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Co-working, l'arte di lavorare insieme.
- 1. Rivista
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12 Officelayout 156 gennaio-marzo 2014
Coworking
l’arte del lavorare insieme
Non è un progetto di business ma un progetto di network dove quello che conta sono le persone:
questo il concetto che il coworking incarna ed esplica nei suoi spazi, costruendo trame di correlazioni
nei lavoratori con un continuo accrescimento di ciascuno
di Riccardo Valentino*
(*) Riccardo Valentino si è occupato di gestione e sviluppo organizzativo nella Pubblica Amministrazione e di alcune funzioni complementari: informatica,
formazione, internal audit e bilancio sociale. Il background professionale e la caratteristica di essere molto curioso lo hanno portato a scoprire l’affascinante
pluriverso costituito dai mondi creati nel coworking. È autore del libro Coworkingprogress, in collaborazione con gli “Innovatori Visionari” Alberto Mariani,
Dario Brivio, Martina Francesca e Patrizia Varnier
Il termine coworking è ormai espressione di uso comune,
anche se la quasi totalità dei vocabolari e dizionari della lin-
gua italiana omettono di riportarne il significato. Questo no-
nostante il fatto che il termine in questione venga ormai
considerato una parola suono, correlata indissolubilmente a
un concetto, prescindendo dal mero significato letterale.
Il termine coworking è costituito dal prefisso co che deriva
dal latino cum e dalla parola inglese working. Considerando
che la lingua inglese è notoriamente la lingua più fecondata
- nasce come ramo occidentale delle lingue germaniche, su
questo si innesta il sassone e poi il francese e con esso il la-
tino - già dall’etimologia si coglie il valore fondante della
condivisione, vero DNA di questa innovativa modalità nel la-
vorare e che scopre chiunque entra in contatto con questo
pluriverso. È quello che è successo a me.
Il termine coworking, coniato nel 1996 in California, fu usato
per la prima volta nel 2005 da Brad Neuberg che prese un lo-
cale all’801 di Minnesota Street, a San Francisco, lo riempì di
mobili Ikea e disse “ecco le postazioni, qui c’è quello che oc-
corre per un ufficio, chi vuole lo può affittare. Questo posto
si chiama Hat Factory”. Quello che spinse il giovane ameri-
cano a intraprendere questa strada fu la voglia di porre in
vicinanza persone che condividessero la passione per l’atti-
vità che svolgevano, per l’innovazione, per un lavoro che
amavano per il quale volevano trovare uno spazio. Lui non
voleva affittare solo una scrivania.
A giugno 2013 si contavano, nel mondo, oltre 2.300 spazi, nu-
mero sicuramente già superato, seguendo la tendenza a livello
globale che si sta sempre più consolidando. Oltre 900 in Nord
America, 150 in Sud America, più di 90 in Australia, in Africa
siamo a quota 40. L’Europa supera di oltre 100 unità il Nord
America. La capitale europea del coworking è Berlino.
Non esiste una definizione ufficiale di coworking. Non
solo perché stiamo parlando di un bambino, ma, soprattutto,
perché ogni coworking è differente dall’altro. È un concetto
in continua maturazione e alla ricerca di un proprio orienta-
mento, come le persone che gli danno vita. Tuttavia in gene-
rale, il coworking si può definire un luogo dinamico in cui
gruppi di persone che non necessariamente operano nello
stesso settore o allo stesso progetto, lavorano condividendo
lo spazio e le risorse di un ufficio come la connessione a in-
ternet, le attrezzature e il caffè. Alcuni lavorano da soli altri
in gruppo stabilendo, comunque, rapporti personali molto
stretti che possono generare benefici per tutti dall’incrocio
delle differenti esperienze e specializzazioni.
Coworking è, dunque, un nuovo modo di lavorare.
Alcuni lo definiscono “l’arte della collaborazione online o me-
glio del lavorare insieme in modo eguale”. Nessun tipo di ri-
valità, nessuna competizione, nessuno sgambetto tra colleghi
per ricevere le attenzioni del capo, niente raccomandazioni,
niente di tutto questo. I progetti si sviluppano per affinità,
non c’è una decisione dall’alto, anche perché non esiste nessun
capo, e la cooperazione ha come prerogativa la meritocrazia,
concetto spesso sconosciuto nelle realtà lavorative aziendali
classiche, soprattutto italiane.
Il coworking non è un progetto di business, è un progetto
di network. Quello che conta sono le persone, i risultati eco-
nomici sono dipendenti da questa dimensione e vengono da sé.
Il coworking incarna questo concetto e lo esplica nei suoi
spazi, costruendo trame di correlazioni nei lavoratori che la-
vorano spalla a spalla, il che porta a un continuo accresci-
mento di ciascuno. Nascono nuove collaborazioni per nuovi
business e tutti dispensano micro-consulenze agli altri.
- 2. Rivista
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Non chiedersi “Cosa è un coworking?” ma
“Chi è coworking?”
Interrogarsi su “chi” è coworking significa al tempo stesso
definire un’identità. E questa la danno le persone, non i luo-
ghi: le prime sono alla guida e danno un senso ai secondi.
Di un coworking ho capito che il capitale umano rappresen-
tato dalla sommatoria dei tanti soggetti individuali si tra-
sforma facilmente in stabile capitale sociale, cioè in sistema
perché fa da collante relazionale interno, basato su rapporti
fiduciari e visione di insieme. Per questo è una realtà in con-
tinua modificazione.
Con queste premesse quale sarà lo sviluppo della dinamica
dialettica dell’ecologia creativa e immaginativa che caratte-
rizza il coworking? Credo sia difficile fare previsioni. Brad
Neuberg nel 2006 non aveva idea di cosa aveva messo in
moto, come probabilmente Martin Cooper, Steve Jobs o Bill
Gates. Come Picasso con Les Demoiselles d'Avignon.
I coworker sono testimonial di un appello a inoltrarsi in
un nuovo spirito dei tempi che sappia guardare a tutto
tondo, sappia vedere il dettaglio e il quadro d’insieme. Che
sappia incantare il software urbano, in cui il termine ur-
bano muove le motivazioni, le aspirazioni e la volontà di
fare. Possiamo ragionare di direttrici. O almeno io riesco a
pensare a questo.
Ragioniamo di un pluriverso che sarà sempre più abitato per-
ché non siamo in presenza di una moda effimera che carat-
terizza questa “età dell’incertezza”, per dirla con Zygmunt
Bauman, ma dentro l’essenza della biodiversità. Le donne e
gli uomini dei coworking continuano ad aumentare, chi c’è da
più tempo, ma anche gli ultimi arrivati, continuano a cam-
biare perché nel loro universo e in quelli che sfiorano o con
cui entrano in contatto sanno che c’è qualcosa di nuovo,
sempre: gli stessi rapporti consolidati non sono mai quelli di
prima. Essi continuano a guardare perché non sono all’in-
terno di qualcosa con una finestra che guarda fuori, ma sono
dentro lo spazio che hanno intorno.
E poi non ci sono limiti, non ci sono strutture, non ci sono
confini, perché la Carta costituzionale del coworking trae ori-
gine dalla fiducia che permea i gesti di questi seminatori che
porteranno a messi sempre più feconde.
Coworking è…
Ho viaggiato nel pluriverso del coworking. Cosa mi è rimasto
addosso? Cosa mi ha coinvolto? Cosa ho compreso?
Essenzialmente tre cose.
Coworking è rivoluzione della mente. Il luogo non è sola-
mente uno spazio, è uno stato mentale. Così i concetti fanno
un passo indietro e a parlare sono persone e luoghi e questo fa-
vorisce l’innovazione. Non c’è innovazione senza invenzione.
In un coworking ciò è possibile perché si vede la foresta al-
trettanto bene degli alberi: è l’effetto leverage del coworking!
in un coworking le idee non esistono: i visionari si!
Ed è in questo impasto, in questo confluire di ideali e valori,
che è radicata la vera innovazione.
Così si costruisce una community, ma non una community
chiusa. Una community circolante, una community dove si
tratta di fare surf dove puoi vedere tutto e subito in uno spa-
In una panoramica a livello nazionale e
internazionale del fenomeno, ricca di
esempi concreti e di spunti, il lettore
incontrerà esperienze differenti che
ruotano intorno al mondo coworking,
ormai ben sviluppato anche in Italia, tra
cui non mancano esempi di interventi di
Pubbliche Amministrazioni, Comuni,
Camere di Commercio, Associazioni
Imprenditoriali e Organizzazioni Sindacali.
Accanto a questo mondo, nel volume, vengono approfonditi anche i movimenti più
innovativi che stanno costruendo le basi per affrontare le sfide del futuro come
Transition Towns e Collaborative Consumption. Particolarmente inconsueta
l’esposizione dei contenuti: in omaggio al concetto di scambio e confronto, tutto
viene narrato sotto forma di dialoghi teatrali.
Concetti guida del Coworking
• Coworking è software. Tutto dipende dalle persone e dalla loro energia e dalla
loro iniziativa.
• Coworking è come un bosco, una foresta in cui moltissime specie diverse fra
loro prosperano, coesistono e si adattano in modo spontaneo, in un ecosistema
favorevole alla vita e ognuna rimane indipendente ma rafforzata dal sistema di
relazioni da cui è circondata.
• Coworking è stare assieme nella libertà. L’innovazione portata dai nomad-worker
trova nel coworking, nelle sue radici, l’ospitalità, l’innovazione e la condivisione.
• Coworking è un luogo ideato per abbattere la spirale dell’isolamento.
Le idee che ciascuno aveva per conto proprio, che individualmente tali sarebbero
rimaste, hanno smesso di pesare come una frustrazione sulla vita di ciascuno,
segnata dal “vorrei ma non posso”. Nel divenire effettive fanno i conti con la
realtà e possono anche rivelarsi impraticabili, ma alimentano un processo
virtuoso di fiducia in se stessi.
Le 4 fondamentali informazioni genetiche
1) Il coworking è uno strumento molto potente per creare sinergie lavorative che
vanno oltre il mero risparmio dei costi.
2) Il coworking è un’opportunità per sperimentare un modello organizzativo
fondato sulla community.
3) Considerare il coworking un business significa snaturare la sua essenza. Di
certo si diventa ricchi di relazioni, di cooperazioni, si instaurano collaborazioni
prima di allora impensate, si creano sinergie tra professional completamente
diverse tra loro e, a volte, nascono delle belle amicizie.
4) le convinzioni giocano un ruolo fondamentale, quando le si intenda come
impostazione mentale e carattere dei singoli. In definitiva è più utile per il
progetto la qualità della persona piuttosto che quella del suo prodotto.
COWORKINGPROGRESS
Il futuro è arrivato
Innovatori Visionari & Riccardo Valentino
2013 – Nomos Edizioni
- 3. Rivista
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Coworking, l’arte del lavorare insieme
Un consiglio…fate una verifica sul campo
Entrate in un coworking per capire se aleggia su tutto l’odore di innovazione.
Ecco alcuni indizi:
• osservate se la disposizione planimetrica favorisce le opportunità di
comunicazione informale e casuale, in particolare la comunicazione
interprofessionale, se si formano senza difficoltà gruppi di lavoro che hanno a
disposizione uno spazio autonomo, se avvenimenti sociali informali o eventi
hanno anche l’obiettivo di intensificare la comunicazione interpersonale;
• ascoltate di cosa si parla, le domande che girano, se si ragiona a prato
verde e non per algoritmi;
• cogliete i metodi usati nell’esaminare le questioni nel corso di incontri
formali o non formali. Lo spazio è talmente open che nulla sfugge;
• cercate di comprendere quanto è dentro il DNA tentare, sperimentare,
realizzare quell’idea di cui hanno parlato (magari davanti alla macchina del
caffè o attorno alla tavola durante il pranzo), allargando il gruppo originario
per capire cosa pensano al riguardo Carlo e Giovanna e James (e Antonio e
Raquel e Michele...), che non c’erano;
• chiedete se i fallimenti, inevitabili, vengono solo tollerati o considerati una
parte del bagaglio di esperienze dei coworker e se nessuno si vergogna di
parlare con franchezza del proprio momento di maggiore imbarazzo
professionale;
• fatevi raccontare quali sono i progetti che sono stati considerati innovativi
per comprendere quanto effettivamente coworker e innovazione siano in
sintonia;
• rilevate se è normale inventare insieme ai clienti, se si incoraggiano i
coworker a impegnarsi in prima persona in contatti creativi con i clienti, se
viene considerato normale, quasi richiesto, che tutti i coworker dedichino del
tempo a progetti clandestini e se viene considerato un merito aiutarli.
Quando si esce deve restare addosso l’odore dei valori praticati che generano
prodotti o servizi e che il vanto, l’esibizione e la dimostrazione di quei valori è
un fatto endemico.
Entrando nel co-working Casa Netural è immediatamente
possibile sentirsi accolti, sentirsi parte dell’ambiente: un open
space di 80 mq organico nella struttura, in cui gli spazi di
lavoro si alternano a spazi di relax, come il terrazzo che si
affaccia sui Sassi di Matera o il mezzanino adibito a camera da
letto per permettere agli ospiti di vivere 24/7 con la community.
La progettazione, curata dallo studio uuushh di Andrea
Paoletti e Cristina Rebolo, si è sviluppata attraverso
un’azione partecipata coinvolgendo gli “abitanti netural” nel
processo di ideazione dei luoghi fisici di lavoro, capendo le
loro esigenze e cercando insieme di innovare gli ambienti di
lavoro, che non danno un’impressione netta di ufficio, ma
vogliono incentivare reazioni inaspettate e di sorpresa.
È stata perseguita la massima adattabilità degli spazi, per
una varietà di eventi, che abbiano appeal in modo da attrarre
diverse tipologie di persone e rendano l’idea di uno spazio in
continuo divenire. Particolare attenzione è dedicata al tema
della sostenibilità sviluppato pensando all’intero ciclo di vita dei
materiali, privilegiando quelli prodotti localmente, quelli
artigianali, quelli di riuso e riadattando elementi del
precedente spazio.
- 4. Europa
africaluna asia
rita
nilde
america nuova
zelanda
australia
cokids
cobaby
groenlandia
margherita
Attivo da più di un anno, Piano C è uno spazio coworking fondato da Riccarda
Zezza come una realtà al servizio donne lavoratrici con figli. Le professioniste
che scelgono di avvalersi di questo spazio possono infatti portarvi i bimbi,
lavorare, farli seguire da educatrici. Gli spazi, ricavati da un grande appartamento
in Via Simone d’Orsenigo a Milano, alternano uffici chiusi e open space con
postazioni operative, un’ampia varietà di spazi di riunione, e un’inedita area
Cobaby per i bimbi intrattenuti da educatrici mentre la mamma lavora. Sono
inoltre presenti una cucina per ritrovarsi nel momento del pranzo, la biblioteca e
uno spazio verde con divanetti e poltrone.
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zio che quasi magicamente finisce e resta a ogni istante.
Se dietro ad ogni scrivania, non c’è un membro della commu-
nity, non è un coworking.
Coworking è organizzazione anarchica. Questo significa
che il coworking – universo dell’inventiva – declina creatività
sapendo che non vuol dire improvvisazione senza metodo: in
questo modo si fa solo della confusione, soprattutto si illu-
dono i giovani a sentirsi creativi liberi e indipendenti. In un
coworking l’obiettivo è, invece, includerli in una realtà fatta
di valori oggettivi che diventano strumenti operativi nelle
mani di progettisti creativi.
Coworking è multiculturalismo e biodiversità del pensiero.
Per queste sue caratteristiche rappresenta un terreno fertile,
abitato da talenti che operano anche con modalità e compe-
tenze artigianali. In un coworking questo è possibile perché al
suo centro – per dirla con Richard Sennet e il suo “uomo arti-
giano” – c’è la persona, le sue competenze, le connessioni
mente, mano, desiderio, ragione. La base della creatività.
È creativa una mente:
•sempre al lavoro;
•sempre a far domande;
•sempre a scoprire problemi dove gli altri trovano risposte
•sempre a proprio agio nelle situazioni fluide nelle quali
gli altri fiutano solo pericoli;
•sempre capace di giudizi autonomi e indipendenti,
che rifiuta il codificato, che rimanipola oggetti e concetti
senza lasciarsi inibire dai conformismi.
Gli abitatori di un coworking sono sempre affamati di questo.
Operano allo svelamento delle radici del futuro che è già ar-
rivato, disegnano per sè e per gli altri, le mappe del viaggio
interiore, quelle vere, quelle complete.
E come insegna Oscar Wilde: “una carta del mondo che non
contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno
sguardo, perché esclude il solo Paese al quale l’umanità ap-
proda di continuo”.
In sintesi, i coworker che fanno del coworking un luogo che
esiste rendono concreta l’utopia dell’istruzione al futuro.
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- 5. Rivista
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Coworking, the art of working together
Not a business project, but one of networking where people are what counts: this is the concept behind
coworking and its spaces, which build webs of relations between workers, for the ongoing growth of all
Coworking is a common expression, at this point,
though still hard to find in many dictionaries. In
the collective understanding, it is clearly related
to a concept, apart from its literal interpretation.
The prefix co comes from the Latin cum, while
the English word working has spread, in this new
coinage, even to other languages. Considering
the fact that English comes from the western
branch of the Germanic tongues, onto which
Saxon and then French (conveying Latin) terms
were grafted, the etymology already contains
that basic value of sharing which is the true
genetic legacy of this innovative approach to
work, as is soon discovered by anyone who comes
into contact with the coworking pluriverse. Like
me, for example.
The term coworking was invented in 1996 in
California, and applied in 2005 by Brad
Neuberg when he opened a facility at 801
Minnesota Street in San Francisco, filling it with
Ikea furnishings and saying “here are the
workstations, with everything you need for an
office, available for rent to all. This place is
called the Hat Factory.” What prompted the
young American to take this path was the
desire to bring people together who share a
passion for the jobs they do, and for
innovation, with a need for space in which to
do it. He didn’t want to just rent desks.
In June 2013, in the world, there were over
2300 such spaces, a number that has surely
grown, in keeping with the global trend. Over
900 are located in North America, 150 in South
America, over 90 in Australia, while Africa
accounts for just 40. Europe has 100 more
facilities than North America. The European
capital of coworking is Berlin.
No official definition of coworking exists, and
every facility is different. The concept is still
evolving, seeking its own orientation, just like
the people behind it. Nevertheless, in general,
we can say that coworking means a dynamic
place where people not necessarily operating in
the same sectors or on the same projects can
work, sharing space and resources, such as the
Internet connection, the office equipment and
the coffee machine. Some work alone, others in
groups, establishing in both cases very close
personal ties that can generate benefits for all,
thanks to the intersection of different
experiences and specializations.
So coworking is a new way of working. Some
define it as “the art of online collaboration, or
of working together in an equal way.” No
rivalry, no competition, no sabotaging
colleagues to catch the boss’s eye, no
favoritism, no recommendations. Projects
develop thanks to affinities. Coworking is not a
business project, it is a network project. What
counts are people. The economic results depend
on this dimension and come of their own
accord. Coworking embodies this concept and
applies it in its spaces, constructing webs of
relations among workers who operate shoulder
to shoulder, leading to ongoing growth for all.
New collaborations emerge for new businesses,
and everyone offers micro-consulting services to
everyone else.
Don’t ask “what is coworking?…
ask “Who is coworking?”
Asking “who” is coworking means defining an
identity. This can be provided by people, not
places: people are in charge, and they give
places a meaning.
From coworking, I have understood that the
human capital represented by the sum of many
individuals can easily be transformed into
stable social capital, or namely a system,
because there is an internal relational bond
based on relationships of trust and an overall
vision. This is why coworking is a reality that is
constantly changing.
With these premises, what will be the
development of the dialectic dynamic of creative
and imaginative ecology that sets the tone of
coworking?
I think it is hard to predict this. In 2006 Brad
Neuberg had no idea what he had set in
motion. The same was probably true of Martin
Cooper, Steve Jobs or Bill Gates, at the
beginning. Not to mention Picasso with Les
Demoiselles d'Avignon.
Coworkers bear witness to the appeal of
Impact Hub Milano è il primo nodo italiano della rete Impact Hubs che conta 60 spazi di coworking nel mondo. Ruota attorno a uno spazio in via Paolo Sarpi 8,
con scrivanie e sale riunioni che si possono affittare e utilizzare in modo flessibile, dove è possibile accedere a workshop, percorsi formativi ed eventi utili allo
sviluppo del proprio progetto. Lo spazio che sostiene l’attività degli hubbers è fisico ma anche e soprattutto relazionale, basato sul network e sulla condivisione
orizzontale delle risorse e delle capacità, in ottica collaborante e corroborante.
- 6. Rivista
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venturing into a new spirit of the times that
judges things from all angles, seeing both the
details and the overall picture. We can think
about this in terms of possible directions.
We can think about a pluriverse that will be
increasingly inhabited, because we are not
looking at a passing fashion that characterizes
this “age of uncertainty,” as Zygmunt Bauman
calls it; we are looking into the essence of
biodiversity. The women and men of coworking
situations continue to grow in number, continue
to change because in their universe and those
that are appearing, or with which they come
into contact, they know that there is something
new, always: even consolidated relationships
are not the same as in the past. They continue
to watch, because they are not inside something
with a window that looks outward, but inside
the space that surrounds them.
And there are no limits, no borders, because the
constitutional charter of coworking springs from
the faith that fills the gestures of those who sow
the seeds, leading to ever more fertile harvest.
Coworking is …
I have traveled in the coworking pluriverse.
What have I taken away with me? What
engaged me? What have I understood?
Essentially three things.
Coworking is a revolution of the mind. The
place is not just a space, it is a mental state. So
concepts take a step back, letting people and
places do the talking, and this favors innovation.
There is no innovation without invention.
This is possible in a coworking facility because:
you can see the forest just as well as the trees:
this is the leverage effect of coworking!
in a coworking situation ideas do not exist: but
visionaries do!
It is in this mixture, in this convergence of
ideals and values, that the true innovation is
rooted. A community is constructed, but not a
closed one. A circulating community, where the
idea is to surf, where you can see everything,
immediately, in a space that almost magically
ends and remains with every moment. If behind
every desk there is not a member of the
community, it is not a coworking project.
Coworking is anarchic organization. This
means that coworking – the universe of
inventive endeavor – interprets creativity,
knowing that it does not mean improvisation
without method: that would only create
confusion, and give young people the illusion of
being free, independent, creative. In a
coworking project, on the other hand, the goal
is to get them involved in a reality made of
objective values that become operative tools in
the hands of creative designers.
Coworking is multiculturalism and
Talent Garden è il più grande network di digital campus, ovvero di spazi di coworking interamente dedicati al digitale e destinati a startup, freelance, agenzie,
incubatori, imprese e media che cooperano per accelerare l’ecosistema dell’innovazione. Fulcro del network Talent Garden Milano, un Campus digitale di oltre
1.500 mq aperto 24 h al giorno con 150 postazioni di lavoro, tra salette private e open space, sale riunioni, aree relax e spazi eventi fino a 200 persone. Numeri
che ne fanno uno dei più grandi coworking in Europa. Il design degli spazi è aperto e luminoso, realizzato con i materiali ecocompatibili ed ecosostenibili (carta,
cartone, corteccia, prato, muschio...). Arredi, i colori e gli oggetti sono ispirati al mondo della natura per richiamare l'atmosfera di un giardino dove i talenti,
come piccole piantine possono crescere e germogliare.
biodiversity of thought. Thanks to these
characteristics it represents fertile ground,
inhabited by talents who also operate with the
modes and forms of expertise of crafts. In a
coworking facility this is possible because at its
center – as Richard Sennet has suggested –
there is the person, their abilities, the
connections of mind, hand, desire, reason. The
basis of creativity. A creative mind is:
always at work;
always asking questions;
always discovering problems where other people
see satisfying responses;
always at ease in the fluid situations where
other people sense only danger;
always capable of autonomous, independent
judgment, rejecting what has been codified,
manipulating objects and concepts without the
inhibitions of conformism.
Coworkers are always hungry for all this.
They work to reveal the roots of the future that
is already here. For themselves and others, they
draw the maps of the inner voyage, the real,
complete ones.
As Oscar Wilde has taught us: “A map of the
world that does not include Utopia is not worth
even glancing at, for it leaves out the one
country at which Humanity is always landing.”
In short, coworker make coworking into a place
that exists, a concrete expression of the utopia
for the preparation of the future.
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Coworking, l’arte del lavorare insieme
Dal “luogo terzo”nuove sfide
e stimoli per il design
Il grande successo e la rapida espansione del fenomeno sono da attribuirsi al fatto che lo spazio di coworking è la manifestazione
fisica dei social media e permette di condividere esperienze in maniera più profonda rispetto al network digitale. Si tratta di un
“luogo terzo”, a metà tra l’ufficio tradizionale e l’home office. L’attrattività e il successo imprenditoriale di un coworking sono dati
non solo dai servizi offerti e dalle tariffe applicate, ma in buona parte anche dalla qualità dell’ambiente.
Nella realizzazione di un coworking il design ha quindi un ruolo strategico e determinante affinché i coworker trovino un luogo di lavoro
stimolante e corrispondente alle loro aspettative in termini di standard di qualità, comfort e dinamismo, molto più che nell’ufficio tradizionale.
Come dimostra il progetto dall’architetto Paola Martorana, che raccoglie la sfida di trasformare un edificio esistente, nato come spazio
commerciale adibito a showroom di arredi, in uno spazio di coworking recuperando al massimo la struttura e le dotazioni esistenti.
Un progetto di Coworking
nel Centro Direzionale di Napoli
di Paola Martorana, APM Architecture
L’intervento di riqualificazione funzionale che porterà alla na-
scita di un nuovo spazio di coworking ha come oggetto un edi-
ficio situato nell’area pedonale del Centro Direzionale di
Napoli, singolare sia per la forma ottagonale, sia perché costi-
tuito da un unico livello, con una grande terrazza in copertura
che rappresenta un punto di vista eccezionale sugli alti edifici
circostanti e sull’intero Centro Direzionale.
Il progetto è stato affrontato sin dall’inizio in maniera inter-
disciplinare, prendendo le mosse da un attento studio del fe-
nomeno del coworking su scala internazionale per
comprenderne appieno le peculiarità e le implicazioni sugli
aspetti di design. L’insieme delle componenti di progetto sta
dando origine alla creazione di una brand image unitaria, tra-
dotta e declinata in un’immagine architettonica corporate.
Gli obiettivi progettuali consistevano nel muovere da un’ottica
di riuso, che nasceva da motivazioni non solo economiche, ma
anche etiche e di sostenibilità, per dare vita a uno spazio com-
pletamente nuovo per estetica e funzionalità, che divenisse
un luogo di lavoro vitale e stimolante.
Il progetto architettonico è andato di pari passo con il modello
di business scelto per questo specifico coworking, caratterizzato
dalla volontà di rappresentare un punto di incontro attraverso la
creazione di un grande network di coworker, “residenti” e “no-
madi” e la possibilità di organizzare eventi sia interni che aperti
alla comunità. In quest’ottica è stato richiesto di non creare po-
stazioni di lavoro e uffici chiusi, ma di dedicare ampio spazio
agli ambienti per il matching e per i nomadi.
I principali requisiti richiesti erano la flessibilità e riconfigu-
rabilità degli spazi attraverso la mobilità degli arredi, la robu-
stezza, il benessere acustico e illuminotecnico, ma soprattutto
la possibilità per ciascun utente di trovare all’interno dello
spazio la propria zona di comfort secondo le preferenze indi-
viduali e le esigenze del momento.
Nel progetto differenti attività ed esigenze peculiari del coworking sono supportate
dalla presenza di molteplici scenari, che di volta in volta possono essere scelti dagli
utenti. I punti nodali del progetto sono le aree matching ed eventi, ambienti
informali e stimolanti dove i co-worker si incontrano per scambiarsi idee ed aprirsi
a nuove sinergie. Materiali ed arredi fonoassorbenti garantiscono il necessario
comfort acustico
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Coerentemente con il programma generale la terrazza è
stata pensata come un punto nodale, capace di assumere
sia la valenza di luogo di lavoro che di incontro e di aggre-
gazione en plein air. Partendo dal concetto di recupero, è
stata data una connotazione del tutto nuova alle partizioni
vetrate, utilizzate come supporto per la comunicazione attra-
verso l’uso di grafiche, disegnate ad hoc per aggiungere signi-
ficato alle pareti stesse, non più elementi di separazione ma
veicolo di messaggi e stimoli.
Gli arredi esistenti che si è scelto di riutilizzare sono stati in-
tegrati con arredi speciali realizzati su disegno, poiché in un
coworking le tipologie di arredo devono essere estremamente
varie, ma tutte caratterizzate da un forte appeal estetico, fles-
sibilità e riconfigurabilità, giocando un ruolo determinante,
attraverso una forte connotazione formale e funzionale, nella
definizione degli spazi e delle modalità d’uso.
Il progetto prevede inoltre l’inserimento di pannelli ed ele-
menti d’arredo fonoassorbenti, per garantire il necessario
comfort acustico, fondamentale in un ambiente di lavoro
condiviso da tante persone contemporaneamente.
Infine particolare attenzione è stata dedicata allo studio del
colore, che rappresenta un forte strumento a disposizione del
progettista per trasformare e caratterizzare gli spazi e nel
contempo per suscitare emozioni e reazioni positive, benes-
sere e aumento della produttività, al di là dei gusti e delle
preferenze personali. Non solo quindi ricerca dell’armonia e
richiamo ai colori del brand, ma piuttosto variazione degli
stimoli sensoriali secondo le attività che si svolgono in un
dato spazio e in un dato momento, uscendo dall’atmosfera sia
domestica che dell’ufficio tradizionale.
Un pensiero positivo sul futuro:
nuovi stimoli per progettisti e aziende
Ciò che traggo principalmente da questa esperienza proget-
tuale è un pensiero estremamente positivo sulla diffusione
degli spazi di coworking, che porterà un sempre maggior nu-
mero di persone a entrare in nuovi network non più solo di-
gitali, permettendo di creare comunità allargate di lavoratori
che agiscono in sinergia e si rafforzano a vicenda.
Tutto ciò costituisce nuovi stimoli anche per gli architetti e
le aziende produttrici di arredo che vogliano cavalcare l’onda
dell’innovazione con nuove linee di prodotto pensate ah hoc
per questo “luogo terzo”, come alcune di esse stanno già fa-
cendo, non solo all’estero ma anche in Italia. E per finire
penso che ci siano tre parole presenti nel concetto di cowor-
king che dovrebbero costituire un mantra per il nostro fu-
turo: ricerca, innovazione, network.
Attività e connessioni negli spazi del coworking
Il progetto architettonico è andato di pari passo con il modello di business scelto
per questo specifico coworking, caratterizzato dalla volontà di rappresentare un
punto di incontro attraverso la creazione di un grande network di coworker,
“residenti” e “nomadi” e la possibilità di organizzare eventi sia interni che aperti
alla comunità
- 9. Rivista
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Officelayout: Come nasce l’idea di trasformare lo studio di
progettazione in uno spazio di coworking?
Lucilla Magliulo: In anni di esperienza professionale nella
progettazione di ambienti di lavoro ho avuto modo di seguire
l’evoluzione degli spazi ufficio, da strutture rigide volute da
organizzazioni fortemente gerarchizzate ad ambienti più in-
formali e destrutturati dove l’assenza di schemi e barriere fa-
vorisce il fluire naturale delle idee, fondamentali per il
successo delle aziende. Con questa consapevolezza ho quindi
scelto di riorganizzare la mia attività con un approccio che
non è quello dello studio di progettazione tradizionale, ma di
un network di professionisti, selezionati da anni di collabo-
razioni che mettono in campo le proprie competenze ogni
volta in modo diverso a seconda del progetto. GMA Network
nasce infatti come gruppo di lavoro in continua evoluzione
nel quale i professionisti mantengono una propria autono-
mia, non occupano gli spazi in modo continuativo, ci si in-
contra in studio solo in occasione di brief di progetto o per
incontri con il cliente. Scelta questa che ha permesso una
maggiore flessibilità nell’utilizzo degli spazi e di non gravare
gli onorari con costi fissi di struttura. Da questa nuova acqui-
sita dinamicità prende piede l’idea di creare le condizioni
per far evolvere lo studio in uno spazio di coworking
aprendo le porte anche ad altri professionisti non necessa-
riamente legati mondo dell’architettura e del design, ma
sempre orientati ai servizi per le aziende. Dopo aver valu-
tato situazioni simili ho deciso di presentare la candidatura
alla rete CoWo Project, un’organizzazione consolidata che
raggruppa oltre novanta spazi di coworking in tutta Italia
supportando le start up e permettendo di avere visibilità.
Candidatura che è stata accettata essendo stata ricono-
sciuta la location, l’accessibilità e la tipologia degli spazi
consoni a supportare questo tipo di attività.
Che caratteristiche deve avere uno spazio di coworking?
Deve essere innanzitutto situato in una zona della città co-
modamente accessibile, vicino ai mezzi pubblici, a stazioni
ferroviarie o ai collegamenti con gli aeroporti perché questo
favorisce il transito delle persone. Dal punto di vista distribu-
20 Officelayout 156 gennaio-marzo 2014
Coworking, l’arte del lavorare insieme
Case history:
COWO Milano Stazione Centrale
Da studio di architettura a spazio di coworking il passo è breve. Lo dimostra l’esperienza avviata dall’architetto Lucilla Magliulo che da un
anno ha aperto le porte del proprio studio a coworker di diversa nazionalità e professione che, oltre a condividere scrivanie, interagiscono
confrontandosi e collaborando su progetti comuni.
a cura della redazione
- 10. Rivista
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21Officelayout 156 gennaio-marzo 2014
tivo deve essere offerta una varietà di luoghi con caratteristiche
diverse dove lavorare, quindi oltre ad uffici chiusi, postazioni in
open space e sale riunioni, deve comprendere postazioni touch
down e aree informali di incontro, in modo che i coworker pos-
sano trovare il luogo giusto ove collocarsi per lavorare in modo
concentrato, riunirsi, lavorare in spazi più aperti a contatto con
altri professionisti o sedersi e parlare prendendo un caffè. Biso-
gna infatti mettere le persone nella condizione di avere spazi
dove potersi concentrare, ma anche svariati punti dove poter
parlare, scambiare informazioni, rilassarsi, …
L’ideale è dunque uno spazio aperto, facilmente riconfigura-
bile e confortevole anche dal punto di vista acustico e illumi-
notecnico. Deve essere poi dotato di tutte le tecnologie oggi
indispensabili per lavorare, come un’ottima connessione wi-
fi e, come nel nostro caso, connessioni cablate alla rete per
webinars o collegamenti che richiedono una maggiore affida-
bilità di banda.
Le postazioni devono essere ergonomiche, correttamente
orientate rispetto alla provenienza della luce naturale, e do-
tate di cassettiera e un mobile contenitore provvisti di serra-
tura dove poter riporre oggetti di uso personale. Sono
preferibili arredi facilmente spostabili, non vincolati da ca-
blaggi fissi e di facile manutenzione. È poi importante preve-
dere un impianto di illuminazione con luce diffusa e luce
concentrata per l’illuminazione delle aree da lavoro e, se oc-
corre, lampade da tavolo in modo da non dover intervenire
sugli impianti in caso di riconfigurazione del layout.
In uno spazio inserito in uno stabile dei primi del novecento,
quali adeguamenti si sono resi necessari?
Lo studio è il risultato della trasformazione di un apparta-
mento, per cui sono stati necessari dei cambiamenti nell’or-
ganizzazione degli spazi e nelle dotazioni tecnologiche. È
stato creato un ambiente open con quattro ampie postazioni
fisse, una sala riunioni chiusa che può accogliere fino a otto
persone e un punto di incontro informale nell’area di in-
gresso. È stata completamente ripensata la kitchenette tra-
sformata anch’essa in spazio di lavoro con postazioni touch
down per chi è solo di passaggio e quindi necessità di un sem-
plice punto di appoggio. Disponevamo poi di un’ampia ter-
razza, circa 40 mq, che è stata arredata con un grande tavolo,
poltroncine e tavolini affinché potesse essere utilizzata nella
bella stagione come spazio ricreativo, ma anche di lavoro es-
sendo anch’essa raggiunta dal wi-fi. Infine, è stata dedicata
particolare attenzione alla sicurezza del luogo di lavoro la cui
verifica è stata affidata a una società specializzata.
Cosa implica il fatto di essere affiliati alla rete Cowo e
quali le modalità di fruizione degli spazi?
Pur facendo parte di una rete di coworking molto estesa, non
siamo tenuti ad avere tutti la stessa offerta, nel senso che le
modalità di fruizione degli spazi sono calibrate in base alle
specificità della domanda. Nel nostro caso l’estrema vicinanza
alla Stazione Centrale comporta un’utenza mobile, professio-
nisti e società che devono incontrare clienti a Milano, persone
in visita per fiere o manifestazioni, pertanto offriamo la pos-
sibilità di appoggiarsi presso il nostro spazio in modo molto
flessibile. Nello specifico oltre alla postazione fissa per uno
o più mesi, assegnata e personalizzabile, offriamo alle per-
sone che vengono saltuariamente a Milano la possibilità di
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appoggiarsi anche per una sola giornata utilizzando una delle
scrivanie libere o una postazione touch down. Sono stati in-
fatti studiati dei carnet che danno diritto a dieci ingressi
giornalieri, fruibili liberamente a date prefissate o a seconda
delle esigenze prenotando con un minimo di anticipo. Molto
richiesta la sala riunioni, che offriamo in modo flessibile con
semplice prenotazione.
Quali sono i caratteri distintivi dei coworker che si sono
alternati nel corso di questo primo anno di apertura?
Nella maggior parte dei casi sono liberi professionisti, im-
prenditori di se stessi, che hanno delle idee e sono determi-
nati a realizzarle. Più raramente sono persone facenti parte
di realtà aziendali con base fuori città che necessitano di
spazi di appoggio per la propria attività, per incontrare i
clienti, per fare formazione…
Nell’interesse verso il coworking c’è sicuramente un aspetto
economico dettato dalla possibilità di avere condizioni con-
venienti grazie alla condivisione delle spese e alla possibilità
di fruire gli spazi in modo flessibile, ma il vero valore è dato
dal fatto che le persone che frequentano questi spazi, anche
se per periodi brevi, instaurano tra loro legami personali e
professionali utili alla loro attività.
Numerosi studi hanno dimostrato infatti che il coworking è
un fenomeno che sta prendendo piede proprio perché le per-
sone hanno bisogno di questa dimensione sociale del lavoro.
Cosa le ha trasmesso questa esperienza dal punto di vista
umano e dal punto di vista professionale?
Ho avuto la possibilità di conoscere molte persone che cre-
dono in un’idea e fanno di tutto per realizzarla, pur in un
momento difficile come quello che stiamo vivendo. È stato
molto positivo entrare in contatto con questo fermento, che
forse si percepisce meno in altri ambiti lavorativi. È servito
per mettere in moto nuovi pensieri e ampliare le vedute. Ma
per avere una piena opportunità di entrare in contatto con
altri professionisti, prendere spunti, rendere visibile il nostro
lavoro e aprire potenziali finestre di collaborazione ho scelto
di non avere un’area riservata, ma di lavorare insieme agli
altri affinché avvenga più facilmente la contaminazione delle
idee utile per lo sviluppo di idee o di nuovi progetti.
Dal punto di vista professionale, sperimentare in modo di-
retto come uno spazio possa diventare dinamico ha rafforzato
l’idea, che avevo già maturato in anni di esperienza nella
progettazione di luoghi di lavoro, che l’ambiente lavorativo
può essere in grado di incoraggiare nuove modalità di rela-
zione permettendo alle idee di svilupparsi. Le persone hanno
potenzialità creative, ma solo se messe a proprio agio in un
contesto non troppo formale l’idea nasce e prende forma.
Da anni progettiamo e supportiamo le aziende nell’ottimiz-
zazione degli spazi, ma anche nel capire quale sia il tipo di
ambiente lavorativo ideale per incrementare la produttività
e la motivazione delle persone. Ora, avendo vissuto l’espe-
rienza diretta del coworking, siamo in grado di supportare
chiunque voglia aprire uno spazio di lavoro condiviso, aiu-
tandolo a creare un ambiente riconfigurabile, ergonomica-
mente corretto, vario e avvincente.
Coworking, l’arte del lavorare insieme