3. Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
3
voglia
scoprire
Con tanta
di Diego Mecenero *
* autore e giornalista, direttore responsabile della rivista
Gentilissimi lettori,
troverete in questo numero un’alta dose di infor-
mazioni inedite ed esclusive, segno della grande
voglia di “ricerca” che ci sta ultimamente carat-
terizzando.
L’aver allargato la visuale della rivista alla Regione
Marche ci dà questa carica, proprio perché in
essa le “perle francescane” presenti sono ancora
perlopiù taciute e inesplorate.
Parleremo della presenza di San Francesco ad
Ascoli Piceno e, con l’occasione, della celebre
Quintana e di altri eventi collegati che ci hanno
visto come protagonisti.
Abbiamo raccolto interviste esclusive a perso-
naggi noti: lo studioso francescano di portata
mondiale Felice Accrocca e l’attrice recanatese
Gloria Ghergo del film su Leopardi Il giovane fa-
voloso (nel ruolo di Silvia).
Vi racconteremo del Francesco che voleva diven-
tare cavaliere e della Rocca della sua cittadina na-
tale. E molto altro, davvero molto altro, come ad
esempio la nostra esplorazione a Roccabruna di
Sarnano e a Val di Sasso di Fabriano. E non voglio
dimenticare padre Pietro, l’eremita francescano
dell’Infernaccio, sui Sibillini.
Do il benvenuto nella rivista a Francesca Maz-
zanti, che ringrazio per aver messo a nostra di-
sposizione le sue professionali competenze in
fatto di cucina medievale: sua una nuova rubrica.
Buona lettura, quindi!
↓ La chiesa francescana di Roccabruna,
presso Sarnano (MC).
di
4. 4
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
TORNA IN VITA LA “PORZIUNCOLA” DELLE MARCHE
Non poteva essere collocata in una cornice mi-
gliore - il giorno 4 ottobre, festa di San Francesco
d’Assisi - l’inaugurazione del ristrutturato con-
vento di Santa Maria di Val di Sasso, nei pressi di
Fabriano. Ancor meglio, anche per il fatto che
tale evento è stato parte della tre giorni organiz-
zata dalla Regione Marche per la promozione del
turismo religioso del territorio.
A fare gli onori di casa è stato il francescano
Padre Ferdinando Campana, attuale ministro
provinciale dei Frati Minori delle Marche, il quale,
alla presenza del presidente della Regione
Spacca, dei vescovi di Fabriano e di Ancona e del
sindaco di Fabriano, ha illustrato prima il signifi-
cato storico di questo importante luogo per i
frati e, successivamente, le principali azioni di ri-
strutturazione effettuate.
CRONACA
di Rosita Roncaglia *
↘ Il momento dell’inaugurazione.
* docente di Scuola dell’Infanzia
L’eremo francescano
di Val Sasso a Fabriano
Ristrutturato il convento
In questo luogo soggiornò San Francesco d’As-
sisi, proprio nella cittadina - Fabriano - che egli
visitò tra le prime nelle Marche. Lì infatti vive-
vano alcuni suoi amici con cui aveva probabil-
mente condiviso l’esperienza della prigionia a
Perugia. Alcuni di loro si fecero frati e risiedet-
tero in questo convento.
Ma qui visse anche San Giacomo della Marca e
vi passò anche San Bernardino da Siena e San
Giovanni da Capestrano. Un posto di vera ec-
cellenza francescana, dunque.
Con una nostra troupe eravamo presenti alla ce-
rimonia e abbiamo intervistato Padre Campana
nonché, unici a farlo, i tecnici che hanno diretto
i lavori del restauro.
Intervista a
Padre Campana
Intervista ai
ristrutturatori
5. 5
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
CRONACA
a cura della Redazione
Merita senz’ombra di dubbio di essere cono-
sciuto e apprezzato quanto la cittadina di Valfab-
brica (PG) mette in “scena” ogni anno in
occasione della Festa d’Autunno. Vi si celebra
anche un torneo tra cavalieri.
Quest’anno l’apprezzata manifestazione si è
svolta durante la prima settimana di settembre.
Maggiori informazioni si possono reperire sul sito
internet www.paliodivalfabbrica.com.
↖ Papa Francesco mentre ammira il “covo” di Campocavallo.
La “Festa d’Autunno” valfabbrichese
Un Paliosul Sentiero Francescano
Spettacolare e unica a Campocavallo di Osimo
La Festa del Covo da Papa Francesco
È dal lontano 1939 che a Campocavallo di Osimo
(AN) si propone la cosiddetta festa del
“covo”(carro), nella quale proprio su un carro si
realizza una costruzione fatta interamente con
spighe di grano dai contadini del luogo.
Quest’anno si è costruito nientemeno che la Ba-
silica di San Pietro, idea che per la complessità
della realizzazione ha imposto modifiche struttu-
rali allo stesso carro.
Portata a Roma, l’opera è stata apprezzata e be-
nedetta da Papa Francesco il 27 agosto scorso.
↑ Un momento dei festeggiamenti a Valfabbrica.
6. Abbiamo voluto che le uscite dei numeri de Il Sen-
tiero Francescano fossero “ritmate” dalla sapiente
cadenza del fluire delle stagioni. Quattro quindi
sono i numeri diffusi nell’arco dell’anno, uno per
ciascuna delle stagioni, dando così modo di con-
notare in tal senso una serie di rubriche e argo-
menti che già di per sé sono connotati da una forte
valenza “naturale”:
• il Sentiero Francescano della Pace (Assisi-Gubbio);
• luoghi e itinerari francescani umbro-marchigiani;
• aspetti culturali e artistici francescani;
• tradizioni legate al territorio umbro-marchigiano;
• cronaca francescana umbro-marchigiana;
• interviste a personaggi e gente comune;
• valori e spiritualità francescana;
• fauna e flora del territorio;
• leggende e ricette del territorio;
• ...e molto altro.
In questo quindicesimo numero:
Con tanta voglia di scoprire 3
Cronaca 4
Una rivista per ogni stagione 6
Ascoli Piceno: la città del Travertino 7
1215: San Francesco arriva ad Ascoli 8
UNESCO - La città dalle cento torri 10
La festa di Sant’Emidio 12
La Quintana di Ascoli Piceno 13
Francesco è vivo! 14
Padre Pietro: il muratore di Dio 16
Roccabruna di Sarnano 19
Intervista a Felice Accrocca 22
Dame e gioielli ad Ascoli Piceno 25
Un filo d’oro attraversa l’Umbria 28
Cecco d’Ascoli e il Ponte del Diavolo 31
Francesco d’Assisi, il cavaliere 32
La Rocca di Assisi 34
Intervista a Gloria Ghergo 36
Francesco è vivo! e parla jesino 38
La ricetta (cucinamedievale.it) 39
6
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
Rivista
Stagione
Una
per ogni
DIFFUSIONE GRATUITA
San Francesco
voleva diventare
cavaliere
La
Quintana
Ascolidi
A Roccabruna di Sarnano
il Fioretto del “fraticino”
Intervista
esclusiva a
don Accrocca
7. La Quintana e le celebrazioni in onore di san-
t’Emidio, ricorrenze da poco passate, sono un’ot-
tima opportunità per visitare la città di Ascoli
Piceno. La città costruita interamente in traver-
tino, ha origine prero-
mane. Ricca di chiese,
piazze e torri, in un bellis-
simo centro storico si può
ammirare la famosa piazza
del Popolo, su cui affacciano
la Chiesa di San Francesco e il
Palazzo dei Capitani. Si prosegue
con il Caffè storico Meletti in stile liberty,
la porta Gemina e il ponte augusteo di porta So-
lestà, uno dei più grandi realizzati in epoca ro-
mana.
Il Forte Malatesta e la Cartiera papale da poco
restaurati sono divenuti importanti poli culturali,
la Pinacoteca civica in piazza Arringo ospita, tra
le altre prezio-
sità, il Piviale di
Nicolò IV, do-
nato dal primo
Papa france-
scano alla sua
città natale. Da
visitare sono
inoltre il Museo
Archeologico, il
Museo dell’arte
ceramica e la
Galleria d’Arte
Contempora-
nea Osvaldo Li-
cini, senza tra-
di Silvia Papa *
lasciare la Chiesa di San Francesco e il Battistero
di San Giovanni. All’interno del Duomo si può ve-
dere la cripta di sant’Emidio e la cappella del SS.
Sacramento, dove è custodito il Polittico di san-
t’Emidio di Carlo Crivelli
del 1473, nell’adiacente
Museo diocesano sono in-
vece conservati la statua ar-
gentea e il braccio di
sant’Emidio realizzati a fine
Quattrocento dall’orafo ascolano
Pietro Vannini.
Sono solo alcune delle meraviglie che si
possono trovare nei vicoli e nelle strade di Ascoli.
Da non dimenticare di assaggiare le prelibate
olive all’ascolana e di acquistare l’artigiano arti-
stico e una bottiglia di Anisetta Meletti, ricordata
anche dal poeta Trilussa: "Quante favole e so-
netti m'ha ispirato la Meletti“.
Per ogni informazione relativa al soggiorno ad
Ascoli Piceno si può consultare il sito del Co-
mune: www.comuneap.gov.it/turismo.
Buon soggiorno!
7
* storico dell’arte
la città del
Ascoli Piceno:
travertino
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
↘ Il piviale di Papa Nicolò IV.
↘ Sant’Emidio battezza Polisia (cripta del Duomo).
↑ La chiesa di San Francesco presso Piazza del Popolo.
8. Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
8
1213: La Verna - Toscana. A San Francesco d’As-
sisi venne donato un podere isolato e selvaggio
sul Monte della Verna, tutta scogli e abeti secolari.
Lì rimase un periodo e, probabilmente, il contatto
con quel luogo solitario e selvaggio gli ridestò
l'aspirazione alla vita eremitica, che fu la prima
forma della sua vita religiosa.
Ne conseguì una sorta di “crisi”: doveva vivere
come un eremita dedicandosi alla contemplazione
o come un predicatore attivo e itinerante? La do-
manda era “forte” e importante. Il Santo la girò
a due persone di fiducia: Santa Chiara e frate Sil-
vestro. I due, interpellati separatamente, diedero
la stessa risposta: predicazione itinerante.
1215: Ascoli Piceno - Marche. È davvero fuori
mano per Assisi o l’Umbria in genere un viaggio
in questa città ma, alla luce delle considerazioni
appena fatte, non ci appare fuori luogo che pro-
prio mosso da un impeto di missione itinerante
Francesco sia spinto, per l’appunto, verso una de-
stinazione a lui lontana.
Non a caso, e questo costituisce una sorta di
punto a favore di queste considerazioni, proprio
attorno ai fatti della Verna il biografo Tommaso
da Celano narra della famosa “predica agli uc-
celli” avvenuta a “Mevania” (Bevagna). Si legge
infatti nelle Fonti Francescane che i due amici con-
sultati da San Francesco gli suggerirono un primo
viaggio ad Alviano, nella Valle del Tevere. Proprio
lungo quel percorso avvenne la predica agli uc-
celli: lì il Celano scrive infatti testualmente che
«nel tempo in cui predicò agli uccelli …giunse
ad Ascoli». Non a caso, proprio ad Ascoli nella
chiesa di San Gregorio esiste la raffigurazione più
antica che si conosca della «predica agli uccelli».
Non va escluso, comunque, che Francesco sia
passato per la città picena prima della conver-
di Rosita Roncaglia
1215: San Francesco
Ascoliarriva ad
TRENTA UOMINI SI FANNO FRATI.
FRA PACIFICO IL “RE DEI VERSI”.
↗ La “predica agli uccelli” affrescata a san Gregorio ad Ascoli.
9. 9
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
sione, avendola magari percorsa in compagnia
del padre mercante. In ogni caso ci pare legittimo
sia scaturito in lui un impulso a spingerlo in una
località fuori mano e lontana.
Partendo da Foligno, la strada per Ascoli Piceno
saliva con tutta probabilità a Colfiorito da cui si
spingeva poi in direzione di Mevale, nella valle del
Nera. Proseguiva poi lungo la valle Castoriana,
nella quale è probabile una sosta nella nota ab-
bazia di Sant’Eutizio. Da lì il Santo avrà raggiunto
Norcia, per salire successivamente sulla piana di
Castelluccio (avesse saputo che lì avrebbero secoli
dopo girato un film su di lui dal titolo Fratello
sole, sorella luna!) e sarà sceso successivamente
ad Arquata del Tronto, lungo la Salaria, quasi alle
porte di Ascoli.
L’accoglienza avuta da San Francesco ad Ascoli
Piceno fu spettacolare. La gente si accalcava pur
di vederlo e toccarlo e addirittura trenta uomini
decisero di indossare il saio francescano. Rimasti
in zona, questi nuovi frati costituirono le prime
presenze francescane ascolane nei contrafforti
del monte dell'Ascensione, e precisamente ad
Appignano, Offida, Castignano, Poggio Canosa
e Venarotta. Altri due conventi sono stati trovati
sul Monte San Marco, dalla parte opposta.
A Campo Parignano invece, allora poco fuori la
città, sorse un altro convento in prossimità delle
cosiddette scadye, ossia al centro di un reticolo
ortogonale di vie romane cui si deve anche la cen-
turiazione del restante territorio ascolano. Proprio
lì venne costruita la chiesa e il convento con due
chiostri che oggi risultano essere in centro città,
presso Piazza del Popolo. Stiamo parlando della
chiesa di San Francesco.
Ma è in Piazza Arringo, presso l’attuale cattedrale
che San Francesco deve aver predicato agli asco-
lani, riscuotendo enorme successo.
Tra i frati ascolani, la cittadina picena ama anno-
verare anche il celebre frate Pacifico, detto il “re
dei versi”. Il Celano, descrivendolo prima della
conversione, lo pennella come “principe dei can-
tanti lascivi” e “inventore di canzoni secolare-
sche”, rivelando anche come tale personaggio
(famoso all’epoca ma del quale a noi sfugge la
certezza assoluta del nome) fu pomposamente
“incoronato” dall’imperatore come cortigiano
della regina Costanza.
Vi era nella Marca d'Ancona un secolare, che di-
mentico di sé e del tutto all'oscuro di Dio, si era
completamente prostituito alla vanità. Era chia-
mato «il Re dei versi», perché era il più rinomato
dei cantori frivoli ed egli stesso autore di canzoni
mondane. In breve, la gloria del mondo lo aveva
talmente reso famoso, che era stato incoronato
dall'Imperatore nel modo più sfarzoso.
(Fonti Francescane 693)
Ma l’incontro con San Francesco lo convertì:
Il Santo lo vestì dell'abito e lo chiamò frate Paci-
fico, per averlo ricondotto alla pace del Signore.
E tanto più numerosi furono quelli che rimasero
edificati dalla sua conversione, quanto maggiore
era stata la turba dei compagni di vanità.
Godendo della compagnia del Padre, frate Paci-
fico cominciò ad esperimentare dolcezze, che
non aveva ancora provate. Infatti poté un'altra
volta vedere ciò che rimaneva nascosto agli altri:
poco dopo, scorse sulla fronte di Francesco un
grande segno di Thau, che ornato di cerchietti
multicolori, presentava la bellezza del pavone.
(Fonti Francescane 693)
↗ Piazza Arringo ad Ascoli.
10. di Giuseppe Marucci *
Parlare della storia di Ascoli Piceno, in breve
spazio, non ha senso se non concentrandosi su
alcuni aspetti salienti, soprattutto legati alle vi-
cende francescane.
Ascoli, città picena, poi romana e medievale è
una delle più belle ed architettonicamente in-
teressanti città italiane. Definita la città di “tra-
vertino” e anche la città delle “cento torri”.
Di travertino perché le vicine cave della splen-
dida pietra ne fanno una città piena di edifici
strutturalmente diversi da quelli in laterizio
della altre città marchigiane.
Da anni Ascoli sta cercando di farsi riconoscere,
per questo motivo, “città patrimonio dell’uma-
nità”, da parte dell’UNESCO e speriamo che,
superate le pastoie burocratiche, ci riesca.
Le torri nobiliari fanno parte dello skyline asco-
lano. Le famiglie patrizie, in epoca medievale,
gareggiavano nell’erigere le torri più alte, per
difesa, ma anche perché simbolo di potenza,
come esprimono perfettamente quelle di pa-
lazzo Merli. La torre degli Ercolani raggiunge
l’altezza di 95 metri, accanto al palazzetto lon-
gobardo.
Esse fanno da corona alle due splendide piazze
gioiello della città: piazza Arringo e Piazza del
Popolo.
* Direttore Club UNESCO di Ascoli Piceno
Le chiese, spesso edificate su antichi templi ro-
mani, sono piuttosto austere e caratteristiche
nella loro definizione architettonica. Basti pen-
sare alla Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio;
citare la Chiesa-monastero di Sant’Angelo
Magno; infine l’austera chiesa di San Tom-
maso.
San Francesco giunse in Ascoli nel 1215, ac-
colto con venerazione dalla popolazione. La
predicazione del Santo suscitò vivo entusiasmo
in numerosi giovani delle migliori famiglie asco-
lane. Il seme fece fiorire diverse eccellenti vo-
cazioni: Corrado Miliani (1234-1289)
professore alla Sorbona di Parigi, missionario in
Cirenaica, eremita e oggi venerato come
Beato; soprattutto Gerolamo di Massio da Li-
sciano, eletto poi papa con il nome di Niccolò
IV (1287-1292).
Niccolò IV, fu il primo Papa francescano; nato
nel 1227, aveva frequentato la scuola dei fran-
cescani nel convento di Porta Maggiore.
Alla sua elezione la città di Ascoli inviò a Rieti,
dove era il Pontefice, una delegazione di am-
basciatori, tra cui Francesco Odoardi nobile
ascolano. In quella occasione fu offerta al Papa
la podesteria di Ascoli, che accettò.
Una particolarità: Niccolò IV, il 29 maggio
La città dalle cento torri
Papa francescano
ASCOLI PICENO, “VAL BENE UNA DEVIAZIONE” A
10
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
e del primo
11. 1289, incoronò nella città di Rieti Carlo II d’An-
giò.
Con una Bolla papale del 1290 venne istituita
in Ascoli l’Università, che completò lo Studio
ascolano.
La Piazza del Popolo, il Palazzo dei Capitani e
la Chiesa di San Francesco. Centro, ieri e oggi,
della vita cittadina, con il caffè cittadino più fa-
moso: il Meletti. La prima pietra della chiesa di
san Francesco fu posta nel 1258, la consacra-
zione avvenne, ad opera incompiuta, il 24 Giu-
gno del 1371. Fra le chiese coeve sorte nelle
Marche, è l’esemplare più tipico dei monu-
menti di transizione tra romanico e gotico. Una
curiosità: nella sacrestia della Chiesa era con-
servato l’Archivio del Comune di Ascoli, che
venne in gran parte distrutto in un incendio nel
‘500.
I francescani comprarono il terreno adiacente
all’attuale Piazza del Popolo, per costruirvi la
loro nuova chiesa, nel 1258. L’acquisto av-
venne in seguito alla vendita di un loro terreno
fuori città, in Campo Parignano, alle Monache
cistercensi del Convento di San Matteo apo-
stolo e Sant’Antonio abate ubicato a fonte del-
l’Olmo, nella zona di Castel di Lama.
La piazza Arringo, il Palazzo anzianale-comu-
nale e la sede vescovile con la cattedrale. La
piazza luogo per eccellenza aristocratica è con-
tornata da vari importanti edifici: il Palazzo co-
munale, che ospita una importante pinacoteca
con opere dell’Alemanno, del Crivelli, del Ferri
e di tanti altri illustri artisti; il palazzo vescovile,
contrappeso al potere civile fin dai tempi del li-
bero comune; il palazzo Panichi sede del
museo archeologico.
I fritti e la Quintana. Non possiamo chiudere
una rassegna pur veloce su Ascoli Piceno,
senza citare due suoi capisaldi nella tradizione:
le olive ascolane che hanno ormai invaso l’Italia
e l’estero, c on la loro bontà e la rievocazione
storica “la Quintana”, ambientata nel ‘200,
l’epoca più ricca nella vita civica.
Insomma Ascoli, vale una “deviazione”, come
dicono le guide turistiche. Bella in questo senso
anche l’iniziativa “Cammino francescano della
Marca”, varata quest’anno in Aprile-Maggio:
a piedi da Assisi ad Ascoli Piceno, inserita nella
consolidata manifestazione “ Festival dell’Ap-
pennino”.
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
11
↗ Piazza del Popolo ad Ascoli Piceno; sullo sfondo la chiesa di San Francesco d’Assisi..
12. 12
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
di Silvia Papa
La festa di sant’Emidio ricorre il 5 agosto. Nato
in Germania intorno al 273 d.C. Emidio fu no-
minato vescovo da papa Marcello II e inviato ad
Ascoli per evangelizzare il Piceno, dove fu mar-
tirizzato nei primi anni del trecento dopo Cristo
con il taglio della testa.
Dopo il terremoto del 1703, che colpì dura-
mente l’Italia centrale lasciando indenne Ascoli,
sant’Emidio iniziò ad essere invocato come pro-
tettore contro il terremoto. La festa in suo
onore inizia il 26 luglio, giorno di sant’Anna:
spari d’apertura e banda musicale entra nel
Duomo per rendere omaggio alla tomba del
Santo.
Nei giorni successivi il programma religioso si
intreccia con le iniziative civili. Tradizionale è la
cerimonia dell’offerta dei ceri in onore del
Santo sul sagrato del Duomo.
Il 5 agosto, giorno culminate delle celebrazioni,
i pellegrini provenienti non solo dalle terre del
Piceno, ma anche dal resto d’Italia e d’Europa,
entrano in chiesa con un ramo di basilico
“pianta di Sant’Emidio” cresciuta miracolosa-
mente nelle catacombe per indicare dove fosse
la tomba. Nel pomeriggio la statua del Santo,
trainata da un carro di buoi, si snoda in proces-
sione per le vie della città, la festa si conclude
poi in serata con i fuochi d’artificio.
Altro momento saliente dei festeggiamenti è
rappresentato dalla rievocazione storica della
Quintana che si svolge la prima domenica di
agosto. Il corteo è aperto dal Sindaco in qualità
di magnifico messere ed è composto da oltre
1.000 figuranti in abiti quattrocenteschi, che
avanza al rullo dei tamburi e al suono delle chia-
rine fino al campo giochi, dove i cavalieri dei sei
sestieri si sfidano nella giostra contro il Sara-
ceno.
La festa di Sant’Emidio
tra devozione e
rievocazione
↓ Un momento della festa.
13. Inverno 2010-2011 - www.sentierofrancescano.it
13
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
di Silvia Papa
La Quintana è una rievocazione
storica medioevale con giostra
equestre che si tiene ad Ascoli Pi-
ceno la prima domenica di ago-
sto. Uno spettacolo suggestivo al
quale vale la pena partecipare!
La Quintana prevede diversi mo-
menti che hanno luogo anche nei
giorni precedenti la competizione
dei cavalieri, come la lettura del
bando, l'offerta dei ceri, il palio
degli arcieri, il palio degli sbandie-
ratori e la sfilata del corteo per le
vie della città.
Radici molto antiche si legano alla
nascita della Quintana, alcuni le
identificano con il periodo storico
del IX secolo, quando i Saraceni
invasero il territorio dei Piceni. La
traduzione in volgare degli Statuti
Ascolani redatti in latino nel
1377, assicura che già allora fosse
consolidata la tradizione della
Quintana all’interno dei festeg-
giamenti in onore di Sant’Emidio.
La consuetudine vuole che nel
giorno di sant’Anna, 26 luglio, ci
sia la lettura del bando della
Quintana, in coincidenza con
l’apertura delle feste patronali.
Cosi anche precedente allo svol-
gersi della giostra sono le gare degli sbandiera-
tori, dei musici – tamburini e chiarine – e degli
arcieri. Il corteo storico è costituito da oltre mille
figuranti che sfilano indossando
costumi ispirati al XIV, in ricordo
degli Statuti Ascolani trecente-
schi, che ne disciplinano la fat-
tura.
Al corteo partecipano le massime
autorità cittadine, iniziando dal
ruolo del Magnifico Messere,
colui che un tempo era "il Si-
gnore" della città, ruolo imperso-
nato oggi dal Sindaco. Vi si
aggiungono dame, damigelle, ar-
migeri, musici, sbandieratori, ar-
cieri, balestrieri ed altri
personaggi appartenenti ai sin-
goli sestieri. Sono inoltre presenti
le rappresentanze delle Terre e dei
Castelli del circondario ascolano.
Ogni sestiere si distingue per ap-
partenenza sociale e per colori
nell’abbigliamento.
La giostra invece consiste in una
disputa di cavalieri a cavallo i
quali, percorrendo una pista, de-
vono colpire con la lancia il bersa-
glio posto sul braccio sinistro del
saraceno, detto anche “moro”. Il
palio è il premio che riceve il ca-
valiere vincitore della giostra e
consiste in uno stendardo realiz-
zato in ricercato tessuto dipinto
che, dopo la consegna, è conservato nella sede
del sestiere aggiudicatario.
La Quintana di
Ascoli Piceno
14. 14
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
di Alberto Tufano *
un dono, credere sempre e in ogni momento è
difficile; ma essere credibile agli occhi di chi il
dono della fede non ce l’ha è un’impresa ai li-
miti dell’impossibile per chiunque.
Ecco dunque che il nostro Papa si è proiettato
nella sua missione con tutto se stesso, fino a
toccare tematiche che in quell’indimenticabile
4 ottobre 2013 hanno echeggiato in tutto il
modo perché ha parlato in modo quasi profe-
tico, anticipando alcuni dei grandi temi che l’at-
tualità del 2014 ha
riproposto alla co-
scienza del mondo
intero.
FAMIGLIA. Questo
è uno dei temi più
cari, da sempre,
alla Chiesa Catto-
lica. E Papa France-
sco si è dimostrato
un degno paladino
di questa causa sia nella giornata in Assisi sia
successivamente, parlandone in ogni parte del
mondo.
Ad Assisi disse ad alcune giovani coppie di sposi
una frase indimenticabile: “Può capitare di liti-
gare anche tra marito e moglie, ma non bisogna
smettere di parlarsi e di cercare un dialogo. E
soprattutto, la cosa più importante è non an-
A un anno dalla
giornata col Papa
Assisi
* giornalista per Radio Uno RAI
Il tempo fa scherzi strani, a volte. Sembra ieri,
eppure è già passato quasi un anno dalla gior-
nata di Papa Francesco nei luoghi del santo di
Assisi, a cui Bergoglio si è ispirato per immor-
talare il suo papato nella storia della Chiesa.
Certo è ancora vivida l’emozione di chi - come
noi del Sentiero Francescano - ha avuto la for-
tuna di respirare e ascoltare le parole del Papa
in quella meravigliosa giornata, mentre per altri
sembra passato un secolo: infatti pare sempre
più che il mondo
non abbia saputo
cogliere piena-
mente il messag-
gio di quella
giornata di pace e
di slancio verso la
vita, con migliaia
di giovani a can-
tare e a invocare
quell’amore per la
vita che Bergoglio
sa testimoniare con la sua innata umanità,
prima ancora che con il ruolo che Dio gli ha af-
fidato.
“Quando dite le vostre preghiere, dite una pre-
ghiera anche per me” disse ad Assisi (e non
solo in quella circostanza) Papa Francesco, con-
sapevole dell’immane lavoro che lo attendeva
durante il suo pontificato, perché se la fede è
ad
↗ Il primo incontro con i capi delle religioni
ad Assisi con Papa Giovanni Paolo II.
15. 15
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
dare mai a dormire a fine giornata senza fare
pace.”
Naturalmente, però, la famiglia non è costi-
tuita solo dal coniuge, quindi il pontefice ha
avuto bisogno di specificare quanto l’amore
debba essere il sentimento portante dell’istitu-
zione familiare, anche oltre le mura domesti-
che; e alla messa del 22 giugno scorso ha
completato il suo pensiero a riguardo: “Mai
giudicare un fratello! Chi lo fa sbaglia perché
si sostituisce a Dio, che è l’unico giudice. Chi
giudica diventa uno sconfitto e finisce male
con la sua ossessione, perché la stessa misura
sarà usata per giudicare lui. Dobbiamo essere
i difensori dei nostri fratelli davanti al Padre,
non giudici.”
GUERRA. Ad Assisi Papa Francesco aveva por-
tato la speranza della pace universale sulle
orme del Beato Giovanni Paolo II, che proprio
nella città cara a San Francesco aveva riunito
nel 1986 le massime cariche delle Chiese cri-
stiane e delle comunità ecclesiali per pregare
insieme con i rappresentanti di tutte le altre re-
ligioni mondiali per la pace nel mondo.
In una sola giornata, Papa Francesco aveva vi-
sitato i luoghi simbolici dell’epopea del santo
(la Porziuncola, l’Eremo delle Carceri, la Basi-
lica) e rinnovato il messaggio “Pace e Bene”
che più di ogni altro racchiude in sé il senti-
mento di amore verso il prossimo, finalizzato
alla comune convivenza pacifica, pur nelle di-
versità.
Tuttavia, la recrudescenza di numerosi focolai
bellici ha costretto il Papa ad alzare la voce, fino
a portarlo sull’orlo di una coraggiosa visita per
mediare tra israeliani e palestinesi.
Quasi contemporaneamente, però, si moltipli-
cavano le tensioni tra Russia e Ucraina, s’infit-
tivano le minacce tra la Corea del Nord e la
Corea del Sud, fino alle sanguinarie esibizioni
degli Jihadisti dell’ISIS tra Siria e Iraq.
Un panorama drammatico e preoccupante, sul
quale Papa Francesco ha dovuto esprimersi in
modo netto e preciso lo scorso 17 agosto, di
ritorno dal suo viaggio in Corea del Sud: “La
Terza Guerra Mondiale è già iniziata, solo che
si combatte a pezzetti, a capitoli, con un livello
di crudeltà spaventosa.”
Parole forti, ma portatrici di verità in un mo-
mento tra i più bui della storia dell’umanità,
che sembra miope di fronte al pericolo di un
tragico allargamento dei luoghi di conflitto.
Quello che è certo è che lo stesso Papa, solo
pochi giorni fa (13
settembre, ndr) è stato dichiarato in pericolo,
oggetto di un possibile attentato dei fonda-
mentalisti islamici, tanto da imporre un rigo-
roso giro di vite delle misure di sicurezza
nell’accesso allo Stato di Città del Vaticano.
Un’ironia che sa di beffa del destino per il
primo Papa della storia a scegliere il nome di
Francesco, il santo universalmente riconosciuto
come uomo di pace per antonomasia. E pen-
sare che meno di una fa ad Assisi...
Il tempo fa strani scherzi, a volte.
↙ L’Assisi di un anno fa in occasione della visita di Papa Francesco.
16. San Leonardo; divenne una importantissima
tappa del cammino tra le Marche e l'Umbria per
raggiungere Roma. Ma la cosa ancora più sor-
prendente è che proprio in quel luogo è nato l’Or-
dine dei Cappuccini, per opera di due francescani
che erano fuggiti dal loro convento perché vole-
vano ritornare ad una vita più evangelica (al-
l'epoca si rischiava la condanna per eresia e quindi
la morte, per un atto del genere...). Tutto questo
documentato con una seria ricerca storica, antro-
pologica ed archeologica.
Passò di feudatario in feudatario fino a divenire
nel millecinquecento proprietà dei Camaldolesi,
poi definitivamente abbandonato.
La storia di padre Pietro, al secolo Armando Lavini,
nasce negli anni dell'infanzia quando, a Potenza
Picena, dalla casa materna poteva abbracciare con
lo sguardo i Sibillini. E quei monti gli rimasero
sempre impressi ma era Dio che, a sua insaputa,
gli ispirava nel cuore quella venerazione per la na-
tura; un lungo lavorio interiore per i progetti che
in seguito, Dio stesso, avrebbe avuto per lui. Pas-
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
di Rosita Roncaglia
16
Il luogo di questa vicenda, che pare uscita dai Fio-
retti del santo di Assisi, si può raggiungere solo a
piedi, risalendo la Gola dell’Infernaccio, una valle
stretta ed impervia, racchiusa fra due pareti roc-
ciose a strapiombo da cui filtrano lame di luce, nel
territorio di Montefortino, a sud delle Marche, nel
cuore dei Monti Sibillini.
Lungo il sentiero che porta al piccolo Monastero
benedettino di San Leonardo, si incontrano
amanti della natura, semplici curiosi, escursionisti,
persone che cercano nel verde degli alberi, nel-
l’acqua fresca e limpida del fiume, nelle rocce
umide rese lucenti dal sole, la pace e la tranquil-
lità.
Attraverso il grande faggeto e lassù, in cima, mi
ritrovo in un mondo senza tempo, quasi irreale. E
mi rendo conto che non ho camminato verso un
luogo qualsiasi, ma verso un miracolo di volontà
e amore che un umile frate ha disegnato nel suo
cuore, prima ancora che sulla carta. Un sogno che
padre Pietro Lavini racconta nel suo libro Lassù sui
monti... e che ha inseguito con ostinazione, so-
stenuto dalla sua fede e da un carattere caparbio
e tenace. Il luogo è sereno e contemplativo, stra-
ordinario l’effetto scenografico: il piccolo mona-
stero è come incastonato tra i monti, sembra
quasi che gli si siano formati attorno spontanea-
mente come per abbracciarlo e proteggerlo.
Su questo piccolo pianoro nell’ottavo secolo i frati
benedettini fondarono un monastero dedicato a
Padre Pietro:
il muratoredi Dio
AL SANTUARIO
DELL’INFERNACCIO
SPECIALE SIBILLINI
Vedi la
videointervista
17. Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
17
sano gli anni e diventa cappuccino e viene man-
dato al santuario dell'Ambro dove presta il suo
umile servizio per lungo tempo. In quegli anni
esercita molto la carità, nei confronti di famiglie
povere del luogo, aiutando nelle opere murarie.
In pratica, poco per volta, diventa un esperto mu-
ratore. Senza sapere che quella passione avrebbe
avuto un senso molto più alto qualche anno
dopo...
Era il 1965 quando padre Pietro, giovane sacer-
dote, scendendo dalla cima del Monte Priora,
scorse i resti del piccolo monastero.
“Arroccato su uno sperone,
sembrava un altare al centro di
una maestosa cattedrale. Provai
subito una misteriosa attrazione,
ma dovettero passare alcuni
anni prima che potessi raggiun-
gerlo. Quando finalmente, il 2
febbraio del 1965, m’inerpicai
sull’altopiano, rimasi sconvolto:
l’altare era andato distrutto
sotto il crollo del soffitto e delle
pareti, il pavimento era nascosto
da un metro di letame; a testi-
moniare l’esistenza del mona-
stero a fianco della chiesa era
rimasto solo un arco di stile ro-
manico e un tratto di mura. Di
ciò che era stato un gioiello in mezzo ai monti Si-
billini, non rimanevano che pochi ruderi ricoperti
di rovi e di piante”.
Qualcosa scatta nella testa e nel cuore di padre
Pietro, devoto a San Francesco al punto da sen-
tire dentro di sé la stessa voce che un giorno or-
dinò al poverello di Assisi di restaurare la chiesetta
di San Damiano. “Dentro di me si accese un
sogno, ricostruire l’antico edificio nella sua bel-
lezza originaria. Un miraggio irrealizzabile per il
luogo inaccessibile e l’impresa umanamente im-
possibile. Eppure sentivo che Dio lo voleva. Io do-
vevo metterci le braccia e il cuore, Lui avrebbe
fatto il resto”.
Inizialmente dovette convincere i suoi stessi su-
periori, che gli permisero di realizzare il suo sogno
alla sola condizione che riuscisse ad ottenere la
proprietà del terreno, che apparteneva a Leo-
nardo Albertini, figlio di Luigi, noto per essere
stato lo storico direttore del Corriere della Sera
per venticinque anni e nonno dell’ex sindaco di
Milano, Gabriele Albertini.
Fu Tania Tolstoj, nipote del celebre scrittore russo
e moglie di Leonardo, che intercedette presso il
marito perché gli concedesse il terreno. Cosa che
avvenne. Non solo. Ma Leonardo Albertini, a
nome anche di sua sorella Elena, gli inviò cin-
quantamila lire per iniziare i lavori.
Vi trascorse i giorni e le notti e da quel luogo di-
menticato dagli uomini ma non da Dio, che lo
chiamò a riparare la sua casa cadente, imparò a
poco a poco a guardare la vita in modo nuovo.
Nuovo persino per un religioso. Nella natura
spettacolare, dolce e rigogliosa, immerso nel si-
lenzio totale, a Padre Pietro parve subito di aver
trovato un luogo lontano dalla vanità del mondo,
un luogo dove avrebbe compiuto la sua straordi-
naria esperienza di raccoglimento, spiritualità e
purezza.
In questo angolo di mondo, da 44 anni vive un
uomo che ha compiuto la sua scelta di vita e da
solo, pietra dopo pietra, sacrificio dopo sacrificio,
messa dopo messa, ha eretto la Chiesa.
↗ Padre Pietro mentre benedice alcuni cavalli.
18. Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
18
Una vita solitaria, ma non la vita di una
persona sola. La presenza di boschi, sen-
tieri, fiumi, nevai, dirupi, ruscelli, laghi
di rara bellezza, e la visione quotidiana,
dalle prime luci dell’alba fino al tra-
monto, non gli fa rimpiangere il mondo
di “quelli laggiù” come Padre Pietro de-
finisce amorevolmente tutti noi.
Un flusso costante di persone arriva al
Monastero per conoscere “l’eremita”,
per trovare da lui conforto e speranza,
perché se un povero cappuccino è riu-
scito a fare quello che lui ha fatto signi-
fica che ogni problema, se affrontato
con coraggio, umiltà e tanta fede, può
essere veramente risolto.
E proprio lui, non appena busso alla
porta della piccola cucina addossata alla
Chiesa, mi dice di entrare. Mi appare un
omino dai capelli e barba candidi, e su-
bito mi colpisce il suo sorriso da cui tra-
pela lo spirito e l’energia di un giovane.
In questo spazio essenziale e spartano,
seduto al tavolo, mi accoglie con una
calda stretta di mano. Insieme a lui, tre
giovani seminaristi venuti a fargli visita;
sta raccontando della sua scelta, delle
fatiche, degli ostacoli, delle gioie e dei
veri valori della vita. Attraverso questo
lunghissimo e faticosissimo lavoro, ha
avuto modo anche di riflettere della sua
scelta. Egli è interprete dello stile fran-
cescano e benedettino, le figure di santi
del fare, santi della povertà. Lui ha lavo-
rato e pregato per tutti questi anni.
“Per San Francesco il lavoro doveva es-
sere anche una testimonianza per gli
altri. Ho deciso di fare di un antico ru-
dere abbandonato un monumento a
Dio e alla sua grandezza per vocazione
e non per sfida personale. Prima di arri-
vare qui chiesi al Convento dove stavo
solo un pezzo di pane, non denaro. E mi
sentii rispondere: «Con la tua iniziativa
il convento non ci deve rimettere». Partii
senza nulla. Vi lavoro dal lontano 24
maggio 1970, ininterrottamente, tranne
un breve periodo in cui sono stato missionario in Africa.
L’immagine di questo luogo mi ha seguito sempre: qui
c’era una stalla, Cristo ha cominciato con una stalla ed
io cominciato allo stesso modo. Mi hanno sostenuto la
povertà e la fede. La povertà ci dà la forza di lottare nella
vita ed questo che è mancato col benessere. Quando i
bambini e i ragazzi vengono qui a trovarmi con tutti que-
gli oggettini (si riferisce a telefonini e videogames) io dico
loro che dietro ci sta il burrone, buttateli giù. Fate lavorare
la testa e aprite gli occhi per apprezzare la bellezza del
Creato”.
Arriva una signora di Roma che ogni tanto sale per pochi
giorni ad aiutarlo, avvertendolo dell’arrivo di alcune per-
sone a cavallo che vorrebbero incontrare “l’eremita” per
una benedizione. Lui esce, scende piano le scale e va loro
incontro col sorriso. Recita una breve preghiera e si avvi-
cina agli animali, carezzandoli amorevolmente.
È stato un momento toccante: mi sono resa conto di aver
avuto la fortuna di incontrare una persona con dentro
qualcosa di speciale, di unico. E se andrete a trovarlo, po-
trete comprendere la santità di questo piccolo, grande
uomo. Un uomo felice.
↑ Padre Pietro Lavini, l’eremita dell’Infernaccio.
↓ L’eremo costruito da Padre Pietro.
19. Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
19
Roccabruna
di Sarnano
di Diego Mecenero PERLA SCONOSCIUTA
DELLA TERRA DEI FIORETTI
↘ Il piccolo campanile
della chiesa di Roccabruna.
Lasciatecelo dire: siamo stupefatti. Siamo venuti
a conoscenza di questo posto importantissimo
per la storia del francescanesimo (e non inte-
diamo solo francescanesimo locale, ma mondiale)
e ci siamo vergognati per il fatto che non lo co-
noscevamo. Ignoranza nostra.
Ma l’ignoranza è anche vostra, di tutti, di “prati-
camente” tutti e, alla fin fine bisogna pur dire a
cuore aperto che in realtà non possiamo farcene
realmente una colpa, perché questo sito france-
scano dalla portata massima mondiale giace nel
“silenzio” più totale.
Non appartiene più ai frati francescani da diversi
anni e, dopo aver a fatica rintracciato i contatti
degli attuali proprietari (laici, cioè non religiosi o
del clero diocesano), ci siamo trovati dinanzi a
una sorta di silenzioso muro di gomma in occa-
sione delle nostre ripetute richieste di visita, do-
cumentazione, intervista.
Ma ora, prima di proseguire, dato che non sapete
di cosa stiamo parlando, è d’obbligo per noi spie-
garvelo. Roccabruna, località nei pressi di Sar-
nano (MC), è la sede di un antichissimo convento
francescano legato ad almeno un paio di storie
dei Fioretti di San Francesco che hanno fatto e
continuano a fare il giro del mondo:
• Fioretto XVII: San Francesco e il “fraticino”.
• Fioretto XLI: Frate Simone e le “ciaule”.
Ah, dimenticavamo: qui c’è vissuto San Francesco
d’Assisi e un “x” numero di suoi primi compagni.
20. 20
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
Abbiamo però trovato a Sarnano alcune persone,
certamente di spicco, che dinanzi al nostro inte-
ressamento ci hanno accolto con caloroso entu-
siasmo. Ci riferiamo all’architetto Giuseppe
Gentili, appassionato cultore di storia e tradizioni
locali (www.architettogentili.it), al parroco don
Marcello Squarcia e Angiolino Ghiandoni, del
Centro Studi Sarnanesi. Li ringraziamo per la squi-
sita ospitalità che ci hanno riservato.
Sta di fatto che San Francesco fu di passaggio a
Sarnano durante uno dei suoi viaggi nella
“Marca”, probabilmente nel 1215, e fu ospite
proprio del convento francescano di Roccabruna,
che sorgeva su una collina boscosa ed era di pro-
prietà dei signori di Brunforte, il cui castello si tro-
vava di fronte, sull'opposto colle di Morro o
Morrone.
Questo convento, sito in una località oggi deno-
minata “Valcajano”, è stato successivamente più
volte ristrutturato ed oggi è catalogato nei data-
base dei beni artistici regionali come “abita-
zione”.
Ma qui sono accaduti celeberrimi fatti scritti nei
Fioretti e ve li vogliamo narrare. Iniziamo dal più
importante: la storia di un “fraticino” che, vo-
lendo vedere dove andava a pregare San France-
sco nel cuore della notte, legò il suo cingolo a
quello del Santo, mettendosi a dormire accanto.
Guarda la rievocazione
narrativa del Fioretto
“del fraticino” (XVII)
FIORETTO XVII
Come uno fanciullo fraticino, orando santo Francesco di
notte, vide Cristo e la Vergine Maria e molti altri santi
parlare con lui.
Uno fanciullo molto puro e innocente fu ricevuto nell'Ordine, vivendo
santo Francesco; e stava in uno luogo piccolo, nel quale i frati per
necessità dormivano in campoletti. Venne santo Francesco una volta
al detto luogo; e la sera, detta Compieta, s'andò a dormire per po-
tersi levare la notte ad orare, quando gli altri frati dormissono, come
egli era usato di fare. Il detto fanciullo si puose in cuore di spiare sol-
lecitamente le vie di santo Francesco, per potere conoscere la sua
santità e spezialmente di potere sapere quello che facea la notte
quando si levava.
E acciò che 'l sonno non lo ingannasse, sì si puose quello fanciullo a
dormire allato a santo Francesco e legò la corda sua con quella di
santo Francesco, per sentirlo quando egli si levasse e di questo santo
Francesco non sentì niente. Ma la notte in sul primo sonno, quando
tutti gli altri frati dormivano, si levò e trovò la corda sua così legata
e sciolsela. Pianamente, perché il fanciullo non si sentisse, e andos-
sene santo Francesco solo nella selva ch'era presso al luogo, ed entra
in una celluzza che v'era e puosesi in orazione. E dopo alcuno spazio
si desta il fanciullo e trovando la corda isciolta e santo Francesco le-
vato, levossi su egli e andò cercando di lui; e trovando aperto l'uscio
donde s'andava nella selva, pensò che santo Francesco fusse ito là,
ed entra nella selva. E giungendo presso al luogo dove santo Fran-
cesco orava, cominciò a udire un grande favellare; e appressandosi
più, per vedere e per intendere quello ch'egli udiva, gli venne veduta
una luce mirabile la quale attorniava santo Francesco, e in essa vide
Cristo e la Vergine Maria e santo Giovanni Battista e l'Evangelista e
grandissima moltitudine d'Agnoli, li quali parlavano con santo Fran-
cesco. Vedendo questo il fanciullo e udendo, cadde in terra tramor-
tito. Poi, compiuto il misterio di quella santa apparizione e tornando
santo Francesco al luogo, trovò il detto fanciullo, col piè, giacere nella
via come morto, e per compassione si lo levò e arrecollosi in braccia
e portollo come fa il buono pastore alle sue pecorelle. E poi sapendo
↗ Il parroco di Sarnano don Marcello e l’architetto Gentili
21. 21
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
da lui com'egli avea veduta la detta visione, sì gli comandò che non
lo dicesse mai a persona, cioè mentre che egli fosse vivo. Il fanciullo
poi, crescendo in grazia di Dio e divozione di santo Francesco, fu uno
valente uomo in nello Ordine, ed esso dopo la morte di santo Fran-
cesco, rivelò alli frati la detta visione. A laude di Gesù Cristo e del po-
verello Francesco. Amen.
Roccabruna compare poi in un altro Fioretto, nel
quale si racconta di come un certo frate Simone
scacciò delle cornacchie che disturbavano la sua
preghiera.
FIORETTO XVII
(...) Standosi un dì il sopradetto frate Simone nella selva in orazione
e sentendo grande consolazione nell'anima sua, una schiera di cor-
nacchie con loro gridare gl'incominciarono a fare noia, di che egli co-
mandò loro nel nome di Gesù Cristo ch'elle si dovessono partire e
non tornarvi più. E partendosi allora li detti uccelli, da indi innanzi
non vi furono mai più veduti né uditi, né ivi né in tutta la contrada
d'intorno. E questo miracolo fu manifesto a tutta la custodia di
Fermo, nella quale era il detto luogo. A laude di Gesù Cristo e del
poverello Francesco. Amen.
Lo stesso architetto Giuseppe Gentili,
da noi intervistato, ci ha raccontato
la sua esperienza personale circa i
suoi ricordi d’infanzia dell’assenza in
zona delle “ciaule” (cornacchie).
Non è certamente possibile esaurire in queste
poche pagine quanto desideriamo esporre a ri-
guardo di Roccabruna. Torneremo ad approfon-
dire l’argomento.
Ma ci fa piacere segnalare come nello stemma del
Comune di Sarnano sia presente, probabilmente
unico caso in Italia, la figura di un angelo sera-
fino. Ora, San Francesco è
chiamato nella tradizione
francescana proprio “serafico
padre”, per il fatto che questi
angeli a sei ali sono i più vicini
a Dio e “vibrano” d’amore
per lui. Ciò è segno della
chiara consapevolezza, da
parte del Comune, del passaggio del Santo in
zona. Va infatti accennato, per ora, al fatto che
San Francesco contribuì alla pacificazione tra i
Brunforte e i primi sostenitori del Comune.
A conferma dell'evento c’è una tela del 1645 di
Pietro Procaccini che ritrae San Francesco mentre
effigia lo stemma e un'incisione in rame del 1707.
A presto, con ulteriori approfondimenti.Intervista all’architetto
Giuseppe Gentili.
22. Intervista a
di Rosita Roncaglia
Una nuova importante pubblicazione si aggiunge agli studi
riguardanti l’agiografia francescana, in relazione alla Leg-
genda dei Tre Compagni, la più importante delle biografie
non ufficiali di Francesco. La sua denominazione è dovuta alla sua attribuzione a Leone, Rufino e Angelo, atte-
stata dalla Lettera di Greccio dell'11 agosto 1246, che nella tradizione manoscritta fa da premessa ai 18 capitoli
che la compongono. La Leggenda è in realtà l’unica opera relativa al santo a non essere stata scritta da un frate,
forse neppure da un ecclesiastico. Essa costituisce in ogni caso un testo di alta religiosità, il cui valore sta nella
sua grande vicinanza alla sensibilità moderna, perché mostra il travaglio di Francesco, la sua fatica di conversione,
le lotte con se stesso, le cadute: è questo il suo fascino. L’opera viene ora presentata nella collana “Letture cri-
stiane del secondo millennio”, in un’edizione curata da Felice Accrocca, uno dei massimi esperti in Italia e nel
mondo nel settore del francescanesimo medievale e dell’agiografia legata a Francesco. Nell’esclusiva intervista
che segue emerge l’acutissima attenzione di Felice Accrocca alle fonti manoscritte, l’eccezionale conoscenza
della bibliografia, la perfetta consapevolezza dei dibattiti storiografici passati e presenti, la capacità di accogliere
gli apporti degli altri studiosi e, allo stesso tempo, di proporre le proprie stimolanti ipotesi, fondamentali per il
progresso della ricerca.
D.: Parliamo della sua ultima pubblicazione sulla Leggenda dei Tre Compagni (Paoline, Settembre 2014): qual è
il valore e il messaggio all’uomo di oggi di questa importante fonte francescana?
R.: Bisogna anzitutto premettere che la Leggenda dei Tre Compagni si caratterizza per alcuni fattori che ne ren-
dono affascinante la lettura all’alba del terzo millennio, come se il testo, invece che secoli fa, fosse stato scritto
ieri l’altro, tanto è capace di catturare e coinvolgere, senza nulla togliere alla ricchezza del dato storico. Giacché,
prima ancora del Santo di Assisi, essa sa restituirci, come nessun’altra, l’uomo Francesco, le sue incertezze, i
suoi dubbi, i suoi coraggiosi cambiamenti di rotta. L’autore, mescolando fatti nuovi ad altri contenuti in opere
precedenti, seppe estrarre dal suo tesoro cose nuove e cose antiche, dando vita a un’opera indubbiamente de-
INTERVISTA
ESCLUSIVA
Felice Accrocca:
La Leggenda dei Tre Compagni
22
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
Intervista esclusiva a uno dei MASSIMI ESPERTI MON-
DIALI DI FRANCESCANESIMO. Sacerdote della diocesi di
Latina-Terracina-Sezze-Priverno, don Felice Accrocca è vi-
cario episcopale per la pastorale e parroco a Latina. Stu-
dioso di storia medievale e autore di numerosi contributi
su san Francesco, santa Chiara e il francescanesimo del primo secolo, è do-
cente presso la Facoltà di Storia e Beni culturali della Chiesa nella Pontificia
Università Gregoriana di Roma. Ha coordinato la sezione delle biografie nella
terza edizione delle Fonti Francescane (Padova 2011).
↘ Don Felice Accrocca.
23. liziosa, capace – con la sua peculiare attenzione al-
l’umanità di Francesco – di parlare all’uomo di ogni
tempo. L'opera riesce a dare, come poche altre nel
suo genere, un ritratto efficace dell’itinerario psico-
logico e spirituale dell’Assisiate, dei suoi turbamenti
interiori e delle sue progressive conquiste, guada-
gnate attraverso una dura lotta con se stesso e
un’inesausta ricerca della volontà di Dio; in tal
modo, essa rivela a noi il valore positivo della lotta,
ed è elemento prezioso, perché oggi si vuol lottare
poco: alle prime difficoltà, quali che siano, si prefe-
risce lasciar perdere e cambiare rotta, piuttosto che
lottare e mantenersi nella via tracciata da Dio per
noi.
D.: La Leggenda dei Tre Compagni, dunque, dipinge
un Francesco dal volto perlopiù “umano” e non
prettamente “canonico”: dopo tanti anni di studi e
di ricerca francescana, e dall’alto della Sua autore-
volezza in materia, qual è la sua (di don Felice) im-
magine “umana” di San Francesco?
R.: La mia immagine di Francesco è quella di un
uomo che doveva - come tutti - fare i conti con la
propria umanità e le proprie debolezze, lottando
spesso contro gli istinti naturali più bassi. Esemplare,
a questo proposito, quel che accadde nell’eremo di
Sarteano, dove una volta fu tentato nella carne; al-
lora si spogliò e si flagellò aspramente con un pezzo
di corda, gridando al suo corpo: «Orsù, frate asino,
così tu devi sottostare, così subire il flagello». Ma
poiché vedeva che non cavava un ragno dal buco e
la tentazione non se ne andava, nonostante fosse
ormai pieno di lividi, «aprì la celletta e, uscito nel-
l’orto, si immerse nudo nella neve alta. Prendendo
poi la neve a piene mani la stringe e ne fa sette
mucchi a forma di manichini, si colloca poi dinanzi
ad essi e comincia a parlare così al corpo: “Ecco,
questa più grande è tua moglie; questi quattro, due
sono i figli e due le tue figlie; gli altri due sono il
servo e la domestica, necessari al servizio. Fa’ presto,
occorre vestirli tutti, perché muoiono dal freddo. Se
poi questa molteplice preoccupazione ti è di peso,
servi con diligenza unicamente al Signore”. Al-
l’istante il diavolo confuso si allontanò, ed il Santo
ritornò nella sua cella, glorificando Dio» (2Cel 116-
117: FF 703). Fu uomo fino in fondo, dunque, e con
i piedi a terra. A persone immature, infatti, deside-
rose di vivere un’eterna fanciullezza libere dalle re-
sponsabilità e dagli impegni, la tentazione appare
sempre e solo sotto il suo lato più bello e seducente,
privo di rischi: una zona franca in cui tutto è per-
messo, senza alcuna conseguenza. Solamente
quando si smette di fantasticare e ci si decide a cre-
scere superando ogni sindrome di Peter Pan, come
ha fatto Francesco, ci si rende conto che c’è una fa-
tica del vivere, dalla quale non ci può esimere: ogni
situazione, anche quella in apparenza facile, ha le
sue difficoltà e i suoi rischi, che non possiamo e non
dobbiamo nasconderci. Questo ci aiuterà ad affron-
tare le difficoltà e a vivere bene la condizione alla
quale Dio ci ha chiamati.
D.: La nostra Rivista si occupa di francescanesimo
nell’Umbria e nelle Marche: quali elementi di conti-
nuità e, se ve ne sono, di differenziazione tra i due
territori?
R.: Gli elementi di continuità, ovviamente, ci sono e
sono tanti: la contiguità territoriale, d'altronde, fa-
vorisce scambi reciproci frequenti e questo produce
spesso esperienze comuni. È vero pure che le Mar-
che, se non erro, hanno più montagne, e queste si
rivelano più difficilmente raggiungibili. Ebbene, que-
sti territori sono stati spesso, nella storia, luogo di
persistenza di dissidenze religiose, proprio perché
più defilati e quindi anche più difficilmente control-
labili. In tal senso, le Marche si caratterizzano di più
per la persistenza di gruppi radicali spesso critici con
il francescanesimo "ufficiale", seguito dalla maggio-
ranza dell'Ordine: penso ad esempio agli Spirituali,
che ebbero la loro chiara influenza sugli Actus beati
Francisci et sociorum eius, che nella loro traduzione
volgare sono i famosissimi Fioretti. Non è un caso,
credo, che la zona montana dell'Umbria a confine
con il camerinese (penso a Colfiorito) sia proprio
quella che, più di altre, presenta situazioni analoghe
a quelle del territorio marchigiano.
D.: Ha in cantiere qualche altra prossima pubblica-
zione?
R.: Vorrei pubblicare altre fonti, magari nella mede-
sima collana (penso alla Compilazione di Assisi e al
Memoriale di Tommaso da Celano); poi, a Dio pia-
cendo, vorrei rivedere il testo dell'edizione critica del
cosiddetto Anonimo Perugino, che in realtà è
un'opera sui Primordi dell'Ordine: un’opera davvero
preziosa, che concentra la sua attenzione non tanto
su Francesco quanto, piuttosto, sul gruppo dei primi
frati; il testo che ora abbiamo a disposizione ha bi-
sogno di una robusta revisione. Spero di potercela
fare.
23
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
24. 24
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
di Silvia Papa
Divenuta consuetudine da diversi anni, la CNA
Picena collabora con il comune di Ascoli Piceno
e con l’Ente Quintana, creando preziosi gioielli
e ceramiche artistiche in occasione della rievo-
cazione storica nella prima domenica di agosto.
Quest’anno è entrata a far parte della CNA
anche la ABACO Società Cooperativa, servizi
per l’archeologia e i beni culturali (tra l’altro no-
stro Editore), che ha partecipato alla realizza-
zione di uno dei gioielli indossati durante il
corteo della Quintana.
Il gioiello è stato presentato durante una con-
ferenza stampa, dove ha partecipato oltre al
Presidente della CNA di Ascoli, Luigi Passaretti
anche il Sindaco Guido Castelli, quale segno di
valorizzazione delle eccellenze dell'artigianato
artistico e di promozione nel nuovo centro
espositivo e multimediale della CNA in via del
Trivio. “Quest'anno il lavoro dei nostri orafi –
spiega Barbara Tomassini, Presidente della CNA
Artistico e Tradizionale – è supportato da ricer-
che storiche e filologiche di un gruppo di ar-
cheologi che ha studiato a fondo il periodo in
cui è ambientata la nostra rievocazione storica.
Questa sinergia fra centri di studio e ricerca e
lavoro degli artigiani riteniamo sia la chiave per
un successo di immagine e di prodotto, sia in
Italia che all'estero".
Il lavoro di ricerca storico-artistico condotto dal-
l’equipe ABACO nella figura della dott.ssa
Papa, è stato coordinato dal dott. Matteo Ta-
dolti, che ha poi aggiunto quanto importante
sia per i progetti presenti e futuri con la CNA,
l’accordo quadro di collaborazione con l’Uni-
versità di Camerino nel corso di laurea Tecno-
logie e Diagnostica per la Conservazione e il
Restauro, guidato dal Prof. Marco Giovagnoli.
L’accordo è finalizzato infatti al reciproco scam-
bio di progettualità, competenze e servizi, nel-
l'ambito della conservazione, restauro e tutela
del patrimonio.
Tra le varie proposte della ABACO, l’orafo An-
tonio Tomaselli, ha scelto di riprodurre la spilla
tratta dall’opera di Ambrogio Lorenzetti Ver-
gine con il Bambino nella Pieve dei Santi Pietro
e Paolo di Roccalbenga, datata 1340 circa. Am-
brogio Lorenzetti fu uno dei maestri della
scuola senese del Trecento, fratello minore di
Pietro, fu attivo dal 1319 al 1348 e si distinse
soprattutto per la forte componente allegorica
e complessa simbologia delle sue opere mature
e per la profonda umanità dei soggetti rappre-
sentati e dei loro rapporti.
Completano i lavori per i gioielli delle dame
della Quintana 2014 i maestri orafi piceni Pie-
tro Angelini, Giuseppe Coccia e i maestri orafi
Giorgio Aguzzi di Pesaro e Silvano Zanchi di
Fermo. I gioielli saranno poi resi visibili in una
mostra allestita dalla CNA Piceno con la colla-
borazione ABACO.
Ori
archeologia
e
25. 25
Dame
gioielli
e
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
Nel tardo Medioevo la posizione giuridica dei citta-
dini era determinata da una grande quantità di
leggi, prerogative e privilegi, codificati nelle “con-
suetudini cittadine”. Tra le leggi in vigore vi erano
le cosiddette “suntuarie” che regolavano l’uso di
vesti e ornamenti preziosi. Tali leggi sono un pre-
zioso documento per conoscere la moda e i co-
stumi di un’età.
Nel XIV secolo si assiste a una rivoluzione sia nella
linea che nel modo di considerare l’abbigliamento
dal punto di vista sociale: il costume si arricchisce
di movimento e scioltezza, acquista consapevo-
lezza della forma che ricopre e si ravviva nei parti-
colari e nella qualità dei tessuti. Il vestiario si
presenta leggiadro ed elegante, ma anche compli-
cato e dispendioso. Nasce in questo periodo la fi-
gura del “sarto per abiti”, grazie al quale la moda
comincia ad atteggiarsi nelle più svariate forme a
seconda della collocazione territoriale: "Presto i
sarti saranno costretti a confezionare abiti al-
l’aperto, poiché lo spazio delle loro case non ba-
sterà più a contenerli".
Dalla fine del Trecento a tutto il Quattrocento le
stoffe più usate sono state il panno, la lana, il lino,
la tela, il raso, il velluto e il taffatano, mentre i colori
più utilizzati erano il rosso, il celeste, il rosa, il mar-
rone e il grigio. Il nero e, talora, il verde erano colori
indossati in segno di lutto, ma il primo poteva es-
sere usato anche per gli abiti di cerimonia, e il se-
condo per i vestiti festosi inneggianti alla nuova
stagione e alla fecondità.
Tra gli abiti femminile, tipica era la “cotta”, abito
corto e stretto a immediato contatto con la cami-
cia, che poteva essere anche in tessuto pregiato di
seta (damasco, velluto, broccato) con ricami, fi-
gure, divise, minuterie metalliche, nastri nelle
spose novelle. La “camorra” era, invece, una veste
ampia aperta sul davanti e senza maniche, nella
donna talora era divisa in “sottana” e “corpetto”
o “sopraveste intera”, chiusa al collo o scollata. Su
di essa poteva essere indossato il vestito, il man-
tello, la cotta.
Le donne sposate solevano portare il capo coperto,
ad esempio con bende o strisce di tela ornate di
monili sulla fronte e sulle tempie e un balzo intrec-
ciato di nastri colorati, elevato sopra la testa all'in-
dietro, per non alterare la linea del capo, mentre
le meretrici dovevano portare un berretto con di-
stintivo o piuma.
Dal Quattrocento sui vestiti hanno cominciato a
fare la comparsa le “imprese” e le “armi” proprie
del casato, quale espressione del ruolo, del rango
sociale e della funzione pubblica di chi le portava,
o di un'associazione, ad esempio religiosa.
Ed è difatti il Quattrocento il secolo in cui il pro-
gresso economico determina un aumento di ric-
chezza e di benessere portando ad una rinascita
anche a livello intellettuale, artistico e culturale. È
il secolo in cui l’eleganza inizia a prendere forma
con un più raffinato e ricercato modo di vestire, di
parlare e di esprimersi, ma soprattutto con la sem-
pre più diffusa necessità, nelle varie Corti Italiane,
di arricchire e valorizzare la propria immagine. I
di Silvia Papa
MODE E COSTUMI NELLA SOCIETÀ
E PITTURA DEL XIV E XV SECOLO
↗ Girolamo di Giovanni, Madonna della Misericordia.
26. Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
26
Nel Cinquecento, sollecitata anche dal rinato inte-
resse per le arti applicate, fiorì un’interessante e
varia trattatistica sull’arte orafa, sintomo di una
moda del gioiello che si andava diffondendo tra le
corti e le signorie. Il rapporto fra gioiello e arti fi-
gurative, in quest’epoca, fu molto stretto e ravvi-
cinato, pittori e scultori, infatti, erano soliti fare
pratica nelle botteghe degli orafi è una prova il
testo di Benvenuto Cellini del 1568: Due trattati.
Uno dell'Oreficeria l'altro della Scultura.
Attraverso l’uso degli ornamenti, di cui i quadri
sono un’importante testimonianza figurativa, è
possibile dunque creare una sorta di storia del
gusto, degli usi e delle trasformazioni sociali. Come
il gusto segue la storia, così i preziosi gioielli diven-
tano essi stessi repertorio di creazioni artistiche, svi-
luppando un proprio stile attraverso l’ideazione da
parte di veri e propri artisti del gioiello.
Non dobbiamo dimenticare poi come nella cultura
occidentale una particolare considerazione sia verso
la decorazione del capo. Proprio sulla testa sono
posti i simboli distintivi del potere spirituale e tem-
porale, quali la mitria vescovile e la corona regale.
Secondo la gerarchia del pensiero medievale e ri-
nascimentale era considerato maggiormente lecito
decorare ciò che la natura stessa ha posto più in
alto e cioè il capo, il quale diviene, tramite accessori
e gioielli, emblema del proprio rango, del gusto e
della sensibilità alle mode. Questo specialmente per
quanto riguarda le donne, le quali potevano esibire
lo status della famiglia di appartenenza. Le dame
del XV secolo, ben consce del loro ruolo sociale, fa-
cevano della testa un vero e proprio campo di rap-
presentazione: grazie a un sistema di ornamenti, i
cui materiali, colori e forme venivano codificati nella
normativa suntuaria.
I pittori nelle loro opere trasportano tali consuetu-
dini, basti osservare rappresentazioni come la Pala
Ferretti-Vergine con Bambino in trono, con i SS.
Leonardo, Girolamo, Giovanni Battista e Francesco
(1472) di Nicola di Maestro Antonio d'Ancona; la
Madonna con il Bambino (1456-60) di Chiulinovich
Giorgio detto lo Schiavone; la Madonna dell’Umiltà
del Beato Angelico; l’Adorazione dei Magi degli In-
nocenti di Domenico Ghirlandaio; la Vergine con il
Bambino (1340) nella Pieve dei Santi Pietro e Paolo
di Roccalbenga di Lorenzetti Ambrogio; la Ma-
donna della Misericordia, San Venanzio e San Se-
gioielli iniziano a diventare protagonisti della vita
quotidiana delle signore e dei nobili signori. Le no-
bildonne amano arricchire le loro vesti e le loro ac-
conciature, con imponenti spille, collane e anelli.
In gran voga, in questo secolo, sono soprattutto le
collane che spesso sono formate da fili di gemme,
di corallo o di perle, a volte intramezzati da pia-
strine di metallo lavorato, rese ancora più impo-
nenti da bellissimi pendenti centrali. Le spille e gli
ornamenti vari rendono molto particolari e carat-
teristiche le acconciature e l’abbigliamento. Gli spil-
loni posti sulle cinture e sui mantelli, vanno a
sottolineare l’eleganza e la ricchezza che era pro-
pria, non solo delle donne, ma anche degli uomini
appartenenti alla classe dei nobili.
Nella storia dell’arte una notevole quantità di opere
si presentano, ai nostri occhi, come una sfavillante
vetrina di gemme e di pietre preziose. Perle, dia-
manti, topazi, lapislazzuli, cammei, alabastri e altre
meraviglie compaiono in molte raffigurazioni arti-
stiche.
↗ Domenico Ghirlandaio, Adorazione dei Magi degli Innocenti.
↗ Lorenzetti, Madonna con Bambino.
27. Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
27
bastiano di Girolamo di Giovanni. Paolo Uccello,
ad esempio, era ossessionato nei suoi lavori dal co-
pricapo, cercine o mazzocchio, una sorta di rotolo
imbottito che nascondeva i capelli e le orecchie,
trapunto d’oro e di gioielli.
Dei gioielli da capo, molte informazioni ci sono for-
nite dagli inventari di beni mobili, i quali erano re-
datti in svariate occasioni, per stilare l’eredità, per
catalogare i beni contenuti nella dote, per regi-
strare gli oggetti ricevuti o dati in pegno a garanzia
di un prestito. Anche alcune memorie ci possono
essere d’aiuto poiché c’era l’usanza di annotare i
gioielli e i beni preziosi regalati
dai fidanzati alle future spose. Nel
Quattrocento infatti il matrimo-
nio era un momento centrale
della vita familiare, al quale erano
dedicate moltissime attenzioni;
era proprio in occasione delle
nozze che le donne ricevevano la
maggior parte dei propri gioielli,
sia sotto forma di doni, sia con-
tenuti nella dote. Non stupisce
dunque che la maggioranza dei
preziosi visibili nella ritrattistica, e
quelli di cui si fa menzione nelle
fonti scritte, richiamino significati
ricollegabili alle nozze. Sono infatti ricorrenti, sia
nei ritratti redatti in occasione dei matrimoni, sia
nelle raffigurazioni di Maria, perle, oro e pietre di
colore rosso. A questi materiali erano riconosciute
proprietà apotropaiche e propiziatorie.
Le perle, riscontrabili nella quasi totalità degli sta-
tuti suntuari e degli inventari, erano tanto amate
perché emblema di castità e purezza e con questo
significato le perle divennero l’ornamento nuziale
quattrocentesco per eccellenza, spesso portate in
dono dai fidanzati alle promesse spose. Non di
rado assieme alle perle si riscontrano nei gioielli
anche pietre rosse, sia lasciate a cabochon, sia ta-
gliate semplicemente in tolla. Queste potrebbero
essere rubini, visto il significato attribuito a questa
pietra che «fa accrescimento a ogni prosperità, ac-
cheta la lussuria, induce sanità al corpo» come
scrive Dolce, rifacendosi a autori medievali e quat-
trocenteschi.
Gioielli con oro, pietre rosse e perle erano dunque
molto presenti tra i beni delle famiglie del XV se-
colo. Ritenuti in grado di conservare puro chi li in-
dossava, erano portati dalle donne come amuleti
per garantire una serena vita coniugale.
Il significato simbolico di queste gioie ben si pre-
stava a sottolineare nei quadri le virtù della Ver-
gine, come conferma il confronto con le fonti
scritte, non solo i materiali preziosi erano copiati
nella pittura sacra, ma anche i gioielli interi, por-
tatori essi stessi di significato.
Ben visibile, ad esempio è la grande e rigida mon-
tatura in oro del frenello indossato dalla Vergine
nella celebre Annunciazione con Sant’Emidio di
Carlo Crivelli. L’accessorio è usato per trattenere i
capelli all’indietro, e ciò po-
trebbe giustificare dal punto di
vista funzionale la struttura me-
tallica, certamente influenzata
dal gusto di Crivelli per le gioie
di dimensioni importanti. Infatti
al centro del gioiello è posto un
grande fermaglio, analogo a
quelli analizzati in precedenza:
con la montatura rotonda in oro,
un rubino cabochon al centro e
quattro perle intorno ad esso.
L’Annunciazione con Sant’Emi-
dio è un’opera che desta subito
ammirazione per la densità decorativa e la finezza
compositiva: orpelli anticheggianti, decorazioni ve-
getali, minuzie architettoniche, varietà di materiali;
uno scrigno incrostato di pietre preziose che rac-
chiude l’episodio evangelico. La scena è collocata
in una strada cittadina, non in una stanza o in un
giardino come vuole la tradizione, una strada af-
follata dove il miracolo che si sta compiendo pare
essere un accidente rispetto alla complessità della
narrazione.
La Vergine, inginocchiata dietro alla soglia di una
casa, riceve compita il raggio di luce dello Spirito
Santo, mentre Sant’Emidio, vescovo di Ascoli, e
l’arcangelo Gabriele partecipano all’epifania da
una via laterale: uno spaccato di quotidianità che
annuncia la nascita del Signore.
L’opera, firmata e datata, fu dipinta nel 1486 da
Carlo Crivelli per la chiesa della Santissima Annun-
ziata di Ascoli Piceno. Essa celebrava un evento
molto importante per la città, ossia la concessione
di speciali autonomie da parte di papa Sisto IV
↘ Nicola di Maestro Antonio, Pala Ferretti.
28. 28
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
filo d’oro
unendo
di Euro Puletti *
da nord a sud
due santuari
e due persone
Un attraversa l’Umbria
A chi avrà la curiosità, e la pazienza, di leggere
questo piccolo articolo, verrà subito spontaneo
domandarsi: “Cos’è mai questo filo d’oro che at-
traversa l’Umbria dal Sud al Nord?”, “Di cosa, in
realtà, si tratta?”
Sono momenti difficili, questi che la nostra so-
cietà attraversa, a causa della crisi economica che
mette in ginocchio la, da noi tanto amata, terra
umbra ma, non è la sola crisi economica a fare
ciò, vi sono altre crisi, infatti, che vanno ben al di
là del dato economico grezzo, come la mancanza
di valori veri, autentici, e chi, in primis e soprat-
tutto, paga le conseguenze di tale “disgrega-
zione” è quella prima e primaria realtà sociale
che si chiama “Famiglia”: coppie che si separano
poco tempo dopo il matrimonio, convivenza per
non intrattenere legami giuridici né religiosi né
civili, tutto per avere, sempre e comunque, la
possibilità di tornare “libero/a” quando si vuole,
anche se vi sono figli.
L’Umbria è considerata, per antonomasia, “Terra
di Santi”, primo fra tutti San Francesco d’Assisi,
ma v’è anche un altro grande santo conosciuto
in tutto il mondo, cattolico e no, chiamato “il
Santo dell’amore”, ed è San Valentino” di Terni,
il protettore dei fidanzati, di coloro, cioè, che, nei
giorni dei festeggiamenti in suo onore, si scam-
biano la promessa di matrimonio, per formare
una loro, vera, autentica famiglia.
Il 4 agosto 2013, con decreto del vescovo della
diocesi di Gubbio, monsignor Mario Ceccobelli,
una piccola chiesa, spersa sui monti intorno a
Gubbio, nel comune di Costacciaro, è stata ele-
vata a Santuario mariano della diocesi di Gubbio
con il titolo di “Santa Maria delle Grazie partico-
larmente per la Famiglia”.
Con questa erezione a santuario diocesano per
la famiglia, il vescovo di Gubbio ha “tracciato il
filo d’oro spirituale che attraversa l’Umbria dal
Sud al Nord, filo d’oro che parte, a Sud, dalla Ba-
silica Santuario di San Valentino a Terni e si ricol-
lega con il Santuario della Madonna delle Grazie
per la famiglia al Nord, nella diocesi di Gubbio,
precisamente in corrispondenza della piccola fra-
zione montana chiamata Costa San Savino, nel
comune di Costacciaro.
Questo “filo d’oro” è accompagnato da una cir-
costanza concomitante molto “strana”, un filo
rosso costituito da due sacerdoti, i quali, anche
se distanti fra di loro ben 108 anni, hanno fatto
sì che fosse possibile unire, spiritualmente, i due
santuari: Padre Arcangelo Bindi e Don Nando
Dormi.
Padre Arcangelo Bindi nasce a Costacciaro, dio-
cesi di Gubbio, il 14 marzo 1871, entra a far
parte dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi e, il 1°
marzo 1906, riapre, dopo la soppressione da
parte dello stato italiano di tutti gli Ordini reli-
* antropologo e speleologo
misteriosamente
29. Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
giosi, il convento di Terni dei Padri Carmelitani e
l’annessa Basilica Santuario di San Valentino, re-
staurandola e promuovendo la devozione verso
il Santo protettore dell’amore e dei fidanzati.
Don Nando Dormi, nato, a Terni, il 21 maggio
1950, facente parte del clero secolare della dio-
cesi di Gubbio, in qualità di parroco nel comune
di Costacciaro, ottiene, dal citato vescovo eugu-
bino, l’erezione a Santuario della
piccola, ma secolare, chiesa
della Madonna delle Grazie
per la Famiglia.
Un sacerdote, originario di
Costacciaro, riapre, dun-
que, la Basilica Santuario di
San Valentino a Terni, men-
tre un sacerdote, origina-
rio di Terni, ottiene
l’elevazione a Santua-
rio Diocesano per la
Famiglia d’una chiesa
mariana a Costacciaro.
Cosa ben strana, que-
sta, che rientra, cer-
tamente, in un
progetto che va oltre
l’umano, per cui viene
spontaneo chiedere
alle autorità religiose
competenti, di Terni e Gub-
bio: “Perché non fare un gemellag-
gio ufficiale fra i due Santuari dedicati
all’amore per la Famiglia?”
Da cristiano, laico nel
termine della Chiesa, credo che questo “Filo
d’Oro e rosso” possa dare frutti inaspettati per
la Chiesa e la società della nostra Umbria.
Identikit
di Padre Arcangelo Bindi
Padre Arcangelo Bindi, al secolo Vittorio, nasce
a Costacciaro, nel 1871, da Filomena Marzolini
e da Lino Bindi di Fossato di Vico. Nell’archivio
parrocchiale di Costacciaro si conserva ancora il
certificato del suo battesimo, impartitogli il 14
marzo 1871, e quello della sua cresima, ricevuta,
il 23 settembre 1877, all’età di poco più di sei
anni, dal Vescovo di Gubbio Monsignor Inno-
cenzo Sannibale, durante la visita canonica dello
stesso presule eugubino di allora. Vittorio era il
terzo di tre fratelli (di cui il secondo, Enrico, fu,
anch’egli, sacerdote, a “Giomisci”, oggi Giomici
di Valfabbrica), nati tutti, come s’è visto, da un
padre non costacciarolo, ma da una
madre, sicuramente, originaria del no-
stro Comune, e della quale esistono,
tuttora, dei discendenti. Non si sa né
dove né come Bindi abbia avuto con-
tatti con i Carmelitani descalzati, ma
è assolutamente accertato il fatto
che, egli stesso, a partire dal 1°
marzo 1906, fosse
inviato, a Terni, per
ricostruire il con-
vento dei Carmeli-
tani, annesso alla
Basilica di San Va-
lentino e ne dive-
nisse, altresì, il
custode, convento
che era appena uscito
da cinquant’anni di
devastazioni, dovute alla
soppressione del 1861. Nel 1911,
Frate Arcangelo partì, con un gruppo
di confratelli, di cui era sempre supe-
riore, per impian-
tare l’Ordine dei Carmelitani descalzati nel
sud-est del Brasile.
Secondo alcune carte, conservantisi nell’archivio
della Provincia São José dei Carmelitani Scalzi a
San Paolo del Brasile, Padre Bindi morì, probabil-
mente, d’infarto fulminante, il 31 ottobre del
1927, all’età di cinquantasei anni, fra le mura del
convento di Santa Teresinha, nel quartiere Higie-
nópolis della stessa città di San Paolo del Brasile,
nella cui Cattedrale egli fu, successivamente, se-
polto.
29
TERNI
San Valentino
P. Arcangelo Bindi
(di Costacciaro)
GLI INNAMORATI
COSTACCIARO
Madonna delle Grazie
Don Nando Dormi
(di Terni)
LA FAMIGLIA
30. 30
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
Interviste
maestri orafi
di Silvia Papa
ai
Giuseppe Coccia
La nostra rivista è stata ospite domenica 3 agosto
presso il nuovo centro della CNA Picena dove, oltre
ad assistere alla Quintana, ha potuto intervistare
diversi Maestri Orafi della città di Ascoli.
All’interno del centro in via del Trivio, l’orafo Giu-
seppe Coccia ci ha reso partecipi, in un’intervista
visibile nel nostro canale Youtube, di come sia nata
la collaborazione tra l’artigianato ascolano e la
Quintana, quale volano di visibilità e di promozione
per i prodotti artistici.
Dal dipinto del pittore Domenico Ghirlandaio, ri-
tratto di Giovanna Tornabuoni, il Maestro orafo ha
tratto il gioiello indossato da una delle dame nella
sfilata. Il gioiello è stato riprodotto seguendo le tec-
niche del Quattrocento dello sbalzo e del traforo.
Per la creazione della collana sono state impiegate
95 ore di lavorazione artigianale e sono stati utiliz-
zati 60 grammi di oro 750, perle naturali, uno sme-
raldo sintetico taglio cabochon e un diamante
taglio coroné.
Un connubio perfetto quello tra arte e artigianato
che si sposa per dare origine a soluzioni brillanti,
sia nella forma che nei contenuti. Motivi storici e
rinascimentali del nostro passato rivivono in crea-
zioni uniche e originali, frutto della grande sa-
pienza e perizia dei maestri artigiani
contemporanei.
Pietro Angelini
Il Sentiero Francescano il giorno 3 agosto era ad
Ascoli per assistere alla Quintana 2014. Con pia-
cere ho potuto intervistare alcuni tra i Maestri orafi
che hanno partecipato alla realizzazione dei gioielli
indossati dalle dame dei sei sestieri durante la rie-
vocazione storica.
Il Maestro orafo Pietro Angelini mi ha permesso di
visitare la sua bottega artigiana e mi ha raccontato,
ripreso in un video, come sia nato il suo amore per
l’arte e perché abbia iniziato questa attività.
Una passione nata - mi confessa - dall’antiquariato,
proseguita poi con corsi di specializzazione, che
hanno spaziato dalla tecnica alla storia dell’orefice-
ria, sino alle creazioni contemporanee, grazie alle
quali ha potuto esporre in diversi parti del mondo,
dalla Cina agli Stati Uniti.
Riguardo alla Quintana, grazie alla CNA Picena, ha
intrapreso da diversi anni la sua collaborazione cre-
ando i preziosi indossati dalle dame. Un lavoro ar-
tigiano e artistico, che mette in risalto tutta la
maestria di un antico mestiere, ricco di fascino e di
abilità, in un piacere per gli occhi e per l’animo.
Da questa pagina è possibile accedere alle due in-
terviste video integrali presenti nel nostro canale
31. 31
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
Cecco Ascoli
pontedel diavolo
di Silvia Papa
d’
e il
I cittadini di Ascoli Piceno mi hanno raccontato
una leggenda, che condivido con voi in queste
righe.
Francesco Stabili, meglio conosciuto come Cecco
D’Ascoli, fu uno studioso di scienze occulte, con-
dannato al rogo nel 1327 a Firenze, poiché pro-
fessava e pratica arti contrarie ai dettami della
Chiesa.
Nel poema allegorico Acerba etas Cecco, trat-
tando vari argomenti, attribuisce particolari virtù
al cielo, all'anima, alle pietre, agli animali, a diversi
tipi di fenomeni psicologici e naturali e alla for-
tuna.
La tragica sorte e i suoi atteggiamenti “magici” e
bizzarri, fecero di Cecco oggetto di molte leg-
gende, si narra che grazie ad un libro, Libro del
Comando, fosse stato capace di far scomparire un
fiume, di aver costruito la via Salaria e il ponte sul
fiume Castellano in una sola notte, presso le mura
di Ascoli.
In realtà il ponte di Mastro Cecco o del Diavolo,
risale all’epoca romana e aveva una struttura co-
stituita da due arcate.
Distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale,
venne poi ricostruito fedelmente in travertino e
pietra, al centro si trova una costruzione a forma di
casupola, detta "casetta del dazio".
La grande personalità, il fisico imponente, la carica
magnetica uniti alla fama di filosofo, astronomo,
mago, indovino, alchimista e negromante fanno di
Cecco d’Ascoli un personaggio ricco di fascino e
neppure i suoi contemporanei ne rimasero indiffe-
renti, Petrarca lo ricordò in un suo sonetto: ”Tu sei
il Grande Ascolan che il mondo allumi / per grazia
de l’altissimo tuo ingegno; / Tu solo in terra di veder
sei degno / esperienza degli eterni lumi...”.
Se vi capita di passare per Ascoli una capatina sul
ponte di Cecco non dimenticate di farla, è infatti
possibile percorrerlo a piedi e fruire della congiun-
tura tra il centro della città e il quartiere di Porta
Maggiore.
↘ Il Ponte di cecco o del Diavolo ad Ascoli.
↗ Francesco Stabili
di Simeone, meglio
noto come Cecco d'Ascoli.
32. 32
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
Francesco Assisi
cavaliere
di Diego Mecenero
il
d’ ,
Una cosa è sicura: Francesco d’Assisi sapeva
osare. Era parte profonda della sua indole, prima
e dopo la conversione. In questo, non ha “rinun-
ciato” a nulla.
E, come tanti suoi coetanei assisiati, cosa avrebbe
potuto sognare da ragazzo se non di divenire ca-
valiere?
Ce lo racconta in maniera esplicita la prima bio-
grafia del Celano, che lo dipinge come sognatore
di grandi imprese “per la gloria vana del
mondo”:
Un cavaliere di Assisi stava allora organizzando
grandi preparativi militari: pieno di ambizioni, per
accaparrarsi maggior ricchezza e onore, aveva
deciso di condurre le sue truppe fin nelle Puglie.
Saputo questo, Francesco, leggero d'animo e
molto audace, trattò subito per arruolarsi con lui:
gli era inferiore per nobiltà di natali, ma supe-
riore per grandezza d'animo; meno ricco, ma più
generoso. (Fonti Francescane, 325)
Il giovane Francesco fa però una notte un sogno
che lo turba profondamente proprio il giorno
prima di partire. Tale episodio, spesso poco noto
ai più, costituisce invece un momento impor-
tante della sua fase di “conversione”. Non va di-
menticato che tale fatto è stato ad esempio
affrescato da Giotto nella Basilica Superiore di
San Francesco ad Assisi.
La sua mente era tutta consacrata al compi-
mento di simile progetto, e aspettava ansioso
l'ora di partire. Ma la notte precedente, Colui
che l'aveva colpito con la verga della giustizia lo
visitò in sogno con la dolcezza della grazia; e poi-
Se potessimo incontrare Fran-
cesco di Assisi dal vivo quan-
d’era bambino o adolescente,
e gli chiedessimo: «Cosa vuoi
fare da grande?», egli ci ri-
sponderebbe molto probabil-
mente: «Il cavaliere».
↘ Giotto, Il sogno delle armi e del palazzo.
33. 33
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
ché era avido di gloria, lo conquise con lo stesso
miraggio di una gloria più alta.
Gli sembrò di vedere la casa tappezzata di armi:
selle, scudi, lance e altri ordigni bellici, e se ne
rallegrava grandemente, domandandosi stupito
che cosa fosse. Il suo sguardo infatti non era abi-
tuato alla visione di quegli strumenti in casa, ma
piuttosto a cataste di panno da vendere.
E mentre era non poco sorpreso davanti all'avve-
nimento inaspettato, si sente dire: «Tutte queste
armi sono per te e i tuoi soldati». (Fonti France-
scane, 326)
Perfetto. Un palazzo pieno zeppo di armi, arma-
ture a quant’altro possa desiderare chi sta so-
gnando di divenire cavaliere. Il biografo Celano,
però, già anticipa quanto intende comunicare a
un livello più profondo (non importa molto a noi
se lo faccia a “priori” o a “posteriori”, cioè se
tale sogno sia realmente accaduto o sia una stra-
tegia biografica): anche Dio vuole che Francesco
diventi cavaliere, ma un ben altro tipo di cava-
liere, e i suoi soldati (i frati) saranno un ben altro
tipo di soldati.
La mattina dopo, destandosi, si alzò con il cuore
inondato di gioia e, interpretando la visione
come ottimo auspicio, non dubitava un istante
del successo della sua spedizione nelle Puglie.
Tuttavia non sapeva quello che diceva, ignorando
ancora il compito che il Signore intendeva affi-
dargli. Non gli mancava comunque la possibilità
di intuire che aveva interpretato erroneamente la
visione, perché, pur avendo essa un rapporto con
le imprese guerresche, di fatto non lo entusia-
smava né allietava come al solito; a fatica anzi gli
riusciva di mettere in atto quei suoi piani e realiz-
zare il viaggio tanto desiderato. (Fonti France-
scane, 326)
Perfetto veramente no. Qualcosa, sotto sotto, non
va: Francesco si “sforza” di gioire del suo sogno
che sta per realizzarsi, ma “sente” che in realtà
non è veramente felice.
Già cambiato spiritualmente, ma senza lasciar
nulla trapelare all'esterno, Francesco rinuncia a re-
carsi nelle Puglie e si impegna a conformare la sua
volontà a quella divina. (Fonti Francescane, 328)
Francesco cambia idea, non va più in Puglia e,
conseguentemente, non desidera più come prima
divenire cavaliere. Forse non lo vuole più affatto
e comincia a “modellare” dentro e fuori di sé
un’armatura che lo farà “cavaliere di Cristo”
(Fonti Francescane, 335).
Sempre Tommaso da Celano, nella sua seconda
biografia del santo, sviluppa maggiormente il rac-
conto del sogno che in una seconda notte di
sonno tormentato si arricchisce anche di un dia-
logo tra Francesco e un misterioso personaggio.
Un'altra notte, mentre dorme, sente di nuovo una
voce, che gli chiede premurosa dove intenda re-
carsi. Francesco espone il suo proposito, e dice di
volersi recare in Puglia per combattere.
Ma la voce insiste e gli domanda chi ritiene possa
essergli più utile, il servo o il padrone.
«Il padrone», risponde Francesco.
«E allora - riprende la voce - perché cerchi il servo
in luogo del padrone?». E Francesco: «Cosa vuoi
che io faccia, o Signore?». (Fonti Francescane,
587)
Sembra proprio che Francesco non capisca subito
i sui ruoli. A breve intenderà di dover restaurare
una chiesetta in rovina al posto di contribuire a
rinnovare la Chiesa. Ma non importa, in ogni caso
è un eccellente muratore. E cavaliere.
↘ La statua bronzea di Francesco cavaliere “pensoso” ad Assisi.
34. 34
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
Rocca Assisi
guardiano solitario
valledi Carmen Nardi *
un
nella
diLa :
Il viaggiatore che si reca in visita ad Assisi non può
non sentire la sua presenza: che incomba livida e
minacciosa nei giorni grigi o dorata e sicura
quando splende il sole, la rocca Maggiore è un
guardiano fedele, che sembra vegliare sulla città
perché preservi quella seraficità e quel fascino
fuori dal tempo che tutti le riconoscono.
Per raggiungere la splendida Rocca, che sorge
sulla cima del Monte Asio a dominio del centro
urbano e della valle del Tescio, si può percorrere,
a piedi, via porta Perlici, dove aveva sede l'antica
Confraternita di San Lorenzo. Giunti in cima alla
salita, la rocca si svelerà in tutta la sua bellezza e
potenza, insieme ad un panorama mozzafiato
che permette allo sguardo di vagare sulla pianura
circostante, arrivando alle colline di Perugia.
Il luogo in cui essa sorge sembra rimandare an-
cora l'eco di storie arcaiche: è probabile infatti
che proprio lì, sul monte Asio, ci fosse in tempi
remoti una cittadella pre-romana, un santuario
umbro o una necropoli. Non vi sono tuttavia te-
stimonianze archeologiche a conferma certa di
questa ipotesi. Le prime notizie sicure della Rocca
si hanno a partire dal 1173-74, quando Cristiano
di Magonza conquistò Assisi per conto di Fede-
rico Barbarossa, che vi soggiornò brevemente.
Pare tuttavia che la struttura fosse già esistente
in epoca longobarda. Dopo la conquista del Bar-
barossa, comunque, la fortezza fu il centro del
potere feudale germanico fino al 1198, anno in
* giornalista
↖↗ La Rocca Maggiore di Assisi
35. 35
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
cui passò alla parte guelfa del papa Innocenzo III
e le sue mura e le sue torri furono distrutte dal
popolo, che la percepiva come simbolo dell'op-
pressione imperiale. La sua lunga storia di san-
gue, potere, feroci vittorie e rovinose sconfitte
era così iniziata. Il papa cacciò Corrado di Urslin-
gen, duca di Spoleto, e con lui il piccolo Federico
II di appena 4 anni. All'epoca Francesco d'Assisi
aveva 16 anni.
Nel 1319 fu Muzio di Francesco I Brancaleoni da
Piobbico ad impadronirsi della Rocca, aiutato da
Federico I da Montefeltro e dal vescovo di
Arezzo, Guido Tarlati; si narra che gli assalitori ru-
barono anche il tesoro conservato nella basilica
di S. Francesco, vendendolo nei mercati di
Arezzo, Firenze e Fabriano.
La fortezza da questo momento in poi si trovò al
centro delle sanguinose vicende di cui furono co-
stellate le lotte fra guelfi e ghibellini, tanto da
versare in stato di abbandono già intorno alla
metà del 1300, gravemente danneggiata da as-
salti armati e saccheggi.
La struttura fu ricostruita nel 1356 dal cardinale
Egidio Albornoz (allora impegnato nella sotto-
missione delle principali città della penisola)
come punto di avvistamento, rispettando l'im-
pianto del XII secolo.
Per rafforzare verso il monte l'angolo nord orien-
tale del perimetro fortificato, il cardinale fece co-
struire, intorno al 1360, la cosiddetta Rocca
Minore o cassero di Sant'Antonio, dal nome alla
confraternita di Sant’Antonio e San Giacomo che
si trova presso la porta dei Cappuccini sotto la
rocca stessa.
Le due rocche sono collegate da una lunga mu-
raglia, sotto la quale esisterebbe un percorso se-
greto.
Dopo la ricostruzione l'edificio, con la sua ritro-
vata solidità e potenza, fu teatro degli scontri
sanguinosi fra le nobili famiglie dei Nepis, della
"Parte de Sopra" e dei ghibellini Fiumi della
"Parte de Sotto", rispettivamente sostenitori dei
Baglioni e degli Oddi di Perugia, che si conten-
devano il dominio della città. Nel marzo del
1391, per vigilare gli sviluppi delle feroci discordie
fra le due famiglie, si stabilirono nella Rocca Pan-
dolfo Baglioni e Ugolino degli Arcipreti.
Nel 1393 vi fu imprigionato lo stesso Guglielmo
Fiumi, capo della "Parte de Sotto", il quale, dopo
alcuni mesi, venne decapitato. Nel 1394 fu
Biordo Michelotti ad entrare in possesso delle due
Rocche; il condottiero perugino fu acclamato si-
gnore e Gonfaloniere della città e la fortezza fu
da lui restaurata. Nel 1458 venne innalzato il tor-
rione ottagonale (maschio) su ordine di Jacopo
Piccinino che aveva conquistato le due fortezze
con l’aiuto del castellano Raimondo Ferraro.
Le truppe di Piccinino, inviate da Perugia compi-
rono il più tragico dei saccheggi in città salendo
al potere prima di cadere contro il Valentino Ce-
sare Borgia nel 1503 che assoggettò definitiva-
mente la città al dominio pontificio.
La Rocca, attraverso fasi di ampliamento succes-
sive, raggiunse il suo "definitivo" aspetto impo-
nente e maestoso con Paolo III (1538), che vi
aggiunse il bastione di accesso circolare su cui si
trova lo stemma pontificio.
Dal bastione si accede alla parte interna della for-
tezza (in cui, nel 1972, furono girate alcune scene
del film Fratello sole, sorella luna, diretto dal re-
gista Franco Zeffirelli) e da lì nel campo trincerato;
mentre per la torre di nord est si penetra nell'an-
temurale, da cui una rampa di scale conduce al
cortile chiuso tra le mura esterne e il cassero,
dove si trovavano gli ambienti di servizio.
Un portale a saracinesca immette nella corte cen-
trale pavimentata con mattoni originali. A destra
si innalza il maschio, che fungeva da abitazione
del castellano, dove si sovrappongono cinque
ambienti collegati da una scaletta a chiocciola.
Quelli descritti furono gli ultimi anni che videro la
fortezza espletare la sua funzione militaresca. Nel
’600, infatti, la struttura fu completamente ab-
bandonata, per diventare nei secoli successivi un
carcere, un magazzino e infine un rudere. Nel
1877 le due rocche furono cedute al comune di
Assisi dal Ministero del Tesoro e della Pubblica
Istruzione.
1
Daniele Amoni, scheda descrittiva in mondimedievali.net
2
cit. Umbria, touring club italiano, anno 2004
3
Umbria, op. cit.
36. All’anteprima Nazionale del
12 ottobre a Recanati de “Il
Giovane Favoloso”, film di-
retto da Mario Martone era
presente anche il Sentiero
Francescano. È una pellicola
che fa battere il cuore, per-
vasa dalla poesia del Leo-
pardi che ha una forza
intellettuale rara, nella sua
innegabile attualità. E il regi-
sta ha scelto per il ruolo di
Silvia, la giovane venti-
duenne recanatese, Gloria
Ghergo, una ragazza con-
creta e semplice che incon-
triamo al termine del film.
Come sei arrivata ad essere la Silvia de "Il giovane favoloso"?
Sono diventata la Silvia del Giovane favoloso per caso. Sono una ragazza come tante, trascorro le mie
giornate all’università e tra gli altri impegni di sera lavoro come cameriera in un’osteria del mio paese.
È proprio lì che è nata l’idea ad alcuni collaboratori del regista Martone di farmi interpretare il ruolo di
Silvia nel film Il giovane favoloso. Mi hanno visto lavorare all’osteria e mi hanno proposto al regista,
che a pochi giorni dall’inizio delle riprese del film non aveva ancora ben chiaro chi avrebbe interpretato
la donzelletta cantata dal poeta. Di me Martone ha apprezzato la semplicità e la spontaneità nella re-
citazione di qualcuno che fosse completamente estraneo al mondo del cinema… e il fatto che fossi
propriamente di Recanati!
Gloria Ghergo
la Silvia de “Il giovane
favoloso”
di Rosita Roncaglia
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
36
Con
↖ L’attrice Gloria Ghergo col regista Martone e l’attore Germano.
INTERVISTA
ESCLUSIVA
37. Il rapporto con il regista
Martone è stato soddi-
sfacente per te? Le tue
impressioni.
Lavorare con un profes-
sionista come Martone
mi ha messo di fronte a
una grande responsabi-
lità. Le prime emozioni
sono state la paura di
sbagliare e allo stesso
tempo la voglia di fare
un buon lavoro!
Come descriveresti il per-
sonaggio di Silvia?
Silvia è una giovane
donna del paese. Lavora
tutto il giorno al telaio e
il suono ritmico e martel-
lante che scaturisce dal
suo lavoro fa da colonna
sonora alle giornate del poeta. Le finestre sulle
quali si affacciano i due giovani sono una di
fronte all’altra e spesso capita qualche incrocio
di sguardi.
I due, però, sono protagonisti di un amore quasi
impossibile, tanto sono differenti le realtà in cui
ognuno di loro vive.
Quando si incontrano
sembra che parlino lin-
gue diverse, lei, timida e
impacciata, non sa leg-
gere, mentre lui invece
sta scrivendo un sonetto
su Dante...
La nostra rivista si oc-
cupa di francescane-
simo: raccontaci i motivi
che ti hanno portato alla
scelta "controcorrente"
di andare in Missione in
Africa rinunciando alla
37
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
prima del film alla Mo-
stra del Cinema di Ve-
nezia.
Conoscere l’Africa è un
desiderio che ho da
sempre: conoscere per
capire se è possibile fare
del bene a questo Paese
che tanto soffre. Ho
avuto la possibilità di
fare questa esperienza
grazie al parroco della
mia parrocchia che è il
fondatore del SERMIRR
(SERvizioMIssionarioRe-
dentoreRecanati) che
da anni ha progetti in
India e dallo scorso
anno ha intrapreso un
nuovo percorso a fianco
dell’Africa. Avevo de-
ciso da tempo che non
potevo mancare a que-
sto appuntamento di due settimane con il Bu-
rundi, e nonostante la prima del film al festival
di Venezia negli stessi giorni, ho deciso di par-
tire. È stata un’esperienza davvero importante
per me… e il film me lo sono comunque gu-
stato nel mio paesino dove tutto è nato e ha
preso forma!
Quali sono le tue aspira-
zioni per il futuro?
Nei miei progetti futuri il
primo appuntamento è
la laurea in infermieri-
stica, tra un mese. Poi
chissà... l’Africa torna
sempre nei miei pensieri,
magari mi troverò a la-
vorare in questi luoghi
come professionista
della salute!
↘ La locandina del film.
↗ Gloria all’anteprima di Recanati, assieme al figurante Paolo Maga-
gnini, della Compagnia del Teatro Instabile di Recanati (LINK)
38. 38
Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15
Lo scorso martedì 8 settembre 2014, l’Allegra
Compagnia di Jesi, un gruppo artistico-teatrale
numeroso composto da bambini, giovani e
adulti, ha proposto in Piazza Kennedy a Moie di
Maiolati Spontini (AN) uno spettacolo dal titolo
chiaro quanto accattivante: Francesco è vivo!
Capitanato da Giuseppe Fabrizzi, che certa-
mente di energia e vita non ne amana davvero
poca, il gruppo si definisce “non professionista”
ma, di fatto, arriva sempre a segno laddove pro-
pone il suo spettacolo.
Si resta infatti dapprima un po’ spiazzati a sentir
in bocca al Santo di Assisi l’attuale dialetto di
Jesi, poi si rimane incantati nel cogliere come la
storia del Poverello sia perfettamente riletta e
adattata a contesti più attuali e vicini alle espe-
rienze dei ragazzi di oggi.
La scommessa è quindi vinta - perché all’origine
di questa proposta teatrale c’è per l’appunto una
scommessa - quella di coinvolgere piccoli, gran-
Francesco
è vivo!di Diego Mecenero
dicelli ed adulti in un progetto di comunicazione
artistica incentrato sulla figura del Patrono d’Italia
che potesse donare qualcosa di vivo sia in chi
calca il palcoscenico che in coloro che assistono
alla rappresetazione.
Così, in un clima di ben percepibile amicizia e al-
legria, la Compagnia ha riproposto in modo at-
tuale la vita di San Francesco d’Assisi dalla prima
giovinezza fino alla morte, con scene di teatro,
canzoni dalla sonorità suggestiva e significative
coreografie di danza.
A spettacolo concluso gli applausi sono stati scro-
scianti e i sorrisi di chi stava sotto i riflettori erano
stati “sparati” in faccia anche a tutti gli astanti
che, innegabilmente, avevano percepito che
c’era qualcosa di “vivo” dinanzi a loro.
Francesco è vivo, sì, e sembra davvero che la
forza della sua vita abbia il potere di contagio:
anche questa Allegra Compagnia è viva e quello
che porta in giro non è solo “spettacolo”.
E PARLA JESINO
39. 39
Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it
di Francesca Mazzanti *
ricetta:
arrosto
cinghiale
La
L’
di
Nell'immaginario collettivo il Medioevo è, spesso,
associato a giostre, tornei, disfide, i cui protagonisti
sono, senza dubbio, i cavalieri: nobili, nobili deca-
duti, avventurieri... Come ogni bellator (per gioco
o in guerra) che si rispetti il cavaliere è un grande
mangiatore di carne, preferibilmente rossa, la
quale costituisce la condicio sine qua non per l'ap-
partenenza ad una classe sociale elevata. La carne
era sinonimo di forza fisica e potere e veniva cotta,
di preferenza, arrosto, in modo da permettere alle
fiamme di essere a diretto contatto con essa: i no-
bili valorizzavano, infatti, il rapporto senza inter-
mediari fra l’uomo e la natura selvaggia.
Il nome originale della ricetta che propongo era
bourbier (“pantano”) di cinghiale, presente anche
nella variante bourbelier (“spina dorsale”). Il primo
termine potrebbe essere stato associato alla ricetta
per via del colore scuro che essa assume al termine
della preparazione. Si tratta di un piatto abba-
stanza diffuso nel Centro-Nord Italia le cui materie
prime, ad eccezione della melegueta, sono tutte di
facile reperibilità.
Ingredienti | Cosa ci dobbiamo procurare:
• 2 kg di carne di cinghiale (coscio, sella o lom-
bata) per arrosto
• ½ litro di rosso piceno di buona qualità
• ¼ di litro di aceto di vino di buona qualità
• ¼ di litro di agresto (o 15 cl di aceto di mele di-
luito in 10 cl di acqua)
• 60 g di pane di campagna arrostito
• un pizzico di zenzero, cannella, chiodi di garo-
fano, melegueta pestata
• sale grosso
• rosmarino
Esecuzione | Come la prepariamo:
Prepariamo la salsa per bagnare l’arrosto mesco-
lando il vino, l’aceto, l’agresto, il sale, il rosmarino
e le spezie. Mettiamovi a bagno il pane e, quando
si sarà gonfiato, schiacciamolo con la forchetta la-
vorando per bene fino ad ottenere un composto
omogeneo. Sbollentiamo la carne e togliamola
dall’acqua non appena avrà cambiato colore.
Mettiamo in forno già caldo su una griglia posta su
una leccarda e lasciamo cuocere per circa un'ora e
mezzo.
Bagniamo spesso con la salsa speziata. A cottura
ultimata versiamo il resto della salsa sull’arrosto (se
fosse troppo densa possiamo allungarla con un po'
di acqua). Togliamo la leccarda dal forno e versiamo
in una salsiera la salsa che verrà servita insieme al-
l’arrosto. Avremo ottenuto un bel sugo colorato
che, se necessario, dovremo aggiustare di sale.
* insegnante, ricercatrice storica
www.cucinamedievale.it
dal Manoscritto vaticano del Viandier di Taillevent
40. www.sentierofrancescano.it
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In collaborazione con l’editrice
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raccontato e cantato la meravi-
gliosa storia di San Francesco.
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