XI Lezione - Arabo LAR Giath Rammo @ Libera Accademia Romana
La responsabilità civile dell’avvocato
1. GIANANDREA BONINI
AVVOCATO
La responsabilità civile dell’avvocato.
SOMMARIO: 1. L’OGGETTO DELL’ATTIVITÀ DELL’AVVOCATO – 2.
QUALIFICAZIONE GIURIDICA – 3. ONERE DELLA PROVA – 4. DANNO RISARCIBILE -
5. CONCLUSIONI.
* * *
1) L’oggetto dell’attività dell’avvocato. L’avvocato é il
professionista che, rispettivamente in ambito stragiudiziale e giudiziale,
svolge a favore del proprio Cliente attività giuridica di consulenza nonché
di rappresentanza e di assistenza.
L’attività di consulenza consiste nel consigliare il Cliente
nell’ambito di un dubbio o di un quesito e - laddove non si esaurisca nel
semplice chiarimento (verbale o scritto) – può anche assumere il carattere
dell’assistenza stragiudiziale (redazione di contratti, statuti, diffide,
denunce, regolamenti, partecipazione ad assemblee, etc...) da non
confondere con l’assistenza giudiziale.
Senza volere entrare nel merito delle dotte dissertazioni
degli Autori, la rappresentanza giudiziale é invece l’attività con la quale, a
seguito del conferimento di una procura, l’avvocato - nell’ambito del
Giudizio - esercita il ministero conferito dal Cliente comparendo davanti
al Giudice in nome e per conto del Cliente, poiché questi – ad eccezione
delle cause di valore inferiore a € 1.000,00 - é incapace (legale) di
esercitare autonomamente i poteri necessari alla tutela dei propri diritti.
L’assistenza giudiziale (meglio conosciuta come difesa), é
poi l’attività con la quale – in nome proprio ma a favore della Parte -
l’avvocato parla, scrive, svolge argomenti difensivi, interpreta (e stressa) la
Legge a favore del proprio Cliente.
Mi permetto di osservare che, secondo l’insegnamento dei
Maestri, un buon avvocato é l’avvocato di parte ma non l’avvocato
partigiano.
Orbene, se si considera che prassi autorevole1 ha
riconosciuto che l’attività di rappresentanza e di assistenza sono riservate
agli avvocati solo nei limiti della rappresentanza e dell’assistenza
giudiziale (e, comunque, per le attività in diretta collaborazione con il
giudice nell'ambito del processo) laddove - al di fuori di tali limiti -
l'attività di assistenza e di consulenza legale può essere svolta anche da chi
non sia iscritto all’Albo – se ne può desumere che l’esercente attività legale
non iscritto all’Albo (senza, quindi, essere un avvocato) svolge più
precisamente attività di consulenza.
1
Cass. civ. Sez. Unite, 03/12/2008, n. 28658.
VARESE – VIA CAIROLI, 5
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2. Ferma dunque, a (s)favore del Cliente, la facoltà di farsi
consigliare (in sede stragiudiziale) da chiunque2, allo stato dell’arte, per
cause di valore superiore a € 1.000,00, il cittadino che voglia tutelare le
proprie ragioni davanti al Giudice dovrà rivolgersi ad un avvocato al quale
conferire il ministero di rappresentanza e di assistenza.
2) Qualificazione giuridica. A seguito del conferimento
dell’incarico, l’avvocato si obbliga (verso un corrispettivo e senza vincolo
di subordinazione) a svolgere a favore del proprio Cliente attività di
consulenza ovvero di rappresentanza ed assistenza giudiziale.
L’attività del legale - nelle tre forme di cui sopra – consiste
in una prestazione intellettuale che ha ad oggetto un’obbligazione di
mezzi3, il cui adempimento si esaurisce nel semplice compimento delle
attività necessarie in relazione alle singole circostanze del caso, a
prescindere dal conseguimento del risultato auspicato dal Cliente.
La Giurisprudenza é granitica nel ritenere che la
responsabilità professionale dell'avvocato - la cui obbligazione é per
l’appunto di mezzi non di risultato - presuppone la violazione del dovere di
diligenza professionale media, da commisurare alla natura dell'attività
esercitata.
Dunque, se l’avvocato non ha l’obbligo di garantire il
risultato e se, di conseguenza, la soccombenza del Cliente non costituisce
automaticamente presupposto per una condanna al risarcimento dei danni,
il professionista vi sarà invece tenuto laddove abbia violato (anche per
colpa lieve) i propri doveri di diligenza (competenza), di prudenza e di
perizia nell’ambito di un mandato di complessità anche alta, laddove
risponderà solo per colpa grave nell’ambito di errori relativi alla
2
E indubbio che anche l’attività di consulenza debba ispirarsi ai criteri di massima
prudenza ed appare dunque discutibile la pronuncia delle Sezioni Unite che ne consentono
l’esercizio a chi non abbia conseguito l’iscrizione all’Albo che, almeno in via presuntiva,
costituisce un presupposto di preparazione e competenza professionale.
Si pensi alle c.d. “cause perse” (ammesso e non concesso che ne esistano) per le quali -già
nella fase di primo esame e studio - l’attività del difensore può essere preziosa, al fine di
limitare o di escludere il pregiudizio insito nella posizione del cliente, quanto meno in
vista della coltivazione di una soluzione transattiva, la cui utilità ed opportunità può essere
consapevolmente valutata solo da chi conosca la Fase Giudiziale.
Si veda, circa gli obblighi del difensore nell’ambito di una causa (presuntivamente) persa,
Cass. Sez. III, 2 luglio 2010, n. 15717.
3
Parte della Dottrina e della Giurisprudenza supera la distinzione tra obbligazioni di
mezzi e di risultato sull'assunto che il risultato - inteso come momento conclusivo della
prestazione dell’avvocato - e' dovuto in ogni obbligazione e il suo raggiungimento e'
subordinato alla predisposizione di mezzi utili per conseguirlo.
L’avvocato, quindi, sarebbe tenuto a raggiungere il fine ultimo voluto dal cliente
svolgendo una serie di prestazioni, comportamenti e atti conformi alle regole dell'arte e
alle norme di correttezza; il risultato si identificherebbe, in ultima analisi, non
nell'integrale soddisfazione delle ragioni del cliente ma nell'attuazione di tutte quelle
attività, anche di natura discrezionale, che si rendono necessarie e opportune affinché -
secondo un giudizio di scienza e di coscienza - l'opera possa realizzarsi.
2
3. valutazione e alla risoluzione di questioni giuridiche (sostanziali e
processuali) particolarmente complesse o difficili.
La Giurisprudenza riconosce quindi la piena sussistenza
della responsabilità professionale dell’avvocato - al di là, dunque, delle
limitazioni di cui all'art. 2236 c.c. - allorquando, nell’ambito di un caso non
implicante la risoluzione di questioni giuridiche di particolare difficoltà, il
professionista non abbia osservato quelle regole che costituiscono il
proprio necessario corredo professionale che, per comune consenso e
consolidata prassi, siano acquisite alla scienza del Diritto ed alla pratica del
settore e siano quindi funzionali ad attività di carattere ordinario, non
caratterizzate da alcuna particolare complessità.
E’ stato coerentemente osservato4 che rientra nell’ambito
delle competenze specifiche dell’attività professionale e dei doveri di
diligenza - la cui violazione é presupposto di colpa - la consapevolezza che
la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda espone il cliente
alla soccombenza.
L’avvocato quindi ha un obbligo giuridico di protezione e di
conservazione della sfera giuridica del proprio assistito che deve essere
guidato e indirizzato dal professionista che gli deve fornire le necessarie
informazioni5, anche per consentirgli di valutare i rischi insiti
nell’iniziativa giudiziale.6
4
Cassazione civile, sez. III 12/04/2011 n. 8312.
5
E’ noto che ’avvocato ha l’obbligo di difendere gli interessi del Cliente nel miglior modo
possibile ed è destinatario dell’obbligo di comunicare alla parte assistita la necessità del
compimento di determinanti atti, al fine di evitare, tra gli altri, effetti pregiudizievoli
relativamente agli incarichi in corso di trattazione.
Al momento del conferimento dell’incarico, l’avvocato, previa adeguata informazione da
parte del Cliente sulle circostanze di fatto inerenti la questione in esame, deve - secondo
scienza (Legge, Dottrina e Prassi) e coscienza (possibilità di perseguire l’interesse del
Cliente al di fuori del ricorso all’Autorità Giudiziaria) - consigliare il proprio Assistito
sull’opportunità/necessità di promuovere un’azione giudiziaria ovvero di astenersene, a
seconda che, a un giudizio prognostico, l’esito della causa gli appaia rispettivamente
favorevole o infausto.
Laddove l’avvocato esprima parere favorevole, Egli riceve dal Cliente il mandato “ad
litem”.
Successivamente all’instaurazione del Giudizio, l’avvocato deve altresì comunicare -
senza ritardo - al proprio Cliente ogni notizia utile alla protezione dei suoi interessi e, tra
le informazioni che il professionista deve riportare, rientrano – naturalmente - le proprie
osservazioni e valutazioni circa il contenuto degli atti che la Controparte deposita a
propria difesa.
Questi atti contengono elementi - di fatto e di diritto - nuovi e diversi rispetto a quelli
prospettati dalla Parte che ha promosso il Giudizio.
L’avvocato, dunque, ha l’obbligo di difendere la Parte e, conseguentemente, di prospettare
al Giudice una “rappresentazione di Parte”.
L’avvocato, come qualsiasi professionista, ha d’altra parte l’obbligo di criticare, vagliare,
sottoporre continuamente ad esame il proprio operato, al fine di verificare se la tesi che ha
introdotto nel Giudizio sia o meno, alla luce della difesa avversaria, giuridicamente
fondata.
3
4. Una volta che sia accertata la colpa dell’avvocato (secondo
il principio non poteva/non doveva non sapere/doveva sapere), ai fini
dell’obbligo al risarcimento del danno, é d’altra parte necessario accertare -
sulla base di criteri necessariamente probabilistici - che, senza l’omissione,
il risultato auspicato dal Cliente sarebbe stato conseguito.
Di talché, laddove sia accertato che si sarebbe comunque
verificata soccombenza, l’avvocato andrà esente da qualsiasi condanna di
risarcimento del danno (potendo eventualmente essere sanzionato in sede
disciplinare).
3) Onere della prova. Con generoso richiamo a precedenti
giurisprudenziali é stato superato7 l’assioma secondo cui - laddove l’errore
o l’omissione del difensore aveva impedito l'esame del merito o aveva
Può accadere che l’avvocato, a seguito di una critica onesta del proprio lavoro, riscontri
che, dalla lettura degli atti depositati da Controparte, si profili l’eventualità che la
domanda del proprio Cliente venga respinta.
E’ frequente che l’avvocato, seppure abbia consigliato al proprio Cliente di promuovere
una causa giudiziaria, si accorga, dall’esame delle difese avversarie, che emerge la
probabilità – o, quanto meno, la possibilità - che esse vengano giudicate dal Magistrato di
pregio giuridico maggiore rispetto a quello sotteso alle difese che Egli ha introdotto
nell’interesse del proprio Cliente.
Ciò può accadere in due casi:
a) quando vi è contrasto giurisprudenziale sulla questione dedotta in giudizio (la Corte di
Cassazione ha emesso sentenze discordanti sul medesimo caso);
b) quando la fattispecie è chiara e l’avvocato non ha prestato adeguata attenzione
all’indirizzo giurisprudenziale prevalente o all’interpretazione di una norma giuridica.
Con cautela, accertata la non manifesta infondatezza della tesi avversaria nel caso a)
(probabilità che la tesi avversaria venga preferita alla propria) l’avvocato dovrà
domandarsi quale possa essere l’esito della domanda del proprio Cliente e,
ragionevolmente, potrà anche decidere di proseguire nel giudizio e “rischiare” di “perdere
il processo”.
Con cautela, accertata la possibile fondatezza della tesi avversaria (ovvero la concreta
possibilità che essa sia giudicata fondata dal Magistrato), l’avvocato potrà 1) perseverare
nel giudizio, con il rischio di soccombenza e condanna del proprio Cliente al pagamento
delle spese legali; 2) consigliare al proprio Cliente di rinunciare alla domanda, al fine di
“limitare i danni”.
E' accaduto che, pur avendo compreso la fondatezza delle ragioni della Controparte, il
Professionista abbia evitato di comunicare la circostanza al proprio Cliente e, al momento
del deposito della sentenza, abbia giustificato la soccombenza adducendo
l’impreparazione del Magistrato o abbia sottoposto al proprio Assistito, con linguaggio
tratto dal più oscuro “legalese”, inestricabili motivazioni di ardua decifrazione.
Per parte mia, ritengo che, riconosciuta la concreta possibilità che la domanda del Cliente
sia respinta, per l’avvocato non sussista altra opzione che 1) informare il Cliente della
possibilità dell’esito infausto della causa, anteponendo dunque l’interesse dell’Assistito al
proprio orgoglio; 2) escogitare, nell’interesse del Cliente, la soluzione migliore per
limitare le conseguenze di danno derivanti dalla fragilità della propria difesa.
6
Si veda, sul tema, Cass. civ. Sez. 3, 30 luglio 2004 n. 14597; Cass. civ. Sez. 3, 20
novembre 2009 n. 24544.
7
Cass. civ. Sez. III, 06-02-1998, n. 1286.
4
5. portato ad una pronuncia di segno negativo - non sarebbe stato mai
possibile determinare quale sarebbe stato l'esito finale di una causa.
In tema di responsabilità contrattuale, le Sezioni Unite della
Cassazione8, hanno risolto la questione se l'incertezza circa la prova
dell'esatto adempimento da parte del debitore rientri fra i rischi della
prestazione e hanno risolto la questione intervenendo sulla distribuzione
dei carichi probatori, nel senso di ampliare il rischio della prestazione fino
al punto da ricomprendervi anche il rischio della prova della sua puntuale
esecuzione.
La prassi successiva si é uniformata – con costante
convinzione - al principio secondo cui il creditore della prestazione di un
facere é esonerato dall'onere di provare il fatto negativo
dell'inadempimento, dovendo piuttosto il debitore convenuto fornire la
prova del fatto positivo dell'avvenuto adempimento, in ossequio al
principio di riferibilità e di vicinanza della prova, in virtù del quale l'onere
istruttorio va sempre ripartito tenendo conto, in concreto, della possibilità
per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono
nelle rispettive sfere di azione.
Sulla base di questo principio, non convince quindi la
pronuncia9 della Sezione Semplice secondo cui l'affermazione della
responsabilità dell’avvocato implica l'indagine, positivamente svolta sulla
base degli elementi di prova che il cliente ha l'onere di fornire, circa il
sicuro e chiaro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta
e diligentemente coltivata, e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti
di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente.
Nel particolare contesto tecnico-giuridico del contendere,
sarebbe stato infatti più equo attribuire al Cliente l’onere di provare il
danno, riservando invece all’avvocato (su cui deve gravare il rischio della
prova circa la puntuale esecuzione del mandato) l’onere di provare il
proprio esatto adempimento.
Se, pertanto, é condivisibile che il cliente sia tenuto a
provare di avere sofferto un danno, non pare convincente che egli sia
onerato anche della prova che questo è stato causato dall'insufficiente o
inadeguata attività del professionista (prova del nesso di causalità tra
evento e danno).10
Se é vero come é vero che l’avvocato esercita la propria
opera professionalmente ed é quindi tenuto ad una diligenza qualificata11
(art. 1176, 2° c. c.c.), ne deve necessariamente derivare un regime
8
Cass. Civile, Sezioni Unite, 30 ottobre 2001 n° n°13533.
9
Cass. civ. Sez. II, 11/08/2005, n. 16846.
10
Cass. civ. Sez. II, 27/05/2009, n. 12354 che rigetta, App. Roma, 22/04/2004.
11
Anche se Cass. civ. Sez. II, 23-04-2002, n. 5928 ( e, tra le tante Cass., n. 8033/93, n.
3879/96, n. 6812/98, parlano – con indulgenza per la classe forense - di diligenza del
“buon padre di famiglia.”
5
6. probatorio particolarmente severo (l’incombenza a suo carico del rischio di
non riuscire a fornire la prova liberatoria dell’adempimento), a pena di
gravare il Cliente di una probatio diabolica.12
Ben si comprende allora perché altra Sezione della Corte di
13
Cassazione abbia deciso che “ In tema di responsabilità professionale
dell'avvocato la mancata indicazione al giudice delle prove indispensabili
per l'accoglimento della domanda costituisce, di per sé, manifestazione di
negligenza del difensore (n.d.r. senza la necessità che il clienti dimostri
che, se le prove fossero state ostentate, la causa avrebbe avuto esito
diverso) salvo che egli dimostri di non aver potuto adempiere per fatto a
lui non imputabile o di avere svolto tutte le attività che, nella particolare
contingenza, gli potevano essere ragionevolmente richieste, tenuto conto,
in ogni caso, che rientra nei suoi doveri di diligenza professionale non
solo la consapevolezza che la mancata prova degli elementi costitutivi
della domanda espone il cliente alla soccombenza...” poiché “... il cliente,
normalmente, non è in grado di valutare regole e tempi del processo, né
gli elementi che debbano essere sottoposti alla cognizione del giudice, così
da rendere necessario che egli, per l'appunto, sia indirizzato e guidato dal
difensore, il quale deve fornirgli tutte le informazioni necessarie, pure al
fine di valutare i rischi insiti nell'iniziativa giudiziale.”
Nella fattispecie, i giudici ermellini cassarono la sentenza di
merito che aveva (sorprendentemente) escluso la responsabilità
professionale del difensore il quale, in un giudizio risarcitorio a seguito di
sinistro stradale, aveva chiesto fissarsi l'udienza di precisazione delle
conclusioni senza aver dato corso alle prove sulle modalità del fatto, sulla
responsabilità e sull'entità dei danni - reputando, erroneamente, che
gravasse sul cliente l'onere di provare di aver fornito al difensore la lista
testimoniale, là dove, invece, era onere di quest'ultimo dimostrare di aver
sollecitato adeguatamente il cliente a siffatta comunicazione.
Una volta accertata l’indulgenza radicata nel principio
consolidato secondo cui, in materia di responsabilità del professionista, il
cliente è tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno ma anche che
questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del
professionista14 e cioè dalla difettosa prestazione professionale, ne
consegue il corollario che il cliente non può limitarsi a dedurre l'astratta
possibilità della riforma in appello di tale pronuncia in senso a lui
favorevole ma deve dimostrare l'erroneità della pronuncia in questione
oppure produrre nuovi documenti o altri mezzi di prova idonei a fornire la
ragionevole certezza che il gravame, se proposto, sarebbe stato accolto.
12
Di “probatio diabolica”scrive anche DARIO COVUCCI, “La responsabilità
professionale dell’avvocato: l’evoluzione continua” in DANNO E RESPONSABILITA’,
7/2011, pagg.742-752
13
Cass. civ. Sez. III, 12/04/2011, n. 8312.
6
7. 4) Danno risarcibile. Ferma la pacifica configurabilità del
danno emergente (pagamento delle spese legali), la Giurisprudenza di
Legittimità riconosce a favore del Cliente il risarcimento del danno “da
perdita di chance” di ottenere un effetto vantaggioso dalla diligente
esecuzione dell’incarico.
Secondo la Prassi, la liquidazione del danno deve essere
effettuata assumendo come parametro di valutazione il vantaggio
economico complessivamente realizzabile dal conseguimento del petitum
mediato (bene rivendicato nella domanda), diminuito di un coefficiente
proporzionato al grado di possibilità di conseguirlo, con facoltà
dell’applicazione del criterio equitativo di cui all’art. 1126 del Codice
Civile.
5) Conclusioni. Ritengo che - ferma la fondatezza della
sussunzione dell’obbligazione dell’avvocato tra quelle di mezzi – il criterio
di distribuzione dei carichi probatori formulato dalla Corte di Cassazione
(in deroga alla disciplina contrattuale comune come riassunta da
Cassazione 13533/2001) aggravi ingiustificatamente la posizione del
Cliente a vantaggio di quella dell’avvocato che, in qualità di professionista,
é per definizione più prossimo e più vicino agli elementi di fattispecie che
gli sono riferibili (essendo, prosaicamente, suo pane quotidiano) e che, di
conseguenza, ha meno difficoltà a distinguerne gli elementi di imputabilità.
Il quisque de populo sarà invece gravato della ricostruzione,
sotto il profilo eziologico, dei presupposti della c.d. triplice causalità: in un
primo momento, dovrà dimostrare l’inadempienza dell’avvocato, poi la
sussistenza del nesso causale tra il comportamento inadempiente del
patrono e il danno per poi fornire elementi convincenti che il danno é
conseguenza immediata e diretta del predetto inadempimento, laddove il
professionista (cui la Giurisprudenza, peraltro, richiede la diligenza del
buon padre di famiglia in luogo di quella qualificata) ben potrà opporre
l’eccezione di cui all’art 2236 del Codice Civile, laddove la questione
dibattuta appaia controversa.
In conclusione, ritengo di potere giudicare il criterio d’
imputazione dell’onere probatorio adottato dalla Giurisprudenza ratione
materiae stravagante rispetto all’ordinario regime contrattuale (quasi si
trattasse di colpa aquiliana) ma, da avvocato - senza alcuna ipocrisia - non
posso che accoglierne l’applicazione con indulgenza, in ragione dei (anche
furiosi) contrasti giurisprudenziali che spesso animano questioni giuridiche
di (presunta) semplice soluzione.
7