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HR e “inno-leadership”. Intervista a Laura Iacci, amministratrice di
Skill Risorse Umane
A cura di Roberto Capuano, Lorenzo D’Arcaria, Lino Maria Guttuso, Grazia Cannone, Marina Calleja -
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2016-2017
Partiamo dalla stazione di Baveno quando dal cielo cominciano timidamente a spuntare le prime luci
dell’alba. È una mattina di metà dicembre: l’umore è frizzante, il freddo pungente, la banchina deserta. La
speaker con voce metallica annuncia che partiremo in leggero ritardo: ci aspetta un lungo viaggio fino
a Brescia, dove incontreremo nel pomeriggio la dott.ssa Laura Iacci, fondatrice e titolare di Skill Risorse
Umane. Dopo aver cambiato vari treni ed esserci rifocillati con un provvidenziale sandwich all’avocado,
giungiamo finalmente a destinazione. In ufficio ci accoglie la dott.ssa Gaia Cutrera, referente dell’area
formazione, che con gentilezza ci fa accomodare nella stanza dove avrà luogo la nostra intervista.
Soltanto qualche istante e siamo raggiunti dalla dott.ssa Laura Iacci, che presentandosi con un affabile
sorriso ci mette subito a nostro agio.
Ci introduca Skill Risorse Umane: quali sono
le sue aree di attività e che ruolo ricopre
all’interno dell’azienda?
Skill Risorse Umane è una società che nasce
nel 1999, focalizzandosi su attività di ricerca e
selezione del personale. Ci siamo poi sviluppati
nel corso degli anni introducendo, grazie anche
a un’evoluzione normativa, nuove attività e servizi.
Oggi Skill si fonda su tre aree: la prima è appunto
legata alla ricerca e selezione di personale
qualificato, parliamo quindi di figure di specialist
e posizioni di middle management o di livello
ancora più alto. La seconda area è costituita dalla
formazione, rivolta in particolare alle aziende, che
sono i nostri principali interlocutori. Infine, la terza
è quella della consulenza, nella quale convergono
servizi come la progettazione e l’implementazione
di sistemi di valutazione delle performance, oltre
alle indagini di clima o di benessere organizzativo,
attraverso le quali misuriamo anche i fattori di
rischio e lo stress legato al lavoro. Sono indagini
volte, di fatto, a rilevare il percepito delle persone.
Svolgiamo poi molte attività di assessment, ovvero
di valutazione, riferite in particolare alle risorse che
operano all’interno delle organizzazioni. Sembra che
nell’ultimo periodo vi sia una crescente attenzione,
da parte delle aziende, nel voler prevedere quali
possano essere le performance delle proprie risorse
all’interno dei ruoli di maggiore responsabilità.
Qual è il settore di riferimento delle aziende
che richiedono i vostri servizi?
Skill Risorse Umane è articolata in due sedi:
una principale a Brescia e una a Milano, ed è
nell’area della sede principale che sviluppiamo
maggiormente il nostro network. Essendo questa
una piazza a forte vocazione industriale, la nostra
clientela è caratterizzata in prevalenza da aziende
manifatturiere, nello specifico aziende che operano
nel settore della meccanica e della siderurgia.
Ovviamente non mancano, seppur in misura
minore, aziende che operano nel comparto dei
servizi o in altri settori merceologici.
Com’è nata, in lei, l’idea di creare una realtà
autonoma come Skill Risorse Umane piuttosto
che svolgere un lavoro dipendente?
In tutta onesta è nata da una necessità di
sopravvivenza (ride, ndr). Nel 1988, quando mi
sono laureata, non esisteva un mercato così ricco
nel settore della consulenza. Ho visto nascere, ad
esempio, tutto il mondo delle agenzie interinali, poi
diventate di somministrazione, ed erano pochissime
le società che all’epoca si occupavano di ricerca e
selezione del personale e di consulenza nell’area
HR. Ho cominciato facendo un percorso all’interno
di una società di consulenza, con condizioni
contrattuali molto precarie. Da questa difficoltà
oggettiva è nata l’idea di costituire Skill Risorse
Umane. La fame, quindi (ride, ndr), e il desiderio di
coltivare un’ambizione di natura personale.
Può raccontarci, se c’è, la sua giornata tipo in
azienda?
È difficile trovare una giornata tipo. Come
amministratrice della società, oltre alla gestione
delle relazioni, mi concentro in particolare sullo
sviluppo di nuovi progetti e di un’offerta che resti
sempre coerente con i bisogni delle aziende.
Laddove ci pervengano delle richieste il mio
compito è soddisfarle, e soddisfarle vuol dire
spesso studiare dei progetti ad hoc. Ad esempio,
se ci viene richiesto di avviare un’indagine di
clima all’interno di un’organizzazione, il progetto
deve essere studiato sulla base di quella specifica
situazione, e gli strumenti che andremo a utilizzare
saranno mirati, poiché non vi è mai un’indagine di
clima uguale all’altra. C’è poi, ovviamente, un’attività
di supervisione generale.
Quale può essere, per un’azienda, il vantaggio
di richiedere un servizio ad un soggetto terzo
come Skill Risorse Umane, piuttosto che avere
uno staff interno che si occupi di HR?
C’è in primis una questione legata al contenuto:
non sempre nelle aziende si trovano, all’interno
dell’area HR, tutte le competenze specifiche utili a
coprire i diversi processi soft. Per contro, una società
specializzata come la nostra, che nel corso dell’anno
svolge molti assessment e indagini di clima, ha la
possibilità di dedicarsi a queste attività in maniera
più accurata ed efficace. Possono poi aggiungersi
motivi di natura economica: in alcune circostanze
può aver convenienza, per l’azienda, attivare un
partner esterno piuttosto che avere una risorsa in-
terna dedicata. Ci sono, infine, delle ragioni legate
alla delicatezza che alcune iniziative portano con
sé. Una parte terza, oltre che avere una visione
incontaminata e non influenzata da nulla, è vista
come una maggiore tutela dagli stessi dipendenti.
C’è quindi anche il tema dell’etica professionale e
della riservatezza, che in alcune aree di attività è
molto sentito.
Negli ultimi anni, in relazione alle difficoltà del
contesto socio-economico, ci sono stati dei
mutamenti all’interno dell’area HR?
Direi di sì, e ce ne saranno ancora. Nell’ambito
della selezione, il cambiamento forse più palese ed
evidente per tutti è quello del massiccio utilizzo dei
social media, che ha introdotto una metodologia
di lavoro diversa e a suo modo complessa. Questa
è sicuramente una rivoluzione importante. Altri
cambiamenti li riscontriamo nella crescente
sensibilità delle aziende rispetto alle attività di
sviluppo. I sempre più numerosi assessment che
svolgiamo rispondono in alcuni casi a cambiamenti
di carattere organizzativo, in altri all’esigenza di
valorizzare al meglio le potenzialità delle persone, in
un mercato del lavoro che è sempre più complicato,
dove le aziende hanno maggiore difficoltà nel
reperire profili specializzati, e dove quindi il tema
della retention deve essere molto curato.
Parlando di nuove tecnologie, trova che il web
e i social network abbiano reso più efficace il
processo di selezione? O hanno portato anche
qualche svantaggio?
Sicuramente hanno portato, in generale, una
maggiore efficacia: ora è molto più semplice
raggiungere e intercettare la persona “skillata”, che
occupa una posizione di rilievo in una determinata
azienda, rispetto a qualche tempo fa. Piattaforme
come LinkedIn permettono ai professionisti di
proporsi e di distinguersi rispetto alla maggioranza
degli utenti, e ciò rende indubbiamente più agevole
la ricerca. La complicazione nasce dal fatto che la
popolazione che risiede all’interno di questi social è
spesso lì perché deve esserci, ma non è attiva nella
ricercadiunlavoro.Tuttociòsitraduceinundispendio
di risorse molto importante: si ha l’illusione di poter
intercettare chiunque e in qualsiasi momento,
salvo poi capire che le persone con cui si entra
in contatto spesso non sono interessate a cercare
un’alternativa. Sicuramente questo ha portato a una
modifica nelle dinamiche di relazione fra chi offre e
chi cerca lavoro. Le aziende arrivano da decenni in
cui, quando lanciavano una ricerca del personale,
avevano l’imbarazzo della scelta, o quantomeno
si trovavano in una situazione privilegiata. Oggi, al
contrario, la relazione è più bilanciata e biunivoca:
questo richiede, da parte delle aziende che vogliono
accaparrarsi i profili più specialistici e talentuosi, un
investimento in attività di employer branding e di
comunicazione, per distinguersi come realtà in cui
può essere interessante lavorare.
Sulla base di quanto ha appena detto, quando
si trova un candidato ideale poco propenso
a cambiare azienda, fino a che punto lo si
“corteggia”?
In generale è molto delicato riuscire ad acquisire
figure che si pongono con un atteggiamento poco
elastico. Molto dipende dalla politica interna delle
aziende e dal loro margine di manovra in termini
retributivi.
Che differenza c’è nel selezionare figure medio-
alte, rispetto a fare recruiting per posizioni di
livello inferiore?
Ritengo che la differenza sostanziale sia nel
fatto che mentre i profili medio-bassi vengono
valutati in relazione a competenze di carattere
tecnico-professionale, più si sale sul piano della
responsabilità e della discrezionalità di ruolo, più
si introducono nella parte di valutazione anche
competenze di tipo soft. Quindi, in aggiunta a una
rilevazione di competenze tecnico-professionali,
andiamo soprattutto a rilevare quelle che sono
competenze relazionali, emozionali, innovative,
cognitive e manageriali.
C’è una domanda atipica che solitamente
ponete ai candidati?
Normalmente le interviste che sviluppiamo sono
semi-strutturate: si parte cioè da un canovaccio
comune, ed è poi dalla relazione con il candidato
e dalla sua storia personale che emerge lo spazio
per eventuali approfondimenti. Non credo molto
nelle domande “preconfezionate”. Possono essere
un valido aiuto quando si è alle prime armi poiché
costituiscono una sicurezza, ma finiscono poi per
vincolare troppo l’esplorazione.
Può raccontarci un momento particolarmente
difficile che è riuscita a superare con successo
nel corso della sua carriera?
Fatemi pensare (sorride, ndr). Nel 2013 c’è stato
un momento di recessione piuttosto importante:
l’attività di selezione stava soffrendo a causa di
un mercato un po’ stagnante, e dal punto di vista
del risultato economico c’era una situazione non
facile. Abbiamo quindi pensato di introdurre nuovi
servizi, andando a sviluppare maggiormente quelle
aree di attività in cui non avevamo ancora una
posizione consolidata. C’è stata la determinazione
di puntare in particolare sull’attività di formazione,
andando anche ad aumentare il nostro personale
con l’inserimento di figure dedicate, e questo
ci sta dando ragione: i numeri ci sono, c’è piena
soddisfazione e riteniamo di aver imboccato la
strada giusta.
A quali difficoltà va incontro un professionista
HR in questo momento storico, e che profilo
dovrebbe avere per ricoprire un ruolo come
il suo?
Ritengo che le maggiori difficoltà siano di carattere
relazionale e commerciale, e questo vale per ogni
professionista, non solo nel settore HR. Io sono
arrivata a questa posizione passando da un ruolo
tecnico, prima di essere un’amministratrice svolgevo
attività di selezione in un’altra società, ed ero molto
concentratasulcontenuto,chemiappassionavaemi
appassiona ancora molto. I requisiti che deve avere
l’amministratore di una società vanno però oltre il
contenuto: ci sono aspetti di natura commerciale, di
relazione, di networking, di visione, di innovazione,
di introduzione di altri servizi, di intercettazione dei
trend del prossimo futuro. L’aspetto più rilevante
è forse quello relazionale, essendo le relazioni il
veicolo di comunicazione delle proprie attività. Ma
è altrettanto importante saper prevedere quali sfide
si sarà chiamati ad affrontare.
Inrelazioneallasuaposizionediamministratore
e gestore di un team, come ritiene si possa
esercitare in modo equilibrato la funzione di
leadership?
Credo che oggi un leader non possa non rendersi
conto che deve agire la propria leadership in
direzioni un po’ diverse rispetto al passato. Ci sono
secondo me due temi fondamentali. Uno è quello
dell’innovazione: oggi i leader dovrebbero essere
inno-leader, a prescindere dalle aree funzionali
di cui sono responsabili, perché a mio avviso
l’innovazione si può portare ovunque. Ed è chiaro
che un leader non debba soltanto saper innovare,
ma allo stesso modo saper stimolare la creatività
e l’innovazione all’interno del proprio team. Il
secondo tema, strettamente connesso a questo, è
quello della condivisione, che vuol dire apertura,
collaborazione, networking, capacità di lavorare
con team interfunzionali e multidisciplinari, poiché
si crea innovazione laddove si riesce a raccogliere il
contributo di pensieri eterogenei. In molte aziende
si sta andando verso un concetto di minor impatto
gerarchico del ruolo di leadership, si auspica cioè
che il leader sia percepito come un facilitatore. Sì,
riassumendo direi proprio che il leader deve essere
un innovatore e un facilitatore.
Per concludere, come descriverebbe Skill
Risorse Umane utilizzando una metafora?
Domanda complicata (ride, ndr)… Alle vostre spalle
avete un quadro che rappresenta un germoglio.
Non si tratta di un quadro trovato e acquistato,
ma è stato commissionato, voluto così. Quel
germoglio vuol significare sviluppo. Sviluppo che
noi sosteniamo e supportiamo all’esterno, ma che
prima ancora deve nascere all’interno, lavorando su
di noi e mettendoci costantemente in discussione
per cercare di crescere giorno dopo giorno.

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HR e “inno-leadership”. Intervista a Laura Iacci, amministratrice di Skill Risorse Umane

  • 1. Business School HR e “inno-leadership”. Intervista a Laura Iacci, amministratrice di Skill Risorse Umane A cura di Roberto Capuano, Lorenzo D’Arcaria, Lino Maria Guttuso, Grazia Cannone, Marina Calleja - Master in Risorse Umane e Organizzazione 2016-2017 Partiamo dalla stazione di Baveno quando dal cielo cominciano timidamente a spuntare le prime luci dell’alba. È una mattina di metà dicembre: l’umore è frizzante, il freddo pungente, la banchina deserta. La speaker con voce metallica annuncia che partiremo in leggero ritardo: ci aspetta un lungo viaggio fino a Brescia, dove incontreremo nel pomeriggio la dott.ssa Laura Iacci, fondatrice e titolare di Skill Risorse Umane. Dopo aver cambiato vari treni ed esserci rifocillati con un provvidenziale sandwich all’avocado, giungiamo finalmente a destinazione. In ufficio ci accoglie la dott.ssa Gaia Cutrera, referente dell’area formazione, che con gentilezza ci fa accomodare nella stanza dove avrà luogo la nostra intervista. Soltanto qualche istante e siamo raggiunti dalla dott.ssa Laura Iacci, che presentandosi con un affabile sorriso ci mette subito a nostro agio. Ci introduca Skill Risorse Umane: quali sono le sue aree di attività e che ruolo ricopre all’interno dell’azienda? Skill Risorse Umane è una società che nasce nel 1999, focalizzandosi su attività di ricerca e selezione del personale. Ci siamo poi sviluppati nel corso degli anni introducendo, grazie anche a un’evoluzione normativa, nuove attività e servizi. Oggi Skill si fonda su tre aree: la prima è appunto legata alla ricerca e selezione di personale qualificato, parliamo quindi di figure di specialist e posizioni di middle management o di livello ancora più alto. La seconda area è costituita dalla formazione, rivolta in particolare alle aziende, che sono i nostri principali interlocutori. Infine, la terza è quella della consulenza, nella quale convergono servizi come la progettazione e l’implementazione di sistemi di valutazione delle performance, oltre alle indagini di clima o di benessere organizzativo, attraverso le quali misuriamo anche i fattori di rischio e lo stress legato al lavoro. Sono indagini volte, di fatto, a rilevare il percepito delle persone. Svolgiamo poi molte attività di assessment, ovvero di valutazione, riferite in particolare alle risorse che operano all’interno delle organizzazioni. Sembra che nell’ultimo periodo vi sia una crescente attenzione, da parte delle aziende, nel voler prevedere quali possano essere le performance delle proprie risorse all’interno dei ruoli di maggiore responsabilità.
  • 2. Qual è il settore di riferimento delle aziende che richiedono i vostri servizi? Skill Risorse Umane è articolata in due sedi: una principale a Brescia e una a Milano, ed è nell’area della sede principale che sviluppiamo maggiormente il nostro network. Essendo questa una piazza a forte vocazione industriale, la nostra clientela è caratterizzata in prevalenza da aziende manifatturiere, nello specifico aziende che operano nel settore della meccanica e della siderurgia. Ovviamente non mancano, seppur in misura minore, aziende che operano nel comparto dei servizi o in altri settori merceologici. Com’è nata, in lei, l’idea di creare una realtà autonoma come Skill Risorse Umane piuttosto che svolgere un lavoro dipendente? In tutta onesta è nata da una necessità di sopravvivenza (ride, ndr). Nel 1988, quando mi sono laureata, non esisteva un mercato così ricco nel settore della consulenza. Ho visto nascere, ad esempio, tutto il mondo delle agenzie interinali, poi diventate di somministrazione, ed erano pochissime le società che all’epoca si occupavano di ricerca e selezione del personale e di consulenza nell’area HR. Ho cominciato facendo un percorso all’interno di una società di consulenza, con condizioni contrattuali molto precarie. Da questa difficoltà oggettiva è nata l’idea di costituire Skill Risorse Umane. La fame, quindi (ride, ndr), e il desiderio di coltivare un’ambizione di natura personale. Può raccontarci, se c’è, la sua giornata tipo in azienda? È difficile trovare una giornata tipo. Come amministratrice della società, oltre alla gestione delle relazioni, mi concentro in particolare sullo sviluppo di nuovi progetti e di un’offerta che resti sempre coerente con i bisogni delle aziende. Laddove ci pervengano delle richieste il mio compito è soddisfarle, e soddisfarle vuol dire spesso studiare dei progetti ad hoc. Ad esempio, se ci viene richiesto di avviare un’indagine di clima all’interno di un’organizzazione, il progetto deve essere studiato sulla base di quella specifica situazione, e gli strumenti che andremo a utilizzare saranno mirati, poiché non vi è mai un’indagine di clima uguale all’altra. C’è poi, ovviamente, un’attività di supervisione generale. Quale può essere, per un’azienda, il vantaggio di richiedere un servizio ad un soggetto terzo come Skill Risorse Umane, piuttosto che avere uno staff interno che si occupi di HR? C’è in primis una questione legata al contenuto: non sempre nelle aziende si trovano, all’interno dell’area HR, tutte le competenze specifiche utili a coprire i diversi processi soft. Per contro, una società specializzata come la nostra, che nel corso dell’anno svolge molti assessment e indagini di clima, ha la possibilità di dedicarsi a queste attività in maniera più accurata ed efficace. Possono poi aggiungersi motivi di natura economica: in alcune circostanze può aver convenienza, per l’azienda, attivare un partner esterno piuttosto che avere una risorsa in- terna dedicata. Ci sono, infine, delle ragioni legate alla delicatezza che alcune iniziative portano con sé. Una parte terza, oltre che avere una visione incontaminata e non influenzata da nulla, è vista come una maggiore tutela dagli stessi dipendenti. C’è quindi anche il tema dell’etica professionale e della riservatezza, che in alcune aree di attività è molto sentito. Negli ultimi anni, in relazione alle difficoltà del contesto socio-economico, ci sono stati dei mutamenti all’interno dell’area HR? Direi di sì, e ce ne saranno ancora. Nell’ambito della selezione, il cambiamento forse più palese ed evidente per tutti è quello del massiccio utilizzo dei social media, che ha introdotto una metodologia di lavoro diversa e a suo modo complessa. Questa è sicuramente una rivoluzione importante. Altri cambiamenti li riscontriamo nella crescente sensibilità delle aziende rispetto alle attività di sviluppo. I sempre più numerosi assessment che svolgiamo rispondono in alcuni casi a cambiamenti di carattere organizzativo, in altri all’esigenza di valorizzare al meglio le potenzialità delle persone, in un mercato del lavoro che è sempre più complicato, dove le aziende hanno maggiore difficoltà nel reperire profili specializzati, e dove quindi il tema della retention deve essere molto curato.
  • 3. Parlando di nuove tecnologie, trova che il web e i social network abbiano reso più efficace il processo di selezione? O hanno portato anche qualche svantaggio? Sicuramente hanno portato, in generale, una maggiore efficacia: ora è molto più semplice raggiungere e intercettare la persona “skillata”, che occupa una posizione di rilievo in una determinata azienda, rispetto a qualche tempo fa. Piattaforme come LinkedIn permettono ai professionisti di proporsi e di distinguersi rispetto alla maggioranza degli utenti, e ciò rende indubbiamente più agevole la ricerca. La complicazione nasce dal fatto che la popolazione che risiede all’interno di questi social è spesso lì perché deve esserci, ma non è attiva nella ricercadiunlavoro.Tuttociòsitraduceinundispendio di risorse molto importante: si ha l’illusione di poter intercettare chiunque e in qualsiasi momento, salvo poi capire che le persone con cui si entra in contatto spesso non sono interessate a cercare un’alternativa. Sicuramente questo ha portato a una modifica nelle dinamiche di relazione fra chi offre e chi cerca lavoro. Le aziende arrivano da decenni in cui, quando lanciavano una ricerca del personale, avevano l’imbarazzo della scelta, o quantomeno si trovavano in una situazione privilegiata. Oggi, al contrario, la relazione è più bilanciata e biunivoca: questo richiede, da parte delle aziende che vogliono accaparrarsi i profili più specialistici e talentuosi, un investimento in attività di employer branding e di comunicazione, per distinguersi come realtà in cui può essere interessante lavorare. Sulla base di quanto ha appena detto, quando si trova un candidato ideale poco propenso a cambiare azienda, fino a che punto lo si “corteggia”? In generale è molto delicato riuscire ad acquisire figure che si pongono con un atteggiamento poco elastico. Molto dipende dalla politica interna delle aziende e dal loro margine di manovra in termini retributivi. Che differenza c’è nel selezionare figure medio- alte, rispetto a fare recruiting per posizioni di livello inferiore? Ritengo che la differenza sostanziale sia nel fatto che mentre i profili medio-bassi vengono valutati in relazione a competenze di carattere tecnico-professionale, più si sale sul piano della responsabilità e della discrezionalità di ruolo, più si introducono nella parte di valutazione anche competenze di tipo soft. Quindi, in aggiunta a una rilevazione di competenze tecnico-professionali, andiamo soprattutto a rilevare quelle che sono competenze relazionali, emozionali, innovative, cognitive e manageriali. C’è una domanda atipica che solitamente ponete ai candidati? Normalmente le interviste che sviluppiamo sono semi-strutturate: si parte cioè da un canovaccio comune, ed è poi dalla relazione con il candidato e dalla sua storia personale che emerge lo spazio per eventuali approfondimenti. Non credo molto nelle domande “preconfezionate”. Possono essere un valido aiuto quando si è alle prime armi poiché costituiscono una sicurezza, ma finiscono poi per vincolare troppo l’esplorazione. Può raccontarci un momento particolarmente difficile che è riuscita a superare con successo nel corso della sua carriera? Fatemi pensare (sorride, ndr). Nel 2013 c’è stato un momento di recessione piuttosto importante: l’attività di selezione stava soffrendo a causa di un mercato un po’ stagnante, e dal punto di vista del risultato economico c’era una situazione non facile. Abbiamo quindi pensato di introdurre nuovi servizi, andando a sviluppare maggiormente quelle aree di attività in cui non avevamo ancora una posizione consolidata. C’è stata la determinazione di puntare in particolare sull’attività di formazione, andando anche ad aumentare il nostro personale con l’inserimento di figure dedicate, e questo ci sta dando ragione: i numeri ci sono, c’è piena soddisfazione e riteniamo di aver imboccato la strada giusta. A quali difficoltà va incontro un professionista HR in questo momento storico, e che profilo dovrebbe avere per ricoprire un ruolo come il suo? Ritengo che le maggiori difficoltà siano di carattere relazionale e commerciale, e questo vale per ogni professionista, non solo nel settore HR. Io sono arrivata a questa posizione passando da un ruolo tecnico, prima di essere un’amministratrice svolgevo attività di selezione in un’altra società, ed ero molto concentratasulcontenuto,chemiappassionavaemi appassiona ancora molto. I requisiti che deve avere l’amministratore di una società vanno però oltre il contenuto: ci sono aspetti di natura commerciale, di relazione, di networking, di visione, di innovazione,
  • 4. di introduzione di altri servizi, di intercettazione dei trend del prossimo futuro. L’aspetto più rilevante è forse quello relazionale, essendo le relazioni il veicolo di comunicazione delle proprie attività. Ma è altrettanto importante saper prevedere quali sfide si sarà chiamati ad affrontare. Inrelazioneallasuaposizionediamministratore e gestore di un team, come ritiene si possa esercitare in modo equilibrato la funzione di leadership? Credo che oggi un leader non possa non rendersi conto che deve agire la propria leadership in direzioni un po’ diverse rispetto al passato. Ci sono secondo me due temi fondamentali. Uno è quello dell’innovazione: oggi i leader dovrebbero essere inno-leader, a prescindere dalle aree funzionali di cui sono responsabili, perché a mio avviso l’innovazione si può portare ovunque. Ed è chiaro che un leader non debba soltanto saper innovare, ma allo stesso modo saper stimolare la creatività e l’innovazione all’interno del proprio team. Il secondo tema, strettamente connesso a questo, è quello della condivisione, che vuol dire apertura, collaborazione, networking, capacità di lavorare con team interfunzionali e multidisciplinari, poiché si crea innovazione laddove si riesce a raccogliere il contributo di pensieri eterogenei. In molte aziende si sta andando verso un concetto di minor impatto gerarchico del ruolo di leadership, si auspica cioè che il leader sia percepito come un facilitatore. Sì, riassumendo direi proprio che il leader deve essere un innovatore e un facilitatore. Per concludere, come descriverebbe Skill Risorse Umane utilizzando una metafora? Domanda complicata (ride, ndr)… Alle vostre spalle avete un quadro che rappresenta un germoglio. Non si tratta di un quadro trovato e acquistato, ma è stato commissionato, voluto così. Quel germoglio vuol significare sviluppo. Sviluppo che noi sosteniamo e supportiamo all’esterno, ma che prima ancora deve nascere all’interno, lavorando su di noi e mettendoci costantemente in discussione per cercare di crescere giorno dopo giorno.