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Appunti di
 Finanza Aziendale




Autori: ProfMan - Aissela - Flor - Tytty
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Finanza Aziendale                                                                           Visto su: Profland




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Capitolo 1
LA NASCITA E LO SVILUPPO DELLA FINANZA NELLE IMPRESE

Premessa
La finanza d’azienda ha stretti legami con numerose discipline: macro e microeconomia,
diritto, politica economica e soprattutto con la finanza di mercato con la quale viene
spesso confusa. Sia la finanza di mercato che quella d’azienda si occupano di denaro e di
flussi di risorse monetarie, distinguendole:
• finanza di mercato: si concentra sulle istituzioni che apportano il denaro alle imprese
    o che ne gestiscono l’eventuale surplus, si interessa quindi dei fornitori (istituti di
    credito e altri intermediari finanziari);
• finanza d’azienda: ha la visuale dell’impresa che utilizza il denaro per alimentare le
    proprie attività, si interessa quindi dei clienti delle risorse monetarie ed ha l’obiettivo
    di creare del valore.

La finanza e le altre funzioni
I rapporti tra la finanza e le altre funzioni – all’interno della stessa impresa – sono
caratterizzati da un’intensa dialettica (è il caso delle vendite relativamente ai rapporti con
la clientela):
 funzione commerciale: tende a favorire i clienti concedendo dilazioni di pagamento;
 finanza: segue un’impostazione di segno opposto infatti quanto più lontani sono
    vendita ed incasso, tanto più critico sarà il reperimento delle risorse monetarie
    necessarie a finanziare l’attività d’impresa, risorse che permangono per lungo tempo a
    disposizione della clientela.
Situazioni simili insorgono anche con la funzione di produzione e quella di ricerca e
sviluppo (R&S), ma ce ne sono anche altre come quella dei sistemi informativi che
traggono dalla finanza spunti per lo sviluppo di nuovi modelli.
Sempre stretti e frequenti sono i rapporti con i vertici aziendali.

L’evoluzione degli obiettivi della finanza aziendale
Non è facile inquadrare in un periodo storico preciso l’origine della finanza aziendale,
tutti comunque concordano nell’assegnarle la gestione della liquidità.
Un primo tentativo è quello fatto da Mead, che afferma come la finanza aziendale sia
strettamente connessa alla gestione della struttura finanziaria. Altrettanto puntuale è il
riferimento a due operazioni (fusioni ed incorporazioni) che rientrano in quella che verrà
in seguito denominata “finanza straordinaria”. Al 1920 risale la prima raccolta redatta da
Dewing di tutte le teorie ricollegabili alla materia, ma è negli anni ’50 che l’interesse
aumenta grazie soprattutto all’opera dei Lutz. Si inizia così a sviluppare la finanza
“specialistica” con argomenti come la composizione di un portafoglio ottimale di
investimenti, il costo del capitale ed il suo influsso sul valore delle imprese.
Anche nella pratica la storia è molto breve, infatti fino a non molto tempo fa la funzione
finanziaria era strettamente legata alla funzione amministrativa, le era assegnato cioè il
solo compito di gestione della tesoreria e della liquidità; in un momento successivo il
campo d’azione s’è allargato includendo l’acquisizione e l’amministrazione dei fondi. Alla
funzione finanziaria è stato poi attribuito il compito di ricercare, selezionare ed apportare
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le risorse monetarie alle imprese nei tempi coerenti con le necessità ed alle migliori
condizioni economiche possibili, il tutto nel rispetto del profilo di rischiosità complessiva
ritenuto compatibile con l’attività e la struttura delle imprese stesse.
Anche gli obiettivi sono ampliati: da una partecipazione generica alla massimizzazione
dei redditi d’impresa si è passati ad una massimizzazione della ricchezza per gli azionisti
e di creazione di valore. Ovviamente obiettivi e strumenti sono stati modellati in
funzione delle esigenze dell’ambiente e del contesto di riferimento.

La rischiosità: il valore delle imprese decresce se aumentano rischio ed incertezza, la
rischiosità può poi essere operativa (se riconducibile all’attività caratteristica ed alla
struttura di domanda, costi ed investimenti) o finanziaria (se legata alla tipologia degli
investimenti).

La finanza e lo scenario economico e sociale
Per comprendere lo sviluppo della funzione finanziaria nelle aziende bisogna osservare le
condizioni ambientali in cui le stesse aziende si trovavano, delineando tre periodi.

Prima dell’inflazione a due cifre
Fino ai primi anni ’70 è praticamente impossibile ritrovare la funzione finanziaria come
organo autonomo nelle aziende italiane (stessa situazione a livello europeo se si esclude
la Gran Bretagna), tant’è che si parla di “contabilità finanziaria” o di “servizio di
contabilità e finanza”, lasciando sempre trasparire una diretta dipendenza della finanza
dall’amministrazione o dalla contabilità. Negli anni ’60 infatti la costante crescita
economica e l’abbondanza delle risorse (anche di capitale) suggerivano di interessarsi
soprattutto di produrre e vendere così da sostenere l’elevato sviluppo dei mercati e della
domanda in genere. La situazione italiana era poi caratterizzata da una forte
regolamentazione dei mercati con forti barriere protezionistiche (non veniva così
stimolato il confronto internazionale) e da modesti costi per l’approvvigionamento di
capitale unito ad un tasso di inflazione basso (il management non era stimolato al
reperimento di risorse finanziare necessarie per lo sviluppo).
In presenza di un simile scenario l’attività finanziaria era limitata alla ricerca e alla
negoziazione di risorse finanziarie e solo in alcuni casi le veniva delegata la gestione
dell’eventuale surplus di liquidità, in ogni caso si trattava di operazioni poco significative,
dal momento che le eccedenze di cassa erano per lo più temporanee:
conseguenzialmente anche i processi e gli strumenti erano semplici ed informali e
davano informazioni di scarso rilievo o inattendibili. Basta riflettere sul fatto che i dati
che alimentavano il processo decisionale della finanza provenivano esclusivamente dalla
contabilità generale e che l’unico strumento era il prospetto delle fonti e degli impieghi,
non esistevano ancora processi per prevedere nel medio lungo termine e lo stesso
budget di tesoreria (tavola in cui sono riassunti i movimenti in entrata ed in uscita)
risultava compilato in modo puramente orientativo.
La finanza era quindi esclusivamente responsabile dell’approntamento dei mezzi
necessari per realizzare quanto stabilito nei documenti suddetti: l’attività complessiva
veniva svolta quasi sempre manualmente.


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Il decennio della stagflazione
Nel corso della prima metà degli anni ’70 due fattori sconvolsero il quadro precedente:
• impennata dei costi delle materie prime (in particolare del petrolio): ciò comporta un
    quasi rovesciamento nei rapporti di forza fra stati produttori e stati trasformatori di
    materie, con una progressiva riduzione nella disponibilità di risorse a condizioni
    economicamente accettabili;
• tassi inflazionistici anomali: la forte inflazione (nazionale ed internazionale) produce
    impatti drammatici sulla dimensione dei fabbisogni finanziari e sui risultati economici
    delle imprese.
Inizialmente la finanza d’azienda continuò solo a reperire risorse di capitale, ma in
condizioni di carenza dello stesso e di costi di approvvigionamento a volte insostenibili
iniziò a diventare indispensabile quantificare le dimensioni dei fabbisogni: a tal scopo si
svilupparono la programmazione finanziaria (orientata al breve periodo e basata sul
budget di tesoreria) e la pianificazione finanziaria (medio-lungo periodo). La finanza
iniziò in questi anni il processo di distacco dalla funzione di contabilità-amministrazione.
Alla stessa gestione del passivo si incominciò ad associare un ruolo attivo nella gestione
degli investimenti stabilendo l’impiego più efficiente per le limitate risorse (soprattutto
monetarie) disponibili con l’obiettivo di portare ai più alti valori possibili i tassi di
rotazione (cioè ridurre il ricorso alle banche attraverso una più corretta movimentazione
della liquidità disponibile). Si capì che l’insidia maggiore per i risultati economici era ed è
tuttora il rischio di cambio, soprattutto nei periodi delle due crisi petrolifere.
Di questo rischio ce ne sono tre tipologie:
a. quello dovuto a transazioni effettuate in valuta estera;
b. quello per le imprese che possiedono insediamenti in più paesi e nel redigere il
    bilancio di esercizio devono tradurre i conti delle consociate estere nella valuta
    aziendale;
c. quello “economico” che ha una radice di natura strategica in quanto la competitività
    delle imprese che esportano all’estero è influenzata dal rischio di cambio.

La ripresa economica e i nuovi confini della finanza – Il ritorno al “core business”
Negli anni ’80 si consolidarono le precedenti tendenze e la funzione finanziaria
mantenne nelle realtà aziendali il corso di sviluppo intrapreso portando le imprese a
risultati apprezzabili: indicatore sintetico ma efficace è l’andamento del saldo della
gestione finanziaria (differenza fra tutti i ricavi e tutti i costi direttamente imputabili alla
finanza) delle grandi imprese che passa da -5.5% nel ’77 a -4.9% nell’81 e a -4.5% nell’85,
anche se in questo periodo indebitamento e tasso di interesse sono superiori.
I sistemi di previsione dei flussi finanziari messi a punto dalle direzioni finanziarie
produssero un apprezzabile effetto di disintermediazione: il livello di indebitamento
globale delle imprese, a parità di condizioni economiche, si è apprezzabilmente ridotto. Il
grado di dipendenza dalle istituzioni finanziarie non è più così forte ed il risultato più
tangibile è che il grado di rischiosità finanziaria delle aziende si è ridotto in maniera
ragguardevole: la crisi economica degli anni ’90 non ha avuto conseguenze disastrose
come quella degli anni ’70, pur essendo di portata simile. In effetti la compressione del
rischio finanziario permise alle imprese di assumere un più elevato grado di rischio

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operativo, ciò significa ad es. la possibilità di intraprendere nuovi investimenti anche in
situazioni di recesso.
Inoltre si è in presenza di una sempre più intensa internazionalizzazione delle aree
competitive, segnate da una progressiva deregolamentazione dei mercati sia per quanto
concerne lo scambio di beni e di servizi sia per quanto concerne le valute. I mercati
finanziari hanno mostrato crescenti aperture, con l’effetto di indurre numerose aziende
(anche italiane ad es. Luxottica) ad emettere titoli di varia natura in Paesi differenti da
quelli di origine. Parallelamente si è assistito ad un sempre più intenso dinamismo del
sistema bancario che ha prodotto una tendenziale riduzione nei costi nella raccolta ed un
sempre più ricco portafoglio di prodotti e servizi innovativi. Tutto ciò ha portato a
ritenere che la finanza si debba occupare dell’ottimizzazione del reperimento e
dell’impiego di risorse finanziarie, ruolo attivo poi anche in relazione alla gestione degli
investimenti. La sua struttura è diventata articolata ed i ruoli più importanti sono
ricoperti da professionisti. I nuovi strumenti (soprattutto informatici) hanno poi
permesso di rendere sempre più precisa e attendibile la preventivazione dei flussi, in
particolare nel breve periodo: come risultato si è avuto una ancora più marcata
disintermediazione verso il sistema ed una significativa riduzione dell’esposizione al
rischio finanziario. Altro strumento è il piano finanziario (previsione di lungo periodo
circa la dimensione dei flussi finanziari della gestione) che ha poi assunto una
formulazione sempre più dinamica diventando “a scorrimento” con periodici
aggiornamenti. Altri strumenti, come il budget finanziario e quello di cassa, hanno
permesso previsioni anche giornaliere. A livello organizzativo va segnalato il tendenziale
contatto della funzione finanziaria con i vertici aziendali sia nella fase previsionale che
decisionale.
Infine un gruppo multinazionale, grazie ad una gestione professionale e centralizzata, in
primo luogo libera le unità operative dall’alea di rischio conseguente ai regolamenti in
divisa estera agevolando le previsioni, in secondo luogo favorisce il ricorso ad
intermediari esterni solo per la copertura dei saldi, dato che nei conti aziendali i flussi
negativi si compensano con quelli positivi nella stessa valuta (c.d. netting).
Ultima cosa da ribadire è che la finanza d’azienda non può essere interpretata, salvo
rarissimi casi, come una funzione autonoma ed indipendente rispetto alla gestione
caratteristica.




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Capitolo 2
I FONDAMENTI DELL’ANALISI FINANZIARIA:
RICLASSIFICAZIONI, QUOZIENTI E FLUSSI

Il conto economico e lo stato patrimoniale dopo l’introduzione della IV direttiva
Con l’introduzione anche in Italia della IV direttiva comunitaria si è cercato di
armonizzare la redazione del conto economico e dello stato patrimoniale, ma la struttura
del bilancio non permette ancora una lettura agevole e completa in quanto le imprese
redigono bilanci completamente differenti in funzione delle esigenze conoscitive che
sono destinati a soddisfare: ai fini di una corretta analisi finanziaria (riguardante ad es. la
redditività e le prospettive aziendali replicabili senza modifiche in tutti i paesi) risulta
quindi utile riesporre i documenti contabili; queste riclassificazioni non hanno alcuna
validità sotto il profilo formale-normativo.

La riclassificazione dei dati contabili
Il bilancio redatto secondo le disposizioni della IV direttiva costituisce una ricca fonte
informativa per procedere ad analisi volte all’apprezzamento della gestione aziendale e
dei risultati da essa prodotti in termini reddituali e finanziari. Conto economico, stato
patrimoniale e nota integrativa non sono prospetti definitivi a questo scopo, in quanto
non permettono di porre in risalto gli aspetti particolari legati alla realtà di ogni singola
azienda e non possono essere confrontati con altri analoghi: si rendono quindi necessarie
delle analisi comparative che permettono di comprendere i fattori che hanno dato luogo
ai valori contabili, per poter apprezzare l’economicità con cui è stata condotta la gestione
nel suo complesso, le potenzialità di sviluppo dell’azienda e la sua dinamica finanziaria. Si
tratta necessariamente di analisi comparative con performance passate o aziende dello
stesso settore o di un simile contesto macroeconomico.
I soggetti interessati all’informativa sono sia interni che esterni all’azienda, ciascuno mira
ad indagare la stessa realtà, ma con angolazioni differenti. Le analisi economico-
finanziarie possono essere condotte sia su dati passati, che su quelli prospettici.

La riclassificazione del conto economico
È possibile indagare la redditività secondo tre differenti profili di analisi:
a. efficacia dell’attività produttiva;
b. redditività dell’attività caratteristica;
c. redditività delle attività aziendali diverse da quella caratteristica.
Gestione caratteristica e gestione corrente sono usati come sinonimi ed identificano
l’insieme delle attività di acquisto, trasformazione e vendita che realizza tipicamente
un’azienda industriale (la tipologia più complessa); l’azienda commerciale invece è
articolata in due momenti (acquisto e vendita); infine l’azienda di servizi erogherà gli
stessi dopo aver acquisito le condizioni necessarie (materiali ed immateriali).
Oltre a quella caratteristica ci sono tre aree alle quali ricondurre tutte le componenti
positive e negative di reddito:
• gestione finanziaria: comprende le operazioni di reperimento delle varie forme di
    capitale necessario a finanziare l’attività e quelle legate all’investimento di risorse

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    liquide, queste due categorie generano oneri e proventi finanziari ovvero le
    remunerazioni del capitale preso a prestito e poi investito;
• gestione straordinaria: riguarda operazioni che hanno carattere di eccezionalità cioè
    che non fanno parte del continuo operare economico;
• gestione accessoria: comprende le operazioni svolte con una certa continuità ma che
    non costituiscono l’obiettivo peculiare dell’operato aziendale.
Aggregando le componenti di reddito secondo la rispettiva pertinenza gestionale è
possibile indagare la redditività delle diverse aree di gestione, risalendo alle origini del
risultato d’esercizio. Partendo dal fatturato e con opportune disaggregazioni ed
aggregazioni è possibile evidenziare risultati intermedi di particolare rilievo.

I. modalità di riclassificazione: il conto economico scalare a fatturato e costo del venduto
      Fatturato
      - costo del venduto
           + rimanenze iniziali + acquisti di materie prime e semilavorati + energia
           + costo del lavoro + ammortamento (di beni di produzione)
           + canoni di leasing (di beni di produzione) + altri costi industriali
            - rimanenze finali
      = Risultato lordo industriale
      - costi (commerciali e distributivi + amministrativi e generali)
      = Risultato (o reddito) operativo
      ± proventi/oneri finanziari (risultato della gestione finanziaria)
      ± proventi/costi delle gestioni accessorie (risultato delle gestione accessorie)
      = Risultato di competenza
      ± componenti straordinari di reddito (risultato della gestione straordinaria)
      = Risultato ante imposte
      - imposte d’esercizio
      = Risultato d’esercizio
Si individuano facilmente due zone di elementi:
 al di sopra del reddito operativo da riferire alla gestione caratteristica;
 al di sotto dello stesso sono classificabili come estranei alla gestione corrente.
Al fatturato si sottraggono tutti i costi strettamente imputabili alla produzione dei beni
venduti nell’esercizio ottenendo il risultato lordo industriale, che costituisce una valida
manifestazione del margine economico dell’attività industriale in senso proprio.
Nel costo del venduto ci sono tutte quelle componenti di costo dipendenti dall’attività
produttiva che ha avuto luogo nell’esercizio, relativamente ai beni venduti.
Al risultato lordo si sottraggono tutti i costi commerciale e distributivi (comprendenti le
provvigioni pagate ai rappresentanti, i costi di pubblicità ecc.) e i costi amministrativi e
generali (tra cui le retribuzioni del personale addetto all’amministrazione), perché legati
all’attività caratteristica ma non imputabili alla produzione industriale.
Il risultato operativo è l’espressione chiave della redditività della gestione corrente.
Per ottenere il risultato di competenza si deve sommare al reddito operativo gli oneri ed i
proventi finanziari e delle gestioni accessorie in modo da ricavarne la singola redditività.
 Reddito operativo: fornisce una misura dell’efficacia della gestione corrente.
 Reddito di competenza: indica l’andamento dell’intera gestione aziendale di
     competenza di un esercizio.

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La redditività della gestione operativa deve avvenire nel rispetto dell’economicità, una
situazione negativa sarebbe sostenibile solo per periodi limitati anche se le altre gestioni
hanno andamenti positivi. Le componenti straordinarie di reddito devono comunque
essere analizzata soprattutto se assumono entità e continuità rilevanti. Per una visione
ancora più immediata spesso si ricorre alle percentuali, ponendo il fatturato pari a 100.

II. modalità di riclassificazione: il conto economico scalare a produzione dell’esercizio e valore aggiunto
                    Fatturato
                    ± Δ delle scorte di prodotti finiti e semilavorati
                    + lavori in economia
                    - acquisti di beni destinati alla commercializzazione
                    = Produzione dell’esercizio (tutto ciò che è stato prodotto)
                    - acquisti di materie prime, semilavorati e costi “esterni”
                    ± Δ delle scorte di materie prime
                    = Valore aggiunto
                    - costo del personale
                    = Margine operativo lordo
                    - ammortamenti
                    = Risultato operativo
Il contesto di riferimento è l’attività produttiva che ha avuto luogo nell’esercizio:
interessano le dimensioni della produzione e non quanto sia stato venduto. Il modello
mette cioè in luce quanto l’azienda è stata in grado di aggiungere alla materia prima con
il processo di trasformazione: questa quantità è misurata dal valore aggiunto.
Produzione dell’esercizio: tutto ciò che è stato prodotto nel corso del periodo osservato.
Lavori in economia: le attività realizzate dall’azienda stessa per un utilizzo interno, da
includersi nel calcolo della produzione periodale.
Costi di acquisto esterni: relativi ad acquisti di beni e servizi effettuati da terze economie,
fanno parte della gestione caratteristica.
 Valore aggiunto: misura quanta parte dell’intera produzione è imputabile all’attività
    svolta internamente, non è una misura della redditività ma indica il grado di
    integrazione verticale, mostrando quanta parte dell’attività produttiva necessaria alla
    realizzazione dei prodotti è svolta internamente all’impresa; se è elevato alta sarà la
    componente di operazioni svolte internamente a parità di valore della produzione, se
    è contenuto sarà maggiore il contributo di terze economie; se al valore aggiunto si
    sottraggono i costi relativi al personale si ottiene il margine operativo lordo.
Un’analisi del valore aggiunto nel tempo può evidenziare, ad es., le eventuali modifiche
dell’assetto produttivo e dei rapporti con i fornitori, in quanto esiste un forte legame tra
grado di integrazione verticale e rischiosità operativa aziendale: ad una struttura
produttiva complessa corrispondono ingenti costi fissi che non diminuiscono al calare
della produzione o delle vendite – ad es. per motivi congiunturali – e ciò impatta
negativamente sulla redditività operativa. Il valore aggiunto è quindi particolarmente
significativo per le aziende industriali, meno per quelle in cui manca un’attività
produttiva.

Il primo modello è perfetto per la redditività aziendale e le sue fonti.
Il secondo è invece adatto alle strategie industriali e alle ristrutturazioni aziendali.

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La riclassificazione dello stato patrimoniale
Nella riclassificazione nota come criterio della liquidità/esigibilità l’elemento
discriminante è il tempo: l’obiettivo è infatti quello di raggruppare le attività e le passività
secondo il loro tempo di trasformazione in moneta, esponendo le prime in funzione
della liquidità decrescente e le altre secondo il grado di esigibilità. Questo tipo di
riclassificazione è utilizzato per accertare se c’è corrispondenza tra le scadenze temporali
degli investimenti e dei finanziamenti, cioè se c’è equilibrio finanziario.

I. criterio di riclassificazione: lo stato patrimoniale secondo il criterio della liquidità/esigibilità
                                Attività                                          Passività
         Liquidità immediate:                                     Debiti verso banche
           cassa, c/c, titoli negoziabili…                        Fornitori
         Liquidità differite:                                     Fondi imposte
           crediti commerciali, cambiali attive…                  Quote debiti consolidati in
         Disponibilità:                                             scadenza…
           scorte, anticipi a fornitori…                          Mutui
         (fondi di pertinenza)                                    Debiti consolidati
                                                                  Prestiti obbligazionari
                                                                  Fondo TFR…
         Attività immobiliari
         Immobilizzazioni tecniche:
           impianti, macchinari, immobili (operativi)…
         Immobilizzazioni finanziarie:                            Capitale sociale
           azioni, quote societarie, altri titoli…                Riserve
         Immobilizzazioni immateriali:                            Utili (Perdite)…
           marchi, brevetti, ricerche…
         (fondi di pertinenza)
Le attività sono divise in 2 macro aggregati (a sx nella tabella):
• attività a breve: tutte le voci che entro l’esercizio potranno trasformarsi in liquidità:
        o immediate: poste che sono già moneta (ad es. cassa e c/c)
        o differite: crediti di qualsiasi natura (come i crediti verso clienti)
        o disponibilità: con grado di liquidità più limitato delle altre (rimanenze finali);
• attivo consolidato (o attivo a lungo): comprende tutti gli investimenti di lungo
    periodo (come le immobilizzazioni).
Tutte le poste dell’attivo per le quali sia stato costituito un corrispondente fondo al
passivo saranno esposte al netto del medesimo. La somma delle attività a breve e a lungo
dà il totale del capitale investito al netto dei fondi rettificativi.
Le passività sono invece raggruppate in 3 macro categorie (parte dx tabella):
 le passività a breve: debiti con scadenza entro l’esercizio;
 passività consolidate: debiti che non procureranno esborsi entro il breve periodo;
 capitale netto: comprendente capitale sociale, riserve, eventuali utili.
La somma delle passività totali e del netto è ovviamente pari al capitale investito netto.
Le analisi svolte con tale modello sono semplici e consentono raffronti con altre realtà,
data la loro popolarità tra gli analisti finanziari. Questo schema offre valide indicazioni
soprattutto in due casi:


                                                                                                           10/93
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a. per uno studio di tipo statico: cioè indirizzato esclusivamente all’analisi della struttura
   patrimoniale così come si presenta al momento della redazione del bilancio,
   importante è valutare come sono state reperite ed utilizzate le risorse finanziarie;
b. per analisi di soggetti esterni all’azienda: per determinare la capacità di far fronte agli
   impegni assunti nel breve periodo e quindi per misurare il grado di equilibrio
   finanziario al momento della redazione del bilancio.

II. criterio di riclassificazione: lo stato patrimoniale secondo il criterio di pertinenza gestionale
                                Attività                                          Passività
         Scorte                                                  Debiti v/fornitori
         Crediti v/clienti                                       TFR
         Anticipi ai fornitori                                   Fondo imposte
         Altre attività correnti …                               Anticipi da clienti …
         (fondi di pertinenza)                                   Debiti v/banche
                                                                 Mutui
                                                                 Obbligazioni
                                                                 Prestito da soci
                                                                 Altri debiti finanziari …
         Macchinari/Impianti
         Attrezzature
         Brevetti
         Spese di R&S
         Partecipazioni operative …                              Capitale sociale
         (fondi di pertinenza)                                   Riserve
                                                                 Utili (Perdite) …
         Titoli negoziabili e a reddito fisso
         Immobili non operativi
         c/c bancari e depositi postali
         (fondi di pertinenza)
Altro criterio è quello della riclassificazione secondo la pertinenza gestionale che mira ad
isolare in seno ad attivo e passivo tutte le poste afferenti la gestione corrente,
permettendo di far risalire le rimanenti alle altre aree gestionali: quella degli
investimenti/disinvestimenti e quella dei finanziamenti/rimborsi.
Partendo dall’analisi delle attività e passività della gestione caratteristica si nota come il
ciclo tipico – ricordando che alcune voci come il TFR non insorgono in un momento
preciso ma si accumulano – è formato da:
• acquisto: acquistando materie prime si crea una giacenza di magazzino e un debito
    verso fornitori (se il pagamento è differito), come conseguenza della fornitura si
    genera anche un credito Iva;
• trasformazione: l’azienda produce semilavorati che sono parte delle giacenze di
    magazzino, anche il fondo TFR ha idealmente origine da questo momento;
• vendita: i prodotti confezionati sono immagazzinati come scorte di prodotti finiti
    destinati alla vendita, quest’ultima genera un credito verso clienti e un debito di Iva.
Questo ciclo caratteristico può subire delle modifiche, ad es. quando i fornitori
richiedono un anticipo o quando il pagamento dei clienti è anticipato.
Tutte le poste originate durante il ciclo caratteristico vengono raggruppate nell’attivo e
nel passivo corrente.

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La denominazione “a breve” – debito a breve sarà lo scoperto di conto corrente
bancario e “corrente” in questo caso è legato alla gestione finanziaria – indica la liquidità
e l’esigibilità delle poste entro un breve lasso di tempo, mentre “corrente” non è qui
riferito alla dimensione temporale ma è legato alle tre fasi della gestione caratteristica, ad
es. l’indebitamento bancario è una scelta di natura finanziaria perché connesso alla
dimensione del capitale netto.
Dallo schema precedentemente esposto, si osserva che le attività totali possono essere
ripartite in 2 categorie:
 operative: comprendente oltre alle attività correnti (scorte, crediti v/clienti…) tutti
    quegli immobilizzi funzionali allo svolgimento dell’attività caratteristica (macchinari,
    brevetti, partecipazioni…);
 non operative: quelle non strettamente collegate allo svolgimento delle operazioni
    correnti (titoli negoziabili, partecipazioni di natura finanziaria…).
La cassa e i c/c attivi sono esclusi dalle attività correnti anche se alcuni autori parlano di
“volano di liquidità” (risorse liquide indispensabili alla gestione quotidiana) perché hanno
comunque una scarsa rilevanza dimensionale e sono quindi trascurabili. Infine da
segnalare che tutte le poste iscritte nell’attivo sono al netto dei relativi fondi.
Il passivo patrimoniale può considerarsi costituito da tre componenti:
• passività correnti: forme di finanziamento strettamente collegate alla gestione
    caratteristica (debiti v/fornitori, TFR…);
• passività non correnti: debiti contratti per scelte, anche obbligatorie, di natura
    finanziaria, dette anche passività finanziarie in quanto sono legate alla corresponsione
    di oneri finanziari (debiti v/banche, mutui…)
• capitale netto.

Capitale circolante
È la differenza tra le attività e le passività di natura corrente, di norma è positivo per le
aziende industriali (le scorte ed i crediti commerciali eccedono i debiti di fornitura ed il
TFR); può anche essere definito come l’investimento (o il finanziamento qualora la
differenza dovesse mettere in evidenza un valore negativo) generato dalla gestione
caratteristica; può infine essere visto come l’insieme delle uscite monetarie conseguenti
all’esercizio dell’attività caratteristica che non hanno ancora trovato compensazione in
entrate monetarie. Quanto detto si contrappone alla definizione “contabile-
amministrativa” che vede il capitale circolante netto come la differenza tra attività e
passività a breve.
Il capitale circolante è così identificato:
- consegue all’attività corrente;
- pur essendo un investimento non garantisce alcun rendimento esplicito;
- le forme di coperture necessarie al suo finanziamento sono onerose.
La gestione deve essere quindi orientata al conseguimento delle dimensioni del capitale
circolante, in modo da disporre di risorse finanziarie a costo (quasi) nullo. Se lo
paragonassimo ad una spugna: dilatandosi assorbe liquidità, contraendosi libera risorse.
Il modello appena visto consente di identificare 3 grandi aree:


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1. area della gestione corrente (sfondo bianco): con le operazioni legate al ciclo
   acquisto-trasformazione-vendita;
2. area degli investimenti (e disinvestimenti) (sfondo scuro): quelle necessarie alla
   gestione caratteristica (operative non correnti) e quelle relative agli investimenti che
   portano proventi;
3. area dei finanziamenti (sfondo chiaro): attinente a tutte le decisioni di copertura del
   fabbisogno.
                                  Attività     Passività
                                  correnti     correnti
                                              Passività
                                            non correnti

                                   Attività       Capitale
                                      non          netto
                                    correnti
4. (in più) area delle remunerazioni finanziarie: costituita da dividendi e interessi
   corrisposti e percepiti, che sono diretta conseguenza delle scelte operate nell’alea
   degli investimenti e in quella dei finanziamenti.
L’equilibrio finanziario (equilibrio fra entrate ed uscite) potrà raggiungersi solo se i flussi
generati ed assorbiti dalle 4 aree saranno tendenzialmente equilibrati nel lungo periodo.

L’utilizzo dei quozienti per le analisi finanziarie
L’apprezzamento della situazione economico-finanziaria di un’impresa trova uno
strumento di supporto nel sistema degli indici e dei flussi.
Gli indici di bilancio sono grandezze economiche, patrimoniali e finanziarie combinate
in modo da fornire indicazioni ritenute interessanti. Le informazioni che si ottengono da
un’analisi di bilancio tramite indici sono certamente significative, ma non definitive, ad
esse devono cioè essere collegate altre indicazioni come ad es. quelle originate dall’analisi
dei flussi finanziari. I profili di analisi da indagare tramite i quozienti sono:
      I. equilibrio finanziario di breve periodo;
     II. equilibrio finanziario di lungo periodo;
    III. redditività.
I dati necessari per la costruzione dei quozienti sono costituiti dalle aggregazioni dello
stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio di liquidità/esigibilità e dal conto
economico a fatturato e costo del venduto.

I. Equilibrio di breve periodo
Questi indici mettono a rapporto voci dello stato patrimoniale inerenti l’attivo ed il
passivo a breve, unitamente ad alcune poste del conto economico.
                            Attivo a breve
 Rapporto corrente
                            Passivo a breve
questo (detto anche quoziente di disponibilità) verifica la capacità di far fronte nel breve
periodo alle obbligazioni assunte nello stesso arco temporale verso il personale e i terzi.



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Se il rapporto è maggiore di 1 (in valore assoluto) l’attivo disponibile è maggiore del
passivo esigibile e l’azienda è potenzialmente in grado di soddisfare gli impegni a breve,
con l’utilizzo delle attività a breve.
                               Attivo a breve − Scorte
 Rapporto di liquidità
                                   Passivo a breve
detto anche acid test, costituisce una misura più prudenziale del precedente, in quanto
vengono sottratte le scorte che spesso includono prodotti finiti obsoleti o comunque
difficilmente smobilizzabili in breve tempo: il numeratore rappresenta quella parte di
attività realmente pronta per soddisfare le esigenze di breve.
Se è maggiore di 1 le ipotesi precedenti sono ulteriormente avvalorate.
                                                Crediti v/clienti
 Tempo medio di incasso (TMI)
                                              Fatturato giornaliero
al numeratore abbiamo i crediti complessivi esistenti ad una certa data ed al
denominatore il totale delle vendite a credito dell’esercizio nei 365 giorni annuali.
Il risultato ci informa su quanto tempo intercorre in media dalla vendita all’incasso,
questo valore è un buon indicatore sia della competitività, sia del fabbisogno finanziario:
un elevato valore può indicare un limitato potere contrattuale verso i clienti, ma anche
una loro scarsa solidità. Per esprimere un giudizio efficace è però necessario confrontare
il valore ottenuto sia con quello dei concorrenti, sia con quello degli esercizi passati.
Sotto il profilo finanziario un aumento comporta un maggior investimento in capitale
circolante quindi maggior fabbisogno finanziario, quindi maggiori oneri finanziari.
Un limite deriva dal fatto che l’indice dipende dalle fluttuazioni delle vendite nei vari
periodi dell’anno: i crediti v/clienti si riferiscono ad un preciso istante, se questo varia in
base alla stagionalità delle vendite, l’indice non è molto veritiero (questo limite si può
superare frazionando l’anno in dodici, ma rimane comunque in parte inattendibile).
                                                      Debiti v/fornitori
 Tempo medio di pagamento (TMP)
                                                     Acquisti giornalieri
fornisce indicazioni sulla competitività e sul fabbisogno finanziario: i giorni che
intercorrono tra la fornitura ed il pagamento sono indice del potere contrattuale
dell’azienda nei confronti dei fornitori: maggiore è il suo valore minore è l’investimento
in capitale circolante e quindi minore è il fabbisogno finanziario.
                                                                  Scorte
 Tempo medio di giacenza delle scorte (TMGS)
                                                             Acquisti giornalieri
è un dato grezzo perché le scorte comprendono sia prodotti finiti che semilavorati e
materie prime; meglio quindi calcolare i tre diversi aggregati:
             Scorte materie prime      Scorte semilavorati             Scorte prodotti finiti
              Acquisti giornalieri   % costo del venduto 365          costo del venduto 365
Sono così costruiti per mettere a rapporto grandezze omogenee.
I primi due sono indicatori dell’efficienza produttiva dell’impresa: un’elevata rotazione ad
es. di materie prime è sintomo di buon coordinamento tra gestione degli acquisti e
diverse fasi della produzione. Il terzo misura l’efficacia dell’attività commerciale (anche in
questo caso la giacenza media dipende dal tipo di prodotti finiti).
La somma dei giorni di giacenza del prodotto delle tre fasi dà il tempo medio
complessivo di giacenza delle scorte, che indica il periodo intercorso

                                                                                                    14/93
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dall’immagazzinamento della materia prima alla spedizione del prodotto finito.
Importanti inoltre gli effetti finanziari della detenzione di un dato volume di scorte: una
giacenza di magazzino prolungata nel tempo è testimonianza di un’elevata somma di
danaro immobilizzata in un’attività priva di redditività immediata.
 Ciclo del circolante = TMI + TMGS – TMP
l’indice indica il numero di giorni che intercorrono in media tra il momento in cui
vengono pagati i fornitori e quello in cui vengono incassati i crediti da clienti per la
vendita dei prodotti finiti. Indicatore poco usato ma che permette di utilizzare dati statici
(i quozienti) per avere informazioni dinamiche, permette cioè di determinare il
potenziale fabbisogno finanziario generato dalla gestione caratteristica.

II. Equilibrio di medio-lungo periodo
L’obiettivo è quello di comprendere se gli investimenti ed i finanziamenti siano
sostenibili nel lungo periodo e se l’azienda sarà in grado di far fronte alle remunerazioni
finanziarie dovute ai terzi prestatori di capitale.
                                                                Passività Totali
 Rapporto di indebitamento (o rapporto di leva)
                                                        Passività totali + Capitale netto
questo indice di bilancio ci informa sul grado di dipendenza dell’azienda da terzi
finanziatori: quanto più è elevato tanto più l’impresa ricorre a finanziatori esterni.
                                          Reddito operativo
 Copertura degli oneri finanziari
                                           Oneri finanziari
dà informazioni sulla capacità dell’impresa di far fronte al pagamento degli oneri
finanziari attraverso le risorse economiche generate dalla gestione caratteristica.
Se il rapporto è tendenzialmente inferiore ad 1 testimonia possibili tensioni finanziarie:
per fra fronte agli interessi passivi si ricorre ad un ulteriore indebitamento.
                                                             Totale attivo consolidato
 Quoziente di copertura delle immobilizzazioni
                                                        Passivo consolidato + Capitale netto
È strettamente legato al rapporto corrente: se l’attivo a breve è maggiore del passivo a
breve il rapporto è inferiore a 1, viceversa sarà maggiore di 1 quando l’attivo
immobilizzato è in parte coperto da mezzi di finanziamento con scadenza entro i 12
mesi: situazione pericolosa perché se i terzi dovessero richiedere contemporaneamente il
rimborso, l’azienda sarebbe costretta a smobilizzare parte dell’attivo consolidato.

III. Redditività
                                          Reddito operativo
 ROI (return on investiment)
                                          Capitale investito
l’indice di redditività del capitale investito esprime la redditività della gestione operativa,
data dal rendimento percentuale annuo del capitale investito.
Può essere scomposto in:
                                          Reddito operativo
         ROS (return on sales)
                                          Ricavi di vendita
        la redditività delle vendite esprime la relazione tra reddito operativo e fatturato e
        pone in evidenza la redditività unitaria delle vendite espressa in termini monetari:
        questa è influenzata sia dalle politiche di prezzo che dai volumi di vendita;

                                                                                             15/93
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                                                          Ricavi di vendita
         Tasso di rotazione del capitale investito
                                                          Capitale investito
        riflette il numero di volte che le risorse investite sono state fatte girare durante
        l’esercizio per effetto dell’attività di vendita: un elevata rotazione dell’attivo segnala
        la capacità di mettere a frutto le condizioni patrimoniali disponibili.
                                     Reddito netto
 ROE (return on equity)
                                     Mezzi propri
la redditività del capitale netto è un’informazione sintetica sul risultato della gestione nel
suo complesso, espresso dal rendimento percentuale annuo per gli azionisti dei loro
investimenti: il rapporto è elevato per chi ha o apporterà mezzi propri.

Alcune precisazioni sull’analisi tramite quozienti
Per formulare giudizi attendibili bisogna approfondire l’analisi di altri 2 livelli:
• confronto temporale: cioè studiare i valori storici degli indici per poter capire in quale
   direzione si siano mossi e la loro tendenza;
• confronto settoriale dei dati: ovvero un’analisi della concorrenza (aziende simili per
   settore e dimensioni) per avere un’idea del posizionamento dell’azienda nel contesto
   di uno specifico comparto di riferimento.
Infine bisogna porre attenzione sull’omogeneità dei dati confrontati assicurandosi che gli
input rapportati siano frutto di criteri di valutazione omogenei, cioè di realtà non diverse.

L’analisi della dinamica finanziaria: le ragioni per uno studio dei flussi
I flussi finanziari permettono uno studio dinamico della salute aziendale, permettono
infatti di identificare la provenienza e la destinazione delle risorse movimentate in un
certo periodo di tempo. Si possono fare analisi, di solito riferite ad un anno:
 ex-post (di tipo consuntivo): fatte in sede di controllo, si costruiscono rendiconti
    finanziari con i quali è possibile dar conto di flussi monetari che si sono già verificati;
 ex-ante (di tipo previsionale): fatte in sede di pianificazione, si muovono dalla necessità
    di prevedere i flussi che si verificheranno e che verranno esposti in diversi documenti,
    definiti di preventivazione finanziaria.
I prospetti contabili seguono la logica contabile che impone di inserire nei prospetti di
sintesi i ricavi ed i costi, così come gli investimenti ed i finanziamenti di pertinenza del
periodo di riferimento.
I prospetti finanziari, invece, sottostanno alla logica monetaria che considera unicamente
i movimenti di moneta (i flussi di cassa) in entrata ed in uscita in un certo periodo, senza
considerare il momento in cui ha avuto luogo l’operazione che ha originato tali flussi.

Il modello a quattro aree
Per aree di provenienza e destinazione dei flussi si intendono quei comparti di attività
che possono generare o assorbire moneta (cioè flussi di cassa) in un dato periodo.
Il modello si basa su quattro aree principali, anche se si potrebbero ancora disaggregare.
1. Gestione corrente
Da sottolineare che per essere qualificati come monetari non è importante il momento in
cui l’entrata o l’esborso avrà luogo per:

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• i ricavi monetari: hanno come conseguenza la ricezione e la corresponsione di
    ammontari liquidi;
• i costi monetari: non avranno mai nessuna manifestazione monetaria.
Ad es. l’accantonamento al fondo TFR è un costo monetario anche se l’uscita si
manifesterà molti anni dopo l’iscrizione della componente di costo.
Altra distinzione è tra:
 entrate ed uscite: hanno unicamente a che fare con i movimenti di liquidità
    concretamente manifestatisi in un certo periodo;
 ricavi e costi: potrebbero non aver dato luogo a trasferimenti monetari nel periodo di
    osservazione.
In sintesi la gestione corrente libera risorse monetarie – ovvero genera un flusso positivo
– se la differenza tra entrate ed uscite monetarie dà un saldo positivo. In caso contrario
assorbirà liquidità.
2. Investimenti/disinvestimenti
Si considerano quelli collegati alle attività patrimoniali ma che non appartengono al
capitale circolante. Si assiste ad esborsi monetari netti in conseguenza dell’acquisizione di
immobilizzazioni e ad entrate monetarie nette a fronte di cessioni delle stesse.
Nel caso di investimenti, le uscite sono pari al valore che viene iscritto nello stato
patrimoniale e sono spesso dilazionate nel tempo.
Nel caso di disinvestimenti, spesso si verifica uno scostamento fra le variazioni nella
situazione patrimoniale e le entrate realmente realizzate: la ragione risiede nell’iscrizione
a bilancio delle attività a costo storico e nelle politiche di ammortamento adottate.
3. Finanziamenti/rimborsi
Si ha quasi sempre una coincidenza perfetta fra ammontare dei finanziamenti accesi ed
entrate conseguite, così come fra rimborsi e uscite.
4. Remunerazioni finanziarie ed operazioni accessorie
Rientrano, insieme ai dividendi pagati e percepiti dalle società partecipate, tutte le
componenti di reddito aventi natura monetaria, ma estranee all’attività caratteristica
dell’impresa, quali gli oneri ed i proventi finanziari.

In conclusione possiamo dire che:
 in fase di consuntivazione (di analisi ex-post) si vedrà sempre una compensazione tra
   provenienza e destinazione delle risorse finanziarie: il saldo (variazione di liquidità da
   inizio a fine periodo) che emergerà potrà essere positivo o negativo;
 in fase di preventivazione i flussi potrebbero combinarsi in modo tale da non
   garantire una corrispondenza fra entrate ed uscite, in caso queste ultime siano
   maggiori non sarà possibile conseguire l’equilibrio finanziario.

La costruzione di un modello di interpretazione dei flussi
Per risalire alla dinamica finanziaria di un esercizio è necessario disporre dello stato
patrimoniale dell’esercizio precedente oltre a quello in esame. Di quest’ultimo è richiesto
inoltre il conto economico e la nota integrativa, oltre alla relazione sulla gestione.
La costruzione del modello si articola in 3 fasi.
1) Prospetto fonti/impieghi grezzo

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È un prospetto a sezioni contrapposte: in una sono inserite le fonti, nell’altra gli
impieghi. Per la sua costruzione si procede al confronto di due stati patrimoniali
successivi, si calcolano le variazioni delle singole voci da un esercizio all’altro,
iscrivendole fra le fonti qualora le variazioni manifestino un apporto di risorse finanziarie
incrementali, o fra gli impieghi se le stesse mettano in luce un assorbimento di risorse.
Conseguenzialmente tra gli impieghi compariranno le variazioni positive dell’attivo e le
diminuzioni di passività (per la contrazione degli importi disponibili), tra le fonti gli
incrementi di passività e le diminuzioni di attività (per l’aumento delle liquidità).
2) Rettifiche delle variazioni grezze
Sono semplici operazioni che modificano le variazioni grezze trasformandole in flussi
monetari, si distingue tra: quelle volte a evidenziare movimenti monetari nascosti al
semplice calcolo, quelle atte ad eliminare le variazioni che hanno un valore puramente
contabile (con nessuna seguente movimentazione) e quelle per far risaltare alcuni flussi
iscritti per un valore non corrispondente alla reale movimentazione. Le rettifiche
permettono di passare dalla logica del reddito a quella dei flussi finanziari.
3) Aggregazione dei flussi nelle quattro aree
Serve per avere una visione d’insieme della dinamica finanziaria e comprendere
provenienza e destinazione della liquidità nel periodo considerato. Dalla somma algebrica
dei flussi positivi e di quelli negativi si ottiene la variazione finale delle disponibilità
liquide durante l’esercizio.

I. La rappresentazione a scalare del modello a 4 aree
Lo schema di aggregazione è il seguente:
               ± Flusso di cassa della gestione caratteristica
               ± Saldo dei flussi dell’area investimenti/disinvestimenti
               ± Saldo dei flussi dell’area finanziamenti/rimborsi
               ± Saldo dei flussi dell’area remunerazioni finanziarie e gestioni accessorie
               = Saldo monetario periodale
Se i saldi di c/c sono ingenti, sia per importi positivi che negativi, andranno inclusi
nell’area rispettivamente dei finanziamenti o degli investimenti. In tal caso il saldo
monetario di periodo sarà pari a zero o alla variazione delle disponibilità di cassa, questo
perché il totale delle fonti è sempre uguale al totale degli impieghi di un stesso periodo.
È utile inoltre separare investimenti e disinvestimenti operativi da quelli finanziari, in
quanto i primi sono attività fondamentali mentre i secondi possono aver a che fare con
beni che aziende industriali spesso considerano accessori.
L’analisi dei flussi finanziari permette di avere un quadro completo della dinamica
aziendale e anche nel caso di flussi riferiti ad un solo esercizio l’informazione sarebbe più
completa, in quanto i flussi monetari costituiscono valori certi, non inficiati da alcun tipo
di stima o congettura. Nel lungo periodo dovrà essere la gestione corrente a garantire la
liquidità necessaria a mantenere l’equilibrio finanziario tendenziale. Il capitale circolante
ha un ruolo fondamentale in quanto, se incrementa, il flusso di cassa reale è inferiore di
quello potenziale, se decresce libera risorse liquide. Nelle fasi di sviluppo il capitale
circolante aumenterà ed è per questo che fasi di crescita sono sempre soggette a
problemi di tipo finanziario: al crescere delle vendite genererà un fabbisogno finanziario

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che andrà coperto dall’interno (autofinanziamento) o dall’esterno. In pratica un’azienda
in genere è sana quando la sua gestione corrente produce flussi tendenzialmente positivi,
situazioni opposte possono essere sostenute solo per brevi periodi. Di conseguenza i casi
in cui ingenti disinvestimenti sono la principale fonte di risorse monetarie costituiscono
situazioni precarie; non è infatti possibile continuare con politiche di compressione
dell’attivo per rendere disponibile la liquidità necessaria alla gestione caratteristica.

II. Misurazione dell’entità di risorse liberate (assorbite) dalla gestione corrente
L’apprezzamento delle risorse assorbite o generate dalla gestione corrente può costituire
un problema più complesso rispetto alla verifica della liquidità generata o assorbita nelle
altre aree, per questo risulta importante definire meglio il:
 flusso di cassa della gestione corrente: risorse derivanti dalla gestione caratteristica
    nell’esercizio o in qualsiasi periodo considerato.
Questa grandezza si determina dalla somma algebrica di due componenti: la variazione
del capitale circolante e l’autofinanziamento potenziale (o flusso di circolante della
gestione corrente).
L’autofinanziamento potenziale rappresenta le risorse monetarie che nel corso
dell’esercizio sarebbero state messe a disposizione (o assorbite) dalla gestione corrente,
se non vi fossero stati ulteriori assorbimenti (o liberazioni) di risorse attraverso
dilatazioni (o contrazioni) del capitale circolante. Il “se” giustifica il “potenziale”.

Criterio indiretto
                            + Risultato d’esercizio rettificato
                            + Ammortamenti
                            = Autofinanziamento potenziale
                            ± Δ capitale circolante
                            = Autofinanziamento reale
L’autofinanziamento potenziale coinciderebbe con quello reale solo se tutti i ricavi ed i
costi monetari avessero già dato origine alle entrate ed uscite di moneta corrispondenti,
ovvero se il fatturato fosse stato interamente incassato e tutti i costi monetari della
gestione corrente fossero stati anch’essi pagati in contanti. Per passare dal primo al
secondo è quindi necessario sottrarre le variazioni dei crediti di natura corrente
dell’esercizio e risommare le variazioni dei debiti della stessa natura.

Metodo diretto
Metodo più corretto ma anche più complesso che consiste nella determinazione
dell’autofinanziamento potenziale e dell’autofinanziamento reale direttamente tramite la
somma algebrica delle relative componenti. Ci sono due formulazioni equivalenti:
la prima dove i ricavi sono costituiti dal fatturato e dalle rimanenze finali dell’esercizio,
mentre tra i costi sono incluse le componenti monetarie del costo del venduto come gli
acquisti di materiale, il costo del lavoro, i costi amministrativi e commerciali e le imposte:
                            + Ricavi monetari della gestione corrente
                            - Costi monetari della gestione corrente
                            = Autofinanziamento potenziale
                            ± Δ capitale circolante

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                              = Autofinanziamento reale
la seconda corrispondente alla differenza tra le entrate e le uscite monetarie legate alla
gestione corrente:
                             + Entrate monetarie della gestione
                             corrente
                              - Uscite monetarie della gestione corrente
                             = Autofinanziamento reale




Capitolo 3
LA LOGICA E GLI STRUMENTI DELLA PIANIFICAZIONE E DELLA
PROGRAMMAZIONE FINANZIARIA

Perché è necessario prevedere le dimensioni dei flussi
Cercando di interpretare la dinamica finanziaria attraverso uno studio ex-post ci si deve
porre nella prospettiva di un analista esterno che disponga unicamente dei dati pubblicati
ufficialmente dalle imprese.
Se ci si pone in un’ottica interna, si impone la necessità di effettuare valutazioni
revisionali, di costruire in sostanza previsioni attendibili sui flussi di cassa futuri.

I. Strumenti a supporto della pianificazione e della programmazione finanziaria
Sono tutti quei modelli previsionali che consentono di proiettare i flussi di cassa per
periodi prolungati e che si pongono l’obiettivo di verificare la fattibilità di massima dei
piani strategici aziendali: strumenti fondamentali sono il piano finanziario ed il budget
finanziario.
                  Piano finanziario                                   Budget finanziario
      Prospetto       fonti/impieghi       con            Stessa struttura del piano: è in
      identificazione della provenienza e Struttura sostanza il 1° anno del piano
      della destinazione delle risorse                    finanziario
      Verifica della compatibilità dei piani              Verifica della compatibilità dei
      strategici con le possibilità di impiego            programmi operativi di esercizio con
      e copertura                                         le possibilità di impiego e copertura
                                                Finalità
      Analisi preventiva del rispetto di                  Analisi preventiva del rispetto di
      vincoli ed obiettivi strutturali (come              vincoli ed obiettivi periodali (come
      indebitamento complessivo)                          riduzione dei tempi medi di incasso)
      Copertura variabile dai 3 ai 7 anni                 Copertura temporale annuale
      Dettaglio annuale                        Tempistica Dettaglio annuale o trimestrale
      Aggiornamento annuale                               Aggiornam. semestrale o trimestrale

II. Gli strumenti a supporto della gestione tesoreria
Con la gestione della tesoreria si intendono tutte le azioni tese ad ottimizzare la gestione
della liquidità nel breve periodo (non più di 12 mesi).
Strumento importante è il budget di tesoreria (o budget di cassa) che è un prospetto
articolato in base alla contrapposizione entrate-uscite: si programma l’attività di tesoreria
in termini di volume dei flussi da gestire e di un mix delle forme di finanziamento:

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 struttura: prospetto entrate/uscite, dettaglio analitico delle voci, dettaglio delle
  modalità di copertura/impiego dei fabbisogni/surplus;
 finalità: programmazione dell’attività di tesoreria (per volume dei flussi e mix delle
  forme di finanziamento) in base al budget finanziario, valutazione dei saldi periodali;
 tempistica: copertura temporale annuale o semestrale, dettaglio mensile o
  quindicinale, aggiornamento mensile o quindicinale.

La logica di costruzione e l’interpretazione del piano e del budget finanziario
Il piano finanziario è lo strumento fondamentale di previsione del sistema informativo
finanziario (Sif) e consiste nella trasposizione del piano strategico in termini di flussi in
ingresso ed in uscita: costituisce la traduzione del piano strategico nel linguaggio dei
flussi finanziari. La sua struttura è semplice e comunque non esiste una copertura
temporale standard. Si preferisce la ripartizione in base annua per due motivi:
1) si possono prevedere le conseguenze finanziarie delle decisioni strategiche in
    concomitanza con i momenti di chiusura e pubblicazione dei bilanci, che sono il più
    importante mezzo di comunicazione all’esterno della salute aziendale;
2) per il collegamento tra piano e budget finanziario, il primo mette in evidenza
    l’andamento di macro grandezze per lunghi periodi, il secondo riprende le stesse
    grandezze e, in base al primo anno analizzato dal piano, procede ad una loro
    riesposizione più analitica.
Questi i momenti fondamentali (raggruppati nella seconda metà dell’anno) per le società
che chiudono i bilanci il 31 dicembre:
1. raccolta informazioni e revisione del piano strategico: si realizzano le prime bozze
    previsionali entro fine agosto;
2. revisione del piano finanziario dell’anno prima (x-1): copertura degli anni da x a x+4;
3. prima bozza di budget finanziario per l’esercizio x+1;
4. verifica del piano e del budget: introducendo eventuali modifiche;
5. approvazione dei due prospetti che vengono resi esecutivi;
6. revisione del budget finanziario: fatto al termine di ogni trimestre, non di rado le
    approvazioni sono su base scorrevole (rolling) cioè non coinvolgono i vertici
    aziendali, la direzione controlla solo le proiezioni dei flussi per i 12 mesi seguenti;
7. raccolta di informazioni: è sviluppata senza soluzione di continuità.

Il processo di pianificazione e budgeting: l’esempio delle realtà complesse
Bisogna identificare i ruoli da coinvolgere e le attribuzioni da assegnare a ciascuno. Si fa
riferimento a strutture a 3 livelli – cioè a gruppi con una holding centrale che detiene
partecipazioni di altre holding (dette sub-holding) – ed il criterio seguito è di tipo
settoriale: le sub-holding raggruppano i titoli delle società del gruppo operanti in un
medesimo settore. Non sono da escludere soluzioni diverse come: per raggruppamenti
geografici o per tipologie di clienti. Nella rappresentazione qui fatta ci riferiamo al 3°
livello, presupponendo che quest’ultimo sia rappresentato da società operative.
Il primo passo del processo – stesura o revisione del piano strategico – deve essere
compiuto dai vertici aziendali. La pianificazione finanziaria ha inizio nel momento in cui
il documento di sintesi strategica viene redatto e consegnato alla funzione incaricata della
sua traduzione in termini di flussi finanziari: spesso le funzioni incaricate sono il
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controllo di gestione piuttosto che la pianificazione. Il risultato consiste in un prospetto
sintetico che mette in luce la dimensione dei flussi complessivi che le operazioni previste
movimenteranno negli esercizi esaminati.
In buona parte dei casi il piano prioritario viene preparato dalla funzione incaricata,
presso la sub-holding (il 2° livello): questa riceve dal vertice della capogruppo i tratti-
guida del piano strategico, li rielabora e li trasmette alle società operative che rispondono
con delle note sintetiche sulle conseguenze sul piano economico e patrimoniale della
propria attività; è quindi la sub-holding che trasforma tutte le indicazioni raccolte in
flussi finanziari. I piani vengono poi trasmessi alla capogruppo che provvede al loro
consolidamento.
Talvolta accade che ciascuna attività, ad ogni livello, predisponga il proprio documento
previsionale seguendo le indicazioni di massima del vertice aziendale – tipico nei gruppi
con forte decentramento decisionale, quindi con notevole libertà d’azione – ma è facile
immaginare i problemi di coordinamento complessivo che ne derivano.
Problemi che scompaiono invece quando a realizzare il documento è solo la capogruppo
(caso limite ma non infrequente): verso la capogruppo confluiscono tutti i costi dei
diversi settori strutturati essenzialmente in termini economico-patrimoniali, è cioè la
holding di vertice che si occupa di trasformare i valori contabili in flussi di cassa ordinati,
di frequente poi assegna obiettivi finanziari precisi alle unità sottostanti.
Le modalità di realizzazione del piano finanziario non possono essere stabilite senza una
piena conoscenza delle caratteristiche strutturali del gruppo e quindi il processo di
stesura e di approssimazione del piano finanziario deve dipendere da 4 variabili.
A. La struttura operativa del gruppo
Un gruppo può anche essere organizzato a 3 livelli, ma se un’attività operativa
rappresenta di fatto da sola il nucleo essenziale dell’attività complessiva, la scelta del
decentramento della pianificazione finanziaria può senz’altro essere fatta: in casi simili
viene spesso delegata alla periferia anche la gestione finanziaria.
B. Il grado di diversificazione
La stesura del piano finanziario è utilmente demandabile alle sub-holding quando le
attività del gruppo presentano una pronunciata diversificazione: la gestione finanziaria è
difficilmente governabile in modo totalmente accentrato dato che le specificità dei
singoli settori sono spesso tali da imporre particolari accorgimenti.
Se la scelta delle sub-holding, come unità organizzative delegate alla stesura del piano
finanziario, trae la sua ragion d’essere principale dalla imperfetta conoscenza, al primo
livello, dei singoli settori, lo stesso motivo impedisce il ricorso alla soluzione opposta: la
capogruppo incontrerebbe difficoltà nel formulare giudizi sulla coerenza dei singoli
piani, sempre in conseguenza delle proprie carenze conoscitive.
C. L’assetto proprietario e i rapporti proprietà-management
Un assetto proprietario fortemente concentrato tenderà a spingere verso il vertice della
struttura il processo di pianificazione e controllo finanziario, soprattutto se i livelli
inferiori del gruppo saranno gestiti esclusivamente da manager e l’attività degli azionisti
sarà concentrata verso la capogruppo. Se il contatto d’agenzia tra il management che
occupa le posizioni di maggior spicco ai livelli inferiori e la proprietà non ha basi forti, il
tentativo di mantenere saldamente nelle mani dell’azionario il governo dell’intero


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processo di pianificazione sarà esperito con particolare vigore. Insorgono così i costi
d’agenzia (d’incentivazione o di controllo sempre sostenuti dal principal).
Questa tendenza si scontra spesso con gli interessi delle minoranze delle unità
periferiche, che rivendicano il diritto di verificare ed approvare anticipatamente le
implicazioni finanziarie delle strategie aziendali: ad es. per prepararsi a far fronte ad un
eventuale aumento di capitale.
Una soluzione di forte accentramento verso la capogruppo sarà comunque difficilmente
perseguibile in presenza di una proprietà diffusa ai livelli inferiori del gruppo o nel caso
di public company caratterizzate da un forte rilievo della componente manageriale: la
panificazione finanziaria ha luogo ai livelli inferiori della struttura, rimanendo guidata dal
vertice attraverso una serie di direttive dalle quali non è possibile deviare.
D. La congiuntura del gruppo
In genere un cambiamento di un modello previsionale è spesso complicato, ma ci sono
casi in cui uno sforzo in tal senso è giustificato, 4 le situazioni principali:
1. conseguenti ad operazioni di finanza straordinaria: operazioni come scissioni e
    fusioni possono spostare il baricentro operativo di un gruppo;
2. di crisi settoriale o di mercato: potrebbe essere necessario un controllo centrale della
    risorsa scarsa per eccellenza (la liquidità);
3. di tensione o di disequilibrio finanziario: motivi analoghi al precedente punto;
4. conseguenti a profonde modificazioni della struttura finanziaria (financial o corporate
    restructuring): si ottengono in vario modo – ad es. variando la scadenza del passivo,
    passando da un indebitamento a tasso fisso ad uno variabile – ma in questa sede ci si
    riferisce alle manovre basate sull’uso della leva finanziaria.
Queste operazioni talvolta portano ad un peggioramento del rischio finanziario e spesso
risulta comunque necessario prevedere la dimensione dei flussi finanziari necessari per
coprire l’eventuale debito: se la gestione caratteristica non fosse capace di coprire questi
costi, sarebbe necessario dismettere attività non strategiche spesso in modo
antieconomico. In conclusione quindi se è possibile mantenere una minima elasticità
finanziaria, le operazioni di ristrutturazione possono essere svolte più tranquillamente.

Le modalità di aggregazione dei flussi nei piani e nei budget finanziari
A seconda delle necessità, i prospetti di piano e budget finanziario possono essere
costruiti in diversi modi: ciascuna permette di evidenziare differenti aspetti rilevanti in
fase previsionale. Le strutture di fondo sono identiche, diverse invece le coperture
temporali, l’attendibilità e la concretezza; queste ultime esprimono una maggiore
operatività del budget finanziario, che dà indicazioni più precise in particolare su:
1) provenienza/destinazione di fabbisogni/surplus periodali:
   - nel piano: si accenna ma senza scendere nello specifico,
   - nel budget finanziario: non solo si illustrano le caratteristiche tecniche dei diversi
       strumenti – in modo da controllare il rischio prospettico – ma anche i rapporti
       con le istituzioni, che hanno un chiaro riflesso sulla rischiosità complessiva (ad es.
       informazioni sul tipo di intermediario prescelto per la copertura del fabbisogno);
2) scadenza di attivo e passivo: da gestirsi in modo combinato per non creare scompensi
   tra entrate ed uscite che potrebbero limitare l’elasticità finanziaria (possibilità di

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   reperire fonti di finanziamento, nella quantità, con la struttura e le scadenze
   desiderate, in tempi brevi ed in condizioni di economicità);
3) relativo costo/rendimento;
4) rischiosità collegata: insieme al precedente permettono di prefigurare il livello di
   redditività stimato, sul quale la direzione finanziaria deve dare un giudizio di
   compatibilità con l’alea di rischio derivante.
Ecco due modelli di aggregazione dei flussi che danno adeguate informazioni
previsionali orientate al lungo periodo.

I. Modello basato sulla determinatezza del flusso di cassa libero (free cash flow)
È uno strumento che consente di accentrare l’attenzione sul dimensionamento dei flussi
provenienti da e destinati ad operazioni che non possono essere evitate o posticipate.
Questo modello previsionale è basato sul saldo della gestione non discrezionale –
relativo appunto agli investimenti necessari per l’economicità delle gestione – che dà la
misura delle risorse che possono essere destinate a nuove vie di sviluppo: l’interesse è
rivolto all’apprezzamento della capacità di produzione di risorse liquide da parte delle
attività già esistenti in vista di una crescita interna od esterna, il modello è quindi adatto
anche alle società in via di diversificazione.
                    Autofinanziamento potenziale
                    ± Δ capitale circolante
                    = Autofinanziamento reale (o Flusso di cassa della gestione corrente)
                    ± Δ Flussi in entrata ed in uscita delle operazioni già impegnate
                    (cioè + rimborso finanziamenti esistenti + pagamenti oneri finanziari
                    ± investimenti/disinvestimenti impegnati - proventi finanziari certi
                    ± flussi da altre operazioni non discrezionali)
                     - Impegni netti non discrezionali
                    = Flusso di cassa libero (o Saldo della gestione non discrezionale)
                    ± investimenti/disinvestimenti discrezionali
                     - Investimenti discrezionali netti
                    + nuovi finanziamenti
                     - dividendi da distribuire
                     - dividendi da ricevere
                    ± flussi da altre operazioni discrezionali
                    + Operazioni finanziarie discrezionali
                    = Saldo monetario periodale
Importante risulta il saldo della gestione non discrezionale che può essere:
• negativo: la società è costretta anzitutto al reperimento di adeguate forme di
   copertura che garantiscano il mantenimento dell’equilibrio finanziario relativamente a
   ciò che non può essere evitato o posticipato, solo dopo entrare nell’area della
   discrezionalità;
• positivo: l’azienda gode di una libertà assai maggiore nella definizione delle possibili
   alternative di sviluppo.
Ultima precisazione sui dividendi, questi sono stati considerati discrezionali e dunque
come operazioni finanziarie non obbligatorie, spesso questo non è possibile: ad es. nel
caso di una società guidata da un gruppo familiare che desideri riscuotere
periodicamente dei flussi di reddito, i dividendi risultano normali impegni non
discrezionali di liquidità.
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II. Modello basato sulla determinazione del flusso della gestione operativa
                    Autofinanziamento potenziale
                    ± Δ capitale circolante
                    = Autofinanziamento reale (o Flusso di cassa della gestione corrente)
                    ± investimenti/disinvestimenti operativi
                    - Investimenti operativi fissi netti
                    = Flusso della gestione operativa
                    + proventi finanziari – rimborsi
                    + nuovi finanziamenti – pagamenti oneri finanziari
                    + dividendi da ricevere – dividendi da distribuire
                    + disinvestimenti non operativi – investimenti non operativi
                    + Flusso delle gestione finanziaria ed accessorie
                    = Saldo monetario periodale
Serve a separare in modo netto la gestione operativa da quelle finanziarie ed accessorie,
potrà quindi essere usato se non sono presenti troppe sovrapposizioni. Le grandezze
portanti sono il flusso della gestione operativa e il flusso della gestione finanziaria ed
accessoria: questo perché si vuole controllare preventivamente la dimensione del rischio.
Queste possono essere ricondotte al rischio operativo (collegato all’attività tipica
dell’impresa) ed a quello finanziario (deriva dal mix dei finanziamenti utilizzati), in modo
da studiare separatamente la dinamica finanziaria prevista in ciascun comparto. Se la
gestione operativa avrà delle incertezze nelle dimensioni del proprio saldo, la gestione
finanziaria dovrà seguire criteri di prudenza in maniera da mantenere una certa riserva di
liquidità; viceversa flussi cospicui e prevedibili dell’attività operativa permetteranno
strategie più aggressive in campo finanziario.

La logica di costruzione e l’interpretazione del budget di tesoreria (o di cassa)
Il budget di tesoreria è uno strumento agile oltre che di facile costruzione e
consultazione, per questo è molto usato dalle aziende: consiste nella rappresentazione su
base annua delle entrate e delle uscite – indipendentemente dal loro legame con la
gestione caratteristica o con le altre gestioni – ripartite comunemente mese per mese,
saranno esclusi invece i costi non monetari e quelli monetari che non daranno luogo ad
uscite nel periodo di previsione. Il suo obiettivo è la previsione dei saldi periodali, al fine
di provvedere anticipatamente alla relativa copertura; la tempestiva comunicazione agli
intermediari finanziari in generale delle necessità finanziarie consente poi di negoziare
con maggior credibilità eventuali linee di affidamento.
Il budget di cassa non sostituisce quello finanziario, né viceversa. È possibile che in
ragione d’anno i flussi complessivi non mettano in luce tensioni di liquidità, tuttavia, per
la stagionalità della produzione e delle vendite, ci possono essere dei mesi in cui la
compatibilità di entrate ed uscite venga meno: ecco perché si deve articolare
ulteriormente il budget finanziario. La copertura degli squilibri di liquidità avviene
attraverso il ricorso all’indebitamento bancario di breve termine, invece gli impieghi di
liquidità, che sono anch’essi temporanei, avranno luogo ad un tasso che esprime la
redditività dei conti correnti bancari.

I. La previsione delle entrate

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Per conferire piena attendibilità alle previsioni di entrata derivanti dalle vendite, servono:
1. le vendite periodali;
2. gli incassi previsti per contanti;
3. i tempi medi di riscossione dei crediti: ricordando che tanto peggiore sarà la qualità
    del portafoglio clienti tanto maggiori saranno i tempi di incasso.
Per comodità ecco come deve essere il prospetto delle entrate:
    I. entrate per vendite a contanti;
   II. entrate per incassi relativi a vendite effettuate nei mesi precedenti.
Sarà poi necessario riportare i proventi da operazioni di disinvestimenti:
    I. entrate da cessione di impianti, macchinari, immobili;
   II. entrate da vendita di titoli azionari, obbligazionari e di quote di partecipazione;
  III. entrate di cessione di beni immateriali;
  IV. entrate di disinvestimenti di depositi in c/c.
Andranno poi segnalati i flussi positivi conseguenti a operazioni di finanziamento:
    I. entrate da aumenti di capitale a pagamento;
   II. entrate da emissione di prestiti obbligazionari;
  III. entrate da negoziazione di linee di credito stand-by con istituti di credito;
  IV. entrate da emissione di cambiali finanziarie;
   V. entrate da altre forme di finanziamento.
Ed infine gli afflussi di risorse conseguenti alla percezione di remunerazioni finanziarie:
    I. entrate da percezione di interessi attivi;
   II. entrate da incasso di dividendi;
  III. entrate di royalty;
  IV. entrate da redditi immobiliari o da altre gestioni accessorie.

II. La previsione delle uscite ed il calcolo dei saldi periodali
In relazione alle uscite si tratterà anzitutto di prevedere i pagamenti per acquisti, siano
essi di materie prime, semilavorati…o di condizioni patrimoniali a regolamento differito.
In sintesi il prospetto delle uscite:
     I. uscite per pagamenti di acquisti in contanti;
    II. uscite per pagamenti di acquisti relativi a periodi precedenti.
Le altre uscite potranno essere poi raggruppate per grandi categorie, ad es.:
     I. uscite per pagamenti di salari;
    II. uscite per contributi e altre componenti del costo del lavoro;
  III. uscite per spese di produzione;
   IV. uscite per spese di amministrazione…
Ottenuto il saldo periodale delle entrate e delle uscite, bisognerà gestirlo. La destinazione
prioritaria sarà il c/c bancario: un saldo negativo ridurrà le disponibilità, uno positivo
ridurrà l’esposizione di breve o incrementerà la liquidità. In ogni caso sommando il
valore dei saldi di più anni successivi si ottiene il saldo progressivo periodale, che andrà
aggiornato trimestralmente per tenere conto dell’addebito e dell’accredito degli interessi.




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L’elaborazione del conto economico e dello stato patrimoniale pro-forma
Piani e budget finanziari unitamente ai budget di tesoreria sono spesso insufficienti per
una completa proiezione delle informazioni aziendali, gli analisti finanziari spesso usano
anche conti economici e stati patrimoniali pro-forma, in modo da:
1) facilitare l’accensione o il mantenimento di rapporti con il mercato finanziario e
    soprattutto con gli input di credito;
2) conoscere anticipatamente gli effetti del bilancio dei piani strategici e della dinamica
    dei flussi finanziari, per verificare ex-ante gli impatti delle scelte di lungo periodo sui
    principali indicatori che il mercato normalmente prende in considerazione.
Gli indici sono indifferentemente utili a tutti i soggetti economici (dal top management
ai clienti) – interessati al mantenimento del valore della società – allargati della società.
In sintesi si deve integrare la pianificazione ed il budgeting finanziario con la redazione
dei documenti di bilancio pro-forma, sia per informazione esterna sia per un controllo
interno, con gli indici fondamentali del valore aziendale. Dobbiamo fare riferimento a 2
fattispecie differenziate dalla disponibilità/assenza del budget di tesoreria.

A. È disponibile un budget di tesoreria
Disponendo di una dettagliata ripartizione previsionale di entrate ed uscite, il processo
non presenta particolari complicazioni. Iniziando dall’attivo patrimoniale: la disponibilità
del piano degli investimenti, insieme alle politiche del circolante, possiamo definire il
livello delle attività totali (tenendo conto del predefinito livello minimo di liquidità e del
surplus derivante dalla differenza tra entrate ed uscite, se ci sono). Passando al fronte
reddituale: una volta che il piano strategico ha stabilito il livello di fatturato per i periodi
osservati, insieme alle incidenze delle più significative componenti di costo definite le
politiche di ammortamento, è possibile determinare il reddito operativo.

                             Costruzione dell’attivo patrimoniale pro-forma
 Fonti delle informazioni    Necessità informative              Attivo                            Passivo
 piano strategico            fatturato e incidenza dei costi    Capitale circolante
 piano/budget finanziario    dilazioni      di     incasso    e (escluso fondo imposte)
 (documenti previsionali     pagamento
               economico-    rotazione delle scorte
 patrimoniali)               politiche di accantonamento
 piano strategico            livelli, tempi e tipologie degli   Investimenti reali, immateriali e
 piano finanziario           investimenti/cessioni              finanziari estranei alla
 (budget di tesoreria)       politiche di ammortamento          gestione corrente
 piano/budget finanziario    soglia minima di liquidità         Liquidità
 budget di tesoreria         (o surplus periodale)
                             Costruzione del passivo patrimoniale pro-forma
Attivo Passivo             Necessità informative                              Fonti delle informazioni
       Debiti finanziari   natura e scadenze dei finanziamenti contratti      piano/budget finanziario
       consolidati         o da contrarre nel medio-lungo periodo
       Capitale netto      dimensioni capitale sociale, riserve e dividendi   piano finanziario
                           risultato esercizio                                conto economico pro-forma
         Fondo imposte imposte dell’esercizio                                 conto economico pro-forma
                           dinamica delle imposte anni prima
         (eventuale) Saldo (eventuali) fabbisogni di breve periodo            budget di tesoreria

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         scoperto di c/c
                              Costruzione del conto economico pro-forma
          Fonti delle informazioni   Necessità informative       Conto economico
          piano strategico           fatturato                   Fatturato
          piano/budget               incidenza dei costi         - Costi di gestione
          finanziario                politiche di accantonamento
          (documenti previsionali)
          budget di tesoreria        saldi periodali di c/c       = Risultato operativo
                                                                  ± Proventi/oneri finanziari
                                                                  = Risultato ante imposte
                                                                  - Imposte
                                                                  = Risultato d’esercizio

B. Non è disponibile un budget di tesoreria
Sotto quest’ipotesi il completamento dei documenti contabili pro-forma è più complesso
e meno preciso, infatti risulta impossibile determinare: fondo imposte, saldo c/c passivo
o attivo. Anche il conto economico non può essere completato, mancando alcune voci
al risultato operativo: oneri/proventi finanziari, imposte e risultato d’esercizio.

Capitolo 4
IL PROCESSO DI ALLOCAZIONE DELLE RISORSE E LA VALUTAZIONE
DEGLI INVESTIMENTI

Uno dei compiti più importanti della finanza riguarda la valutazione economica dei
progetti di investimento, perché sono questi che garantiscono la prosecuzione delle
attività aziendali, insieme al successo o all’insuccesso dell’impresa.
Nell’ambito delle decisioni di investimento vanno distinte due aree:
 tangibile: attinenti alla costruzione di immobili o all’acquisto di azioni o quote;
 intangibile: relative alla ricerca, all’immagine e la pubblicità, con la tecnologia.
Si analizzano i criteri indispensabili all’orientamento delle scelte e non di assunzioni di
decisioni, poiché il profilo economico finanziario deve essere esaminato prima di
realizzare qualsiasi progetto di allocazione delle risorse. Tuttavia i modelli analitici non
sono in grado di cogliere elementi di natura qualitativa – come le politiche di prodotto o
di gruppo in ambito internazionale, le motivazioni di ordine etico o prospettive di
sviluppo verso nuovi prodotti o mercati – che possono assumere rilievo determinante.

Gli investimenti: alcune definizioni e modalità di classificazione
Un investimento è un esborso di risorse monetarie al quale normalmente conseguono
dei flussi monetari o – con altra definizione – un consumo differito nel tempo.
• Investimenti espliciti: tipici degli investimenti industriali sono caratterizzati da una
    prima fase, nella quale prevalgono uscite monetarie (fase di impianto), e da una
    seguente (detta fase di esercizio) dove prevalgono i flussi di segno positivo (entrate).
• Investimenti impliciti: sono operazioni alle quali non sono associabili in modo
    immediato i flussi in ingresso e in uscita (ad es. una compagnia petrolifera che
    posticipa lo sfruttamento di un giacimento, per prezzi futuri più convenienti).


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I. La classificazione in base al grado di dipendenza
• Investimenti dipendenti: per esprimere un giudizio di convenienza economica, oltre
    ad i risultati di un’unica operazione, va considerato anche l’impatto della stessa sulla
    gestione complessiva, il grado di dipendenza può variare:
       o investimenti alternativi (mutually exclusive): quando la realizzazione di uno
            rende impossibile o inutile la realizzazione dell’altro (se tra A, B e C scelgo C
            automaticamente escludo A e B);
       o investimenti vincolati: quando un dato progetto richiede che un secondo
            investimento sia portato a termine, affinché si possano ottenere dei flussi
            finanziari differenziali positivi, cioè la valutazione economica dovrà essere fatta
            considerandoli entrambi, dato che nulli sarebbero gli effetti di uno solo;
       o investimenti sequenziali: quando alla realizzazione di un progetto fa seguito la
            necessità di portare a termine altri investimenti, in tempi diversi, per ottenerne
            dei benefici (un macchinario una cui parte va rinnovata dopo qualche anno);
       o investimenti concorrenti: lo sono due o più investimenti entrambi convenienti
            che svolgono funzioni compatibili ma differenti e che non possono essere
            realizzati in contemporanea (si vuole un nuovo edificio e nuovi macchinari).
• Investimenti indipendenti: i flussi positivi e negativi delle diverse iniziative non hanno
    alcuna correlazione, possono coesistere all’interno di una stessa unità aziendale.

II. La classificazione in base agli effetti prodotti
Ulteriore classificazione può essere fatta in base agli:
• effetti unicamente sui costi: come i progetti di rinnovo degli impianti, intesi a
    mantenere la medesima capacità produttiva, ma a condizioni di maggiore efficienza
    ed economicità (ad es. un impianto più tecnologicamente avanzato di un altro);
• effetti unicamente sui ricavi: ad es. un’azienda che può aumentare i prezzi dei propri
    prodotti, senza far contrarre la domanda e senza far lievitare i costi, come
    conseguenza della decisione di investire in una ricerca che attesti una maggior
    affidabilità e qualità dei propri prodotti, i dati vengono divulgati successivamente con
    un’adeguata campagna pubblicitaria;
• effetti unicamente sulle dimensioni del capitale circolante: ad es. un investimento
    mirato alla razionalizzazione della gestione del magazzino (just in time), o la decisione
    di investire in un sistema informatico, per segnalare le insolvenze della clientela, ha
    effetti riduttivi sui crediti commerciali e dunque sul circolante;
• effetti sul mix dei precedenti: fra questi rientrano i progetti di natura espansiva che
    prevedono un incremento nelle vendite e di riflesso di tutte le precedenti grandezze
    (ad es. ampliamento della capacità produttiva e lancio di nuovi prodotti).

III. La classificazione in base alla natura del progetto
Classificare gli investimenti in funzione della natura del progetto significa concentrare
l’attenzione essenzialmente sulla tipologia di benefici attesi da ogni iniziativa e sulla
rischiosità relativa alla quale l’azienda va incontro: ciascuna azienda definirà i progetti
coerentemente con la propria attività e con le relative necessità.


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Come esempio sono qui riportati i criteri di aggregazione delle classi di investimento
utilizzati dalla filiale italiana di una grande multinazionale operante nel settore alimentare.
A. Progetti per la sicurezza e l’utilità generale:
    - iniziative necessarie per motivi di sicurezza, igiene, utilità sociale (come gli
        impianti anti-incendio o gli ascensori);
    - costruzioni destinate ad attività legate alla gestione caratteristica (ad es. per nuovi
        edifici o laboratori).
B. Progetti destinati a incrementare la qualità:
    - investimenti intesi al miglioramento della qualità percepita.
C. Progetti destinati a incrementare la redditività:
    - investimenti per la riduzione dei costi;
    - investimenti per l’incremento della capacità produttiva;
    - progetti per la produzione e la distribuzione di un nuovo prodotto.
D. Altri progetti:
    - tutti i progetti esclusi dalle precedenti classificazioni (ad es. iniziative di ricerca
        non finalizzate al lancio di nuovi prodotti).
Classificazioni di questo tipo possono variare nel tempo.

IV. La classificazione in base al rischio
La rischiosità è senza dubbio uno degli elementi che più influenza la decisione finale: una
cosa è acquistare BOT, altro è lanciare nuovi prodotti in mercati sconosciuti. Spesso alle
categorie di rischio si assegnano rendimenti minimi richiesti in modo da poterne
verificare prima la probabilità d’accettazione: maggior rischio, maggior rendimento.

I profili di analisi per le decisioni di investimento
Dopo aver eseguito una classificazione degli investimenti, le aziende iniziano un
processo variabile per complessità e durata in funzione ad es. della struttura
organizzativa dell’investimento, processo che termina con la scelta finale; questo
processo si articola in 3 fasi:
1. pianificazione: tra cui formulazione delle ipotesi per la valutazione, stime preliminari,
   valutazione economica, approvazione, inserimento nel budget d’esercizio;
2. realizzazione: suddiviso in raccolta coperture, uscite di cassa e realizzazione delle
   attività di gestione corrente (acquisto-trasformazione-vendita);
3. controllo: sulla corrispondenza con le previsioni.
Anche i profili di analisi che l’analista è chiamato a giudicare sono 3:
1) profilo economico: i suoi risultati devono fornire un rapporto fra le risorse assorbite
   e liberate dal progetto, attraverso l’utilizzo di un indicatore sintetico che indicherà
   l’eventuale redditività dell’investimento, all’indicatore bisogna associare i flussi di
   cassa incrementali del progetto e il costo del capitale;
2) profilo finanziario: non tutti gli investimenti economicamente convenienti sono
   sempre fattibili, bisogna cioè esaminare la fattibilità finanziaria (ovvero la
   compatibilità dei flussi dell’investimento con il profilo dimensionale e temporale di
   entrate ed uscite), situazioni – ad es. di un progetto altamente conveniente ma
   accantonato per mancanza delle necessarie risorse finanziarie o per una dinamica di

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Appunti di Finanza aziendale

  • 1. Appunti di Finanza Aziendale Autori: ProfMan - Aissela - Flor - Tytty
  • 2. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland Si ricorda che: • l'uso degli appunti qui presenti è consentito per solo uso personale e di studio; • la consultazione è gratuita ed ogni forma atta a ricavarne lucro è vietata! • gli appunti sono fatti da studenti che non possono assumersi nessuna responsabilità in merito; • il materiale qui presente non è sostitutivo ma complementare ai libri di testo: - devi (e ti consiglio) di consultare e comprare i libri di testo; • il materiale qui presente è distribuito con licenza Creative Commons Ti ricordo che se vuoi contribuire mandando degli appunti o quant'altro possa essere utile ad altri puoi farlo inviando il materiale tramite: http://profland.altervista.org/mail.htm Spero che ciò che hai scaricato ti possa essere utile. Profman Il file è stato scaricato/visualizzato in forma gratuita da Profland: http://profland.altervista.org sezione Profstudio http://profland.altervista.org/profstudio/profstudio.htm oppure da qualche mirror, come: www.profland.cjb.net www.profland.135.it o dalla pagina dedicata su slideshare.net: www.slideshare.net/profman 2/93
  • 3. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland Capitolo 1 LA NASCITA E LO SVILUPPO DELLA FINANZA NELLE IMPRESE Premessa La finanza d’azienda ha stretti legami con numerose discipline: macro e microeconomia, diritto, politica economica e soprattutto con la finanza di mercato con la quale viene spesso confusa. Sia la finanza di mercato che quella d’azienda si occupano di denaro e di flussi di risorse monetarie, distinguendole: • finanza di mercato: si concentra sulle istituzioni che apportano il denaro alle imprese o che ne gestiscono l’eventuale surplus, si interessa quindi dei fornitori (istituti di credito e altri intermediari finanziari); • finanza d’azienda: ha la visuale dell’impresa che utilizza il denaro per alimentare le proprie attività, si interessa quindi dei clienti delle risorse monetarie ed ha l’obiettivo di creare del valore. La finanza e le altre funzioni I rapporti tra la finanza e le altre funzioni – all’interno della stessa impresa – sono caratterizzati da un’intensa dialettica (è il caso delle vendite relativamente ai rapporti con la clientela):  funzione commerciale: tende a favorire i clienti concedendo dilazioni di pagamento;  finanza: segue un’impostazione di segno opposto infatti quanto più lontani sono vendita ed incasso, tanto più critico sarà il reperimento delle risorse monetarie necessarie a finanziare l’attività d’impresa, risorse che permangono per lungo tempo a disposizione della clientela. Situazioni simili insorgono anche con la funzione di produzione e quella di ricerca e sviluppo (R&S), ma ce ne sono anche altre come quella dei sistemi informativi che traggono dalla finanza spunti per lo sviluppo di nuovi modelli. Sempre stretti e frequenti sono i rapporti con i vertici aziendali. L’evoluzione degli obiettivi della finanza aziendale Non è facile inquadrare in un periodo storico preciso l’origine della finanza aziendale, tutti comunque concordano nell’assegnarle la gestione della liquidità. Un primo tentativo è quello fatto da Mead, che afferma come la finanza aziendale sia strettamente connessa alla gestione della struttura finanziaria. Altrettanto puntuale è il riferimento a due operazioni (fusioni ed incorporazioni) che rientrano in quella che verrà in seguito denominata “finanza straordinaria”. Al 1920 risale la prima raccolta redatta da Dewing di tutte le teorie ricollegabili alla materia, ma è negli anni ’50 che l’interesse aumenta grazie soprattutto all’opera dei Lutz. Si inizia così a sviluppare la finanza “specialistica” con argomenti come la composizione di un portafoglio ottimale di investimenti, il costo del capitale ed il suo influsso sul valore delle imprese. Anche nella pratica la storia è molto breve, infatti fino a non molto tempo fa la funzione finanziaria era strettamente legata alla funzione amministrativa, le era assegnato cioè il solo compito di gestione della tesoreria e della liquidità; in un momento successivo il campo d’azione s’è allargato includendo l’acquisizione e l’amministrazione dei fondi. Alla funzione finanziaria è stato poi attribuito il compito di ricercare, selezionare ed apportare 3/93
  • 4. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland le risorse monetarie alle imprese nei tempi coerenti con le necessità ed alle migliori condizioni economiche possibili, il tutto nel rispetto del profilo di rischiosità complessiva ritenuto compatibile con l’attività e la struttura delle imprese stesse. Anche gli obiettivi sono ampliati: da una partecipazione generica alla massimizzazione dei redditi d’impresa si è passati ad una massimizzazione della ricchezza per gli azionisti e di creazione di valore. Ovviamente obiettivi e strumenti sono stati modellati in funzione delle esigenze dell’ambiente e del contesto di riferimento. La rischiosità: il valore delle imprese decresce se aumentano rischio ed incertezza, la rischiosità può poi essere operativa (se riconducibile all’attività caratteristica ed alla struttura di domanda, costi ed investimenti) o finanziaria (se legata alla tipologia degli investimenti). La finanza e lo scenario economico e sociale Per comprendere lo sviluppo della funzione finanziaria nelle aziende bisogna osservare le condizioni ambientali in cui le stesse aziende si trovavano, delineando tre periodi. Prima dell’inflazione a due cifre Fino ai primi anni ’70 è praticamente impossibile ritrovare la funzione finanziaria come organo autonomo nelle aziende italiane (stessa situazione a livello europeo se si esclude la Gran Bretagna), tant’è che si parla di “contabilità finanziaria” o di “servizio di contabilità e finanza”, lasciando sempre trasparire una diretta dipendenza della finanza dall’amministrazione o dalla contabilità. Negli anni ’60 infatti la costante crescita economica e l’abbondanza delle risorse (anche di capitale) suggerivano di interessarsi soprattutto di produrre e vendere così da sostenere l’elevato sviluppo dei mercati e della domanda in genere. La situazione italiana era poi caratterizzata da una forte regolamentazione dei mercati con forti barriere protezionistiche (non veniva così stimolato il confronto internazionale) e da modesti costi per l’approvvigionamento di capitale unito ad un tasso di inflazione basso (il management non era stimolato al reperimento di risorse finanziare necessarie per lo sviluppo). In presenza di un simile scenario l’attività finanziaria era limitata alla ricerca e alla negoziazione di risorse finanziarie e solo in alcuni casi le veniva delegata la gestione dell’eventuale surplus di liquidità, in ogni caso si trattava di operazioni poco significative, dal momento che le eccedenze di cassa erano per lo più temporanee: conseguenzialmente anche i processi e gli strumenti erano semplici ed informali e davano informazioni di scarso rilievo o inattendibili. Basta riflettere sul fatto che i dati che alimentavano il processo decisionale della finanza provenivano esclusivamente dalla contabilità generale e che l’unico strumento era il prospetto delle fonti e degli impieghi, non esistevano ancora processi per prevedere nel medio lungo termine e lo stesso budget di tesoreria (tavola in cui sono riassunti i movimenti in entrata ed in uscita) risultava compilato in modo puramente orientativo. La finanza era quindi esclusivamente responsabile dell’approntamento dei mezzi necessari per realizzare quanto stabilito nei documenti suddetti: l’attività complessiva veniva svolta quasi sempre manualmente. 4/93
  • 5. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland Il decennio della stagflazione Nel corso della prima metà degli anni ’70 due fattori sconvolsero il quadro precedente: • impennata dei costi delle materie prime (in particolare del petrolio): ciò comporta un quasi rovesciamento nei rapporti di forza fra stati produttori e stati trasformatori di materie, con una progressiva riduzione nella disponibilità di risorse a condizioni economicamente accettabili; • tassi inflazionistici anomali: la forte inflazione (nazionale ed internazionale) produce impatti drammatici sulla dimensione dei fabbisogni finanziari e sui risultati economici delle imprese. Inizialmente la finanza d’azienda continuò solo a reperire risorse di capitale, ma in condizioni di carenza dello stesso e di costi di approvvigionamento a volte insostenibili iniziò a diventare indispensabile quantificare le dimensioni dei fabbisogni: a tal scopo si svilupparono la programmazione finanziaria (orientata al breve periodo e basata sul budget di tesoreria) e la pianificazione finanziaria (medio-lungo periodo). La finanza iniziò in questi anni il processo di distacco dalla funzione di contabilità-amministrazione. Alla stessa gestione del passivo si incominciò ad associare un ruolo attivo nella gestione degli investimenti stabilendo l’impiego più efficiente per le limitate risorse (soprattutto monetarie) disponibili con l’obiettivo di portare ai più alti valori possibili i tassi di rotazione (cioè ridurre il ricorso alle banche attraverso una più corretta movimentazione della liquidità disponibile). Si capì che l’insidia maggiore per i risultati economici era ed è tuttora il rischio di cambio, soprattutto nei periodi delle due crisi petrolifere. Di questo rischio ce ne sono tre tipologie: a. quello dovuto a transazioni effettuate in valuta estera; b. quello per le imprese che possiedono insediamenti in più paesi e nel redigere il bilancio di esercizio devono tradurre i conti delle consociate estere nella valuta aziendale; c. quello “economico” che ha una radice di natura strategica in quanto la competitività delle imprese che esportano all’estero è influenzata dal rischio di cambio. La ripresa economica e i nuovi confini della finanza – Il ritorno al “core business” Negli anni ’80 si consolidarono le precedenti tendenze e la funzione finanziaria mantenne nelle realtà aziendali il corso di sviluppo intrapreso portando le imprese a risultati apprezzabili: indicatore sintetico ma efficace è l’andamento del saldo della gestione finanziaria (differenza fra tutti i ricavi e tutti i costi direttamente imputabili alla finanza) delle grandi imprese che passa da -5.5% nel ’77 a -4.9% nell’81 e a -4.5% nell’85, anche se in questo periodo indebitamento e tasso di interesse sono superiori. I sistemi di previsione dei flussi finanziari messi a punto dalle direzioni finanziarie produssero un apprezzabile effetto di disintermediazione: il livello di indebitamento globale delle imprese, a parità di condizioni economiche, si è apprezzabilmente ridotto. Il grado di dipendenza dalle istituzioni finanziarie non è più così forte ed il risultato più tangibile è che il grado di rischiosità finanziaria delle aziende si è ridotto in maniera ragguardevole: la crisi economica degli anni ’90 non ha avuto conseguenze disastrose come quella degli anni ’70, pur essendo di portata simile. In effetti la compressione del rischio finanziario permise alle imprese di assumere un più elevato grado di rischio 5/93
  • 6. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland operativo, ciò significa ad es. la possibilità di intraprendere nuovi investimenti anche in situazioni di recesso. Inoltre si è in presenza di una sempre più intensa internazionalizzazione delle aree competitive, segnate da una progressiva deregolamentazione dei mercati sia per quanto concerne lo scambio di beni e di servizi sia per quanto concerne le valute. I mercati finanziari hanno mostrato crescenti aperture, con l’effetto di indurre numerose aziende (anche italiane ad es. Luxottica) ad emettere titoli di varia natura in Paesi differenti da quelli di origine. Parallelamente si è assistito ad un sempre più intenso dinamismo del sistema bancario che ha prodotto una tendenziale riduzione nei costi nella raccolta ed un sempre più ricco portafoglio di prodotti e servizi innovativi. Tutto ciò ha portato a ritenere che la finanza si debba occupare dell’ottimizzazione del reperimento e dell’impiego di risorse finanziarie, ruolo attivo poi anche in relazione alla gestione degli investimenti. La sua struttura è diventata articolata ed i ruoli più importanti sono ricoperti da professionisti. I nuovi strumenti (soprattutto informatici) hanno poi permesso di rendere sempre più precisa e attendibile la preventivazione dei flussi, in particolare nel breve periodo: come risultato si è avuto una ancora più marcata disintermediazione verso il sistema ed una significativa riduzione dell’esposizione al rischio finanziario. Altro strumento è il piano finanziario (previsione di lungo periodo circa la dimensione dei flussi finanziari della gestione) che ha poi assunto una formulazione sempre più dinamica diventando “a scorrimento” con periodici aggiornamenti. Altri strumenti, come il budget finanziario e quello di cassa, hanno permesso previsioni anche giornaliere. A livello organizzativo va segnalato il tendenziale contatto della funzione finanziaria con i vertici aziendali sia nella fase previsionale che decisionale. Infine un gruppo multinazionale, grazie ad una gestione professionale e centralizzata, in primo luogo libera le unità operative dall’alea di rischio conseguente ai regolamenti in divisa estera agevolando le previsioni, in secondo luogo favorisce il ricorso ad intermediari esterni solo per la copertura dei saldi, dato che nei conti aziendali i flussi negativi si compensano con quelli positivi nella stessa valuta (c.d. netting). Ultima cosa da ribadire è che la finanza d’azienda non può essere interpretata, salvo rarissimi casi, come una funzione autonoma ed indipendente rispetto alla gestione caratteristica. 6/93
  • 7. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland Capitolo 2 I FONDAMENTI DELL’ANALISI FINANZIARIA: RICLASSIFICAZIONI, QUOZIENTI E FLUSSI Il conto economico e lo stato patrimoniale dopo l’introduzione della IV direttiva Con l’introduzione anche in Italia della IV direttiva comunitaria si è cercato di armonizzare la redazione del conto economico e dello stato patrimoniale, ma la struttura del bilancio non permette ancora una lettura agevole e completa in quanto le imprese redigono bilanci completamente differenti in funzione delle esigenze conoscitive che sono destinati a soddisfare: ai fini di una corretta analisi finanziaria (riguardante ad es. la redditività e le prospettive aziendali replicabili senza modifiche in tutti i paesi) risulta quindi utile riesporre i documenti contabili; queste riclassificazioni non hanno alcuna validità sotto il profilo formale-normativo. La riclassificazione dei dati contabili Il bilancio redatto secondo le disposizioni della IV direttiva costituisce una ricca fonte informativa per procedere ad analisi volte all’apprezzamento della gestione aziendale e dei risultati da essa prodotti in termini reddituali e finanziari. Conto economico, stato patrimoniale e nota integrativa non sono prospetti definitivi a questo scopo, in quanto non permettono di porre in risalto gli aspetti particolari legati alla realtà di ogni singola azienda e non possono essere confrontati con altri analoghi: si rendono quindi necessarie delle analisi comparative che permettono di comprendere i fattori che hanno dato luogo ai valori contabili, per poter apprezzare l’economicità con cui è stata condotta la gestione nel suo complesso, le potenzialità di sviluppo dell’azienda e la sua dinamica finanziaria. Si tratta necessariamente di analisi comparative con performance passate o aziende dello stesso settore o di un simile contesto macroeconomico. I soggetti interessati all’informativa sono sia interni che esterni all’azienda, ciascuno mira ad indagare la stessa realtà, ma con angolazioni differenti. Le analisi economico- finanziarie possono essere condotte sia su dati passati, che su quelli prospettici. La riclassificazione del conto economico È possibile indagare la redditività secondo tre differenti profili di analisi: a. efficacia dell’attività produttiva; b. redditività dell’attività caratteristica; c. redditività delle attività aziendali diverse da quella caratteristica. Gestione caratteristica e gestione corrente sono usati come sinonimi ed identificano l’insieme delle attività di acquisto, trasformazione e vendita che realizza tipicamente un’azienda industriale (la tipologia più complessa); l’azienda commerciale invece è articolata in due momenti (acquisto e vendita); infine l’azienda di servizi erogherà gli stessi dopo aver acquisito le condizioni necessarie (materiali ed immateriali). Oltre a quella caratteristica ci sono tre aree alle quali ricondurre tutte le componenti positive e negative di reddito: • gestione finanziaria: comprende le operazioni di reperimento delle varie forme di capitale necessario a finanziare l’attività e quelle legate all’investimento di risorse 7/93
  • 8. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland liquide, queste due categorie generano oneri e proventi finanziari ovvero le remunerazioni del capitale preso a prestito e poi investito; • gestione straordinaria: riguarda operazioni che hanno carattere di eccezionalità cioè che non fanno parte del continuo operare economico; • gestione accessoria: comprende le operazioni svolte con una certa continuità ma che non costituiscono l’obiettivo peculiare dell’operato aziendale. Aggregando le componenti di reddito secondo la rispettiva pertinenza gestionale è possibile indagare la redditività delle diverse aree di gestione, risalendo alle origini del risultato d’esercizio. Partendo dal fatturato e con opportune disaggregazioni ed aggregazioni è possibile evidenziare risultati intermedi di particolare rilievo. I. modalità di riclassificazione: il conto economico scalare a fatturato e costo del venduto Fatturato - costo del venduto + rimanenze iniziali + acquisti di materie prime e semilavorati + energia + costo del lavoro + ammortamento (di beni di produzione) + canoni di leasing (di beni di produzione) + altri costi industriali - rimanenze finali = Risultato lordo industriale - costi (commerciali e distributivi + amministrativi e generali) = Risultato (o reddito) operativo ± proventi/oneri finanziari (risultato della gestione finanziaria) ± proventi/costi delle gestioni accessorie (risultato delle gestione accessorie) = Risultato di competenza ± componenti straordinari di reddito (risultato della gestione straordinaria) = Risultato ante imposte - imposte d’esercizio = Risultato d’esercizio Si individuano facilmente due zone di elementi:  al di sopra del reddito operativo da riferire alla gestione caratteristica;  al di sotto dello stesso sono classificabili come estranei alla gestione corrente. Al fatturato si sottraggono tutti i costi strettamente imputabili alla produzione dei beni venduti nell’esercizio ottenendo il risultato lordo industriale, che costituisce una valida manifestazione del margine economico dell’attività industriale in senso proprio. Nel costo del venduto ci sono tutte quelle componenti di costo dipendenti dall’attività produttiva che ha avuto luogo nell’esercizio, relativamente ai beni venduti. Al risultato lordo si sottraggono tutti i costi commerciale e distributivi (comprendenti le provvigioni pagate ai rappresentanti, i costi di pubblicità ecc.) e i costi amministrativi e generali (tra cui le retribuzioni del personale addetto all’amministrazione), perché legati all’attività caratteristica ma non imputabili alla produzione industriale. Il risultato operativo è l’espressione chiave della redditività della gestione corrente. Per ottenere il risultato di competenza si deve sommare al reddito operativo gli oneri ed i proventi finanziari e delle gestioni accessorie in modo da ricavarne la singola redditività.  Reddito operativo: fornisce una misura dell’efficacia della gestione corrente.  Reddito di competenza: indica l’andamento dell’intera gestione aziendale di competenza di un esercizio. 8/93
  • 9. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland La redditività della gestione operativa deve avvenire nel rispetto dell’economicità, una situazione negativa sarebbe sostenibile solo per periodi limitati anche se le altre gestioni hanno andamenti positivi. Le componenti straordinarie di reddito devono comunque essere analizzata soprattutto se assumono entità e continuità rilevanti. Per una visione ancora più immediata spesso si ricorre alle percentuali, ponendo il fatturato pari a 100. II. modalità di riclassificazione: il conto economico scalare a produzione dell’esercizio e valore aggiunto Fatturato ± Δ delle scorte di prodotti finiti e semilavorati + lavori in economia - acquisti di beni destinati alla commercializzazione = Produzione dell’esercizio (tutto ciò che è stato prodotto) - acquisti di materie prime, semilavorati e costi “esterni” ± Δ delle scorte di materie prime = Valore aggiunto - costo del personale = Margine operativo lordo - ammortamenti = Risultato operativo Il contesto di riferimento è l’attività produttiva che ha avuto luogo nell’esercizio: interessano le dimensioni della produzione e non quanto sia stato venduto. Il modello mette cioè in luce quanto l’azienda è stata in grado di aggiungere alla materia prima con il processo di trasformazione: questa quantità è misurata dal valore aggiunto. Produzione dell’esercizio: tutto ciò che è stato prodotto nel corso del periodo osservato. Lavori in economia: le attività realizzate dall’azienda stessa per un utilizzo interno, da includersi nel calcolo della produzione periodale. Costi di acquisto esterni: relativi ad acquisti di beni e servizi effettuati da terze economie, fanno parte della gestione caratteristica.  Valore aggiunto: misura quanta parte dell’intera produzione è imputabile all’attività svolta internamente, non è una misura della redditività ma indica il grado di integrazione verticale, mostrando quanta parte dell’attività produttiva necessaria alla realizzazione dei prodotti è svolta internamente all’impresa; se è elevato alta sarà la componente di operazioni svolte internamente a parità di valore della produzione, se è contenuto sarà maggiore il contributo di terze economie; se al valore aggiunto si sottraggono i costi relativi al personale si ottiene il margine operativo lordo. Un’analisi del valore aggiunto nel tempo può evidenziare, ad es., le eventuali modifiche dell’assetto produttivo e dei rapporti con i fornitori, in quanto esiste un forte legame tra grado di integrazione verticale e rischiosità operativa aziendale: ad una struttura produttiva complessa corrispondono ingenti costi fissi che non diminuiscono al calare della produzione o delle vendite – ad es. per motivi congiunturali – e ciò impatta negativamente sulla redditività operativa. Il valore aggiunto è quindi particolarmente significativo per le aziende industriali, meno per quelle in cui manca un’attività produttiva. Il primo modello è perfetto per la redditività aziendale e le sue fonti. Il secondo è invece adatto alle strategie industriali e alle ristrutturazioni aziendali. 9/93
  • 10. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland La riclassificazione dello stato patrimoniale Nella riclassificazione nota come criterio della liquidità/esigibilità l’elemento discriminante è il tempo: l’obiettivo è infatti quello di raggruppare le attività e le passività secondo il loro tempo di trasformazione in moneta, esponendo le prime in funzione della liquidità decrescente e le altre secondo il grado di esigibilità. Questo tipo di riclassificazione è utilizzato per accertare se c’è corrispondenza tra le scadenze temporali degli investimenti e dei finanziamenti, cioè se c’è equilibrio finanziario. I. criterio di riclassificazione: lo stato patrimoniale secondo il criterio della liquidità/esigibilità Attività Passività Liquidità immediate: Debiti verso banche cassa, c/c, titoli negoziabili… Fornitori Liquidità differite: Fondi imposte crediti commerciali, cambiali attive… Quote debiti consolidati in Disponibilità: scadenza… scorte, anticipi a fornitori… Mutui (fondi di pertinenza) Debiti consolidati Prestiti obbligazionari Fondo TFR… Attività immobiliari Immobilizzazioni tecniche: impianti, macchinari, immobili (operativi)… Immobilizzazioni finanziarie: Capitale sociale azioni, quote societarie, altri titoli… Riserve Immobilizzazioni immateriali: Utili (Perdite)… marchi, brevetti, ricerche… (fondi di pertinenza) Le attività sono divise in 2 macro aggregati (a sx nella tabella): • attività a breve: tutte le voci che entro l’esercizio potranno trasformarsi in liquidità: o immediate: poste che sono già moneta (ad es. cassa e c/c) o differite: crediti di qualsiasi natura (come i crediti verso clienti) o disponibilità: con grado di liquidità più limitato delle altre (rimanenze finali); • attivo consolidato (o attivo a lungo): comprende tutti gli investimenti di lungo periodo (come le immobilizzazioni). Tutte le poste dell’attivo per le quali sia stato costituito un corrispondente fondo al passivo saranno esposte al netto del medesimo. La somma delle attività a breve e a lungo dà il totale del capitale investito al netto dei fondi rettificativi. Le passività sono invece raggruppate in 3 macro categorie (parte dx tabella):  le passività a breve: debiti con scadenza entro l’esercizio;  passività consolidate: debiti che non procureranno esborsi entro il breve periodo;  capitale netto: comprendente capitale sociale, riserve, eventuali utili. La somma delle passività totali e del netto è ovviamente pari al capitale investito netto. Le analisi svolte con tale modello sono semplici e consentono raffronti con altre realtà, data la loro popolarità tra gli analisti finanziari. Questo schema offre valide indicazioni soprattutto in due casi: 10/93
  • 11. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland a. per uno studio di tipo statico: cioè indirizzato esclusivamente all’analisi della struttura patrimoniale così come si presenta al momento della redazione del bilancio, importante è valutare come sono state reperite ed utilizzate le risorse finanziarie; b. per analisi di soggetti esterni all’azienda: per determinare la capacità di far fronte agli impegni assunti nel breve periodo e quindi per misurare il grado di equilibrio finanziario al momento della redazione del bilancio. II. criterio di riclassificazione: lo stato patrimoniale secondo il criterio di pertinenza gestionale Attività Passività Scorte Debiti v/fornitori Crediti v/clienti TFR Anticipi ai fornitori Fondo imposte Altre attività correnti … Anticipi da clienti … (fondi di pertinenza) Debiti v/banche Mutui Obbligazioni Prestito da soci Altri debiti finanziari … Macchinari/Impianti Attrezzature Brevetti Spese di R&S Partecipazioni operative … Capitale sociale (fondi di pertinenza) Riserve Utili (Perdite) … Titoli negoziabili e a reddito fisso Immobili non operativi c/c bancari e depositi postali (fondi di pertinenza) Altro criterio è quello della riclassificazione secondo la pertinenza gestionale che mira ad isolare in seno ad attivo e passivo tutte le poste afferenti la gestione corrente, permettendo di far risalire le rimanenti alle altre aree gestionali: quella degli investimenti/disinvestimenti e quella dei finanziamenti/rimborsi. Partendo dall’analisi delle attività e passività della gestione caratteristica si nota come il ciclo tipico – ricordando che alcune voci come il TFR non insorgono in un momento preciso ma si accumulano – è formato da: • acquisto: acquistando materie prime si crea una giacenza di magazzino e un debito verso fornitori (se il pagamento è differito), come conseguenza della fornitura si genera anche un credito Iva; • trasformazione: l’azienda produce semilavorati che sono parte delle giacenze di magazzino, anche il fondo TFR ha idealmente origine da questo momento; • vendita: i prodotti confezionati sono immagazzinati come scorte di prodotti finiti destinati alla vendita, quest’ultima genera un credito verso clienti e un debito di Iva. Questo ciclo caratteristico può subire delle modifiche, ad es. quando i fornitori richiedono un anticipo o quando il pagamento dei clienti è anticipato. Tutte le poste originate durante il ciclo caratteristico vengono raggruppate nell’attivo e nel passivo corrente. 11/93
  • 12. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland La denominazione “a breve” – debito a breve sarà lo scoperto di conto corrente bancario e “corrente” in questo caso è legato alla gestione finanziaria – indica la liquidità e l’esigibilità delle poste entro un breve lasso di tempo, mentre “corrente” non è qui riferito alla dimensione temporale ma è legato alle tre fasi della gestione caratteristica, ad es. l’indebitamento bancario è una scelta di natura finanziaria perché connesso alla dimensione del capitale netto. Dallo schema precedentemente esposto, si osserva che le attività totali possono essere ripartite in 2 categorie:  operative: comprendente oltre alle attività correnti (scorte, crediti v/clienti…) tutti quegli immobilizzi funzionali allo svolgimento dell’attività caratteristica (macchinari, brevetti, partecipazioni…);  non operative: quelle non strettamente collegate allo svolgimento delle operazioni correnti (titoli negoziabili, partecipazioni di natura finanziaria…). La cassa e i c/c attivi sono esclusi dalle attività correnti anche se alcuni autori parlano di “volano di liquidità” (risorse liquide indispensabili alla gestione quotidiana) perché hanno comunque una scarsa rilevanza dimensionale e sono quindi trascurabili. Infine da segnalare che tutte le poste iscritte nell’attivo sono al netto dei relativi fondi. Il passivo patrimoniale può considerarsi costituito da tre componenti: • passività correnti: forme di finanziamento strettamente collegate alla gestione caratteristica (debiti v/fornitori, TFR…); • passività non correnti: debiti contratti per scelte, anche obbligatorie, di natura finanziaria, dette anche passività finanziarie in quanto sono legate alla corresponsione di oneri finanziari (debiti v/banche, mutui…) • capitale netto. Capitale circolante È la differenza tra le attività e le passività di natura corrente, di norma è positivo per le aziende industriali (le scorte ed i crediti commerciali eccedono i debiti di fornitura ed il TFR); può anche essere definito come l’investimento (o il finanziamento qualora la differenza dovesse mettere in evidenza un valore negativo) generato dalla gestione caratteristica; può infine essere visto come l’insieme delle uscite monetarie conseguenti all’esercizio dell’attività caratteristica che non hanno ancora trovato compensazione in entrate monetarie. Quanto detto si contrappone alla definizione “contabile- amministrativa” che vede il capitale circolante netto come la differenza tra attività e passività a breve. Il capitale circolante è così identificato: - consegue all’attività corrente; - pur essendo un investimento non garantisce alcun rendimento esplicito; - le forme di coperture necessarie al suo finanziamento sono onerose. La gestione deve essere quindi orientata al conseguimento delle dimensioni del capitale circolante, in modo da disporre di risorse finanziarie a costo (quasi) nullo. Se lo paragonassimo ad una spugna: dilatandosi assorbe liquidità, contraendosi libera risorse. Il modello appena visto consente di identificare 3 grandi aree: 12/93
  • 13. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland 1. area della gestione corrente (sfondo bianco): con le operazioni legate al ciclo acquisto-trasformazione-vendita; 2. area degli investimenti (e disinvestimenti) (sfondo scuro): quelle necessarie alla gestione caratteristica (operative non correnti) e quelle relative agli investimenti che portano proventi; 3. area dei finanziamenti (sfondo chiaro): attinente a tutte le decisioni di copertura del fabbisogno. Attività Passività correnti correnti Passività non correnti Attività Capitale non netto correnti 4. (in più) area delle remunerazioni finanziarie: costituita da dividendi e interessi corrisposti e percepiti, che sono diretta conseguenza delle scelte operate nell’alea degli investimenti e in quella dei finanziamenti. L’equilibrio finanziario (equilibrio fra entrate ed uscite) potrà raggiungersi solo se i flussi generati ed assorbiti dalle 4 aree saranno tendenzialmente equilibrati nel lungo periodo. L’utilizzo dei quozienti per le analisi finanziarie L’apprezzamento della situazione economico-finanziaria di un’impresa trova uno strumento di supporto nel sistema degli indici e dei flussi. Gli indici di bilancio sono grandezze economiche, patrimoniali e finanziarie combinate in modo da fornire indicazioni ritenute interessanti. Le informazioni che si ottengono da un’analisi di bilancio tramite indici sono certamente significative, ma non definitive, ad esse devono cioè essere collegate altre indicazioni come ad es. quelle originate dall’analisi dei flussi finanziari. I profili di analisi da indagare tramite i quozienti sono: I. equilibrio finanziario di breve periodo; II. equilibrio finanziario di lungo periodo; III. redditività. I dati necessari per la costruzione dei quozienti sono costituiti dalle aggregazioni dello stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio di liquidità/esigibilità e dal conto economico a fatturato e costo del venduto. I. Equilibrio di breve periodo Questi indici mettono a rapporto voci dello stato patrimoniale inerenti l’attivo ed il passivo a breve, unitamente ad alcune poste del conto economico. Attivo a breve  Rapporto corrente Passivo a breve questo (detto anche quoziente di disponibilità) verifica la capacità di far fronte nel breve periodo alle obbligazioni assunte nello stesso arco temporale verso il personale e i terzi. 13/93
  • 14. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland Se il rapporto è maggiore di 1 (in valore assoluto) l’attivo disponibile è maggiore del passivo esigibile e l’azienda è potenzialmente in grado di soddisfare gli impegni a breve, con l’utilizzo delle attività a breve. Attivo a breve − Scorte  Rapporto di liquidità Passivo a breve detto anche acid test, costituisce una misura più prudenziale del precedente, in quanto vengono sottratte le scorte che spesso includono prodotti finiti obsoleti o comunque difficilmente smobilizzabili in breve tempo: il numeratore rappresenta quella parte di attività realmente pronta per soddisfare le esigenze di breve. Se è maggiore di 1 le ipotesi precedenti sono ulteriormente avvalorate. Crediti v/clienti  Tempo medio di incasso (TMI) Fatturato giornaliero al numeratore abbiamo i crediti complessivi esistenti ad una certa data ed al denominatore il totale delle vendite a credito dell’esercizio nei 365 giorni annuali. Il risultato ci informa su quanto tempo intercorre in media dalla vendita all’incasso, questo valore è un buon indicatore sia della competitività, sia del fabbisogno finanziario: un elevato valore può indicare un limitato potere contrattuale verso i clienti, ma anche una loro scarsa solidità. Per esprimere un giudizio efficace è però necessario confrontare il valore ottenuto sia con quello dei concorrenti, sia con quello degli esercizi passati. Sotto il profilo finanziario un aumento comporta un maggior investimento in capitale circolante quindi maggior fabbisogno finanziario, quindi maggiori oneri finanziari. Un limite deriva dal fatto che l’indice dipende dalle fluttuazioni delle vendite nei vari periodi dell’anno: i crediti v/clienti si riferiscono ad un preciso istante, se questo varia in base alla stagionalità delle vendite, l’indice non è molto veritiero (questo limite si può superare frazionando l’anno in dodici, ma rimane comunque in parte inattendibile). Debiti v/fornitori  Tempo medio di pagamento (TMP) Acquisti giornalieri fornisce indicazioni sulla competitività e sul fabbisogno finanziario: i giorni che intercorrono tra la fornitura ed il pagamento sono indice del potere contrattuale dell’azienda nei confronti dei fornitori: maggiore è il suo valore minore è l’investimento in capitale circolante e quindi minore è il fabbisogno finanziario. Scorte  Tempo medio di giacenza delle scorte (TMGS) Acquisti giornalieri è un dato grezzo perché le scorte comprendono sia prodotti finiti che semilavorati e materie prime; meglio quindi calcolare i tre diversi aggregati: Scorte materie prime Scorte semilavorati Scorte prodotti finiti Acquisti giornalieri % costo del venduto 365 costo del venduto 365 Sono così costruiti per mettere a rapporto grandezze omogenee. I primi due sono indicatori dell’efficienza produttiva dell’impresa: un’elevata rotazione ad es. di materie prime è sintomo di buon coordinamento tra gestione degli acquisti e diverse fasi della produzione. Il terzo misura l’efficacia dell’attività commerciale (anche in questo caso la giacenza media dipende dal tipo di prodotti finiti). La somma dei giorni di giacenza del prodotto delle tre fasi dà il tempo medio complessivo di giacenza delle scorte, che indica il periodo intercorso 14/93
  • 15. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland dall’immagazzinamento della materia prima alla spedizione del prodotto finito. Importanti inoltre gli effetti finanziari della detenzione di un dato volume di scorte: una giacenza di magazzino prolungata nel tempo è testimonianza di un’elevata somma di danaro immobilizzata in un’attività priva di redditività immediata.  Ciclo del circolante = TMI + TMGS – TMP l’indice indica il numero di giorni che intercorrono in media tra il momento in cui vengono pagati i fornitori e quello in cui vengono incassati i crediti da clienti per la vendita dei prodotti finiti. Indicatore poco usato ma che permette di utilizzare dati statici (i quozienti) per avere informazioni dinamiche, permette cioè di determinare il potenziale fabbisogno finanziario generato dalla gestione caratteristica. II. Equilibrio di medio-lungo periodo L’obiettivo è quello di comprendere se gli investimenti ed i finanziamenti siano sostenibili nel lungo periodo e se l’azienda sarà in grado di far fronte alle remunerazioni finanziarie dovute ai terzi prestatori di capitale. Passività Totali  Rapporto di indebitamento (o rapporto di leva) Passività totali + Capitale netto questo indice di bilancio ci informa sul grado di dipendenza dell’azienda da terzi finanziatori: quanto più è elevato tanto più l’impresa ricorre a finanziatori esterni. Reddito operativo  Copertura degli oneri finanziari Oneri finanziari dà informazioni sulla capacità dell’impresa di far fronte al pagamento degli oneri finanziari attraverso le risorse economiche generate dalla gestione caratteristica. Se il rapporto è tendenzialmente inferiore ad 1 testimonia possibili tensioni finanziarie: per fra fronte agli interessi passivi si ricorre ad un ulteriore indebitamento. Totale attivo consolidato  Quoziente di copertura delle immobilizzazioni Passivo consolidato + Capitale netto È strettamente legato al rapporto corrente: se l’attivo a breve è maggiore del passivo a breve il rapporto è inferiore a 1, viceversa sarà maggiore di 1 quando l’attivo immobilizzato è in parte coperto da mezzi di finanziamento con scadenza entro i 12 mesi: situazione pericolosa perché se i terzi dovessero richiedere contemporaneamente il rimborso, l’azienda sarebbe costretta a smobilizzare parte dell’attivo consolidato. III. Redditività Reddito operativo  ROI (return on investiment) Capitale investito l’indice di redditività del capitale investito esprime la redditività della gestione operativa, data dal rendimento percentuale annuo del capitale investito. Può essere scomposto in: Reddito operativo  ROS (return on sales) Ricavi di vendita la redditività delle vendite esprime la relazione tra reddito operativo e fatturato e pone in evidenza la redditività unitaria delle vendite espressa in termini monetari: questa è influenzata sia dalle politiche di prezzo che dai volumi di vendita; 15/93
  • 16. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland Ricavi di vendita  Tasso di rotazione del capitale investito Capitale investito riflette il numero di volte che le risorse investite sono state fatte girare durante l’esercizio per effetto dell’attività di vendita: un elevata rotazione dell’attivo segnala la capacità di mettere a frutto le condizioni patrimoniali disponibili. Reddito netto  ROE (return on equity) Mezzi propri la redditività del capitale netto è un’informazione sintetica sul risultato della gestione nel suo complesso, espresso dal rendimento percentuale annuo per gli azionisti dei loro investimenti: il rapporto è elevato per chi ha o apporterà mezzi propri. Alcune precisazioni sull’analisi tramite quozienti Per formulare giudizi attendibili bisogna approfondire l’analisi di altri 2 livelli: • confronto temporale: cioè studiare i valori storici degli indici per poter capire in quale direzione si siano mossi e la loro tendenza; • confronto settoriale dei dati: ovvero un’analisi della concorrenza (aziende simili per settore e dimensioni) per avere un’idea del posizionamento dell’azienda nel contesto di uno specifico comparto di riferimento. Infine bisogna porre attenzione sull’omogeneità dei dati confrontati assicurandosi che gli input rapportati siano frutto di criteri di valutazione omogenei, cioè di realtà non diverse. L’analisi della dinamica finanziaria: le ragioni per uno studio dei flussi I flussi finanziari permettono uno studio dinamico della salute aziendale, permettono infatti di identificare la provenienza e la destinazione delle risorse movimentate in un certo periodo di tempo. Si possono fare analisi, di solito riferite ad un anno:  ex-post (di tipo consuntivo): fatte in sede di controllo, si costruiscono rendiconti finanziari con i quali è possibile dar conto di flussi monetari che si sono già verificati;  ex-ante (di tipo previsionale): fatte in sede di pianificazione, si muovono dalla necessità di prevedere i flussi che si verificheranno e che verranno esposti in diversi documenti, definiti di preventivazione finanziaria. I prospetti contabili seguono la logica contabile che impone di inserire nei prospetti di sintesi i ricavi ed i costi, così come gli investimenti ed i finanziamenti di pertinenza del periodo di riferimento. I prospetti finanziari, invece, sottostanno alla logica monetaria che considera unicamente i movimenti di moneta (i flussi di cassa) in entrata ed in uscita in un certo periodo, senza considerare il momento in cui ha avuto luogo l’operazione che ha originato tali flussi. Il modello a quattro aree Per aree di provenienza e destinazione dei flussi si intendono quei comparti di attività che possono generare o assorbire moneta (cioè flussi di cassa) in un dato periodo. Il modello si basa su quattro aree principali, anche se si potrebbero ancora disaggregare. 1. Gestione corrente Da sottolineare che per essere qualificati come monetari non è importante il momento in cui l’entrata o l’esborso avrà luogo per: 16/93
  • 17. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland • i ricavi monetari: hanno come conseguenza la ricezione e la corresponsione di ammontari liquidi; • i costi monetari: non avranno mai nessuna manifestazione monetaria. Ad es. l’accantonamento al fondo TFR è un costo monetario anche se l’uscita si manifesterà molti anni dopo l’iscrizione della componente di costo. Altra distinzione è tra:  entrate ed uscite: hanno unicamente a che fare con i movimenti di liquidità concretamente manifestatisi in un certo periodo;  ricavi e costi: potrebbero non aver dato luogo a trasferimenti monetari nel periodo di osservazione. In sintesi la gestione corrente libera risorse monetarie – ovvero genera un flusso positivo – se la differenza tra entrate ed uscite monetarie dà un saldo positivo. In caso contrario assorbirà liquidità. 2. Investimenti/disinvestimenti Si considerano quelli collegati alle attività patrimoniali ma che non appartengono al capitale circolante. Si assiste ad esborsi monetari netti in conseguenza dell’acquisizione di immobilizzazioni e ad entrate monetarie nette a fronte di cessioni delle stesse. Nel caso di investimenti, le uscite sono pari al valore che viene iscritto nello stato patrimoniale e sono spesso dilazionate nel tempo. Nel caso di disinvestimenti, spesso si verifica uno scostamento fra le variazioni nella situazione patrimoniale e le entrate realmente realizzate: la ragione risiede nell’iscrizione a bilancio delle attività a costo storico e nelle politiche di ammortamento adottate. 3. Finanziamenti/rimborsi Si ha quasi sempre una coincidenza perfetta fra ammontare dei finanziamenti accesi ed entrate conseguite, così come fra rimborsi e uscite. 4. Remunerazioni finanziarie ed operazioni accessorie Rientrano, insieme ai dividendi pagati e percepiti dalle società partecipate, tutte le componenti di reddito aventi natura monetaria, ma estranee all’attività caratteristica dell’impresa, quali gli oneri ed i proventi finanziari. In conclusione possiamo dire che:  in fase di consuntivazione (di analisi ex-post) si vedrà sempre una compensazione tra provenienza e destinazione delle risorse finanziarie: il saldo (variazione di liquidità da inizio a fine periodo) che emergerà potrà essere positivo o negativo;  in fase di preventivazione i flussi potrebbero combinarsi in modo tale da non garantire una corrispondenza fra entrate ed uscite, in caso queste ultime siano maggiori non sarà possibile conseguire l’equilibrio finanziario. La costruzione di un modello di interpretazione dei flussi Per risalire alla dinamica finanziaria di un esercizio è necessario disporre dello stato patrimoniale dell’esercizio precedente oltre a quello in esame. Di quest’ultimo è richiesto inoltre il conto economico e la nota integrativa, oltre alla relazione sulla gestione. La costruzione del modello si articola in 3 fasi. 1) Prospetto fonti/impieghi grezzo 17/93
  • 18. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland È un prospetto a sezioni contrapposte: in una sono inserite le fonti, nell’altra gli impieghi. Per la sua costruzione si procede al confronto di due stati patrimoniali successivi, si calcolano le variazioni delle singole voci da un esercizio all’altro, iscrivendole fra le fonti qualora le variazioni manifestino un apporto di risorse finanziarie incrementali, o fra gli impieghi se le stesse mettano in luce un assorbimento di risorse. Conseguenzialmente tra gli impieghi compariranno le variazioni positive dell’attivo e le diminuzioni di passività (per la contrazione degli importi disponibili), tra le fonti gli incrementi di passività e le diminuzioni di attività (per l’aumento delle liquidità). 2) Rettifiche delle variazioni grezze Sono semplici operazioni che modificano le variazioni grezze trasformandole in flussi monetari, si distingue tra: quelle volte a evidenziare movimenti monetari nascosti al semplice calcolo, quelle atte ad eliminare le variazioni che hanno un valore puramente contabile (con nessuna seguente movimentazione) e quelle per far risaltare alcuni flussi iscritti per un valore non corrispondente alla reale movimentazione. Le rettifiche permettono di passare dalla logica del reddito a quella dei flussi finanziari. 3) Aggregazione dei flussi nelle quattro aree Serve per avere una visione d’insieme della dinamica finanziaria e comprendere provenienza e destinazione della liquidità nel periodo considerato. Dalla somma algebrica dei flussi positivi e di quelli negativi si ottiene la variazione finale delle disponibilità liquide durante l’esercizio. I. La rappresentazione a scalare del modello a 4 aree Lo schema di aggregazione è il seguente: ± Flusso di cassa della gestione caratteristica ± Saldo dei flussi dell’area investimenti/disinvestimenti ± Saldo dei flussi dell’area finanziamenti/rimborsi ± Saldo dei flussi dell’area remunerazioni finanziarie e gestioni accessorie = Saldo monetario periodale Se i saldi di c/c sono ingenti, sia per importi positivi che negativi, andranno inclusi nell’area rispettivamente dei finanziamenti o degli investimenti. In tal caso il saldo monetario di periodo sarà pari a zero o alla variazione delle disponibilità di cassa, questo perché il totale delle fonti è sempre uguale al totale degli impieghi di un stesso periodo. È utile inoltre separare investimenti e disinvestimenti operativi da quelli finanziari, in quanto i primi sono attività fondamentali mentre i secondi possono aver a che fare con beni che aziende industriali spesso considerano accessori. L’analisi dei flussi finanziari permette di avere un quadro completo della dinamica aziendale e anche nel caso di flussi riferiti ad un solo esercizio l’informazione sarebbe più completa, in quanto i flussi monetari costituiscono valori certi, non inficiati da alcun tipo di stima o congettura. Nel lungo periodo dovrà essere la gestione corrente a garantire la liquidità necessaria a mantenere l’equilibrio finanziario tendenziale. Il capitale circolante ha un ruolo fondamentale in quanto, se incrementa, il flusso di cassa reale è inferiore di quello potenziale, se decresce libera risorse liquide. Nelle fasi di sviluppo il capitale circolante aumenterà ed è per questo che fasi di crescita sono sempre soggette a problemi di tipo finanziario: al crescere delle vendite genererà un fabbisogno finanziario 18/93
  • 19. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland che andrà coperto dall’interno (autofinanziamento) o dall’esterno. In pratica un’azienda in genere è sana quando la sua gestione corrente produce flussi tendenzialmente positivi, situazioni opposte possono essere sostenute solo per brevi periodi. Di conseguenza i casi in cui ingenti disinvestimenti sono la principale fonte di risorse monetarie costituiscono situazioni precarie; non è infatti possibile continuare con politiche di compressione dell’attivo per rendere disponibile la liquidità necessaria alla gestione caratteristica. II. Misurazione dell’entità di risorse liberate (assorbite) dalla gestione corrente L’apprezzamento delle risorse assorbite o generate dalla gestione corrente può costituire un problema più complesso rispetto alla verifica della liquidità generata o assorbita nelle altre aree, per questo risulta importante definire meglio il:  flusso di cassa della gestione corrente: risorse derivanti dalla gestione caratteristica nell’esercizio o in qualsiasi periodo considerato. Questa grandezza si determina dalla somma algebrica di due componenti: la variazione del capitale circolante e l’autofinanziamento potenziale (o flusso di circolante della gestione corrente). L’autofinanziamento potenziale rappresenta le risorse monetarie che nel corso dell’esercizio sarebbero state messe a disposizione (o assorbite) dalla gestione corrente, se non vi fossero stati ulteriori assorbimenti (o liberazioni) di risorse attraverso dilatazioni (o contrazioni) del capitale circolante. Il “se” giustifica il “potenziale”. Criterio indiretto + Risultato d’esercizio rettificato + Ammortamenti = Autofinanziamento potenziale ± Δ capitale circolante = Autofinanziamento reale L’autofinanziamento potenziale coinciderebbe con quello reale solo se tutti i ricavi ed i costi monetari avessero già dato origine alle entrate ed uscite di moneta corrispondenti, ovvero se il fatturato fosse stato interamente incassato e tutti i costi monetari della gestione corrente fossero stati anch’essi pagati in contanti. Per passare dal primo al secondo è quindi necessario sottrarre le variazioni dei crediti di natura corrente dell’esercizio e risommare le variazioni dei debiti della stessa natura. Metodo diretto Metodo più corretto ma anche più complesso che consiste nella determinazione dell’autofinanziamento potenziale e dell’autofinanziamento reale direttamente tramite la somma algebrica delle relative componenti. Ci sono due formulazioni equivalenti: la prima dove i ricavi sono costituiti dal fatturato e dalle rimanenze finali dell’esercizio, mentre tra i costi sono incluse le componenti monetarie del costo del venduto come gli acquisti di materiale, il costo del lavoro, i costi amministrativi e commerciali e le imposte: + Ricavi monetari della gestione corrente - Costi monetari della gestione corrente = Autofinanziamento potenziale ± Δ capitale circolante 19/93
  • 20. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland = Autofinanziamento reale la seconda corrispondente alla differenza tra le entrate e le uscite monetarie legate alla gestione corrente: + Entrate monetarie della gestione corrente - Uscite monetarie della gestione corrente = Autofinanziamento reale Capitolo 3 LA LOGICA E GLI STRUMENTI DELLA PIANIFICAZIONE E DELLA PROGRAMMAZIONE FINANZIARIA Perché è necessario prevedere le dimensioni dei flussi Cercando di interpretare la dinamica finanziaria attraverso uno studio ex-post ci si deve porre nella prospettiva di un analista esterno che disponga unicamente dei dati pubblicati ufficialmente dalle imprese. Se ci si pone in un’ottica interna, si impone la necessità di effettuare valutazioni revisionali, di costruire in sostanza previsioni attendibili sui flussi di cassa futuri. I. Strumenti a supporto della pianificazione e della programmazione finanziaria Sono tutti quei modelli previsionali che consentono di proiettare i flussi di cassa per periodi prolungati e che si pongono l’obiettivo di verificare la fattibilità di massima dei piani strategici aziendali: strumenti fondamentali sono il piano finanziario ed il budget finanziario. Piano finanziario Budget finanziario Prospetto fonti/impieghi con Stessa struttura del piano: è in identificazione della provenienza e Struttura sostanza il 1° anno del piano della destinazione delle risorse finanziario Verifica della compatibilità dei piani Verifica della compatibilità dei strategici con le possibilità di impiego programmi operativi di esercizio con e copertura le possibilità di impiego e copertura Finalità Analisi preventiva del rispetto di Analisi preventiva del rispetto di vincoli ed obiettivi strutturali (come vincoli ed obiettivi periodali (come indebitamento complessivo) riduzione dei tempi medi di incasso) Copertura variabile dai 3 ai 7 anni Copertura temporale annuale Dettaglio annuale Tempistica Dettaglio annuale o trimestrale Aggiornamento annuale Aggiornam. semestrale o trimestrale II. Gli strumenti a supporto della gestione tesoreria Con la gestione della tesoreria si intendono tutte le azioni tese ad ottimizzare la gestione della liquidità nel breve periodo (non più di 12 mesi). Strumento importante è il budget di tesoreria (o budget di cassa) che è un prospetto articolato in base alla contrapposizione entrate-uscite: si programma l’attività di tesoreria in termini di volume dei flussi da gestire e di un mix delle forme di finanziamento: 20/93
  • 21. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland  struttura: prospetto entrate/uscite, dettaglio analitico delle voci, dettaglio delle modalità di copertura/impiego dei fabbisogni/surplus;  finalità: programmazione dell’attività di tesoreria (per volume dei flussi e mix delle forme di finanziamento) in base al budget finanziario, valutazione dei saldi periodali;  tempistica: copertura temporale annuale o semestrale, dettaglio mensile o quindicinale, aggiornamento mensile o quindicinale. La logica di costruzione e l’interpretazione del piano e del budget finanziario Il piano finanziario è lo strumento fondamentale di previsione del sistema informativo finanziario (Sif) e consiste nella trasposizione del piano strategico in termini di flussi in ingresso ed in uscita: costituisce la traduzione del piano strategico nel linguaggio dei flussi finanziari. La sua struttura è semplice e comunque non esiste una copertura temporale standard. Si preferisce la ripartizione in base annua per due motivi: 1) si possono prevedere le conseguenze finanziarie delle decisioni strategiche in concomitanza con i momenti di chiusura e pubblicazione dei bilanci, che sono il più importante mezzo di comunicazione all’esterno della salute aziendale; 2) per il collegamento tra piano e budget finanziario, il primo mette in evidenza l’andamento di macro grandezze per lunghi periodi, il secondo riprende le stesse grandezze e, in base al primo anno analizzato dal piano, procede ad una loro riesposizione più analitica. Questi i momenti fondamentali (raggruppati nella seconda metà dell’anno) per le società che chiudono i bilanci il 31 dicembre: 1. raccolta informazioni e revisione del piano strategico: si realizzano le prime bozze previsionali entro fine agosto; 2. revisione del piano finanziario dell’anno prima (x-1): copertura degli anni da x a x+4; 3. prima bozza di budget finanziario per l’esercizio x+1; 4. verifica del piano e del budget: introducendo eventuali modifiche; 5. approvazione dei due prospetti che vengono resi esecutivi; 6. revisione del budget finanziario: fatto al termine di ogni trimestre, non di rado le approvazioni sono su base scorrevole (rolling) cioè non coinvolgono i vertici aziendali, la direzione controlla solo le proiezioni dei flussi per i 12 mesi seguenti; 7. raccolta di informazioni: è sviluppata senza soluzione di continuità. Il processo di pianificazione e budgeting: l’esempio delle realtà complesse Bisogna identificare i ruoli da coinvolgere e le attribuzioni da assegnare a ciascuno. Si fa riferimento a strutture a 3 livelli – cioè a gruppi con una holding centrale che detiene partecipazioni di altre holding (dette sub-holding) – ed il criterio seguito è di tipo settoriale: le sub-holding raggruppano i titoli delle società del gruppo operanti in un medesimo settore. Non sono da escludere soluzioni diverse come: per raggruppamenti geografici o per tipologie di clienti. Nella rappresentazione qui fatta ci riferiamo al 3° livello, presupponendo che quest’ultimo sia rappresentato da società operative. Il primo passo del processo – stesura o revisione del piano strategico – deve essere compiuto dai vertici aziendali. La pianificazione finanziaria ha inizio nel momento in cui il documento di sintesi strategica viene redatto e consegnato alla funzione incaricata della sua traduzione in termini di flussi finanziari: spesso le funzioni incaricate sono il 21/93
  • 22. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland controllo di gestione piuttosto che la pianificazione. Il risultato consiste in un prospetto sintetico che mette in luce la dimensione dei flussi complessivi che le operazioni previste movimenteranno negli esercizi esaminati. In buona parte dei casi il piano prioritario viene preparato dalla funzione incaricata, presso la sub-holding (il 2° livello): questa riceve dal vertice della capogruppo i tratti- guida del piano strategico, li rielabora e li trasmette alle società operative che rispondono con delle note sintetiche sulle conseguenze sul piano economico e patrimoniale della propria attività; è quindi la sub-holding che trasforma tutte le indicazioni raccolte in flussi finanziari. I piani vengono poi trasmessi alla capogruppo che provvede al loro consolidamento. Talvolta accade che ciascuna attività, ad ogni livello, predisponga il proprio documento previsionale seguendo le indicazioni di massima del vertice aziendale – tipico nei gruppi con forte decentramento decisionale, quindi con notevole libertà d’azione – ma è facile immaginare i problemi di coordinamento complessivo che ne derivano. Problemi che scompaiono invece quando a realizzare il documento è solo la capogruppo (caso limite ma non infrequente): verso la capogruppo confluiscono tutti i costi dei diversi settori strutturati essenzialmente in termini economico-patrimoniali, è cioè la holding di vertice che si occupa di trasformare i valori contabili in flussi di cassa ordinati, di frequente poi assegna obiettivi finanziari precisi alle unità sottostanti. Le modalità di realizzazione del piano finanziario non possono essere stabilite senza una piena conoscenza delle caratteristiche strutturali del gruppo e quindi il processo di stesura e di approssimazione del piano finanziario deve dipendere da 4 variabili. A. La struttura operativa del gruppo Un gruppo può anche essere organizzato a 3 livelli, ma se un’attività operativa rappresenta di fatto da sola il nucleo essenziale dell’attività complessiva, la scelta del decentramento della pianificazione finanziaria può senz’altro essere fatta: in casi simili viene spesso delegata alla periferia anche la gestione finanziaria. B. Il grado di diversificazione La stesura del piano finanziario è utilmente demandabile alle sub-holding quando le attività del gruppo presentano una pronunciata diversificazione: la gestione finanziaria è difficilmente governabile in modo totalmente accentrato dato che le specificità dei singoli settori sono spesso tali da imporre particolari accorgimenti. Se la scelta delle sub-holding, come unità organizzative delegate alla stesura del piano finanziario, trae la sua ragion d’essere principale dalla imperfetta conoscenza, al primo livello, dei singoli settori, lo stesso motivo impedisce il ricorso alla soluzione opposta: la capogruppo incontrerebbe difficoltà nel formulare giudizi sulla coerenza dei singoli piani, sempre in conseguenza delle proprie carenze conoscitive. C. L’assetto proprietario e i rapporti proprietà-management Un assetto proprietario fortemente concentrato tenderà a spingere verso il vertice della struttura il processo di pianificazione e controllo finanziario, soprattutto se i livelli inferiori del gruppo saranno gestiti esclusivamente da manager e l’attività degli azionisti sarà concentrata verso la capogruppo. Se il contatto d’agenzia tra il management che occupa le posizioni di maggior spicco ai livelli inferiori e la proprietà non ha basi forti, il tentativo di mantenere saldamente nelle mani dell’azionario il governo dell’intero 22/93
  • 23. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland processo di pianificazione sarà esperito con particolare vigore. Insorgono così i costi d’agenzia (d’incentivazione o di controllo sempre sostenuti dal principal). Questa tendenza si scontra spesso con gli interessi delle minoranze delle unità periferiche, che rivendicano il diritto di verificare ed approvare anticipatamente le implicazioni finanziarie delle strategie aziendali: ad es. per prepararsi a far fronte ad un eventuale aumento di capitale. Una soluzione di forte accentramento verso la capogruppo sarà comunque difficilmente perseguibile in presenza di una proprietà diffusa ai livelli inferiori del gruppo o nel caso di public company caratterizzate da un forte rilievo della componente manageriale: la panificazione finanziaria ha luogo ai livelli inferiori della struttura, rimanendo guidata dal vertice attraverso una serie di direttive dalle quali non è possibile deviare. D. La congiuntura del gruppo In genere un cambiamento di un modello previsionale è spesso complicato, ma ci sono casi in cui uno sforzo in tal senso è giustificato, 4 le situazioni principali: 1. conseguenti ad operazioni di finanza straordinaria: operazioni come scissioni e fusioni possono spostare il baricentro operativo di un gruppo; 2. di crisi settoriale o di mercato: potrebbe essere necessario un controllo centrale della risorsa scarsa per eccellenza (la liquidità); 3. di tensione o di disequilibrio finanziario: motivi analoghi al precedente punto; 4. conseguenti a profonde modificazioni della struttura finanziaria (financial o corporate restructuring): si ottengono in vario modo – ad es. variando la scadenza del passivo, passando da un indebitamento a tasso fisso ad uno variabile – ma in questa sede ci si riferisce alle manovre basate sull’uso della leva finanziaria. Queste operazioni talvolta portano ad un peggioramento del rischio finanziario e spesso risulta comunque necessario prevedere la dimensione dei flussi finanziari necessari per coprire l’eventuale debito: se la gestione caratteristica non fosse capace di coprire questi costi, sarebbe necessario dismettere attività non strategiche spesso in modo antieconomico. In conclusione quindi se è possibile mantenere una minima elasticità finanziaria, le operazioni di ristrutturazione possono essere svolte più tranquillamente. Le modalità di aggregazione dei flussi nei piani e nei budget finanziari A seconda delle necessità, i prospetti di piano e budget finanziario possono essere costruiti in diversi modi: ciascuna permette di evidenziare differenti aspetti rilevanti in fase previsionale. Le strutture di fondo sono identiche, diverse invece le coperture temporali, l’attendibilità e la concretezza; queste ultime esprimono una maggiore operatività del budget finanziario, che dà indicazioni più precise in particolare su: 1) provenienza/destinazione di fabbisogni/surplus periodali: - nel piano: si accenna ma senza scendere nello specifico, - nel budget finanziario: non solo si illustrano le caratteristiche tecniche dei diversi strumenti – in modo da controllare il rischio prospettico – ma anche i rapporti con le istituzioni, che hanno un chiaro riflesso sulla rischiosità complessiva (ad es. informazioni sul tipo di intermediario prescelto per la copertura del fabbisogno); 2) scadenza di attivo e passivo: da gestirsi in modo combinato per non creare scompensi tra entrate ed uscite che potrebbero limitare l’elasticità finanziaria (possibilità di 23/93
  • 24. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland reperire fonti di finanziamento, nella quantità, con la struttura e le scadenze desiderate, in tempi brevi ed in condizioni di economicità); 3) relativo costo/rendimento; 4) rischiosità collegata: insieme al precedente permettono di prefigurare il livello di redditività stimato, sul quale la direzione finanziaria deve dare un giudizio di compatibilità con l’alea di rischio derivante. Ecco due modelli di aggregazione dei flussi che danno adeguate informazioni previsionali orientate al lungo periodo. I. Modello basato sulla determinatezza del flusso di cassa libero (free cash flow) È uno strumento che consente di accentrare l’attenzione sul dimensionamento dei flussi provenienti da e destinati ad operazioni che non possono essere evitate o posticipate. Questo modello previsionale è basato sul saldo della gestione non discrezionale – relativo appunto agli investimenti necessari per l’economicità delle gestione – che dà la misura delle risorse che possono essere destinate a nuove vie di sviluppo: l’interesse è rivolto all’apprezzamento della capacità di produzione di risorse liquide da parte delle attività già esistenti in vista di una crescita interna od esterna, il modello è quindi adatto anche alle società in via di diversificazione. Autofinanziamento potenziale ± Δ capitale circolante = Autofinanziamento reale (o Flusso di cassa della gestione corrente) ± Δ Flussi in entrata ed in uscita delle operazioni già impegnate (cioè + rimborso finanziamenti esistenti + pagamenti oneri finanziari ± investimenti/disinvestimenti impegnati - proventi finanziari certi ± flussi da altre operazioni non discrezionali) - Impegni netti non discrezionali = Flusso di cassa libero (o Saldo della gestione non discrezionale) ± investimenti/disinvestimenti discrezionali - Investimenti discrezionali netti + nuovi finanziamenti - dividendi da distribuire - dividendi da ricevere ± flussi da altre operazioni discrezionali + Operazioni finanziarie discrezionali = Saldo monetario periodale Importante risulta il saldo della gestione non discrezionale che può essere: • negativo: la società è costretta anzitutto al reperimento di adeguate forme di copertura che garantiscano il mantenimento dell’equilibrio finanziario relativamente a ciò che non può essere evitato o posticipato, solo dopo entrare nell’area della discrezionalità; • positivo: l’azienda gode di una libertà assai maggiore nella definizione delle possibili alternative di sviluppo. Ultima precisazione sui dividendi, questi sono stati considerati discrezionali e dunque come operazioni finanziarie non obbligatorie, spesso questo non è possibile: ad es. nel caso di una società guidata da un gruppo familiare che desideri riscuotere periodicamente dei flussi di reddito, i dividendi risultano normali impegni non discrezionali di liquidità. 24/93
  • 25. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland II. Modello basato sulla determinazione del flusso della gestione operativa Autofinanziamento potenziale ± Δ capitale circolante = Autofinanziamento reale (o Flusso di cassa della gestione corrente) ± investimenti/disinvestimenti operativi - Investimenti operativi fissi netti = Flusso della gestione operativa + proventi finanziari – rimborsi + nuovi finanziamenti – pagamenti oneri finanziari + dividendi da ricevere – dividendi da distribuire + disinvestimenti non operativi – investimenti non operativi + Flusso delle gestione finanziaria ed accessorie = Saldo monetario periodale Serve a separare in modo netto la gestione operativa da quelle finanziarie ed accessorie, potrà quindi essere usato se non sono presenti troppe sovrapposizioni. Le grandezze portanti sono il flusso della gestione operativa e il flusso della gestione finanziaria ed accessoria: questo perché si vuole controllare preventivamente la dimensione del rischio. Queste possono essere ricondotte al rischio operativo (collegato all’attività tipica dell’impresa) ed a quello finanziario (deriva dal mix dei finanziamenti utilizzati), in modo da studiare separatamente la dinamica finanziaria prevista in ciascun comparto. Se la gestione operativa avrà delle incertezze nelle dimensioni del proprio saldo, la gestione finanziaria dovrà seguire criteri di prudenza in maniera da mantenere una certa riserva di liquidità; viceversa flussi cospicui e prevedibili dell’attività operativa permetteranno strategie più aggressive in campo finanziario. La logica di costruzione e l’interpretazione del budget di tesoreria (o di cassa) Il budget di tesoreria è uno strumento agile oltre che di facile costruzione e consultazione, per questo è molto usato dalle aziende: consiste nella rappresentazione su base annua delle entrate e delle uscite – indipendentemente dal loro legame con la gestione caratteristica o con le altre gestioni – ripartite comunemente mese per mese, saranno esclusi invece i costi non monetari e quelli monetari che non daranno luogo ad uscite nel periodo di previsione. Il suo obiettivo è la previsione dei saldi periodali, al fine di provvedere anticipatamente alla relativa copertura; la tempestiva comunicazione agli intermediari finanziari in generale delle necessità finanziarie consente poi di negoziare con maggior credibilità eventuali linee di affidamento. Il budget di cassa non sostituisce quello finanziario, né viceversa. È possibile che in ragione d’anno i flussi complessivi non mettano in luce tensioni di liquidità, tuttavia, per la stagionalità della produzione e delle vendite, ci possono essere dei mesi in cui la compatibilità di entrate ed uscite venga meno: ecco perché si deve articolare ulteriormente il budget finanziario. La copertura degli squilibri di liquidità avviene attraverso il ricorso all’indebitamento bancario di breve termine, invece gli impieghi di liquidità, che sono anch’essi temporanei, avranno luogo ad un tasso che esprime la redditività dei conti correnti bancari. I. La previsione delle entrate 25/93
  • 26. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland Per conferire piena attendibilità alle previsioni di entrata derivanti dalle vendite, servono: 1. le vendite periodali; 2. gli incassi previsti per contanti; 3. i tempi medi di riscossione dei crediti: ricordando che tanto peggiore sarà la qualità del portafoglio clienti tanto maggiori saranno i tempi di incasso. Per comodità ecco come deve essere il prospetto delle entrate: I. entrate per vendite a contanti; II. entrate per incassi relativi a vendite effettuate nei mesi precedenti. Sarà poi necessario riportare i proventi da operazioni di disinvestimenti: I. entrate da cessione di impianti, macchinari, immobili; II. entrate da vendita di titoli azionari, obbligazionari e di quote di partecipazione; III. entrate di cessione di beni immateriali; IV. entrate di disinvestimenti di depositi in c/c. Andranno poi segnalati i flussi positivi conseguenti a operazioni di finanziamento: I. entrate da aumenti di capitale a pagamento; II. entrate da emissione di prestiti obbligazionari; III. entrate da negoziazione di linee di credito stand-by con istituti di credito; IV. entrate da emissione di cambiali finanziarie; V. entrate da altre forme di finanziamento. Ed infine gli afflussi di risorse conseguenti alla percezione di remunerazioni finanziarie: I. entrate da percezione di interessi attivi; II. entrate da incasso di dividendi; III. entrate di royalty; IV. entrate da redditi immobiliari o da altre gestioni accessorie. II. La previsione delle uscite ed il calcolo dei saldi periodali In relazione alle uscite si tratterà anzitutto di prevedere i pagamenti per acquisti, siano essi di materie prime, semilavorati…o di condizioni patrimoniali a regolamento differito. In sintesi il prospetto delle uscite: I. uscite per pagamenti di acquisti in contanti; II. uscite per pagamenti di acquisti relativi a periodi precedenti. Le altre uscite potranno essere poi raggruppate per grandi categorie, ad es.: I. uscite per pagamenti di salari; II. uscite per contributi e altre componenti del costo del lavoro; III. uscite per spese di produzione; IV. uscite per spese di amministrazione… Ottenuto il saldo periodale delle entrate e delle uscite, bisognerà gestirlo. La destinazione prioritaria sarà il c/c bancario: un saldo negativo ridurrà le disponibilità, uno positivo ridurrà l’esposizione di breve o incrementerà la liquidità. In ogni caso sommando il valore dei saldi di più anni successivi si ottiene il saldo progressivo periodale, che andrà aggiornato trimestralmente per tenere conto dell’addebito e dell’accredito degli interessi. 26/93
  • 27. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland L’elaborazione del conto economico e dello stato patrimoniale pro-forma Piani e budget finanziari unitamente ai budget di tesoreria sono spesso insufficienti per una completa proiezione delle informazioni aziendali, gli analisti finanziari spesso usano anche conti economici e stati patrimoniali pro-forma, in modo da: 1) facilitare l’accensione o il mantenimento di rapporti con il mercato finanziario e soprattutto con gli input di credito; 2) conoscere anticipatamente gli effetti del bilancio dei piani strategici e della dinamica dei flussi finanziari, per verificare ex-ante gli impatti delle scelte di lungo periodo sui principali indicatori che il mercato normalmente prende in considerazione. Gli indici sono indifferentemente utili a tutti i soggetti economici (dal top management ai clienti) – interessati al mantenimento del valore della società – allargati della società. In sintesi si deve integrare la pianificazione ed il budgeting finanziario con la redazione dei documenti di bilancio pro-forma, sia per informazione esterna sia per un controllo interno, con gli indici fondamentali del valore aziendale. Dobbiamo fare riferimento a 2 fattispecie differenziate dalla disponibilità/assenza del budget di tesoreria. A. È disponibile un budget di tesoreria Disponendo di una dettagliata ripartizione previsionale di entrate ed uscite, il processo non presenta particolari complicazioni. Iniziando dall’attivo patrimoniale: la disponibilità del piano degli investimenti, insieme alle politiche del circolante, possiamo definire il livello delle attività totali (tenendo conto del predefinito livello minimo di liquidità e del surplus derivante dalla differenza tra entrate ed uscite, se ci sono). Passando al fronte reddituale: una volta che il piano strategico ha stabilito il livello di fatturato per i periodi osservati, insieme alle incidenze delle più significative componenti di costo definite le politiche di ammortamento, è possibile determinare il reddito operativo. Costruzione dell’attivo patrimoniale pro-forma Fonti delle informazioni Necessità informative Attivo Passivo piano strategico fatturato e incidenza dei costi Capitale circolante piano/budget finanziario dilazioni di incasso e (escluso fondo imposte) (documenti previsionali pagamento economico- rotazione delle scorte patrimoniali) politiche di accantonamento piano strategico livelli, tempi e tipologie degli Investimenti reali, immateriali e piano finanziario investimenti/cessioni finanziari estranei alla (budget di tesoreria) politiche di ammortamento gestione corrente piano/budget finanziario soglia minima di liquidità Liquidità budget di tesoreria (o surplus periodale) Costruzione del passivo patrimoniale pro-forma Attivo Passivo Necessità informative Fonti delle informazioni Debiti finanziari natura e scadenze dei finanziamenti contratti piano/budget finanziario consolidati o da contrarre nel medio-lungo periodo Capitale netto dimensioni capitale sociale, riserve e dividendi piano finanziario risultato esercizio conto economico pro-forma Fondo imposte imposte dell’esercizio conto economico pro-forma dinamica delle imposte anni prima (eventuale) Saldo (eventuali) fabbisogni di breve periodo budget di tesoreria 27/93
  • 28. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland scoperto di c/c Costruzione del conto economico pro-forma Fonti delle informazioni Necessità informative Conto economico piano strategico fatturato Fatturato piano/budget incidenza dei costi - Costi di gestione finanziario politiche di accantonamento (documenti previsionali) budget di tesoreria saldi periodali di c/c = Risultato operativo ± Proventi/oneri finanziari = Risultato ante imposte - Imposte = Risultato d’esercizio B. Non è disponibile un budget di tesoreria Sotto quest’ipotesi il completamento dei documenti contabili pro-forma è più complesso e meno preciso, infatti risulta impossibile determinare: fondo imposte, saldo c/c passivo o attivo. Anche il conto economico non può essere completato, mancando alcune voci al risultato operativo: oneri/proventi finanziari, imposte e risultato d’esercizio. Capitolo 4 IL PROCESSO DI ALLOCAZIONE DELLE RISORSE E LA VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI Uno dei compiti più importanti della finanza riguarda la valutazione economica dei progetti di investimento, perché sono questi che garantiscono la prosecuzione delle attività aziendali, insieme al successo o all’insuccesso dell’impresa. Nell’ambito delle decisioni di investimento vanno distinte due aree:  tangibile: attinenti alla costruzione di immobili o all’acquisto di azioni o quote;  intangibile: relative alla ricerca, all’immagine e la pubblicità, con la tecnologia. Si analizzano i criteri indispensabili all’orientamento delle scelte e non di assunzioni di decisioni, poiché il profilo economico finanziario deve essere esaminato prima di realizzare qualsiasi progetto di allocazione delle risorse. Tuttavia i modelli analitici non sono in grado di cogliere elementi di natura qualitativa – come le politiche di prodotto o di gruppo in ambito internazionale, le motivazioni di ordine etico o prospettive di sviluppo verso nuovi prodotti o mercati – che possono assumere rilievo determinante. Gli investimenti: alcune definizioni e modalità di classificazione Un investimento è un esborso di risorse monetarie al quale normalmente conseguono dei flussi monetari o – con altra definizione – un consumo differito nel tempo. • Investimenti espliciti: tipici degli investimenti industriali sono caratterizzati da una prima fase, nella quale prevalgono uscite monetarie (fase di impianto), e da una seguente (detta fase di esercizio) dove prevalgono i flussi di segno positivo (entrate). • Investimenti impliciti: sono operazioni alle quali non sono associabili in modo immediato i flussi in ingresso e in uscita (ad es. una compagnia petrolifera che posticipa lo sfruttamento di un giacimento, per prezzi futuri più convenienti). 28/93
  • 29. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland I. La classificazione in base al grado di dipendenza • Investimenti dipendenti: per esprimere un giudizio di convenienza economica, oltre ad i risultati di un’unica operazione, va considerato anche l’impatto della stessa sulla gestione complessiva, il grado di dipendenza può variare: o investimenti alternativi (mutually exclusive): quando la realizzazione di uno rende impossibile o inutile la realizzazione dell’altro (se tra A, B e C scelgo C automaticamente escludo A e B); o investimenti vincolati: quando un dato progetto richiede che un secondo investimento sia portato a termine, affinché si possano ottenere dei flussi finanziari differenziali positivi, cioè la valutazione economica dovrà essere fatta considerandoli entrambi, dato che nulli sarebbero gli effetti di uno solo; o investimenti sequenziali: quando alla realizzazione di un progetto fa seguito la necessità di portare a termine altri investimenti, in tempi diversi, per ottenerne dei benefici (un macchinario una cui parte va rinnovata dopo qualche anno); o investimenti concorrenti: lo sono due o più investimenti entrambi convenienti che svolgono funzioni compatibili ma differenti e che non possono essere realizzati in contemporanea (si vuole un nuovo edificio e nuovi macchinari). • Investimenti indipendenti: i flussi positivi e negativi delle diverse iniziative non hanno alcuna correlazione, possono coesistere all’interno di una stessa unità aziendale. II. La classificazione in base agli effetti prodotti Ulteriore classificazione può essere fatta in base agli: • effetti unicamente sui costi: come i progetti di rinnovo degli impianti, intesi a mantenere la medesima capacità produttiva, ma a condizioni di maggiore efficienza ed economicità (ad es. un impianto più tecnologicamente avanzato di un altro); • effetti unicamente sui ricavi: ad es. un’azienda che può aumentare i prezzi dei propri prodotti, senza far contrarre la domanda e senza far lievitare i costi, come conseguenza della decisione di investire in una ricerca che attesti una maggior affidabilità e qualità dei propri prodotti, i dati vengono divulgati successivamente con un’adeguata campagna pubblicitaria; • effetti unicamente sulle dimensioni del capitale circolante: ad es. un investimento mirato alla razionalizzazione della gestione del magazzino (just in time), o la decisione di investire in un sistema informatico, per segnalare le insolvenze della clientela, ha effetti riduttivi sui crediti commerciali e dunque sul circolante; • effetti sul mix dei precedenti: fra questi rientrano i progetti di natura espansiva che prevedono un incremento nelle vendite e di riflesso di tutte le precedenti grandezze (ad es. ampliamento della capacità produttiva e lancio di nuovi prodotti). III. La classificazione in base alla natura del progetto Classificare gli investimenti in funzione della natura del progetto significa concentrare l’attenzione essenzialmente sulla tipologia di benefici attesi da ogni iniziativa e sulla rischiosità relativa alla quale l’azienda va incontro: ciascuna azienda definirà i progetti coerentemente con la propria attività e con le relative necessità. 29/93
  • 30. Appunti di Finanza Aziendale Visto su: Profland Come esempio sono qui riportati i criteri di aggregazione delle classi di investimento utilizzati dalla filiale italiana di una grande multinazionale operante nel settore alimentare. A. Progetti per la sicurezza e l’utilità generale: - iniziative necessarie per motivi di sicurezza, igiene, utilità sociale (come gli impianti anti-incendio o gli ascensori); - costruzioni destinate ad attività legate alla gestione caratteristica (ad es. per nuovi edifici o laboratori). B. Progetti destinati a incrementare la qualità: - investimenti intesi al miglioramento della qualità percepita. C. Progetti destinati a incrementare la redditività: - investimenti per la riduzione dei costi; - investimenti per l’incremento della capacità produttiva; - progetti per la produzione e la distribuzione di un nuovo prodotto. D. Altri progetti: - tutti i progetti esclusi dalle precedenti classificazioni (ad es. iniziative di ricerca non finalizzate al lancio di nuovi prodotti). Classificazioni di questo tipo possono variare nel tempo. IV. La classificazione in base al rischio La rischiosità è senza dubbio uno degli elementi che più influenza la decisione finale: una cosa è acquistare BOT, altro è lanciare nuovi prodotti in mercati sconosciuti. Spesso alle categorie di rischio si assegnano rendimenti minimi richiesti in modo da poterne verificare prima la probabilità d’accettazione: maggior rischio, maggior rendimento. I profili di analisi per le decisioni di investimento Dopo aver eseguito una classificazione degli investimenti, le aziende iniziano un processo variabile per complessità e durata in funzione ad es. della struttura organizzativa dell’investimento, processo che termina con la scelta finale; questo processo si articola in 3 fasi: 1. pianificazione: tra cui formulazione delle ipotesi per la valutazione, stime preliminari, valutazione economica, approvazione, inserimento nel budget d’esercizio; 2. realizzazione: suddiviso in raccolta coperture, uscite di cassa e realizzazione delle attività di gestione corrente (acquisto-trasformazione-vendita); 3. controllo: sulla corrispondenza con le previsioni. Anche i profili di analisi che l’analista è chiamato a giudicare sono 3: 1) profilo economico: i suoi risultati devono fornire un rapporto fra le risorse assorbite e liberate dal progetto, attraverso l’utilizzo di un indicatore sintetico che indicherà l’eventuale redditività dell’investimento, all’indicatore bisogna associare i flussi di cassa incrementali del progetto e il costo del capitale; 2) profilo finanziario: non tutti gli investimenti economicamente convenienti sono sempre fattibili, bisogna cioè esaminare la fattibilità finanziaria (ovvero la compatibilità dei flussi dell’investimento con il profilo dimensionale e temporale di entrate ed uscite), situazioni – ad es. di un progetto altamente conveniente ma accantonato per mancanza delle necessarie risorse finanziarie o per una dinamica di 30/93