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EXPO 2015
C’è chi dice che “scrivere è importante; c’è però da chiedersi chi ispira la prima frase”.
Ho ascoltato questo detto alla radio mentre riflettevo su come avrei potuto aprire i
lavori di oggi su “Progettare, Realizzare e comunicare gli eventi sostenibili.”
Il ricordo la memoria di come eravamo, di come erano i luoghi in cui si svolgerà Expo
2015 è stata l’ispirazione della prima frase.
Ero un ragazzino tanti anni fa, venivo dall’hinterland, dalla periferia, dai luoghi che pur
vicini, erano mal collegati con la città, col capoluogo. Andavo in città per andare a
scuola, nella presunzione che essere “educati” in città fosse un'altra palestra di vita.
Una corta distanza, ma un lungo tempo di viaggio.
Con il “pullman della STIE” si attraversava Rho verso Pero, la parte del territorio, con
Sesto San Giovanni, con più importanti insediamenti produttivi del paese. Industrie,
come la Montedison, oggi prevalentemente chiuse, che si affacciavano sulla strada
dando orgogliosa mostra della attività dell’uomo nel processo di crescita industriale.
A Pero si incontravano le raffinerie. Alcune piccole come la “Rondine” che raffinava
bitumi, altre mastodontiche come la “Condor”, poi divenuta Shell ed IP.
Anche nei mesi caldi e nelle giornate luminose, l’attraversamento di Pero era cupo. A
qualsiasi ora era quasi buio tanta era la fuliggine che ammorbava l’aria (oggi le
chiamano polveri sottili, PM 10, materia particolata). I pullman erano senza aria
condizionata (i treni dei pendolari ancora oggi non l’hanno), così appena fuori Rho, a
Pantanedo - dove oggi ci sono i padiglioni nord della nuova Fiera - si percepiva un’aria
pesante con l’olezzo della combustione degli idrocarburi.
Si chiudevano allora i finestrini e si tratteneva il respiro.
Pero era, come la maggior parte dei paesi della prima cerchia della periferia, un muro
una barriera che separava due civiltà. Quella urbana del capoluogo e della borghesia e
quella operaia della periferia dove erano insediate le fabbriche che davano
occupazione, salario, speranza; ma anche tanti problemi che erano allora il prezzo
inconsapevole della crescita (purtroppo spesso lo è anche oggi).
Questa separazione tra territori tanto contigui è durata nel tempo.
Tutto ciò che era problematico per l’impatto con il territorio veniva insediata ai margini
della città. Ciò che era nobile, attrattivo, gratificante nel centro della città. Una scelta
contro ogni logica di polifunzionalità, di aggregazione distribuita, di socialità inclusiva.
La stessa ragione per cui si pensava che la scuola in città fosse migliore.
Un approccio che ha caratterizzato le scelte urbanistiche ed infrastrutturali della città di
Milano, per cui il nuovo carcere è stato localizzato a Bollate ed il termovalorizzatore a
Figino. Entrambe nella vasta area collocata nel triangolo che diparte dallo snodo
autostradale di Fiorenza e si estende sino ai comuni di Rho, Lainate, Arese, Bollate;
l’inizio dell’Hinterland della città, l’area dove oggi sono insediate la Fiera e l’Expo .
Da allora sono passate alcune decadi.
1
Piero Torretta
Il capoluogo, nella sua presunzione di essere città creativa ed attrattiva, si è svuotato
passando da 1.800.000 abitanti agli attuali 1.150.000.
Nel suo pur piccolo perimetro si sono insediate le attività del terziario avanzato. Molti
edifici, ciononostante, sono rimasti sempre vuoti; molti si sono svuotati con la crisi e
pongono oggi il problema della loro riconversione.
Un paradosso.
Sino ad ieri era “illegale” usarli per la residenza ed allora i “furbi” facevano i loft. Oggi il
loro utilizzo per la residenza è divenuto, per gli stessi che sino ad ieri erano
ostinatamente ed intellettualmente contrari, l’imprescindibile soluzione ad un uso
intelligente del territorio.
Ma il territorio è sempre stato intelligente (lo dimostrano i quartieri periferici della città
che, nonostante tutto grazie all’impegno civico e sociale di chi li abita, sono diventati
vivibili - come ha dato atto il Cardinale Scola l’altro giorno incontrando gli abitanti di
Quarto Oggiaro).
E’ da chiedersi se lo è stato l’uomo di potere, il politico, con la sua presunzione
urbanistica che ha costruito regole che, non solo si sono dimostrate (ma era già
evidente allora, se si fosse dato ascolto ai bisogni della gente), non nell’interesse di
tutti, ma dei pochi che dalla speculazione e dalla rendita ricavavano rilevanti e
soggettivi profitti.
***
Ma è la storia di tutte le città, del loro sviluppo che oggi sempre più ci dice che bisogna
cambiare il passo.
Siamo ormai in un mondo “urbano”, la storia si fa sempre più nelle città, il mondo
stesso si fa città globale.
E in questo mondo, in queste città, il problema delle periferie è sempre più un
problema economico e sociale.
Nelle periferie vive ormai la maggior parte della popolazione. Un problema non solo dei
grandi agglomerati come Città del Messico, Shangai, Pechino, Kinshasa. Un problema
anche delle nostre città-provincia che oggi sono, anche per legge, considerate
metropoli.
Le periferie delle città sono la grande sfida.
Deve essere impegno di tutti diminuire gli sfregi e le barriere che sono di per se una
“ingiusta distribuzione delle possibilità” sia dal punto di vista educativo, che sanitario,
che infrastrutturale.
Per questo gli interventi di trasformazione delle periferie devono essere strutturali, tali
cioè, se non da eliminare, alleviare l’effetto di non luogo, di luogo senza personalità, di
luogo della emarginazione, l’effetto banlieue.
Anche a questo devono essere finalizzati i grandi eventi di cui vogliamo garantire la
sostenibilità.
2
Piero Torretta
La periferia non deve allora essere solo un luogo da attraversare, un territorio in cui
insediare attività d’uso temporaneo o parziale nel tempo e nella utilità degli abitanti
insediati.
Se si considerano le difficoltà di Arexpo - la società incaricata di definire il futuro
dell’area post EXP - per EXPO 2015 questo è già un problema.
Può essere il post concepito separatamente al progetto?
Come può il progetto “Nutrire il Pianeta” essere sostenibile, come può riportare il
nostro Paese al centro delle attenzioni del mondo, se ci si limita alla pur importante
valorizzazione del made in Italy, se ci si dimentica gli aspetti economici, ambientali e
sociali dello sviluppo del territorio su cui si va ad insediare.
Un grande evento deve essere un arricchimento che dura nel tempo, che aumenta
l’offerta di servizi per l’uso permanente del territorio, che tratta e considera la provincia
- l’hinterland su cui si va ad insediare - come una parte viva ed inclusiva dell’area
metropolitana, non una sua marginalità di cui usare gli spazi per il buon fine di un
progetto fine a se stesso.
Bisogna quindi prestare attenzione, non compiere errori.
Un aspetto che di certo non si ritrova nella scelta di interrompere la metropolitana alla
Fiera di Rho - Pero, anziché proseguirla al servizio della periferia, o di rafforzare le linee
verso la città, come se nulla di interessante vi fosse, se ci si proietta verso l’esterno.
***
“Gli eventi sono a volte per loro natura, di alto profilo e transitori, con impatti sociali,
economici ed ambientali tanto positivi, quanto negativi” dice l’incipit della Norma UNI
ISO 20121 che è stata pensata e sviluppata per aiutare le organizzazioni e le persone a
migliorare la sostenibilità delle attività correlate agli eventi.
Gli eventi devono quindi essere più che mai una occasione per creare legami, forgiare
comunità, costruire ponti culturali ed umani.
Una occasione per costruire una realtà in cui ognuno si senta parte, impegnato in uno
sforzo comune.
Per questo la norma, come ogni norma del resto, dice che nella Pianificazione serve
consapevolezza e condivisione per “prevenire e ridurre gli effetti indesiderati, per
conseguire il miglioramento continuo”.
Per questo nella gestione della Catena della Fornitura serve ridurre al minimo gli impatti
negativi, rispettare i diritti umani, dare preferenza ai fornitori locali, privilegiare
l’approccio “partnership” rispetto all’approccio “comando e controllo”.
È da chiedersi se l’esperienza di questi anni di Expo 2015 sia stata coerente con tali
indirizzi o se, come dimostra il caso delle “Vie d’acqua” ed i problematici rapporti con i
fornitori di cui si legge, di tali principi non si sia tenuto conto.
Se cioè la logica (dopo anni persi dalla politica per definire la governance) le fasi del
“miglioramento continuo – pianificare, realizzare, controllare, agire”, non siano state
in qualche modo sacrificate al “si deve” rispettare i tempi, “ si deve” garantire il
risultato. Inogni caso ed ad ogni costo.
3
Piero Torretta
Le sfide del nuovo mondo, l’inclusione dei luoghi e delle persone, così come le soluzioni
per uscire dalla crisi, non possono essere limitate, circoscritte ai pochi che ne traggono
vantaggio ed utilità soggettive e personali (nelle consulenza, nei lavori, nella gestione,
nella immagine, nel consenso politico).
Per questo nella gestione dei grandi eventi, qualsiasi esso sia, vanno ripensate le logiche
e le dinamiche di sempre.
Diversamente, come dimostrano i mondiali di calcio a Rio e negli Emirati Arabi - sia con
la statistica sia con la previsione delle morti bianche sul lavoro - sarà difficile costruire
un mondo più plurale in cui ogni periferia, urbana o globale che sia, possa farsi centro.
Se così non fosse, considerato che tutti i grandi eventi sono parte di sistema economico
e sociale complesso ed interrelato è elevato il “rischio, l’effetto incertezza” di non
raggiungere gli obiettivi della sostenibilità (economica, ambientale e sociale) e di
ricondurre il tutto al “caos deterministico” di cui parla Edward Lorenz in meteorologia
per cui “un battito di ali di farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas”.
***
I fatti di cronaca che in questi ultimi giorni hanno interessato EXPO 2015, sono stati
come rappresentati nell’omelia di Papa Francesco nella messa per i politici dello scorso
giovedì: “nella logica della necessità non c’è posto per Dio, non c’è posto per l’amore: si
deve, si deve, si deve … sono diventati comportamenti. Uomini di buone maniere, ma di
cattive abitudini, i dottori del dovere Gesù li chiama Sepolcri Imbiancati”.
Per questo tutti dobbiamo, nel grande e nel piccolo, operare per evitare che un grande
evento diventi un “caos deterministico”.
Per questo un po’ di umiltà e di prudenza sono quanto mai appropriati. Un modo per
esercitare il potere con amore, con la morale.
Un modo per guardare in faccia alla umanità, al popolo, per limitare le sofferenze,
l’umiliazione dei deboli, dei senza voce.
Per risalire la china del disagio della nostra contemporaneità, per dare un contenuto, un
senso allo sviluppo sostenibile, per dare concreta applicazione al processo del
miglioramento continuo anche nei grandi eventi, bisogna più che mai saper guardare in
alto, ma avere a cura chi sta in basso.
Ha detto Oscar Wilde “sii te stesso, tutti gli altri sono occupati”.
Solo facendo ciò che sembra improbabile toglieremo spazio e ruolo ai sepolcri
imbiancati, abbatteremo i muri, le barriere tra la periferia e la città, solo così chiudere i
finestrini e trattenere il respiro attraversando Pero, non sarà più l’ispirazione della
prima frase.
4
Piero Torretta

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Torretta uniiso20121 31marzo2014

  • 1. EXPO 2015 C’è chi dice che “scrivere è importante; c’è però da chiedersi chi ispira la prima frase”. Ho ascoltato questo detto alla radio mentre riflettevo su come avrei potuto aprire i lavori di oggi su “Progettare, Realizzare e comunicare gli eventi sostenibili.” Il ricordo la memoria di come eravamo, di come erano i luoghi in cui si svolgerà Expo 2015 è stata l’ispirazione della prima frase. Ero un ragazzino tanti anni fa, venivo dall’hinterland, dalla periferia, dai luoghi che pur vicini, erano mal collegati con la città, col capoluogo. Andavo in città per andare a scuola, nella presunzione che essere “educati” in città fosse un'altra palestra di vita. Una corta distanza, ma un lungo tempo di viaggio. Con il “pullman della STIE” si attraversava Rho verso Pero, la parte del territorio, con Sesto San Giovanni, con più importanti insediamenti produttivi del paese. Industrie, come la Montedison, oggi prevalentemente chiuse, che si affacciavano sulla strada dando orgogliosa mostra della attività dell’uomo nel processo di crescita industriale. A Pero si incontravano le raffinerie. Alcune piccole come la “Rondine” che raffinava bitumi, altre mastodontiche come la “Condor”, poi divenuta Shell ed IP. Anche nei mesi caldi e nelle giornate luminose, l’attraversamento di Pero era cupo. A qualsiasi ora era quasi buio tanta era la fuliggine che ammorbava l’aria (oggi le chiamano polveri sottili, PM 10, materia particolata). I pullman erano senza aria condizionata (i treni dei pendolari ancora oggi non l’hanno), così appena fuori Rho, a Pantanedo - dove oggi ci sono i padiglioni nord della nuova Fiera - si percepiva un’aria pesante con l’olezzo della combustione degli idrocarburi. Si chiudevano allora i finestrini e si tratteneva il respiro. Pero era, come la maggior parte dei paesi della prima cerchia della periferia, un muro una barriera che separava due civiltà. Quella urbana del capoluogo e della borghesia e quella operaia della periferia dove erano insediate le fabbriche che davano occupazione, salario, speranza; ma anche tanti problemi che erano allora il prezzo inconsapevole della crescita (purtroppo spesso lo è anche oggi). Questa separazione tra territori tanto contigui è durata nel tempo. Tutto ciò che era problematico per l’impatto con il territorio veniva insediata ai margini della città. Ciò che era nobile, attrattivo, gratificante nel centro della città. Una scelta contro ogni logica di polifunzionalità, di aggregazione distribuita, di socialità inclusiva. La stessa ragione per cui si pensava che la scuola in città fosse migliore. Un approccio che ha caratterizzato le scelte urbanistiche ed infrastrutturali della città di Milano, per cui il nuovo carcere è stato localizzato a Bollate ed il termovalorizzatore a Figino. Entrambe nella vasta area collocata nel triangolo che diparte dallo snodo autostradale di Fiorenza e si estende sino ai comuni di Rho, Lainate, Arese, Bollate; l’inizio dell’Hinterland della città, l’area dove oggi sono insediate la Fiera e l’Expo . Da allora sono passate alcune decadi. 1 Piero Torretta
  • 2. Il capoluogo, nella sua presunzione di essere città creativa ed attrattiva, si è svuotato passando da 1.800.000 abitanti agli attuali 1.150.000. Nel suo pur piccolo perimetro si sono insediate le attività del terziario avanzato. Molti edifici, ciononostante, sono rimasti sempre vuoti; molti si sono svuotati con la crisi e pongono oggi il problema della loro riconversione. Un paradosso. Sino ad ieri era “illegale” usarli per la residenza ed allora i “furbi” facevano i loft. Oggi il loro utilizzo per la residenza è divenuto, per gli stessi che sino ad ieri erano ostinatamente ed intellettualmente contrari, l’imprescindibile soluzione ad un uso intelligente del territorio. Ma il territorio è sempre stato intelligente (lo dimostrano i quartieri periferici della città che, nonostante tutto grazie all’impegno civico e sociale di chi li abita, sono diventati vivibili - come ha dato atto il Cardinale Scola l’altro giorno incontrando gli abitanti di Quarto Oggiaro). E’ da chiedersi se lo è stato l’uomo di potere, il politico, con la sua presunzione urbanistica che ha costruito regole che, non solo si sono dimostrate (ma era già evidente allora, se si fosse dato ascolto ai bisogni della gente), non nell’interesse di tutti, ma dei pochi che dalla speculazione e dalla rendita ricavavano rilevanti e soggettivi profitti. *** Ma è la storia di tutte le città, del loro sviluppo che oggi sempre più ci dice che bisogna cambiare il passo. Siamo ormai in un mondo “urbano”, la storia si fa sempre più nelle città, il mondo stesso si fa città globale. E in questo mondo, in queste città, il problema delle periferie è sempre più un problema economico e sociale. Nelle periferie vive ormai la maggior parte della popolazione. Un problema non solo dei grandi agglomerati come Città del Messico, Shangai, Pechino, Kinshasa. Un problema anche delle nostre città-provincia che oggi sono, anche per legge, considerate metropoli. Le periferie delle città sono la grande sfida. Deve essere impegno di tutti diminuire gli sfregi e le barriere che sono di per se una “ingiusta distribuzione delle possibilità” sia dal punto di vista educativo, che sanitario, che infrastrutturale. Per questo gli interventi di trasformazione delle periferie devono essere strutturali, tali cioè, se non da eliminare, alleviare l’effetto di non luogo, di luogo senza personalità, di luogo della emarginazione, l’effetto banlieue. Anche a questo devono essere finalizzati i grandi eventi di cui vogliamo garantire la sostenibilità. 2 Piero Torretta
  • 3. La periferia non deve allora essere solo un luogo da attraversare, un territorio in cui insediare attività d’uso temporaneo o parziale nel tempo e nella utilità degli abitanti insediati. Se si considerano le difficoltà di Arexpo - la società incaricata di definire il futuro dell’area post EXP - per EXPO 2015 questo è già un problema. Può essere il post concepito separatamente al progetto? Come può il progetto “Nutrire il Pianeta” essere sostenibile, come può riportare il nostro Paese al centro delle attenzioni del mondo, se ci si limita alla pur importante valorizzazione del made in Italy, se ci si dimentica gli aspetti economici, ambientali e sociali dello sviluppo del territorio su cui si va ad insediare. Un grande evento deve essere un arricchimento che dura nel tempo, che aumenta l’offerta di servizi per l’uso permanente del territorio, che tratta e considera la provincia - l’hinterland su cui si va ad insediare - come una parte viva ed inclusiva dell’area metropolitana, non una sua marginalità di cui usare gli spazi per il buon fine di un progetto fine a se stesso. Bisogna quindi prestare attenzione, non compiere errori. Un aspetto che di certo non si ritrova nella scelta di interrompere la metropolitana alla Fiera di Rho - Pero, anziché proseguirla al servizio della periferia, o di rafforzare le linee verso la città, come se nulla di interessante vi fosse, se ci si proietta verso l’esterno. *** “Gli eventi sono a volte per loro natura, di alto profilo e transitori, con impatti sociali, economici ed ambientali tanto positivi, quanto negativi” dice l’incipit della Norma UNI ISO 20121 che è stata pensata e sviluppata per aiutare le organizzazioni e le persone a migliorare la sostenibilità delle attività correlate agli eventi. Gli eventi devono quindi essere più che mai una occasione per creare legami, forgiare comunità, costruire ponti culturali ed umani. Una occasione per costruire una realtà in cui ognuno si senta parte, impegnato in uno sforzo comune. Per questo la norma, come ogni norma del resto, dice che nella Pianificazione serve consapevolezza e condivisione per “prevenire e ridurre gli effetti indesiderati, per conseguire il miglioramento continuo”. Per questo nella gestione della Catena della Fornitura serve ridurre al minimo gli impatti negativi, rispettare i diritti umani, dare preferenza ai fornitori locali, privilegiare l’approccio “partnership” rispetto all’approccio “comando e controllo”. È da chiedersi se l’esperienza di questi anni di Expo 2015 sia stata coerente con tali indirizzi o se, come dimostra il caso delle “Vie d’acqua” ed i problematici rapporti con i fornitori di cui si legge, di tali principi non si sia tenuto conto. Se cioè la logica (dopo anni persi dalla politica per definire la governance) le fasi del “miglioramento continuo – pianificare, realizzare, controllare, agire”, non siano state in qualche modo sacrificate al “si deve” rispettare i tempi, “ si deve” garantire il risultato. Inogni caso ed ad ogni costo. 3 Piero Torretta
  • 4. Le sfide del nuovo mondo, l’inclusione dei luoghi e delle persone, così come le soluzioni per uscire dalla crisi, non possono essere limitate, circoscritte ai pochi che ne traggono vantaggio ed utilità soggettive e personali (nelle consulenza, nei lavori, nella gestione, nella immagine, nel consenso politico). Per questo nella gestione dei grandi eventi, qualsiasi esso sia, vanno ripensate le logiche e le dinamiche di sempre. Diversamente, come dimostrano i mondiali di calcio a Rio e negli Emirati Arabi - sia con la statistica sia con la previsione delle morti bianche sul lavoro - sarà difficile costruire un mondo più plurale in cui ogni periferia, urbana o globale che sia, possa farsi centro. Se così non fosse, considerato che tutti i grandi eventi sono parte di sistema economico e sociale complesso ed interrelato è elevato il “rischio, l’effetto incertezza” di non raggiungere gli obiettivi della sostenibilità (economica, ambientale e sociale) e di ricondurre il tutto al “caos deterministico” di cui parla Edward Lorenz in meteorologia per cui “un battito di ali di farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas”. *** I fatti di cronaca che in questi ultimi giorni hanno interessato EXPO 2015, sono stati come rappresentati nell’omelia di Papa Francesco nella messa per i politici dello scorso giovedì: “nella logica della necessità non c’è posto per Dio, non c’è posto per l’amore: si deve, si deve, si deve … sono diventati comportamenti. Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini, i dottori del dovere Gesù li chiama Sepolcri Imbiancati”. Per questo tutti dobbiamo, nel grande e nel piccolo, operare per evitare che un grande evento diventi un “caos deterministico”. Per questo un po’ di umiltà e di prudenza sono quanto mai appropriati. Un modo per esercitare il potere con amore, con la morale. Un modo per guardare in faccia alla umanità, al popolo, per limitare le sofferenze, l’umiliazione dei deboli, dei senza voce. Per risalire la china del disagio della nostra contemporaneità, per dare un contenuto, un senso allo sviluppo sostenibile, per dare concreta applicazione al processo del miglioramento continuo anche nei grandi eventi, bisogna più che mai saper guardare in alto, ma avere a cura chi sta in basso. Ha detto Oscar Wilde “sii te stesso, tutti gli altri sono occupati”. Solo facendo ciò che sembra improbabile toglieremo spazio e ruolo ai sepolcri imbiancati, abbatteremo i muri, le barriere tra la periferia e la città, solo così chiudere i finestrini e trattenere il respiro attraversando Pero, non sarà più l’ispirazione della prima frase. 4 Piero Torretta