Per sfruttare le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica alle imprese non basta digitalizzare alcune funzioni isolate: occorre affrontare un cambiamento culturale totale, ridefinendo i propri obiettivi strategici e creando le condizioni per muoversi in maniera agile nel mercato odierno.
Digital Transformation: Big Data, User Targeting ed Etica - Project Work Mast...
Trasformazione digitale?
1. TM Maggio 2017 · 6564 · TM Maggio 2017
Senior Manager di Deloitte. Un’offerta
digitale generica o interventi isolati non
solo non generano vantaggi ma possono
persino rivelarsi dannosi, allontando i
potenziali clienti dal brand e generando
rischi di reputazione. «Si impiegano anni
percostruireunbrand,mabastaunminuto
per distruggerlo», precisa Lay. Anche in
questo senso una strategia digitale strut-
turata permette di implementare una serie
di misure per controllare questi rischi. «I
leader dell’impresa non possono esimersi
dal prendere in considerazione il peso che
tali opportunità o minacce rappresentano
per l’esistenza e la continuità aziendale.
Spesso, purtroppo, si tende a rimandare
questo momento di ripensamento, in
quanto è accompagnato dall’idea di inve-
stimenti importanti e ritorno solo nel più
lungo termine», sostiene il Senior Mana-
ger di Deloitte Digital.
La trasformazione digitale è dunque il
percorso attraverso cui le imprese possono
cogliere l’opportunità di nuovi ricavi, ride-
finendo l’assetto organizzativo, gestendo
attivamente i rischi reputazionali e rispon-
dendo alle attese del nuovo consumatore
con servizi ed esperienze coerenti a tutto
tondo.
Conoscere veramente il consumatore
e coglierne il desiderio. Presto sarà pos-
sibile sapere in anticipo ciò che il consu-
matore acquisterà quando entra in negozio
ocoltivarerelazioniindividualiconciascun
singolo consumatore, in maniera distintiva
e personalizzata. La soluzione esiste e si
chiama clienteling. «Questa strategia di
marketing comprende i processi più avan-
zati di analisi, l’innovazione tecnologica
nel digital marketing, le piattaforme di e-
commerce, vendita e servizio, e permette
all’impresa di raccogliere una massa impa-
reggiabile di informazioni su abitudini e
comportamenti di consumo, trend e driver
decisionali del consumatore, al fine di ela-
borare un’esperienza personalizzata sar-
torialmente sul cliente, presentata coe-
rentemente su canali multipli, miglioran-
do, nel contempo, i tassi di conversione
e i ricavi», elenca Lay.
Dietro queste opportunità c’è la con-
vergenza di big data, internet of things e
data science, che mettono le imprese in
condizionedicomprenderemeglioipropri
clienti, rispondere ai trend di mercato e
personalizzare informazioni e prodotti di
vendita. Decifrare queste informazioni
diviene allora fondamentale per compren-
dere il consumatore oggi e prevederne l’e-
voluzione domani. «In conclusione, la
chiave di interpretazione della trasforma-
zione digitale consiste nel sapere trovare
il giusto equilibrio e compromesso fra la
capacità di generare risultati veloci attra-
verso idee innovative e creare basi solide
per la trasformazione digitale, per offrire
un’esperienza consistente e personalizzata
omni-channel,combinandotuttigliaspetti
che passano da fisicità, realtà virtuale ed
emozioni», sottolinea Lay. Le soluzioni
non sono rappresentate da interventi iso-
lati. La vera sfida consiste piuttosto nel
realizzare un cambio culturale totale, in
cui le imprese si creino le condizioni per
muoversi in maniera agile, libera e flessi-
bile, rimuovendo le barriere politiche,
organizzative e operative.
Federico Introzzi
L
atecnologiacomeilpotereaffa-
scina ma corrompe. Il rischio
principale per un’azienda che
dispone di una tecnologia inno-
vativa è concentrarsi sulla tecnologia in
sé, lasciando in secondo piano l’esperienza
che il consumatore ne potrebbe fare. «Le
imprese devono inserire l’esperienza offer-
ta al consumatore all’interno di una visione
onnicomprensiva, incentrata sul consu-
matore stesso, creando un vero e proprio
ecosistemaincuiessopossamuoversisenza
limiti e con disinvoltura», chiarisce Roger
Lay, Senior Manager di Deloitte Digital.
Altrimenti il ‘digital divide’, ovvero la dif-
ficoltà con la quale una parte della clientela
interpreta e utilizza la tecnologia, rischia
di ridurre drasticamente il mercato poten-
ziale. Si tratta quindi non solo di elaborare
e proporre la tecnologia migliore, ma
anche di ‘traghettare’ la clientela verso
una realtà che è sempre meno analogica
e sempre più digitale. «È un viaggio molto
delicato ma, soprattutto, un percorso oli-
stico, non limitato a interventi isolati, che
permette di migliorare il posizionamento
e gestire adeguatamente i rischi. E la posta
in gioco è decisamente elevata: l’identità
del brand e la continuità aziendale», pro-
segue Lay.
Il coraggio di agire. Molte imprese adot-
tano un approccio frammentato nei con-
fronti della trasformazione digitale, foca-
lizzandosi su funzioni isolate o sulla mera
digitalizzazione del processo di vendita.
«In verità, la trasformazione digitale è
moltodipiù.Consistenellosfidareemodi-
ficare percezioni ‘ingessate’ su ciò che
un’impresa è, fa e dice. Significa rimettersi
in gioco, e reinventarsi. Essa presuppone
un momento di ripensamento totale su
come le imprese intendano posizionarsi
e strutturarsi in un momento storico in
cui i confini tradizionali sono ormai supe-
rati. Implica una ridefinizione dei valori
del brand e personalizzata sui bisogni del
consumatore. È spinta dal riconoscimento
e dalla conseguente consapevolezza che
rappresenti una significativa opportunità
e, al contempo, una minaccia esistenziale.
È sottesa da una pulsione costante per
cogliere questa opportunità», prosegue il
Trasformazione
digitale?
Per sfruttare le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica alle imprese non basta digitalizzare
alcune funzioni isolate: occorre affrontare un cambiamento culturale totale, ridefinendo i propri
obiettivi strategici e creando le condizioni per muoversi in maniera agile nel mercato odierno.
Roger Lay, Senior Manager, Deloitte
Digital.
digital/Deloitte
Il progresso dell’automazione e
della robotica nelle aziende por-
teranno fatalmente alla riduzione
dei posti di lavoro? Non tutti sono
d’accordo. Lo studio Man and
Machine: Robots on the rise? The
impact of automation on the Swiss job
market di Deloitte per esempio
afferma il contrario almeno per il
mercatosvizzero.«L’avanzaredella
tecnologia è coincisa con un
sostanzialeaumentodegliimpieghi
nei Paesi sviluppati. In Svizzera,
negli ultimi 25 anni, le mansioni
con una maggiore potenzialità
d’automazione sono diminuiti, resi
obsoleti dalla tecnologia. Ma gli
impieghi a basso rischio d’automazione sono aumentati significativamente», afferma
Adam Stanford, partner di Deloitte Consulting. Tra il 1990 e il 2013, in Svizzera, i
posti di lavoro sono aumentati di circa 800mila unità.
Anche grazie all’automazione il progresso tecnologico ha portato incrementi di pro-
duttività e quindi di salari; prodotti e servizi migliori a prezzi inferiori. Conseguen-
temente, è cresciuta la domanda per nuovi prodotti e nuovi posti di lavoro, più
qualificati e meglio remunerati. Inoltre non tutte le mansioni di fascia media e bassa
sono poste a rischio dalla tecnologia. Pensiamo alle mansioni in ambito sanitario
assistenziale, la cura dei bambini, il lavoro in ambito sociale in generale o la cura
della persona. «La Svizzera è molto ben posizionata per beneficiare dall’automazione
grazie a un eccellente sistema educativo e a una solida base d’innovazione tecnologica»,
nota Adam Stanford.
Le imprese devono ridurre i costi e, al contempo, raggiungere elevatissimi obiettivi
di servizio alla clientela e innovazione di prodotti/servizi. «L’automazione è una tra
le leve disponibili per far fronte a questa sfida. Richiede però un approccio strutturato,
un modello che rappresenta un’opzione alternativa alle soluzioni tradizionali, ma
con rischi e costi contenuti. Oggi la robotica spazia dai macchinari che siamo abituati
a vedere all’opera nelle fabbriche a software di automazione, provvisti o meno di
capacità cognitive, utilizzati per eseguire compiti facilmente codificabili e, spesso,
molto ripetitivi» continua il partner di Deloitte Consulting che elenca i vantaggi
rappresentati dall’automazione: «Riduzione dei tempi di produzione: i robot eseguono
compiti più velocemente delle persone e non hanno necessità di fermarsi. Questo
significa che un robot lavora 24 ore su 24 per 7 giorni su 7 su singole attività o
svolgendo svariate tipologie e attività, a seconda del momento. Flessibilità e scalabilità:
una volta definito il processo, i robot vengono istruiti velocemente a eseguire il
compito in un tempo determinato. Allo stesso modo, possono essere facilmente
assegnati ad altro compito o, in momenti di grande richiesta, possono essere duplicati
per far fronte all’aumento dei volumi. Precisione: i robot sono programmati per
seguire gli schemi. Non possono fare errori di alcun tipo, a meno che non sia stato
l’operatore a ‘insegnare’ loro a sbagliare. Raccolta dati dettagliata: i compiti eseguiti
possono essere monitorati e registrati in tutte le fasi, ad esempio a supporto della
compliance regolatoria e dei processi di revisione. Costi operativi ridotti: l’introduzione
della robotica nella gestione di processi aziendali porta a un immediato, elevato e
misurabile beneficio economico».
Quanto ai lavoratori, come del resto è avvenuto nella prima fase della rivoluzione
IT, anche questa seconda fase presenta dei vantaggi. I compiti più adatti a essere
automatizzati sono in genere quelli più pesanti, noiosi e meno amati, «una volta
sollevati da queste mansioni i collaboratori delle aziende potranno dedicarsi ad attività
più gratificanti e di maggior valore, con conseguente aumento del morale e della
motivazione», conclude Adam Stanford.
Di fatto, dunque, non si può negare che l’avanzamento tecnologico rappresenti una
grande sfida, ma è pure sempre una grande opportunità per le nostre imprese e per
i dipendenti. È essenziale quindi che strategie e modelli operativi vengano adattati
quanto prima, in modo sistematico e complessivo, in modo da cogliere l’opportunità,
non pagarne il prezzo.
Automazione: opportunità
per imprese e posti di lavoro
Adam Stanford,
Partner, Deloitte Consulting.