE ................................................................................ 16
TRE................................................................................. 26
QUATTRO ...................................................................... 37
CINQUE .......................................................................... 58
SEI .................................................................................. 72
SETTE ............................................................................ 94
OTTO ............................................................................ 107
NOVE ............................................................................ 118
DIECI ............................................................................ 137
A D, che -giorno dopo giornoaccarezza il fuoco con grazia

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UNO

È quando smetti di fartene una colpa che cominci davvero
a risalire.
C’era voluto quasi un anno prima di riuscire ad accettare
che il mio matrimonio con Alberto fosse finito. Non era bastato che lui, da un giorno a un altro, fosse tornato ad abitare con i suoi. Non era bastato vederlo passeggiare mano
nella mano con un’altra donna per via del Corso. E no,
non erano bastati mesi di ansia e depressione in preda alle domande più assurde e dolorose a far scattare la benedetta “molla”.
Per troppo tempo avevo pensato di essere stata io la causa di tutto. Io, che tra lavoro, casa e nostra figlia Giada, mi
ero forse dimenticata di avere un marito che era anche un
uomo. Io, che magari avevo dimenticato di curarmi un po’
meglio e un po’ di più. Io, che probabilmente avrei dovuto

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GiveMeAChance
Editoria Online

ricordarmi un po’ più spesso di essere una femmina, oltre
che una moglie e una mamma.
Poi, invece, dopo una ventina di sedute dallo psicologo,
valli di lacrime e mille inutili chiacchiere con le (poche)
amiche e mia madre, la soluzione di tutti i problemi era
venuta fuori all’improvviso. Una mattina mi ero svegliata e,
infilandomi sotto la doccia, avevo fatto pace con la vita
smettendo di soffrire. Tanto e tale era stato il dolore dei
giorni precedenti che, di fronte a questa improvvisa pacificazione, non mi era venuto in mente di chiedermi né il
come, né il perché. Ero uscita dal getto d’acqua caldo e
profumato e, mentre mi stringevo nella spugna morbida
dell’accappatoio, avevo pensato che ero viva ed era,
semplicemente, bellissimo così. Mi ero asciugata, vestita e
truccata con religiosa meticolosità e quando Giada, vedendomi, mi aveva detto: “Mamma, come sei bella, come
stai bene oggi!”, avevo capito che l’inferno era passato.

Da quel giorno, sono passati ormai nove mesi. E mi sento
sempre meglio, sempre più in forma. Ci siamo visti una
volta con Alberto e, senza nessun piagnucolamento
6
Uno

d’occasione, né infingimenti civili, gli ho detto che sono io
a volere il divorzio e che, se mi garantisce un contributo
adeguato per tirar su nostra figlia e, naturalmente, una
permanenza indisturbata nella casa dove abbiamo sempre
abitato, può contattare il suo avvocato per cominciare a
lavorare su un accordo consensuale. Sono sicura che deve essere rimasto abbastanza sorpreso. E, con estremo
piacere, ho notato che la cosa non è dipesa soltanto dalla
mia fredda determinazione nell’affrontare il nostro definitivo addio… In un paio di suoi sguardi, soprattutto da un
cambio di luminosità degli occhi che gli uomini non sanno
nascondere quasi mai bene, ho potuto constatare che,
dopo chissà quanto tempo, aveva improvvisamente ripreso coscienza del fatto di trovarsi di fronte a una donna attraente. E di non poterla avere più. Mai più.

In effetti, dopo un primo deperimento dovuto al breakdown, piano piano avevo recuperato un appetito normale
e le mie forme abituali. E avevo ricominciato a curarmi nel
trucco e nel vestire. Ma la vera “svolta”, forse l’unica cosa
per la quale era valsa la pena pagare quel chiacchierone
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GiveMeAChance
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dello psicologo, era stato il consiglio di iscrivermi a una
palestra per sfogare la rabbia, aiutarla a uscire fuori.
All’inizio, mi ero sentita un po’ fuori luogo dentro quel posto luminoso e con la musica sparata ad alto volume. Non
tanto per il fatto che da quasi dieci anni non praticavo alcun tipo di attività, quanto perché avevo trovato difficile
star lì in mezzo a un manipolo di altre donne e ragazze
che sembravano agguerritissime senza motivo e così diverse da me. Invece, pur non avendo socializzato granché
con nessuna di loro, l’ambiente sportivo mi aveva conquistato un giorno dopo l’altro e avevo cominciato ad andare
a fare pilates, ginnastica e qualche peso leggero. Prima
due, poi tre volte a settimana. Sempre con maggiore entusiasmo. E i risultati non si erano fatti attendere: infatti, oltre
a trovare una valvola di sfogo eccellente per quello che
avevo dentro, il rimettermi in moto aveva assai giovato
anche al mio aspetto. Le gambe, prima un po’ smagrite,
avevano recuperato un tono muscolare notevole; il fondoschiena, che per fortuna Madre Natura mi aveva regalato
di belle proporzioni, aveva ripreso la forma “a cuore” di

8
Uno

qualche anno prima. La pelle tutta, più in generale, sembrava più tesa ed elastica.

Diciamolo: a quarantuno anni, posso affermare con una
certa tranquillità di non avere troppi segni del tempo sul
corpo e, quelle rare volte che mi capita di guardarmi nuda
davanti allo specchio, ciò che vedo mi piace. Chiaro, non
mi sento Belen Rodriguez o una di quelle ventenni che
spadroneggiano in televisione o sui giornali, ma non credo
che risulterei presuntuosa affermando di essere ancora
una bella donna. E poi, soprattutto, grazie anche alla valvola di sfogo offertami dalla palestra, ho cominciato a distendermi anche psicologicamente e a riprovare una stima
sincera per tutto quello che sono stata in grado di fare nella mia vita. Certo, delle volte continuo ancora a dirmi che
avrei potuto osare di più, che forse avrei dovuto essere un
po’ più spregiudicata in molte cose, ma poi mi rendo conto
che non ho voglia di star lì a stuzzicare i miei demoni e le
mie paure soltanto per provare qualche brivido in più. Che
poi… Ma quale brivido dovrei provare?! Qualche giorno fa
Claudia, una mia cara amica (“felicemente divorziata da
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GiveMeAChance
Editoria Online

quattro anni” come dice sempre lei), per darmi un’idea del
modo in cui gli uomini e i ragazzi vedono quelle come noi,
mi ha spiegato il significato di una parola che avevo letto
più volte su internet senza capire a cosa alludesse. Mi ha
detto che MILF è un acronimo per Mother I’d like to fuck.
Praticamente, se non ho capito male e se le tipe che mi ha
fatto vedere su un sito pornografico non mi hanno ingannato, le MILF sono delle donne della nostra età che spesso e volentieri si dedicano senza freni alle gioie del sesso
e a far sbavare e godere uomini più giovani di loro. Preferibilmente, davanti a una telecamera. Ora, io non ho niente contro il fare sesso, anche tanto, anche fantasioso, e
non ho niente contro gli uomini più giovani di me. Quello
che non capisco è la spettacolarizzazione di una categoria, quella delle mie pari età appunto, e il conseguente
svuotamento della carica erotica che possono avere nella
vita vera.

Claudia, come avevo immaginato, mi ha fatto presente
che sono la “solita pignola del cazzo” e che, ora che sono
tornata single, dovrei essere un po’ più espansiva, al pas10
Uno

so coi tempi, con “la zozza società di oggi”, se voglio sperare di trovarmi qualcun altro. Certo che lei non mi sembra
questo grande esempio di mangiatrice di uomini felice e
realizzata che vorrebbe far credere: so per certo, infatti,
che un tipo che ha conosciuto in un locale à la page di
quelli che frequenta durante il week end, le ha fatto credere mari e monti per un paio di settimane e, dopo essersi
fatto portar fuori a cena e a un sacco di altre parti (e dopo
essersi fatto anche prestare qualche cento euro), è sparito
non si sa dove, lasciandola abbattuta per un sacco di
giorni. Inoltre, per come la vedo ora, se avessi voglia di fare sesso con qualcuno, cercherei di prendermi quello che
questa eventuale persona avrebbe da offrirmi senza stare
a fare mille ragionamenti sui costumi contemporanei e su
certi anti-zen di massa che in troppi sembrano aver sposato come filosofie di vita. Una “sveltina” o una “botta di vita”
(che termini stupidi!) si possono fare senza per forza doversi sentire pornografiche o vamp. Io la vedo, più che altro, come una questione di incontri, di giusti scambi. Non
mi è mai parso necessario, neanche prima di essere sposata, di gettarmi da un letto a un altro tanto per. Sono
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GiveMeAChance
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convinta che il sesso possa essere davvero apprezzabile
quando due persone sono in grado di viverlo bene con la
testa. Anche senza sentimento, anche senza un coinvolgimento serio. È la bestialità pura a spaventarmi, ecco. E
non mi sono mai sentita retró per questo mio modo di
pensare, né ho dovuto pentirmi di qualche storia tra le relativamente poche che ho avuto.

Sarà forse per questa mia convinzione, che non ho paura
di far trasparire dai miei discorsi e atteggiamenti, che alcuni uomini sembrano guardarmi diversamente. Certo,
quando azzardo qualche gonna un po’ più corta o decido
di indossare qualcosa di più scollato del solito, gli sguardi
che mi sento addosso non sono quelli casti di un santo.
Ma neanche sempre quelli dei “lupi famelici”. Magari, oltre
a volermi avere con le cosce spalancate sotto di loro, alcuni avrebbero forse piacere a scambiare anche qualche
parola, qualche gesto con me. Forse mi sto solo illudendo,
ma non è poi questo gran problema. Se mai dovesse succedere qualcosa con qualcuno, credo che sarei perfettamente in grado di ponderare la situazione e, come ho det12
Uno

to prima, prendermi innanzitutto quello che ho intenzione
di prendere. Anche se le ferite che quello stronzo di mio
marito mi ha lasciato dentro non sono ancora guarite del
tutto, non sono certo il tipo di donna che ha sviluppato
l’indole della mantide vendicatrice. Che si sia trattato di
stanchezza, voglia di tradimento o altro, per me lui è semplicemente “storia”. E se volessi scrivere qualche nuovo
capitolo amoroso e/o sessuale della mia esistenza non
partirei mai da un presupposto anti-maschile con il rischio
di far scontare le sue malefatte a un’altra persona. Magari
qualcuno, o qualcuna, potrà pensare che la lezione non mi
sia servita, ma non mi interessa. Posso essere più attenta,
più difficile, ma comunque sento di dover essere positiva
e, se mai vorrò dare di nuovo una chance, voglio poterla
dare davvero, senza calcoli e riserve eccessivi. Di certo
non avrò niente a che fare con Gianni, il mio capo, o con
Lucrezio, il mio collega dell’ufficio amministrativo. Che viscidi, i classici predatori da quattro soldi che, una volta accertata la vulnerabilità di una persona, ti cominciano a girare intorno come avvoltoi. Anche quando stavo male, anche quando la mia testa era occupata dai pensieri più cupi
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e impegnativi, non facevo alcuna fatica ad accorgermi della loro assoluta noncuranza nei miei confronti. Per loro
ero, sono, soltanto una relativamente fresca divorziata che
ha bisogno di essere consolata a suon di colpi pelvici.

E, convinti di impersonare la figura del vero macho e
dell’uomo che dà sicurezza, non hanno neanche la decenza di camuffare un po’ meglio i loro comportamenti. Me
li trovo sempre lì, a ronzarmi attorno con qualsiasi tipo di
scusa e con la foia più ferina che gli dipinge il volto. Che
gentaglia, addirittura parlar male della propria moglie davanti a un’altra donna! A dire di quanto sia pallosa, di
quanto sia dozzinale, di quanto non ce la facciano più a
sopportarla. E poi, subito dopo, eccoli pronti a rovesciarmi
addosso un profluvio di complimenti che non di rado, non
essendo complimenti ben fatti, scivolano via pesanti, senza grazia, né colore, semplicemente una serie di apprezzamenti buttati là con la speranza di imbambolare la scema di turno. E -beh, bisogna dirlo!- senza mai rendersi
conto di quanto loro siano pallosi, poco affascinanti. Con
quel linguaggio che non riesce a esulare dal codice lavo14
Uno

rativo neanche per un attimo. Con quelle stupide camice
con i monogrammi delle loro iniziali, che a loro sembrano il
top dello stile e della personalità, mentre a me fanno vomitare da quanto sono dozzinali e impersonali. E poi -e bisogna dire anche questo, perché non ci hanno fatto ciechi!con dei “presenti” a dir poco scarsini. Non tanto per le capigliature rade o per le pancette. Né per le spalle (di entrambi) un po’ cadenti e i sederi piatti. Quanto per una
globalità di aspetto che non li rivela certo degli adoni e li
mette ancora più in cattiva luce quando mi capita di rifletterci. Tsk, hai voglia a sbavare fissando la mia scollatura
quando mi abbasso o il pizzo delle autoreggenti quelle rare volte che la gonna può andare un po’ più su (e, guarda
caso, son sempre lì con gli occhi spalancati, quando succede)! Non mi avranno mai e poi mai, neanche per una
cena “senza niente di male” come più volte mi hanno proposto tutti e due.
Se e quando vorrò conoscere qualcuno, le cose dovranno
essere molto diverse da quello che buffoni di questo tipo
immaginano debba essere il mio modo di lasciarmi andare.
15
DUE

Alan è arrivato in ufficio da, credo, cinque mesi. Lavora al
reparto vendite, ma non ho mai ben capito di cosa si occupi. Ci incrociamo spesso per i corridoi del secondo piano e un paio di volte abbiamo anche preso un caffè alla
macchinetta del piano terra insieme ad altri colleghi. È un
bel tipo, piacevole sia nell’aspetto che nelle parole. Avrà
ad occhio e croce una trentina d’anni e un modo di camminare inconfondibile: testa bassa e passo veloce, come
un centometrista. Sembra che sia sempre pensieroso, anche se, quando ci ho parlato, mi ha fatto ridere e ha saputo scherzare. Da quel che ho capito (stralci di conversazione afferrati durante i caffè), in questo posto ci si è ritrovato per caso e senza particolare entusiasmo. Secondo
me, deve essere laureato in qualche disciplina umanistica
perché parla troppo meglio rispetto al livello medio degli
altri colleghi. E poi, forse tre settimane fa, l’ho incontrato in
16
Due

metro mentre stava leggendo un libro di Philip Roth,
L’animale morente, che non è esattamente quello che ti
aspetti di trovare in mano a un dipendente del reparto
vendite di una multinazionale di prodotti chimici. Io non
sono una divoratrice di libri, ma la mia quindicina-ventina
l’anno li faccio fuori con una certa facilità. E quell’opera di
Roth, così piena di eros particolare e tinte di morbosità,
m’aveva assolutamente rapito quando l’avevo avuta tra le
mani.
Mi ero sempre ripromessa di chiedergli cosa ne pensasse
del romanzo, ma dal giorno di quel casuale incontro non
c’era stato più modo di incrociarsi né in ufficio (se si eccettuano degli incontri fugaci nei corridoi o durante la pausa
pranzo), né fuori.

Mi viene addosso a tutta velocità e, quando sto per cadere
a terra, con un guizzo nervoso in avanti, mi afferra per la
schiena e una gamba, mentre un cumulo di fogli, penne,
matite e altra cancelleria si sparge intorno a noi.
«Dio, Giovanna! Perdonami, io…».

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Siamo rimasti in una posizione curiosissima, quasi una figura di ballo: la mia schiena con la sua mano dietro a non
più di cinquanta centimetri dal suolo e la mia gamba sinistra slanciata verso l’alto con l’altra sua mano, la destra,
sotto la coscia. Nello strano movimento, la longuette nera
(che ha due spacchi laterali abbastanza lunghi) si apre
verso

l’alto,

scoprendomi

l’attaccatura

di

pizzo

dell’autoreggente. Sento le sue dita stringersi proprio da
quelle parti per mantenere la presa salda. Non so per quale motivo, forse per l’imprevedibilità di quel “frontale”, ci
metto un istante in più del dovuto a riavermi. Quando torno completamente in me, lascio che mi tenga in quella posizione qualche altro secondo più del dovuto, prima di cingerlo dietro il collo e rimettermi dritta (tra l’altro, ha un
buonissimo odore di pulito. Lo sento salire dalla camicia
sbottonata).
«Stai bene, ti ho fatto male?».
«No, a momenti mi abbattevi, ma non mi hai fatto niente».
«Madonna, in che condizioni sono ridotto! Sono perennemente distratto, perdonami» mentre si piega a raccogliere

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Due

quello che è caduto per terra. «Trasloco in un'altra stanza,
stavo portando la cancelleria e…».
«Bum! Hai ben pensato di volermi mettere sotto, vero?»
mi piego anch’io per aiutarlo a raccogliere le cose. Anche
stavolta la longuette si allarga e dallo spacco sulla gamba
sinistra, quella che offro alla sua vista, salta ancora fuori
l’attaccatura dell’autoreggente. Me ne accorgo perché
Alan rimane un istante di troppo con lo sguardo fisso in
quel punto. Devo dire che non lo fa con quella malizia fastidiosa che vedi sempre in faccia a molti uomini. Ha
un’espressione tra il simpatico e l’imbarazzato. Quando si
accorge che lo colgo in castagna, fa un mezzo sorrisetto
prima di diventare, letteralmente, rosso come un peperone. A me viene da ridere, ma so che se lo facessi, in qualche modo, potrei ferirlo facendolo sentire un ragazzino. Gli
regalo dunque un sorriso rassicurante e, mandando giù la
longuette, continuo ad aiutarlo a radunar cose. L’intera
scena sarà durata forse cinque o sei secondi. Finiamo di
raccogliere tutto.
«Scusami di nuovo, Giovanna. Non lo so dove sto con la
testa».
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«Tranquillo, sono viva. Non è successo niente».
«E scusa pure per…» diventa di nuovo rosso in viso.
«…» lo guardo facendo finta di non capire cosa intenda.
«Beh, insomma… anche per…» ancora più rosso…
«Per?» sì, un po’ ci gioco a fare la “stronzetta”, a questo
punto…
«Mi dispiace, l’occhio poi è caduto là e…».
«…».
«…».
Se sto zitta un altro secondo, diventerà viola. Che tipo!
Meglio tirarlo fuori da questo imbarazzo.
«Ma dai, non preoccuparti!» gli dico. «Mi offri un caffè e ti
perdono».
«Sì, anche due. Se mi aspetti un secondo, vado a poggiare queste cose sulla scrivania della nuova postazione e
torno subito».
«Dov’è che t’hanno messo?».
«Nella stanza in fondo al piano, quella dove stanno Cavallini, Giorgi…».
«Sì, ho capito qual è. Diventiamo quasi vicini, allora».

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Due

«Eh già. Aspetta solo un attimo. Volo a portare ‘ste cose e
sono di nuovo qua».
«Ma no, fai piano altrimenti rischi di investire qualcun altro!
Una piccola pausa la posso anche fare, non c’è bisogno
che ti scapicolli».
«Volo, torno subito».
«Niente da fare, eh».
Lo vedo ripartire a tutta velocità e svoltare al primo angolo
a sinistra. Che tipo!

«Ci credi? l’unico libro di Roth che non avevo letto».
«Io invece ho letto solo quello e mi è parso un tantino…
Disturbante?».
«Oh, ma allora non hai letto ancora niente! Devo ricordarmi di portarti il Teatro di Sabbath. Vedrai che roba!».
Siamo scesi in cortile a fumare una sigaretta (una Merit io,
una fatta a mano lui). È una bella giornata di aprile, una di
quelle con il sole e il cielo azzurro senza nuvole.
«Mi togli una curiosità, Alan?».
«Sì, certo».

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«Ma prima di venire a lavorare qui, cosa facevi? Sai, non
mi sembri proprio il tipo da multinazionale di prodotti chimici».
«In effetti no. Mi sono laureato in Lingue, poi ho fatto un
dottorato in letteratura americana e ho lavorato per un
paio di case editrici. Pensavo che dopo ce l’avrei fatta a
trovare qualche cattedra, un altro assegno di ricerca o un
altro posto nel mondo dei libri e invece…».
«Scusa, mi dispiace se ho toccato un tasto sbagliato».
«No, figurati. La vita, che vuoi farci. E comunque non mi
dispiace parlarne con te. Sembri una persona molto diversa da quelle che girano qui dentro, sai? La quasi totalità di
quelli che lavorano in questa azienda sono un po’ troppo… “Aziendalisti”, se capisci cosa intendo».
«Sì, credo proprio di sì. Ogni tanto ci penso anche io al
fatto che qui dentro non sia proprio il massimo».
«E vabbe’, che ci vuoi fare? Siamo giovani, speriamo salti
presto fuori qualcos’altro».
«Giovani?! Parla per te, va’!».
«Perché quanti… Ehm, no, a una donna non si chiede
mai…».
22
Due

«Te lo dico io: quarantuno. Compiuti».
«Ma che… Io…».
«Non provare a dire che ne dimostro almeno dieci di meno
o che me li porto benissimo, perché altrimenti ti strozzo!»
gli dico sorridendo.
«Se vuoi, non lo dico, ma….».
«Tu invece? Le donne possono chiedere ai ragazzi quanti
anni hanno».
«Trentaquattro fra tre giorni».
«Ah, un giovanotto!».
«Insomma, mica tanto».
«E io, allora, che dovrei dire?».
«Ma no, tu sei…».
«Ssst, lascia stare i complimenti e torniamo a lavorare,
che è meglio».
Stiamo per rientrare nell’edificio, quando, all’improvviso…
«Senti…».
«…».
«Mi chiedevo se dopodomani… Insomma, se ti poteva
andare una birra, qualcosa…».
«…».
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«Sto festeggiando con qualche amico e amica in un posto
a Cavour, dopocena. Se pensi…».
Mi stupisce che non abbia minimamente pensato al fatto
che io possa essere sposata, mamma, incasinata. Basterebbe che io usassi un certo tono di voce in questo momento per smontarlo completamente e farlo diventare ancora più rosso di prima. Invece non ne ho per niente voglia. No.
«Okay, vedo di portare mia figlia da mia madre» lo fisso
per cogliere le sue reazioni. «Se può tenermela, vengo volentieri».
«Speriamo che possa» ha la voce calma, come non
gliel’ho mai sentita prima. «Mi farebbe molto piacere se
venissi».
«Farebbe piacere anche a me».
Ci guardiamo un secondo. È un passaggio di corrente
elettrica, di quelli che non creano imbarazzi. Quando due
persone si trovano gradevoli, si piacciono, ma riescono a
dirselo in modo adeguato, senza certi fuochi d’artificio
inopportuni.
«Che dici, andiamo?».
24
Due

«Sì, andiamo».

25
TRE

Verso le otto e un quarto porto Giada da mia madre. Fortunatamente, non mi fa le domande che mi sarei aspettata
quando le ho chiesto se poteva tenerla quella sera. A prescindere dall’età e dai rapporti di parentela, penso che tra
donne intelligenti a volte si riesca a stabilire una giusta, silenziosa complicità. E mia madre, con tutte le differenze
che ci separano, è sempre stata una donna intelligente.
Do un bacio a mia figlia e le dico che ci sentiremo domani
per telefono.
Alle nove meno un quarto sono di nuovo a casa.
È una bella sensazione tornare a prepararsi per uscire con
qualcuno, seppur non da sola. Vado a farmi una doccia
veloce. Ho tagliato i capelli a caschetto e dunque non ci
metto granché ad asciugarli. Esco dal bagno dopo essermi pettinata e truccata. Prendo il cordless e prenoto un taxi (non ho voglia di guidare, stasera) per le dieci meno un
26
Tre

quarto. Ho quasi una mezz’ora per scegliere come vestirmi.
Per l’intimo, scelgo un normale completo slip e reggiseno
grigio di Intimissimi, dopodiché apro una confezione nuova
di autoreggenti La Perla nere. Ancora non so bene cosa
indosserò, ma, come ho sempre fatto fin dalla prima volta
che sono uscita con qualcuno, sono già decisa ad optare
per qualcosa di scuro. Fuori si sta bene, è una di quelle
primavere che a Roma si traducono in mattine soleggiate
e serate sempre miti. Per un attimo, ho la tentazione di
azzardare un paio di pantaloni a vita bassa neri con un top
abbastanza scollato e una giacca di velluto a coste. Poi ci
ripenso, mi sembra un look impersonale per una serata
così. Naturalmente, non ho neanche voglia di agghindarmi
come se stessi andando al Teatro dell’Opera o a qualche
appuntamento mondano. Devo trovare un giusto mezzo
tra eleganza e comodità per sentirmi a mio agio. Provo
qualche vestito davanti allo specchio, fino a quando non
decido per una tuta seta cachemire nera di Moschino, alla
quale abbino uno scalda cuore (sempre di seta cachemire) e delle scarpe decolleté color vernice nera di Manolo
27
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Blahnik. Per spezzare un po’ la monocromia, decido di indossare un filo di turchesi non troppo grandi.
Mi guardo allo specchio grande sulla parete e penso, né
più, né meno, che sto molto bene. Prendo la borsa e le
chiavi di casa sul letto e scendo. Il taxi arriva proprio
quando il portone di ingresso si chiude alle mie spalle. Gli
do l’indirizzo e un quarto d’ora dopo sono davanti
all’ingresso del locale. Con un ritardo di dieci minuti che mi
sembra giusto nella consistenza (ho sempre pensato che
una donna debba farsi aspettare, anche solo un pochino,
dall’uomo con il quale ha un appuntamento. Soprattutto se
è il primo appuntamento. È una questione di non inficiare
certi canoni di pensiero socialmente invalsi, più che altro).
Pago la corsa ed entro.
Il posto, ad una prima occhiata, mi sembra un buon compromesso tra le pretese di modernità e il gusto della tradizione che sembrano animare (facendoli talvolta dannare)
gli interior designer meno spericolati. Vedo Alan salutarmi
dal fondo alla sala. Si alza e mi viene incontro.
«Ciao, sono davvero contento che tu sia venuta» e, mentre lo dice, un sorriso a tutta bocca gli si stampa agli angoli
28
Tre

della bocca e toglie qualsiasi patina di formalità alle sue
parole. Mi dà due baci sulle guance e poi mi fa strada tenendomi delicatamente per un braccio.
Al tavolo ci saranno una quindicina di persone, equamente
divisi tra uomini e donne, coppie e single. Vengono fatte le
presentazioni e, dai primi sguardi, capisco che non sarà
una di quelle serate dove stanno tutti lì (tutte lì, soprattutto) a farti la “radiografia”: gli amici e le amiche di Alan, infatti, sembrano persone serene, rilassate. Prendo posto
(di fronte ad Alan) proprio mentre il cameriere viene a per
le ordinazioni.
«Un Gewurztraminer, possibilmente molto fresco».
«Ah, finalmente qualcuno che ha dei gusti raffinati come i
miei!» fa una ragazza molto carina che, mi pare di ricordare, si chiama Giorgia. «Uno anche per me».
«E uno anche per me» le fa eco un’altra ragazza dal lato
opposto del tavolo.
Alla fine, siamo cinque persone a volere il vino bianco
dell’Alto Adige, dunque, il cameriere ci suggerisce di prenderne direttamente una bottiglia.

29
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«Secondo me, facciamo prima a ordinarne due. Io sono
sicura di voler fare il bis, se non il tris. E giurerei che anche Giovanna abbia le mie stesse intenzioni» dice Giorgia
senza nessuna apparente intenzione di mettermi in difficoltà e con un sorriso simpatico stampato sul viso.
«Beh, un secondo bicchiere potrei prenderlo anche io, sì».
Va a finire che, tra una chiacchiera e una battuta, di bottiglie di vino ne vengono portate tre e quando a mezzanotte
facciamo il brindisi di auguri per Alan, io sto vuotando il
terzo calice. Per carità, nessun problema, imbarazzo: si è
creata infatti una bella atmosfera e, nonostante con ogni
probabilità io sia la persona più “matura” tra i presenti, non
c’è stato un solo istante in cui io mi sia sentita a disagio o
tagliata fuori dai discorsi. Anzi, quando arriva il momento
dei regali e salta fuori che due amici di Alan gli hanno preso per scherzare un buono da trenta euro spendibile in
una famosa catena di sexy shop della Capitale, partecipo
senza imbarazzo al clima da caserma che serpeggia. E rido, mi sento bene. Ancora meglio quando scopro che Alan
non ha letto il libro che ho scelto per lui.

30
Tre

«Shalom Auslander, Il lamento del prepuzio… Ho letto un
sacco di recensioni e vado matto per gli autori ebrei, come
avrai capito. Grazie mille, Giovanna» e si sporge per darmi un bacio sulla guancia.
Continuiamo a ridere e a chiacchierare un altro po’, fino a
quando non è ora di rincasare (d’altronde, domani si lavora). Il cameriere viene ad avvertirci che i taxi che abbiamo
chiamato ci aspettano fuori dal locale. Io divido il mio con
Alan e una sua amica di nome Elena, che, come me, ha
dovuto “parcheggiare” la figlia a casa della propria madre.
È la prima a scendere. Ci scambiamo il numero di telefono, promettendo di rivederci quanto prima.
La seconda a giungere a destinazione, dopo cinque minuti
scarsi di silenzi e sorrisi, sono io, che, a questo punto, devo confessare, non avrei proprio voglia di terminare la serata così.

Quando arriva il momento, Alan scende e viene verso la
mia parte, impedendomi di pagare una parte del conto.
«Lascia stare, dai! Spero piuttosto che tu ti sia divertita»
mi fa lui tenendosi allo sportello sinistro posteriore.
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«Sì, molto. Hai davvero dei bellissimi amici, complimenti.
E anche molto gentili. Giorgia mi ha invitato a una festa a
casa sua, tra due venerdì. Se non ho problemi con Giada,
vengo molto volentieri».
«Spero proprio che non ne avrai, mi farebbe piacere passare un’altra serata con te. Anche prima, se ti va» lo dice
con un tono in cui si fondono, senza artificio, il piacere di
vedere me e il piacere di vedere me con gli altri.
A questo punto, soprattutto se fossi nei panni di qualche
mia amica storica, mi divertirei a metterlo al laccio con le
parole per vedere fino a che punto è preso dalla situazione. Ma la serata è stata davvero molto bella, di quelle che
non mi capitava di trascorrere da una quindicina di anni o
giù di lì. E poi la delicatezza con la quale cerca di dirmi le
cose non suona affatto forzata, eccessiva. Magari non
avrò imparato molto in fatto di uomini, ma preferisco fidarmi del mio istinto e credere, all’istante, che sia un bravo ragazzo. Oltre che un bel ragazzo che mi piace, sì.
«No, vedrai che ci sarò. Prima non saprei. Aggiorniamoci
questi giorni in ufficio» mi sporgo verso di lui e, tenendomi
in equilibrio su un solo tacco, gli stampo un bacio morbido
32
Tre

e non troppo breve su una guancia. Mentre il mio corpo
sta tornando indietro, sento che mi passa la mano sulla
schiena. Una carezza leggera. Ci guardiamo un istante e
poi lui avvicina il mio viso alla sua bocca e, all’ultimo momento, devia dalle mie labbra e mi dà un bacio sulla
guancia, poco lontano dall’orecchio. Non posso fare a
meno di avvertire un brivido attraversarmi il corpo e di
pensare che, se avesse cercato di baciarmi, l’avrei lasciato fare. Prima di congedarmi definitivamente, lo accarezzo
piano sul petto e sorrido. Sorride anche lui.
Il taxi riparte non appena ho varcato il portone d’ingresso.

Sono sotto le coperte da diverso tempo, ma non ho un briciolo di sonno. Ho provato a leggere, mi sono alzata a
prendere un bicchiere d’acqua. Poi ho fumato una sigaretta in cucina e ho visto le brevissime sul televideo. Niente,
mi sento smaniosa e non riesco a stare distesa. Accendo
l’abat-jour sul comodino e fisso il soffitto facendo finta che
ci siano delle nuvole riflesse da contare (uno strano giochino che faccio fin da quando ero bambina). Dopo un po’,
mi ritrovo in un curioso stato di dormiveglia, uno di quelli in
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cui sei cosciente che non stai completamente dormendo e
sognando, ma sai bene che non sei neanche del tutto su
questo mondo. Mi tornano in mente degli spezzoni della
serata, le facce degli amici di Alan e, soprattutto, la sua,
mentre mi guarda fissa negli occhi e sorride. Poi, la scena
si sposta nel taxi. C’è un vetro divisorio tra noi e l’autista,
non come in quello che abbiamo preso. Alan mi sta baciando sulle labbra, mentre io gli accarezzo i capelli. Nel
fotogramma successivo (che sembra tagliato piuttosto violentemente da quello precedente, come in certi filmacci di
serie B) sento la sua mano accarezzarmi la gamba e risalire sempre più su, mentre io infilo la mia lingua più a fondo tra le sue labbra e gli passo una mano sul petto. Pochi
istanti e il set cambia ancora: stavolta sono sopra di lui,
nuda ad eccezione degli slip e delle autoreggenti, con la
sua testa affondata tra i seni. Sento la sua erezione far
pressione sotto di me.

Lo accarezzo tra le gambe. Lui libera un respiro strozzato, mentre le sue mani, passando dalle mie natiche, mi
accarezzano l’interno delle cosce. Fremendo, gli slaccio la
34
Tre

cinta e faccio saltare con un colpo secco i bottoni davanti.
La punta della sua lingua mi sfiora il capezzolo sinistro,
mentre lo sento armeggiare in basso, nel tentativo di
mandar giù i pantaloni. Proprio quando le sue dita hanno
scostato il sottile lembo di stoffa del mio slip e la punta del
suo uccello sta per introdursi dentro di me, mi sveglio con
uno scatto improvviso.
La camicia da notte mi è arrivata ben oltre i fianchi e ho la
mano destra infilata negli slip. Un po’ shockata, rimango
immobile qualche secondo prima di azzardare la punta
dell’indice verso il basso. Sono completamente bagnata e
il semplice contatto del polpastrello con la parte più in alto
della fessura mi fa fremere.
Quanti anni sono che, non dico provo, ma anche solo
penso, a masturbarmi?
Nove, dieci? Facciamo che da quando è nata Giada non
mi ricordo più di averlo fatto.
Probabilmente, al posto mio, molte si sentirebbero imbarazzate, se non proprio arrabbiate con se stesse. Io no,
non provo assolutamente vergogna quando con la punta
delle dita torno ad accarezzarmi tra le gambe. Chiudo gli
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occhi sperando che il dormiveglia riprenda da dove si era
interrotto. E quando i contorni scuri del taxi e la sagoma di
Alan sotto di me riprendono consistenza mi lascio andare,
portando a termine rapidamente sogno e orgasmo.
Il tempo di asciugarmi le dita con un kleenex rimediato sul
comodino e di spegnare l’abat-jour e sto già dormendo.

36
QUATTRO

«Vorrei portare Giada dai miei, domani e dopodomani».
«Per me va bene. Spero solo tu non voglia farle già conoscere quella tipa con la quale ti vedi».
«No, figurati. Anzi, non la vedo più da quasi un mese, se
lo vuoi sapere».
«No, non lo voglio sapere. Non me ne frega niente di chi
vedi o di chi non vedi, Alberto. L’importante è che Giada
sia serena e che passi un po’ più di tempo con suo padre
e gli altri nonni. Per il resto, puoi fare quello che vuoi, non
mi interessa».
«…».
«Allora ci vediamo dopodomani alle sei. Suona e la faccio
scendere».
«Veramente volevo salire a riprendermi quel maglione di
cotone blu che…».

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«Se è solo per il maglione, te l’ho già preparato e messo
in una busta. Quando Giada scende, te lo faccio portare».
«Ah, okay».
«Bene, a dopodomani allora».
Chiudo la comunicazione senza neanche salutarlo. Ci sarà tempo per recuperare un po’ di civiltà con lui…

«Se ti va, domani sera potremmo vederci».
Sono con Alan giù in cortile. Ho aspettato che finissimo la
sigaretta per dirglielo. Voglio vedere come reagisce a
questa notizia improvvisa.
«Dai! Certo che sì! Puoi star fuori anche per cena?».
«Sì, Giada va un paio di giorni dal padre e dai nonni. Direi
che sono assolutamente libera».
«Spero di non sembrarti irriguardoso se ti dico che è, ehm,
una cosa fantastica».
«No, credo di no».
«Ti va se ti passo a prendere e, per prima cosa, andiamo
a farci un aperitivo dalle parti del Colosseo?».
«Per me va benissimo. Magari poi potremmo andare a
mangiare qualcosa all’Aventino».
38
Quattro

«Esattamente quello che avevo intenzione di proporti. C’è
un amico che ha aperto un ristorante da quelle parti. Non
ci sono ancora mai stato, ma posso assicurarti che lui cucina

da

Dio.

Abbiamo

vissuto

insieme

ai

tempi

dell’università e dietro i fornelli è un prodigio».
«Ottimo, aggiudicato».
Rimaniamo in silenzio per qualche secondo. Ci guardiamo
negli occhi. E sorridiamo. Poi, lui abbassa lo sguardo e ho
l’impressione che diventi un po’ rosso.
«Sono contento che usciamo, Giovanna. Molto contento».
«Anch’io».
«Davvero?».
«Sì, davvero. Ma perché stai diventando rosso?».
«I-io? Dici?» diventando ancora più rosso.
«Non pensavo che fossi un timidone, sai?».
«N-no, infatti non… Non so perché sta succedendo. Io…».
«E comunque» appoggiandogli una mano sul petto. «Non
mi dispiace assolutamente. È una cosa notevole, certe
volte, non essere troppo sicuri di se stessi».
«…».

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Stiamo aspettando che l’ascensore scenda, quando Alan,
con uno slancio improvviso, mi avvicina a sé. Stavolta, arrivato in prossimità delle mie labbra, non si ferma e mi dà
un piccolo bacio. Incurante del fatto che possa vederci
qualcuno, gliene do uno anch’io.
«So che sono un po’ imbranato, ma ti giuro che questo
bacio volevo dartelo già l’altra sera. Anzi, ad essere sinceri, da almeno un mese».
«Ah!» sorridendo. «E non hai pensato neanche un istante
che potessi essere sposata, stare con qualcuno?».
«Una delle prime cose che guardo nelle donne sono le
mani. E tu non porti la fede, così ho pensato, sperato, che
fossi libera».
«Hai capito, il seduttore! M’avevi “puntato”, quindi».
«Beh, diciamo che non passi inosservata. Sei una donna
molto bella e, come ti ho già detto, non hai niente a che fare con i comportamenti degli altri che lavorano qui».
«Ma sentilo come lusinga!» arriva l’ascensore. Entriamo.
«Chissà a quante altre l’avrai detto».

40
Quattro

Mi pento della battuta mentre ancora la sto dicendo: anche senza guardarlo, so che l’ha presa male. Premo il tasto due.
«Scusa, mi dispiace. Non avrei dovuto».
«No, tranquilla».
«È bello sentirti dire che sono bella. È una cosa bellissima».
L’ascensore arriva al piano e siamo costretti a interrompere la conversazione. E a evitare di baciarci ancora.

Mancano pochi minuti alle 18 quando entro in bagno. Alan
passerà a prendermi verso le 19 e 45 e ho deciso che
questa sera voglio essere davvero bella come dice lui. Ieri
sono passata dall’estetista che, mi pare di vedere prima di
entrare in doccia, ha fatto un ottimo lavoro. Per lavarmi,
esfoliarmi e idratarmi uso una serie di prodotti Farfalla che
un’amica mi ha regalato per il mio quarantunesimo compleanno. Quando ho finito di asciugare i capelli, vado in
camera da letto. Scelgo l’intimo: un completino di pizzo
viola culotte e reggiseno di La Perla, come pure La Perla è
la confezione di autoreggenti 20 den color carne che scar41
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to. Ho pensato a due o tre vestiti, oggi. Li tiro fuori e li dispongo sul letto. Provo a immaginare quale possa starmi
meglio dopo averlo abbinato con scarpe, borsa e soprabito. E, per una volta nella vita, questo tipo di pensiero non
mi fa sentire per niente frivola. Dopo una lunga riflessione,
scelgo un vestito verde trifoglio di maglina di Fendi che
non indosso da un sacco di tempo. Non è particolarmente
corto, né particolarmente scollato, ma mi cade bene nei
punti giusti ed ha una bella linea. Sulle scarpe, invece,
non ho assolutamente dubbi: un paio di Mary Jane in vernice colore naturale di Jimmy Choo, che ho comprato due
mesi fa, in un attacco di shopping compulsivo e curativo,
in una outlet poco fuori Roma.
Finalmente vestita, mi guardo al grande specchio
dell’armadio: sto bene, proprio niente da dire. Guardo la
sveglia sul comodino e mi accorgo che tra meno di dieci
minuti Alan sarà qui. Da un ripiano, prendo la bottiglietta
Parisienne di Yves Saint Laurent e me ne spruzzo un po’
tra il collo e le spalle, poi sui polsi e giusto una goccia tra i
seni. Quindi, da una piccola scatolina di legno tiro fuori
una catenina d’oro bianco con uno smeraldino a ciondolo,
42
Quattro

i piccoli orecchini in pendant e una veretta sottile
anch’essa d’oro bianco (odio l’oro giallo!).
Do un’ultima occhiata al risultato finale proprio mentre mi
squilla al telefonino. Tiro fuori dall’armadio un soprabito
leggero di Prada color glicine, prendo la borsa (una baguette di Fendi in tinta) e le chiavi di casa e scendo.

La Smart bianca è parcheggiata in doppia fila. Alan non si
accorge di me fino a quando non apro lo sportello.
«Eccoci».
«Ciao. Mamma mia, lasciati guardare un attimo» mi dice
tirandosi un po’ indietro con la schiena sul sedile. «Sei…
Sei bellissima! Una Valentina di Crepax, ma più raffinata».
«Ma dai, non dire scemenze!».
«No, davvero, sei…».
«Beh, se proprio sono così bella come dici, mi sembra
strano che tu abbia così voglia di tessere le mie lodi, ma
non di darmi un bacio, non trovi?».
«Io? Sì, certo che io…».

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«E allora dammi questo bacio, no?» ma che cosa mi sta
prendendo? Mai comportata così. Neanche fossi una
quindicenne!
Alan mi dà un bacio lungo e delicato, accarezzandomi i
capelli.
«Sei proprio bella, Giovanna. Tanto».
«Grazie. È proprio un piacere sentirtelo dire».
«Ti va sempre quel programma di ieri? Se hai pensato ad
altro mentre ti preparavi, possiamo anche cambiare».
«No, va bene così. Mi piace molto quella zona ed è tanto
tempo che non ci vado».
Il posto in cui andiamo a fare l’aperitivo è un lounge bar
con poche sedie fuori, proprio di fronte al Colosseo. Parliamo a ruota libera per un’oretta o giù di lì, guardandoci
spesso negli occhi durante i lunghi istanti di silenzio. Poi ci
trasferiamo a cena da questo famoso amico di Alan in un
ristorante che esteticamente non avrà grandi pretese, ma
nel quale si servono piatti di pesce davvero eccellenti.
Continuiamo a parlare e a scherzare e finiamo di mangiare poco dopo le undici, con una fantastica torta al limone
per dessert che è un’esplosione di sapore. Abbiamo bevu44
Quattro

to una bottiglia di Gewurtztraminer in due che, sommata al
paio di bicchieri che avevo preso per l’aperitivo, mi provoca un piacevole senso di rilassatezza.
«Una passeggiata qua intorno o sei stanca?».
«No, tranquillo. Magari se mi fai camminare troppo, poi ti
chiedo di portarmi sulle spalle fino alla macchina».
«Va bene, prometto che lo farò».
Lo accarezzo, baciandolo civettuola su una guancia.
Passa quasi un’altra ora prima di baciarci di nuovo. Non è
solo una questione di timidezza: da come si comporta, da
quello che dice e dal tono di voce che utilizza, aumenta
sempre di più la sensazione che ad Alan io interessi davvero come persona, oltre che come donna. Certo, non è il
caso di lasciarsi subito andare a certi voli pindarici, ma
penso sia comunque un pensiero gradevole. Come non è
affatto sgradevole il deciso risvegliarsi dei miei sensi,
quando, forse al quindicesimo bacio in pochi minuti, lo
sento tirarmi per la prima volta forte a sé e premere con
più insistenza le sue labbra contro le mie e cercarmi la lingua con la sua. Ci fermiamo su una panchina a baciarci e
ad accarezzarci come due ragazzini e non mi crea nessun
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problema di coscienza, dopo un po’, ammettere a me
stessa che sono eccitata e che, per quanto contrario alla
prassi femminile che vorrebbe casto il primo incontro con
un uomo (beh, in un certo senso è considerabile il secondo…), ho voglia di andare a letto con lui.
«Vuoi che ti porti a casa? Io…».
«…».
«Non so, magari stai pensando male di me e io non vorrei
che… Io voglio rivederti, voglio…».
«Tu mi vuoi?» gli dico piantando la mia faccia contro la
sua.
«Sì, certo che sì, ma…».
«Allora non stare a preoccuparti più di tanto di come vanno le cose. È una serata bellissima e tu stai avendo delle
maniere che mi vanno. E, in ogni caso, c’è anche il fatto
che tu piaci a me e che anch’io ti voglio ».
L’espressione che si dipinge sul suo volto quando ho finito
di pronunciare queste ultime parole è un meraviglioso misto di stupore e sollievo. Che mi fa venire ancora più voglia di baciarlo. Che mi rende certa di voler assolutamente
proseguire la serata. Dopo pochi minuti, senza bisogno di
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Quattro

dover dire una parola, ci alziamo e, tenendoci abbracciati,
ritorniamo verso la sua Smart.
Il percorso dall’Aventino a casa mia, per quanto breve,
riesce a rendere l’atmosfera assolutamente bollente. Visto
che ormai entrambi sappiamo come andrà a finire, cominciamo a permetterci nel piccolo abitacolo delle licenze che
ieri, ma anche qualche ora prima, sarebbero forse state
impensabili. Sento la sua mano giocherellare con le mie
ginocchia, risalendo delicata lungo la gamba e accarezzarmi il piccolo lembo di carne tra le autoreggenti e la culotte. Io, da parte mia, non riesco a fare a meno di infilargli
una mano dentro la camicia e di accarezzare il petto e poi
i capezzoli, per poi tirarla fuori e farla scendere giù, verso
la pancia (che in realtà è quasi impercettibile). Quando
l’indice e il medio della mia mano sinistra hanno sfiorato la
punta della sua erezione e lo sento fremere -con lo stesso,
identico rumore che avevo sentito nel sogno di pochi giorni prima!- mi fermo e risalgo verso il petto. Lui, nel frattempo, sembra aver preso ancora più coraggio e, tra un
cambio di marcia e un altro, non ha più paura di toccarmi il
seno, seppur con la consueta delicatezza.
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Insomma, va a finire che già nell’ascensore di casa, mentre siamo chiusi e filiamo rapidamente verso il quinto piano, cominciamo ad avvinghiarci e che, una volta superato
il portone d’ingresso dell’appartamento, a nessuno dei due
va di arrivare fino alla camera da letto per fare le cose
“come si dovrebbero fare”. Giusto il tempo di accendere la
luce e continuiamo.
Lo sento dietro di me, che sbottona (con le dita delle mani
più ferme di quel che immaginavo) i bottoncini sul retro del
mio vestito, mentre mi bacia il collo. Quando sono rimasta
soltanto con l’intimo e le autoreggenti, mi giro e lo aiuto a
togliersi la camicia. Torniamo a baciarci sulle labbra e a
toccarci ovunque e Alan mi stringe violentemente a sé tenendomi per i glutei.

Ci stacchiamo e lui, con movimenti sempre più scattosi,
riesce a slacciarsi la cinta e a tirar giù i pantaloni. In ginocchio e intento a liberarsi dei nodi delle scarpe, affonda
la sua faccia contro la mia pancia, baciandola e leccandola, mentre, con la mano libera che gli rimane, comincia a
tirarmi giù la culotte. È riuscito nella doppia operazione di
48
Quattro

rimanere nudo e togliere il pezzo inferiore del mio intimo
nello stesso istante. Mentre faccio saltare la chiusura del
reggiseno e rimango nuda anch’io, sento che mi sta baciando sempre più in basso, fino a quando la punta della
sua lingua non va a titillare l’inizio della mia fessura. Lo afferro per i capelli e, senza ormai nessun freno, lo spingo
ancora più in basso, allargando contemporaneamente le
gambe. Rimane lì sotto per lunghi, meravigliosi istanti, durante i quali, nonostante la posizione scomoda, riesce a
portarmi alla soglia dell’orgasmo. Dopo aver emesso un
ultimo sospiro di piacere, lo tiro per la testa facendogli capire che voglio che torni su. Di nuovo uno di fronte l’altro,
ci baciamo e lecchiamo con trasporto, mentre le nostre
mani percorrono i rispettivi corpi senza mai stancarsi. Mi
stacco un istante e, prendendolo per mano, lo conduco finalmente in camera da letto. Accendo la piccola abatjour
sul comodino e tiro via le lenzuola. Sta per sedersi sul letto, quando lo blocco. Mi siedo io invece, proprio sotto di
lui, e, accarezzandogli piano i glutei, comincio a baciarlo
sulla pancia. Il suo sesso è completamente teso verso
l’alto e quando lo prendo in mano posso sentire quanto sia
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caldo e duro. Lo bacio delicatamente un paio di volte, prima di farlo andare oltre le mie labbra, dentro la bocca. Lascia che sia io a scandire i ritmi, limitandosi ogni tanto a
spingere un po’ fuori il bacino e ad accarezzarmi la testa.
Mi stacco con un ultimo, leggero tocco di lingua, prima di
sdraiarmi e aprire le gambe. Lui sale sopra di me con gli
occhi persi di desiderio e non fa alcuna fatica a scivolarmi
dentro. Uniamo i nostri corpi e, divorandoci di baci, aumentiamo il ritmo. Sento l’orgasmo che sta montando, ma
proprio quando sto per venire, lui lo tira fuori e, con un urlo
di piacere, schizza sulla mia pancia lunghi fiotti di sperma.
«Scusami, Giovanna, non ho potuto resistere, ti pulisco
subito».
«No, scusami tu. Non ti ho detto che prendo la pillola e
che potevi venirmi dentro. Mi sa che ho rovinato un fantastico orgasmo a tutti e due» e, così dicendo, glielo prendo
in mano cercando di regalargli qualche ultimo istante di
piacere. Dai sospiri che emette e dal calore che sento tra
le mani, devo esserci riuscita.
«Lasciati pulire, vieni qua» mi sussurra, mentre sfila un
kleenex dal pacchetto del comodino. Ne utilizza quattro
50
Quattro

per asciugare ogni cosa. Poi, mentre mi aspetto che si
stenda vicino a me per riposarsi, mi lancia un sorrisetto e
sussurra. «Ora vedo di farmi perdonare, eh».
La sua lingua scivola di nuovo dentro di me, mentre con le
mani mi accarezza il seno, la pancia e le gambe, che mi fa
allargare più che posso. Ha una capacità di arrivare ai
punti più delicati e piacevoli davvero straordinaria e, aiutandosi con le dita, in pochi minuti riesce a portarmi ad un
orgasmo mai provato con del sesso orale. Mentre sono
ancora scossa dai brividi, sento la sua testa poggiarsi delicatamente sul mio seno sinistro e le sue braccia che mi
cingono.
Rimaniamo così per un tempo indefinito, quasi senza
muoverci. Senza parlare. Solo punte di dita che attraversano delicatamente i rispettivi corpi.
«Ci sei?» sussurro accarezzandogli i capelli.
«Sì, è solo che voglio stare così per… Diciamo i prossimi
quattro giorni?».
«Mi sa che non si può, no. Però, se vuoi, potresti rimanere
a dormire qui, stanotte».

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Si tira su a sedere e, dopo qualche secondo passato a fissarmi, mi dice: «Sei sicura che vuoi che io rimanga?».
«Sì, sono sicura».
«Sicura che… Non so se…».
«E tu? Tu sei sicuro di voler rimanere? Non è che forse
hai già avuto quello che volevi e vorresti andare?».
«Ma perché dici così? Perché devi pensare una cosa del
genere? Io…».
«Okay, era una domanda, non prendertela».
«Perché non dovrei prendermela? Non capisco, Giovanna: ci sono dei momenti in cui mi fai pensare che… Te l’ho
detto, tu mi piaci. Tantissimo. E…».
«E appunto: non ci sarebbe niente di male ad andarsene
ora. Tutti e due abbiamo avuto quello che volevamo, in
fondo. Non devi pensare che a noi donne, perfino a noi
donne “mature”, certe cose non vadano bene. Non ci sarebbe…».
«Donne “mature”?! Senti, mi pare che fra di noi chi sta
guardando la carta d’identità dell’altro sei tu. Dovresti
smetterla di pensare al fatto che hai qualche anno più di

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Quattro

me. E dovresti essere un po’ più fiduciosa nei confronti di
quello che ti dicono gli altri. Capisco che…» s’interrompe.
«Cosa capisci?».
«Beh, capisco che dopo tuo marito… Insomma, non sia
facile e…».
Stavolta sono io a tirarmi a sedere. Mi scosto qualche decina di centimetri da lui e, dopo averlo fissato, con uno
sguardo severo e concentrato, gli dico:
«Alan, cerchiamo di capirci: mio marito non c’entra niente.
Io un marito non ce l’ho più, non esiste più, se non come
padre di mia figlia. Io sono una donna libera e se ho voglia
di frequentare qualcuno, di portarmelo a letto, non devo
necessariamente fare chissà quali ragionamenti. Quindi…».
«E quindi è necessario che tu mi aggredisca?» interrompendomi. «È necessario che tu mi faccia notare tutte queste cose per… Per che cosa, Giovanna? Te l’ho detto, te
lo ripeto: mi piaci, tantissimo. Perché dovrei…».
«Io non vorrei che tu…».
«…».
«…».
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Abbasso un po’ la testa. Non so cosa mi ha preso, né perché mi abbia preso. Fino a qualche minuto prima, toccavo
il cielo con un dito. Ora, invece, mi sento aggressiva, forse
anche arrabbiata. E so perfettamente che non c’è alcun
motivo, che Alan vuol restare e che io voglio che resti. Mi
viene da piangere, ma so che devo trattenermi.
Seppur con un certo timore e con un movimento lentissimo, lo vedo allungare una mano verso il mio viso e cominciare ad accarezzarmi piano la guancia. Ha negli occhi
l’espressione angosciata di chi sa di esser stato frainteso
ma non ne conosce il motivo. Abbasso di nuovo gli occhi
perché non so come guardarlo. Non so cosa devo fare.
Soprattutto non so come la devo fare.
Dopo interminabili secondi, lo sento avvicinarsi e tirarmi
piano verso di lui. C’è una parte di me che si sente talmente in colpa, da farmi provare l’insano desiderio di respingerlo. Per fortuna riesco a dominarmi e a superare gli
istanti di gelo che mi bloccano. Piano piano vado a finire
tra le sue braccia, rannicchiandomi, un piccolo movimento
la volta, contro di lui, fino a quando i nostri corpi sono
completamente attaccati.
54
Quattro

«Scusami, non so che cosa mi è preso. È tutto così bello,
tu sei così bello. Io… Io non sono più abituata a certe cose, pensavo che non mi sarebbero più successe e… E ho
avuto paura».
«…».
«Ripeto: non ci sarebbe niente di male anche se fosse solo un’avventura di questa notte. È stato tutto fantastico e lo
sarebbe anche se…».
Mi stringe violentemente all’improvviso.
«Ti prego, smettila! Non dire più niente, non diciamo più
niente. Rimani qui dove sei ora e… Giovanna, io…».
«…».
Ci stringiamo ancora più forte e, senza più parlare, lentamente, scivoliamo di nuovo distesi. Chiudo gli occhi e comincio a baciarlo. Baci piccoli e pieni di sospiri, prima. Poi
più intensi, lunghi. Le sue mani mi accarezzano un fianco
e i capelli senza fermarsi mai. Lo accarezzo anch’io, sfiorandogli la schiena e il gluteo sinistro con le unghie.
Quando lo tiro più vicino e sento la sua erezione fare
pressione contro la mia pancia, apro gli occhi e, dopo,
averlo baciato un’ultima volta, me lo tiro sopra. Non c’è bi55
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sogno di dire nulla per averlo di nuovo dentro di me. Comincia a penetrarmi piano, cercando un ritmo e, soprattutto, di non essere brusco. Con un paio di spinte del bacino,
gli faccio capire che può aumentare profondità e velocità.
Allaccio le gambe dietro la sua schiena, mentre cerca di
distendersi sopra di me e, sospirando, mi bacia nell’incavo
della scapola. Andiamo avanti così per un po’, fino a
quando si ferma, esce e si sdraia alla mia sinistra. Sporgo
il sedere verso il suo bacino.

Lui mi solleva un po’ la gamba e, venendo un po’ più sotto con il corpo, trova una nuova angolazione. Ora, non ha
più paura di spingere e sento il suo ventre battere contro
le mie natiche. Tira fuori l’uccello e mi fa capire che vuole
che io mi volti. Lo faccio e un istante dopo sento che mi
sta baciando all’interno delle gambe. Dopo avermi leccata,
mi stringe per i fianchi e torna a prendermi. Sospiriamo
entrambi più forte. Favorisco i suoi movimenti spingendo
dietro e, ogni volta che torno in avanti, il piacere è sempre
più intenso. Si ferma ancora una volta e, dopo avermi baciato la schiena, si sdraia. Salgo sopra di lui e comincio a
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Quattro

cavalcarlo. Mi accorgo che sto urlando quando sento il
bassoventre prendere letteralmente fuoco nell’impeto
dell’orgasmo. Spingiamo tutti e due più forte una, due,
dieci volte. Il grido strozzato di entrambi dura diversi secondi. Lo tengo dentro di me fino a quando non sento che
il suo sesso non ha cominciato a perdere consistenza.
Poi, gli crollo addosso con il respiro che mi scuote il petto.
«Rimani qui. Rimani qui, così» mi sussurra all’orecchio.
«Sì, rimango qui, non mi muovo» baciandogli una spalla.
Poi, lentamente, riusciamo a staccarci. Se il mio viso è
come il suo, ci deve esser scolpita sopra una delle
espressioni più belle che io abbia mai avuto.
Torniamo ad accarezzarci e a baciarci. Poi, prima io e poi
lui, andiamo in bagno a pulirci. Quando siamo di nuovo al
letto, Alan mi chiede se può restare. Vuole dormire abbracciato a me e, soprattutto, dice, vuole svegliarsi domani mattina con il mio corpo tra le braccia.
«Certo che puoi» accarezzandolo.
C’è ancora qualche minuto per le ultime coccole, prima
che la luce dell’abat-jour si spenga e io, rannicchiandomi
di schiena nel suo abbraccio, cominci a dormire.
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CINQUE

Il fatto che Alberto riporterà Giada soltanto a tarda serata,
mi fa svegliare molto rilassata. Io e Alan facciamo di nuovo l’amore. Al buio, ancora mezzi addormentati. Sento le
sue mani percorrermi la schiena e le sue labbra posarsi
sul collo prima di tornarmi dentro. È un risveglio bellissimo, con piccole striscioline di sole che si insinuano nei
buchini delle tapparelle e l’odore dei nostri corpi che sale
da sotto le lenzuola leggere. Anche stavolta è un orgasmo
lunghissimo che ci fa gridare.
«Dio, mi ero dimenticato di quanto fosse bello svegliarsi
così!».
«Era da molto che non andavi a letto con una donna?».
«Sì, ad essere sinceri. Da quando mi sono lasciato con la
mia ex, otto mesi fa. E tu?».
«Qualcosa di più, quasi un anno».
«Spero di essermela cavata».
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Cinque

«Hai bisogno che ti dica che sei stato bravo?».
«No, io…».
«Comunque sì» baciandolo sulla punta del naso. «Sei stato bravo. Soprattutto delicato, naturalmente delicato. È
una cosa che apprezzo molto».
«…».
«Se non hai fretta di andare da qualche parte, magari più
tardi potresti ulteriormente migliorare la mia impressione»
sto giocando a fare la lasciva, sì.
«Te l’ho detto: vorrei rimanere almeno quattro giorni di fila
qui con te»
«Bene, allora… Forse però è il caso di alimentarsi un po’,
che ne dici? Ti va di fare colazione?».
«Ehm, sì sì, ho una certa fame».
«Spero tu non sia di quelli che mangiano salato appena
svegli, perché in cucina, a parte caffè, arance, brioches e
affini, non ho molte cose».
«No, tranquilla. Di solito prendo un cappuccino, un paio di
plumcake e una spremuta».
«Okay, vado a preparare, allora».

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Mentre sono in cucina a trafficare con la moka, il bollitore
del latte e i barattolini dello zucchero e del caffè, penso a
quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho preparato
la colazione con una disposizione di spirito di questo tipo.
Addirittura mi viene da fischiettare qualche canzone (Beatles per lo più)!
Torno in camera da letto con un vassoio della Coca Cola
sul quale ho sistemato tutte le varie cose. Lo appoggio su
un comodino e bacio la schiena di Alan che sta sonnecchiando.
«Te lo hanno mai detto che a prima mattina e senza trucco sei bella come ad ora di pranzo il lunedì?».
«Galantuomo da strapazzo!» tirandogli un buffetto sul naso.
«No, ti giuro. Appena ti ho visto mi è già ritornata voglia…».
«Facciamo colazione, invece. Poi dopo vediamo».
«Sì, sir. Certo, sir».
«Sir?».
«Mai visto Arancia Meccanica di Kubrick?».

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Cinque

«Ah, simpatico!» dandogli un altro buffetto. «Non mi pare
che qualche minuto fa ti sembrassi proprio un sir!».
«Neanche adesso, se è per questo».
Tira giù il lenzuolo e vedo che qualcosa nei suoi boxer ha
ripreso a muoversi. Lo accarezzo tra le gambe fino a
quando la stoffa non torna a tendersi quasi completamente, mentre sento la sua mano accarezzarmi il sedere e la
parte interna della coscia. Avrei voglia di ricominciare subito, ma penso sia meglio fermarsi, buttar giù un caffè e
mangiare qualcosina. E poi, ho voglia di essere abbracciata, coccolata e riempita di baci. Inutile far finta che non sia
così. Alan non sembra affatto deluso. Mi aiuta a sistemare
il vassoio al centro del letto e facciamo colazione, guardandoci negli occhi e parlando il meno possibile. Dopo
aver bevuto l’ultimo sorso di aranciata e fumato una sigaretta (erano almeno dieci anni che non fumavo una sigaretta mattutina nel letto!), ho voglia di fare l’amore. Ma,
chissà per quale motivo, non ho voglia di farlo in camera,
sul letto. Mi libero dalle sue braccia e mi alzo. Lui non dice
una parola, ma qualcosa mi fa pensare che abbia capito
che ho voglia di giocare. Quando si tira su e cerca di
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prendermi, faccio un paio di passi indietro e mi tiro fuori
dalla sua portata.
«No no, troppo facile un’altra volta così. Facciamo una cosa: io ora mi vado a nascondere. Tu conti fino a cento, poi
ti alzi e mi vieni a cercare. Questo appartamento è di circa
centoventi metri quadrati, perciò penso che ce la farai a
trovarmi. Altrimenti, vuol dire che non mi avrai saputa cercare, o non mi avrai voluta trovare. Che ne dici?».
«Che sono già al tre. Quattro, cinque, sei…».
«Devo sbrigarmi!».
Esco dalla stanza senza avere la minima idea di cosa stia
facendo, ma felice come una ragazzina. Chi l’avrebbe detto che un giorno avrei fatto anche io di questi giochetti?
Non ho granché addosso: una camicia da notte e la coulotte. Difficile pensare di organizzare una “caccia al tesoro”
come avevo immaginato. Però… Mi potrei sempre nascondere da qualche parte: sotto il tavolo della cucina, nel
ripostiglio, nell’armadio a muro vicino all’ingresso. Oppure,
visto che c’è un’intercapedine tra la doccia e la finestra del
bagno. Uhm… Mentre sto pensando dove andare, sento
che Alan è arrivato già a trentasei e conta sempre più ve62
Cinque

locemente. Scorretto! Mi sfilo la camicia da notte e la lascio sul bracciolo di una poltrona in sala, dopodiché, a
passo svelto, corro verso la cucina, che si trova nella zona
opposta della casa, e appendo la culotte sulla maniglia
della porta finestra. Quindi, ridendo sottovoce, vado a rintanarmi nel bagno (socchiudo la porta).
Passa qualche istante e sento i suoi passi scricchiolare sul
parquet del corridoio. Apre subito la porta del bagno e fa
per entrare, ma poi deve forse pensare che come nascondiglio potrebbe essere troppo banale (che fortuna, aver
letto Sherlock Holmes!) e ritorna indietro. Sento di nuovo
le listelle di legno scricchiolare. Dopo un po’ tendo
l’orecchio senza uscire dal mio nascondiglio. Dal silenzio,
immagino sia arrivato in sala o in cucina.
«Questa camicia da notte profuma di te. Sappi che sto per
trovarti». Rido cercando di non emettere suoni, mentre di
nuovo i suoi passi risuonano lungo il corridoio. Mezzo minuto scarso e, anche senza vederlo e sentirlo, immagino
che abbia trovato la culotte in cucina. Inutile dirlo: per
quanto stupido, questo giochino mi sta eccitando e non
posso fare a meno di chiedermi se per lui sia la stessa co63
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sa. Ho la risposta pochi secondi dopo, quando lo vedo
materializzarsi all’improvviso di fronte a me. Ha gli occhi
lucidi ed è completamente nudo.
«Uhm, sei stato bravo, devo dire».
Faccio la mossa di coprirmi il seno e tra le gambe in uno
slancio di finta pudicizia. Lui accenna una risata e mi tende le mani. Vado a finire fra le sue braccia e cominciamo a
baciarci. Mi spinge verso la lavatrice e penso che voglia
sdraiarmici sopra (anche con Alberto l’avevamo fatto così,
qualche volta). Invece, dopo avermi fatto appoggiare il sedere, mi tira di nuovo a sé e comincia a portarmi a spasso
da tutte le parti, toccandomi, baciandomi e leccandomi.
Ogni tappa vicino a uno dei sanitari accresce la mia eccitazione, ma ora ha voglia di giocare anche lui e se provo a
prendergli il sesso in mano o girarmi per farmi penetrare,
lui mi immobilizza. Questa specie di danza dura interminabili minuti. Comincio a graffiarlo dietro la schiena e a
mozzicargli i lobi delle orecchie, ma lui resiste e continua a
farmi girare da una parte a un’altra. Poi, si stacca da me e
va ad azionare la doccia. Chiude la gabbia di vetro e si gira a guardarmi.
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Cinque

«Sotto l’acqua?» gli chiedo con una voce che ormai non
riconosco più.
«Sotto l’acqua».
Quando si comincia a vedere un po’ di vapore salire verso
l’alto, entriamo dentro. Alan mi stringe a sé e ci piazziamo
sotto il getto, baciandoci e toccandoci. Poi lui prende uno
dei miei bagnoschiuma e, dopo essersene versato un po’
sulle mani, comincia a insaponarmi. Tra il calore
dell’acqua e il tocco della sua mano, rischio di farmi venire
un calo di pressione ma il piacere è troppo forte e lo lascio
fare. Indugia un sacco di tempo sui capezzoli e tra le
gambe, poi si inginocchia e mi insapona le cosce, i polpacci e piedi. Accarezzandomi dietro la schiena, sul sedere e tra le gambe, torna a leccarmi il sesso. L’orgasmo arriva dopo pochi secondi, irresistibile. Mi sottraggo dal getto, lasciando che lui ci si immerga. Ride, come un ragazzino che ha fatto una bravata particolarmente ben riuscita.
Aspetto che il calore e l’eccitazione passino e, con uno
sguardo di fuoco, prendo il flacone di bagno schiuma.
Comincio a insaponarlo direttamente tra le gambe, mentre
lo bacio sul petto e con una mano gli accarezzo il sedere.
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Mi tira a sé ansimando e, dopo avermi girato, me lo mette
dentro. Fa in modo che il getto della doccia, che è piuttosto corposo, colpisca esattamente la zona di congiunzione
dei nostri corpi, aumentando a dismisura il piacere. È pazzesco, bellissimo. Lo sento spingere e ansimare sempre
più forte.
«Trattieniti, ti prego, sto arrivando anch’io» gli sussurro.
Qualche istante e riusciamo a venire un’altra volta insieme. Rimaniamo abbracciati in un groviglio caldo e inestricabile. Poi ci stacchiamo e torniamo ad insaponarci.
Usciamo dalla doccia, ci asciughiamo e ci scambiamo
qualche altro bacio di fronte allo specchio del lavandino.
Torniamo in camera da letto, completamente nudi, e ci
buttiamo sul letto.
«Che ne dici se facciamo un piccolo riposino, Giovanna?».
«Pressione a zero, eh. In effetti, anch’io penso che un piccolo riposino non ci farebbe male. Magari quando ci svegliamo, se ti va, scendiamo a mangiare qualcosa giù. O
preferisci che cucini qualcosa io?».
«No, scendiamo pure. Tanto giusto qualcosina…».

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«Beh, non so tu, ma io ho già fame ora e, se hai deciso di
passare il pomeriggio con me, ti consiglio di recuperare un
po’ di energia. Sai, a una certa ora possono prendermi
delle voglie e non vorrei…».
«Non preoccuparti, penso proprio che ce la faremo».
«Intanto» accarezzandolo tra le gambe. «Mi sa che è meglio se ora tu e il tuo “socio” vi riposiate un po’».
«Okay».
Sarà forse a causa della doppia “seduta” mattutina o forse
per il calore sotto la doccia, ma, il tempo di poggiare la testa su una spalla di Alan, e mi addormento.
Come temevo, ci svegliamo circa quattro ore dopo. Sono
quasi le tre e ho, abbiamo, una fame da lupi. Il tempo di
vestirci e di salire in macchina (non mi va di farmi vedere
subito con Alan dai negozianti del vicinato) e schizziamo
nel traffico blando del fine settimana pensando dove e cosa mangiare. Mi viene in mente un ristorante sull’Appia,
uscendo da Roma, dove fanno degli ottimi primi casarecci.
Glielo propongo e andiamo. Proprio come ricordavo: porzioni pantagrueliche, assolutamente bastevoli anche per i
nostri appetiti. Durante il pasto, ma anche in macchina,
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non parliamo moltissimo. E devo dire che la cosa non mi
dispiace affatto: non voglio giocare a fare la fidanzatina.
Quest’uomo, questo ragazzo, mi piace ma non voglio perdere il lume della ragione, rendermi vulnerabile. In fondo,
come gli ho detto ieri, non ci sarebbe niente di male se tutto si esaurisse in questo fine settimana. Chiaro che non lo
penso, che mi piacerebbe poterlo continuare a frequentare, ma so anche che devo prestare la massima attenzione,
fare un passo la volta. Lo vedo comunque tranquillo, rilassato. Non mi dà l’idea di un “cacciatore” professionista, ma
neanche dell’imbranato che mi era sembrato all’inizio. Il
sesso sembra averlo piacevolmente sciolto e si comporta
in modo del tutto naturale.
«Posso proporti una passeggiata in un bel posto qua vicino?» mi fa appena rimontiamo sulla mia Yaris.
«Sì, basta che non facciamo troppo tardi. Verso le sei e
mezza vorrei essere a casa a dare una sistemata prima
che torni mia figlia».
«Tranquilla, ce la faremo».
Poco prima di arrivare a Marino, Alan comincia ad imboccare una serie di strade e stradine e non capisco più dove
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Cinque

stiamo andando. Alla fine, arriviamo nei pressi di una piccola collina, dove si gode di uno splendido panorama e
dove l’aria non puzza assolutamente più di smog.
«Mi ci ha portato per la prima volta un mio amico. Lui ci
viene spesso a disintossicarsi da Roma, quando ha voglia
di fare due passi e di portare un po’ a spasso il suo cane».
«A me sembra più un posto per coppiette. Chissà la sera
che via vai ci deve essere da queste parti…».
«Non saprei. Io, al massimo, mi sono fatto un paio di tiri di
canna quando ho accompagnato il mio amico. Ma, in effetti, ora che mi ci fai pensare…» e mi accarezza una gamba.
«Fai il bravino, Alan, dai. Ricordati che siamo venuti qui a
fare una passeggiata».
«Oh sì, dicevo tanto per…».
E invece, dopo aver passeggiato un po’ qua e là ed esserci accertati che non c’è praticamente nessuno in giro a
parte noi, ci sistemiamo con la macchina in una zona particolarmente riparata dagli alberi e, proprio come due ragazzini, lo facciamo sul sedile posteriore. Mentre il mio
corpo sale e scende lungo il suo sesso, non posso fare a
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meno di accorgermi che, a parte la luce tardo pomeridiana
e la mancanza di un vetro divisorio, tutto sembra essere
uguale alla prima volta in cui ho sognato di farlo con lui.
L’unica differenza, forse, è che contrariamente a quanto
avveniva nel sogno, siamo un po’ più vestiti (anche se io
ho solo una camicetta senza reggiseno sotto e lui è rimasto con i pantaloni abbassati). Anzi, a pensarci bene,
un’altra differenza c’è: questo incontro sembra durare molto di più e, quando arriviamo alla conclusione, siamo completamente sudati.
Ci ricomponiamo in fretta (giusto in tempo: una macchina
con una coppia di ragazzi sta imboccando il piccolo sentiero per il quale siamo passati anche noi) e, dopo aver
percorso strade e stradine a ritroso, siamo di nuovo
sull’Appia.
Alle sette meno un quarto, lascio Alan vicino alla sua
macchina. Non c’è bisogno di chissà quali smancerie. Sono stati due giorni che hanno detto e dato talmente tanto
che troppe effusioni (tra l’altro inadatte, al momento, sotto
casa) risulterebbero irrilevanti.

70
Cinque

Bastano due bei baci sulle labbra e un abbraccio di
qualche secondo a suggellare tutto.

71
SEI

I giorni che seguono sembrano imprigionati in una bolla di
sapone post adolescenziale. Con Alan ci vediamo di continuo, rubando tutto il tempo possibile ai rispettivi impegni
(va da sé che i miei siano assolutamente più pressanti dei
suoi) e facendo cose folli. Come la sera prima della festa
di Giorgia, quando lui passa verso mezzanotte sotto casa.
Giada dorme già da un pezzo (il padre domani la porta in
un nuovo parco giochi e vuol stare con lei anche buona
parte del giorno successivo. Il secondo weekend libero
consecutivo!), quindi non ho nessun problema a chiudermi
il portone di casa dietro le spalle e a scendere all’ingresso.
Dopo esserci baciati per un’infinità di minuti e aver evitato
per ben due volte di essere sorpresi da qualche mio vicino
sceso

con

l’ascensore,

alla

fine,

consumati

dall’eccitazione, decidiamo di scendere in cantina. E lo
facciamo lì, al buio e in piedi, cercando di contenere il vo72
Sei

lume dei nostri sospiri casomai a qualcuno venisse l’idea
di passare da quelle parti proprio in quel momento.
Nell’impeto del piacere, l’ho morso poco dietro il collo e,
quando risaliamo in superficie e alla luce, sempre di soppiatto, sempre come due ladri, mi accorgo del segno rosso
che si vede vicino al colletto della camicia. Cerco di scusarmi sulla soglia dell’ascensore, ma Alan, che ormai
sembra aver perso qualsiasi freno e pudicizia, mi spinge
all’interno della cabina e preme il bottone per l’ottavo piano. Lo guardo un po’ stupita e un po’ divertita prima di ritrovarmelo addosso. Sento le sue mani e la sua bocca
cercarmi ovunque e, nonostante cerchi di allontanarlo e di
fargli capire che assolutamente non si può, non riesco a
scrollarmelo di dosso. Va a finire che ce la facciamo a malapena ad arrivare nuovamente in cantina, dove, nonostante le mie proteste, Alan mi fa accendere la luce. Lo
trovo con i pantaloni già abbassati alle caviglie e in erezione completa.
«Tu sei matto!» gli dico, mentre con la mano destra comincio a masturbarlo. Il suo sesso è caldissimo e, dallo
sguardo stravolto che ha, credo che non riuscirà a conte73
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nersi per molti secondi ancora. Deve pensarlo anche lui,
perché mi blocca e, sempre tenendomi per il polso, mi volta, spingendomi verso una savonarola incellophanata sulla
nostra sinistra.
«Aspetta, è piena di polvere!» cerco di protestare mentre
mi fa piegare. Mi tira la gonna su e, senza neanche togliermi il perizoma, me lo infila dentro. Per quanto la preparazione dell’atto sia stata brutale, è bellissimo sentirlo
aderire con tutto il suo peso contro la mia schiena e tirarmi
forte a sé. Sento il suo respiro arrochito sul collo, mentre
cerco di spingere dietro per farmi penetrare fino in fondo.
Viene qualche istante prima di me, con una specie di grugnito che non gli avevo mai sentito, e continua a prendermi fino a quando non sente che anche io ho avuto il mio
piacere. Proprio nell’istante in cui tutto finisce, la savonarola, evidentemente stremata dall’aver dovuto sopportare
il nostro peso, cede con un crack facendoci cadere per
terra. È una fortuna che riesco in qualche modo a finire
con la faccia sul pavimento! Dopo qualche secondo, accertatici del fatto di essere ancora tutti interi, scoppiamo a
ridere.
74
Sei

«Pensi di poterlo togliere da lì, ora?».
«Pensavo di lasciarcelo dentro tutta la notte, invece».
«Dai, esci, rivestiamoci. Va bene fare qualche follia, ma
oggi abbiamo esagerato alla grande, non trovi?».
«In effetti…».
Si tira su e mi aiuta ad alzarmi. Ci puliamo alla meno peggio.
«Scusami se sono stato troppo irruento, Giovanna. È
che… Non so, non ne ho mai abbastanza, ti voglio ventiquattro ore al giorno! E poi oggi, con quella specie di minigonna che ti sei messa! Stavo per impazzire, ti giuro. A un
certo punto volevo venire nel tuo ufficio, cacciar fuori la
Michelis e chiudermi dentro con te per… Boh, fino alle otto!».
«Non pensavo che le mie gonne potessero farti questo effetto. Domani vedrò di essere un po’ più casta, allora. Altrimenti rischiamo di farci metter dentro per atti osceni e
poi, magari, ci buttano anche fuori dall’azienda».
«Davvero, scusa. Non vorrei essere così irruento».
«Dai, lascia stare adesso! E poi, nonostante abbia protestato, questa sera è piaciuto anche a me. Da impazzire,
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se proprio lo vuoi sapere» baciandolo forte sulle labbra.
«Ora, però, basta, fammi tornare sopra. Diamoci una pulita al volo e a nanna».
«Sì, okay».
Quando siamo di nuovo al piano terra, gli do un ultimo bacio veloce prima di riprendere l’ascensore e tornare a casa.

Giorgia vive con un’amica dalle parti di Cinecittà. La casa
non è molto grande ma ha un terrazzo gigantesco rispetto
alle normali misure delle case romane.
È li che ci ritroviamo, due dozzine di persone, verso le sette di sera. La festeggiata, confortata dal clima mite di questi giorni, ha deciso di organizzare un aperitivo all’aperto.
Un’ottima idea, secondo me. Sicuramente meglio che andarsi a cacciare in qualche locale con il rischio di rimanere
delusi dallo spazio offerto o dal servizio scadente. I ragazzi e le ragazze del compleanno di Alan mi pare ci siano
tutti. Mi fermo a scambiare quattro chiacchiere con un paio
di loro. Poi, finalmente, riesco a intercettare Giorgia in un

76
Sei

momento in cui non è occupata con qualcuno dei presenti.
Mi avvicino sorridendo.
«Giovanna, ciao! Sono proprio contenta che sei venuta»
baciandomi sulle guance.
«Ciao, Giorgia. Anche io sono molto contenta. Tieni» porgendole un pacchettino. «Un pensierino per il tuo compleanno».
«Dai, Giovanna! Non dovevi».
«Perché no? Sei stata molto carina con me, mi hai anche
invitato alla tua festa».
«Grazie» baciandomi di nuovo. «Sono sicura che Alan ha
fatto un’ottima scelta e…».
Si blocca, evidentemente ha pensato di essersi spinta un
po’ troppo in là con parole e supposizioni. D’altronde, ci
conosciamo a malapena. Cerco di scioglierla dal suo imbarazzo.
«Dai, non preoccuparti, Giorgia. Sì, stiamo uscendo con
Alan, ma… Sai, ci stiamo ancora conoscendo».
«Sì, scusami se sono stata indelicata. È che sei proprio un
bel tipo, mi hai fatto un’ottima impressione e… Beh, mi farebbe piacere frequentarti».
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«Certo, magari un giorno di questi usciamo a prenderci un
caffè, un aperitivo».
«Con vero piacere».
Scarta il pacchetto e trova la confezione di prodotti per la
pelle Farfalla che le ho preso.
«Ma sei matta! I prodotti per la pelle Farfalla sono i più
buoni del mondo! È davvero un regalone, grazie».
«No, un pensierino, tranquilla. Spero ti piaccia il patchouli,
altrimenti lo possiamo cambiare».
«Scherzi? Lo adoro. Grazie, davvero».
Arriva una ragazza che deve essere una cara amica di
Giorgia. Si abbracciano come se non si vedessero da anni
e, pur senza cattiveria, mi ritrovo estromessa. Mi guardo
intorno e vedo Alan in un angolo della terrazza che sta
parlando con un ragazzo e una ragazza. Non erano tra
quelli che ho visto alla sua festa. Lui è un tipino dallo stile
un po’ selvaggio. Capelli lunghi, abiti finto-stazzonati e
Clarks. Lei, invece, è davvero molto carina. Un po’ più
bassa di me, indossa un abito nero lungo che la fascia
perfettamente. Non sarà roba da boutique, ma le calza a
pennello, soprattutto intorno alla vita, che è sottile e dà
78
Sei

una grande armonia all’intera figura. Ha i capelli lunghi,
nerissimi. I tratti del viso, per quanto piuttosto netti (è molto magra), sono davvero eleganti. E poi ha degli occhi…
Mentre mi avvicino, riesco a osservarli bene: il taglio è
lungo, orientale, e il colore di una sfumatura verde pazzesca, resa ancora più bella dal riflesso delle ultime luci del
pomeriggio. Tocco lievemente la spalla di Alan, che sobbalza.
«Dio, Giovanna scusa!» diventando un po’ rosso.
«Sei sempre super agitato, eh, Alan!» ha una voce roca,
la signorina, sembra quasi artefatta.
Mi lancia uno sguardo che vorrebbe essere complice, ma
è tradito da un’espressione piuttosto altera che lo fa risultare fastidioso. Alan, dopo essersi ripreso dall’imbarazzo,
fa le presentazioni.
«Martin, questa è Giovanna».
«Piacere».
«Piacere».
«E lei è Amirin».
«Piacere».
«Piacere mio, Giovanna».
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Non so perché -non sono quel genere di donna- ma mi dà
un senso di fastidio difficilmente contenibile sentirla pronunciare il mio nome. Rimango dunque in silenzio per il
resto della conversazione, cercando di mantenere una
facciata contegnosa. Ho, tra l’altro, l’impressione che Alan
stia percependo il mio disagio perché il suo modo di parlare, solitamente fluido e brioso, sembra essere quello di
un’altra persona. Addirittura in un paio di circostanze lo
sento balbettare.
Per fortuna che Giorgia chiama Martin e Amirin. Io e Alan
rimaniamo da soli.
«Ehi, tutto bene?».
«Chi, io? Sì, perché?».
«Non so, mi sembri un po’ legato oggi. Ho come
l’impressione che qualcosa ti stia turbando».
«A me? No, assolutamente. Che cosa…».
«Hai visto per caso qualcuno che non volevi vedere?».
«No, ma perché… Giovanna, va tutto bene, cosa ti prende?».
«No, niente. È che mentre parlavi, prima, ho avuto come
l’impressione che fossi un po’ turbato, in imbarazzo con
80
Sei

Martin e… Come si chiama?» faccio finta di non ricordare
il nome.
«Amirin».
«Amirin, sì. Bella ragazza, Amirin, vero?».
«Giovanna, ma che…» diventa un po’ rosso.
«E cosa ho detto di male? Mi sembra sia una bella ragazza. Una considerazione come un’altra».
«Sì, è che il tuo tono…».
«Il mio tono non ha nulla di particolare, Alan. Non devi mica vergognarti di dire che una ragazza è una bella ragazza solo perché ci sono io qui. Ho quarantuno anni, mica
quindici».
«Sì, che c’entra. È come…» si blocca. E da come abbassa la testa, cercando invano di ritrovare un abbrivio decente di discorso, capisco: tra lui e Amirin ci deve essere stato
qualcosa.
Credo riesca a percepire il flusso dei miei pensieri, perché
riprende bruscamente a parlare.
«Va bene, sì. Io e Amirin siamo stati insieme qualche mese, sei anni fa».

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«Non c’è bisogno che ti arrabbi nel dirmelo, eh. Non ci trovo niente di grave, sai. Te l’ho detto: è una bella ragazza».
«Non lo so, lo stai dicendo come se… Come se io…».
«Oh, Alan adesso ti stai facendo un film tutto tuo, però. Io
non ho detto proprio niente. Non capisco perché ti stia
sentendo attaccato».
«…».
«Per come la vedo io, sei anni fa potevi stare con chi volevi. E anche adesso, non è che tu debba sentirti preso al
laccio».
«Vedi? Lo vedi che andiamo a finire sempre lì?!».
«Ma lì dove? Ma si può sapere che cosa stai dicendo?»
alzando impercettibilmente la voce.
«…».
«Non capisco perché e per che cosa tu te la stia prendendo».
«…».
«…».
«Giovanna, io… Mi devi scusare, per un attimo ho pensato… Io per un attimo ho pensato che non ti avrebbe fatto
piacere sapere che qui…».
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Sei

«Avrei trovato qualcuna con la quale eri andato a letto.
No, invece non me ne importa proprio niente. È una bella
giornata e una bella festa. Mi sto divertendo, i tuoi amici
sono simpatici e penso che vorrei continuare a stare bene
senza dover pensare che tu sei in imbarazzo per elucubrazioni tutte tue».
«Scusami, sono uno scemo. Sempre con queste…».
«Ecco, smetti tranquillamente di fartele, perché per me
non ci sono problemi».
«Scusa, Giovanna, io…».
«E smettila di dire “scusa”! Non hai proprio niente di che
scusarti. Piuttosto che ne diresti se andassimo a bere
qualcosa?».
«Certo, sc… Ehm, andiamo».
Anche se so mascherare con credibilità certe spiacevoli
sensazioni, Alan non ha affatto torto: aver saputo che lui e
quella ragazza hanno avuto una storia mi disturba. So che
dopo tutto quello che ho passato, e considerando quanto
siano belle le cose tra noi ora, non dovrei proprio sentirmi
così. Eppure, nonostante tutte le sagge considerazioni che
cerco di fare, il malumore non passa. E, naturalmente, ne
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risento sia in termini di divertimento, sia nello stargli accanto. Ovvio che riesco a dissimulare davanti agli altri: rido, scherzo, parlo con tutti (anche per qualche minuto con
Amirin. Scopro che è di origine indonesiana, che la lavora
come copy in un’agenzia di comunicazione e che vive con
Martin in un bilocale a Trastevere. E, sì, che mi sta tremendamente antipatica!) ma mi sento un po’ spenta. E,
passando davanti a uno specchio intero poco prima di
uscire, mi accorgo con la coda dell’occhio che la calza sinistra è visibilmente smagliata e qualcuna o qualcuno se
ne sarà accorto.
Quando arriva il momento di andare, non vedo l’ora di tornarmene a casa e starmene un po’ per i fatti miei. Sola,
assolutamente. Giorgia viene a salutarmi e mi sussurra in
un orecchio se è andato tutto bene. Questa ragazza deve
avere qualche sesto senso, perché dallo sguardo con cui
parla, risulta palese che ha captato il mio disagio. Io, come
è giusto che sia, dissimulo ma so perfettamente di non
convincerla. Poco prima di congedarmi, guardandomi dritta negli occhi, mi dice:

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«So che non dovrei permettermi, ma spero di potere lo
stesso: ci ho fatto caso, dopo aver conosciuto Amirin, non
sei stata più rilassata».
«No, Giorgia, ma come…».
«Scusami, lo so che dico cose che non dovrei permettermi
di dirti, ma voglio troppo bene ad Alan, siamo amici da
quando ancora non camminavamo, veniamo dallo stesso
paese, dallo stesso mondo. Lui è uno che si imbarazza
sempre quando c’è qualcuna con la quale ha avuto qualcosa in passato. È sempre stato così, Giovanna, fa parte
del suo dna comportarsi in questo modo. Immagino ti abbia detto che lui e Amirin…».
«…».
«Beh, anche se non dovrei fare l’ambasciatrice di nessuno
e anche se Alan mi strozzerebbe se sapesse quello che ti
sto dicendo, voglio rassicurarti su di una cosa. È una storia vecchia di anni e…».
«Giorgia, posso chiederti perché ti stai sentendo in dovere
di dirmi tutte queste cose?» le chiedo con un tono di voce
un po’ inasprito. «Io e Alan ci frequentiamo da poco, mi

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piace, ma… Insomma, non credo proprio che dovresti
preoccuparti».
«Scusa, scusami se mi sono permessa. È che da quando
avete iniziato a frequentarvi lui è un altro. Erano anni che
non lo vedevo così felice, rilassato. E per chi, come me, gli
vuole bene come un fratello, è bello poterlo avere di nuovo
così. Oddio, scusa, scusami! Sono un’impicciona, ecco
cosa! Perdonami, è che… Sono così contenta di rivederlo
così e, beh, magari l’avrai capito, ma c’è anche il fatto che
tu mi piaci un sacco. A pelle, davvero».
Arriva un certo punto nella vita, dove, per fortuna, riesci a
capire quando una persona ti sta dicendo una cosa in cui
crede davvero o sta bleffando più o meno abilmente. E, a
prescindere dal fatto che molto spesso tu possa anche
scegliere di farti prendere per i fondelli lo stesso per debolezza o per egocentrismo, una parola detta con il cuore sai
sicuramente riconoscerla.
Abbraccio Giorgia con uno slancio improvviso che non ho
mai avuto, neanche con Tiziana, la mia migliore amica. Ci
teniamo strette solo un paio di secondi, ma sono sufficienti

86
Sei

per dirci un’infinità di cose e per creare un’intimità che ha
bisogno solo di essere coltivata con un po’ di incontri.
«Grazie, Giorgia. Non sai come è stato bello sentirti dire
certe cose. E non sai quanto invidio Alan per avere una
amica come te. Appena posso, ti chiamo e usciamo».
«Quando vuoi, Giovanna. Sono certa che ci troveremo
subito bene».
«Allora, tanti auguri di nuovo. E grazie per la bella serata,
in ogni caso. A presto».
«A presto, sì. E grazie ancora a te per il regalo».
Ci baciamo sulla soglia un’ultima volta. Arriva Alan. Anche
lui abbraccia e saluta Giorgia. Aspettiamo in silenzio che
l’ascensore salga al piano. Entriamo. Lui preme il bottone
con la “T” impressa sopra. Usciamo. Scendiamo una piccola rampa di scale. La Smart è parcheggiata dieci metri a
sinistra del portone.

«…».
«…».
Siamo sotto casa mia. Durante il tragitto da Cinecittà abbiamo parlato a monosillabi, come non era mai successo
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da quando la nostra storia è cominciata. Ora ci stiamo
guardando, tutti e due spaventati. Non si sa bene da cosa,
ma comunque spaventati.
Alan si avvicina lentissimamente e mi dà un piccolo bacio
tra la bocca e il naso. Rimango immobile per alcuni istanti,
prima di rispondere con una carezza. Me ne dà un altro,
stavolta più convinto. Rispondo. Continuiamo così, senza
parlare. Soltanto dandoci piccoli baci e carezze. Sembra
una riappacificazione tra ragazzini, più che un normalissimo momento a vuoto di due adulti. La cosa ha una tenerezza che non riesco a ignorare, ma mi rendo anche conto
che forse non è il caso di rimanere sotto il palazzo in cui
abito con il rischio di essere sorpresa da qualche vicino.
Non è soltanto una questione di forma e di pudicizia: sono
certa, infatti, che al prossimo bacio la situazione potrebbe
in qualche modo sfuggirci di mano. Ho una voglia tremenda di fare l’amore e so che per lui è lo stesso. Ma… Ma
sento anche un grande turbamento che mi assale. E percepisco la stessa cosa in lui. Giada stasera dorme dai genitori del padre e la cosa più naturale sarebbe scendere
dalla macchina, infilarci in casa e non pensare più a nien88
Sei

te. Dentro un letto, abbracciati. Insieme. Eppure, non ci
riesco. Neanche quando Alan, vinti i suoi timori, mi tira deciso verso di sé e lascia scivolare la sua lingua oltre le mie
labbra. Ci baciamo con trasporto, sicuro. E quando la sua
mano mi accarezza prima le schiena, poi le spalle e infine,
quasi distrattamente, il seno, le scariche di desiderio sono
fortissime. Tanto forti, da indurmi a toccarlo fugacemente
tra le gambe mentre rispondo ai suoi baci. La stoffa dei
pantaloni è tesa fin quasi a scoppiare. Ritraggo la mano e
lo guardo. No.
«Forse è meglio…».
«Ti prego, Giovanna, fammi salire».
«Ehi» accarezzandolo sulla guancia sinistra. «Non fare
così. Non è successo niente».
«E allora perché non…».
«…».
«Non so perché mi prende così, quando c’è qualcuno con
cui è successo qualcosa. Posso assicurarti però che non
provo niente, assolutamente niente per Amirin. È stato sei
anni fa e Martin è un caro amico».

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GiveMeAChance
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«Senti, non devi star sempre lì a giustificarti. Nessuno ti
ha chiesto di trattenere certe emozioni o di cancellare il
tuo passato. È semplicemente un momento così, vedrai
che domani sarà passato, mi sarà passato».
«Quindi è come pensavo: ora sei arrabbiata, ce l’hai con
me».
«Non sono arrabbiata e non ce l’ho con te. È un momento
così, Alan, che devo dirti? Mi sono sentita inadeguata, ho
questa sensazione che… Forse sono pensieri tutti miei,
ma… Vedendoti vicino a quella ragazza, mi sono sentita
troppo…».
«Basta!» è la prima volta che lo sento urlare. «Ancora
quella maledetta storia degli anni!».
«Non c’è niente da urlare».
«Sì, invece! Non puoi mettere sempre avanti questa storia
degli anni, io…».
«Io metto avanti quello che voglio» alzando la voce a mia
volta. «Te l’ho già detto e te lo ripeto: faccio le considerazioni che più mi piace su come mi percepisco e su quello
che voglio ci sia tra me e gli uomini che frequento».
«Ma uomini di che, ma che cazzo stai dicendo!».
90
Sei

«Vedi di darti una calmata, altrimenti scendo subito e non
ne parliamo più».
«…».
«…».
«Può darsi sia un mio passaggio a vuoto, ma io sono anche i miei passaggi a vuoto, Alan. E in questo momento è
così, perché non dovrei potertelo dire?».
«…».
«Lo so che sei più emotivo della media e credo che tu mi
piaccia anche per questo, ma ora mi sento un po’… Fuorifuoco, e…».
«Scusa se ho alzato la voce».
Dio, sta per piangere! Devo, lo devo evitare a tutti i costi.
Prendo la sua testa tra le mani e gli do un bacio piccolo
sulle labbra.
«Fammi stare un po’ sola, stasera. Cerca di capire. Possono capitare momenti così».
«…».
«Anch’io ti voglio, ma penso che sia più bello averti a
mente serena, senza queste tensioni. Dai, non scappo da

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nessuna parte. Vedrai che la settimana prossima riusciamo a stare insieme e…».
«…».
«Oggi è andata così. Non è successo niente. In fondo è
anche poco che ci conosciamo e…».
Non so più su quali specchi sto provando ad arrampicarmi. Devo, assolutamente devo uscire al più presto da questa macchina e far cessare questo cattivo “teatro”.
«Fammi andare, ora. Magari ci sentiamo dopo al telefono».
Il volto di Alan è diventato bianco come un lenzuolo e immobile come quello di una statua. Un misto di rabbia, stupore e disagio che non ha nulla a che fare con la bella
espressione da bravo ragazzo sveglio che tanto mi ha fatto girar la testa.
«Scusami, Alan» sento che tra un po’ potrei cedere anche
io. «Lasciami andare, non è successo niente. Un brutto
momento da cancellare, ecco tutto».
Non so più cosa sto dicendo, basta! Mi faccio forza e,
dopo avergli dato un altro piccolo bacio sulle labbra, mi
fiondo fuori la macchina. Attraverso in fretta la strada
92
Sei

senza guardare (per fortuna non sta passando nessuno,
altrimenti rischierei di essere investita, visto che non mi
degno di guardare se ci sono macchine in transito o
meno) e sono già sotto il portone. Tiro fuori con violenza le
chiavi dalla borsa e le infilo nella toppa. Entro, senza
guardarmi dietro. Senza voler vedere che faccia ha Alan in
questo momento.

93
SETTE

Le lacrime arrivano prima che riesca a superare la soglia
di casa. Tante, irrefrenabili. Mi rendo conto che sto esagerando, che sto trasformando una piccola cosa in una tragedia, ma non posso farci niente. La realtà è che quando
ho visto Amirin sulla terrazza di Giorgia e ho capito di lei e
di Alan, la prima reazione non è stata tanto di gelosia. Né
ho avvertito un senso di inadeguatezza estetica. Certo, lei
è molto carina, ma non è stato questo a preoccuparmi e a
cominciare a cambiare radicalmente il mio umore. Il problema è stato quello di essermi trovata davanti una ragazza giovane, che probabilmente non arriva a trent’anni. Che
può fare quello che vuole, all’ora che vuole. Che non ha
avuto un marito, una famiglia. Che non ha una figlia già
grandicella da dover crescere. Che, quindi, rappresenta il
nuovo, la possibilità della favola eterna. «Sarà la mamma
dei miei figli»… Quante volte ho sentito ragazzi, ragazzini
94
Sette

e uomini parlare di qualcuna in questi termini? Perché, hai
voglia a far finta di niente!, ma per un maschio -e per un
maschio italiano ancor di più, viste tutte le sovrastrutture
che ci regala la nostra cultura zavorrata di morale- il senso
di possesso dell’unicità della propria donna è, in fondo in
fondo, una conditio sine qua non per la buona riuscita di
un matrimonio. È vero, Alan non è un tipo nella media, sicuramente prova una forte attrazione nei miei confronti. È
dolce, delicato, sensibile. Ma ha pur sempre sette anni
meno di me. E tra un po’ di tempo, quando magari sarà finito il brivido degli inizi e si troverà a dover prendere pienamente coscienza di cosa significhi avere una relazione
con una mamma, con gli orari e le scadenze di una mamma, cosa farà? Lui che è un tipo perennemente distratto,
pieno di aspirazioni e insoddisfazioni, saprà accettare certi
ruoli? Gli piacerà di passare delle serate con me e Giada,
in un contesto, fisico e metafisico, così diverso da quello al
quale ora è abituato?
Queste domande mi attraversano cervello e cuore con la
velocità di proiettili e, mentre mi spoglio e vado in bagno a
struccarmi, le lacrime non la finiscono di scendere. Quan95
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do torno in camera e prendo il cellulare per spegnerlo, trovo due chiamate perse e un messaggio.
ti prego, non fare così. fammi salire.
Mi avvicino dalla finestra senza espormi a figura intera e
guardo in basso. La Smart è ancora parcheggiata là sotto.
Rimango imbambolata a fissarla qualche istante, constatando il profondo senso di scissione che sta sconvolgendo
il mio corpo. Che in tutte le sue componenti fisiche e selvagge mi dice di prendere il telefonino, chiamarlo e fare
l’amore tutta la notte; che, invece, in tutta la violenza razionale del mio cervello mi dice di non farlo assolutamente
e di continuare a riflettere.
Non so quanti minuti passino in questa specie di trance di
sospensione, fatto sta che a un certo punto vedo i fari della macchina accendersi. Un’accelerata brusca ed è già
scomparsa dietro l’angolo.
Passo la mezzora successiva sdraiata sul letto ad armeggiare con tasti e tastini, sperando di riuscire a scrivere
qualcosa di sensato, che non sia permeato da una squallida retorica d’occasione e che, nello stesso tempo, dica
davvero come mi sento, senza girarci tristemente attorno.
96
Sette

Alla fine, spossata nei pensieri e con gli occhi che mi fanno male, mi risolvo per l’unica soluzione che mi sembra
giusta in quel momento: cercare di dire il meno possibile.
Scusa. oggi è andata così. presto ne parliamo. un bacio.

Aspetto che risponda, mentre fumo la terza Merit in pochi
minuti. Sono in cucina, scalza e nuda, che cammino intorno al tavolo da pranzo gettando ogni tanto uno sguardo al
led del telefonino. Non so, sinceramente, perché mi aspetto che risponda, né so che cosa potrei o vorrei trovare
scritto in un messaggio qualora decidesse di mandarmelo.
Ma il problema, dopo un po’, mi rendo conto che non si
pone. Alan non risponderà. E non perché sia uno stronzo,
ma perché, giustamente, non sa cosa potrebbe scrivermi.
Provo a mettermi nei suoi panni, ma dopo pochi istanti sono costretta a distogliere i miei pensieri, perché sto ricominciando a piangere e sento un’ansia terribile divorarmi
dentro. In queste condizioni è chiaro che non riuscirò ad
addormentarmi, mentre invece è necessario che io riesca
a fare un tot di ore di sonno filate e che domani possa riflettere sulla questione con la maggiore lucidità possibile.
97
GiveMeAChance
Editoria Online

Faccio dunque una cosa che non facevo da almeno sei
mesi: torno in camera e, da un cassetto del comodino, tiro
fuori una scatolina di Xanax 0,25. Prendo una pastiglietta,
la porto in cucina e la butto giù con mezzo bicchiere
d’acqua. E mentre fumo l’ennesima sigaretta con la testa
appoggiata al vetro della finestra, sento che l’ansiolitico
sta facendo il suo effetto e che il mio corpo tutto, testa
compresa, si sta allentando, lasciando passare la stanchezza, anzi, la spossatezza della giornata. Approfitto di
questi primi sintomi per andare a sdraiarmi. Nel buio assoluto, comincio come al solito a contare le nuvole immaginarie sopra il soffitto. Non riesco ad arrivare a quindici. Le
palpebre, sempre più pesanti, calano sugli occhi stanchissimi come pesanti sipari di velluto caldo.

Il risveglio mi trova in una posizione quasi fetale piuttosto
insolita per me, che sono abituata a dormire lunga e distesa. Non ho ancora aperto gli occhi e sto già cercando il telefonino. Quando il led è acceso, immobile sul letto, aspetto che arrivi il segnale di ricezione di un messaggio. Un
minuto, due. No, non arriva. Non posso biasimarlo se è
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Ancora una volta
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  • 3. GiveMeAChance Editoria Online Tutti i diritti riservati La riproduzione parziale o totale del presente libro è soggetta all’autorizzazione scritta da parte dell’editore. La presente pubblicazione contiene le opinioni dell’autore e ha lo scopo di fornire informazioni che, benché curate con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e all’editore per eventuali inesattezze. GiveMeAChance s.r.l. – Editoria Online Viale Regina Margherita, 41 – Milano 1° edizione Marzo 2014 www.givemeachance.it
  • 4. Indice UNO .................................................................................. 5 DUE ................................................................................ 16 TRE................................................................................. 26 QUATTRO ...................................................................... 37 CINQUE .......................................................................... 58 SEI .................................................................................. 72 SETTE ............................................................................ 94 OTTO ............................................................................ 107 NOVE ............................................................................ 118 DIECI ............................................................................ 137
  • 5. A D, che -giorno dopo giornoaccarezza il fuoco con grazia 4
  • 6. UNO È quando smetti di fartene una colpa che cominci davvero a risalire. C’era voluto quasi un anno prima di riuscire ad accettare che il mio matrimonio con Alberto fosse finito. Non era bastato che lui, da un giorno a un altro, fosse tornato ad abitare con i suoi. Non era bastato vederlo passeggiare mano nella mano con un’altra donna per via del Corso. E no, non erano bastati mesi di ansia e depressione in preda alle domande più assurde e dolorose a far scattare la benedetta “molla”. Per troppo tempo avevo pensato di essere stata io la causa di tutto. Io, che tra lavoro, casa e nostra figlia Giada, mi ero forse dimenticata di avere un marito che era anche un uomo. Io, che magari avevo dimenticato di curarmi un po’ meglio e un po’ di più. Io, che probabilmente avrei dovuto 5
  • 7. GiveMeAChance Editoria Online ricordarmi un po’ più spesso di essere una femmina, oltre che una moglie e una mamma. Poi, invece, dopo una ventina di sedute dallo psicologo, valli di lacrime e mille inutili chiacchiere con le (poche) amiche e mia madre, la soluzione di tutti i problemi era venuta fuori all’improvviso. Una mattina mi ero svegliata e, infilandomi sotto la doccia, avevo fatto pace con la vita smettendo di soffrire. Tanto e tale era stato il dolore dei giorni precedenti che, di fronte a questa improvvisa pacificazione, non mi era venuto in mente di chiedermi né il come, né il perché. Ero uscita dal getto d’acqua caldo e profumato e, mentre mi stringevo nella spugna morbida dell’accappatoio, avevo pensato che ero viva ed era, semplicemente, bellissimo così. Mi ero asciugata, vestita e truccata con religiosa meticolosità e quando Giada, vedendomi, mi aveva detto: “Mamma, come sei bella, come stai bene oggi!”, avevo capito che l’inferno era passato. Da quel giorno, sono passati ormai nove mesi. E mi sento sempre meglio, sempre più in forma. Ci siamo visti una volta con Alberto e, senza nessun piagnucolamento 6
  • 8. Uno d’occasione, né infingimenti civili, gli ho detto che sono io a volere il divorzio e che, se mi garantisce un contributo adeguato per tirar su nostra figlia e, naturalmente, una permanenza indisturbata nella casa dove abbiamo sempre abitato, può contattare il suo avvocato per cominciare a lavorare su un accordo consensuale. Sono sicura che deve essere rimasto abbastanza sorpreso. E, con estremo piacere, ho notato che la cosa non è dipesa soltanto dalla mia fredda determinazione nell’affrontare il nostro definitivo addio… In un paio di suoi sguardi, soprattutto da un cambio di luminosità degli occhi che gli uomini non sanno nascondere quasi mai bene, ho potuto constatare che, dopo chissà quanto tempo, aveva improvvisamente ripreso coscienza del fatto di trovarsi di fronte a una donna attraente. E di non poterla avere più. Mai più. In effetti, dopo un primo deperimento dovuto al breakdown, piano piano avevo recuperato un appetito normale e le mie forme abituali. E avevo ricominciato a curarmi nel trucco e nel vestire. Ma la vera “svolta”, forse l’unica cosa per la quale era valsa la pena pagare quel chiacchierone 7
  • 9. GiveMeAChance Editoria Online dello psicologo, era stato il consiglio di iscrivermi a una palestra per sfogare la rabbia, aiutarla a uscire fuori. All’inizio, mi ero sentita un po’ fuori luogo dentro quel posto luminoso e con la musica sparata ad alto volume. Non tanto per il fatto che da quasi dieci anni non praticavo alcun tipo di attività, quanto perché avevo trovato difficile star lì in mezzo a un manipolo di altre donne e ragazze che sembravano agguerritissime senza motivo e così diverse da me. Invece, pur non avendo socializzato granché con nessuna di loro, l’ambiente sportivo mi aveva conquistato un giorno dopo l’altro e avevo cominciato ad andare a fare pilates, ginnastica e qualche peso leggero. Prima due, poi tre volte a settimana. Sempre con maggiore entusiasmo. E i risultati non si erano fatti attendere: infatti, oltre a trovare una valvola di sfogo eccellente per quello che avevo dentro, il rimettermi in moto aveva assai giovato anche al mio aspetto. Le gambe, prima un po’ smagrite, avevano recuperato un tono muscolare notevole; il fondoschiena, che per fortuna Madre Natura mi aveva regalato di belle proporzioni, aveva ripreso la forma “a cuore” di 8
  • 10. Uno qualche anno prima. La pelle tutta, più in generale, sembrava più tesa ed elastica. Diciamolo: a quarantuno anni, posso affermare con una certa tranquillità di non avere troppi segni del tempo sul corpo e, quelle rare volte che mi capita di guardarmi nuda davanti allo specchio, ciò che vedo mi piace. Chiaro, non mi sento Belen Rodriguez o una di quelle ventenni che spadroneggiano in televisione o sui giornali, ma non credo che risulterei presuntuosa affermando di essere ancora una bella donna. E poi, soprattutto, grazie anche alla valvola di sfogo offertami dalla palestra, ho cominciato a distendermi anche psicologicamente e a riprovare una stima sincera per tutto quello che sono stata in grado di fare nella mia vita. Certo, delle volte continuo ancora a dirmi che avrei potuto osare di più, che forse avrei dovuto essere un po’ più spregiudicata in molte cose, ma poi mi rendo conto che non ho voglia di star lì a stuzzicare i miei demoni e le mie paure soltanto per provare qualche brivido in più. Che poi… Ma quale brivido dovrei provare?! Qualche giorno fa Claudia, una mia cara amica (“felicemente divorziata da 9
  • 11. GiveMeAChance Editoria Online quattro anni” come dice sempre lei), per darmi un’idea del modo in cui gli uomini e i ragazzi vedono quelle come noi, mi ha spiegato il significato di una parola che avevo letto più volte su internet senza capire a cosa alludesse. Mi ha detto che MILF è un acronimo per Mother I’d like to fuck. Praticamente, se non ho capito male e se le tipe che mi ha fatto vedere su un sito pornografico non mi hanno ingannato, le MILF sono delle donne della nostra età che spesso e volentieri si dedicano senza freni alle gioie del sesso e a far sbavare e godere uomini più giovani di loro. Preferibilmente, davanti a una telecamera. Ora, io non ho niente contro il fare sesso, anche tanto, anche fantasioso, e non ho niente contro gli uomini più giovani di me. Quello che non capisco è la spettacolarizzazione di una categoria, quella delle mie pari età appunto, e il conseguente svuotamento della carica erotica che possono avere nella vita vera. Claudia, come avevo immaginato, mi ha fatto presente che sono la “solita pignola del cazzo” e che, ora che sono tornata single, dovrei essere un po’ più espansiva, al pas10
  • 12. Uno so coi tempi, con “la zozza società di oggi”, se voglio sperare di trovarmi qualcun altro. Certo che lei non mi sembra questo grande esempio di mangiatrice di uomini felice e realizzata che vorrebbe far credere: so per certo, infatti, che un tipo che ha conosciuto in un locale à la page di quelli che frequenta durante il week end, le ha fatto credere mari e monti per un paio di settimane e, dopo essersi fatto portar fuori a cena e a un sacco di altre parti (e dopo essersi fatto anche prestare qualche cento euro), è sparito non si sa dove, lasciandola abbattuta per un sacco di giorni. Inoltre, per come la vedo ora, se avessi voglia di fare sesso con qualcuno, cercherei di prendermi quello che questa eventuale persona avrebbe da offrirmi senza stare a fare mille ragionamenti sui costumi contemporanei e su certi anti-zen di massa che in troppi sembrano aver sposato come filosofie di vita. Una “sveltina” o una “botta di vita” (che termini stupidi!) si possono fare senza per forza doversi sentire pornografiche o vamp. Io la vedo, più che altro, come una questione di incontri, di giusti scambi. Non mi è mai parso necessario, neanche prima di essere sposata, di gettarmi da un letto a un altro tanto per. Sono 11
  • 13. GiveMeAChance Editoria Online convinta che il sesso possa essere davvero apprezzabile quando due persone sono in grado di viverlo bene con la testa. Anche senza sentimento, anche senza un coinvolgimento serio. È la bestialità pura a spaventarmi, ecco. E non mi sono mai sentita retró per questo mio modo di pensare, né ho dovuto pentirmi di qualche storia tra le relativamente poche che ho avuto. Sarà forse per questa mia convinzione, che non ho paura di far trasparire dai miei discorsi e atteggiamenti, che alcuni uomini sembrano guardarmi diversamente. Certo, quando azzardo qualche gonna un po’ più corta o decido di indossare qualcosa di più scollato del solito, gli sguardi che mi sento addosso non sono quelli casti di un santo. Ma neanche sempre quelli dei “lupi famelici”. Magari, oltre a volermi avere con le cosce spalancate sotto di loro, alcuni avrebbero forse piacere a scambiare anche qualche parola, qualche gesto con me. Forse mi sto solo illudendo, ma non è poi questo gran problema. Se mai dovesse succedere qualcosa con qualcuno, credo che sarei perfettamente in grado di ponderare la situazione e, come ho det12
  • 14. Uno to prima, prendermi innanzitutto quello che ho intenzione di prendere. Anche se le ferite che quello stronzo di mio marito mi ha lasciato dentro non sono ancora guarite del tutto, non sono certo il tipo di donna che ha sviluppato l’indole della mantide vendicatrice. Che si sia trattato di stanchezza, voglia di tradimento o altro, per me lui è semplicemente “storia”. E se volessi scrivere qualche nuovo capitolo amoroso e/o sessuale della mia esistenza non partirei mai da un presupposto anti-maschile con il rischio di far scontare le sue malefatte a un’altra persona. Magari qualcuno, o qualcuna, potrà pensare che la lezione non mi sia servita, ma non mi interessa. Posso essere più attenta, più difficile, ma comunque sento di dover essere positiva e, se mai vorrò dare di nuovo una chance, voglio poterla dare davvero, senza calcoli e riserve eccessivi. Di certo non avrò niente a che fare con Gianni, il mio capo, o con Lucrezio, il mio collega dell’ufficio amministrativo. Che viscidi, i classici predatori da quattro soldi che, una volta accertata la vulnerabilità di una persona, ti cominciano a girare intorno come avvoltoi. Anche quando stavo male, anche quando la mia testa era occupata dai pensieri più cupi 13
  • 15. GiveMeAChance Editoria Online e impegnativi, non facevo alcuna fatica ad accorgermi della loro assoluta noncuranza nei miei confronti. Per loro ero, sono, soltanto una relativamente fresca divorziata che ha bisogno di essere consolata a suon di colpi pelvici. E, convinti di impersonare la figura del vero macho e dell’uomo che dà sicurezza, non hanno neanche la decenza di camuffare un po’ meglio i loro comportamenti. Me li trovo sempre lì, a ronzarmi attorno con qualsiasi tipo di scusa e con la foia più ferina che gli dipinge il volto. Che gentaglia, addirittura parlar male della propria moglie davanti a un’altra donna! A dire di quanto sia pallosa, di quanto sia dozzinale, di quanto non ce la facciano più a sopportarla. E poi, subito dopo, eccoli pronti a rovesciarmi addosso un profluvio di complimenti che non di rado, non essendo complimenti ben fatti, scivolano via pesanti, senza grazia, né colore, semplicemente una serie di apprezzamenti buttati là con la speranza di imbambolare la scema di turno. E -beh, bisogna dirlo!- senza mai rendersi conto di quanto loro siano pallosi, poco affascinanti. Con quel linguaggio che non riesce a esulare dal codice lavo14
  • 16. Uno rativo neanche per un attimo. Con quelle stupide camice con i monogrammi delle loro iniziali, che a loro sembrano il top dello stile e della personalità, mentre a me fanno vomitare da quanto sono dozzinali e impersonali. E poi -e bisogna dire anche questo, perché non ci hanno fatto ciechi!con dei “presenti” a dir poco scarsini. Non tanto per le capigliature rade o per le pancette. Né per le spalle (di entrambi) un po’ cadenti e i sederi piatti. Quanto per una globalità di aspetto che non li rivela certo degli adoni e li mette ancora più in cattiva luce quando mi capita di rifletterci. Tsk, hai voglia a sbavare fissando la mia scollatura quando mi abbasso o il pizzo delle autoreggenti quelle rare volte che la gonna può andare un po’ più su (e, guarda caso, son sempre lì con gli occhi spalancati, quando succede)! Non mi avranno mai e poi mai, neanche per una cena “senza niente di male” come più volte mi hanno proposto tutti e due. Se e quando vorrò conoscere qualcuno, le cose dovranno essere molto diverse da quello che buffoni di questo tipo immaginano debba essere il mio modo di lasciarmi andare. 15
  • 17. DUE Alan è arrivato in ufficio da, credo, cinque mesi. Lavora al reparto vendite, ma non ho mai ben capito di cosa si occupi. Ci incrociamo spesso per i corridoi del secondo piano e un paio di volte abbiamo anche preso un caffè alla macchinetta del piano terra insieme ad altri colleghi. È un bel tipo, piacevole sia nell’aspetto che nelle parole. Avrà ad occhio e croce una trentina d’anni e un modo di camminare inconfondibile: testa bassa e passo veloce, come un centometrista. Sembra che sia sempre pensieroso, anche se, quando ci ho parlato, mi ha fatto ridere e ha saputo scherzare. Da quel che ho capito (stralci di conversazione afferrati durante i caffè), in questo posto ci si è ritrovato per caso e senza particolare entusiasmo. Secondo me, deve essere laureato in qualche disciplina umanistica perché parla troppo meglio rispetto al livello medio degli altri colleghi. E poi, forse tre settimane fa, l’ho incontrato in 16
  • 18. Due metro mentre stava leggendo un libro di Philip Roth, L’animale morente, che non è esattamente quello che ti aspetti di trovare in mano a un dipendente del reparto vendite di una multinazionale di prodotti chimici. Io non sono una divoratrice di libri, ma la mia quindicina-ventina l’anno li faccio fuori con una certa facilità. E quell’opera di Roth, così piena di eros particolare e tinte di morbosità, m’aveva assolutamente rapito quando l’avevo avuta tra le mani. Mi ero sempre ripromessa di chiedergli cosa ne pensasse del romanzo, ma dal giorno di quel casuale incontro non c’era stato più modo di incrociarsi né in ufficio (se si eccettuano degli incontri fugaci nei corridoi o durante la pausa pranzo), né fuori. Mi viene addosso a tutta velocità e, quando sto per cadere a terra, con un guizzo nervoso in avanti, mi afferra per la schiena e una gamba, mentre un cumulo di fogli, penne, matite e altra cancelleria si sparge intorno a noi. «Dio, Giovanna! Perdonami, io…». 17
  • 19. GiveMeAChance Editoria Online Siamo rimasti in una posizione curiosissima, quasi una figura di ballo: la mia schiena con la sua mano dietro a non più di cinquanta centimetri dal suolo e la mia gamba sinistra slanciata verso l’alto con l’altra sua mano, la destra, sotto la coscia. Nello strano movimento, la longuette nera (che ha due spacchi laterali abbastanza lunghi) si apre verso l’alto, scoprendomi l’attaccatura di pizzo dell’autoreggente. Sento le sue dita stringersi proprio da quelle parti per mantenere la presa salda. Non so per quale motivo, forse per l’imprevedibilità di quel “frontale”, ci metto un istante in più del dovuto a riavermi. Quando torno completamente in me, lascio che mi tenga in quella posizione qualche altro secondo più del dovuto, prima di cingerlo dietro il collo e rimettermi dritta (tra l’altro, ha un buonissimo odore di pulito. Lo sento salire dalla camicia sbottonata). «Stai bene, ti ho fatto male?». «No, a momenti mi abbattevi, ma non mi hai fatto niente». «Madonna, in che condizioni sono ridotto! Sono perennemente distratto, perdonami» mentre si piega a raccogliere 18
  • 20. Due quello che è caduto per terra. «Trasloco in un'altra stanza, stavo portando la cancelleria e…». «Bum! Hai ben pensato di volermi mettere sotto, vero?» mi piego anch’io per aiutarlo a raccogliere le cose. Anche stavolta la longuette si allarga e dallo spacco sulla gamba sinistra, quella che offro alla sua vista, salta ancora fuori l’attaccatura dell’autoreggente. Me ne accorgo perché Alan rimane un istante di troppo con lo sguardo fisso in quel punto. Devo dire che non lo fa con quella malizia fastidiosa che vedi sempre in faccia a molti uomini. Ha un’espressione tra il simpatico e l’imbarazzato. Quando si accorge che lo colgo in castagna, fa un mezzo sorrisetto prima di diventare, letteralmente, rosso come un peperone. A me viene da ridere, ma so che se lo facessi, in qualche modo, potrei ferirlo facendolo sentire un ragazzino. Gli regalo dunque un sorriso rassicurante e, mandando giù la longuette, continuo ad aiutarlo a radunar cose. L’intera scena sarà durata forse cinque o sei secondi. Finiamo di raccogliere tutto. «Scusami di nuovo, Giovanna. Non lo so dove sto con la testa». 19
  • 21. GiveMeAChance Editoria Online «Tranquillo, sono viva. Non è successo niente». «E scusa pure per…» diventa di nuovo rosso in viso. «…» lo guardo facendo finta di non capire cosa intenda. «Beh, insomma… anche per…» ancora più rosso… «Per?» sì, un po’ ci gioco a fare la “stronzetta”, a questo punto… «Mi dispiace, l’occhio poi è caduto là e…». «…». «…». Se sto zitta un altro secondo, diventerà viola. Che tipo! Meglio tirarlo fuori da questo imbarazzo. «Ma dai, non preoccuparti!» gli dico. «Mi offri un caffè e ti perdono». «Sì, anche due. Se mi aspetti un secondo, vado a poggiare queste cose sulla scrivania della nuova postazione e torno subito». «Dov’è che t’hanno messo?». «Nella stanza in fondo al piano, quella dove stanno Cavallini, Giorgi…». «Sì, ho capito qual è. Diventiamo quasi vicini, allora». 20
  • 22. Due «Eh già. Aspetta solo un attimo. Volo a portare ‘ste cose e sono di nuovo qua». «Ma no, fai piano altrimenti rischi di investire qualcun altro! Una piccola pausa la posso anche fare, non c’è bisogno che ti scapicolli». «Volo, torno subito». «Niente da fare, eh». Lo vedo ripartire a tutta velocità e svoltare al primo angolo a sinistra. Che tipo! «Ci credi? l’unico libro di Roth che non avevo letto». «Io invece ho letto solo quello e mi è parso un tantino… Disturbante?». «Oh, ma allora non hai letto ancora niente! Devo ricordarmi di portarti il Teatro di Sabbath. Vedrai che roba!». Siamo scesi in cortile a fumare una sigaretta (una Merit io, una fatta a mano lui). È una bella giornata di aprile, una di quelle con il sole e il cielo azzurro senza nuvole. «Mi togli una curiosità, Alan?». «Sì, certo». 21
  • 23. GiveMeAChance Editoria Online «Ma prima di venire a lavorare qui, cosa facevi? Sai, non mi sembri proprio il tipo da multinazionale di prodotti chimici». «In effetti no. Mi sono laureato in Lingue, poi ho fatto un dottorato in letteratura americana e ho lavorato per un paio di case editrici. Pensavo che dopo ce l’avrei fatta a trovare qualche cattedra, un altro assegno di ricerca o un altro posto nel mondo dei libri e invece…». «Scusa, mi dispiace se ho toccato un tasto sbagliato». «No, figurati. La vita, che vuoi farci. E comunque non mi dispiace parlarne con te. Sembri una persona molto diversa da quelle che girano qui dentro, sai? La quasi totalità di quelli che lavorano in questa azienda sono un po’ troppo… “Aziendalisti”, se capisci cosa intendo». «Sì, credo proprio di sì. Ogni tanto ci penso anche io al fatto che qui dentro non sia proprio il massimo». «E vabbe’, che ci vuoi fare? Siamo giovani, speriamo salti presto fuori qualcos’altro». «Giovani?! Parla per te, va’!». «Perché quanti… Ehm, no, a una donna non si chiede mai…». 22
  • 24. Due «Te lo dico io: quarantuno. Compiuti». «Ma che… Io…». «Non provare a dire che ne dimostro almeno dieci di meno o che me li porto benissimo, perché altrimenti ti strozzo!» gli dico sorridendo. «Se vuoi, non lo dico, ma….». «Tu invece? Le donne possono chiedere ai ragazzi quanti anni hanno». «Trentaquattro fra tre giorni». «Ah, un giovanotto!». «Insomma, mica tanto». «E io, allora, che dovrei dire?». «Ma no, tu sei…». «Ssst, lascia stare i complimenti e torniamo a lavorare, che è meglio». Stiamo per rientrare nell’edificio, quando, all’improvviso… «Senti…». «…». «Mi chiedevo se dopodomani… Insomma, se ti poteva andare una birra, qualcosa…». «…». 23
  • 25. GiveMeAChance Editoria Online «Sto festeggiando con qualche amico e amica in un posto a Cavour, dopocena. Se pensi…». Mi stupisce che non abbia minimamente pensato al fatto che io possa essere sposata, mamma, incasinata. Basterebbe che io usassi un certo tono di voce in questo momento per smontarlo completamente e farlo diventare ancora più rosso di prima. Invece non ne ho per niente voglia. No. «Okay, vedo di portare mia figlia da mia madre» lo fisso per cogliere le sue reazioni. «Se può tenermela, vengo volentieri». «Speriamo che possa» ha la voce calma, come non gliel’ho mai sentita prima. «Mi farebbe molto piacere se venissi». «Farebbe piacere anche a me». Ci guardiamo un secondo. È un passaggio di corrente elettrica, di quelli che non creano imbarazzi. Quando due persone si trovano gradevoli, si piacciono, ma riescono a dirselo in modo adeguato, senza certi fuochi d’artificio inopportuni. «Che dici, andiamo?». 24
  • 27. TRE Verso le otto e un quarto porto Giada da mia madre. Fortunatamente, non mi fa le domande che mi sarei aspettata quando le ho chiesto se poteva tenerla quella sera. A prescindere dall’età e dai rapporti di parentela, penso che tra donne intelligenti a volte si riesca a stabilire una giusta, silenziosa complicità. E mia madre, con tutte le differenze che ci separano, è sempre stata una donna intelligente. Do un bacio a mia figlia e le dico che ci sentiremo domani per telefono. Alle nove meno un quarto sono di nuovo a casa. È una bella sensazione tornare a prepararsi per uscire con qualcuno, seppur non da sola. Vado a farmi una doccia veloce. Ho tagliato i capelli a caschetto e dunque non ci metto granché ad asciugarli. Esco dal bagno dopo essermi pettinata e truccata. Prendo il cordless e prenoto un taxi (non ho voglia di guidare, stasera) per le dieci meno un 26
  • 28. Tre quarto. Ho quasi una mezz’ora per scegliere come vestirmi. Per l’intimo, scelgo un normale completo slip e reggiseno grigio di Intimissimi, dopodiché apro una confezione nuova di autoreggenti La Perla nere. Ancora non so bene cosa indosserò, ma, come ho sempre fatto fin dalla prima volta che sono uscita con qualcuno, sono già decisa ad optare per qualcosa di scuro. Fuori si sta bene, è una di quelle primavere che a Roma si traducono in mattine soleggiate e serate sempre miti. Per un attimo, ho la tentazione di azzardare un paio di pantaloni a vita bassa neri con un top abbastanza scollato e una giacca di velluto a coste. Poi ci ripenso, mi sembra un look impersonale per una serata così. Naturalmente, non ho neanche voglia di agghindarmi come se stessi andando al Teatro dell’Opera o a qualche appuntamento mondano. Devo trovare un giusto mezzo tra eleganza e comodità per sentirmi a mio agio. Provo qualche vestito davanti allo specchio, fino a quando non decido per una tuta seta cachemire nera di Moschino, alla quale abbino uno scalda cuore (sempre di seta cachemire) e delle scarpe decolleté color vernice nera di Manolo 27
  • 29. GiveMeAChance Editoria Online Blahnik. Per spezzare un po’ la monocromia, decido di indossare un filo di turchesi non troppo grandi. Mi guardo allo specchio grande sulla parete e penso, né più, né meno, che sto molto bene. Prendo la borsa e le chiavi di casa sul letto e scendo. Il taxi arriva proprio quando il portone di ingresso si chiude alle mie spalle. Gli do l’indirizzo e un quarto d’ora dopo sono davanti all’ingresso del locale. Con un ritardo di dieci minuti che mi sembra giusto nella consistenza (ho sempre pensato che una donna debba farsi aspettare, anche solo un pochino, dall’uomo con il quale ha un appuntamento. Soprattutto se è il primo appuntamento. È una questione di non inficiare certi canoni di pensiero socialmente invalsi, più che altro). Pago la corsa ed entro. Il posto, ad una prima occhiata, mi sembra un buon compromesso tra le pretese di modernità e il gusto della tradizione che sembrano animare (facendoli talvolta dannare) gli interior designer meno spericolati. Vedo Alan salutarmi dal fondo alla sala. Si alza e mi viene incontro. «Ciao, sono davvero contento che tu sia venuta» e, mentre lo dice, un sorriso a tutta bocca gli si stampa agli angoli 28
  • 30. Tre della bocca e toglie qualsiasi patina di formalità alle sue parole. Mi dà due baci sulle guance e poi mi fa strada tenendomi delicatamente per un braccio. Al tavolo ci saranno una quindicina di persone, equamente divisi tra uomini e donne, coppie e single. Vengono fatte le presentazioni e, dai primi sguardi, capisco che non sarà una di quelle serate dove stanno tutti lì (tutte lì, soprattutto) a farti la “radiografia”: gli amici e le amiche di Alan, infatti, sembrano persone serene, rilassate. Prendo posto (di fronte ad Alan) proprio mentre il cameriere viene a per le ordinazioni. «Un Gewurztraminer, possibilmente molto fresco». «Ah, finalmente qualcuno che ha dei gusti raffinati come i miei!» fa una ragazza molto carina che, mi pare di ricordare, si chiama Giorgia. «Uno anche per me». «E uno anche per me» le fa eco un’altra ragazza dal lato opposto del tavolo. Alla fine, siamo cinque persone a volere il vino bianco dell’Alto Adige, dunque, il cameriere ci suggerisce di prenderne direttamente una bottiglia. 29
  • 31. GiveMeAChance Editoria Online «Secondo me, facciamo prima a ordinarne due. Io sono sicura di voler fare il bis, se non il tris. E giurerei che anche Giovanna abbia le mie stesse intenzioni» dice Giorgia senza nessuna apparente intenzione di mettermi in difficoltà e con un sorriso simpatico stampato sul viso. «Beh, un secondo bicchiere potrei prenderlo anche io, sì». Va a finire che, tra una chiacchiera e una battuta, di bottiglie di vino ne vengono portate tre e quando a mezzanotte facciamo il brindisi di auguri per Alan, io sto vuotando il terzo calice. Per carità, nessun problema, imbarazzo: si è creata infatti una bella atmosfera e, nonostante con ogni probabilità io sia la persona più “matura” tra i presenti, non c’è stato un solo istante in cui io mi sia sentita a disagio o tagliata fuori dai discorsi. Anzi, quando arriva il momento dei regali e salta fuori che due amici di Alan gli hanno preso per scherzare un buono da trenta euro spendibile in una famosa catena di sexy shop della Capitale, partecipo senza imbarazzo al clima da caserma che serpeggia. E rido, mi sento bene. Ancora meglio quando scopro che Alan non ha letto il libro che ho scelto per lui. 30
  • 32. Tre «Shalom Auslander, Il lamento del prepuzio… Ho letto un sacco di recensioni e vado matto per gli autori ebrei, come avrai capito. Grazie mille, Giovanna» e si sporge per darmi un bacio sulla guancia. Continuiamo a ridere e a chiacchierare un altro po’, fino a quando non è ora di rincasare (d’altronde, domani si lavora). Il cameriere viene ad avvertirci che i taxi che abbiamo chiamato ci aspettano fuori dal locale. Io divido il mio con Alan e una sua amica di nome Elena, che, come me, ha dovuto “parcheggiare” la figlia a casa della propria madre. È la prima a scendere. Ci scambiamo il numero di telefono, promettendo di rivederci quanto prima. La seconda a giungere a destinazione, dopo cinque minuti scarsi di silenzi e sorrisi, sono io, che, a questo punto, devo confessare, non avrei proprio voglia di terminare la serata così. Quando arriva il momento, Alan scende e viene verso la mia parte, impedendomi di pagare una parte del conto. «Lascia stare, dai! Spero piuttosto che tu ti sia divertita» mi fa lui tenendosi allo sportello sinistro posteriore. 31
  • 33. GiveMeAChance Editoria Online «Sì, molto. Hai davvero dei bellissimi amici, complimenti. E anche molto gentili. Giorgia mi ha invitato a una festa a casa sua, tra due venerdì. Se non ho problemi con Giada, vengo molto volentieri». «Spero proprio che non ne avrai, mi farebbe piacere passare un’altra serata con te. Anche prima, se ti va» lo dice con un tono in cui si fondono, senza artificio, il piacere di vedere me e il piacere di vedere me con gli altri. A questo punto, soprattutto se fossi nei panni di qualche mia amica storica, mi divertirei a metterlo al laccio con le parole per vedere fino a che punto è preso dalla situazione. Ma la serata è stata davvero molto bella, di quelle che non mi capitava di trascorrere da una quindicina di anni o giù di lì. E poi la delicatezza con la quale cerca di dirmi le cose non suona affatto forzata, eccessiva. Magari non avrò imparato molto in fatto di uomini, ma preferisco fidarmi del mio istinto e credere, all’istante, che sia un bravo ragazzo. Oltre che un bel ragazzo che mi piace, sì. «No, vedrai che ci sarò. Prima non saprei. Aggiorniamoci questi giorni in ufficio» mi sporgo verso di lui e, tenendomi in equilibrio su un solo tacco, gli stampo un bacio morbido 32
  • 34. Tre e non troppo breve su una guancia. Mentre il mio corpo sta tornando indietro, sento che mi passa la mano sulla schiena. Una carezza leggera. Ci guardiamo un istante e poi lui avvicina il mio viso alla sua bocca e, all’ultimo momento, devia dalle mie labbra e mi dà un bacio sulla guancia, poco lontano dall’orecchio. Non posso fare a meno di avvertire un brivido attraversarmi il corpo e di pensare che, se avesse cercato di baciarmi, l’avrei lasciato fare. Prima di congedarmi definitivamente, lo accarezzo piano sul petto e sorrido. Sorride anche lui. Il taxi riparte non appena ho varcato il portone d’ingresso. Sono sotto le coperte da diverso tempo, ma non ho un briciolo di sonno. Ho provato a leggere, mi sono alzata a prendere un bicchiere d’acqua. Poi ho fumato una sigaretta in cucina e ho visto le brevissime sul televideo. Niente, mi sento smaniosa e non riesco a stare distesa. Accendo l’abat-jour sul comodino e fisso il soffitto facendo finta che ci siano delle nuvole riflesse da contare (uno strano giochino che faccio fin da quando ero bambina). Dopo un po’, mi ritrovo in un curioso stato di dormiveglia, uno di quelli in 33
  • 35. GiveMeAChance Editoria Online cui sei cosciente che non stai completamente dormendo e sognando, ma sai bene che non sei neanche del tutto su questo mondo. Mi tornano in mente degli spezzoni della serata, le facce degli amici di Alan e, soprattutto, la sua, mentre mi guarda fissa negli occhi e sorride. Poi, la scena si sposta nel taxi. C’è un vetro divisorio tra noi e l’autista, non come in quello che abbiamo preso. Alan mi sta baciando sulle labbra, mentre io gli accarezzo i capelli. Nel fotogramma successivo (che sembra tagliato piuttosto violentemente da quello precedente, come in certi filmacci di serie B) sento la sua mano accarezzarmi la gamba e risalire sempre più su, mentre io infilo la mia lingua più a fondo tra le sue labbra e gli passo una mano sul petto. Pochi istanti e il set cambia ancora: stavolta sono sopra di lui, nuda ad eccezione degli slip e delle autoreggenti, con la sua testa affondata tra i seni. Sento la sua erezione far pressione sotto di me. Lo accarezzo tra le gambe. Lui libera un respiro strozzato, mentre le sue mani, passando dalle mie natiche, mi accarezzano l’interno delle cosce. Fremendo, gli slaccio la 34
  • 36. Tre cinta e faccio saltare con un colpo secco i bottoni davanti. La punta della sua lingua mi sfiora il capezzolo sinistro, mentre lo sento armeggiare in basso, nel tentativo di mandar giù i pantaloni. Proprio quando le sue dita hanno scostato il sottile lembo di stoffa del mio slip e la punta del suo uccello sta per introdursi dentro di me, mi sveglio con uno scatto improvviso. La camicia da notte mi è arrivata ben oltre i fianchi e ho la mano destra infilata negli slip. Un po’ shockata, rimango immobile qualche secondo prima di azzardare la punta dell’indice verso il basso. Sono completamente bagnata e il semplice contatto del polpastrello con la parte più in alto della fessura mi fa fremere. Quanti anni sono che, non dico provo, ma anche solo penso, a masturbarmi? Nove, dieci? Facciamo che da quando è nata Giada non mi ricordo più di averlo fatto. Probabilmente, al posto mio, molte si sentirebbero imbarazzate, se non proprio arrabbiate con se stesse. Io no, non provo assolutamente vergogna quando con la punta delle dita torno ad accarezzarmi tra le gambe. Chiudo gli 35
  • 37. GiveMeAChance Editoria Online occhi sperando che il dormiveglia riprenda da dove si era interrotto. E quando i contorni scuri del taxi e la sagoma di Alan sotto di me riprendono consistenza mi lascio andare, portando a termine rapidamente sogno e orgasmo. Il tempo di asciugarmi le dita con un kleenex rimediato sul comodino e di spegnare l’abat-jour e sto già dormendo. 36
  • 38. QUATTRO «Vorrei portare Giada dai miei, domani e dopodomani». «Per me va bene. Spero solo tu non voglia farle già conoscere quella tipa con la quale ti vedi». «No, figurati. Anzi, non la vedo più da quasi un mese, se lo vuoi sapere». «No, non lo voglio sapere. Non me ne frega niente di chi vedi o di chi non vedi, Alberto. L’importante è che Giada sia serena e che passi un po’ più di tempo con suo padre e gli altri nonni. Per il resto, puoi fare quello che vuoi, non mi interessa». «…». «Allora ci vediamo dopodomani alle sei. Suona e la faccio scendere». «Veramente volevo salire a riprendermi quel maglione di cotone blu che…». 37
  • 39. GiveMeAChance Editoria Online «Se è solo per il maglione, te l’ho già preparato e messo in una busta. Quando Giada scende, te lo faccio portare». «Ah, okay». «Bene, a dopodomani allora». Chiudo la comunicazione senza neanche salutarlo. Ci sarà tempo per recuperare un po’ di civiltà con lui… «Se ti va, domani sera potremmo vederci». Sono con Alan giù in cortile. Ho aspettato che finissimo la sigaretta per dirglielo. Voglio vedere come reagisce a questa notizia improvvisa. «Dai! Certo che sì! Puoi star fuori anche per cena?». «Sì, Giada va un paio di giorni dal padre e dai nonni. Direi che sono assolutamente libera». «Spero di non sembrarti irriguardoso se ti dico che è, ehm, una cosa fantastica». «No, credo di no». «Ti va se ti passo a prendere e, per prima cosa, andiamo a farci un aperitivo dalle parti del Colosseo?». «Per me va benissimo. Magari poi potremmo andare a mangiare qualcosa all’Aventino». 38
  • 40. Quattro «Esattamente quello che avevo intenzione di proporti. C’è un amico che ha aperto un ristorante da quelle parti. Non ci sono ancora mai stato, ma posso assicurarti che lui cucina da Dio. Abbiamo vissuto insieme ai tempi dell’università e dietro i fornelli è un prodigio». «Ottimo, aggiudicato». Rimaniamo in silenzio per qualche secondo. Ci guardiamo negli occhi. E sorridiamo. Poi, lui abbassa lo sguardo e ho l’impressione che diventi un po’ rosso. «Sono contento che usciamo, Giovanna. Molto contento». «Anch’io». «Davvero?». «Sì, davvero. Ma perché stai diventando rosso?». «I-io? Dici?» diventando ancora più rosso. «Non pensavo che fossi un timidone, sai?». «N-no, infatti non… Non so perché sta succedendo. Io…». «E comunque» appoggiandogli una mano sul petto. «Non mi dispiace assolutamente. È una cosa notevole, certe volte, non essere troppo sicuri di se stessi». «…». 39
  • 41. GiveMeAChance Editoria Online Stiamo aspettando che l’ascensore scenda, quando Alan, con uno slancio improvviso, mi avvicina a sé. Stavolta, arrivato in prossimità delle mie labbra, non si ferma e mi dà un piccolo bacio. Incurante del fatto che possa vederci qualcuno, gliene do uno anch’io. «So che sono un po’ imbranato, ma ti giuro che questo bacio volevo dartelo già l’altra sera. Anzi, ad essere sinceri, da almeno un mese». «Ah!» sorridendo. «E non hai pensato neanche un istante che potessi essere sposata, stare con qualcuno?». «Una delle prime cose che guardo nelle donne sono le mani. E tu non porti la fede, così ho pensato, sperato, che fossi libera». «Hai capito, il seduttore! M’avevi “puntato”, quindi». «Beh, diciamo che non passi inosservata. Sei una donna molto bella e, come ti ho già detto, non hai niente a che fare con i comportamenti degli altri che lavorano qui». «Ma sentilo come lusinga!» arriva l’ascensore. Entriamo. «Chissà a quante altre l’avrai detto». 40
  • 42. Quattro Mi pento della battuta mentre ancora la sto dicendo: anche senza guardarlo, so che l’ha presa male. Premo il tasto due. «Scusa, mi dispiace. Non avrei dovuto». «No, tranquilla». «È bello sentirti dire che sono bella. È una cosa bellissima». L’ascensore arriva al piano e siamo costretti a interrompere la conversazione. E a evitare di baciarci ancora. Mancano pochi minuti alle 18 quando entro in bagno. Alan passerà a prendermi verso le 19 e 45 e ho deciso che questa sera voglio essere davvero bella come dice lui. Ieri sono passata dall’estetista che, mi pare di vedere prima di entrare in doccia, ha fatto un ottimo lavoro. Per lavarmi, esfoliarmi e idratarmi uso una serie di prodotti Farfalla che un’amica mi ha regalato per il mio quarantunesimo compleanno. Quando ho finito di asciugare i capelli, vado in camera da letto. Scelgo l’intimo: un completino di pizzo viola culotte e reggiseno di La Perla, come pure La Perla è la confezione di autoreggenti 20 den color carne che scar41
  • 43. GiveMeAChance Editoria Online to. Ho pensato a due o tre vestiti, oggi. Li tiro fuori e li dispongo sul letto. Provo a immaginare quale possa starmi meglio dopo averlo abbinato con scarpe, borsa e soprabito. E, per una volta nella vita, questo tipo di pensiero non mi fa sentire per niente frivola. Dopo una lunga riflessione, scelgo un vestito verde trifoglio di maglina di Fendi che non indosso da un sacco di tempo. Non è particolarmente corto, né particolarmente scollato, ma mi cade bene nei punti giusti ed ha una bella linea. Sulle scarpe, invece, non ho assolutamente dubbi: un paio di Mary Jane in vernice colore naturale di Jimmy Choo, che ho comprato due mesi fa, in un attacco di shopping compulsivo e curativo, in una outlet poco fuori Roma. Finalmente vestita, mi guardo al grande specchio dell’armadio: sto bene, proprio niente da dire. Guardo la sveglia sul comodino e mi accorgo che tra meno di dieci minuti Alan sarà qui. Da un ripiano, prendo la bottiglietta Parisienne di Yves Saint Laurent e me ne spruzzo un po’ tra il collo e le spalle, poi sui polsi e giusto una goccia tra i seni. Quindi, da una piccola scatolina di legno tiro fuori una catenina d’oro bianco con uno smeraldino a ciondolo, 42
  • 44. Quattro i piccoli orecchini in pendant e una veretta sottile anch’essa d’oro bianco (odio l’oro giallo!). Do un’ultima occhiata al risultato finale proprio mentre mi squilla al telefonino. Tiro fuori dall’armadio un soprabito leggero di Prada color glicine, prendo la borsa (una baguette di Fendi in tinta) e le chiavi di casa e scendo. La Smart bianca è parcheggiata in doppia fila. Alan non si accorge di me fino a quando non apro lo sportello. «Eccoci». «Ciao. Mamma mia, lasciati guardare un attimo» mi dice tirandosi un po’ indietro con la schiena sul sedile. «Sei… Sei bellissima! Una Valentina di Crepax, ma più raffinata». «Ma dai, non dire scemenze!». «No, davvero, sei…». «Beh, se proprio sono così bella come dici, mi sembra strano che tu abbia così voglia di tessere le mie lodi, ma non di darmi un bacio, non trovi?». «Io? Sì, certo che io…». 43
  • 45. GiveMeAChance Editoria Online «E allora dammi questo bacio, no?» ma che cosa mi sta prendendo? Mai comportata così. Neanche fossi una quindicenne! Alan mi dà un bacio lungo e delicato, accarezzandomi i capelli. «Sei proprio bella, Giovanna. Tanto». «Grazie. È proprio un piacere sentirtelo dire». «Ti va sempre quel programma di ieri? Se hai pensato ad altro mentre ti preparavi, possiamo anche cambiare». «No, va bene così. Mi piace molto quella zona ed è tanto tempo che non ci vado». Il posto in cui andiamo a fare l’aperitivo è un lounge bar con poche sedie fuori, proprio di fronte al Colosseo. Parliamo a ruota libera per un’oretta o giù di lì, guardandoci spesso negli occhi durante i lunghi istanti di silenzio. Poi ci trasferiamo a cena da questo famoso amico di Alan in un ristorante che esteticamente non avrà grandi pretese, ma nel quale si servono piatti di pesce davvero eccellenti. Continuiamo a parlare e a scherzare e finiamo di mangiare poco dopo le undici, con una fantastica torta al limone per dessert che è un’esplosione di sapore. Abbiamo bevu44
  • 46. Quattro to una bottiglia di Gewurtztraminer in due che, sommata al paio di bicchieri che avevo preso per l’aperitivo, mi provoca un piacevole senso di rilassatezza. «Una passeggiata qua intorno o sei stanca?». «No, tranquillo. Magari se mi fai camminare troppo, poi ti chiedo di portarmi sulle spalle fino alla macchina». «Va bene, prometto che lo farò». Lo accarezzo, baciandolo civettuola su una guancia. Passa quasi un’altra ora prima di baciarci di nuovo. Non è solo una questione di timidezza: da come si comporta, da quello che dice e dal tono di voce che utilizza, aumenta sempre di più la sensazione che ad Alan io interessi davvero come persona, oltre che come donna. Certo, non è il caso di lasciarsi subito andare a certi voli pindarici, ma penso sia comunque un pensiero gradevole. Come non è affatto sgradevole il deciso risvegliarsi dei miei sensi, quando, forse al quindicesimo bacio in pochi minuti, lo sento tirarmi per la prima volta forte a sé e premere con più insistenza le sue labbra contro le mie e cercarmi la lingua con la sua. Ci fermiamo su una panchina a baciarci e ad accarezzarci come due ragazzini e non mi crea nessun 45
  • 47. GiveMeAChance Editoria Online problema di coscienza, dopo un po’, ammettere a me stessa che sono eccitata e che, per quanto contrario alla prassi femminile che vorrebbe casto il primo incontro con un uomo (beh, in un certo senso è considerabile il secondo…), ho voglia di andare a letto con lui. «Vuoi che ti porti a casa? Io…». «…». «Non so, magari stai pensando male di me e io non vorrei che… Io voglio rivederti, voglio…». «Tu mi vuoi?» gli dico piantando la mia faccia contro la sua. «Sì, certo che sì, ma…». «Allora non stare a preoccuparti più di tanto di come vanno le cose. È una serata bellissima e tu stai avendo delle maniere che mi vanno. E, in ogni caso, c’è anche il fatto che tu piaci a me e che anch’io ti voglio ». L’espressione che si dipinge sul suo volto quando ho finito di pronunciare queste ultime parole è un meraviglioso misto di stupore e sollievo. Che mi fa venire ancora più voglia di baciarlo. Che mi rende certa di voler assolutamente proseguire la serata. Dopo pochi minuti, senza bisogno di 46
  • 48. Quattro dover dire una parola, ci alziamo e, tenendoci abbracciati, ritorniamo verso la sua Smart. Il percorso dall’Aventino a casa mia, per quanto breve, riesce a rendere l’atmosfera assolutamente bollente. Visto che ormai entrambi sappiamo come andrà a finire, cominciamo a permetterci nel piccolo abitacolo delle licenze che ieri, ma anche qualche ora prima, sarebbero forse state impensabili. Sento la sua mano giocherellare con le mie ginocchia, risalendo delicata lungo la gamba e accarezzarmi il piccolo lembo di carne tra le autoreggenti e la culotte. Io, da parte mia, non riesco a fare a meno di infilargli una mano dentro la camicia e di accarezzare il petto e poi i capezzoli, per poi tirarla fuori e farla scendere giù, verso la pancia (che in realtà è quasi impercettibile). Quando l’indice e il medio della mia mano sinistra hanno sfiorato la punta della sua erezione e lo sento fremere -con lo stesso, identico rumore che avevo sentito nel sogno di pochi giorni prima!- mi fermo e risalgo verso il petto. Lui, nel frattempo, sembra aver preso ancora più coraggio e, tra un cambio di marcia e un altro, non ha più paura di toccarmi il seno, seppur con la consueta delicatezza. 47
  • 49. GiveMeAChance Editoria Online Insomma, va a finire che già nell’ascensore di casa, mentre siamo chiusi e filiamo rapidamente verso il quinto piano, cominciamo ad avvinghiarci e che, una volta superato il portone d’ingresso dell’appartamento, a nessuno dei due va di arrivare fino alla camera da letto per fare le cose “come si dovrebbero fare”. Giusto il tempo di accendere la luce e continuiamo. Lo sento dietro di me, che sbottona (con le dita delle mani più ferme di quel che immaginavo) i bottoncini sul retro del mio vestito, mentre mi bacia il collo. Quando sono rimasta soltanto con l’intimo e le autoreggenti, mi giro e lo aiuto a togliersi la camicia. Torniamo a baciarci sulle labbra e a toccarci ovunque e Alan mi stringe violentemente a sé tenendomi per i glutei. Ci stacchiamo e lui, con movimenti sempre più scattosi, riesce a slacciarsi la cinta e a tirar giù i pantaloni. In ginocchio e intento a liberarsi dei nodi delle scarpe, affonda la sua faccia contro la mia pancia, baciandola e leccandola, mentre, con la mano libera che gli rimane, comincia a tirarmi giù la culotte. È riuscito nella doppia operazione di 48
  • 50. Quattro rimanere nudo e togliere il pezzo inferiore del mio intimo nello stesso istante. Mentre faccio saltare la chiusura del reggiseno e rimango nuda anch’io, sento che mi sta baciando sempre più in basso, fino a quando la punta della sua lingua non va a titillare l’inizio della mia fessura. Lo afferro per i capelli e, senza ormai nessun freno, lo spingo ancora più in basso, allargando contemporaneamente le gambe. Rimane lì sotto per lunghi, meravigliosi istanti, durante i quali, nonostante la posizione scomoda, riesce a portarmi alla soglia dell’orgasmo. Dopo aver emesso un ultimo sospiro di piacere, lo tiro per la testa facendogli capire che voglio che torni su. Di nuovo uno di fronte l’altro, ci baciamo e lecchiamo con trasporto, mentre le nostre mani percorrono i rispettivi corpi senza mai stancarsi. Mi stacco un istante e, prendendolo per mano, lo conduco finalmente in camera da letto. Accendo la piccola abatjour sul comodino e tiro via le lenzuola. Sta per sedersi sul letto, quando lo blocco. Mi siedo io invece, proprio sotto di lui, e, accarezzandogli piano i glutei, comincio a baciarlo sulla pancia. Il suo sesso è completamente teso verso l’alto e quando lo prendo in mano posso sentire quanto sia 49
  • 51. GiveMeAChance Editoria Online caldo e duro. Lo bacio delicatamente un paio di volte, prima di farlo andare oltre le mie labbra, dentro la bocca. Lascia che sia io a scandire i ritmi, limitandosi ogni tanto a spingere un po’ fuori il bacino e ad accarezzarmi la testa. Mi stacco con un ultimo, leggero tocco di lingua, prima di sdraiarmi e aprire le gambe. Lui sale sopra di me con gli occhi persi di desiderio e non fa alcuna fatica a scivolarmi dentro. Uniamo i nostri corpi e, divorandoci di baci, aumentiamo il ritmo. Sento l’orgasmo che sta montando, ma proprio quando sto per venire, lui lo tira fuori e, con un urlo di piacere, schizza sulla mia pancia lunghi fiotti di sperma. «Scusami, Giovanna, non ho potuto resistere, ti pulisco subito». «No, scusami tu. Non ti ho detto che prendo la pillola e che potevi venirmi dentro. Mi sa che ho rovinato un fantastico orgasmo a tutti e due» e, così dicendo, glielo prendo in mano cercando di regalargli qualche ultimo istante di piacere. Dai sospiri che emette e dal calore che sento tra le mani, devo esserci riuscita. «Lasciati pulire, vieni qua» mi sussurra, mentre sfila un kleenex dal pacchetto del comodino. Ne utilizza quattro 50
  • 52. Quattro per asciugare ogni cosa. Poi, mentre mi aspetto che si stenda vicino a me per riposarsi, mi lancia un sorrisetto e sussurra. «Ora vedo di farmi perdonare, eh». La sua lingua scivola di nuovo dentro di me, mentre con le mani mi accarezza il seno, la pancia e le gambe, che mi fa allargare più che posso. Ha una capacità di arrivare ai punti più delicati e piacevoli davvero straordinaria e, aiutandosi con le dita, in pochi minuti riesce a portarmi ad un orgasmo mai provato con del sesso orale. Mentre sono ancora scossa dai brividi, sento la sua testa poggiarsi delicatamente sul mio seno sinistro e le sue braccia che mi cingono. Rimaniamo così per un tempo indefinito, quasi senza muoverci. Senza parlare. Solo punte di dita che attraversano delicatamente i rispettivi corpi. «Ci sei?» sussurro accarezzandogli i capelli. «Sì, è solo che voglio stare così per… Diciamo i prossimi quattro giorni?». «Mi sa che non si può, no. Però, se vuoi, potresti rimanere a dormire qui, stanotte». 51
  • 53. GiveMeAChance Editoria Online Si tira su a sedere e, dopo qualche secondo passato a fissarmi, mi dice: «Sei sicura che vuoi che io rimanga?». «Sì, sono sicura». «Sicura che… Non so se…». «E tu? Tu sei sicuro di voler rimanere? Non è che forse hai già avuto quello che volevi e vorresti andare?». «Ma perché dici così? Perché devi pensare una cosa del genere? Io…». «Okay, era una domanda, non prendertela». «Perché non dovrei prendermela? Non capisco, Giovanna: ci sono dei momenti in cui mi fai pensare che… Te l’ho detto, tu mi piaci. Tantissimo. E…». «E appunto: non ci sarebbe niente di male ad andarsene ora. Tutti e due abbiamo avuto quello che volevamo, in fondo. Non devi pensare che a noi donne, perfino a noi donne “mature”, certe cose non vadano bene. Non ci sarebbe…». «Donne “mature”?! Senti, mi pare che fra di noi chi sta guardando la carta d’identità dell’altro sei tu. Dovresti smetterla di pensare al fatto che hai qualche anno più di 52
  • 54. Quattro me. E dovresti essere un po’ più fiduciosa nei confronti di quello che ti dicono gli altri. Capisco che…» s’interrompe. «Cosa capisci?». «Beh, capisco che dopo tuo marito… Insomma, non sia facile e…». Stavolta sono io a tirarmi a sedere. Mi scosto qualche decina di centimetri da lui e, dopo averlo fissato, con uno sguardo severo e concentrato, gli dico: «Alan, cerchiamo di capirci: mio marito non c’entra niente. Io un marito non ce l’ho più, non esiste più, se non come padre di mia figlia. Io sono una donna libera e se ho voglia di frequentare qualcuno, di portarmelo a letto, non devo necessariamente fare chissà quali ragionamenti. Quindi…». «E quindi è necessario che tu mi aggredisca?» interrompendomi. «È necessario che tu mi faccia notare tutte queste cose per… Per che cosa, Giovanna? Te l’ho detto, te lo ripeto: mi piaci, tantissimo. Perché dovrei…». «Io non vorrei che tu…». «…». «…». 53
  • 55. GiveMeAChance Editoria Online Abbasso un po’ la testa. Non so cosa mi ha preso, né perché mi abbia preso. Fino a qualche minuto prima, toccavo il cielo con un dito. Ora, invece, mi sento aggressiva, forse anche arrabbiata. E so perfettamente che non c’è alcun motivo, che Alan vuol restare e che io voglio che resti. Mi viene da piangere, ma so che devo trattenermi. Seppur con un certo timore e con un movimento lentissimo, lo vedo allungare una mano verso il mio viso e cominciare ad accarezzarmi piano la guancia. Ha negli occhi l’espressione angosciata di chi sa di esser stato frainteso ma non ne conosce il motivo. Abbasso di nuovo gli occhi perché non so come guardarlo. Non so cosa devo fare. Soprattutto non so come la devo fare. Dopo interminabili secondi, lo sento avvicinarsi e tirarmi piano verso di lui. C’è una parte di me che si sente talmente in colpa, da farmi provare l’insano desiderio di respingerlo. Per fortuna riesco a dominarmi e a superare gli istanti di gelo che mi bloccano. Piano piano vado a finire tra le sue braccia, rannicchiandomi, un piccolo movimento la volta, contro di lui, fino a quando i nostri corpi sono completamente attaccati. 54
  • 56. Quattro «Scusami, non so che cosa mi è preso. È tutto così bello, tu sei così bello. Io… Io non sono più abituata a certe cose, pensavo che non mi sarebbero più successe e… E ho avuto paura». «…». «Ripeto: non ci sarebbe niente di male anche se fosse solo un’avventura di questa notte. È stato tutto fantastico e lo sarebbe anche se…». Mi stringe violentemente all’improvviso. «Ti prego, smettila! Non dire più niente, non diciamo più niente. Rimani qui dove sei ora e… Giovanna, io…». «…». Ci stringiamo ancora più forte e, senza più parlare, lentamente, scivoliamo di nuovo distesi. Chiudo gli occhi e comincio a baciarlo. Baci piccoli e pieni di sospiri, prima. Poi più intensi, lunghi. Le sue mani mi accarezzano un fianco e i capelli senza fermarsi mai. Lo accarezzo anch’io, sfiorandogli la schiena e il gluteo sinistro con le unghie. Quando lo tiro più vicino e sento la sua erezione fare pressione contro la mia pancia, apro gli occhi e, dopo, averlo baciato un’ultima volta, me lo tiro sopra. Non c’è bi55
  • 57. GiveMeAChance Editoria Online sogno di dire nulla per averlo di nuovo dentro di me. Comincia a penetrarmi piano, cercando un ritmo e, soprattutto, di non essere brusco. Con un paio di spinte del bacino, gli faccio capire che può aumentare profondità e velocità. Allaccio le gambe dietro la sua schiena, mentre cerca di distendersi sopra di me e, sospirando, mi bacia nell’incavo della scapola. Andiamo avanti così per un po’, fino a quando si ferma, esce e si sdraia alla mia sinistra. Sporgo il sedere verso il suo bacino. Lui mi solleva un po’ la gamba e, venendo un po’ più sotto con il corpo, trova una nuova angolazione. Ora, non ha più paura di spingere e sento il suo ventre battere contro le mie natiche. Tira fuori l’uccello e mi fa capire che vuole che io mi volti. Lo faccio e un istante dopo sento che mi sta baciando all’interno delle gambe. Dopo avermi leccata, mi stringe per i fianchi e torna a prendermi. Sospiriamo entrambi più forte. Favorisco i suoi movimenti spingendo dietro e, ogni volta che torno in avanti, il piacere è sempre più intenso. Si ferma ancora una volta e, dopo avermi baciato la schiena, si sdraia. Salgo sopra di lui e comincio a 56
  • 58. Quattro cavalcarlo. Mi accorgo che sto urlando quando sento il bassoventre prendere letteralmente fuoco nell’impeto dell’orgasmo. Spingiamo tutti e due più forte una, due, dieci volte. Il grido strozzato di entrambi dura diversi secondi. Lo tengo dentro di me fino a quando non sento che il suo sesso non ha cominciato a perdere consistenza. Poi, gli crollo addosso con il respiro che mi scuote il petto. «Rimani qui. Rimani qui, così» mi sussurra all’orecchio. «Sì, rimango qui, non mi muovo» baciandogli una spalla. Poi, lentamente, riusciamo a staccarci. Se il mio viso è come il suo, ci deve esser scolpita sopra una delle espressioni più belle che io abbia mai avuto. Torniamo ad accarezzarci e a baciarci. Poi, prima io e poi lui, andiamo in bagno a pulirci. Quando siamo di nuovo al letto, Alan mi chiede se può restare. Vuole dormire abbracciato a me e, soprattutto, dice, vuole svegliarsi domani mattina con il mio corpo tra le braccia. «Certo che puoi» accarezzandolo. C’è ancora qualche minuto per le ultime coccole, prima che la luce dell’abat-jour si spenga e io, rannicchiandomi di schiena nel suo abbraccio, cominci a dormire. 57
  • 59. CINQUE Il fatto che Alberto riporterà Giada soltanto a tarda serata, mi fa svegliare molto rilassata. Io e Alan facciamo di nuovo l’amore. Al buio, ancora mezzi addormentati. Sento le sue mani percorrermi la schiena e le sue labbra posarsi sul collo prima di tornarmi dentro. È un risveglio bellissimo, con piccole striscioline di sole che si insinuano nei buchini delle tapparelle e l’odore dei nostri corpi che sale da sotto le lenzuola leggere. Anche stavolta è un orgasmo lunghissimo che ci fa gridare. «Dio, mi ero dimenticato di quanto fosse bello svegliarsi così!». «Era da molto che non andavi a letto con una donna?». «Sì, ad essere sinceri. Da quando mi sono lasciato con la mia ex, otto mesi fa. E tu?». «Qualcosa di più, quasi un anno». «Spero di essermela cavata». 58
  • 60. Cinque «Hai bisogno che ti dica che sei stato bravo?». «No, io…». «Comunque sì» baciandolo sulla punta del naso. «Sei stato bravo. Soprattutto delicato, naturalmente delicato. È una cosa che apprezzo molto». «…». «Se non hai fretta di andare da qualche parte, magari più tardi potresti ulteriormente migliorare la mia impressione» sto giocando a fare la lasciva, sì. «Te l’ho detto: vorrei rimanere almeno quattro giorni di fila qui con te» «Bene, allora… Forse però è il caso di alimentarsi un po’, che ne dici? Ti va di fare colazione?». «Ehm, sì sì, ho una certa fame». «Spero tu non sia di quelli che mangiano salato appena svegli, perché in cucina, a parte caffè, arance, brioches e affini, non ho molte cose». «No, tranquilla. Di solito prendo un cappuccino, un paio di plumcake e una spremuta». «Okay, vado a preparare, allora». 59
  • 61. GiveMeAChance Editoria Online Mentre sono in cucina a trafficare con la moka, il bollitore del latte e i barattolini dello zucchero e del caffè, penso a quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho preparato la colazione con una disposizione di spirito di questo tipo. Addirittura mi viene da fischiettare qualche canzone (Beatles per lo più)! Torno in camera da letto con un vassoio della Coca Cola sul quale ho sistemato tutte le varie cose. Lo appoggio su un comodino e bacio la schiena di Alan che sta sonnecchiando. «Te lo hanno mai detto che a prima mattina e senza trucco sei bella come ad ora di pranzo il lunedì?». «Galantuomo da strapazzo!» tirandogli un buffetto sul naso. «No, ti giuro. Appena ti ho visto mi è già ritornata voglia…». «Facciamo colazione, invece. Poi dopo vediamo». «Sì, sir. Certo, sir». «Sir?». «Mai visto Arancia Meccanica di Kubrick?». 60
  • 62. Cinque «Ah, simpatico!» dandogli un altro buffetto. «Non mi pare che qualche minuto fa ti sembrassi proprio un sir!». «Neanche adesso, se è per questo». Tira giù il lenzuolo e vedo che qualcosa nei suoi boxer ha ripreso a muoversi. Lo accarezzo tra le gambe fino a quando la stoffa non torna a tendersi quasi completamente, mentre sento la sua mano accarezzarmi il sedere e la parte interna della coscia. Avrei voglia di ricominciare subito, ma penso sia meglio fermarsi, buttar giù un caffè e mangiare qualcosina. E poi, ho voglia di essere abbracciata, coccolata e riempita di baci. Inutile far finta che non sia così. Alan non sembra affatto deluso. Mi aiuta a sistemare il vassoio al centro del letto e facciamo colazione, guardandoci negli occhi e parlando il meno possibile. Dopo aver bevuto l’ultimo sorso di aranciata e fumato una sigaretta (erano almeno dieci anni che non fumavo una sigaretta mattutina nel letto!), ho voglia di fare l’amore. Ma, chissà per quale motivo, non ho voglia di farlo in camera, sul letto. Mi libero dalle sue braccia e mi alzo. Lui non dice una parola, ma qualcosa mi fa pensare che abbia capito che ho voglia di giocare. Quando si tira su e cerca di 61
  • 63. GiveMeAChance Editoria Online prendermi, faccio un paio di passi indietro e mi tiro fuori dalla sua portata. «No no, troppo facile un’altra volta così. Facciamo una cosa: io ora mi vado a nascondere. Tu conti fino a cento, poi ti alzi e mi vieni a cercare. Questo appartamento è di circa centoventi metri quadrati, perciò penso che ce la farai a trovarmi. Altrimenti, vuol dire che non mi avrai saputa cercare, o non mi avrai voluta trovare. Che ne dici?». «Che sono già al tre. Quattro, cinque, sei…». «Devo sbrigarmi!». Esco dalla stanza senza avere la minima idea di cosa stia facendo, ma felice come una ragazzina. Chi l’avrebbe detto che un giorno avrei fatto anche io di questi giochetti? Non ho granché addosso: una camicia da notte e la coulotte. Difficile pensare di organizzare una “caccia al tesoro” come avevo immaginato. Però… Mi potrei sempre nascondere da qualche parte: sotto il tavolo della cucina, nel ripostiglio, nell’armadio a muro vicino all’ingresso. Oppure, visto che c’è un’intercapedine tra la doccia e la finestra del bagno. Uhm… Mentre sto pensando dove andare, sento che Alan è arrivato già a trentasei e conta sempre più ve62
  • 64. Cinque locemente. Scorretto! Mi sfilo la camicia da notte e la lascio sul bracciolo di una poltrona in sala, dopodiché, a passo svelto, corro verso la cucina, che si trova nella zona opposta della casa, e appendo la culotte sulla maniglia della porta finestra. Quindi, ridendo sottovoce, vado a rintanarmi nel bagno (socchiudo la porta). Passa qualche istante e sento i suoi passi scricchiolare sul parquet del corridoio. Apre subito la porta del bagno e fa per entrare, ma poi deve forse pensare che come nascondiglio potrebbe essere troppo banale (che fortuna, aver letto Sherlock Holmes!) e ritorna indietro. Sento di nuovo le listelle di legno scricchiolare. Dopo un po’ tendo l’orecchio senza uscire dal mio nascondiglio. Dal silenzio, immagino sia arrivato in sala o in cucina. «Questa camicia da notte profuma di te. Sappi che sto per trovarti». Rido cercando di non emettere suoni, mentre di nuovo i suoi passi risuonano lungo il corridoio. Mezzo minuto scarso e, anche senza vederlo e sentirlo, immagino che abbia trovato la culotte in cucina. Inutile dirlo: per quanto stupido, questo giochino mi sta eccitando e non posso fare a meno di chiedermi se per lui sia la stessa co63
  • 65. GiveMeAChance Editoria Online sa. Ho la risposta pochi secondi dopo, quando lo vedo materializzarsi all’improvviso di fronte a me. Ha gli occhi lucidi ed è completamente nudo. «Uhm, sei stato bravo, devo dire». Faccio la mossa di coprirmi il seno e tra le gambe in uno slancio di finta pudicizia. Lui accenna una risata e mi tende le mani. Vado a finire fra le sue braccia e cominciamo a baciarci. Mi spinge verso la lavatrice e penso che voglia sdraiarmici sopra (anche con Alberto l’avevamo fatto così, qualche volta). Invece, dopo avermi fatto appoggiare il sedere, mi tira di nuovo a sé e comincia a portarmi a spasso da tutte le parti, toccandomi, baciandomi e leccandomi. Ogni tappa vicino a uno dei sanitari accresce la mia eccitazione, ma ora ha voglia di giocare anche lui e se provo a prendergli il sesso in mano o girarmi per farmi penetrare, lui mi immobilizza. Questa specie di danza dura interminabili minuti. Comincio a graffiarlo dietro la schiena e a mozzicargli i lobi delle orecchie, ma lui resiste e continua a farmi girare da una parte a un’altra. Poi, si stacca da me e va ad azionare la doccia. Chiude la gabbia di vetro e si gira a guardarmi. 64
  • 66. Cinque «Sotto l’acqua?» gli chiedo con una voce che ormai non riconosco più. «Sotto l’acqua». Quando si comincia a vedere un po’ di vapore salire verso l’alto, entriamo dentro. Alan mi stringe a sé e ci piazziamo sotto il getto, baciandoci e toccandoci. Poi lui prende uno dei miei bagnoschiuma e, dopo essersene versato un po’ sulle mani, comincia a insaponarmi. Tra il calore dell’acqua e il tocco della sua mano, rischio di farmi venire un calo di pressione ma il piacere è troppo forte e lo lascio fare. Indugia un sacco di tempo sui capezzoli e tra le gambe, poi si inginocchia e mi insapona le cosce, i polpacci e piedi. Accarezzandomi dietro la schiena, sul sedere e tra le gambe, torna a leccarmi il sesso. L’orgasmo arriva dopo pochi secondi, irresistibile. Mi sottraggo dal getto, lasciando che lui ci si immerga. Ride, come un ragazzino che ha fatto una bravata particolarmente ben riuscita. Aspetto che il calore e l’eccitazione passino e, con uno sguardo di fuoco, prendo il flacone di bagno schiuma. Comincio a insaponarlo direttamente tra le gambe, mentre lo bacio sul petto e con una mano gli accarezzo il sedere. 65
  • 67. GiveMeAChance Editoria Online Mi tira a sé ansimando e, dopo avermi girato, me lo mette dentro. Fa in modo che il getto della doccia, che è piuttosto corposo, colpisca esattamente la zona di congiunzione dei nostri corpi, aumentando a dismisura il piacere. È pazzesco, bellissimo. Lo sento spingere e ansimare sempre più forte. «Trattieniti, ti prego, sto arrivando anch’io» gli sussurro. Qualche istante e riusciamo a venire un’altra volta insieme. Rimaniamo abbracciati in un groviglio caldo e inestricabile. Poi ci stacchiamo e torniamo ad insaponarci. Usciamo dalla doccia, ci asciughiamo e ci scambiamo qualche altro bacio di fronte allo specchio del lavandino. Torniamo in camera da letto, completamente nudi, e ci buttiamo sul letto. «Che ne dici se facciamo un piccolo riposino, Giovanna?». «Pressione a zero, eh. In effetti, anch’io penso che un piccolo riposino non ci farebbe male. Magari quando ci svegliamo, se ti va, scendiamo a mangiare qualcosa giù. O preferisci che cucini qualcosa io?». «No, scendiamo pure. Tanto giusto qualcosina…». 66
  • 68. Cinque «Beh, non so tu, ma io ho già fame ora e, se hai deciso di passare il pomeriggio con me, ti consiglio di recuperare un po’ di energia. Sai, a una certa ora possono prendermi delle voglie e non vorrei…». «Non preoccuparti, penso proprio che ce la faremo». «Intanto» accarezzandolo tra le gambe. «Mi sa che è meglio se ora tu e il tuo “socio” vi riposiate un po’». «Okay». Sarà forse a causa della doppia “seduta” mattutina o forse per il calore sotto la doccia, ma, il tempo di poggiare la testa su una spalla di Alan, e mi addormento. Come temevo, ci svegliamo circa quattro ore dopo. Sono quasi le tre e ho, abbiamo, una fame da lupi. Il tempo di vestirci e di salire in macchina (non mi va di farmi vedere subito con Alan dai negozianti del vicinato) e schizziamo nel traffico blando del fine settimana pensando dove e cosa mangiare. Mi viene in mente un ristorante sull’Appia, uscendo da Roma, dove fanno degli ottimi primi casarecci. Glielo propongo e andiamo. Proprio come ricordavo: porzioni pantagrueliche, assolutamente bastevoli anche per i nostri appetiti. Durante il pasto, ma anche in macchina, 67
  • 69. GiveMeAChance Editoria Online non parliamo moltissimo. E devo dire che la cosa non mi dispiace affatto: non voglio giocare a fare la fidanzatina. Quest’uomo, questo ragazzo, mi piace ma non voglio perdere il lume della ragione, rendermi vulnerabile. In fondo, come gli ho detto ieri, non ci sarebbe niente di male se tutto si esaurisse in questo fine settimana. Chiaro che non lo penso, che mi piacerebbe poterlo continuare a frequentare, ma so anche che devo prestare la massima attenzione, fare un passo la volta. Lo vedo comunque tranquillo, rilassato. Non mi dà l’idea di un “cacciatore” professionista, ma neanche dell’imbranato che mi era sembrato all’inizio. Il sesso sembra averlo piacevolmente sciolto e si comporta in modo del tutto naturale. «Posso proporti una passeggiata in un bel posto qua vicino?» mi fa appena rimontiamo sulla mia Yaris. «Sì, basta che non facciamo troppo tardi. Verso le sei e mezza vorrei essere a casa a dare una sistemata prima che torni mia figlia». «Tranquilla, ce la faremo». Poco prima di arrivare a Marino, Alan comincia ad imboccare una serie di strade e stradine e non capisco più dove 68
  • 70. Cinque stiamo andando. Alla fine, arriviamo nei pressi di una piccola collina, dove si gode di uno splendido panorama e dove l’aria non puzza assolutamente più di smog. «Mi ci ha portato per la prima volta un mio amico. Lui ci viene spesso a disintossicarsi da Roma, quando ha voglia di fare due passi e di portare un po’ a spasso il suo cane». «A me sembra più un posto per coppiette. Chissà la sera che via vai ci deve essere da queste parti…». «Non saprei. Io, al massimo, mi sono fatto un paio di tiri di canna quando ho accompagnato il mio amico. Ma, in effetti, ora che mi ci fai pensare…» e mi accarezza una gamba. «Fai il bravino, Alan, dai. Ricordati che siamo venuti qui a fare una passeggiata». «Oh sì, dicevo tanto per…». E invece, dopo aver passeggiato un po’ qua e là ed esserci accertati che non c’è praticamente nessuno in giro a parte noi, ci sistemiamo con la macchina in una zona particolarmente riparata dagli alberi e, proprio come due ragazzini, lo facciamo sul sedile posteriore. Mentre il mio corpo sale e scende lungo il suo sesso, non posso fare a 69
  • 71. GiveMeAChance Editoria Online meno di accorgermi che, a parte la luce tardo pomeridiana e la mancanza di un vetro divisorio, tutto sembra essere uguale alla prima volta in cui ho sognato di farlo con lui. L’unica differenza, forse, è che contrariamente a quanto avveniva nel sogno, siamo un po’ più vestiti (anche se io ho solo una camicetta senza reggiseno sotto e lui è rimasto con i pantaloni abbassati). Anzi, a pensarci bene, un’altra differenza c’è: questo incontro sembra durare molto di più e, quando arriviamo alla conclusione, siamo completamente sudati. Ci ricomponiamo in fretta (giusto in tempo: una macchina con una coppia di ragazzi sta imboccando il piccolo sentiero per il quale siamo passati anche noi) e, dopo aver percorso strade e stradine a ritroso, siamo di nuovo sull’Appia. Alle sette meno un quarto, lascio Alan vicino alla sua macchina. Non c’è bisogno di chissà quali smancerie. Sono stati due giorni che hanno detto e dato talmente tanto che troppe effusioni (tra l’altro inadatte, al momento, sotto casa) risulterebbero irrilevanti. 70
  • 72. Cinque Bastano due bei baci sulle labbra e un abbraccio di qualche secondo a suggellare tutto. 71
  • 73. SEI I giorni che seguono sembrano imprigionati in una bolla di sapone post adolescenziale. Con Alan ci vediamo di continuo, rubando tutto il tempo possibile ai rispettivi impegni (va da sé che i miei siano assolutamente più pressanti dei suoi) e facendo cose folli. Come la sera prima della festa di Giorgia, quando lui passa verso mezzanotte sotto casa. Giada dorme già da un pezzo (il padre domani la porta in un nuovo parco giochi e vuol stare con lei anche buona parte del giorno successivo. Il secondo weekend libero consecutivo!), quindi non ho nessun problema a chiudermi il portone di casa dietro le spalle e a scendere all’ingresso. Dopo esserci baciati per un’infinità di minuti e aver evitato per ben due volte di essere sorpresi da qualche mio vicino sceso con l’ascensore, alla fine, consumati dall’eccitazione, decidiamo di scendere in cantina. E lo facciamo lì, al buio e in piedi, cercando di contenere il vo72
  • 74. Sei lume dei nostri sospiri casomai a qualcuno venisse l’idea di passare da quelle parti proprio in quel momento. Nell’impeto del piacere, l’ho morso poco dietro il collo e, quando risaliamo in superficie e alla luce, sempre di soppiatto, sempre come due ladri, mi accorgo del segno rosso che si vede vicino al colletto della camicia. Cerco di scusarmi sulla soglia dell’ascensore, ma Alan, che ormai sembra aver perso qualsiasi freno e pudicizia, mi spinge all’interno della cabina e preme il bottone per l’ottavo piano. Lo guardo un po’ stupita e un po’ divertita prima di ritrovarmelo addosso. Sento le sue mani e la sua bocca cercarmi ovunque e, nonostante cerchi di allontanarlo e di fargli capire che assolutamente non si può, non riesco a scrollarmelo di dosso. Va a finire che ce la facciamo a malapena ad arrivare nuovamente in cantina, dove, nonostante le mie proteste, Alan mi fa accendere la luce. Lo trovo con i pantaloni già abbassati alle caviglie e in erezione completa. «Tu sei matto!» gli dico, mentre con la mano destra comincio a masturbarlo. Il suo sesso è caldissimo e, dallo sguardo stravolto che ha, credo che non riuscirà a conte73
  • 75. GiveMeAChance Editoria Online nersi per molti secondi ancora. Deve pensarlo anche lui, perché mi blocca e, sempre tenendomi per il polso, mi volta, spingendomi verso una savonarola incellophanata sulla nostra sinistra. «Aspetta, è piena di polvere!» cerco di protestare mentre mi fa piegare. Mi tira la gonna su e, senza neanche togliermi il perizoma, me lo infila dentro. Per quanto la preparazione dell’atto sia stata brutale, è bellissimo sentirlo aderire con tutto il suo peso contro la mia schiena e tirarmi forte a sé. Sento il suo respiro arrochito sul collo, mentre cerco di spingere dietro per farmi penetrare fino in fondo. Viene qualche istante prima di me, con una specie di grugnito che non gli avevo mai sentito, e continua a prendermi fino a quando non sente che anche io ho avuto il mio piacere. Proprio nell’istante in cui tutto finisce, la savonarola, evidentemente stremata dall’aver dovuto sopportare il nostro peso, cede con un crack facendoci cadere per terra. È una fortuna che riesco in qualche modo a finire con la faccia sul pavimento! Dopo qualche secondo, accertatici del fatto di essere ancora tutti interi, scoppiamo a ridere. 74
  • 76. Sei «Pensi di poterlo togliere da lì, ora?». «Pensavo di lasciarcelo dentro tutta la notte, invece». «Dai, esci, rivestiamoci. Va bene fare qualche follia, ma oggi abbiamo esagerato alla grande, non trovi?». «In effetti…». Si tira su e mi aiuta ad alzarmi. Ci puliamo alla meno peggio. «Scusami se sono stato troppo irruento, Giovanna. È che… Non so, non ne ho mai abbastanza, ti voglio ventiquattro ore al giorno! E poi oggi, con quella specie di minigonna che ti sei messa! Stavo per impazzire, ti giuro. A un certo punto volevo venire nel tuo ufficio, cacciar fuori la Michelis e chiudermi dentro con te per… Boh, fino alle otto!». «Non pensavo che le mie gonne potessero farti questo effetto. Domani vedrò di essere un po’ più casta, allora. Altrimenti rischiamo di farci metter dentro per atti osceni e poi, magari, ci buttano anche fuori dall’azienda». «Davvero, scusa. Non vorrei essere così irruento». «Dai, lascia stare adesso! E poi, nonostante abbia protestato, questa sera è piaciuto anche a me. Da impazzire, 75
  • 77. GiveMeAChance Editoria Online se proprio lo vuoi sapere» baciandolo forte sulle labbra. «Ora, però, basta, fammi tornare sopra. Diamoci una pulita al volo e a nanna». «Sì, okay». Quando siamo di nuovo al piano terra, gli do un ultimo bacio veloce prima di riprendere l’ascensore e tornare a casa. Giorgia vive con un’amica dalle parti di Cinecittà. La casa non è molto grande ma ha un terrazzo gigantesco rispetto alle normali misure delle case romane. È li che ci ritroviamo, due dozzine di persone, verso le sette di sera. La festeggiata, confortata dal clima mite di questi giorni, ha deciso di organizzare un aperitivo all’aperto. Un’ottima idea, secondo me. Sicuramente meglio che andarsi a cacciare in qualche locale con il rischio di rimanere delusi dallo spazio offerto o dal servizio scadente. I ragazzi e le ragazze del compleanno di Alan mi pare ci siano tutti. Mi fermo a scambiare quattro chiacchiere con un paio di loro. Poi, finalmente, riesco a intercettare Giorgia in un 76
  • 78. Sei momento in cui non è occupata con qualcuno dei presenti. Mi avvicino sorridendo. «Giovanna, ciao! Sono proprio contenta che sei venuta» baciandomi sulle guance. «Ciao, Giorgia. Anche io sono molto contenta. Tieni» porgendole un pacchettino. «Un pensierino per il tuo compleanno». «Dai, Giovanna! Non dovevi». «Perché no? Sei stata molto carina con me, mi hai anche invitato alla tua festa». «Grazie» baciandomi di nuovo. «Sono sicura che Alan ha fatto un’ottima scelta e…». Si blocca, evidentemente ha pensato di essersi spinta un po’ troppo in là con parole e supposizioni. D’altronde, ci conosciamo a malapena. Cerco di scioglierla dal suo imbarazzo. «Dai, non preoccuparti, Giorgia. Sì, stiamo uscendo con Alan, ma… Sai, ci stiamo ancora conoscendo». «Sì, scusami se sono stata indelicata. È che sei proprio un bel tipo, mi hai fatto un’ottima impressione e… Beh, mi farebbe piacere frequentarti». 77
  • 79. GiveMeAChance Editoria Online «Certo, magari un giorno di questi usciamo a prenderci un caffè, un aperitivo». «Con vero piacere». Scarta il pacchetto e trova la confezione di prodotti per la pelle Farfalla che le ho preso. «Ma sei matta! I prodotti per la pelle Farfalla sono i più buoni del mondo! È davvero un regalone, grazie». «No, un pensierino, tranquilla. Spero ti piaccia il patchouli, altrimenti lo possiamo cambiare». «Scherzi? Lo adoro. Grazie, davvero». Arriva una ragazza che deve essere una cara amica di Giorgia. Si abbracciano come se non si vedessero da anni e, pur senza cattiveria, mi ritrovo estromessa. Mi guardo intorno e vedo Alan in un angolo della terrazza che sta parlando con un ragazzo e una ragazza. Non erano tra quelli che ho visto alla sua festa. Lui è un tipino dallo stile un po’ selvaggio. Capelli lunghi, abiti finto-stazzonati e Clarks. Lei, invece, è davvero molto carina. Un po’ più bassa di me, indossa un abito nero lungo che la fascia perfettamente. Non sarà roba da boutique, ma le calza a pennello, soprattutto intorno alla vita, che è sottile e dà 78
  • 80. Sei una grande armonia all’intera figura. Ha i capelli lunghi, nerissimi. I tratti del viso, per quanto piuttosto netti (è molto magra), sono davvero eleganti. E poi ha degli occhi… Mentre mi avvicino, riesco a osservarli bene: il taglio è lungo, orientale, e il colore di una sfumatura verde pazzesca, resa ancora più bella dal riflesso delle ultime luci del pomeriggio. Tocco lievemente la spalla di Alan, che sobbalza. «Dio, Giovanna scusa!» diventando un po’ rosso. «Sei sempre super agitato, eh, Alan!» ha una voce roca, la signorina, sembra quasi artefatta. Mi lancia uno sguardo che vorrebbe essere complice, ma è tradito da un’espressione piuttosto altera che lo fa risultare fastidioso. Alan, dopo essersi ripreso dall’imbarazzo, fa le presentazioni. «Martin, questa è Giovanna». «Piacere». «Piacere». «E lei è Amirin». «Piacere». «Piacere mio, Giovanna». 79
  • 81. GiveMeAChance Editoria Online Non so perché -non sono quel genere di donna- ma mi dà un senso di fastidio difficilmente contenibile sentirla pronunciare il mio nome. Rimango dunque in silenzio per il resto della conversazione, cercando di mantenere una facciata contegnosa. Ho, tra l’altro, l’impressione che Alan stia percependo il mio disagio perché il suo modo di parlare, solitamente fluido e brioso, sembra essere quello di un’altra persona. Addirittura in un paio di circostanze lo sento balbettare. Per fortuna che Giorgia chiama Martin e Amirin. Io e Alan rimaniamo da soli. «Ehi, tutto bene?». «Chi, io? Sì, perché?». «Non so, mi sembri un po’ legato oggi. Ho come l’impressione che qualcosa ti stia turbando». «A me? No, assolutamente. Che cosa…». «Hai visto per caso qualcuno che non volevi vedere?». «No, ma perché… Giovanna, va tutto bene, cosa ti prende?». «No, niente. È che mentre parlavi, prima, ho avuto come l’impressione che fossi un po’ turbato, in imbarazzo con 80
  • 82. Sei Martin e… Come si chiama?» faccio finta di non ricordare il nome. «Amirin». «Amirin, sì. Bella ragazza, Amirin, vero?». «Giovanna, ma che…» diventa un po’ rosso. «E cosa ho detto di male? Mi sembra sia una bella ragazza. Una considerazione come un’altra». «Sì, è che il tuo tono…». «Il mio tono non ha nulla di particolare, Alan. Non devi mica vergognarti di dire che una ragazza è una bella ragazza solo perché ci sono io qui. Ho quarantuno anni, mica quindici». «Sì, che c’entra. È come…» si blocca. E da come abbassa la testa, cercando invano di ritrovare un abbrivio decente di discorso, capisco: tra lui e Amirin ci deve essere stato qualcosa. Credo riesca a percepire il flusso dei miei pensieri, perché riprende bruscamente a parlare. «Va bene, sì. Io e Amirin siamo stati insieme qualche mese, sei anni fa». 81
  • 83. GiveMeAChance Editoria Online «Non c’è bisogno che ti arrabbi nel dirmelo, eh. Non ci trovo niente di grave, sai. Te l’ho detto: è una bella ragazza». «Non lo so, lo stai dicendo come se… Come se io…». «Oh, Alan adesso ti stai facendo un film tutto tuo, però. Io non ho detto proprio niente. Non capisco perché ti stia sentendo attaccato». «…». «Per come la vedo io, sei anni fa potevi stare con chi volevi. E anche adesso, non è che tu debba sentirti preso al laccio». «Vedi? Lo vedi che andiamo a finire sempre lì?!». «Ma lì dove? Ma si può sapere che cosa stai dicendo?» alzando impercettibilmente la voce. «…». «Non capisco perché e per che cosa tu te la stia prendendo». «…». «…». «Giovanna, io… Mi devi scusare, per un attimo ho pensato… Io per un attimo ho pensato che non ti avrebbe fatto piacere sapere che qui…». 82
  • 84. Sei «Avrei trovato qualcuna con la quale eri andato a letto. No, invece non me ne importa proprio niente. È una bella giornata e una bella festa. Mi sto divertendo, i tuoi amici sono simpatici e penso che vorrei continuare a stare bene senza dover pensare che tu sei in imbarazzo per elucubrazioni tutte tue». «Scusami, sono uno scemo. Sempre con queste…». «Ecco, smetti tranquillamente di fartele, perché per me non ci sono problemi». «Scusa, Giovanna, io…». «E smettila di dire “scusa”! Non hai proprio niente di che scusarti. Piuttosto che ne diresti se andassimo a bere qualcosa?». «Certo, sc… Ehm, andiamo». Anche se so mascherare con credibilità certe spiacevoli sensazioni, Alan non ha affatto torto: aver saputo che lui e quella ragazza hanno avuto una storia mi disturba. So che dopo tutto quello che ho passato, e considerando quanto siano belle le cose tra noi ora, non dovrei proprio sentirmi così. Eppure, nonostante tutte le sagge considerazioni che cerco di fare, il malumore non passa. E, naturalmente, ne 83
  • 85. GiveMeAChance Editoria Online risento sia in termini di divertimento, sia nello stargli accanto. Ovvio che riesco a dissimulare davanti agli altri: rido, scherzo, parlo con tutti (anche per qualche minuto con Amirin. Scopro che è di origine indonesiana, che la lavora come copy in un’agenzia di comunicazione e che vive con Martin in un bilocale a Trastevere. E, sì, che mi sta tremendamente antipatica!) ma mi sento un po’ spenta. E, passando davanti a uno specchio intero poco prima di uscire, mi accorgo con la coda dell’occhio che la calza sinistra è visibilmente smagliata e qualcuna o qualcuno se ne sarà accorto. Quando arriva il momento di andare, non vedo l’ora di tornarmene a casa e starmene un po’ per i fatti miei. Sola, assolutamente. Giorgia viene a salutarmi e mi sussurra in un orecchio se è andato tutto bene. Questa ragazza deve avere qualche sesto senso, perché dallo sguardo con cui parla, risulta palese che ha captato il mio disagio. Io, come è giusto che sia, dissimulo ma so perfettamente di non convincerla. Poco prima di congedarmi, guardandomi dritta negli occhi, mi dice: 84
  • 86. Sei «So che non dovrei permettermi, ma spero di potere lo stesso: ci ho fatto caso, dopo aver conosciuto Amirin, non sei stata più rilassata». «No, Giorgia, ma come…». «Scusami, lo so che dico cose che non dovrei permettermi di dirti, ma voglio troppo bene ad Alan, siamo amici da quando ancora non camminavamo, veniamo dallo stesso paese, dallo stesso mondo. Lui è uno che si imbarazza sempre quando c’è qualcuna con la quale ha avuto qualcosa in passato. È sempre stato così, Giovanna, fa parte del suo dna comportarsi in questo modo. Immagino ti abbia detto che lui e Amirin…». «…». «Beh, anche se non dovrei fare l’ambasciatrice di nessuno e anche se Alan mi strozzerebbe se sapesse quello che ti sto dicendo, voglio rassicurarti su di una cosa. È una storia vecchia di anni e…». «Giorgia, posso chiederti perché ti stai sentendo in dovere di dirmi tutte queste cose?» le chiedo con un tono di voce un po’ inasprito. «Io e Alan ci frequentiamo da poco, mi 85
  • 87. GiveMeAChance Editoria Online piace, ma… Insomma, non credo proprio che dovresti preoccuparti». «Scusa, scusami se mi sono permessa. È che da quando avete iniziato a frequentarvi lui è un altro. Erano anni che non lo vedevo così felice, rilassato. E per chi, come me, gli vuole bene come un fratello, è bello poterlo avere di nuovo così. Oddio, scusa, scusami! Sono un’impicciona, ecco cosa! Perdonami, è che… Sono così contenta di rivederlo così e, beh, magari l’avrai capito, ma c’è anche il fatto che tu mi piaci un sacco. A pelle, davvero». Arriva un certo punto nella vita, dove, per fortuna, riesci a capire quando una persona ti sta dicendo una cosa in cui crede davvero o sta bleffando più o meno abilmente. E, a prescindere dal fatto che molto spesso tu possa anche scegliere di farti prendere per i fondelli lo stesso per debolezza o per egocentrismo, una parola detta con il cuore sai sicuramente riconoscerla. Abbraccio Giorgia con uno slancio improvviso che non ho mai avuto, neanche con Tiziana, la mia migliore amica. Ci teniamo strette solo un paio di secondi, ma sono sufficienti 86
  • 88. Sei per dirci un’infinità di cose e per creare un’intimità che ha bisogno solo di essere coltivata con un po’ di incontri. «Grazie, Giorgia. Non sai come è stato bello sentirti dire certe cose. E non sai quanto invidio Alan per avere una amica come te. Appena posso, ti chiamo e usciamo». «Quando vuoi, Giovanna. Sono certa che ci troveremo subito bene». «Allora, tanti auguri di nuovo. E grazie per la bella serata, in ogni caso. A presto». «A presto, sì. E grazie ancora a te per il regalo». Ci baciamo sulla soglia un’ultima volta. Arriva Alan. Anche lui abbraccia e saluta Giorgia. Aspettiamo in silenzio che l’ascensore salga al piano. Entriamo. Lui preme il bottone con la “T” impressa sopra. Usciamo. Scendiamo una piccola rampa di scale. La Smart è parcheggiata dieci metri a sinistra del portone. «…». «…». Siamo sotto casa mia. Durante il tragitto da Cinecittà abbiamo parlato a monosillabi, come non era mai successo 87
  • 89. GiveMeAChance Editoria Online da quando la nostra storia è cominciata. Ora ci stiamo guardando, tutti e due spaventati. Non si sa bene da cosa, ma comunque spaventati. Alan si avvicina lentissimamente e mi dà un piccolo bacio tra la bocca e il naso. Rimango immobile per alcuni istanti, prima di rispondere con una carezza. Me ne dà un altro, stavolta più convinto. Rispondo. Continuiamo così, senza parlare. Soltanto dandoci piccoli baci e carezze. Sembra una riappacificazione tra ragazzini, più che un normalissimo momento a vuoto di due adulti. La cosa ha una tenerezza che non riesco a ignorare, ma mi rendo anche conto che forse non è il caso di rimanere sotto il palazzo in cui abito con il rischio di essere sorpresa da qualche vicino. Non è soltanto una questione di forma e di pudicizia: sono certa, infatti, che al prossimo bacio la situazione potrebbe in qualche modo sfuggirci di mano. Ho una voglia tremenda di fare l’amore e so che per lui è lo stesso. Ma… Ma sento anche un grande turbamento che mi assale. E percepisco la stessa cosa in lui. Giada stasera dorme dai genitori del padre e la cosa più naturale sarebbe scendere dalla macchina, infilarci in casa e non pensare più a nien88
  • 90. Sei te. Dentro un letto, abbracciati. Insieme. Eppure, non ci riesco. Neanche quando Alan, vinti i suoi timori, mi tira deciso verso di sé e lascia scivolare la sua lingua oltre le mie labbra. Ci baciamo con trasporto, sicuro. E quando la sua mano mi accarezza prima le schiena, poi le spalle e infine, quasi distrattamente, il seno, le scariche di desiderio sono fortissime. Tanto forti, da indurmi a toccarlo fugacemente tra le gambe mentre rispondo ai suoi baci. La stoffa dei pantaloni è tesa fin quasi a scoppiare. Ritraggo la mano e lo guardo. No. «Forse è meglio…». «Ti prego, Giovanna, fammi salire». «Ehi» accarezzandolo sulla guancia sinistra. «Non fare così. Non è successo niente». «E allora perché non…». «…». «Non so perché mi prende così, quando c’è qualcuno con cui è successo qualcosa. Posso assicurarti però che non provo niente, assolutamente niente per Amirin. È stato sei anni fa e Martin è un caro amico». 89
  • 91. GiveMeAChance Editoria Online «Senti, non devi star sempre lì a giustificarti. Nessuno ti ha chiesto di trattenere certe emozioni o di cancellare il tuo passato. È semplicemente un momento così, vedrai che domani sarà passato, mi sarà passato». «Quindi è come pensavo: ora sei arrabbiata, ce l’hai con me». «Non sono arrabbiata e non ce l’ho con te. È un momento così, Alan, che devo dirti? Mi sono sentita inadeguata, ho questa sensazione che… Forse sono pensieri tutti miei, ma… Vedendoti vicino a quella ragazza, mi sono sentita troppo…». «Basta!» è la prima volta che lo sento urlare. «Ancora quella maledetta storia degli anni!». «Non c’è niente da urlare». «Sì, invece! Non puoi mettere sempre avanti questa storia degli anni, io…». «Io metto avanti quello che voglio» alzando la voce a mia volta. «Te l’ho già detto e te lo ripeto: faccio le considerazioni che più mi piace su come mi percepisco e su quello che voglio ci sia tra me e gli uomini che frequento». «Ma uomini di che, ma che cazzo stai dicendo!». 90
  • 92. Sei «Vedi di darti una calmata, altrimenti scendo subito e non ne parliamo più». «…». «…». «Può darsi sia un mio passaggio a vuoto, ma io sono anche i miei passaggi a vuoto, Alan. E in questo momento è così, perché non dovrei potertelo dire?». «…». «Lo so che sei più emotivo della media e credo che tu mi piaccia anche per questo, ma ora mi sento un po’… Fuorifuoco, e…». «Scusa se ho alzato la voce». Dio, sta per piangere! Devo, lo devo evitare a tutti i costi. Prendo la sua testa tra le mani e gli do un bacio piccolo sulle labbra. «Fammi stare un po’ sola, stasera. Cerca di capire. Possono capitare momenti così». «…». «Anch’io ti voglio, ma penso che sia più bello averti a mente serena, senza queste tensioni. Dai, non scappo da 91
  • 93. GiveMeAChance Editoria Online nessuna parte. Vedrai che la settimana prossima riusciamo a stare insieme e…». «…». «Oggi è andata così. Non è successo niente. In fondo è anche poco che ci conosciamo e…». Non so più su quali specchi sto provando ad arrampicarmi. Devo, assolutamente devo uscire al più presto da questa macchina e far cessare questo cattivo “teatro”. «Fammi andare, ora. Magari ci sentiamo dopo al telefono». Il volto di Alan è diventato bianco come un lenzuolo e immobile come quello di una statua. Un misto di rabbia, stupore e disagio che non ha nulla a che fare con la bella espressione da bravo ragazzo sveglio che tanto mi ha fatto girar la testa. «Scusami, Alan» sento che tra un po’ potrei cedere anche io. «Lasciami andare, non è successo niente. Un brutto momento da cancellare, ecco tutto». Non so più cosa sto dicendo, basta! Mi faccio forza e, dopo avergli dato un altro piccolo bacio sulle labbra, mi fiondo fuori la macchina. Attraverso in fretta la strada 92
  • 94. Sei senza guardare (per fortuna non sta passando nessuno, altrimenti rischierei di essere investita, visto che non mi degno di guardare se ci sono macchine in transito o meno) e sono già sotto il portone. Tiro fuori con violenza le chiavi dalla borsa e le infilo nella toppa. Entro, senza guardarmi dietro. Senza voler vedere che faccia ha Alan in questo momento. 93
  • 95. SETTE Le lacrime arrivano prima che riesca a superare la soglia di casa. Tante, irrefrenabili. Mi rendo conto che sto esagerando, che sto trasformando una piccola cosa in una tragedia, ma non posso farci niente. La realtà è che quando ho visto Amirin sulla terrazza di Giorgia e ho capito di lei e di Alan, la prima reazione non è stata tanto di gelosia. Né ho avvertito un senso di inadeguatezza estetica. Certo, lei è molto carina, ma non è stato questo a preoccuparmi e a cominciare a cambiare radicalmente il mio umore. Il problema è stato quello di essermi trovata davanti una ragazza giovane, che probabilmente non arriva a trent’anni. Che può fare quello che vuole, all’ora che vuole. Che non ha avuto un marito, una famiglia. Che non ha una figlia già grandicella da dover crescere. Che, quindi, rappresenta il nuovo, la possibilità della favola eterna. «Sarà la mamma dei miei figli»… Quante volte ho sentito ragazzi, ragazzini 94
  • 96. Sette e uomini parlare di qualcuna in questi termini? Perché, hai voglia a far finta di niente!, ma per un maschio -e per un maschio italiano ancor di più, viste tutte le sovrastrutture che ci regala la nostra cultura zavorrata di morale- il senso di possesso dell’unicità della propria donna è, in fondo in fondo, una conditio sine qua non per la buona riuscita di un matrimonio. È vero, Alan non è un tipo nella media, sicuramente prova una forte attrazione nei miei confronti. È dolce, delicato, sensibile. Ma ha pur sempre sette anni meno di me. E tra un po’ di tempo, quando magari sarà finito il brivido degli inizi e si troverà a dover prendere pienamente coscienza di cosa significhi avere una relazione con una mamma, con gli orari e le scadenze di una mamma, cosa farà? Lui che è un tipo perennemente distratto, pieno di aspirazioni e insoddisfazioni, saprà accettare certi ruoli? Gli piacerà di passare delle serate con me e Giada, in un contesto, fisico e metafisico, così diverso da quello al quale ora è abituato? Queste domande mi attraversano cervello e cuore con la velocità di proiettili e, mentre mi spoglio e vado in bagno a struccarmi, le lacrime non la finiscono di scendere. Quan95
  • 97. GiveMeAChance Editoria Online do torno in camera e prendo il cellulare per spegnerlo, trovo due chiamate perse e un messaggio. ti prego, non fare così. fammi salire. Mi avvicino dalla finestra senza espormi a figura intera e guardo in basso. La Smart è ancora parcheggiata là sotto. Rimango imbambolata a fissarla qualche istante, constatando il profondo senso di scissione che sta sconvolgendo il mio corpo. Che in tutte le sue componenti fisiche e selvagge mi dice di prendere il telefonino, chiamarlo e fare l’amore tutta la notte; che, invece, in tutta la violenza razionale del mio cervello mi dice di non farlo assolutamente e di continuare a riflettere. Non so quanti minuti passino in questa specie di trance di sospensione, fatto sta che a un certo punto vedo i fari della macchina accendersi. Un’accelerata brusca ed è già scomparsa dietro l’angolo. Passo la mezzora successiva sdraiata sul letto ad armeggiare con tasti e tastini, sperando di riuscire a scrivere qualcosa di sensato, che non sia permeato da una squallida retorica d’occasione e che, nello stesso tempo, dica davvero come mi sento, senza girarci tristemente attorno. 96
  • 98. Sette Alla fine, spossata nei pensieri e con gli occhi che mi fanno male, mi risolvo per l’unica soluzione che mi sembra giusta in quel momento: cercare di dire il meno possibile. Scusa. oggi è andata così. presto ne parliamo. un bacio. Aspetto che risponda, mentre fumo la terza Merit in pochi minuti. Sono in cucina, scalza e nuda, che cammino intorno al tavolo da pranzo gettando ogni tanto uno sguardo al led del telefonino. Non so, sinceramente, perché mi aspetto che risponda, né so che cosa potrei o vorrei trovare scritto in un messaggio qualora decidesse di mandarmelo. Ma il problema, dopo un po’, mi rendo conto che non si pone. Alan non risponderà. E non perché sia uno stronzo, ma perché, giustamente, non sa cosa potrebbe scrivermi. Provo a mettermi nei suoi panni, ma dopo pochi istanti sono costretta a distogliere i miei pensieri, perché sto ricominciando a piangere e sento un’ansia terribile divorarmi dentro. In queste condizioni è chiaro che non riuscirò ad addormentarmi, mentre invece è necessario che io riesca a fare un tot di ore di sonno filate e che domani possa riflettere sulla questione con la maggiore lucidità possibile. 97
  • 99. GiveMeAChance Editoria Online Faccio dunque una cosa che non facevo da almeno sei mesi: torno in camera e, da un cassetto del comodino, tiro fuori una scatolina di Xanax 0,25. Prendo una pastiglietta, la porto in cucina e la butto giù con mezzo bicchiere d’acqua. E mentre fumo l’ennesima sigaretta con la testa appoggiata al vetro della finestra, sento che l’ansiolitico sta facendo il suo effetto e che il mio corpo tutto, testa compresa, si sta allentando, lasciando passare la stanchezza, anzi, la spossatezza della giornata. Approfitto di questi primi sintomi per andare a sdraiarmi. Nel buio assoluto, comincio come al solito a contare le nuvole immaginarie sopra il soffitto. Non riesco ad arrivare a quindici. Le palpebre, sempre più pesanti, calano sugli occhi stanchissimi come pesanti sipari di velluto caldo. Il risveglio mi trova in una posizione quasi fetale piuttosto insolita per me, che sono abituata a dormire lunga e distesa. Non ho ancora aperto gli occhi e sto già cercando il telefonino. Quando il led è acceso, immobile sul letto, aspetto che arrivi il segnale di ricezione di un messaggio. Un minuto, due. No, non arriva. Non posso biasimarlo se è 98